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2018
Che cosa è la semiotica?→ È una disciplina
È la scienza che studia i segni. I segni sono di diversi tipi (acustici, visivi, olfattivi ecc ecc. verbali). I segni
possono essere interpretati, e il loro significato cambia in base alla cultura.
ESEMPIO→ Ci sono delle convenzioni culturali che al mattino ci indicano che dobbiamo dire “Buongiorno”
e convenzioni che la sera ci indicano che dobbiamo dire “Buonasera”.
Il significato del termine SEMIOTICA deriva dal greco “semeion”= segno, e “semeiotikós” = relativo ai
segni. Se per segni intendiamo qualcosa che esprime o rinvia a qualcos’altro, di segni sembra tramato tutto il
nostro vivere da segni.
Il nostro vivere è un atto semiotico→ Alcune situazione per spiegare questo concetto
• Le parole sono segni di pensieri, idee, sentimenti, intenzioni etc. Con esse si può salutare, chiedere,
persuadere, pregare, confidarsi etc.
• Gli animali che condividono parte del nostro ambiente sembrano far uso di segni → fra di loro e con
noi
• In strada segnali di vario tipo “guidano” il nostro comportamento → qui bisogna fermarsi, partire,
dare la precedenza etc.
• Un’espressione su un volto può essere un segno che noi possiamo interpretare, infatti da qui nascono
le emoticon
In pratica, in tutti questi casi, abbiamo consapevolmente o no applicato un atteggiamento “semiotico” -
>abbiamo attribuito sostanza e valore di segno a esperienze diverse, lasciandone galleggiare il senso nella
nostra coscienza e nei comportamenti che ne dipendono.
Un po’ di storia:
- La semiotica affronta le sue radici nell’antichità, in particolare nell’antica Grecia, nel sapere medico
(successivamente anche nella divinazione e nella sua simbologia)
- In tempi più recenti, la necessità di delineare i contorni di una vera e propria disciplina scientifica
con questo nome è stata sostenuta, nella seconda metà dell’800, dal filosofo americano Charles
Pierce (1839-1914) e, nel primo decennio del 900, dal glottologo svizzero Saussure (1857-1913) nel
corso di linguistica generale.
Pierce vedeva nella semiotica una teoria della conoscenza umana, incentrata sulla capacità di
interpretare l’esperienza e ogni sua manifestazione empirica.
Saussure (preferiva parlare “semiologia”) pensava a disciplina che identificasse un territorio
comune a tutti i fenomeni di comunicazione e dalla quale si potesse muovere per studiare ciò che di
specifico ciascuna modalità comunicativa reca con sé. Si capiscono meglio le lingue, il loro
funzionamento, la loro natura, la loro struttura interna.Prospettiva più ampia di analisi e descrizione
delle lingue. Spiega che il funzionamento delle lingue (per un buon 90%) è simile a quello degli altri
codici, la cui funzione è prettamente comunicativa; in particolare trova delle analogie e differenze
con l'aritmetica.
- Nel corso del 900 filosofi come William Morris (1901-1997), linguisti come Louis Hjelmslev
(1899-1965), letterati e linguisti comeRoman Jakobson (1896-1982) hanno messo il progetto della
semiotica al centro dei loro interessi scientifici.
- Solo all’inizio degli anni sessanta si è cominciato a rendere sistematica la ricerca semiotica, con
alcune scuole:
Scuole parigine di Barthes (1915-1980) e di Greimas (1917-1922); Scuola russa di Lotman (1922-
1993) e Uspenskij; Scuola bolognese di Eco,; Scuola ginevrina e romana dei postsaussuriani di
Prieto (1926-1996) e De Mauro, Sebeok (1920-2001)
CAP. 1 SEGNO E CODICE
1.1 INDICI
La semiotica nasce con l’idea di accomunare studi diversi tra di loro.
Nel medioevo, la Scolastica definisce un segno come “qualcosa che sta per qualcos’altro” →vi sarebbe una
relazione di “rinvio” tra A, un evento materialmente percepibile, e B, qualcos’altro, percepibile dai sensi
oppure solo afferrabile dalla mente, che però si rende accessibile unicamente grazie a quell’evento.
A → espressione
B → contenuto
Un segno è per definizione un’entità a due piani (biplanare) fatta di un’espressione e di un contenuto.
Una prima distinzione ci è proposta dal famoso manuale del 600 la “Logica di Port-Royal”, che distingue
fra: segni naturali (una macchia sulla pelle, il fumo ecc) e segni artificiali (prodotti dall’intervento umano e
o di altre specie viventi). Pierce definisce i segni naturali come INDICI, per cui qualcosa (l’indice)
rappresenta qualcos’altro (il suo oggetto) in virtù di una connessione reale esistente tra due dati. INDICE =
CONTIGUITÀ DI SIGNIFICATO
Tuttavia anche segni del genere non sono significativi di per sé, ma solo in quanto qualcuno, capace di
“leggerli”, attribuisca loro un valore.
In questo processo è importante l’applicazione di conoscenze culturali
Non si dà indice senza un’attiva opera di interpretazione della sua natura fisica, in relazione alle circostanze
date e all’esperienza culturale pregressa del soggetto → Se sono in spiaggia e vedo del fumo, non penso a
qualcosa che brucia, ma a una compagnia riunita attorno a un fuoco.
In altri casi gli strumenti per leggere un evento fisico in termini di indici vengono meno → Se sono in un
bosco, incontro infiniti fenomeni che potrebbero farmi “leggere” il passaggio di un animale; ma può darsi
che per un individuo troppo urbanizzato, questi segnali rimangano muti.
Il termine INDIZIO può essere applicato a ogni genere di variazione dello stato fisico, indipendentemente
dal fatto che vi sia o no una connessione attuale fra il segno e ciò cui esso rinvia. In tal senso ogni indice è
un indizio, ma non ogni indizio è un indice.
Quando analizziamo un evento in termini di “indice” e “indizio” applichiamo una struttura concettuale
“inferenziale” del tipo «se…allora». Ogni volta che trattiamo qualcosa come se fosse un segno, ha luogo una
pratica interpretativa.
Thomas A. Sebeok→è colui che ha organizzato il primo convegno di semiotica. Egli utilizza un concetto
allargato di ‘comunicazione’->La comunicazione è “la trasmissione di qualsiasi influenza di un sistema
vivente da una parte all'altra” che produca “con ciò delle trasformazioni” -> Io dico “dammi una sedia” e tu
me la dai = La sedia si è spostata.
La semiosi, in quanto tale deve produrre un movimento, che corrisponde a un cambiamento.
La semiosi va riconosciuta e indagata in tutte le forme di vita. Per lui si tratta del linguaggio di tutte le forme
di vita, non solo linguaggio verbale; a differenza di Saussure. Per Sebeok si avvicina all’antropologia. La
linea di Sebeokha avuto il merito di stimolare una proficua apertura interdisciplinare degli studi semiotici.
Saussure→[...] Una scienza che studi la vita dei segni nell'ambito della vita sociale: essa potrebbe formare
una parte della psicologia sociale e, di conseguenza, della psicologia generale; noi la chiameremo
semiologia.
Saussure spiega che la linguistica sarebbe stata solo una parte di questa nuova scienza, che avrebbe trattato
anche di altri sistemi di segni (cita la scrittura, i linguaggi dei sordomuti, i segnali militari, i riti simbolici, le
forme di cortesia).
Le leggi della semiologia sono applicabili alla linguistica e verosimilmente “ad altri sistemi di segni”.
Saussure fa riferimento solo ad alcuni dei fenomeni che Morris e più tardi Eco avrebbero compreso nel
campo semiotico -> Saussure cita in primo luogo linguaggistorico-naturali, cita inoltre fenomeni culturali nei
quali è espressa e fortemente codificata un'intenzione comunicativa.
Questo orientamento saussuriano ha avuto una grande fortuna.
Roland Barthes→ Non ha senso mettere sullo stesso piano, come fossero semioticamente equivalenti, il
linguaggio verbale e altre forme di comunicazione: “non è affatto certo che nella vita sociale del nostro
tempo esistano, al di fuori del linguaggio umano [cioè del linguaggio verbale], sistemi di segni di una certa
ampiezza. Non appena si passa a insieme dotati di un'autentica profondità sociologica, si incontra un nuovo
linguaggio”.
Va inteso che anche le comunicazioni visive hanno bisogno, per funzionare, dell'integrazione e del riscontro
della parola (dialogo nel cinema, negli slogan etc.) e che anche forme di comunicazione particolari, come la
moda, trovano la propria base esplicativa nei significati verbali che l’accompagnano.
La linguistica dovrebbe fungere da riferimento per capire tutti gli altri sistemi di segni.
La semiotica della comunicazione presuppone dunque quella della significazione, con i suoi annessi
dispositivi di connotazione, ma limita il suo raggio agli indici convenzionali che siano segnali, ovvero a
quegli indici che, passando da uno all’altro interlocutore, “forniscono un’indicazione circa il rapporto
sociale” posto in essere nello scambio comunicativo.
Tullio De Mauro→Ha offerto un’ipotesi rigorosa di classificazione dei codici semiologici, intesi, nel senso d
Saussure, a partire dal principio della centralità del significato e lavorando sui diversi modi in cui i codici
organizzano quest'ultimo nei loro vari modi di funzionare.
Scala di crescente complessità che vede al vertice il linguaggio verbale, con la sua forse unica capacità di
saldare le regolarità del codice con l’interdeminatezza della sfera semantica.
Può sembrare che in questo modo le sfide della semiotica vengano a ridimensionarsi; occorre tuttavia
considerare che la semiotica o la semiologia ha l’obbligo di conseguire risultati sul territorio che
istituzionalmente la compete, quello dei codici o linguaggi propriamente detti. In questo ambito il più è stato
fatto, e viene fatto dai linguisti, che incorporano nelle loro metodiche di analisi variabili di ordine semiotico-
culturale un tempo loro estranee. Inoltre alla teoria semiotica va recuperata fino in fondo una prospettiva di
raccordo e di comparazione fra studio dei linguaggi naturali umani e linguaggi degli altri animali. Le
premesse gettate in questo ambito sono state a lungo “congelate” dall’influsso delle idee di Noam
Chomsky→ “padre” riconosciuto di una buona parte del cognitivismo, che ha sostenuto la tesi neocartesiana
della discontinuità: negando agli animali diversi dall’uomo il possesso di un vero e proprio linguaggio e
facendo i quest’ultimo il tratto distintivo della nostra specie.
Terrence W. Deacon→ La comunicazione si staglia come una delle possibilità, importantissima, ma non
unica, di un dispositivo, il linguaggio naturale che è dispositivo cognitivo ed espressivo.
Recentemente ha scritto che se la specie umana è per antonomasia “specie simbolica”, questo è perché il
linguaggio è stato ed è per l’uomo anzitutto veicolo di sviluppo cognitivo, chiave della propria identità e
amplificatore delle proprie strategie di sopravvivenza.
Attribuisce ad ogni componete del modello di Shannon una funzione, che chiama funzioni comunicative
(sono 6):
1. Referenziale →Contesto (es. Elementi editrici o indicali, come qui, là, questo etc.)
2. Espressiva →Mittente (es. Esclamazioni, interezioni, forme linguistiche che esprimono il punto di
vista del mittente TC.)
3. Conativa →Destinatario (es. Imperativo, forme di seconda persona sing. e plur. etc.)
4. Fatica → Canale (es. Forme utilizzate per verificare la tenuta del canale, come “Mi senti?”, etc.)
5. Metalinguistica →Codice (es. Forme che si riferiscono al codice, tematizzandone aspetti o il
funzionamento generale, come “La parola canale significa …” etc.)
6. Poetica → Messaggio (tutte le volte che cerchiamo di valorizzare in modo speciale le risorse
linguistiche utilizzate per potenziare il significato)
LIMITI DEL MODELLO DI JACOBSON
La comunicazione viene presentata come un processo SÌ/NO, senza ulteriori alternative, ma nei codici
comunicativi più potenti la dinamica comunicativa è enormemente più complessa.
Sembrerebbe che la sostanza di cui i segni sono fatti (e.g. la voce umana) sia del tutto indifferente al
contenuto di pensiero che essi veicolano (un po’ come il tipo di busta utilizzato è indifferente alla lettera che
contiene).
La forma e il senso delle parole e delle frasi incorporano fin dal loro prodursi il punto di vista di chi ascolta.
Non è affatto detto che mittente e destinatario debbano condividere a pieno titolo il codice perché avvenga la
comunicazione: non ci si capisce mai in assoluto ma sempre e solo in relazione a determinate circostanze.
Un grave difetto del modello è che non riesce a dar conto del processo di comunicazione.Manca qualcuno o
qualcosa che si sforzi a capire il messaggio che viene inviato.
Lezione 3 20/03/2018
3.2 PRECISAZIONI SUL MITTENTE E DESTINATARIO
Abbiamo detto più volte che il rapporto fra i segni e i loro utente è un rapporto di tipo interpretativo. Ma cosa
significa questa espressione?
In linea di massima, abbiamo “interpretazione” tutte le volte che il comportamento di risposta a uno stimolo
non è meccanicamente determinato, non si riduce cioè a due possibili opzioni imposte dall’esterno, ma
implica una qualche scelta.
È merito di Pierce aver insistito sul carattere permanentemente interpretativo della semiosi umana.
Humboldt (filosofo e linguista dell’Ottocento) ragionando su questi temi ha sostenuto che ogni lingua (e
codice) forma un cerchio intorno a chi la parla: è cioè un vero e proprio filtro che condiziona l’accesso alla
realtà. Elaborando questa immagine e il concetto di sistema appena affrontato , si è arrivati a sostenere che il
codice è una vera e propria “struttura” il cui funzionamento dipende solo dalle relazioni interne dei segni. Le
correnti di pensiero e le metodiche che hanno condiviso questa idea sono chiamate “strutturali”.
Tornando al modello elementare della comunicazione, possiamo capire senso e limiti del dire che un
messaggio viene ‘codificato’ dall’utente e ‘decodificato’ dal ricevente/destinatario. La nozione di codifica
appare troppo rigida in entrambi i casi:
1. ‘Mettere in codice’ un messaggio fa pensare che vi sia un contenuto indifferente al codice nel quale
lo si versa, mentre abbiamo visto che non è così: un codice seleziona i propri significati possibili
2. Ogni codice deve fare i conti con problemi di adeguatezza al contesto: da un lato i caratteri del
contesto sono già implementati nel modo in cui il codice forma i segni, ma dall’altra parte ogni
segno deve fare i conti con un “fuori” sul quale la sua efficienza va ogni momento provata e forse
ribadita
Il codice dunque deve venire a compromessi con la materialità dei suoi fruitori. Il ricevente/destinatario “sa”
che il valore di un gesto o di una parola sta a mezza via tra quello che il mittente ha inteso dire e quello che
lui ne capirà.
Da cosa è
costituito un
segno?
Stesso
modello
di Pierce ➢ Veicolo segnico -> Significante
ma con ➢ Designatum-> Significato
termini
➢ Interprete -> Mittente o Destinatario
diversi
➢ Interpretante ->Riformulazione di un segno da parte dell'interprete
A ciascuno di questi risvolti corrisponde una possibile prospettiva di studio → Se guardo ai rapporti che un
segno intrattiene con altri segni ho una considerazione “sintattica” di essi.
Se guardo ai rapporti tra segno e oggetti o situazioni da esso designati ho la “semantica”.
Se guardo ai rapporti fra segni e i loro utenti ho la “pragmatica”.
La semiosi, dice Morris, ha un carattere unitario → relazione dei segni fra loro, significato e torsioni imposte
dalle esigenze comunicative degli utenti possono essere visti come tre sistemi di forze la cui risultante è la
funzione concretamente svolta da un segno in una situazione reale. Ma ciò non toglie che ciascuna
prospettiva di studio abbia una sua relativa autonomia.
LA SEMIOSI UMANA
Possiamo definire la semiosi umana come una sintesi di “natura” (ciò che dipende dal nostro patrimonio
genetico, iscritto nel DNA) e “cultura” (ciò che, non essendo iscritto nel bagaglio genetico, viene appreso
dopo la nascita tramite l’inserimento in una società o ambiente).
Si concorda ampiamente sul fatto che la semiosi dipende da una gamma di presupposti naturali, inerenti al
funzionamento del nostro corpo e che si sono gradatamente evoluti -> l’apparato fonatorio e i suoni che
riusciamo a pronunciare non sono gli stessi del primo homo che ha avuto facoltà di linguaggio.
Si è fatta strada una concezione secondo la quale la semiosi, nata come risultato casuale dell’evoluzione, si
sarebbe rivelata un eccezionale dispositivo ai fini della selezione naturale (concezione chiamata
“neodarwiniana”, perché riprende il nocciolo della teoria di Darwin).
La specie divenuta capace di usare simboli si sarebbe imposta non solo sugli animali cognitivamente e
semioticamente inferiori, ma anche sulle specie ominidi concorrenti.
5.1 La semiosi naturale si caratterizza mediante la presenza o l’assenza di una gamma di proprietà
fondamentali, che ricorrono, ora più ora meno, anche in numerosi sistemi artificiali, costruiti dagli umani per
far fronte alle proprie esigenze.
5.1.1
ARBITRARIETÀ→ non è motivata
Nella concezione moderna (Saussure / Hjelsmev / De Mauro) si è arrivati a distinguere diversi tipi di
arbitrarietà:
➢ Tra segno e significante→ parola “libro”-> oggetto “libro”
➢ Tra significato e significante->la parola “libro” arbitrariamente significa “oggetto composto da
copertina rigida e fogli di carta”
➢ Nell’organizzazione interna del significato
➢ Nell’organizzazione interna del significante
5.1.3 ICONICITÀ
L’idea che i segni catturino in modo non arbitrario caratteri della realtà assume un ruolo centrale nella
teoria di Pierce, che distingue tra:
➢ INDICI → caratterizzati dall'avere qualche qualità in comune con gli oggetti cui si riferiscono; ad
esempio: una mappa rispetto al territorio che rappresenta
➢ SIMBOLI →che giungono a rapportarsi al loro oggetto per convenzione ad esempio: le parole
Tuttavia Pierce afferma che ogni segno è un po' indice e un po' simbolo. Egli inoltre dice che l’iconicità
non si risolve in un dato visivo (diagrammi, metafore etc.)
N. B. →Conviene dunque non limitare l’iconicità alla similarità ma distinguere fra iconicità come
motivatezza naturale (mappa geografica) e motivatezza logica (metafora).
5.2.1 ARTICOLATEZZA
Già Aristotele aveva notato l’esistenza di questa proprietà, sia descrivendo la parola umana come “voce
connessa portatrice di significato”, sia notando come l’articolatezza non fosse sua proprietà esclusiva del
linguaggio verbale umano (il canto degli uccelli, la danza delle api, il linguaggio dei cetacei etc.).
Tale proprietà riguarda il fatto che la parte significante del segno può risultare dalla combinazione di
segmenti più piccoli. È la proprietà grazie alla quale il fono si combina in suoni diversi.
Numerosi sono i codici provvisti di articolatezza del segnale. Il calcolo aritmetico è un ottimo esempio di
codice articolato con combinazione, così come il codice che regole i gesti con cui accompagniamo parole e
frasi
Questa proprietà si collega a un’altra proprietà:
RIDONDANZA
La ridondanza rappresenta una sorta di sovrabbondanza, che riguarda i segni e le parti di cui i segni sono
composti.
Pur essendo una proprietà alla basa del costituirsi delle lingue verbali, essa è presente anche in altre
semiotiche, ad esempio nelle semiotiche animali, nella cinesica etc.
Nelle lingue verbali, la ridondanza può essere di diverso tipo:
• Fonetica → l’italiano ha 30 fonemi e in teoria per distinguere i segni che compongono questa lingua
potremmo avere bisogno anche di un numero più ridotto, di significanti più brevi. Ma saremmo in
grado, senza questa ridondanza, di distinguere chiaramente un segno dall’altro, ad esempio in una
situazione particolarmente rumorosa?
• Morfologia → nella frase “Le scarpette rosse delle allegre ballerine” sono belle il fatto che
#scarpette# sia femminile e plurale viene ripetuto ben 3 volte (le, rosse, belle)
• Lessicale → diversi segni veicolano lo stesso significato o significato simile
#casa# #abitazione# #dimora# …
VOCALITÀ / UDITIVITÀ
I segni linguistici sono trasmessi attraverso la voce e dunque possono sfruttare la diversa modulazione che la
voce stessa consente e sono recepiti, nella loro diversità di modulazione, tramite l’udito.
Si tratta di proprietà presenti in altri codici? Sì, ad esempio nel linguaggio di certi mammiferi superiori, in
quello degli uccelli.
Si tratta di proprietà presenti necessariamente nelle lingue? No, infatti la trasmissione e la ricezione dei segni
linguistici può avvenire anche attraverso la scrittura e la lettura.
DUNQUE →VOCALITÀ e UDITIVITÀ non possono dirsi proprietà specie-specifiche
1) CREATIVITÀ REGOLARE
La creatività regolare è proprietà che conduce al variare (diminuire / aumentare) del numero dei segni di un
codice sulla base delle regole di combinazione dei segni di cui il codice dispone.
Un codice si dice creativo se ha la capacità di modificare le sue condizioni iniziali senza smettere di
funzionare.
ESEMPIO→ #4# + #5# + #1# = #10#
ma anche #5# + #4# + #1# = #10#
ma non #1# + #5# +(-) #4# = #2#
Ogni lingua prevede forme di creatività regolare di diversa natura, tutte inscindibilmente legate alla sua
capacità combinatoria, dunque alla sua articolatezza.
ESEMPIO→Quel ragazzo è amico della ragazza che è seduta vicino al signore che …
Chomsky, che chiama questo tipo di creatività “rule-governed creativity”, ritiene che essa rappresenti la
specie-specificità della lingua verbale, considerato gli altri linguaggi caratterizzati da una sostanziale
ripetitività ->language to be a set (finite or infinite) of sentences each finite in lenght and constructed out of
a finite set of elements (Syntactic Structure, 1957)
Ma una lingua è creativa anche in un altro senso…
In virtù di questa proprietà, all’interno di ciascuna lingua nuove regole, socialmente riconosciute come
utili, possono sostituire le vecchie, fino a modificare la lingua stessa.
ESEMPIO → Prima si diceva “un poco” che poi, grazie alla creatività, si è trasformato in “un po'”
Il nostro cervello è in grado di produrre in modo creativo migliaia di parole e migliaia di lingue. In relazione
alle parole, il fenomeno è noto come “mutamento lessicale”, e fu interpretato in questo senso anche da
Benedetto Croce (1866-1952):
“Allorchè noi produciamo una nuova parola, trasformiamo di solito le antiche variandone o allargandone il
significato; ma questo procedere non è associativo sebbene creativo, quantunque la creazione abbia per
materiale le impressioni non dell’ipotetico uomo primitivo, ma dell’uomo vivente da secoli in società e che
ha immagazzinato nel suo organismo tante cose, e tra queste, tanto linguaggio” (1900, p.103)
2) CREATIVITÀ NON REGOLARE→quando si inventano le parole che poi entrano a far parte
dell’uso comune
Rappresenta la possibilità di far funzionare i meccanismi semiotici di costituzione del senso pur violando le
regolare “normali” del codici o cambiandole nel farsi stesso della comunicazione.
Si tratta di un tipo di creatività che permette di far entrare nella “normale” attività semiotica i processi di
scambio comunicativo, di produzione di senso, di comprensione in presenza di violazione delle regole
“normali”.
Tale creatività fa riferimento a fenomeni che certo suggeriscono, a partire dal piano delle relazioni tra i segni,
instabilità; fenomeni resi in ultima istanza possibili proprio dal fatto che la lingua è un codice
intrinsecamente vago.
ESEMPIO→ Nella quotidianità usiamo molto spesso questo tipo di creatività. Quindi come facciamo a
capirci? Attraverso la VAGHEZZA (il non detto)
Un calcolo non può permettersi irregolarità di questo tipo. Il segno #7 x : 2# è insensato e porta al blocco di
codici. Nel linguaggio verbale la creatività non regolare è dietro l’angolo:
➢ Non impedisce la comprensione, non blocca →Se sarebbe andato a trovare lo zio, gli avrebbe fatto
piacere
➢ È restaurabile →Tu lo vede? Si dice vedi
➢ E innovativa →Metti un tigre nel motore una pubblicità, dove “un tigre” rappresenta la marca del
prodotto
3) CREATIVITÀ DI REGOLE
Consiste nella possibilità di riformare interi pezzi del codice, aggiungendo o togliendo regole, senza che
questo cessi di funzionare (come le lingue dei segni).
ESEMPIO→ Comportamento del connettivo “che”, tradizionalmente utilizzato nell’italiano scritto (e
nell’italiano parlato che ne seguiva la norma) come pronome relativo o per introdurre una proposizione
dichiarativa. Questa parola ha subito un’evoluzione, dapprima nel parlato quotidiano e informale, e
successivamente anche a livelli più controllati e formali, e anche scritti, della lingua.
a) Domani è il giorno che ho lezione
b) Ti presento Mario, il ragazzo che studiamo insieme
c) Prendimi la valigia che ci ho messo i libri
d) Natale: si celebra la nascita di Gesù, che gli uomini hanno la gioia nel cuore
Tutte queste frasi contengono infrazioni alle norme. Tuttavia, in numerosi inchieste a universitari, è risultato
che A non è percepita come errore; B è percepita come colloquiale, utilizzabile nel parlato e solo con riserve
nello scritto; C è respinta come sgrammaticata (nonostante gli studenti la ripetano frequentemente); D è
sentita come “poetica”.
5.2.4 METALINGUISTICITÀ
Un codice possiede la proprietà della metalinguisticità se può usare i suoi segni per parlare di se stesso. La
lingua può spiegare se stessa con i suoi stessi segni (uso un altro gesto per spiegarne un altro)
Le lingue fanno continuo appello a tale proprietà, per disciplinare l’uso delle parole (“piene” o “vuote”) in
vista di usi tecnici, formali o al limite formalizzati, ovvero quando il loro significato deve essere deducibile
solo dai termini stessi → manuale scolastico o universitario, guida all’uso di un elettrodomestico. La
metalinguisticità ‘riflessiva’ (->possibilità di prendere a oggetto le parole stesse che si stanno pronunciando
o scrivendo) consente di manipolare in modo illimitato la sfera semantica, dilatando o restringendo il valore
dei termini in relazione alle condizioni di uso nel concreto dello scambio comunicativo. Da questo punto di
vista, la metalinguisticità si può mettere in relazione con un’altra proprietà → l’INDETERMINATEZZA
SEMANTICA (par 5.2.5).
Anche nel caso di una proprietà così vicina alle risorse più peculiari della verbalità, non si tratta di una
proprietà specie-specifica: si pensi alla gestualità, dove un gesto risponde letteralmente a un gesto, spesso
anche in assenza del supporto verbale, o alle lingue dei segni.
Anche molte specie animali sanno usare i loro segnali metalinguisticamente. Lo fanno nell’introdurre il
gioco con con-specifici → prima della simulazione della lotta vengono emessi dei segnali che dettano le
regole su come intendere che seguiranno
«Ciascun segno non circoscrive dunque con precisione una classe di espressioni indicanti i sensi di una
classe circoscritta con altrettanta precisione, ma è lo strumento di un’attività allusiva, di un gioco che
conduce alla messa in relazione di espressioni tra loro assimilabili e un gruppo di sensi» (De Mauro 1982)
Sfumatura non circoscrivibile all’interno d regole, il non detto, che nonostante ciò è comunque
comprensibile.
«è sotto gli occhi, o meglio, nelle orecchie di tutti: che le realizzazioni parlate e grafiche effettive oscillano
fortemente da una maggiore nettezza, propria del parlato o dello scritto a stampa e simili, verso una nettezza
assai minore, in cui il rilassamento di articolazioni e grafie porta a fare delle emissioni foniche e delle
tracce scritte poco più che indizi allusivi alle forme significanti. Ancora più marcatamente l’analogo avviene
sul versante del significato: di continuo allarghiamo i confini dei significati a nuovi sensi» (id. 101)
Parlato→ quando l’emissione della voce cambia (per esempio, quando mi allontano dal microfono il tono
della voce cambia e dalle ultime file potrà non essere compresa)
Scritto→ riesco a capire una frase anche se non la leggo tutta.
Lezione 7 24/04/2018
TUTTO È TESTO
Sempre più diffusa è la consuetudine a considerare testi tutte le forme di produzione culturale aventi a che
fare con le arti (anche un quadro è un testo). Da tale punto di vista, esse (le arti) possono essere considerate
testi, avendo quei caratteri di organizzazione interna e di compiutezza semantico-comunicativa
tradizionalmente attribuiti ai testi in senso stretto.
“Il testo può essere considerato l’elemento primario della cultura”, secondo la cosiddetta Scuola di Mosca e
Tartu, attiva a partire dagli anni sessanta. Se poi, come fanno gli antropologi, consideriamo cultura non solo
“l’insieme dei prodotti dello spirito”, ma tutto quanto non è compreso nel nostro patrimonio genetico, la
nozione di testo può estendersi a ogni oggetto della nostra esperienza che abbia requisiti di riconoscibilità e
stabilità in un dato ambiente storico. Cultura è tutto, anche il modo in cui i delfini si riproducono.
Da un punto di vista semiotico il TESTO→qualsiasi espressione che trasmette un valore culturale
Siamo lontani dalla struttura di quei “codici propriamente detti” (par. 1.3.)
Alcuni semiotici di ispirazione greimasiana (studioso lituano) sosterrebbero che tali oggetti interagiscono
con gli utenti/interpreti in modo da generare significazione, dando al processo semiotico un carattere
“narrativo” (persino il modo di spostarsi della gente in metropolitana potrebbe essere letto come una gamma
di possibili procedure di produzione di testo (Funzionalità? Avventura? Esplorazione? etc.)
L’allargamento della nozione di testo a quella di “unità culturalmente sensata” ha il vantaggio di aiutarci a
concepire il sistema culturale in cui siamo immersi come un qualcosa di straordinariamente ricco e
stratificato, caratterizzato dalla varietà e dall’apertura delle connessioni.
Il problema della continuità/ discontinuità della semiosi fu posto da CHARLES DARWIN nel suo saggio
The descent of Man (1871).
2. SEMIOSI E PERCEZIONE
Tutti i sistemi percettivi devono abilitare gli esseri viventi ad almeno una funzione, basilare ai fini della
sopravvivenza. Questa operazione, che si trova persino negli organismi unicellulari, è quella di stabilire
identità e differenze: applicando il criterio della pertinenza (par. 4.4.) che consente di dividere l’universo in
due classi complementari, i viventi riescono a identificare ciò che è utile alla loro sopravvivenza,
differenziandolo da ciò che è ostile. La selezione di tali tratti non è universale, ma specifica per ogni specie,
sulla base di caratteristiche del sistema percettivo ritagliate sulle prerogative fisiche del corpo.
3. SEMIOSI E CATEGORIZZAZIONE
Vincoli del sistema percettivo e forme di categorizzazione collegate a questo stringono in modo peculiare
ciascuna specie al suo mondo. Ne consegue che il tipo di semiosi che quella specie utilizzerà sarà adattato
alla potenzialità percettive e mentali della specie; costruirò i suoi sogni sulla falsariga delle capacità di
categorizzazione collegate a tali potenzialità; avrà per oggetto il mondo ritagliato delle caratteristiche
percettive e categoria li di cui si è detto (il cosiddetto riferimento o aggancio al mondo). Ciò significa che,
grazie ai suoi segni, ciascun individuo di una specie è in grado di individuare nel suo mondo gli oggetti utili
e di condividerli con gli altri esseri della propria specie.
Acquisite le caratteristiche biosemiotiche universali (ovvero tutte le proprietà che i linguaggi naturali
debbono avere), un approccio di tipo comparatistico dovrebbe spostarsi sul terreno più tecnico
dell’identificazione delle proprietà semiotiche dei codici (cap. 5) nello sforzo di individuare quali di esse si
presentino e quali no, specie per specie.
1) Una possibile strategia (seguita da Mainardi) è quella di indagare la capacità di servirsi di utensili.
Si basa sul presupposto che servirsi di un oggetto reperito nell’ambiente come di uno strumento implica una
capacità di distacco dall’immediatezza e l’attribuzione di una funzione simbolica a quell’oggetto, diversa dal
puro e semplice “uso” di esso (= analogia strumento-segno). Ecco allora che assumono una notevole
importanza casi come quelli studiati da Jane Goodall di scimpanzé capaci sia di usare sassi o pezzi di legno
come strumenti di difesa/offesa
Sia di estrarre termiti dai termitai servendosi di fili d’erba, bastoncini o stecchetti di legno, dopo averli
preparati, ripuliti, affilati e raccolti in buon numero.
2) Un’altra possibile strategia è quella (utilizzata da Cimatti) di verificare se le ben note “funzioni” del
linguaggio di Jakobson siano esclusive dell’uomo o si trovino in altre specie.
La funzione “referenziale” appare comune alle api bottinatrici che hanno la straordinaria attitudine a scoprire
e a comunicare alle compagne fonti di nettare; altrettanto si può dire dei segnali di allarme con cui molte
specie indicano al loro interno la presenza di potenziali predatori.
La funzione “conativa” si ritrova nella tipologia dei close calls, i segnali utilizzati all’interno di un gruppo
per ribadirne l’unità o per differenziare i ruoli gerarchici, come in tutti i rituali di corteggiamento e di
accoppiamento.
Charles Sanders Peirce, logico e filosofo pragmatista americano, anche fisico e matematico, è uno dei
fondatori della semiotica moderna. I suoi scritti sono raccolti in Collected Papers of Charles Sanders
Peirce. La semiotica di Peirce è una semiotica cognitiva, che si basa su una teoria della
conoscenza (studia i segni in modo più ampio). Peirce vi arriva mediante le riflessioni sui fondamenti del
conoscere di John Locke. Quest’ultimo individua nella semiotica, o dottrina dei segni, una terza parte della
scienza. Peirce oppone a una conoscenza diretta, che attinge all’oggettività e ad una completa fedeltà, una
concezione interpretativa e ipotetica della conoscenza, staccandosi così dal razionalismo.
Peirce dice:
a) tutta la conoscenza del nostro mondo è derivata per ragionamento ipotetico dalla nostra
conoscenza di fatti esterni e non dall’introspezione;
b) ogni cognizione è derivata logicamente da cognizioni precedenti e non dall’intuizione;
c) non è possibile pensare senza segni;
d) non si può assumere una concezione dell’assolutamente inconoscibile
Secondo Peirce il progresso scientifico non può essere provocato né dalla deduzione né dall’induzione. La
conoscenza produce nuove idee attraverso l’abduzione, che è inventiva e non empirica. Dunque alla
conoscenza ci si arriva mediante ipotesi. Ogni ipotesi è una conoscenza fallibile del mondo, non certa, ma
sempre riformulabile in una nuova teoria. L’abduzione, l’interpretazione, l’ipotesi e l’icona sono quattro
sinonimi, che secondo Peirce illuminano uno stesso momento del processo della conoscenza e della
costituzione dei significati.
Principi della semiotica di Peirce:
- PRIMO PRINCIPIO: consiste nel primato attribuito alla realtà esterna rispetto al soggetto
umano nel processo della conoscenza e della semiosi, di cui l’oggetto è il primo motore. Il segno è
“qualcosa che da un lato è determinato da un oggetto e dall’altro determina un’idea nella mente di
una persona”. Dunque l’oggetto determina il segno e il segno determina l’interpretante “in modo tale
da mettere l’interpretante in una relazione con l’oggetto”. Si costituisce una relazione tra segno,
oggetto e interpretante.
- SECONDO PRINCIPIO: funzione mediatrice del segno. La semiosi “implica una cooperazione
di tre soggetti”. Nella catena oggetto-segno-interpretante, i tre anelli sono irriducibili l’uno all’altro.
Il segno costituisce il fulcro della semiosi, in quanto “media tra l’interpretante e il suo oggetto”: il
segno illumina sotto certi aspetti l’oggetto, ne coglie delle qualità, ne costituisce un’idea
fondamentale. Un segno, o representamen (significante), è qualcosa che sta per qualcuno
(l’interprete) al posto di qualcos’altro (l’oggetto) sotto qualche rispetto o capacità.
Il representamen sta dunque per l’oggetto. I soggetti della semiosi peirciana sono tre astratte entità
semiotiche, privi di un concreto comportamento comunicativo. Peirce sostiene il carattere
interpretativo della semiosi umana. Ogni processo semiotico consiste in una dinamica per cui ogni
processo di comprensione si traduce nel passaggio da un interpretante a un altro, con una continua
opera di riformulazione /interpretazione che non coinvolge più direttamente l’oggetto. Quest’infinita
processuale si esprime nel principio della semiosi illimitata.
- TERZO PRINCIPIO: primato del momento iconico nella costituzione del segno. L’iconicità è
presente in tutti i livelli della semiosi. L’icona rappresenta la chiave della conoscenza, poiché
permette la conoscenza sintetica e l’integrazione dei dati meccanici in insiemi coerenti. Il processo
semiotico è un processo iconico. Peirce distingue tra indici, icone e simboli.
o le icone: sono mediate da una similarità tra segno e oggetto [similarità];
o gli indici: sono mediati da una connessione fisica o temporale tra segno e oggetto
[contiguità];
o i simboli: sono mediati da una connessione formale o convenzionale, prescindendo dalle
caratteristiche fisiche del segno e dell’oggetto [legge, casualità o convenzione]
Nessun oggetto in particolare è di per sé icona, indice o simbolo. Per essere tale, deve essere interpretato.
8.1.2 Ferdinand de Saussure
Ferdinand de Saussure ha svolto un ruolo importante nella fondazione della linguistica generale moderna e
della semiologia. A lui si rifanno le grandi scuole europee del Novecento: la Scuola francese, la Scuola
svizzera, la glossematica della Scuola di Copenaghen, la Scuola di Praga.
La sua opera fondamentale è il Corso di linguistica generale pubblicato postumo dagli allievi Bally e
Sechehaye, i quali elaborarono appunti delle lezioni ginevrine e note manoscritte dal maestro, con forzature e
fraintendimenti che hanno dato vita alla cosiddetta vulgata saussuriana. Saussure ha introdotto il concetto di
“segno” e la nozione di “lingua” come sistema di segni, la nozione di “arbitrarietà” del linguaggio, la
semiologia, la distinzione langue-parole, quella tra sincronia e diacronia, tra piano sintagmatico e
associativo.
- Segno: per Saussure il “segno” non sarebbe “qualcosa che sta per qualcos’altro”, ma per lui il
“segno” è un’identità psichica a due facce risultante dalla combinazione di un concetto (significato)
e un’immagine acustica (significante). Il segno infatti non indica più l’immagine
acustica o significante, ma è un’unità inscindibile di significato e di significante. Ciò che identifica
il segno è la sua significatività, derivante dalla collocazione del segno in un sistema di valori puri,
ovvero dal rapporto differenziale e oppositivo con l’insieme degli altri segni presenti nel sistema.
Attraverso la reinterpretazione del concetto di segno linguistico, il significato ha raggiunto la sua
piena integrazione nell’oggetto della linguistica attraverso la nozione di “segno bifacciale” e non è
più isolabile dalla struttura generale della lingua.
La lingua, langue, segmenta in articuli simultaneamente il pensiero, ossia la sostanza del contenuto, e i
suoni, ovvero la sostanza dell’espressione. La lingua dunque segmenta inarticuli le due sostanze dei suoni e
delle idee e dà loro forma senza che sussistano ragioni naturali o logiche. La lingua è paragonabili al recto e
al verso di un foglio di carta: il pensiero è il recto, e il suono è il verso. La langue realizza
un decoupage arbitrario di idee e suoni e produce una forma, ovvero l’insieme delle differenze tra i suoni e
differenze tra le idee.
- Semiologia: la semiologia è una scienza che studia la vita dei segni all’interno della vita sociale e
attribuisce al linguaggio verbale, ovvero alla comunicazione, un’importanza centrale. Secondo
Saussure i segni, arbitrari, realizzano meglio di ogni altro l’ideale del procedimento semiologico. La
semiologia è nata perché Saussure non voleva più analizzare solo la lingua, ma ogni genere di
linguaggio. Perciò la linguistica, essendo lo studio della lingua, è una parte della semiologia. La
semiologia privilegia i segni convenzionali e volontari, mentre la semiotica comprende anche i
segni involontari e naturali.
Charles Morris è un filosofo pragmatista americano. In Foundations of the Theory of Signs, si ritrovano
molte idee che hanno influenzato la semiotica dei decenni successivi. Questo volume rappresenta il primo
tomo di un grande progetto di unificazione delle scienze, la International Encyclopedia of Unified
Science. Per Morris la semiotica èorganon o strumento di unificazione, in quanto sta con le altre scienze in
un rapporto duplice: è una di esse ed è uno strumento comune. La semiotica deve fornire una lingue generale
applicabile ad ogni lingua o segno particolare, e pertanto anche a quelli specifici delle varie scienze.
Per Morris, la semiosi è “il processo in cui qualcosa funziona come segno”; è un complesso processo
funzionale, un processo di interpretazione. Una cosa è un segno solo quando e in quanto è interpretata da un
interprete come segno di qualcos’altro. Se le cose stanno così, allora non ha senso chiedersi cosa è segno e
che cosa no, poiché tutto può potenzialmente diventarlo, a patto che ci sia un atto interpretativo a fondare la
semiosi. In questa prospettiva l’universo dei segni comprende l’intero mondo animale, umano e non umano.
Per questo motivo la semitica di Morris valorizza molto il ruolo dell’interprete. Morris ritiene necessario
escludere le esperienze private e introspettive nel processo di semiosi, in quanto non osservabili e sottratte
per loro natura al controllo intersoggettivo della ricerca stessa.
Secondo Morris, il processo di semiosi si suddivide in tre dimensioni di analisi del linguaggio:
a) sintattica: studio delle relazioni tra i segni linguistici, più precisamente studio delle possibili
combinazioni tra significanti
b) semantica: studio delle relazioni tra segni e oggetti
c) pragmatica: studio del rapporto dei segni con i loro interpreti o utenti
Semiotica pura: elabora una meta-lingua per discutere dei segni
Semiotica descrittiva: applica questa meta-lingua a esempi concreti di segni. La semiotica descrittiva studia
i segni effettivi: quasi tutta la zoosemiotica è in questo senso descrittiva.
Semiotica applicativa: utilizza le conoscenze sui segni per il raggiungimento di diversi scop
Saussure Morris
- per lui la semiotica è una parte della - per lui la semiotica è una parte dello studio
psicologia sociale dei comportamenti naturali
- la semiotica di Saussure si occupa solo di - la semiotica è una disciplina scientifica che
fatti “semiotici” umani deve assumere il metodo di ricerca delle scienze
naturali: essa ha il compito di descrivere i segni
sulla base di fatti osservabili
- la semiotica di Morris va oltre il campo della
semiosi umana fino a comprendere il
comportamento semiotico di qualsiasi essere
vivente; essa comprende dunque anche lo studio
della comunicazione animale
Louis Hjelmslev è un linguista danese, esponente di spicco della scuola di Copenaghen e un fondatore della
glossematica, teoria linguistica che sviluppa molte idee saussuriane in una prospettiva semiotica. Nel 1931
Hjelmslev costituì il Circolo linguistico di Copenaghen, che diventò un importante centro per il dibattito
linguistico. I suoi interessi spaziano in vari campi: dalla linguistica storica a quella tipologica, dalla fonetica
alla logica.
Glossematica: l’obbiettivo è quello di produrre una sorta di algebra che possa essere applicata in generale
agli studi umanistici. L’obbiettivo della ricerca sarebbero i glossemi,ovvero gli elementi formali ultimi, le
invarianti a cui arriva l’analisi linguistica.
A partire dalla tesi secondo la quale la langue è una forma e non una sostanza, e il segno consiste nel
rapporto tra significato e significante, Hjelmslev fa una quadri partizione, derivante da due dicotomie: quella
di forma e sostanza, e quella di espressione e contenuto. Per Hjelmslev il linguaggio ha un piano
dell'espressione e un piano del contenuto: essi presentano la stessa organizzazione e sono stratificati in
modo che una forma, articolando una materia, produca delle sostanze. E' una distinzione ripresa da Saussure.
Cambia la terminologia: il “significante” di Saussure diviene l'espressione; il “significato” diviene il
contenuto. Quello che Saussure definiva segno diventa funzione segnica.
Hjelmslev insiste sul valore astratto del temine struttura, inteso come sistema formale soggiacente alle
concrete manifestazioni, eliminando dal modello saussuriano tutte le indicazioni di carattere psicologico e
sociale. A tale proposito, i rapporti associativi vengono definiti paradigmatici al fine di epurare la natura
psicologica di queste relazioni e di metterne in luce, invece, quella grammaticale.
Il concetto di “stratificazione” del linguaggio, affianca alla distinzione saussuriana tra forma e sostanza il
piano della “materia”, cosicché i due piani dell’espressione e del contenuto sono articolabili in tre piani:
forma, sostanza e materia.
- La materia: è l’insieme prelingustico amorfo del pensiero sul piano del contenuto e l’insieme
indistinto dei suoni sul piano dell’espressione. Essa è assimilata alla sostanza saussuriana. La materia
è in se stessa non formata, inaccessibile alla conoscenza e inutilizzabile come base per la descrizione
linguistica. La materia può essere analizzata in maniera diversa a seconda di come è formata e
articolata nelle diverse lingue.
- La forma: è il piano del sistema di segni che costituisce la lingua (la fonologia, la morfologia, il
lessico).
- La sostanza: è la materia linguistica già in relazione ad una forma ed è l’insieme dei concreti
atti comunicativi (l’insieme delle fonie e dei rispettivi sensi).
Forma del contenuto: il modo in cui la materia del mondo è organizzata. Per una lingua: lo schema lessicale.
Hjelmslev afferma la possibilità di spiegare e descrivere un numero illimitato di segni valendosi di un
numero limitato di figure, ovvero di unità che non sono segni.
Hjelmslev allude alla possibilità di scomporre il significato, in componente più piccoli (elementi). Il compito
della semantica diventa quello di identificare un numero limitato di atomi del significato, una sorta di
primitivi semantici, che combinandosi tra di loro costituiscono un numero altissimo di significati di segni,
allo stesso modo che le lettere dell’alfabeto costituiscono un numero molto alto di parole.
Nella lingua è sempre a partire dalla forma (dell’espressione e del contenuto) che si determinano le sostanze:
la medesima forma dell’espressione può far ricorso a diverse sostanze (orale e scritta), che non trasformano
l’impianto di base della lingua, ossia le forme dell’espressione e del contenuto. La forma linguistica viene
perciò considerata senza riferimento alla sostanza. Il primato della forma (costante) sulla sostanza (variabile),
fa si che si possa applicare l’apparato teorico della linguistica a qualsiasi struttura la cui forma sia analoga a
quella di una lingua naturale.
La semiotica di Hjelmslev è una semiotica logica. Così nella prospettiva hjelmsleviana una lingua che ha un
piano dell'espressione e un piano del contenuto può essere unasemiotica denotativa cioè una semiotica
nessuno dei cui piani è una semiotica. È infatti possibile che uno dei due piani sia a sua volta una semiotica
(una lingua). Nel caso che il piano del contenuto sia una semiotica denotativa abbiamo
una metalingua o metasemiotica o semiologia. Abbiamo cosi una lingua che verte su una lingua, una lingua
in cui il piano dei contenuti è un'altra lingua. La linguistica può essere perciò considerata una metasemiotica.
Ma anche il piano dell'espressione può essere una semiotica: se una lingua nel suo complesso (coi suoi due
piani dell'espressione e del contenuto) costituisce il piano dell'espressione di un'altro contenuto, ciò che
risulta è una semiotica connotativa.
Barthes: Roland Barthes è un critico letterario, saggista francese; professore di Sociologia dei segni e di
semiologia letteraria. È stato una figura chiave del dibattito semiotico contemporaneo. Insiste sulla centralità
del linguaggio e affida alla dottrina dei segni una funzione demistificatrice nei confronti della società dei
consumi. Barthes in Elementi di semiologia (1964) propone un rovesciamento dei rapporti fra semiotica e
linguistica, considerando la seconda come la disciplina necessaria allo studio dei sistemi semiotici.
De Mauro: professore di linguistica generale all’Università di Roma “La Sapienza”. Ha allargato i suoi
interessi alla storia delle idee sul linguaggio e i segni (Introduzione alla semiotica, 1965) e ai problemi della
caratterizzazione semiologica del linguaggio verbale, oltre che a temi di semantica storica. Per De Mauro il
nocciolo della differenziazione dei linguaggi fra di loro, sta nella modalità di organizzazione del contenuto, e
questo lo porta ad assegnare al lessico un ruolo centrale nel funzionamento delle lingue. L’idea della radicale
storicità dell’esperienza linguistica, lo porta a scrivere opere come: Guida all’uso delle parole, Prima lezione
sul linguaggio.
Eco: Umberto Eco, saggista e scrittore, professore di Semiotica all’Università di Bologna. Eco ha dato
contributi essenziali alla definizione dell'oggetto della semiotica (La struttura assente, 1968; Trattato di
semiotica generale, 1975), presentandola come una teoria che studia l'intera cultura come realtà comunicativa
(imperialismo semiotico'). InSemiotica e filosofia del linguaggio (1984) ha analizzato le implicazioni
filosofiche dell'approccio semiotico, proponendone una tripartizione (semiotica teorica, coincidente con la
filosofia del linguaggio: semiotica storico-archeologica, volta allo studio della genesi delle proprie categorie
d'analisi; semiotica applicata, intesa all'indagine, con strumenti specifici, di ogni possibile campo della
cultura e dell'esperienza umana).
Greimas: Algiridas Julien Greimas, lituano, lessicologo e semiotico, a capo della “Scuola di Parigi”.
In Semantica strutturale (1966) al centro della riflessione è la nozione di “testo” e l'elaborazione della
struttura elementare della significazione. Lo sviluppo della ricerca sulle fiabe russe conduce Greimas al
cuore della problematica narratologica, dapprima col cosiddetto modello attanziale, di natura funzionalista,
in seguito con l'ambizione di delineare una grammatica “modale” impegnata sulle componenti cognitive del
discorso. In opere come Del senso I e Del senso 2 e nel Dizionario di semiotica, Greimas elabora una
complessiva teoria semiotica a base narrativa, focalizzata sulle forme con cui si genera significazione, a ogni
livello delle pratiche sociali. Di qui una semiotica del testo che è stata ed è utilizzata in settori diversi della
produzione culturale (architettura, pubblicità, critica letteraria ecc.), ben oltre l'ambito linguistico. Nell'ultima
fase del suo lavoro Greimas ha spostato l'attenzione dalla problematica dell'azione alle "passioni' che
muovono soggetti nel processo della semiosi, formulando la teoria omonima.
Jackobson: Roman Jakobson (1896-1982), russo, filologo e linguista, esponente di spicco dello
strutturalismo linguistico novecentesco. Ha dato importanti contributi in diversi campi di ricerca come la
teoria della comunicazione, le patologie del linguaggio, la stilistica, la metrica, la semiotica, la filologia slava
e la fonologia diacronica. Legato dapprima al formalismo russo, è tra i fondatori della Scuola di Praga; nel
1941 emigra negli Stati Uniti, dove insegna alla Colombia University e, dal 1949, Harvard, contribuendo in
modo decisivo alla saldatura fra la tradizione strutturale europea e quella nordamericana.
Jackobson farà delle ricerche di fonologia diacronica (intese al superamento a dicotomia saussuriana di
sincronia e diacronia) e l'elaborazione del binarismo come base del funzionamento del fonema. Un secondo
elemento innovativo è l'approfondimento degli aspetti non lineari e non arbitrari del linguaggio verbale.
Jakobson ha dato spunti decisivi a molti settori della teoria linguistica, con un'apertura interdisciplinare.
Lotman: Juri Mikhajlovic Lotman (1922-1993), russo, critico letterario e semiologo, dal 1963 professore di
Letteratura russa all'Università di Tartu. Lotman è uno de punti di riferimento della ricerca semiotica negli
ultimi quarant'anni. Lotman sviluppa sul piano teorico i suoi interessi letterari, articolandoli attorno alle
nozioni di linguaggio, modello e testo. Al linguaggio naturale, sistema primario, sovrastano i diversi
linguaggi delle arti, intesi come sistemi 'secondari' di modellizzazione. Successivamente Lotman intreccia la
ricerca sul 'testo (unità base della ricerca semiotica, in luogo della tradizionale nozione di 'segno') con la
ricerca culturologica, conferendo alla semiotica uno statuto interdisciplinare. Nell’ultima fase del suo
pensiero, si rifà alla teoria della biosfera di I. V. Vernadskij concependo l'universo semiotico come
'semiosfera', un organismo unitario e complesso che filtra al confine il “non-semiotico” mediante un
sistema di tratti oppositivi.
Prieto: Louis Prieto (1926-1996), argentino, ha insegnato per molti anni a Ginevra, sulla cattedra che fu di
Saussure. In Principes de noologie si ha la ricerca della peculiarità del linguaggio verbale, che si muove dalle
modalità di organizzazione del significato. Nel Messages et signaux, Prieto cerca di fondare delle nozioni di
significazione e comunicazione, impegnandosi nella definizione dell’oggetto della semiotica. Tale tema verrà
sviluppato in Pertinence et pratique, dove il concetto di pertinenza traccia una teoria della conoscenza che
inquadra la semiosi umana, nelle sue diverse dimensioni. La pertinentizzazione divide l’universo in due
classi: quella degli oggetti che presentano la caratteristica in questione e quella degli oggetti che non la
presentano. La pertinenza, ossia l’identità a cui si sottopone un oggetto, dipende non dall’oggetto stesso ma
dal sistema di classificazione su cui questa conoscenza si fonda. La ricerca si accentua nell’ultima fase degli
studi di Prieto.
L’individuo esercita nell’arte una duplice funzione: quella di creatore e quella di soggetto percettore
(fruitore). Queste due funzioni, a prima vista, sarebbero opposte poiché la prima presuppone un
atteggiamento attivo, mentre la seconda presuppone un atteggiamento passivo; ma in realtà la loro
opposizione non è né assoluta né netta in quanto l’arte, come il linguaggio, attiva un dialogo ininterrotto tra
due parti indipendenti.
Essendo l’opera d’arte un oggetto comunicativo costituito da segni visivi organizzati in un sistema, che
“stanno per qualcos’altro” e che funzionano in un conteso figurativo e in un ambiente culturale, lo studio del
linguaggio dell’arte si lega ai principi dello strutturalismo e della semiotica. La lettura di un quadro comporta
un’elaborazione mentale poiché l’arte figurativa è un’immagine composta da prodotti della percezione visiva
e da strutture che ricostituiscono modelli, ossia forme di rappresentazione della realtà, presenti nel pensiero.
Essendo immagine artistica espressione di un preciso significato determinato dal modello culturale, sono
fondamentali gli studi di iconologia.
Nella visione semiotica l’opera d’arte può venire assimilata a un “testo” alla cui comprensione si accede
mediante l’individuazione e l’analisi di ogni elemento visivo in qualità di segno, collegato da un lato
all’oggetto che esso rappresenta, dall’altro a una serie di rapporti paradigmatici, ossia dipendenti dai codici
artistici e culturali, e sintagmatici, al’interno dell’opera, tra gli elementi che la costituiscono. L’insieme di
questi rapporti forma un sistema “aperto”.
La “semiotica visiva” o semiotica della figuratività considera l’opera artistica come un messaggio composto
di segnali iconici, generatori di senso e dunque appartenenti a un preciso sistema culturale. Il modello
d’analisi dell’arte ideale è formulato su un percorso in cui vengono individuate alcune caratteristiche
strutturali, compositive, filologiche, storiche e simboliche dell’opera, in cui si mettono in luce le
concordanze e le discordanze tra sistema culturale e opera d’arte. Questo tipo modello d’analisi dell’opera
d’arte utilizza contemporaneamente il procedimento di analisi delle singole parti dell’insieme con quello di
sintesi della globalità degli elementi messi in gioco. È inoltre necessario interpretare l’opera d’arte in base a
fattori che coinvolgono l’osservatore nell’atto intuitivo e percettivo, attraverso i quali si individua il senso
estetico dell’opera stessa.
Modelli semiotici:
HJELMSLEV
Il modello semiotico di Hjelmslev distingue nel segno una “sostanza” ed una “forma” del contenuto e
“sostanza” e “forma” dell’espressione:
- con la sostanza dell’espressione si mettono in rilievo le qualità delle paste cromatiche, i codici e gli
accostamenti di colore, la grafica dell’icona nel suo insieme
- con la forma dell’espressione si individuano l’ordinamento, l’organizzazione, la struttura e i
bilanciamenti degli elementi dell’icona
- con la forma del contenuto si mettono in luce i significati di valore e d’uso trasmessi dai singoli
elementi dell’insieme
- con la sostanza del contenuto si analizzano le motivazioni ideologiche, i riferimenti culturali, gli
scopi e la destinazione dell’opera in quanto oggetto comunicativo ed evento culturale
BRANDI
Gli studi di Cesare Brandi avvicinano la linguistica all’estetica. Considerando la realtà come “flagranza” e la
sua rappresentazione come “astanza”, Brandi nella Teoria generale della critica osserva, in accordi con le
considerazioni di Umberto Eco, che la fruizione avviene in praesentia attraverso la percezione, cui segue
l’atto d intellezione, che converte le presenze in segno, mettendo in moto il processo di semiosi (la semiosi è
il processo in cui qualcosa assume la funzione di segno, è praticata dal destinatario del processo di
comunicazione, dal fruitore sell’opera d’arte in questo caso).
PANOFOSKY
Nei suoi studi di iconologia, Panofsky suddivide l’interpretazione dell’opera d’arte su 3 livelli:
- descrizione preiconografica, cioè la descrizione dei valori formali e dei motivi. Bagaglio necessario
per il primo livello è l’esperienza pratica, la familiarità con oggetti ed eventi, ma non sempre questa
vale per dare una corretta descrizione preiconografica, perciò si ricorre alla “storia dello stile”,
ovvero il modo in cui, in condizioni storiche diverse, oggetti ed eventi sono stati espressi mediante
forme (prospettica diacronica)
- analisi iconografica in senso ristretto, ovvero analisi dei temi e delle immagini, delle storie e delle
allegorie presenti nell’opera. Per farlo è necessaria una conoscenza delle fonti letterarie, ma quando
appaiono delle discordanze si ricorre alla “storia dei tipi”, ossia il modo in cui in condizioni storiche
diverse temi specifici sono stati espressi mediante oggetti ed eventi
- interpretazione iconologica, ossia l’analisi dei significati riguardanti il significato intrinseco o
contenuto dell’opera, che dovrà essere in accordo con le tendenze religiose, filosofiche e sociali
dell’artista, dell’epoca e del luogo (intuizione sintetica)
I primi due livelli sono strettamente connessi perché una corretta analisi iconografica presuppone una
corretta identificazione dei motivi.
DETTAGLIO
Abbiamo detto che l’opera d’arte come testo, come documento etno-storico e antropologico, può essere letta
e approfondita attraverso l’analisi del dettaglio:
a) appartiene al contesto generale dell’opera, quindi va considerato in modo strutturale, in un’ottica di
ricerca minuziosa della composizione globale del testo visivo;
b) riflette il senso culturale che l’artista cambia in relazione alle sue intenzioni espressive individuali;
quindi il dettaglio è la scelta figurativa che l’artista pone in atto nell’opera:
• riflette uno stile, cioè una declinazione personale di una corrente artistica e ha valore
compositivo pur mantenendo la sua autonomia semantica nella struttura generale del dipinto, in
quanto ad esempio si lega ad un particolare momento storico-artistico; il dettaglio rappresenta, in
quanto segno, l’impronta di una trasformazione culturale e, con gli altri dettagli presenti nel
quadro, mette in atto il suo CARATTERE ADDITIVO, ossia la capacità di funzionare come un
sistema in cui l’insieme eccede la sommatoria dei singoli elementi.
• si può considerare il dettaglio sotto l’aspetto storico, se compare e persiste in un certo numero di
opere di un’epoca, diventando allora “motivo”. (Mukarovsky)
Si adotta un metodo d’indagine prospettico, poiché i testi artistici appartengono a tipologie figurative che li
accostano ai testi letterari. Il soggetto della realtà (paesaggio, giardino, ritratto, la natura morta) filtra nel
linguaggio figurativo in qualità di motivo e suggerisce punti di vista interpretativi di formidabile interesse,
sia all’interno dell’opera sia all’esterno.
L’opera d’arte può essere analizzata seguendo 3 direzioni: la prima la vede partecipe dell’intero dominio
della semiosfera artistica; la seconda la considera come opera in sé, nella quale è possibile riconoscere, fra le
unità semantiche che la costituiscono, i tratti distintivi del movimento; la terza come opera significativa
della semiosfera individuale di quell’artista appartenente al gruppo. Il termine semiosfera è qui da intendersi
come universo semiotico al di fuori del quale non è possibile l’esistenza della semiosi (Lotman).
La comprensione del quadro può effettuarsi rapportandolo alla vita dell’artista, al suo diario, alle sue lettere,
alla sua autobiografia ecc.. metodo che promuove in sostanza la possibilità di applicare la psicoanalisi
all’arte, come un esame dell’inconscio dell’opera. In particolare Gombrich, occupandosi del significato
espressivo dell’opera d’arte, collega l’arte alla psicoanalisi filtrandola attraverso l’iconologia e la psicologia
della percezione.
Accanto a questo schema di analisi psicoanalitico, lo studio semiotico del testo figurativo si integra con le
ricerche provenienti dalla psicologia della forma, che propone l’analisi di come vengono elaborati a livello
cognitivo i dati che provengono dalla percezione.
Secondo la corrente di pensiero della psicologia della forma, l’opera d’arte è l’espressione di un evento
visivo il cui obiettivo è quello di portare il fruitore a uno stato di immedesimazione, di empatia, di
coinvolgimento psicologico.
A ciascuna opera d’arte, infatti, che sia classica o moderna, sottendono fitti rapporti fra pensiero e
linguaggio; ogni parola possiede in effetti un’immagine, più o meno latente o evidente, e ogni elemento è
riconducibile ad una struttura composta di forme geometriche semplici. Quindi le strutture complesse
possono essere ridotte ad un insieme di linee che costituiscono forme semplici usate efficacemente per
esplicitare i concetti, tutto questo per soddisfare un’esigenza di economia mentale. A tale proposito si
possono individuare i codici visivi che riguardano il colore in rapporto alla struttura disegnativa. Johannes
Itten, uno dei maestri del Bauhaus, dedica a queste considerazioni un capitolo fondamentale della sua Arte
del colore 1961, intendendo il contrasto cromatico come polarità e tensione dinamica, in quanto “i nostri
sensi valutano sempre e solo mediante i confronti”. In base a queste considerazioni si deduce che, ad
esempio, ogni accostamento cromatico assume un’individualità comunicativa, da un lato in relazione alle
caratteristiche percettive soggettive, dall’altro a quelle oggettive del contesto in cui i colori interagiscono.
Inoltre le linee possiedono, dal punto di vista percettivo, qualità termiche: come ha dimostrato Kandinskij, la
linea orizzontale denota tendenzialmente una base fredda, quella verticale possiede all’opposto potenzialità
dinamiche di caldo; la diagonale esprime qualità intermedie di freddo-caldo. Il carattere allusivo-simbolico
delle linee si arricchisce di altre variabili se si considera contemporaneamente il colore: ad esempio, linee
spezzate, tendenzialmente associabili a sensazioni fredde, se si presentano dipinte con colori caldi perdono
quella loro qualità evocativa del freddo. All’opposto, le linee curve, tendenzialmente associabili a sensazioni
calde, se si trovano dipinte con colori freddi trasmettono tendenzialmente qualità ondulatorie associabili
all’acqua. Itten ritiene che anche le figure geometriche fondamentali siano associabili a tre colori
fondamentali: il triangolo al giallo, il quadrato al rosso e il cerchio al blu. I codici cromatici risultanti dalla
combinazione di due, tre, quattro colori hanno potenzialità comunicative e guidano nella lettura del quadro
verso evocazioni sinestetiche. In base alle considerazioni espresse da Itten sui contrasti cromatici un codice
cromatico può presentare un contrasto di chiaro-scuro, oppure un contrasto di qualità o un contrasto di
colori puri o un contrasto fra colori caldi e freddi, o fra complementari o di quantità, o essere generato da un
condizionamento percettivo ottenuto per simultaneità dei colori e quindi per la miscela ottica che la miscela
ottica che la loro vicinanza produce. Dunque linee, forme, superfici e colori in tutte le loro infinite varianti di
gradazioni, valori e accostamenti possono entrare in gioco nell’opera a costruire unità discrete e leggibili e ad
assumere potenzialità espressive in grado di evocare riferimenti idonei al riconoscimento, all’identificazione
del linguaggio dell’artista.
Interazioni semiotiche vs interazioni non semiotiche: la distinzione è di tipo logico, non fisico.
Interazioni semiotiche → presenza di segni, mediazione cognitiva, possibilità di errori, inganni e
innovazioni (oltre la semiotica);
Interazioni non semiotiche → assenza di segni, assenza di mente (al di qua della semiotica). Si capiscono,
o fraintendono, le entità che rientrano nella terzità, si pesano o misurano quelle che rientrano sotto la primità
e secondità.
10.3
Secondo Deacon, la mente umana è fatta per il linguaggio verbale, e viceversa. Le lingue umane si
sarebbero evolute, nel tempo, in vista di un loro sempre più facile apprendimento da parte degli altri esseri
viventi. Quel che sono i fiori per le api, cioè, sarebbe il linguaggio verbale per gli animali umani.
Se analizziamo la meccanica dell’ipotesi, affinché l’ipotesi letteralmente esista, sono necessarie due
condizioni:
a) un repertorio di unità da poter comporre (le parole delle lingue umane);
b) la possibilità di assemblare liberamente questi dati, in modo da formare nuove combinazioni.
L’ipotesi presuppone il linguaggioe amplia il linguaggio stesso. Quando un’ipotesi entra stabilmente al
suo interno, diventa essa stessa un dato che può essere ulteriormente combinato con altri dati > l’operazione
che genera l’ipotesi è ricorsiva: le ipotesi verificate sono a loro volta presupposto di altre ipotesi. Questa
caratteristica manca nei linguaggi animali perché il loro linguaggio è diretto verso cose e non verso altri
segni.
L’ipotesi è il primo e fondamentale oggetto biologico dell’ambiente umano. Ha la funzione di allargare
i confini del linguaggio, di conquistare sempre nuove regioni per l’ambiente linguaggio.
Prendendo dunque insieme queste due caratteristiche del linguaggio verbale, il fatto che non se ne può
definire la natura e che, tuttavia, si sa come linguaggio, si arriva alla sua terza caratteristica fondamentale:
3) l’animale umano è l’<animale semiotico>dunque vale anche per lui il vincolo essenziale del
linguaggio. Ciò significa che il linguaggionon può essere identificato come uno strumento, perché di
uno strumento si può anche farne a meno: un umano del tutto al di qua del mondo del linguaggio
non è un umano. Dunque: il linguaggio verbale è il modo specificamente umano di vivere.
L’uomo è caratterizzato dalla peculiarità del linguaggio. La conoscenza razionale nell’uomo non è un dono
aggiuntivo rispetto alla sua natura, ma è la sua natura stessa: l’uomo è caratterizzato biologicamente dalla
competenza logico-linguistica. (Prodi)
2) Il sintagma parallelo: una sequenza di più piani e alterna due motivi tematici che non sono legati da
relazioni spazio-temporali; non ha una funzione denotativa, ma presenta un forte valore simbolico.
3) Il sintagma a graffa: è, come il precedente, una sequenza composta da più piani senza legami
spazio-temporali; ma si distingue perché non si basa sull’alternanza di due motivi tematici, ma sulla
frammentarietà dei vari piani, raggruppati in una singola scena secondo un unico tema.
5) Il sintagma alternato: è la sequenza classica del cinema moderno; i vari piani si raggruppano
secondo un legame cronologico, consecutivo e non lineare. Consequenzialità diegetica tra le azioni.
7) La sequenza a episodi costituisce un insieme di scene, talvolta separate da effetti ottici, che
mostrano una serie di avvenimenti legati da un nesso consecutivo e cronologico; in cui vi sono salti
sia sul piano del significante (scena) sia su quello del significato (diegesi) ed è grazie al nesso
cronologico che la sequenza a episodi si distingue dal sintagma a graffa.
Béla Balazàs diceva che, ogni volta che due immagini si succedono, interviene <<una corrente di
induzione>>, un procedimento intellettuale che cerca automaticamente e necessariamente di rinvenire un filo
logico-narrativo e di motivare quel collegamento, indipendentemente da ciò che le immagini stesse
mostrano. Il passaggio da un’inquadratura all’altra, funziona perché <<si suppone a priori un’intenzione
comunicativa; è come se lo spettatore intuisse che lo stacco è un procedimento semiotico funzionale alla
comprensione. Metz presuppone, dunque, che il cinema sia un dispositivo essenzialmente narrativo.
Il linguaggio cinematografico si pone a metà tra la retorica e la grammatica: è una retorica, poiché il
modello indica una serie concatenazioni fisse di elementi non fissi, composte da un insieme di unità
significative specifiche del mezzo; ma è anche una grammatica perché con il tempo tali concatenazioni sono
diventate a loro volta schemi di intelligibilità della denotazione.
Così come nella poesia ciò che viene detto dipende intrinsecamente da come viene detto, non potendo essere
espresso in diverso modo, nell’audiovisivo il “cosa” e il “come” fanno un tutt’uno. Ogni regista si ritrova
con una serie di procedimenti altamente codificati (tipi d’inquadratura e d’illuminazione, schemi di
montaggio…). Questi non rappresentano una serie di regole vincolanti, ma un insieme d’istruzioni o
abitudini significanti che il regista deve adoperare per comunicare, ma può anche modificare.
Questa contrapposizione, tra regole codificate e libertà di poterle sempre modificare, è forse la
caratteristica più attraente per chi utilizza il linguaggio audiovisivo.
11.4 IL CINEMA TRA NARRAZIONE E PRODUZIONE DI SENSO
- La “fabula”> organizzazione generale e astratta degli eventi e dei personaggi di un racconto
- L’”intreccio”> la modalità concreta, linguistica ed estetica, attraverso cui quei materiali si
dispongono narrativamente.
Lévi-Strauss e Propp furono due studiosi i quali vennero ripresi da diversi autori ed ebbero un’influenza
decisiva anche sugli studi prettamente cinematografici. Gli approcci di L. e P. si distinguevano per il tipo di
metodologia e per gli obiettivi che guidavano all’analisi narrativa. Il primo era volto all’individuazione e
alla scomposizione delle relazioni tra gli eventi e i personaggi; il secondo approccio evidenziava
l’importanza della trama e del tempo per l’analisi della forma narrativa soffermandosi sulle funzioni e sui
ruoli dei personaggi (cioè sulle tipologie delle azioni).
La sintagmatica di Metz s’inseriva in questo tipo di studi, poiché cercava di individuare le diverse
tipologie che strutturano lo spazio e il tempo narrativi nel film, collocandosi tra il livello della fabula e la sua
concreta attualizzazione tramite il procedimento del montaggio.
Subentrò a quest’ottica l’apporto del “decostruzionismo” di Jacques Derrida: il linguaggio non è tanto un
sistema funzionale, volto alla rappresentazione del mondo, ma è una pratica in continuo divenire, in cui gli
slittamenti semantici e le differenze costituiscono l’essenza del testo.
Si passò dunque dall’idea di opera all’idea di testo, cioè da una concezione unitaria del messaggio narrativo,
in cui c’è un autore che dispiega un sistema di vari elementi significanti che il fruitore ripercorre per capirne
il senso, ad una concezione in cui si assiste allamorte dell’autore e alla nascita del lettore.
Il lettore diviene, nella concreta pratica interpretativa, produttore della costruzione del senso>la
scrittura non è la comunicazione di un messaggio che parte dall’autore e va al lettore; è specificatamente la
voce stessa della lettura: nel testo parla solo il lettore. Barthes
Per comunicare con un calcolatore in un linguaggio diverso dal suo linguaggio macchina è sempre necessaria
una traduzione. Nel caso dei linguaggi di alto livello questa traduzione viene effettuata in due modi diversi:
1. vi è un programma traduttore, il quale prende in input il programma da tradurre (codice sorgente) e
ne produce in output una traduzione completa in linguaggio macchina (codice oggetto). Si dice che il
programma tradotto viene compilato e il programma traduttore viene detto compilatore;
2. il programma traduttore prende in input il programma che deve essere tradotto e, con un’unica
operazione, lo traduce applicandolo ai dati e producendo immediatamente il risultato. Il programma
traduttore viene detto interprete(simultaneo) e il programma tradotto interpretato.
Sia i linguaggi di alto livello che di basso livello (macchina e assembler) sono formalismi universali, nel
senso che consentono di rappresentare (in base alla tesi di Church) qualsiasi algoritmo.
I linguaggi di programmazione possono essere ricondotti a tre grandi famiglie: (1) linguaggi imperativi, (2)
linguaggi di tipo dichiarativo – funzionale e (3) linguaggi di tipo dichiarativo – logico.
(1) è senz’altro la più feconda in termini numerici. È costituito dalla definizione di un insieme di
strutture dati e da un elenco di istruzioni per manipolarle. L’esecuzione di un programma consiste
nell’eseguire sequenzialmente le istruzioni in base all’ordine che è stato specificato dal
programmatore. È compito del programmatore specificare quali operazioni vanno eseguite e in quale
ordine.
(2) Il LISP è il più rappresentativo di questa famiglia; si basa sulla nozione matematica di funzione
calcolabile. Un programma corrisponde alla definizione di una funzione. Il programmatore deve
occuparsi esclusivamente di definire correttamente la funzione, senza preoccuparsi dei dettagli
relativi al controllo dell’esecuzione.
(3) nei linguaggi dichiarativi logici un programma non esprime una serie di istruzioni da eseguire una
dopo l’altra per risolvere un problema. Un programma consiste nella rappresentazione di un insieme
di conoscenze relative a un determinato dominio di oggetti. Tali conoscenze vengono espresse sotto
forma di fatti e di regole che consentono di dedurre fatti nuovi a partire dai fatti rappresentati
esplicitamente. Il più diffuso è il PROLOG.
Abbiamo dunque a che fare con due specie di testo: a) sono connesse, ma sono anche b) differenti dal punto
di vista semiotico.
1. Tra TD e TS intercorre un’implicazione reciproca. Sul versante dello spettacolo (TS), questo include
il TD come una delle sue componenti (il copione). Sul versante del TD, la questione dell’ (eventuale)
implicazione al suo interno del TS è più complessa e richiede chiarimenti.
Ciascun TD è costruito presupponendo un’ipotesi di rappresentazione e dunque presupponendo le
convenzioni spaziali, recitative ecc. della scena per la quale è previsto. Anche l’evocazione di mondi fittizi
avviene conformemente a quanto consentono le credenze, le abitudini e le possibilità sceniche che l’autore
del TD condivide con il suo pubblico. La comprensione del TD non può prescindere dalla conoscenza dei
potenziali TTSS per cui esso fu concepito.
La Semiotica se ne interessa piuttosto in quanto esse includono la somma di nozioni ed esperienze condivise,
l’enciclopedia culturale e i codici comuni all’autore e al pubblico che questi aveva in mente, e inscritti in
quanto tali nel TD stesso.
Il tratto fondamentale del discorso teatrale, secondo Anne Ubersfeld: consiste nel fatto di poter essere
compreso solo come una serie di ordini dati in vista di una produzione scenica, di una rappresentazione, e
indirizzati a dei destinatari-mediatori, incaricati di ripercuoterlo a un destinatario-pubblico.
2. nel passaggio dal TD al TS (talvolta viceversa) attraverso il processo di transcodificazione – cioè il
trasferimento di alcuni messaggi da uno a altri sistemi di segni – si determina una produzione di
senso
Seppure ciascun TD è costruito a partire dall’ipotesi di rappresentazione che aveva in mente l’autore e dalle
convenzioni teatrali condivise da questi e dal suo pubblico originario, il necessario modificarsi ogni volta
delle condizioni e del contesto d’enunciazione spettacolare genera situazioni comunicative e significati
sempre nuovi e non prevedibili. Ancora di più se il TD viene messo in scena in epoche o ambienti culturali
differenti da quelli per cui fu creato.
Il continuo modificarsi di codici e convenzioni condivisi fa sì che possa esistere un numero potenzialmente
infinito di differenti TTSS che si richiamano ad uno stesso TD, dando luogo a rapporti di comunicazione di
significazione non previsti dall’autore del TD.
Del resto, se è tipico del genere drammatico fornire indicazioni per la sua rappresentazione, è anche vero che
tali direttive non hanno un carattere prescrittivo. Il TD somiglia più a una scatola di costruzioni “lego”, con
la quale è possibile costruire molte forme a scelta.
b) Uno stesso elemento scenico può stare per diversi significati – flessibilità denotativa – a seconda
del contesto in cui è inserito. Ciascuno di questi segni funziona spesso a teatro come una sineddoche
esibendo una parte per il tutto: una vela per la nave, una grata per la prigione.
c) Come ogni segno, anche il segno teatrale porta con sé, oltre al proprio significato primario
(denotazione), tutta una seria di valori aggiuntivi e variabili (connotazioni), in gran parte dipendenti
dalle sceneggiature in cui sono collocati e che possono essere attivati dal contesto in cui tali segni
sono collocati. Quasi sempre uno stesso segno connota più valori contemporaneamente, un
costume connota abitualmente l’epoca, il livello sociale, la professione, l’indole del personaggio.
13.3 APPLICAZIONI
Deissi, creazione di mondi possibili, metateatralità
1) L’impiego della deissi per la determinazione dei luoghi (e del tempo) e per la costituzione delle
identità.Il TD “crea”, costruisce e articola questo mondo fittizio tramite affermazioni contenute
nelle battute dei vari personaggi e indicano deitticamente i rapporti spaziali di vicinanza/lontananza,
dentro/fuori. Nella determinazione del luogo e della sua strutturazione il TS aggiunge dei segni
supplementari (scenografici ecc..), realizzando il contesto cui si riferisce deitticamente
l’enunciazione.
Un’analisi dovrebbe dunque includere i seguenti passi:
a) reperire nel TD i riferimenti spaziali in esso contenuti osservando se particolari valori
connotativi siano a essi attribuiti;
b) reperire nel TD i riferimenti deittici spaziali;
c) reperire e analizzare i segni che, nel TS, realizzano il contesto spaziale;
d) osservare le modalità deittiche realizzate nel TS tali da mettere fisicamente in contatto
l’enunciazione (verbale/gestuale) degli attori/personaggi con il contesto spaziale.
Quanto alla definizione dell’identità dei personaggi tramite la deissi> l’analisi procederà reperendo nel TD le
qualità attribuite al personaggio tramite deissi e confrontando, nel TS: quali qualità sono rafforzate,
contraddette, aggiunte dai segni specifici del TS (per es. la regalità, per mezzo dei costumi, della gestualità) e
se i rapporti deittici sono confermati, rafforzati, contraddetti ecc.
2) Lo spostamento della deissi nell’interpretazione registica (dunque nel TS).
3) L’attivazione di un rafforzamento della deissi metateatrale.
Percorsi isotopici
L’analisi delle isotopie connotative, ossia di aree di senso semanticamente omogenee a livello di valori
connotati, ci fornirà al proposito alcuni interessanti spunti di riflessione. Ad esempio, l’oggetto denotato
“letto” è posto all’intersezione di tre differenti percorsi isotopici, relativamente alle connotazioni che esso
evoca: la malattia, la sessualità , il sonno.
Atti linguistici
Il riconoscimento degli atti linguistici è importante per comprendere la dinamica profonda dell’azione
drammatica. Tra TD e TS può esservi piena cooperazione. Non è infrequente però il caso in cui i segni del
TS conferiscano alle battute del TD valenze pragmatiche differenti rispetto a quelle che la sola lettura del TD
potrebbe far supporre.
Lezione 8 30/04/2018
CAP. 14 COME SI LEGGE UN TESTO PUBBLICITARIO
14.1. STORIE NELLE STORIE. PECULIARITÀ DEL DISCORSO PUBBLICITARIO
Il testo pubblicitario si caratterizza per essere uno dei testi più diffusi e peculiari della nostra forma
occidentale di cultura. Costituisce uno specifico e particolare momento all’interno di un più ampio e
determinato processo sociosemiotico, quale quello del “consumo”, dotato di sue caratteristiche peculiari che
lo differenziano da altri processi sociosemiotici.
Come tutti gli altri testi, anche i gesti pubblicitari operano sulla costituzione di VALORI e SOGGETTI, nel
senso in cui la dimensione semiotica di ogni testo implica una soggettività e un progetto di generazione di
senso (per lanciare un messaggio) il quale si basa sul posto funzione di un sistema di valori. I valori possono
essere anche quelli commerciali, ovvero materiali: come i soldi
A differenza di tutti gli altri tipi di testo (e.g. romanzo, film etc.), però, i testi pubblicitari lavorano per
associare questi valori a merci acquistabili, beni o servizi che siano, e per far apparire queste merci appetibili
e desiderabili, o meglio ancora INDISPENSABILI.
Le pubblicità sociali (per il fumo, per la guida etc.) sono create per trasmettere un messaggio, non un valore
materiale.
Un testo pubblicitario non si fa apprezzare per le sue caratteristiche estetiche, o almeno non solo, quanto
invece per le sue caratteristiche persuasive, e cioè per le sue capacità di stimolare e orientare, più o meno
direttamente e più o meno immediatamente un determinato comportamento (generalmente, l’acquisto).
In termini semiotici diremo che la comunicazione pubblicitaria è sempre riconducibile a uno dei momenti
costruttivi del cosiddetto “Percorso Narrativo Canonico”, lo strumento usato nella semiotica di ispirazione
greimasiana per descrivere e analizzare le sequenze narrative , le sequenze di azioni orientate alla
trasformazione della relazione di giunzione di un Soggetto con un Valore
SEDUZIONE
La seduzione caratterizza comunicazioni sottili e meno immediate, e si ha quando viene messa in scena e
lusingata la competenza del Soggetto, il suo saper fare, che può ad esempio venir manifestato da un suo
modo di essere, da un suo stile, pubblicitariamente caratterizzabile come adesione ad una certa estetica o a un
certo mondo di valori, che dichiarano il “buon gusto” del Soggetto. Questa strategia è più della pubblicità di
marca, che di prodotto -> Il valore sarà tanto più intenso quanto più il Soggetto che dovrà servirsene
apparirà competente.
ESEMPIO→ Il testo pubblicitario del profumo, dove viene anche pubblicizzato uno stile di vita, che si
assume, che si abbraccia se si usa quella marca di profumo. Non si pubblicizza il prodotto, ma la marca. I
protagonisti della pubblicità sono tutti noti
TENTAZIONE
La tentazione si ha quando la comunicazione mette in scena un prodotto qualificato come capace di
trasformare o migliorare la competenza del Soggetto, promettendogli di fare cose che altrimenti non
potrebbero fare o che potrebbero fare solo con difficoltà. È la forma comunicativa più diffusa per i prodotti
di largo consumo. Il prodotto assume il ruolo di ‘aiutante’ o di ‘facilitatore’.
ESEMPIO → Pubblicità dei telefoni, compagnie telefoniche o di prodotti casalinghi. Si pubblicizza il
prodotto e le sue capacità di migliorare la vita. I personaggi non sono noti e il messaggio è più immediato.
INTIMIDAZIONE
L’intimidazione si ha quando il Soggetto anziché lusingato, viene “minacciato”, quando gli si dice non cosa
potrà fare con un prodotto, ma cosa non potrà fare senza. L’immagine scopo proiettata non sarà più quella di
una congiunzione con il valore desiderato, ma quello di una disgiunzione di esso.
ESEMPIO → Pubblicità sociali che indicano lo stile di condotta da adottare. Raramente si usa nelle
pubblicità commerciali, perché è difficile convincere un persona che se non usa quel prodotto la sua vita non
sarà bella. Una pubblicità commerciale che usa questa tecnica è quella del Martini (No Martini, no party!)
del 2007, il messaggio che fa passare è che neanche George Clooney senza il Martini può entrare in casa (in
realtà si tratta di una seduzione mascherata da ‘intimidazione’)
PROVOCAZIONE
Anche la provocazione è poco frequente nel testo pubblicitario commerciale, in quanto anch’essa deve
mettere in scena un’immagine scopo negativa, conseguenza della mancanza di competenza, del non sapere
fare, di un Soggetto. È una forma che si caratterizza spesso per il tono ironico.
Se non si capisce l’ironia, la pubblicità non funziona e può avere l’effetto opposto.
ESEMPIO →Nell’immagine si vede che la cannuccia si rompe appena capisce che deve entrare nella Coca-
Cola (capisce che si tratta di questa marca, dai colori convenzionali).La provocazione è molto sottile,
bisogna ragionare per capire il “messaggio” ironico della pubblicità.
Riferimento alla recente pubblicità del Buondì
• Valore
ESEMPI di base
DEI DUE → Al
TIPI DI contrario,
VALORI in comunicazioni centrate sulla Manipolazione, il prodotto non
Vanish →viene
giocacaricato di valori
su un valore funzionali:
d’uso, il prodotto
la direzione non
è critica “serve
(come a”, èrisolvere
posso anzi puramente fine delle
il problema a se stesso in
macchie
quanto coincide con il valore finale a cui il Soggetto mira (pubblicità profumi)
resistenti? Usando il Vanish), c’è un valore d’uso anche pratico (risoluzione immediata di un problema)
Dior → gioca su un valore di base, il valore è ludico (evasivo), è evasivo e rimanda a un ideale di vita.
Caratteristica essenziale di un testo pubblicitario è quella di essere progettato per generare effetti più o meno
immediati “fuori dal testo”. Proprio per questo il testo pubblicitario fa un uso tutt’altro che occasionale di
ancoraggio al mondo reale → prima di convincerci di acquistare, deve convincerci che le cose di cui
parliamo esistono e sono accessibili nel mondo reale e che, quest’ultimo è genericamente ciò che esiste fuori
dalla cornice del testo stesso.
Dovrà convincerci che proprio noi siamo i destinatari di quella comunicazione e che quelle situazioni che il
testo ci mostra sono possibili anche nel mondo reale.
Dal punto di vista semiotico, tali ancoraggi al mondo esterno si traducono nella presenza all’interno del testo
di rimandi all’unica situazione extratestuale che può essere data per certa: quella della produzione del testo
stesso.
Il “io e tu” che si trovano dentro l’enunciato sono Soggetti qualsiasi, comparabili a tutti gli altri, solo che
vengono messi in scena proprio per rappresentare l’enunciatore e l’enunciatario. Questo simulacri
dell’enunciazione possono rivelarsi in modo diretto (quando all’interno del testo si dice “io” o “tu” senza che
questi pronomi siano riconducibili a qualcuno dei personaggi lì presenti) o in modo meno diretto (quando si
fa uso di altri indicatori di riferimento che rimandano al luogo o al tempo).
La pubblicità fa uso di diversi meccanismi, ricorrenti o stereotipati, per evidenziare questi agganci al mondo
reale. Uno di questi è l’attribuzione della parola a un testimonial, in genere un personaggio famoso nei panni
di se stesso, che noi dovremmo conoscere come persona reale.
Un altro meccanismo è quello di allestire un duplice spazio, uno dei quali contorna o incornicia l’altro ed è
chiamato esplicitamente a simulare il mondo esterno.
L’ancoraggio alla realtà extratestuale comporta anche dei rischi, in quanto fa sì che la credibilità di quanto
venga enunciato nel testo sia vincolata all’attendibilità dell’istanza enunciativa, chiamata a concretizzarsi in
un vero e proprio Soggetto Enunciatore: se c’è qualcuno che afferma ciò che viene detto nel testo chi è
questo qualcuno e perché dovrei credere a ciò che dice? La comunicazione pubblicitaria è chiamata a
lavorare non solo alla costruzione del Valore del prodotto pubblicizzato, ma anche a rendere quella “voce”
che afferma tale valorizzazione per rendere la valorizzazione stessa credibile.
Deve lavorare alla costruzione di una accettabile Identità del soggetto enunciatore, che quindi è artificiale,
non data naturalmente.
▪ Sulla destra -> Lei, elegante e curata, viene colta nell’atto di attraversare la soglia della portiera
dell’auto. La troviamo seduta all’interno, ma con una gamba fuori e con un piede che poggia a terra,
mentre una mano poggia sulla soglia. Lo sguardo intenso è rivolto verso l’alto, verso il volto di Lui.
L’azione potrebbe essere orientata sia verso l’interno (entrata) quanto verso l’esterno (uscita
dell’auto), aprendo l’interpretazione a due percorsi narrativi diversi: 1) si stanno lasciando / 2) si
stanno incontrando.
All’interno dei due percorsi potrebbe assumere un diverso ruolo anche la camicia gettata a terra: 1) si stanno
lasciando → potrebbe essere vista come una traccia di incontro “consumato”, che viene calpestata come se
fosse il corpo di Lui / 2) si stanno incontrando → vista come un tappeto offerto da Lui a Lei quale atto di
omaggio
Questa seconda lettura appare più convincente della prima, perché supportata da più elementi sia figurativi
(Lei si trova dal lato passeggero, non conducente) sia verbali (il commento: the gentleman is back).
Nella frase “The gentleman is back” resta indicibile il senso della seconda parte “is back” in quanto nulla
nell’immagine ci permette di fare supposizioni sul senso di questo “ritorno”, e in caso potrebbe portarci a
una lettura in termini di critica sociale: ritorna la figura del gentleman che si era perduta.
Una seconda interpretazione potrebbe suggerire che “is back” si riferisca solo a Lei, che scende dall’auto
mentre Lui è lì ad attenderla. Se la vediamo in questo modo, bisogna capire a cosa può essere riferita
l’espressione gentleman.
Il termine gentleman si riferisce a un attore sociale dotato di particolari competenze -> attore maschio, ben
educato, conoscitore delle buone maniere, elegante e raffinato, capace di controllarsi in pubblico. Quindi,
accogliendo l’opposizione semantica fra natura e cultura, il gentleman si porrebbe dal lato della natura,
opponendosi al “selvaggio” o al “cafone” che verrebbero a porsi dal lato della natura dal punto di vista delle
competenze sociali.
Se queste sono le caratteristiche culturali del gentleman, l’immagine appare ambigua in quanto:
- Se il termine viene riferito a Lei, si configura come un ossimoro (come un gioco retorico) con
l’attribuzione di una qualificazione strettamente maschile (gentle-man) a una donna
- Se il termine viene riferito a Lui, ci mostra un Lui denudato, deculturalizzato, ricondotto alla natura.
È dunque un gentleman anomale, rispetto alla convenzione del termine. Il gentleman è tornato ma è
qualcosa di completamente nuovo: questo sembra volerci dire il discorso presente dalla foto
14.8.3. L’ORGANIZZAZIONE NARRATIVA
Dall’analisi appena fatta si capisce l’immagine visiva non si lascia leggere banalmente. Il senso di ciò che
vediamo non è ovvio, ma impone un lavoro più complesso, che possiamo specificare come riferimento
continuo non solo alle nostre tassonomie di classificazione delle qualità percettive del mondo, ma anche
all’organizzazione narrativa interna che ci permette di attribuire un significato alle figure. Tale significato
varierà a seconda che noi selezioniamo l’uno o l’altro dei percorsi narrativi: ad esempio, quello della salita o
della discesa dall’auto.
▪ Nel primo caso (SALITA) avremmo una Lei che assume un ruolo narrativo di Soggetto che si è
congiunto con un Lui Oggetto di valore, ormai consumato e dunque de valorizzato (denudato e
calpestato). Ci troveremmo davanti alla fase terminativa di un evento, in cui Lei dopo il compimento
dell’azione si allontana. Questa lettura si adeguerebbe meglio a un’associazione del termine
gentleman a lei
▪ Nel secondo caso (DISCESA) avremmo un Lui Soggetto attivo e una Lei investita dal duplice ruolo
di valore e destinatario di una comunicazione gestuale, che si presenta come Manipolazione di tipo
Seduttivo. Verrebbe sottolineato il savoir-faire di Lui.
15.4.2. I SUONI
Le considerazioni sin qui proposte sembrerebbero indicare un’idea di fondo della semiotica applicata ai testi
poetici: in un testo poetico tutto è significativo e, spesso, la casualità con cui pensiamo siano distribuite le
parole in realtà sottintende un disegno probabilmente inconsapevole di nessi e richiami che si caricano, per
associazione, di valori semantici. La cosa è particolarmente evidente per l’allestimento fonico delle parole di
questo testo: il significante sembra garantirsi una sua autonoma struttura narrativa. Tutto sta a puntare
l’attenzione sulla prima parola del testo (gloria) che, come vedremo, funziona come una sorta di accordo
dominante del tessuto sonoro della poesia: quella che è stata chiamata “cellula fonica isotopica”, per
sottolineare il fatto che alcune parole particolarmente rilevanti all’interno dei testi poetici svolgono il ruolo di
disseminatori di suono lungo il corso del testo. Qui la parola gloria si presenta come la principale eroina del
testo, perché, presentata perentoriamente in apertura con il suo carico di durezza (g è in questo caso velare,
cioè ha un suono duro), si vede contrapposta alla terz’ultima parola del testo gioia (con g palatale, cioè un
suono morbido), come se il testo stesso volesse in qualche modo celebrarne la trasformazione. Ma dire che la
parola programma foneticamente il testo significa semplicemente riconoscere l’insistenza con cui tornano,
variati, i suoi suoni costitutivi. In questo senso si parlava sopra di “isotopie”.
15.4.3. Il LESSICO
Le parole utilizzate nella poesia tendono a confermare l’intento di contrapporre due registri linguistici: uno
aulico-poetico di tipo rigorosamente letterario, con parole come gloria, parvenze, greto, occaso, e il secondo
colloquiale e umile, come dimostrano i termini quali mezzogiorno, ombra, luce, sole etc. Ma ci sono altre
soprese, perché il lessico è caratterizzato dalla straordinaria presenza di citazioni e rinvii ad altri poeti:
prendiamo, ad esempio, il termine gloria, una parola che è soprattutto dantesca (incipit della terza cantica).
Evidenti sono anche i richiami a D’Annunzio: ad es., quando si decide di ricorrere a falbe per qualificare le
parvenze. In breve, il testo sembra denunciare una dichiarata volontà di corrosione del testo letterario, non
solo per il confronto dialettico con il lessico umile, ma soprattutto per un effetto di riuso di materiali
tradizionali tramite una loro “ricontestualizzazione”, che porta alla parola una nuova vita semiotica. C’è in
Montale un gioco di spostamento e rielaborazione del linguaggio letterario che potremmo definire come
“decostruttivo”. Un gioco decostruttivo che vale anche per la sintassi, un’altra importante dimensione del
significato poetico.
15.4.4. LA SINTASSI
Le parole sono disposte nel testo secondo uno schema che conferma l’incontro-scontro tra moduli aulici e
moduli colloquiali. Si veda il ricorso alla postposizione del soggetto nella prima quartina:
quand’ombra non rendono gli alberi
Questa tecnica sottolinea una disposizione letteraria in qualche modo mitico-celebrativa. Ma vi è anche
l’operazione contraria, dove torna una costruzione più normale: Soggetto+Predicato:
il mio giorno non è dunque passato
Di rilievo anche la costruzione “ellittica (con l’assenza) del verbo”, o meglio, “nominale”, che viene ripetuta
nei primi versi della quartina:
gloria del disteso mezzogiorno
Nonostante all’interno del testo vi siano dei rimandi al Novembre di Pascoli, soprattutto nei primi 3 versi
delle strofe saffiche, non bisogna pensare che il rapporto di citazione esprima un’adesione globale
all’ispirazione pascoliana. Al contrario, quello che Montale fa, è riprendere noti moduli sintattici o
riecheggiarne il lessico, per ricostruirne il senso (DECOSTRUIRE). Arrivati a questo punto, possiamo dire
che tutti gli ingredienti formali del testo formano un programma narrativo, ossia la modalità attraverso cui le
parole contribuiscono a creare una storia e a metterla a disposizione di chi legge. Il lettore è quindi pronto a
entrare in scena.
15.5
Il lettore e il senso: significati, racconti, modelli
Per la semiotica letteraria, analizzare il significato di un testo poetico è comprenderne il senso. Da questo
punto di vista, un testo poetico è un testo virtuale che contiene un progetto di senso, non dei significati già
bell’e pronti disponibili per essere consumati. Se così non fosse, cioè se sostenessimo che esiste una lettura
ultima e definitiva di una qualsiasi poesia, andremmo contro l’esperienza empirica, perché saremmo costretti
a sostenere che le diverse generazioni che si applicano su un testo artistico vi rintracciano sempre lo stesso
senso. Ma questo è palesemente falso: noi non leggiamo più Dante o Leopardi come si leggevano,
rispettivamente, nel 500 o nell’800, o anche solo 20 anni fa. Il testo nella sua materialità non è cambiato;
quello che cambia è il noi semiotico, che ne accetta l’avventura di conoscenza. Come possiamo pensare che
si legga un testo poetico in prospettiva semiotica? Ci sono almeno due modalità di lettura, una centrata, come
ci suggerisce Barthes, sul sapore, e l’altra sul sapere. La prima è disincantata, privata e, per certi aspetti,
passionale e libera; la seconda, invece, è pubblica, ragionata e produttiva. Per questa seconda lettura, lo
scopo è arrivare a una “comprensione” di quanto il testo ci vuol “far sapere”. Ma come si realizza questa
lettura?
a) Analisi del titolo
b) La realizzazione di una parafrasi
c) La divisione in sequenze e la loro analisi
d) La ricomposizione delle sequenze nella sintesi globale del testo
15.5.1. IL TITOLO
Come sappiamo, Gloria del disteso mezzogiorno uscì in primissima versione a stampa col titolo di Meriggio,
poi soppresso sin dalla prima edizione del 1925. Si tratta, dunque, di un titolo molto provvisorio che in ogni
caso è in grado di testimoniare una volontà di tipo descrittivo. Se così è, vi riconosceremo un atteggiamento
tipico della poetica Montaliana: quello di assumere una descrizione per trasformarla prima in “narrazione” e
poi in “spiegazione”.
15.5.2 LA PARAFRASI
Parafrasare un testo è un’operazione assolutamente necessaria per molte ragioni. Anzitutto solo attraverso la
parafrasi più letterale possibile ci si garantisce un controllo adeguato delle immagini che il testo vuole
veicolare e in più si arriva a una prima comprensione della poesia. Questo non vuol dire che si dia una sola
parafrasi del testo di cui si tenta la versione. Se così fosse, la parafrasi non sarebbe nemmeno necessaria:
basterebbe cogliere il senso. Come ha osservato invece uno dei più noti esperti italiani di semiotica letteraria,
Cesare Segre, quest’operazione è invece un primo momento di attività interpretativa, perché punta a
sciogliere le oscurità del testo, a riorganizzarne una linea tematica unitaria e consegnare un livello
denotativo su cui esercitare l’analisi della poesia.
Come osservazione preliminare è importante ricordare che non esiste un’unica lingua dei segni e che in
ognuna delle diverse comunità sorde esistenti nel mondo sono presenti diversi sistemi linguistici segnati (es:
American Sign Language, British Sign Language etc.). Questi diversi sistemi linguistici variano non solo
sulla base delle diverse unità lessicali che li compongono (i singoli segni), ma anche sulla base dei
sottocomponenti del lessico e sul piano delle regole grammaticali. Le lingue dei segni sono, dunque,
caratterizzate dalla proprietà della variabilità e da una mutabilità sia in “sincronia” (coesistenza di diverse
varietà linguistiche) e in “diacronia” (mutabilità nel corso del tempo di una singola lingua dei segni).
16.2.2. Doppia articolazione: cheremi e fonemi
Oggi, infatti, ai segni viene riconosciuta una ricchezza di strutture sintattiche, grammaticali e sublessicali che
li rendono uno strumento semiotico del tutto comparabile per potenza e complessità alle lingue vocali.
Com’è noto fu il linguista De Saussure a introdurre, per primo, la nozione di sistema per lo studio delle
lingue vocali. Parlando di sistema linguistico De Saussure voleva sottolineare che le unità linguistiche sono
caratterizzate da una rete di somiglianze e differenze sul piano della forma espressiva che trovano riscontro
in somiglianze e differenze sul piano del contenuto. I segni vengono articolati, innanzitutto, a differenza
delle produzioni gestuali, in uno spazio ristretto che va dal bacino del segnante sino all’altezza della testa,
senza mai fuoriuscirne. Un’osservazione accurata dei singoli segni rivela, infatti, che le unità minimali da cui
è composto ogni segno appartengono a 4 tipi fissi:
a) luoghi sul corpo
b) configurazioni della mano
c) orientamenti di questa
d) tipo di movimento
Queste 4 caratteristiche articolatorie assumono una rilevanza particolare nell’analisi dei segni e sono alla
radice delle regolarità nella formazione dei segni e del lessico. Ogni segno, in sostanza, è caratterizzato da un
luogo di articolazione, una configurazione, un orientamento e un movimento tra quelli previsti dal sistema
linguistico. Possiamo individuare così 56 configurazioni, 16 luoghi, 6 orientamenti e 40 movimenti. Queste
componenti vennero definite da Stokoe come “Cheremi” (dal nome greco della mano “keir”) e, dato che
sono arbitrarie e, in molti casi, prive di un valore semantico autonomo, possono essere paragonate alle unità
di seconda articolazione delle lingue vocali: i fonemi.
I cheremi di una lingua dei segni assumono combinazioni rilevanti per il significato che non sono casuali:
l’unione tra un determinato segno a un determinato luogo, ad esempio, indica una radice verbale. Con
l’unione dei vari cheremi, elementi privi di significato, si passa al livello morfologico: livello della prima
articolazione e delle unità dotate di un significato grammaticale e lessicale. A metà tra questi due livelli c’è
quello definito “morfofonologico”, livello in cui alcune unità cherematiche giocano un ruolo preferenziale
nell’organizzazione del lessico e della grammatica.
Penny Boyes Braem → svolge un’analisi incentrata sui legami “iconici” tra i singoli parametri e
determinate aree semantiche. Iconicità → quando il segno e il suo significato hanno una qualche
somiglianza.
Si può pensare che l’iconicità sia una prerogativa della
lingua dei segni. In un segno come “tavolo” c’è un
forte legame tra la configurazione a mano aperta e dita
giunte chiamata, configurazione B, e la superficie del
tavolo e il movimento sembra indicare proprio
l’estendersi di una superficie.
Ci sono invece segni in cui l’iconicità non viene colta
immediatamente ma si rende riconoscibile subito dopo
essere venuti a conoscenza del significato del segno.
Questi sono segni opachi ad un primo sguardo che diventano però trasparenti una volta che ne conosciamo il
valore. (Es. “pesce”: una volta saputo il significato possiamo vedere nella configurazione e nel movimento
qualcosa che richiami il movimento della coda del pesce). Edward Klima e Ursula Bellugi, due ricercatori
americani, definiscono questi segni “segni traslucidi”→ un segno è traslucido quando non è subito chiaro,
senza conoscere il significato, sotto quale rispetto è stata stabilita la relazione iconica che lo lega all’oggetto.
Questo ci fa capire il perché la lingua dei segni cambia da
paese a paese che selezionano prospettive diverse da cui
stabilire la relazione iconica. (Fig. 16.5)
La Boyes Braem individua legami iconici anche tra i cheremi
e determinati campi semantici. La configurazione B, ad
esempio, si ritrova all’interno di diversi segni che alludono a
superfici piatte. Il legame iconico però si determina in modi
diversi sulla base della coesistenza di altri parametri e sulla
base che il significato è andato via via acquisendo. In “casa”
la configurazione è legata al tetto mentre in segni come
“stanza” è legata alle pareti. In segni invece come “superficiale” c’è un’estensione semantica di tipo
metaforico che si lega però allo stesso nucleo di significato: si indica l’incapacità di guardare al di là
dell’aspetto esterno delle cose ed eventi e non si intende più una superficie come oggetto concreto. Ci sono
quindi raggruppamenti di segni in cui la stessa configurazione sembra legata allo stesso significato o allo
stesso nucleo di significato.
Notate queste regolarità nel lessico segnato, la Boyes Braem ha formulato un’ipotesi per capire quali siano i
tratti che accomunano i diversi segni all’interno di un singolo paradigma. Analizzando le diverse
configurazioni presenti nelle diverse lingue dei segni si nota il ricorrere di alcune caratteristiche legate al
modo di usare le mani nella vita quotidiana:
a) Afferrare
b) Instaurare un contatto
c) Spingere, muovere oggetti
d) La deissi
e) L’enumerazione
Queste diverse funzioni si ritrovano legate a diverse configurazioni presenti nel lessico di ogni lingua dei
segni. I tratti che accomunano i segni sembrano richiamare schemi corporei di base all’interno della struttura
arbitraria del lessico segnato, sfruttando le potenzialità di estensione semantica che sono concesse ad ogni
lingua storico-naturale.
CAP.17
Platone si occupa del problema del linguaggio nel dialogo Kràtilos, opera interamente dedicata al tema.
Vengono confrontate le teorie eraclitee di Cratio, il quale affermava il “naturalismo essenzialista” secondo il
quale le parole sono imitazione dell’essenza delle cose, e le teorie di Ermogene secondo il quale invece i
nomi sarebbero frutto di un patto esplicito tra i parlanti che non implica alcun impiego veritativo nei
confronti della realtà. Fa da “moderatore” Socrate che se prima prende le parti di Cratio poi favorisce
Ermogene arrivando a smantellare entrambi i punti di vista evidenziandone i limiti e le incongruenze.
Platone arriva infine ad affermare che il linguaggio non può essere considerato fonte attendibile per la
conoscenza autentica e che bisogna quindi sostituirlo con una contemplazione intellettuale del vero.
CAP. 18
Aristotele invece, affronta il tema del linguaggio nella sua opera “la Politica” dove spiega il ruolo del
linguaggio nella genesi e nell’organizzazione civile della polis mettendo in evidenza le differenze tra umani e
gli altri animali, e nel “De Interpretatione” dove il linguaggio viene inquadrato nel sistema della coscienza.
Al centro c’è la teoria del giudizio, caratterizzato dalla significatività ma anche dalla possibilità di essere
vero o falso. Nonostante il dettato appaia semplice, le affermazioni del filosofo sono molto problematiche: in
seguito a una traduzione tardo-antica, per molto tempo si è creduto che Aristotele volesse fondare una
dottrina convenzionalistica basata sul carattere universale dei concetti e sul carattere mutevole e arbitrario
delle unità fonico-acustiche a essi correlate.
CAP. 19 LUCREZIO: IL LINGUAGGIO, GLI UMANIE GLI ALTRI ANIMALI
Viene analizzato il libro V del poema latino De rerum natura, che è un opera di Tito Lucrezio Caro. Il
poema è composto da sei libri di circa 7500 versi ed è una esposizione realizzata di teorie fisiche,
gnoseologiche ed etiche del filosofo greco Epicuro, il caposcuola del materialismo antico. In questo saggio la
concezione naturalista e immanentista della cultura umana viene applicata all’origine del linguaggio. Due
sono i punti principali rappresentati da Lucrezio:
1. Linguaggio umano e linguaggio delle specie animali dipendono tutti da un impulso naturale, che
esprime, mediante la voce, la propria sfera emozionale, i propri bisogni e desideri.
2. Il mondo del linguaggio-espressione, che è il mondo della varietà: la differenza delle voci dipende
dalla differenza della natura delle specie.
La affinità tra umani e animali ha una ragione evolutiva. Secondo Lucrezio gli umani nascono al mondo
come essere brutali, dotati di forza corporea che trascinano la vita privi di qualsiasi regola e legge, soggetti al
bisogno di cibo, acqua, sesso e solo gradualmente imparano a unirsi in società per sopravvivere e a produrre i
beni necessari per la comunità. Le idee sul linguaggio furono bollate come immorali ed eretiche nel corso del
Medioevo, e vennero riscoperte dall’Umanesimo e dal rinascimento alimentando il pensiero moderno.
PEIRCE
Dai Collected Papers si comprende l'idea del processo semiotico come interpretativo, legato alla conoscenza
legata alla prassi, al pragmatismo, all'esperienza primaria sensibile col soggetto. Non essendo "fotografica",
la semiosi adotta un percorso interpretativo, per accedere all'oggetto solo nei termini di un segno (tra dato
sensibile, representamen, ed evento mentale o "oggetto immediato"): per riformulare il segno è possibile
ricorrendo ad un altro, sempre in tendenza all'oggetto, senza mai attingervisi per una presunta obiettività,
solo per circorscriverlo. La semiosi è triadica, tra oggetto, segno e intepretanti, secondo una classificazione
dei segni, tra indici, icone e simboli, veri e propri momenti di un segno.
228. Un segno, o rappresentamen, sta a qualcuno per qualcosa, e si rivolge a qualcuno, e quel segno del
segno è l'interpretante, riferito all'oggetto, a sua volta riferito all'idea, un pensiero coerente.
229. La scienza della semiotica ha tre branche: la grammatica speculativa (Duns Scoto), la verità nei
rapresentamen per il significato; la logica, sulla verità scientificamente valida per gli oggetti; la retorica pura.
230. Segno sta a Oggetto percettibile o immaginabile, e deve rappresentare qualcosa. La condizione del
Segno altro dal suo Oggetto è arbitraria: c'è anche il Segno parte del Segno.
239. Le relazione triadiche sono suddivise in dieci classi.
247. Un segno può essere detto Icona, Indice o Simbolo. Il primo è a riferimento all'Oggetto in virtù di
caratteri suoi propri, sia che esista o meno nel contesto.
248. Un indice è un segno all'Oggetto determinato da esso: le qualità sono indipendentemente da altro: se
l'Oggetto agisce sull'indice, allora l'Indice ha qualche cosa in comune con essa (Icona peculiare).
249. Un Simbolo è un segno che si riferisce all'Oggetto, per una legge, un'associazione di idee generali, a
riferimento diretto. Simbolo e Oggetto sono di natura generale, in azione per Replica, e in atto di esistere.
CAP. 25. FERDINAND DE SASSURE: l’arbitrarietà radicale
SAUSSURE
Dal Corso di Linguistica Generale l'analisi del ritaglio arbitrario della materia fonico-acustica, e del pensiero
preverbale in un sistema di valori. Gli idiomi più diversi condividono la capacità di formare sia il significante
sia il significato, veri organismi autonomi, radicati nei bisogni espressivi delle comunità, vera forma
materiale del fatto linguistico. Il sistema delle unità semantiche ed espressive regge indipendentemente dal
tipo di sostanza fonica o grafica, proprio da teoria culturalista alla Humboldt.
La lingua come pensiero organizzato nella materia fonica. La lingua è un sistema di valori puri: il pensiero è
una massa amorfa; la sostanza fonica pure, plastica divisa in parti distinte per i significati richiesti. Da una
parte la confusione mentale, dall'altra la cacofonia, e in mezzo la formazione di legami tra significanti e
significati distinti. La lingua deve servire da intermediario tra pensiero e suono, sottratte dal caos. La lingua è
il regno delle articolazioni, e ogni porzione di essa è una forma precisa e delineata. L'arbitrarietà della scelta
della porzione denota il fatto sociale intrinseco al sistema linguistico; l'idea di valore non vuole considerare
un termine dall'unione tra suono e concetto, dalla somma del sistema, ma da altro, dalla sottrazione da esso.
Il valore linguistico considerato nel suo aspetto concettuale. Il valore è la proprietà per rappresentare un'idea,
elemento della significazione, contropartita dell'immagine uditiva. Il concetto è contropartita di questo e il
segno in sé, il rapporto tra i suoi due elementi. Com'è possibile che il valore si confonda con la
significazione? Se tutti sono costituiti da una cosa dissimile scambiabile con quella per determinare il valore
e da cose simili da confrontare con quella, allora si può scambiare con cose diverse e confrontare con
qualcosa di simile; il valore non è fisso se può essere scambiato con le significazioni, e confrontato con
opponibili. Una parola è rivestita di una significazione e d'un valore (es. mouton è "pecora reale" e/o
"cucinata", sheep è solo "reale"), ma non si esprime il fatto linguistico nella sua essenza e nella sua
ampiezza.