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Semiotica

Semiotica (Università degli Studi di Palermo)

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Prima lezione di Semiotica

La semiotica è una scienza che studia tutti i linguaggi (verbale, immagini, gesti) che l’uomo, nelle varie culture in
cui si trova, usa per comunicare dei messaggi e per significare, cioè per dare senso al mondo che lo circonda e a
sé stesso.

I segni comunicano a prescindere dall’intenzionalità della comunicazione. Questo mette in luce che siamo
abituati a pensare molto spesso all’importanza dell’emittente. Il segno esiste se e solo se esiste un destinatario
che è pronto ad interpretarlo. Si crea quindi un’importante suddivisione tra:

 Emittente, ovvero colui che produce l’espressione


 Destinatario, ovvero chi, percependo un’espressione, la collega ad un contenuto

Primarietà assoluta del destinatario (pubblico, target, audience, interlocutore). Se un programma televisivo, per
esempio, non ha pubblico, non viene percepito come segno.

Esistono tantissimi tipi di segno. Tutti i segni sono composti da una parte sensibile (percepibile con i cinque
sensi) e da un significato, una parte intellettiva, un concetto (percepibile con la mente). Queste parti sono
strettamente collegate, in un legame di reciprocità. Non esiste un segno senza una di queste due parti. Non
esiste un’espressione senza un contenuto, e non esiste un contenuto senza una parte sensibile. Che relazione c’è
tra significante e significato? Una relazione di presupposizione reciproca.

L’espressione significante è la percezione sensoriale di un qualcosa che ci ha permesso di capire il messaggio.

Il contenuto significato è ciò che abbiamo capito attraverso l’espressione, di natura concettuale.

Il segno è la loro relazione necessaria, il meccanismo di rinvio, è un evento e non una cosa.

La semiotica è quindi definibile come lo studio di tutto quello che può essere definito come segno. Quindi delle
relazioni tra significanti e significati. La relazione che si instaura tra questi due elementi è detta relazione di
significazione. La semiotica non è la scienza dei segni, ma lo studio dei sistemi e dei processi di significazione,
cioè di quelle condizione per cui le cose hanno un senso per noi. Dove avere un senso significa per noi un valore.
La semiotica studia quindi tutti i linguaggi, qualsiasi sia la sostanza che usano (visiva, sonora) o i concetti che
trasmettono.

Sicuramente una parte importante nell’interpretazione dei segni la conferisce la nostra cultura, che ci porta ad
interpretarli e concepirli in maniera diversa l’uno dall’altro. Nel processo di interpretazione intervengono almeno
due elementi: l’inferenza (deduzione, induzione, abduzione), o la cultura (abitudini interpretative, codici di
lettura del mondo variabili nel tempo e nello spazio). I codici sono dei modi che le culture hanno per differenziare
tra loro le cose e conferire loro valore. Questi rispondono a dei sistemi di valore, dove il valore è ciò che ha
importanza per noi e che si istituisce per differenza, qualcosa che scaturisce da una discontinuità. Il segno nasce
quindi per differenza.

La semiotica si sviluppa secondo due grandi filoni:

 Semiotica interpretativa: linea filosofica - cognitiva, che ha come fondatore Pierce e come rappresentate più
famoso Umberto Eco
 Semiotica strutturalista o generativa: linea linguistico - antropologica con De Saussure e Greimas e altri
esponenti come Lèvi-Strauss, Jakobson o Hjelsmlev

La semiotica nasce come disciplina tra gli anni 50 e 60 del 900 mettendo insieme degli spunti provenienti da
diverse discipline: la linguistica con Saussure, la narratologia con Propp, l’antropologia con Strauss. Si afferma
fondamentalmente a causa dell’insorgere della cultura di massa, dove la questione della comunicazione è

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centrale. I prodotti della cultura di massa e della cultura popolare, considerati inizialmente prodotti di serie B
diventano, per la prima volta, centrali.

Livelli della semiotica

L’attività semiotica si dispiega attraverso diversi livelli:

1. Livello empirico: analisi empirica di oggetti semiotici (testi)


2. Livello metodologico: affrontiamo l’analisi di questi testi attraverso dei modelli di riferimento (quadrato
semiotico, narratività), scelti a seconda del tipo di testo, il quale ci indica intrinsecamente come analizzarlo
3. Livello teorico: ripensare alcune categorie filosofiche
4. Livello epistemologico: che relazione ha con le altre scienze?

I livelli si compongono così a seconda del livello di astrazione, dal generale al particolare, e sono, nella pratica,
molto connessi e mischiati tra di loro.

Ad un certo punto la semiotica ha cominciato, ad esempio, a studiare le passioni: livello empirico -> analisi di testi
in cui si trova la passione, ad esempio i romanzi – livello metodologico -> quali modelli per lo studio della
passione? – livello teorico -> come riposizionare la passione in relazione rispetto all’azione e alla ragione – livello
epistemologico -> che relazione ha con la psicologia, con la filosofia, l’antropologia?

L’analisi dei testi è guidata da tutti questi livelli, insieme.

Analisi di ‘Ceci n’est pas un pipe’ di Renè Magritte, ‘Le Trahison des Images’ 1929

Non ci interessa entrare nel merito del valore artistico, della corrente artistica, dell’autore, ne quello che avrebbe
voluto dire realizzando quest’opera. Non ci interessa, cioè, dare giudizi di valore.

La pertinenza, cioè il livello di analisi scelto per analizzare questo quadro, riguarderà la scienza della
significazione. In particolare vogliamo spiegarne il senso.

Il quadro è fatto da almeno due componenti, una visibile e una invisibile. Un fattore importante è il titolo del
quadro che ci da informazioni su come interpretarlo. In questo caso, il titolo ‘il Tradimento delle Immagini’, mette
in scena un paradosso, dicendo che molto spesso le immagini si avvicinano talmente tanto al ‘reale’ da essere
scambiate con la realtà, di cui sono soltanto una rappresentazione. In questo senso, le immagini tradiscono.
Questo quadro, quindi, parla in generale di tutti quadri (metalinguaggio). Quali sono le strategie comunicative
che il quadro mette in atto per inscenare questo paradosso?

L’immagine non è una pipa ma una sua rappresentazione.

Si aggiungono all’immagine la cornice, dispositivo che delimita l’opera d’arte e contemporaneamente indirizza il
nostro sguardo verso il soggetto, e la didascalia (che in realtà si trova fuori dal quadro, la scritta fa parte
dell’opera). La cornice ci dice che anche la scritta fa parte dell’opera, e anch’essa può essere un tradimento.
Questa scritta contiene, inoltre una negazione, che di solito presuppone che, di solito, le cose vadano al contrario
(siamo portati a pensare che è una pipa, ma non lo è. Terzo elemento è il pronome ‘ceci’, che noi solitamente
traduciamo con ‘questa’, in francese è un termine neutro. La traduzione corretta sarebbe, infatti, ‘ciò non è una
pipa’. Abbiamo quattro punti a cui si possa riferire questo termine:

1. All’immagine della pipa. L’immagine della pipa non è una pipa ma una sua rappresentazione
2. Alla didascalia. L’immagine della pipa non è una pipa, ma la parola pipa, lo è? Mettendo così in discussione anche
il linguaggio verbale e il suo modo di rappresentare la realtà. Così come l’immagine non è la realtà, così anche le
parole, che ne sono una rappresentazione
3. All’oggetto. Uno spettatore di un’altra cultura, potrebbe non riconoscere la pipa o la parola (poiché di un’altra
lingua).

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4. Al quadro stesso. Ciò non è una pipa, ma semplicemente un’opera d’arte provocatoria, che vuole mettere in
discussione l’utilizzo della lingua

Il paradosso è quindi messo in scena dalla negazione (presuppone anche il contrario), dalla cornice
(rappresentazione e presentazione) poiché la scritta sta dentro, non è una didascalia, né il titolo, e infine dal
‘ceci’.

Cosa mette in scena l’opera? La differenza tra parole, immagini, cose e opere. La rottura della convenzione
mimetica (le immagini rappresentano le cose, e le parole?). Come definire un oggetto? A quali condizioni, una
parola o un’immagine o un oggetto sono significanti, e cioè noi possiamo riconoscerli come tali?

Il senso della pipa sta in nessuno e in tutti questi segni, elementi, sta nella traduzione di questi segni. Ognuno di
questi si focalizza su qualcosa in particolare, su una sfumatura della pipa. Pierce sosteneva, infatti, che il
significato di un segno è un altro segno nel quale il primo può essere tradotto, e così all’infinito (semiosi
illimitata), finché non arriva una certa convenzione culturale (o abitudine) che lo stabilizza per un certo periodo
di tempo. Il senso si da pertanto sempre per approssimazione, non si trova in un solo segno ma nella cultura, nei
testi, nei discorsi, immagini, cose mediante cui si dispiega.

Ferdinand De Saussure

Linguista di Ginevra nato nel 1857. Alcuni allievi alla sua morte pubblicarono il ‘Corso di Linguistica Generale’,
traduzione delle sue lezioni. Inaugura il filone della semiotica strutturalista che ispirerà anche Greimas. Si scaglia
contro alcuni principi, per esempio quelli avanzati da Benedetto Croce, che sosteneva che lingua e arte fossero
espressione di creatività e individualità assoluta. Saussure sosteneva invece che ‘la lingua è sociale’, è
apparentemente creazione continua, ma il limite alla mia creatività è dato dall’altro, dal momento che l’obiettivo
è quello di comunicare. Prima di Saussure sono stati fatti tantissimi studi sulla lingua, sulla grammatica (studio
normativo), sulla filologia (studio letterario), studi sulla comparazione delle lingue. Il linguaggio, secondo
Saussure, è una massa eteroclita (insieme di cose diverse): ci sono questioni fisiche (propagazione di onde
sonore), questioni fisiologiche (articolazioni orali e auditive), questioni psichiche (formazione e comprensione di
concetti), questioni sociali (strumento di comunicazione). La linguistica si interessa di ciò che è a monte di tutti
questi concetti, cioè alla forma del linguaggio, definita come langue, interessata a quell’insieme di convenzioni
sociali che rendono possibile la comunicazione tra le persone. L’oggetto della linguistica è la langue, definita
come insieme di convenzioni necessarie e principi di classificazione (sistema di regole). Dall’altro lato abbiamo il
langage, ovvero la facoltà naturale di comunicare linguisticamente, a cavallo di diversi campi (quelli menzionati
sopra), sfuggente alla classificazione. Saussure si interessa esclusivamente alla forma della langue (ovvero i
concetti e le immagini acustiche) e non alla materia (ovvero la fonazione e l’audizione).

Il circuito della parole (atto effettivo in cui un parlante prende la parola, comunicazione concreta), è spiegato
all’interno del Manuale di Linguistica Generale di Saussure, e rappresenta lo scambio di messaggi tra due parlanti:
dalla parte del parlante si sviluppa un concetto e un’immagine acustica (traccia del suono materiale,
rappresentazione ricreata a partire dai nostri sensi con carattere psichico) per arrivare poi alla fonazione, dalla
parte dell’ascoltare, invece, si sviluppano i primi due livelli per poi arrivare all’audizione. Cosa deve coincidere tra
il parlante e l’ascoltatore affinché la comunicazione risulti efficace? Le articolazioni di suoni devono corrispondere
alle articolazioni dei concetti, ovvero i concetti e le immagini acustiche devono (più o meno) coincidere tra
parlante e ascoltatore. Questo comporta tre conseguenze:

1. Il segno linguistico è un’entità a due facce (differenza tra significante, l’immagine acustica, e significato, il
concetto)
2. Differenza tra immagine acustica e suono (cioè differenza tra forma e sostanza)
3. Condivisione tra parlante e ascoltatore delle relazioni fra immagini acustiche e concetti (differenza tra langue e
parole)

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La langue è quindi una condivisione di associazioni tra concetti e immagini e acustiche (ovvero relazioni di
significazione). E’ quindi un sistema di relazioni di significazione ed esiste in virtù di un tacito contratto tra
parlanti.

Il linguaggio è costituito, quindi, da due dimensioni (la langue e la parole) estremamente diverse. La langue è
sociale, necessaria, esterna, passiva, formale, ha pochi elementi ed è invariante. La parole è individuale,
accessoria, interna, attiva, sostanziale, ha molti elementi ed è variabile. (domanda d’esame: che relazione c’è tra
langue e parole? E’ una relazione di presupposizione reciproca. Non può esistere una langue senza una parole e
viceversa. Nessuno può parlare senza una langue a cui dare riscontro, dall’altro lato non esisterebbe mai un
codice senza un atto di parola. Gli atti di parole, però, possono influenzare il sistema della langue. Altro esempio
oltre quello del treno di Saussure è il sistema della moda, suddivisa in costume e abbigliamento, di Roland
Barthes.)

A questo punto, Saussure getta le basi per la semiotica, che chiama inizialmente semiologia. La lingua diventa un
suo sottoinsieme, una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale e di come circolano e
vengono interpretati all’interno della società. (domanda d’esame) Il segno per Saussure è l’unione di significante
e significato, che non esistono l’uno senza l’altro, in una relazione di presupposizione reciproca, che si forma
nella nostra mente.

Critica all’idea di lingua come rappresentazione del mondo (referenzialismo). La lingua non è una
nomenclatura, ma un sistema chiuso di regole che mettono in relazione significanti e significati entro la dinamica
della vita sociale. È un sistema il cui funzionamento prescinde dalle sue stesse funzioni comunicative. La lingua ha
un suo funzionamento interno di tipo formale. Prima della lingua il pensiero è una massa amorfa ed è da
intendere come una forma che lega e ritaglia due sostanze. Un atto fondamentale che lingua compie è quello di
operare delle distinzioni, delle segmentazioni, affidando a determinati significanti dei specifici significati e
tagliandone fuori degli altri. Il senso si da quindi per differenza.

Lo strutturalismo (della lingua, così come del mondo) sostiene quindi che il valore di un elemento è dato dalle
relazioni con gli altri elementi entro il medesimo sistema, le relazioni sono primarie, gli elementi sono secondari.
L’identità di un segno non è nel segno in sé, ma nelle relazioni che esso intrattiene con gli altri elementi del
sistema. L’identità è data cioè dal valore, che è di natura differenziale. Il valore è dimostrato dalla cosiddetta
‘prova di commutazione’, cambiando un tassello su uno dei due piani si valuta se cambia anche quello non
mutato. Se cambiano entrambi i piani siamo sicuri di avere due concetti diversi con due valori diversi.

Dalla definizione di segno derivano tre principi teorici:

1. Arbitrarietà del segno (a priori): non c’è nessun motivo per cui ad una data successione di suoni corrisponda un
determinato concetto. La lingua crea dei ‘ritagli’ arbitrari. Il legame tra significante e significato è frutto di una
convenzione sociale.
2. Necessarietà del segno (a posteriori): una volta stabilito il legame tra un significante e un significato, questo deve
essere rispettato per essere capiti dagli altri parlanti.
3. Linearità del significante (vs significati visivi)

Ogni elemento linguistico funziona perché sta in relazione con altri elementi entro sistemi pertinenti: fonologico,
fonetico, morfologico. Cane è significativo perché si oppone (foneticamente) a lane, pane e (semanticamente) a
gatto, topo. Comparando determinate cose di un sistema tra di loro sto esplicitando le loro relazioni e quindi il
loro valore reciproco: a partire dalle relazioni di tutti i sistemi si stabilisce un’equivalenza generale che consente
di identificare il valore degli elementi.

Relazione di significazione: relazione tra significante e significato, suono e concetto. Ad esempio con una
moneta da 50 cent compro due panini.

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Relazione di valore: relazione fra segni, fra significanti, fra significati (suoni e suoni, concetti e concetti). Ad
esempio posso cambiare la moneta da 50 cent con cinque da 10.

La lingua è un sistema di valori puri poiché i valori non sono dati dalle singole entità, ma dalle differenze tra
entità che le costituiscono in quanto tali. I segni linguistici non hanno un valore in sé ma l’uno in relazione
all’altro. [PRINCIPIO STRUTTURALISTA] L’identità è sempre data per differenza.

Se è vero che le relazioni precedono gli elementi, quali tipi di relazione possono intercorrere tra gli elementi?

1. Relazioni sintagmatiche: relazioni dette in praesentia tra elementi che trovo in successione. (congiunzione e,
combinazione, consecuzione)
2. Relazioni paradigmatiche: relazioni dette in absentia tra segni che possono sostituirsi tra di loro. (congiunzione
o, selezione, sostituzione)

Domanda d’esame: cosa sono i sintagmi e i paradigmi? Sono relazioni che si intrattengono tra gli elementi (con
descrizione). Mi fai un esempio? Esempio della colonna: l’intera colonna è la relazione sintagmatica, il capitello
dorico, ionico o corinzio è la relazione paradigmatica. Esempio del cibo: i pasti in successione (primo, secondo)
sono in relazione sintagmatica, i piatti in particolare (la pasta o il cous-cous, la carne o gli involtini) sono in
relazione paradigmatiche.

Nella lingua, ad esempio, le regole di sintassi (accordo di numero e articolo), le regole fonetiche (prima della p c’è
sempre la m) o la consecutio temporum sono relazioni sintagmatiche; mentre la coniugazione dei verbi, la
declinazione dei casi, le classi di pronomi, sono relazioni paradigmatiche.

Livello di pertinenza: uno stesso elemento può far parte di diversi paradigmi a seconda del livello di pertinenza
adottato. Esempio: ragazzo è in relazione paradigmatica se si sceglie come livello di pertinenza
maschile/femminile, ma è anche in relazione paradigmatica con uomo se si sceglie come livello di pertinenza la
differenza di età. Il senso del termine trova il suo significato dal contesto in cui è inserito (sintagma) ma anche
dalla lista virtuale di termini all’interno del quale esso trova la sua pertinenza (paradigma).

Louis Hjelmslev

Differenze con Saussure. Cambia i termini significante e significato con espressione e contenuto perché la parola
significato ha un residuo che può richiamare delle accezioni di matrice psicologica non propri della lingua.
Questa, secondo Hjelmslev non è un insieme di parole o regole di grammatica, ma una cosa ancora più
complessa.

Hjelmslev accentua il carattere formale delle lingue: definisce la lingua come totalità autosufficiente, struttura
autonoma di dipendenze interne. È senza rapporti con l’esterno (referenzialismo), senza strumentalità
(funzionalismo), senza psicologia (psicologismo). Le parole sono un’entità intermedia della lingua, i significati dei
segni sono sempre contestuali, espressione e contenuto si possono scomporre e analizzare in modo diverso,
arrivando all’individuazione di entità minime invarianti e che non hanno la stessa forma (per Saussure esisteva
una sola forma).

Esempio: grandissimo. Espressione: g r a n d i s s i m i ; Contenuto: grand (suffisso tematico) issim (superlativo) i


(maschile plurale).

Domanda d’esame: differenze tra Saussure e Hjelmslev? Per il primo ogni lingua è un ritaglio
contemporaneamente di due masse amorfe (pensieri e suoni), per il secondo ogni lingua è invece l’unione di due
ritagli, di due forme (espressione e contenuto), che sono come diceva Saussure, in presupposizione reciproca.
Secondo Hjelmslev lo scopo della linguistica parte dai processi, variabili nello spazio e nel tempo, per ritrovarvi al
di sotto dei sistemi, ovvero insiemi di regole invarianti che pongono in essere ogni possibile variazione. Cogliere
la lingua come totalità autosufficiente.

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Si tratta di cogliere, sia sul piano dell’espressione che sul piano del contenuto delle figure: ‘Non segni’ che
entrano in un sistema di segni come parti di segni e servono per garantire le funzionalità e l’economicità della
lingua. Esempio: qual è la differenza tra la i di GRANDISSIMI e la i di TIRARE? Quale delle due possiamo dire sia
una figura? La ‘i’ del primo caso, perché apporta il significato di maschile plurale. Sul piano dell’espressione le
figure sono le 12 coppie di tratti (elementi minimi) tramite cui si può risalire a tutti i suoni di tutte le lingue. Lo
studio di queste figure è dovuto alla fonologia, a partire dallo studio di questi elementi minimi si risale alle
strutture delle lingue. Appunto, per individuare queste figure sul piano del contenuto si tratta di creare una
semantica strutturalista lavorando su quelli che Hjelmslev chiama microuniversi semantici.

Quadri partizione del segno di Hjelmslev. Si tratta quindi di individuare una forma e una sostanza
dell’espressione, e una forma e una sostanza del contenuto, la materia è esterna perché non la conosciamo, la
sonorità è esterna allo studio del linguaggio. All’interno del linguaggio ritroviamo questa quadri partizione. In
linguistica, ad esempio, la materia dell’espressione può essere l’oralità o il grafismo, la materia del contenuto è
illimitata. Nel caso della semiotica la materia dell’espressione sono i movimenti del corpo, i rumori, le fotografie,
la materia del contenuto è illimitata. La materia essenzialmente in semiotica è una: io posso usare le immagini per
parlare delle immagini e posso usare qualunque cosa per parlare illimitatamente. Esempio: mimare un film,
materia dell’espressione -> gestualità; materia del contenuto -> film. Altro esempio la pubblicità della penna
waterman, una con versione maschile e una femminile, che mantiene però la stessa materia del contenuto e
cambia la forma. Cambiando la forma dell’espressione o del contenuto cambia anche il valore della notizia. Le
sostanze derivano dalle forme, che è considerata per questo motivo assolutamente prioritaria. La trasformazione
di uno dei piani determina anche la trasformazione dell’altro piano.

Anche il modo di articolare gli spazi determina il veicolo di determinati contenuti [Panopticon analizzato da
Foucalt].

Quindi: le lingue hanno due piani non conformi, che vanno analizzati separatamente.

Avremo così 4 alternative: 1 F.E. -> n S.C. ; 1. F.E. -> n S.E. ; 1 F.C. -> n S.C. ; 1 F.C. -> n. S.E.

Tra questi due piani si possono dare diversi tipi di legame: denotazione, connotazione, metalinguaggio.

Denotazione: forma di rinvio segnico più elementare (espressione: casa -> contenuto: edificio di uso privato)

Connotazione: le semiotiche connotative sono quelle semiotiche il cui piano dell’espressione è una semiotica
(l’idea di colomba che nella denotazione rimanda al concetto di uccello, rimanda anche al secondo contenuto,
ovvero quello di pace)

Metalinguaggio o meta semiotiche: semiotiche il cui piano del contenuto è una semiotica (Magritte, il quadro
che parla del quadro)

La semiotica si occupa di comunicazione volontaria come la letteratura, la pubblicità o il giornalismo, ma anche di


comunicazione involontaria, che riguarda natura (ombre, fumo, orme) e cultura (comportamento,
abbigliamento, assembramenti cittadini). L’oggetto quindi della semiotica è sia significazione (produzione di
senso a prescindere dalla volontà comunicativa) che la comunicazione che è un sottoinsieme della prima.

Jakobson

Sostiene che ci siano degli elementi necessari per permettere la comunicazione; ad ogni elemento è accoppiata
anche una funzione comunicativa. Mittente: Funzione Emotiva, Contesto: Funzione Referenziale, Messaggio:
Funzione Poetica, Contatto: Funzione Fàtica, Codice: Funzione Metalinguistica, Destinatario : Funzione Conativa.

La funzione emotiva è attiva quando il messaggio è incentrato sul mittente, sui suoi stati d'animo, atteggiamenti,
volontà ecc. (es. sono stanco, come mi piace stare qui). Essa è segnalata attraverso l'uso della prima persona nei
verbi e pronomi personali o pronomi e aggettivi possessivi.

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La funzione fàtica (dal latino fari = pronunciare, parlare) consiste in quella parte della comunicazione atta al
controllo del canale attraverso cui si stabilisce la comunicazione, con espressioni mirate appunto alla verifica del
suo funzionamento, come quando al telefono si dice pronto? o quando si fanno le prove del microfono e degli
amplificatori prima di uno spettacolo. Lo scopo è quello di stabilire, mantenere, verificare o interrompere la
comunicazione.

La funzione conativa, detta anche persuasiva, corrispondendo al destinatario, è attiva quando il mittente si
rivolge esplicitamente a questo, attraverso il modo imperativo, i verbi o i pronomi e aggettivi possessivi o i
pronomi personali alla seconda persona, o il punto interrogativo. Essendo prevalentemente orientata sul
destinatario, la comunicazione mira a ottenere un'adesione di pensiero e/o una risposta d'azione.

La funzione poetica è attiva quando il messaggio è incentrato su se stesso, nel senso che è presente una certa
complessità che impone una decodificazione completa da parte del destinatario, che deve essere attento a
cogliere il senso denotativo nella sua interezza e anche, ove presente, un eventuale senso connotativo. Un
linguaggio ornato, ricco di figure retoriche di vario genere segnala la funzione poetica del messaggio, come
spesso avviene in poesia ma anche nel linguaggio della pubblicità (tuttavia in questo caso è in absentia anche la
funzione conativa, dato che lo scopo è convincere i potenziali acquirenti ad acquistare il prodotto pubblicizzato).

La funzione metalinguistica consiste nel parlare (implementare, svilire o modificare) del codice, come nei libri di
grammatica. La funzione (chiedere e dare significato di una parola, spiegare una parola) focalizza la sua
attenzione sul codice in comune a mittente e destinatario, durante la comunicazione. Essa entra in campo
quando i due interlocutori vogliono verificare se stanno utilizzando lo stesso codice.

La funzione referenziale, la più denotativa, consiste nel riferimento, preferibilmente preciso e puntuale, al
contesto spazio-temporale in cui avviene la comunicazione o comunque all'azione di cui si parla (e, in generale, al
referente).

Ci sono dei casi in cui però alcune funzioni si sovrappongono: come la campagna politica in cui si presentò lo
slogan ‘I like Ike’ dove funzione poetica e conativa si sovrappongono.

Oltre ad esistere un codice (la lingua italiana ad esempio), esistono anche dei sottocodici (capibili soltanto da chi
li condivide, come per esempio linguaggi specialistici medici). Da questa idea Umberto Eco formalizza la
decodifica aberrante: quali sono i motivi per cui una decodifica può non andare a buon fine? Perché io posso non
capire un messaggio? I motivi possono essere vari:

 Incomprensione o rifiuto del messaggio per assenza di codice (parliamo ad esempio due lingue diverse)
 Incomprensione per disparità dei codici (possesso del sottocodice o no)
 Incomprensione del messaggio per interferenze circostanziali (mentre ascolto sto anche facendo altro)
 Rifiuto del messaggio per delegittimazione dell’emittente (guerriglia semiologica), forma di critica
ideologica. Decido deliberatamente di non tradurre il codice in un messaggio. Non è un’incomprensione
del messaggio casuale come quelle sopra.

Abbiamo detto che la semiotica unisce due filoni, uno che segue quello della linguistica da cui traiamo concetti
fondamentali come la priorità delle relazioni tra gli elementi che formano un sistema, il concetto di valore di un
segno, e il concetto di forma del contenuto. Questo primo filone si va a congiungere con alcune teorie
narratologiche, studi sui racconti che sono stati fatti in cui si scopre che i racconti funzionano un po’ come
funzionano le lingue: così come in ogni lingua non contano le parole ma come si articolano tra loro nelle frasi, nei
racconti non conta il singolo personaggio o la sua singola azione ma la totalità. In questo percorso tracciato dalla
narratologia hanno un ruolo fondamentale i cosiddetti formalisti russi: Roman Jakobson (letterarietà: ciò che fa
di un messaggio un’opera d’arte. Hanno valore letterario non sono le opere d’arte ma tutte le opere che hanno
determinate caratteristiche) Viktor Sklovskij (straniamento, ovvero deautomatizzazione delle nostre percezioni,

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ciò che noi di solito percepiamo come normale invece non lo è, inversione del punto di vista), Boris Tomacevskij
(distinzione tra fabula e intreccio), Vladimi Propp (forma narrativa delle fiabe).

Vladimir Propp

Scrive la ‘Narratologia della fiaba’, in cui analizza un corpus di 100 fiabe di magia russe della raccolta di Afanasjev
e va alla ricerca di elementi invarianti.

Valore culturale delle fiabe

 Romanticismo: ricerca dell’identità del popolo, nella lingua e nel folklore fiabesco
 Positivismo: raccolta e trascrizione delle fiabe dei vari popoli
 Fine Ottocento: scoperta delle forti somiglianze fra fiabe di paesi lontani ed epoche molto diverse

Studio teorico della fiaba

 Ricerca delle somiglianze e differenze tra le fabie


 Costituzione di tipologie di racconti
 Classificazione delle favole (di Aarne e Thompson), criticata da Propp perché superficiale, che ragiona per
sostanze e non per forme. La critica è fatta perché il modello non propone delle categorie mutuamente
esclusive tra loro. Non tiene conto del principio strutturale della favola. Le macrocategorie utilizzano
livelli di pertinenza differenti: mentre il primo e il secondo gruppo hanno come oggetto il contenuto della
favola, il terzo tiene conto degli effetti sul lettore.

Cosa hanno in comune Cappuccetto Rosso, la Bella Addormentata e Biancaneve? Cosa rimane invariante in un
racconto? A noi non interessa che il protagonista sia maschio o femmine, che l’aiutante sia un uomo o un
animale.

Elementi della fiaba

Invarianti: 31 funzioni narrative, riassumono l’ossatura della fiaba. Situazione iniziale, funzione di esordio
(equilibrio iniziale rotto), danneggiamento o mancanza, rimozione della mancanza o del danno, funzioni finali.

Variabili: elementi di raccordo, forme di apparizione dei personaggi

Quindi: tutte le fiabe del corpus seguono la medesima serie di funzioni, nello stesso ordine. I nomi delle funzioni
non sono importanti (non tutti i viaggi sono la Partenza, nozze non significa necessariamente matrimonio, ma un
premio per l’Eroe che comporta un cambio/miglioramento di status). Quello che conta è semmai il loro posto
nella catena narrativa (il danneggiamento sta verso l’inizio, le nozze stanno alla fine) = sintagma

L’ordine in cui si susseguono le funzioni è costante: se il testo descrive una partenza non è detto che si tratti della
funzione partenza. La funzione partenza è quella che si situa dopo il danneggiamento.

Possono anche mancare alcune funzioni: con ellissi o ragionamento per presupposizione.

Propp approfondisce ancora di più. L’Eroe deve affrontare delle Prove. Grazie a queste prove e nella successione
della storia si costruisce come tale:

 Qualificante: l’eroe si dota di ciò che gli serve (il mezzo magico) per portare avanti l’azione principale.
 Decisiva: scontro con il nemico.
 Glorificante: riconoscimento sociale dell’eroe.

Struttura della fiaba. Le fiabe possono avere una struttura circolare (si ritorna all’equilibrio, racconto oggettivo),
lineare (trasformazione dell’eroe, racconto soggettivo). Nella fiaba possiamo isolare queste due struttura del
racconto, che coesistono.

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La struttura circolare è: equilibrio, rottura dell’equilibrio (antagonista, danneggiamento), ripristino


dell’equilibrio (nozze). I movimenti fiabeschi possono incastrarsi tra loro nelle storie. La forma più semplice è
quella che va dal danneggiamento alle nozze.

Ad essere costanti non sono solo le funzioni narrative ma anche le cosiddette sfere d’azione. Individua sette
sfere d’azione (antagonista, donatore, aiutante, principessa e re, mandante, eroe, falso eroe). Si tratta di ruoli
narrativi e non di personaggi. Per esempio l’antagonista in una favola sarà la matrigna, in un’altra un drago. Ad
ogni sfera d’azione corrisponde una determinata funzione narrativa. Ad esempio all’antagonista corrisponde la
funzione del danneggiamento, della lotta. Essendo la sfera d’azione un ruolo, può intrattenere relazioni diverse
con i personaggi (coincidenza, più personaggi incarnano una sola sfera d’azione, più sfere un personaggio).

Stratificazione del racconto e riduzione degli elementi (dalle variabili alla invarianti)

 Livello della singola fiaba concreta


 Livello delle 31 funzioni narrative
 Livello delle 7 sfere d’azione
 Livello delle 3 prove
 Livello del movimento fiabesco

Similarità con la lingua. Non importa la parole (singole favole, sostanze) ma la langue (struttura generale del
racconto, forma). Dalla superficie (tanti elementi), alla profondità (pochi elementi).

Introduzione alla semiotica del testo

Greimas

Opera un raggruppamento delle funzioni e delle sfere d’azione: le funzioni verranno raggruppate nello schema
narrativo (canonico). Le sfere d’azione negli attanti.

Il percorso generativo del senso

Attraverso vari stadi che vanno dal più profondo al più superficiale mostra i modi con cui il senso viene generato
e si arricchisce. Analogia tra lingua e racconto.

Attanti: simili alle sfere d’azione, non sono personaggi ma ruoli narrativi da non confondere con i personaggi.
Sono figure ricorrenti all’interno del racconto. La prima coppia di attanti è:

SOGGETTO/OGGETTO -> sono tali l’uno in relazione all’altro. Il SOGGETTO è colui che si trova in una data
situazione o compie azioni (soggetto di stato o soggetto del fare); colui che vuole/deve congiungersi con un
oggetto. L’OGGETTO è un qualcosa che ha importanza (VALORE) per il soggetto. Il soggetto non è
necessariamente un uomo così come l’oggetto non è necessariamente una cosa.

Tipi di soggetto - soggetto operatore: colui che agisce e provoca le trasformazioni, soggetto del fare, soggetto
di stato: colui che si trova in congiunzione o disgiunzione con il soggetto di valore.

Si vuole individuare, come direbbe Hjelmslev la forma del contenuto delle narrazioni alla ricerca delle invarianti.
Quello che Propp aveva cominciato nelle favole di magia, viene ripreso da Greimas che cerca di individuare
queste invarianti per applicarle a testi differenti e più ampi.

L’oggetto diventa oggetto di valore solo se questo è conferito da un soggetto. Il valore è quindi assolutamente
soggettivo.

Un altro attante è il DESTINANTE: colui che sulla base di un volere e/o dovere incarica il soggetto di compiere
l’azione (destinante manipolatore) ma anche colui che, una volta compiuta la missione, sanziona (positivamente
o negativamente) il soggetto sulla base del suo operato (destinante giudicatore)

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Altra coppia è AIUTANTE/OPPOSITORE: il primo può essere qualunque personaggio, cosa o situazione aiuti il
soggetto a compiere la sua missione, il secondo può essere qualunque personaggio, cosa o situazione ostacoli il
soggetto a compiere la sua missione, da non confondere con l’antagonista.

I personaggi indicati da Propp vengono chiamati ATTORI, mentre le sfere d’azione indicate da Propp vengono
chiamati ATTANTI. La relazione che intercorre tra attanti e attori è la stessa che intercorre tra personaggi e sfere
d’azione. Gli attanti si situano ad un livello più profondo che è quello delle strutture narrative, sono come delle
sfere vuote che vengono poi riempite dagli attori, che si situano ad un livello più superficiale che è quello delle
strutture discorsive. Il caso più semplice è quello di una corrispondenza 1:1 in cui ad un attante corrisponde un
attore (il principe, soggetto, salva la principessa). Una figura attoriale può corrispondere a più figure attanziali (il
re, soggetto e destinante, va a salvare la figlia). Esiste anche il caso inverso, cioè un solo ruolo attanziale e più
ruoli che lo incarnano (i tre moschettieri, soggetto).

Per avviare un’analisi occorre eseguire un’operazione di segmentazione: se dovessimo suddividere un testo,
dovremmo dividerlo in blocchi di senso.

Greimas parte da un concetto fondamentale che è dell’omologia strutturale tra racconto e frase, intendendo
che un racconto così come una frase è costituito da soggetto, oggetto, predicato ed altre circostanti. Frasi con
predicato nominale, frasi con predicato verbale. La prima è più ‘statica’, la seconda è più ‘dinamica’. All’interno
dei racconti possiamo distinguere due tipi di enunciati: enunciati di stato (equiparabili al predicato nominale
dove si descrivono degli stati, delle situazioni statiche in cui soggetto e oggetto sono congiunti, quando il
soggetto non ha l’oggetto di valore si dice che soggetto e oggetto siano disgiunti), e trasformazioni che non
descrivono stati, ma processi (trasformazioni) il cui soggetto da congiunto diventa disgiunto dall’oggetto e
viceversa in una trasformazione congiuntiva e una trasformazione disgiuntiva.

Enunciati: elementi minimi del racconto che possono essere più o meno espansi.

Enunciati di stato: dimensione di stato; Enunciati di trasformazione: dimensione del fare.

Essere: congiunzione, disgiunzione / Fare: trasformazione disgiuntiva, trasformazione congiuntiva.

Programma Narrativo (P.N.): insieme di stati ed enunciati. P.N. di CONGIUNZIONE / P.N. DI DISGIUNZIONE. Dato
che ad un attante può corrispondere uno o più attori io posso essere sia soggetto di stato che soggetto
operatore.

La molla narrativa. L’avvio della narrazione si ha a partire da una mancanza che mette in atto un programma di
congiunzione. I PN descrivono relazioni e trasformazioni tra oggetti e soggetti, ovvero la successione di stati e
trasformazione. In un racconto i PN sono diversi e spesso inscatolati gerarchicamente gli uni negli altri.

Distinguere tra PN di BASE (programma narrativo principale) e PN d’USO (azioni che si mettono in moto che
sono propedeutiche al programma narrativo fondamentale e principale del racconto). Per esempio: per arrivare
alla laurea (PN di base) dobbiamo superare gli esami (PN d’uso).

La congiunzione con l’oggetto di valore finale, quello del PN di base, presuppone la congiunzione con degli
oggetti di valore modali, che si raggiungono attraverso i PN d’uso.

La narratività ha molto spesso un carattere polemico. Il fatto che io mi congiunga con un oggetto di valore
implica la disgiunzione di quell’oggetto da un altro soggetto. Ci sarà cioè una duplicazione di PN opposti (due
soggetti che lottano per raggiungere lo stesso oggetto di valore). Questo soggetto si oppone al primo ed è detto
ANTISOGGETTO.

Passaggi narrativi: logica polemica: enunciati del fare, comunione partecipativa: enunciati di stato congiuntivi ->
effetto di sdrammatizzazione.

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Il punto di vista e il cambio di prospettiva ci induce a prendere le parti di un soggetto o di un altro.

Definizione di racconto. C’è un racconto se si espongono un atto narrativo e un contenuto narrativo (quello di
cui abbiamo parlato finora). Altro elemento è l’ordine e la completezza dei fatti raccontati, spiegata grazie ai
programmi narrativi. Un racconto assume il suo significato a partire dalla fine, grazie alla quale tutti gli altri
elementi acquisiscono senso.

Il racconto è quindi una successione orientata di stati e trasformazioni. C’è un’intenzionalità nelle azioni, un
programma narrativo, che possiamo ricostruire a partire dalla fine della storia. Criticità della nozione di valore.

Ci si è quindi resi conto che la forma del contenuto di diversi testi ha una matrice narrativa.

Modalità: dover fare, voler fare, saper fare (essere in grado di fare una cosa, è spesso tacito ad esempio guidare
una macchina), poter fare (essere messi nelle condizioni di poter fare una cosa). Queste modalità hanno uno
statuto all’interno dei programmi narrativi. Dalla logica polemica e la duplicazione dei programmi narrativi deriva
un altro concetto fondamentale, la strategia. Quando si costruisce una strategia si deve pensare anche alle
forme che potrebbe costruire l’antisoggetto, costruendo un ‘simulacro’ di cui deve tener conto. Succede quindi
che si mettono in atto delle tattiche, che a differenza delle strategie che sono a lungo termine, sono a breve
termine e che durante il percorso posso non aver previsto. Dunque:

La strategia è un’organizzazione di un PN in funzione del PN dell’antisoggetto. Si lega non tanto a ciò che si è, ma
all’immagine di sé che si vuole abbiano gli altri.

La tattica è un PN di sostituzione, una specie di strategia a breve termine, che consente di risolvere imprevisti in
itinere, da superare per attuare l’obiettivo principale.

Cosa sono narrazione e narratività? La narrazione è il racconto, la narratività riguarda la matrice narrativa
riguardante qualsiasi manifestazione testuale. In ogni narrazione c’è narratività ma non viceversa.

Narratività: molte cose che non sono racconti hanno un’organizzazione di base simile ai racconti classici.

31/03/2020

Schema narrativo canonico: quelle che Propp chiamava funzioni narrative diventano in Greimas uno schema
astratto, che riguarda il livello narrativo, fatto di fasi che si ripetono sempre a prescindere dalle diverse forme del
racconto. Questo è formato da 4 fasi o tappe che riassumono l’ossatura di qualsiasi tipo di racconto. In ognuna di
queste fasi interviene un diverso attante.

Manipolazione (destinante manipolatore/soggetto) – Competenza (soggetto/aiutante/oppositore)–


Performance (soggetto/antisoggetto/oggetto di valore) – Sanzione (destinante giudicatore/soggetto)

Manipolazione: incontro tra destinante (manipolatore) e soggetto, in cui si stabilisce un patto/contratto che
conferisce le modalità del dovere o volere fare al soggetto.

Il soggetto sarà dunque dotato di un voler fare e/o dover fare e si dirà virtualizzato (è un soggetto potenziale). È
un momento cognitivo dello schema.

Nel caso delle pubblicità il destinante è il brand, che si articola secondo il volere fare, che ispira/seduce il
soggetto che sceglie di comprare quel determinato prodotto.

Esistono anche manipolazioni orientate verso il dover fare (obbligando qualcuno). Una manipolazione secondo il
volere è molto più efficace e delicata. Si possono anche assumere due posizioni attanziali contemporaneamente:
io posso essere sia destinante che soggetto. La manipolazione è il momento fiduciario per eccellenza.

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Competenza: fase che Propp chiamava programma narrativo d’uso. Sarebbe quel dotarsi di quel mezzo magico
che permette il compimento della missione. Un soggetto virtuale che vuole o deve fare qualcosa, prima di
passare all’azione deve possedere un sapere o un potere. È il momento in cui il soggetto acquisisce un sapere o
un poter fare. Il soggetto sarà così attualizzato. È un momento pragmatico.

Performance: il soggetto operatore si scontra con l’antisoggetto per far sì che il soggetto di stato si congiunga
con l’oggetto di valore. (il principe si scontra con il cattivo e libera la principessa). È il momento narrativo per
eccellenza: è l’azione del soggetto che trasforma gli stati delle cose. il soggetto si dirà in questo caso realizzato. È
il regno del fare che implica un momento pragmatico.

Sanzione: il destinante giudicatore giudica positivamente (se ha aderito ai valori proposti nel contratto) o
negativamente (se non ha portato a termine il suo compito) l’operato del soggetto e ne permette il
riconoscimento. È il secondo momento cognitivo dello schema.

Differenza tra oppositore e antisoggetto: il primo si trova nella fase della competenza e ostacola l’acquisizione di
poter fare o saper fare, è il contraltare dell’aiutante, il secondo si trova nella fase della performance e si scontra
con il soggetto per l’oggetto di valore.

Non è detto che in un racconto siano presenti tutti i momenti dello schema. Vige la logica della presupposizione e
non quella dell’implicazione.

Soggetti e modalità

Soggetto manipolato: dover fare, voler fare, soggetto virtualizzato

Soggetto competente: saper fare, poter fare, soggetto attualizzato

Soggetto performante: fare, soggetto realizzato. Soggettività piena e in azione.

Anche gli spazi possono essere classificati grazie allo schema narrativo canonico:

Spazio eterotopico: manipolazione – spazio paratopico: competenza – spazio utopico: performance – spazio
eterotopico: sanzione (si dice infatti che sia circolare).

Gli spazi non sono sempre gli stessi nel tempo, ma cambiano. Non hanno valore assoluto e cambiano
diacronicamente. I confini sono sicuramente arbitrari, ma una volta stabiliti hanno senso e valore per tutti. Nella
spazialità un ruolo altrettanto importante l’hanno non solo gli spazi per come sono fatti, ma anche le
rappresentazioni che di questi si fanno. Lo spazio c’è, ed è ineliminabile.

01/04/2020

Gli spazi nelle cartine possono essere disegnati secondo due diverse strategie, dette oggettivanti o
soggettivanti, esprimendo diversi effetti di senso. In quelle oggettivanti è come se chi ha creato la mappa
volesse nascondersi, mettendo in atto determinati codici. In quelle soggettivanti è come se chi l’ha creata invece
volesse farsi vedere e suggerire cosa fare.

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