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Interpretare le immagini

1. Letteratura comparata e immaginario (Daniel-Henri Pageaux)


Ciascuna disciplina ha un proprio immaginario, quindi sembra utile riflettere sulla
natura e i confini di un immaginario “comparatista”. Questa riflessione deve procedere
per “immagini”, attraverso l’imagologia ovvero lo studio delle rappresentazioni di ciò
che è diverso. L’immaginario può offrire delle prospettive anche alla storia della
letteratura. Gilbert Durand partendo dall’idea secondo cui la coscienza ha la capacità di
rappresentare il mondo in due modi diversi, crea una distinzione tra una coscienza
“diretta” o meglio una “percezione”, “sensazione” e una coscienza “indiretta” nella
quale l’oggetto, assente, è “ripresentato”. Durand insiste su questa distinzione per
spiegare come la coscienza disponga di “diversi gradi dell’immagine”, “a seconda che
quest’ultima sia fedele copia della sensazione oppure indichi la cosa”. La falsità
dell’immagine ci riporta a Pascal che spiega come l’immagine abbia potuto essere
considerata con diffidenza rispetto al meccanismo della ragione. Ed è questa
opposizione immaginazione vs ragione che ci obbliga a riabilitare periodicamente
l’immaginazione. A partire da Aristotele l’immaginazione è considerata un potere
dell’essere umano grazie al quale trasforma le impressioni prodotte dai sensi in
immagini, che sono strumenti di pensiero. Attraverso la forza dell’immaginazione e
partendo dalle immagini che produce, l’artista elabora delle forme e delle opere. Nella
doppia valenza del termine “fantasia” utilizzata al posto di immaginazione, ritroviamo
l’oggetto immaginato o immaginario prodotto dall’immaginazione in assenza
dell’oggetto stesso. Jean Starobinski l’immaginazione è da considerarsi “un’azione di
distacco grazie alla quale rappresentiamo le cose distanti e ci distanziamo dalle realtà
presenti.” L’immaginazione contribuisce “a estendere il nostro dominio pratico sul reale
oppure a rompere i legami che ci legano ad esso”. Nel pensiero platonico è imitazione
di un’apparenza, mentre Starobinski ricorda che non vi è imitazione se non “da e per
l’immaginazione”. Da questa “apparenza” e da questa “menzogna” l’arte ricava la sua
“fragilità ontologica”. L’immaginazione non produce né l’evidenza della sensazione
diretta né la coerenza logica del ragionamento astratto. È un’operazione “transitoria”.
Il Romanticismo è stato un periodo di riabilitazione dell’attività di immaginazione e
dell’esperienza vissuta a partire da questa, in cui immaginare è creare e conoscere.
M.H. Abrams ha dimostrato come l’opera romantica smetta di rappresentare il mondo e
divenga fonte di luce. Questa trasformazione è accompagnata da una nuova concezione
del linguaggio poetico: il mondo detto non è più una semplice copia del reale, ma riceve
forma immaginativa dal linguaggio. È necessario distinguere due tipi di immaginazione:
la fantasia, che non crea nulla e si accontenta di associare semplicemente delle
immagini, di avvicinare delle idee in una sorta di immaginazione passiva; e
l’immaginazione attiva. Questo secondo Coleridge. Baudelaire considera
l’immaginazione la “regina” delle facoltà: ordina l’universo visibile “contenitore di
immagini e segni” e crea un “mondo nuovo”. L’immaginazione è di origine quasi divina
in quanto permette di percepire i “rapporti intimi e i segreti delle cose”. Nel contesto
culturale francese l’opera ha avuto come lettore immediato Gaston Bachelard e nello
stesso periodo Jean-Paul Sartre riconosce nell’immaginazione “il centro dell’energia
fisica”. Con Bachelard e Sartre l’immaginazione acquisisce il diritto di essere pensata al
di fuori dei riferimenti obbligati alla percezione. Acquista un ruolo primario rispetto ad
essa e la memoria entra, accanto alla percezione, nella problematica
dell’immaginazione; vi è una “immaginazione del reale e una realtà nell’immaginario”.
II. Il comparatista non può pensare che le esperienze dell’estraneità e i discorsi sul
diverso che costituiscono ad esempio le narrazioni di viaggio, possano trovare la loro
origine negli elementi visivi o sensibili. Si tratta di riflettere su una volontà di

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rappresentazione. Vi è l’instaurazione verbale e mentale di una realtà estranea, una
volontà di interpretazione, un luogo dove sguardo e cultura sono in un’interazione
costante e complessa. La rappresentazione è un’espressione complessa nella quale
entrano in gioco investimenti affettivi e riflessioni critiche. Si tratta di studiare fino a
che punto la rappresentazione sia creazione. Nella forma “instaurante” del filosofo
estetico Luigi Pareyson troviamo due grandi tipi di imagini e di immaginazione: l’uno che
è frutto di un’immaginazione riproduttiva, l’altro che rinvia a un’immaginazione
creatrice; il primo che riprende i topoi, i cliché, gli stereotipi, una quotidianità
con una funzione relativamente prossima all’ideologia, una funzione informativa di una
riproduzione che mira alla diffusione di idee. Il secondo tipo che si apre su una parte di
invenzione, organizzazione testuale, composizione. Alcune immagini studiate dal
comparatista appaiono ispirate da una certa condizione del reale percepito e scoperto:
in questo caso l’immagine è in qualche modo anche un riflesso della realtà, ma è
preferibile rivolgere l’attenzione a quella che è la verità di questa immagine all’interno
del testo dove la si legge. L’immagine obbliga a pensare alla funzione organizzatrice del
linguaggio e dello spazio testuale in cui vi è una trasformazione di realia in parole: ma
ciò che è importante è prendere in considerazione il reale, il visibile per ciò che ha da
dire e in quanto pensato. È altrettanto importante stabilire che non vi è realismo in
letteratura nel senso di un adeguamento al reale, perciò occorrerà esprimere che non ci
è nessuna relazione di esattezza o di non esattezza tra il linguaggio e la realtà.
L’immagine comparativa è una forma di distanza ottenuta tramite le parole, un
simulacro che non ha perduto del tutto la sua relazione con il reale estraneo, ma è
collocato una relazione più complessa tra gli enunciati e le realtà referenziali. È difficile
superare una visione semplicistica secondo la quale lo scrittore si trova davanti a un
reale coerente e decifrabile, trasportabile in parole. È necessario ricordare che vi è una
soluzione di continuità radicale tra il reale e la scrittura, tra realtà e immaginario, che
non significa opposizione né relazione: l’immaginario è ciò che dona forma, contenuto
ed espressione alla realtà. Bachelard parla dell’immaginazione come ciò che “specifica”
l’attività della psiche umana. Questa tesi è prossima al riconoscimento del metodo
secondo cui “vi è un tragitto continuo dal reale all’immaginario.” Il sentiero è
fondamentalmente discontinuo e non serve a nulla contrapporre reale e immaginario.
L’immaginario contiene, veste e dà forma a ciò che chiamiamo reale. È importante
prendere coscienza che le immagini che studiamo o l’immaginario di cui parliamo in
letteratura ha sempre rapporti con un momento storico e con uno spazio culturale dato,
e che è meglio parlare perciò di immaginario sociale. È importante anche tener conto
del fatto che una prospettiva poetica non può che porre fin dall’inizio una soluzione di
continuità tra lingua e reale. D’altra parte esistono molteplici rapporti complessi tra le
realtà culturali e le parole. In una data epoca e in una cultura e in una società definite,
non è possibile sostenere qualsiasi cosa sull’altro, sulle letterature e culture straniere
con le quali un testo, una letteratura intrattiene dei rapporti precisi e storicamente
determinati. Ne deriva il carattere programmatico del testo imagotipico e un
immaginario relativamente sotto controllo. Gran parte dell’interesse dell’imagologia sta
nell’obbligare a riflettere sulle condizioni più o meno specifiche alle quali lavora
l’immaginazione. Nel caso di un testo imagotipico siamo in presenza di un testo che
intende comunicare nella misura in cui la rappresentazione di ciò che è estraneo suscita
la reazione, la lettura attiva di un pubblico, preso a testimone davanti allo spettacolo
della rappresentazione. L’immagine o rappresentazione dell’estraneo si inserisce
all’interno di una tradizione culturale e sociale. Questo fenomeno si spiega attraverso
alcuni rapporti che l’immagine intrattiene con la letteratura in quanto istituzione.
L’immagine si inscrive in certe forme letterarie, più o meno imposte da un dato contesto

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letterario avente un ventaglio possibile di forme e generi, il cui insieme costituisce il
sistema letterario proprio di uno specifico momento storico. Tale rappresentazione,
attraverso la scelta di motivi, temi o miti, fa apparire una terza forma di organizzazione
che dipende sicuramente da dati sia personali che ampiamente collettivi, da riferimenti
che lasciano la loro impronta nel lavoro dell’immaginazione e orientano il contenuto
dell’immaginario in un testo. Converrebbe distinguere in un’indagine imagologica tre
aspetti:
1. Ciò che è conoscenza fattuale, puntuale, materiale (come ad esempio i prodotti del
luogo
“osservato”) necessari all’elaborazione di immagini elementari e materiali del luogo in
questione.
2. Quelle che sono le informazioni, i contatti e che permettono l’elaborazione di
opinioni (studi che rientrano nell’ambito della storia della mentalità). Un vasto campo
culturale che va dalla scuola, dalle prime esperienze di contatto con ciò che è estraneo
(libri di storia, carte geografiche, ecc.), fino ai viaggi e alle corrispondenze epistolari,
passando attraverso lettere parascolastiche. Possiamo pensare anche a informazioni di
carattere non libresco (monumenti, decorazioni,…) che formano l’immaginario
elementare del quale si serve una società per rappresentare l’estraneo. Emblemi, temi
iconografici, sapere iconico, confinano con dei repertori di topoï, cliché e formule
stereotipate i quali formano un serbatoio stabile di rappresentazioni, dal materiale
(sempre verbalizzato) al discorsivo. Siamo vicini a un’ideologia
tradotta in immagini o in parole che costituiscono una mitologia o un’imagerie proprie
di una società e di un’epoca.
3. Il fatto che si tratta di una trascrizione. L’immagine è sempre posteriore ad ogni
impressione, di cui altrimenti non conosceremo nulla. In imagologia, come in
letteratura, si lavora su un “secondo” piano, ossia sul distanziamento operato dalle
parole di una realtà “vista”, “visitata”, ma anche giudicata, ritrascritta.
È a questo terzo livello che potremmo parlare di una “funzione fabulatrice” di cui
l’uomo risponde grazie all’immaginazione. È necessario accennare all’uso di due nozioni
(immaginazione e immaginario) che sembrano a volte interscambiabili, e di affrontare
ciò che in altri “immaginari”, particolarmente quello degli storici, può servire a far
avanzare la riflessione comparatista.
III. È facile trovare nei letterati frequenti slittamenti dall’immaginazione
all’immaginario, sebbene non abbiano grandi conseguenze sul ragionamento.
L’immaginazione può essere memorativa, estetica o miristica e corrisponde all’attività
ricercatrice della memoria, all’arte del linguaggio e a un lavoro retorico, e a una sorta
di contemplazione, come ad esempio di fronte a un paesaggio. Essa si deve studiare in
quanto “potere immaginante”, il quale può creare e interiorizzare immagini e
sentimenti o caricarsi di simboli. In sintesi da un lato abbiamo il “risultato” e dall’altro
“il processo”. Senza dubbio è questa la ragione per cui il secondo termine soppianta
velocemente il primo. Non vi è alcun interesse nel tralasciare la distinzione tra ideologia
e immaginario, evitando l’impiego del termine ideologia. È la ragione per cui pur
ricorrendo costantemente alla nozione di immaginario sociale quando si parla di
letteratura sotto il profilo istituzionale, nei suoi rapporti con un dato spazio sociale e
culturale, è importante essere attenti alla differenza che si stabilisce tra ideologia e
immaginario. Jacques Le Goff pensa che quando si tratta di “schemi concettuali”,
“mentali”, “formati al di fuori del testo analizzato”, conviene parlare di ideologia. In
merito all’immaginario ritiene che si avvicini di più allo studio dei testi e alla ricerca
letteraria propriamente detta. Conviene distinguere una “rappresentazione concettuale”
ossia l’espressione della struttura della società e allo stesso tempo uno strumento

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forgiato per pensarla e imporla “a vantaggio di coloro che hanno dominio” (l’ideologia),
e l’immaginario che sarà riservato “per quei simboli che sono dei veri e propri
personaggi delle opere di immaginazione”. Queste precisazioni permettono ai
compartisti di distinguere tra ideologia e immaginario quale sia il campo privilegiato
nello studio letterario propriamente detto. La distinzione di Le Goff delinea per il campo
letterario tre livelli fondamentali di studio: 1. Lo studio dei rapporti tra la letteratura, i
testi e la società (livello storico ed eventuale studio
dell’ideologia). 2. Lo studio propriamente letterario delle forme, delle strutture di ciò
che costituisce il messaggio
o il testo nella sua elaborazione poetica (livello formale o poetico). 3. Lo studio
dell’argomento della letteratura, della tematica, che nell’insieme può essere definito
l’”immaginario” del testo. A questo livello permane un immaginario “sociale” dal
momento che il primo livello non può essere dimenticato. E soprattutto perché questo
immaginario viene ricevuto e interpretato da una società, influisce e pesa su di essa e
contribuisce a suo modo a instaurare una meditazione simbolica tra questo livello e il
primo, al quale si rivolge e con il quale intende comunicare.
Questi tre livelli costituiscono un primo quadro concettuale. Bisogna prendere in
considerazione anche il processo della comunicazione letteraria che suppone,
contrariamente al processo della semplice comunicazione linguistica fondata sulla triade
emittente-messaggio-ricevente, anche un quarto parametro: la comunicazione letteraria
si poggia su un messaggio messo in forma. Pierre Citti propone una riflessione sulla
rappresentazione che mette in gioco quattro termini: 1. “ciò che rappresenta ed è
rappresentato” (e prende l’esempio dei funghi atomici che
rappresentano la fine del mondo); 2. “ciò che recepisce la rappresentazione” (per
esempio una generazione); 3. “l’istanza che la produce” (un disegnatore, un giornale) 4.
“ciò che garantisce la legittimità della rappresentazione, che la rende possibile o meno”
(il
credere nella possibilità di una catastrofe atomica). Citti sottolinea come i primi tre
termini rinviino a dei procedimenti della linguistica generale, e siamo in presenza dello
schema emittente-ricevente-messaggio, mentre solamente il quarto termine ponga una
“questione nuova” che consiste nell’”oggetto proprio della storia dell’immaginazione”:
“provare a circoscrivere ciò che autorizza o pregiudica la rappresentazione”.
Pierre Citti intende mostrare come certe nozioni alimentino la ricerca scientifica
all’epoca considerata, ma anche come le idee di progresso, decadenza, individualismo,
solidarietà, valori come la verità e la bellezza, orientino gli studi scientifici. Si tratta di
superare lo studio di una immaginazione “materiale” e di iniziare una riflessione sul
“lavoro dell’immaginazione” il quale comincia con un atto. È giusto osservare che il
suffisso di azione marca più nettamente “il dinamismo delle rappresentazioni” e che
immaginario “si oppone di solito a reale”, opposizione ritenuta non pertinente dal
momento che le rappresentazioni sono “reali”. Ciò che interessa a Citti è la messa in
forma di racconto che la storia dell’immaginazione deve studiare in quanto
“rappresentazioni dinamiche”. Egli evoca l’immagine di Napoleone che “corrisponde” a
delle “immagini di glorie militari”, ma anche a una “sequenza narrativa: uomo partito
dal nulla e arrivato a tutto”. Distinguiamo l’esempio nelle tre fasi di studio: 1.
L’immagine è intesa a un livello stereotipato; 2. Appare sotto forma di un aggregato
mitoide, ciò significa da un lato che si attiva la “leggenda”
e dall’altro che l’immagine stereotipata sta per essere tematizzata; 3. L’ultima fase
prevede lo “scenario”, l’articolazione in sequenze narrative, la trasformazione
letteraria ed eventualmente la sua mitizzazione. Tornando alla sua ipotesi di ricerca,
Pierre Citti ricorda come un racconto perché sia “inteso” deve far appello a una

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“garanzia”. Ne deriva l’idea di uno schema di pensiero costituito da quattro fattori: 1.
Colui che enuncia il racconto, il narratore reale o immaginario 2. La storia narrata 3.
l’ascoltatore, effettivo o immaginario 4. La “garanzia”, l’autorità, ciò che determina ciò
che è raccontabile e ciò che non lo è. Istanza a
volte “reale” che rientra nelle prefazioni, nelle avvertenze preliminari necessarie alla
“comprensione del libro”.
Se vi è una “garanzia” e preferiamo parlare di un modello o di un sistema
modellizzante, ci sembra che la garanzia o il modello debbano funzionare a tre livelli:
un certo sistema di valori che costituiscono la garanzia (problematica) che il testo
dialoghi con l’istanza sociale; poi una garanzia formale, che è garantita dal “genere”
dell’opera in questione di cui è nota l’importanza nel riconoscimento del testo da parte
del pubblico; infine una garanzia immaginaria, ossia un modello simbolico, che
conferisce all’opera la sua coerenza e la sua possibile recezione. Per modello simbolico
si intendono gli atteggiamenti fondamentali a partire dai quali si può dare forma scritta
a un’immagine dello straniero (fobia, mania,…); sia un utilizzo pieno e totale della
retorica le cui figure saranno da leggere come dei veri e propri luoghi comuni, delle
situazioni immaginarie. Se il letterato non si trova nel primo livello, non per questo se
ne dimentichi e non pensi di assorbirlo o farlo scomparire nel secondo livello, quello
testuale, con il pretesto di padroneggiarlo meglio. Una vera riflessione letteraria
distingue tre ordini di problemi, dai meno letterari a quelli più generali, provando ad
articolarli. Così si segue il progredire della storia passata dal livello evenemenziale ed
economico al terzo livello, quello delle mentalità. Georges Duby getta le basi di uno
studio sulle “rappresentazioni mentali”. Vuole procedere dal materiale al mentale e
comprendere come nella storia delle relazioni sociali intervengano altri fattori che sono
non meno importanti benché più complessi da studiare perché riguardano la dimensione
mentale e non quella materiale. Si circoscrive in particolare l’immagine che l’essere
umano si fa della realtà della sua condizione economica. Si capovolge il senso di una
ricerca: non si devono più cercare le cause sociali del simbolico, bensì la dimensione
simbolica del sociale. Perché non risalire al precursore della scrittura dell’alterità:
Erodoto? Nella sua scrittura, si può cogliere la prima produzione di immagini
dell’alterità, passando da un’alterità opaca a una portatrice di senso. Dovendo far
conoscere ciò che non è conosciuto, Erodoto dispone di numerose strategie:
l’opposizione dettagliata, la comparazione e l’analogia, il parallelo (ciò che torna a
riportare l’altro a sé stesso, a tradurre e dire l’altro con parole proprie dell’altro) e
descrivere. Altri due procedimenti che interessano sia la riflessione comparativa che i
meccanismi della “comparazione”. Il primo prevede che l’altro sia meraviglioso e
totalmente differente dal conosciuto, ossia l’osservatore; il secondo invece vede
nell’altro il precursore, a volte ritenuto superiore ai riferimenti noti. Ciò che occorre
ricordare è la linea di confine che passa tra due tipi di differenze ovvero la linea
radicale o differenza intransitiva, non dialettalizzabile e la differenza relativa,
dialettalizzabile. Dalla differenza rilevata in B rispetto ad A si può dedurre un discorso
che renderà possibile una
riflessione che si muoverà sulla base di qualsiasi procedere critico tra ciò che si scopre e
si cerca di comprendere di sé stessi, che si rimette in discussione grazie ai nuovi dati o
tramite il discorso stesso. Si delinea il punto di vista comparatistico e la sfida di ciò che
definisce come immaginario. Si rivela e si impone ogni volta che si profila una linea di
divisione tra due culture o che l’essere umano intraprende un dialogo con questo e con
sé stesso. Momenti in cui la coscienza è obbligata a scegliere allo stesso tempo ciò che è
ampliamento della conoscenza e ridistribuzione immediata di questa. Incontro e
differenza sono parole chiave.

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2. Il punto di vista sovranazionale dello studio letterario comparato e la sua
applicazione all’imagologia (Hugo Dyserinck) La letteratura comparata è una disciplina
che si distingue per i suoi oggetti di ricerca multinazionali così come per una prospettiva
sovranazionale. La “multinazionalità” indica il fatto che l’oggetto di lavoro del
comparatista non è mai limitato all’ambito di una sola letteratura. Una volta che si sia
accettata l’esistenza di singole letterature si deve riconoscere che per lo studio dei
rapporti tra le letterature occorra una specializzazione a parte. Qui si pone il problema
del punto di vista che il comparatista deve essere “neutrale” di fronte agli interessi
delle rispettive “filologie nazionali”, deve essere cioè “sovranazionale”. Con questo
aggettivo indichiamo un orientamento che non può essere uguale a quello dello
specialista di una singola letteratura. La prospettiva di un italianista, francesista, ecc. è
sempre legata ad una letteratura nella quale lo studioso è specializzato e della quale
vuole conoscere meglio le strutture e l’evoluzione. Al comparatista interessa sapere se
ci sono delle somiglianze o differenze tra determinati fenomeni della letteratura
francese e tedesca ad esempio. Interessa anche analizzare le relazioni reciproche che
sono esistite e che ancora esistono tra queste letterature. E comincia a indagare sulla
presenza di tratti comuni a più letterature facenti parte di un territorio multilnguistico.
Solo a partire dagli anni Trenta si è cominciato a comprendere il significato della nuova
prospettiva di studio e si è avuto modo di intuire a quali risultati poteva arrivare. Si è
dovuto riconoscere che la presenza di più letterature all’interno del solo quadro europeo
rendeva necessario porre una serie di domande che non si ponevano per lo studio di una
singola letteratura. Per merito di Van Tieghem e Hazard si diffuse la convinzione che
esistessero correnti letterarie che riguardavano contemporaneamente letterature di
diversi ambiti linguistici e grazie al primo si cominciò a comprendere che la stessa
terminologia della storia letteraria e la periodizzazione sollevavano problemi che
dovevano essere risolti Le difficoltà che il futuro comparatista doveva affrontare era
mostrare in che misura ad esempio il classicismo tedesco presentava somiglianze con
quello francese. A questo si aggiungeva anche lo “spirito di concorrenza” tra gli
specialisti francesi e tedeschi. Era diffusa la convinzione della superiorità della
letteratura del proprio paese. Gli studiosi specializzati nei rapporti franco- germanici
erano tutt’altro che comparatisti, anzi erano di posizione diametralmente opposta.
Questi studiosi erano intrappolati nella terminologia propria di uno specialista di storia
della letteratura francese e in quanto tali si impegnavano per accrescere il prestigio del
loro paese. Ci sarebbero voluti diversi decenni prima che i compartisti francesi
raggiungessero il grado di maturità necessario per sviluppare un’attitudine
comparatistica nel senso stretto del termine. Man mano si poteva constatare che in
Francia la letteratura comparata riusciva ugualmente a sopravvivere, mentre in
Germania ciò non sarebbe stato possibile prima della fine del regime hitleriano. La
vicenda del sabotaggio della letteratura comparata da parte dei germanisti tedeschi
inizia con uno dei casi più sorprendenti: l’attività di Max Koch che pubblicava nella
“nuova Germania” di allora, ossia nei primi anni dell’era bismarckiana, ma che in realtà
si volgeva addirittura contro i suoi stessi principi. Le intenzioni di Koch ero quelle di
studiare in modo particolare determinati paralleli o differenze tra la letteratura tedesca
e quelle straniere con la precisa intenzione di conoscere meglio la vita letteraria
tedesca, incentivarla laddove lo riteneva necessario e mostrare che essa era superiore
alle altre. Da allora la “Germanistik” non ha smesso di attaccare la disciplina, sia
opponendosi direttamente alla creazione di cattedre di letteratura comparata, sia
dichiarando che le università avessero bisogno di altri ampliamenti. Quel che occorreva
era che il comparatista fosse capace di comprendere l’evoluzione della letteratura del
paese limitrofo, proiettandosi all’interno di essa. Riconoscere che una corrente o una

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scuola letterarie proprie di una singola letteratura possono essere fondamentalmente
diverse
da fenomeni analoghi aventi luogo in un altro paese, significa già compiere un primo
passo verso un cambiamento di prospettiva. La questione della “neutralità culturale” è
indispensabile per una comparatistica letteraria che voglia svolgere il suo compito di
disciplina specializzata, sovranazionale e indipendente dalle filologie nazionali. Il genere
di strutture epistemologiche sovranazionali esistono anche in altri campi delle scienze
umanistiche. Anche nel campo della storia comparata delle religioni, occorre
un’attitudine speciale, un punto di vista particolare per poter comparare certi fenomeni
senza rimanere imprigionati nella convinzione che solo una di quelle confessioni procuri
la salvezza. L’avversione manifestatasi durante il Novecento da parte di certe istanze
teologiche contro lo studio comparato delle religioni è paragonabile all’atteggiamento
assunto dai filologi nazionalisti verso la comparatistica. Praticare la letteratura
comparata nel senso ristretto del termine significa servirsi di questa visione “neutrale”
di questo modo di pensare che conduce a delle conoscenze alle quali le diverse filologie
non avrebbero alcun accesso. Ma significa anche imparare ad avvicinarsi alle letterature
e alle culture nazionali mirando a sviluppare un’attitudine intellettuale sovranazionale
che tende verso una visione universale. I risultati con i quali questa comparatistica
indipendente da ogni filologia nazionale è stata fin qui caratterizzata si concentrano in
due capisaldi: 1. Una nuova maniera di porre la questione delle analogie e delle
differenze tra letterature. 2. La possibilità di ridefinire la questione delle relazioni
spirituali internazionali. Non occorre più né difendere, né provare che l’imagologia
abbia un senso e un significato propri fra gli altri studi letterari specialistici. Nata da un
orientamento verso le problematiche della ricezione, essa veniva considerata
dall’esterno come una nuova specie di tematologia, per essere subito detestata da parte
di chi vi vedeva un tipo di ricerca consacrata a finalità sociologiche, politiche, ecc., e di
conseguenza rifiutata da tutti coloro i quali credevo che essa non fosse nient’altro che
una sorta di etnopsicologia, disciplina che non volevano far entrare nell’ambito degli
studi letterari, i quali non dovevano deviare dall’impostazione estetica. Fin dall’inizio
images e mirages occupano nelle lettere e nel loro contesto un’importanza troppo
notevole per essere considerate elementi “esterni”. Un altro aspetto che è di pari
importanza è che l’imagologia si basa anche su un fenomeno centrale ed essenziale per
tutta la comparatistica letteraria e per tutta la letteratura comparata: primo, perché
essa deriva dall’interesse per il ruolo dell’immagine che l’osservatore si è fatto
dell’altro, come avviene in ogni confronto tra due o più letterature cosiddette nazionali;
secondo, per il fatto che, in ogni rapporto e relazione tra i rappresentanti di due o più
letterature, l’elemento “lo straniero come si vede” è pressoché sempre basato sulla
concezione che l’osservatore in questione ha di se stesso. Qui si vede l’enorme
importanza del punto di vista sovranazionale. Se si vuole comprendere un image in tutto
il suo significato per il contesto franco-tedesco (se si vuole comprendere la sua
importanza europea o umana), allora bisogna tener presente anche il contesto tedesco e
conoscerlo a fondo; per fare ciò non basta essere specialista della sola storia della
letteratura francese. All’interno dell’imagologia abbiamo sempre più bisogno di un
orientamento sovranazionale e di neutralità culturale perché senza di essi l’imagologia
comparatistica non sarebbe concepibile nella sua forma moderna. Solo questa
prospettiva ci permette di valutare con oggettività le somiglianze e differenze che
esistono tra la vita intellettuale delle nazioni e solo grazie a esso le ricerche
comparatistiche riescono a liberarsi da legami con sistemi determinati da una sola
tradizione intellettuale “nazionale”. È il punto di vista sovranazionale a rendere
manifesta la relatività del concetto della cosiddetta “identità” delle comunità

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all’interno delle quali si è sviluppata una determinata letteratura, e quindi la relatività
di concetti quali nazionalità, nazione, popolo. Le nazioni non essendo altro che risultati
di processi intellettuali di carattere passeggero, rappresentano semplicemente delle
materializzazioni di sentimenti o coscienze. L’imagologia non è solo una sottodisciplina
che si concentra sulla vita letteraria con l’intenzione di condurvi una ricerca, ma
costituisce anche un nuovo approccio alla questione delle identità nazionali che un
tempo si sperava di poter chiarire tramite la cosiddetta “psicologia dei popoli”. Inoltre,
grazie all’imagologia abbiamo potuto non solo riconoscere che, all’interno della nostra
multinazionalità europea non esistono dei “caratteri nazionali”, ma bensì delle images e
delle strutture imagotipiche che dominano la nostra “multinazionalità”, ma ci siamo
confrontati anche con una vasta rete di etero- ed auto-image che costituiscono una
realtà specifica.
È in questo senso che possiamo elaborare fino alle sue ultime conseguenze
un’imagologia comparatistica che va già oltre tutto ciò che è letterario nel senso
limitato del termine e che potrà perseguire le intenzioni già fondamentali per il
comparatismo nascente tra fine 700 e inizio 800. André Siegfried, Salvado de Madariga e
Hermann Graf Keyserling tra i tanti hanno sottolineato la differenza tra l’imagologia
specificamente comparatistica e certi tentativi precedenti di occuparsi di strutture che
ora chiamiamo imagotipiche. Le ricerche condotte da questi studiosi avevano come
scopo finale, sia passando per l’analisi di images correnti o presenti nei testi, sia per lo
studio di altre manifestazioni o forme di comportamento intellettuali, il cosiddetto
“carattere” collettivo di popoli, tribù, comunità etniche ed altri. Gli studiosi
dell’imagologia sviluppata all’interno della letteratura comparata non danno credito ai
“caratteri nazionali” e respingono questa ipotesi. Quel che conta è conoscere il modo in
cui gruppi di persone di vedono reciprocamente. Invece di parlare di “psicologia” delle
comunità nazionali ed etniche parlano di imagotipia; e per designare la ricerca che si
occupa dei problemi in questione, usiamo l’espressione etno-imagologia. La
comparatistica ha fatto nascere all’interno delle scienze umane una nuova disciplina
specifica che può stimolare tra gli abitanti del nostro pianeta nuove forme di
comprensione reciproca e mutua intesa.
3. Gli studi comparati interculturali (Earl R. Miner)
I. Novità degli studi veramente interculturali
Non è passato molto da quando la letteratura comparata aveva un’impostazione
intraculturale e la cultura su cui implicitamente si fondava era solamente quella comune
all’Europa e all’America del nord e pochissimi argomenti venivano scelti al di fuori dei
limiti consueti. Gli studi comparatistici di culture che non avevano avuto rapporti di
scambio intellettuale o che non avevano delle tradizioni comuni venivano rifiutati
perché tacciati di impressionismo e di mancanza di rilevanza scientifica. Questo
atteggiamento era un’eredità dell’imperialismo europeo, di un’epoca in cui la maggior
parte di ciò che non era EU o US di trovava sotto il dominio dell’EU. Questo imperialismo
era tale che la più grande potenza imperiale tradizionale, UK, non ha tutt’oggi mostrato
che un limitatissimo interesse perfino per lo studio della letteratura comparata europea.
Alcuni avvenimenti recenti hanno capovolto la situazione. L’EU ha perso la maggioranza
dei suoi domini e ha visto declinare la sua influenza sul mondo. Il JAP si è mostrato
capace di condurre una guerra crudelissima per poi rinascere e divenire la potenza
commerciale più espansionista della fine del XX secolo. Questo ha provocato la scoperta
di un’importante tradizione letteraria, nata prima di quelle europee, dalle quali
differisce in modo sostanziale. La rivoluzione cinese ha posto fine a ogni ingerenza
straniera sul suo territorio e le poche informazioni giunte a proposito dell’evoluzione
degli avvenimenti hanno fatto scaturire in noi il desiderio di vedere e capire questa

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importante cultura. Siamo diventati consapevoli del fatto che la letteratura cinese è
quella più antica del mondo ed è emerso quanto fosse necessario tener conto della prosa
narrativa e drammatica cinese oltre che della sua poetica prevalentemente lirica.
L’India non è solo la culla originaria di numerose lingue, ma anche il luogo in cui molte
di esse tuttora convivono. Ne consegue che la nostra conoscenza della letteratura
indiana si limita al riconoscimento dell’esistenza di alcuni lunghi poemi e alla
consapevolezza che si tratta dei più antichi testi letterari del mondo. L’Islam, l’Africa e
l’America del Sud sono sembrati caratterizzati da elementi culturali troppo diversi e
lontani intellettualmente per essere rilevanti. Descrivere le questioni in questi termini
significa presentare la letteratura come un oggetto determinato da forze sociali ed
economiche, mentre essa, come ogni forma di pensiero, possiede un’energia propria.
II. “Sine qua non” degli studi interculturali: una migliore teoria degli studi intraculturali
Qual è il principio della comparazione? Quando consideriamo l’interesse che il
romanticismo europeo ha riscoperto nei confronti della letteratura greca, ci accorgiamo
che in pratica è difficile determinare se le nostre comparazioni di queste due realtà
siano di tipo intraculturale o interculturale. Esistono alcune differenze fra la letteratura
comparata interculturale e quella intraculturale. In primo luogo, le lingue coinvolte non
sono della stessa famiglia. Inoltre, non si discute di rapporti di influenza. L’approccio
dello studio comparato interculturale differisce da quello intraculturale, e certi
argomenti (come l’”influenza”) sono vietati all’uno mentre permessi all’altro. Inoltre,
gli studi comparati interculturali sollevano alcuni problemi propri di ogni studio
comparato in modo da rinnovarlo, rivoluzionando conseguentemente tutta la disciplina.
Quando il concetto di influenza è analizzato al di fuori del contesto euro-americano,
non sembra più così semplice. La ricezione della letteratura asiatica da parte degli
scrittori occidentali moderni riguarda alcuni tipi di poemi e opere drammatiche, ma non
le forme narrative, mentre il contrario è vero per quanto riguarda la ricezione della
letteratura occidentale moderna da parte delle letterature orientali. Le sottigliezze
della prosa parallela o della prosa rimata diffuse nella letteratura cinese esigono una
conoscenza della lingua cinese che gli scrittori occidentali non possiedono. Quindi
perché fare tanta attenzione a quello che è stato chiamato haiku, invece che ai poemi
più lunghi della corte giapponese? Oppure, premesso che gli occidentali hanno prestato
poca attenzione alle opere asiatiche di prosa narrativa, perché gli scrittori dell’Asia
orientale hanno scelto di accogliere con tanto entusiasmo proprio la prosa narrativa fra
le possibilità offerte dalle letterature occidentali?
III. Le egemonie condizionano le relazioni interculturali ma non bastano a spiegarle
Quando una nazione o una cultura hanno un grande potere, o prestigio culturale, gli
scrittori di altre nazioni o culture saranno disposti a essere ricettivi nei suoi confronti. Si
può chiamare “influenza” ciò che condiziona o comporta la ricezione. Ad esempio gli
scrittori coreani e giapponesi sono stati ricettivi nei confronti della Cina, che li ha
influenzati, anche se la Cina non recepiva nulla dalla KOR e dal JAP. Oltre al Buddhismo,
la Cina ha recepito dall’India alcuni elementi letterari. L’IND non ha “ricevuto” nulla
dalla CHI ma ha esercitato un’influenza nei suoi confronti. L’egemonia politica comporta
una certa influenza culturale, diretta o indiretta. La Cina è senza dubbio il Paese che più
a lungo ha esercitato un’egemonia e lo ha fatto con grande autocompiacimento. La
“dolce Francia”, nonostante non sia stata una potenza imperialista di poco conto, si è
data per missione quella di essere la depositaria della civiltà del resto del mondo. Per i
francesi la gastronomia, il vino, l’amore, il denaro, la Francia e la loro “civilizzazione”
non possono essere oggetto di battute di spirito. Questa presunzione culturale ha
esercitato un’influenza universale e ha comportato la sua accettazione in gran parte del
mondo. Tuttavia la ricezione è possibile senza influenza, e l’influenza senza ricezione.

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Posso esistere grandi potenze che vogliono vedere la loro ideologia apprezzata e la loro
importanza riconosciuta. Ancora oggi la lingua ufficiale dell’Associazione Internazionale
di Letteratura Comparata resta il francese, anche se l’inglese sembra essere diventato
più importante e familiare a tutti. Gli studi comparati interculturali ci permettono di
valutare meglio alcune idee critiche diffuse, come quella dell’”ansia da influenza” e
della spiegazione freudiana che le ha fornito un fondamento scientifico. In Asia orientale
come nell’Islam esiste al contrario quella che si potrebbe chiamare “l’ansia di non
essere influenzati”. Questa “inquietudine dell’influenza”, che sembra universale, è
frutto di una rivalità nata fra i contemporanei. Il “peso del passato” è stato sentito solo
a partire dai romantici occidentali, ma anche a proposito degli autori di quell’epoca.
Nello stesso modo è comune a tutti desiderare la novità, o meglio quello che sembra
nuovo, anche se spesso si rivela essere una tradizione proveniente da un’altra cultura.
Gli elementi determinanti per l’influenza e la ricezione sono le operazioni del nostro
cervello, alcune differenze culturali e realtà di fatto come il potere e il prestito delle
nazioni. Le testimonianze interculturali non solo chiarificano meglio questi elementi, ma
ci dissuadono anche dal considerare universali le tendenze limitate a un periodo della
nostra cultura.
IV. I generi: pietra di paragone delle specificità culturali
Gli studi interculturali chiariscono le nostre difficoltà terminologiche su questioni tanto
diverse quali i canoni, la periodizzazione e i generi letterari. Le questioni legate ai
generi letterari attirano la nostra attenzione perché questo tipo di studi richiede una
terminologia capace di evitare affermazioni imprecise. Spesso con lo stesso nome
vengono indicate pratiche letterarie differenti, persino nella stessa area culturale.
Questa può sembrare una discussione puramente terminologica, ma ha delle implicazioni
importanti. Il principale capolavoro della letteratura giapponese è un monogatari (che
significa ”che racconta delle cose” o “raccontare”). Questo vuol dire che altre
letterature dovrebbero avere dei monogatari come apici letterari? O che è necessaria
una versione autentica di monogatari in ogni letteratura in piena fioritura o che è
impossibile che si verifichi? Non è il modo tradizionale di presentare il problema. I
termini correntemente usati sono “eurocentrici” e quindi ci si chiede piuttosto perché in
Cina o in JAP non ci sono, ad esempio, tragedie o epopee. Anche questa domanda si
fonda su alcune premesse implicite: cioè che la tragedia e l’epopea siano delle entità
chiaramente definite, che siano una proprietà dell’occidente, oppure che i monogatari
siano solo giapponesi.
La tragedia secondo i greci raramente era a lieto fine. Durante il Medioevo le tragedie
erano costituite da storie di rovesci di fortuna del genere detto “de casibus”. La
tragedia inglese può ammettere al suo interno la commedia e la violenza sulla scena,
quella francese no. In che cosa consiste allora, la definizione di “tragedia”? Sembra
molto difficile non prendere in considerazione un certo numero di casi non occidentali,
che si tratti di opere drammatiche o meno. Immaginiamo che qualcuno decida che non
possono esistere dei monogatari occidentali. Bisogna chiedersi allora cosa siano i
monogatari. Appare chiaro che monogatari è un termine che designa la prosa narrativa,
la quale tuttavia in molte versioni giapponesi comprende al suo interno anche poemi
lirici. La presenza della poesia nella prosa narrativa sembra essere una caratteristica
della letteratura dell’Asia orientale. Ciò nonostante, il genere della prosa narrativa
appartiene alla maggior parte delle letterature. La conclusione più generale che se ne
può trarre è che spesso i termini che usiamo sono imprecisi e difficilmente applicabili in
contesti diversi da quelli in cui sono nati. I critici letterari dovrebbero quindi trattenerli
all’interno delle loro frontiere culturali per impedirne applicazioni inesatte. Gli studi
comparati interculturali non possono permettersi alcuna indulgenza nelle interpretazioni

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di carattere normativo riguardo termini quali tragedia o monogatari. Non si tratta solo di
una questione inerente al comparatismo interculturale. Il vantaggio degli studi
interculturali non risiede nel fatto che siano in grado di trovare delle soluzioni a questi
problemi, quanto piuttosto per renderli visibili.
V. Sistemi e sistematizzazioni
Che cos’è la letteratura e che cos’è la comparazione? In ambito strettamente europeo
la letteratura non può essere oggetto di definizioni circoscritte poiché le frontiere si
estendono o si ritirano a seconda di come essa viene descritta, di come si modificano le
istituzioni e di come intervengono considerazioni di carattere normativo. La formazione
delle nostre idee attuali sulla storia letteraria risale al XVIII secolo. Gli studi
intrerculturali offrono la possibilità di capire la natura dei sitemi letterari. Una delle
prime scoperte che facciamo attraverso di essi è che le somiglianze e le differenze
dipendono dal modo in cui delimitano i fenomeni considerati. Le diverse letterature
sembrano mostrare delle grandi differenze persino all’interno di ognuno dei loro sistemi
ristretti. Se partiamo da basi interculturali, in cui questi sistemi sono messi a confronto,
appaiono sia una coerenza relativamente maggiore sia l’esistenza di alcuni problemi non
osservabili in ciascun insieme più ristretto. La letteratura esiste prima che si formino
idee sistematiche sulla letteratura. I poemi di Omero ed Esiodo corrispondono alla
definizione che chiunque di noi potrebbe dare di “letteratura”, ma ai loro tempi non
esisteva alcun pensiero critico che permettesse di definire una nozione sistematica del
fatto letterario. Se ci occupiamo di capire i sistemi letterari che sono stati definiti
storicamente, possiamo sperare di ottenere risultati più soddisfacenti. Un sistema
letterario appare quando una o più riflessioni critiche definiscono la letteratura in modo
normativo, cioè fanno coincidere il concetto di letteratura con una sua forma
particolarmente apprezzata. In Occidente, questo momento è segnato dall’Accademia
ateniese quando Aristotele converte e inverte l’insegnamento di Platone, definendo la
letteratura in termini di “dramma”. Il sistema di Aristotele è mimetico e comporta
l’ipotesi realista secondo la quale il mondo è conoscibile e nello stesso tempo reale.
Senza questa supposizione, nessuna versione mimetica del mondo sarebbe sostenibile. I
tre elementi radicali (o principi) riconosciuti da Aristotele erano: il mondo, il poeta-
creatore e la creazione artistica prodotta, cioè l’imitazione. Menziona una sola volta la
catarsi, ma non ha posto il lettore in genere come quarto radicale. L’omissione del
momento della ricezione nei principi della poetica è stata compensata da Orazio. Non
desta meraviglia che la sua poetica sia di tipo affettivo, dal momento che espresse le
sue opinioni sulla letteratura proprio a partire dai generi lirici. Questo contributo servì a
completare il sistema occidentale e durante il Rinascimento divenne opinione comune
che le finalità della letteratura fossero il piacere e l’utilità e l’imitazione. La storia
della definizione del sistema della letteratura sembra semplice. Gran parte della sua
semplicità riguarda la sua ovvietà, cioè il fatto che ci sembra naturale che le cose si
siano svolte in questo modo. In realtà dal punto di vista interculturale questo sviluppo
non è naturale, tranne che per quanto riguarda i meccanismi formali che sono alla base
del costituirsi di un sistema letterario. In tutte le altre culture il sistema letterario viene
creato viceversa sulla base della lirica, non dal dramma, e nell’Est asiatico sulla base di
alcuni tipi di scritti storici che possono essere considerati parte della lirica. La poetica
lirica differisce da quella di Aristotele e non esige l’apparizione di Orazio per
aggiungervi il pezzo mancante: infatti il mondo, il poeta, il lettore e l’espressione
condivisa sono già integralmente presenti.
È legittimo prevedere che esistano tre tipi fondamentali di letteratura o generi. Ogni
opera di una certa complessità presenterà tracce o tratti tipici anche dei due generi
letterari a cui non appartiene, ma non possiamo riconoscere la compresenza di queste

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caratteristiche senza aver preso atto della loro esistenza indipendente. Ci si può
aspettare che altre ricerche di natura interculturale amplino considerevolmente la
nostra comprensione. Le informazioni raccolte attraverso strumenti interculturali sono
particolarmente preziose, perché ci permettono di vedere i limiti del nostro abituale
modo di procedere, rendendo altresì visibili le caratterizzazioni più generali, altrimenti
impercettibili a causa delle differenze locali dei fenomeni. Gli studi interculturali
offrono un barlume di speranza per la comprensione di questioni spinose, quali lo
statuto di verità della letteratura e dei valori letterari. Spingono a considerare
essenzialmente sospette le generalizzazioni basate unicamente su prove intraculturali.
VI. Ricerca delle norme di comparabilità
Ci sono due elementi particolari nella pratica attuale della letteratura comparata. Uno
è l’assenza di comparazione e l’altro è l’assenza di norme di comparabilità: non è chiaro
su che cosa si può fondare il valore di una comparazione e quali sono le regole che
decidono quali elementi possono essere considerati prove della comparazione. Le
comparazioni che vengono fatte possono mancare di metodo per principio; le
comparazioni sono più stimolanti quando mettono in relazione delle vere differenze:
testi scritti in due o tre lingue, o separati cronologicamente da un secolo o più, oppure
con differenze qualitative. Questo principio il cui fondamento è molto comune può
essere ulteriormente esteso e per questo la comparazione interculturale è più
appassionante. La validità delle generalizzazioni è molto più fondata quando le prove
vengono tratte dall’universale invece che solo da ciò che è familiare. È ormai essenziale
che quanti intraprendono studi comparatitici interculturali abbiano acquisito principi di
comparabilità. Possiamo mettere a confronto uno scrittore inglese e uno cinese che sono
entrambi vissuti nel XVIII secolo, che hanno entrambi scritto in prosa e che si sono
preoccupati della vita e del destino dei loro personaggi. Ma nessuna delle condizioni
citate, prese singolarmente o nel complesso, costituisce una base sufficiente per la
comparazione. Ogni studio esige dei dati, delle prove (elementi giudicati pertinenti),
un’ipotesi e un metodo che permetta di controllare l’ipotesi per mezzo delle prove. Tali
questioni non hanno bisogno di essere trattate in modo meccanico, ma ci sono esigenze
di coerenza metodologica da rispettare.
VII. Valore particolare degli studi interculturali: l’estraneità di ciò che è completamente
diverso ci guida alla scoperta di legami profondi
Esistono tre possibilità di impiegare la comparazione interculturale e tutte e tre
implicano dei tipi di comparazione. La caratteristica del primo metodo “la prova
dell’alterità”, consiste nell’utilizzare alcuni elementi propri di una cultura per spiegare
dei fatti meno familiari in un’altra, così che la prima sia l’elemento “probante” e la
seconda “ciò che viene provato” e spiegato. La prova che si serve di elementi
appartenenti a una cultura diversa viene utilizzata sapendo che gli elementi probanti e
quelli provati sono simili, ma non precisamente comparabili. Attraverso un uso
consapevole della differenza più radicale e di elementi che sono riconosciuti come
somiglianti solo in parte e si vuole spiegare ciò che viene messo alla prova ed è questa
differenza a permettere la comparazione. Il secondo metodo di comparazione
interculturale può essere suggerito parte dalla considerazione delle “funzioni”.
Supponiamo di aver cominciato lo studio delle epopee cinesi e di aver scoperto che non
ne esiste nessuna che corrisponda ai nostri criteri abituali. Ci potremmo domandare
quali sono le funzioni dell’epopea. Se decidessimo che comprendono la glorificazione di
un grande passato, la celebrazione dell’apice del destino di una nazione, personaggi più
grandi della natura e un sentimento di elevazione, potremmo sostenere che gli scritti
storici cinesi sono l’equivalente delle epopee occidentali. Si ricorderà che in Cina i
generi storici figurano accanto ai generi lirici delle arti letterarie. Ci si accorge di quali

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possono essere i rischi di un tale modo di procedere, ma si può immaginare che un
ricercatore perspicace e dotato di conoscenze solide possa chiarire per mezzo di tale
procedimento comparativo un grande numero di questioni.
VIII. Affinità formali: effetti privi di causa o segni di universali? Il terzo metodo è molto
semplice. Si tratta di prendere come oggetto un fenomeno letterario o una pratica che
sia formalmente identica in più di una cultura. Che sia avvenuto un contatto letterario
non è una condizione necessaria per gli studi interculturali; ed è sulla base di studi
interculturali che prescindono dal contatto letterario che si può arrivare a formulare
un’osservazione di valore generale: ciò che in essi appare come una condizione
necessaria costituisce anche l’oggetto della dimostrazione e il risultato finale di tutte le
comparazioni interculturali. Considerato il fatto che ogni teoria letteraria si fonda
sull’idea implicita che le generalizzazioni siano “universalmente” valide, questa ipotesi
funziona solo nella misura in cui può essere dimostrata attraverso una comparazione
interculturale. Questo tipo di comparazione riguarda sia lo studio tipologico che quello
storico. Le altre possibilità, ovvero la poetica affettivo-espressiva e la mimesi, sono
tipologiche (in quanto sistemi) e storiche (riguardo l’origine e l’evoluzione).
IX. L’Occidente privilegerebbe la mimesi e l’Oriente l’espressività?
Nel giro di qualche decennio si è potuto arrivare a sostenere che l’oggetto letterario è
autoreferenziale e che l’attenzione prestata da un lato all’autore e dall’altro al lettore
produce degli errori critici, rispettivamente quello genetico e quello affettivo.
Recentemente si è discusso se si debba o meno tener conto dell’intenzione dell’autore o
della ricezione affettiva. Per una ragione o l’altra la lingua inglese associa la finzione
con il racconto, in particolare con il romanzo. In realtà il solo genere necessariamente di
finzione è il dramma. Questo può forse spiegare perché il dramma abbia conosciuto una
stima critica tardiva. Un drammaturgo non solo scrive a proposito degli altri, ma deve
anche mettere a tacere la sua identità personale. Ciò che i cinesi hanno maggiormente
valorizzato è la componente amatoriale per la quale il pubblico e l’autore potevano
scambiare i loro ruoli di poeta e pubblico. Sembra che i giapponesi stimino la sincerità
spontanea e la franchezza più di ogni altro popolo. Sembra anche che questo accada
perché ogni scrittore appartiene a una scuola e deve rispecchiare quello che fanno i suoi
condscepoli. Una delle ragioni della concissione della critica cinese dipende dal fatto
che una concessione brillante è preferita a un’elaborazione precisa e corretta ma senza
fantasia.
X. La teorizzazione interculturale è condizionata dall’insufficiente conoscenza dell’altro
La maggior parte degli studi comparatitici occidentali, nella sua pratica istituzionale,
rifiuta di prestare attenzione alla letteratura non occidentale. Questa sembra non
esistere e seppure esiste non ha alcuna importanza. Non si tratta veramente di
letteratura. È una negativa eredità dell’imperialismo ed è stata attaccata con passione
sotto l’etichetta di “orientalismo”. Resta chiaro che l’Europa è colpevole allo steso
tempo di disinteresse e di interesse male intenzionato nei confronti delle culture del
Medio Oriente. L’Europa le ha scartate come se non meritassero attenzione oppure ha
creato un’immagine dell’orientale che l’imperialismo ha imposto anche ad altre culture.
Le Americhe presentano analogie molto simili; in una certa misura l’America centrale e
quella del Sud sono il Medio Oriente dell’America del Nord. Se si ammette che anche
quelli che hanno una maggiore apertura sono comunque prevenuti, come si possono
superare i pregiudizi e allo stesso tempo conservare alcuni criteri di valutazione
necessari per l’attività dello studioso di letteratura? Alcuni vorrebbero farci aderire al
concetto di “letteratura” priva di qualifiche nazionali. Noi concepiremo la lettura come
unica e generalizzata soltanto lavorando al plurale e partendo dalla tesi che gli studi
comparatistici hanno per oggetto le letterature.

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XI. Non ridurre il diverso dall’identico Ognuno porta con sé nelle proprie letture i
pregiudizi. La speranza di una “fusione di orizzonti”, sembra pura fantasia. Ma possiamo
lavorare dialetticamente fra le letterature per realizzare delle analisi multiple mettendo
alla prova i nostri stessi pregiudizi a contatto con i fatti interculturali. Ci accorgiamo
che anche se le opere in prosa sono spesso oggetto di studio, la prosa come ritmo
differente dalla poesia non è stata sufficientemente studiata.
XII. All’interno del sistema universale le assenze sono compensate da presenze in altri
contesti Le insospettabili presenze o assenze di alcuni fenomeni nelle letterature
costituiscono un eccellente punto di partenza della comparazione interculturale.
L’ostacolo principale allo studio interculturale è il pregiudizio del provincialismo. Se uno
dei problemi attuali del comparatismo consiste nel non comparare, gli studi
interculturali rendono invece la risposta a questo problema un bisogno urgente. Non
passerà molto tempo che i nostri successori si domanderanno perché non abbiamo
cercato di risolvere questi problemi e come abbiamo potuto fingerci veri compartisti
senza studiare materiali e questioni interculturali. Resta molto da fare per affrettare la
venuta di quest’epoca, che va favorita sia per delle ragioni di natura intellettuale, che
in nome dell’integrità morale della letteratura comparata in quanto scienza umana.
4. Internazionalismo e nazionalità della letteratura comparata (Yue Daiyun)
La prima ragione d’esistenza della letteratura comparata è la sua natura
internazionale. Il presupposto del superamento dei confini nazionali risiede nel fatto che
ognuna delle diverse letterature nazionali è caratterizzata da specificità proprie,
viceversa se esse fossero tutte uguali non sarebbe possibile istituire alcuna
comparazione. Dopo cento anni di storia dal 1886 al 1986 è possibile affermare che il suo
“internazionalismo” è rimasto chiuso all’interno del sistema culturale occidentale e che,
a causa delle teorie eurocentriche e del colonialismo, la disciplina si è quasi assunta il
compito di annientare le caratteristiche proprie alle culture nazionali asiatiche,
africane, latino-americane. Nell’ultima parte del ventesimo secolo gli studi di
comparatistica hanno avuto un forte sviluppo; infatti a partire dagli anni Ottanta, alcuni
importanti compartisti hanno energicamente superato le teorie eurocentriche e
l’ideologia colonialista. Nei paesi del cosiddetto terzo mondo (Asia, Africa e Sud
America) la letteratura comparata, influenzata in maniera decisiva dall’avvento dell’era
postcoloniale e dalle teorie post-strutturaliste, conosce oggi una fioritura senza
precedenti e lascia prevedere uno sviluppo ancora maggiore. Con il progressivo venir
meno delle teorie eurocentriche si è fatta avanti una nuova tendenza generale, definita
con il termine di “multiculturalismo”, la quale ha dato vita al nuovo internazionalismo
della letteratura comparata. Il postcolonialismo ha pervaso gli animi e ogni nazionalità è
ridiventata sé stessa, riscoprendo e manifestando i propri caratteri nazionali. Con
l’avvento dell’era dell’informazione si è realizzata la trasmissione interculturale ad alta
velocità; in ogni luogo, ogni popolo di diversa cultura può ricevere nel medesimo istante
la stessa notizia, e ogni tentativo di isolarsi, di mantenere le distanze, evitando i
contatti, incontra notevoli resistenze. Tutto ciò dà nuove possibilità allo sviluppo della
letteratura comparata e può interessarsi non solo delle culture simili interne al sistema
occidentale, bensì guadagnare uno spazio senza precedenti attraverso il confronto tra
culture “diverse”, dell’EU e degli US, dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Stiamo
vivendo una rivoluzione tecnologica e delle trasformazioni culturali di portata maggiore
che in qualsiasi altro periodo del passato, tanto che le credenze acquisite e un tempo
accolte universalmente ora sono messe in crisi e perdono importanza. Di fronte alla
rinascita delle culture nazionali la letteratura comparata potrà rinnovarsi solo
accettando la sfida e proponendo nuove teorie e soluzioni ai problemi. Per gli
intellettuali europei non è facile mettere in pratica tutto ciò; ci vuole capacità

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autocritica e bisogna affidarsi allo spirito di collaborazione e alla disponibilità altrui. In
un mondo definito ormai “postcoloniale”, gli intellettuali europei devono liberarsi dalle
proprie inclinazioni coloniali, il che vuol dire accettare la logica del confronto. Questa
logica si costruisce sulla base di un mutuo beneficio e di una uguaglianza con gli uomini
che si “decolonizzano” dall’EU. Oggi, nell’ottica dei paesi che sono stati colonizzati del
tutto o in parte, il problema principale è come rapportarsi alla propria cultura
tradizionale trovandosi in un contesto globale post-coloniale. Una volta liberatisi
dell’oppressione del colonialismo, la prima cosa a cui pensano i popoli dei paesi ex
colonizzati è come restaurare la propria cultura originaria per poi diffonderla altrove.
Questa tendenza è lecita e non può essere biasimata. Spesso, tuttavia, porta con sé un
sentimento estremo di appartenenza nazionale. Queste persone ritengono che
l’eurocentrismo abbia lasciato il posto al centrismo orientale e che mentre in passato
potevamo apprezzare solo i classici occidentali, oggi dobbiamo guardare al mondo solo
con i nostri classici. Questo modo di pensare non dà vita a nulla di nuovo, non fa che
riprodurre in un’epoca e in un contesto diverso tutti gli errori delle passate teorie
eurocentriche. Oggi l’incontro tra la cultura orientale e occidentale può e deve essere
diverso che nel passato, uno scambio volontario a due sensi, basato su principi del
beneficio, della conoscenza e dell’uso reciproci. Tale scambio è la base del nuovo
internazionalismo della letteratura comparata nell’epoca postcoloniale Quanto al modo
di porci nella nostra cultura tradizionale, affinché essa contribuisca all’evoluzione della
letteratura comparata, restano ancora due questioni su cui riflettere: in che modo
intendere la cultura tradizionale, attraverso quale cultura tradizionale dialogare con il
mondo e in che maniera praticare lo scambio? Si deve reinterpretare con coscienza
contemporanea la “cultura già costituita” del passato, investendola di nuovi significati.
La cultura ha luogo adesso e comprende tutto ciò che concerne i contenuti della società;
la cultura è un continuo processo evolutivo, in costante formazione. Certamente oggi la
nostra “coscienza contemporanea” non può restare immune da tutte le altre coscienze
“esterne”. Ogni cultura diventa matura grazie all’influenza di altre culture e
prescindere dalla storia e dalla realtà per ricercare la pura cultura natia è tanto
impossibile quanto inutile. Se si vuole comunicare occorre avere i mezzi per farlo,
bisogna cioè “parlare” una lingua comune.
Le due parti devono poter riconoscere e comprendere una serie di regole utili alla
discussione. Nel contatto culturale si presenta il problema di quale lingua usare per
comunicare. Se si comunica solo con il “linguaggio” straniero, la cultura natia viene
portata dentro il sistema culturale straniero, perde le sue caratteristiche peculiari e
molti suoi elementi preziosi vengono spinti all’esterno fino a scomparire gradualmente.
Se si comunicasse solo con il linguaggio della “propria cultura”, oltre al fatto che non si
verrebbe compresi dagli “stranieri”, sarebbe anche difficile trovare una propria “lingua”
culturale incontaminata, visto che qualsiasi cultura si sviluppa nel costante influsso e
nello scambio con le altre culture. Solo se si capisce questo si potrà realizzare un vero
contatto culturale. Con la sua storia, le sue caratteristiche e convenzioni comunemente
accolte, la letteratura forma un proprio campo di produzione, pertanto i fenomeni
sociali a esso esterni né solo possono essere esclusivamente rifratti e non venire riflessi
direttamente al suo interno, né possono rimanere identici a come erano fuori da questo
campo. Se si applica questa teoria al contatto e al dialogo culturale, possiamo affermare
che la cultura A interagendo con la cultura B produce naturalmente questi fenomeni di
rifrazione. Allorché i gruppi o gli individui che appartengono alla cultura A entrano in
quella B vi portano dentro elementi del proprio campo culturale che rimangono negli
studi e nelle formazioni dell’altra cultura, modificandoli. Storicamente ogni cultura può
assorbire e trarre beneficio da tutte le altre soltanto attraverso scelte, misreading,

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interpretazioni esagerate e cambiamenti. Spesso si sente dire che solo i cinesi possono
capire veramente la Cina, sottolineando che la conoscenza della Cina da parte degli
stranieri non sia degna di attenzione. In realtà non è necessario che gli stranieri
capiscano la Cina esattamente come i cinesi, ma devono solo scegliere ciò che li
interessa, traendone giovamento. In quest’ottica, lo sviluppo futuro della cultura
mondiale porterà alla coesistenza di più culture nazionali aventi caratteristiche diverse.
In ambito letterario, considerato che l’umanità condivide aspetti simili della vita nonché
forme di esperienza, le letterature di sicuro si troveranno a trattare molti temi comuni
come “la coscienza della morte”, “ecologia e ambiente”, “la fine dell’umanità”. Uomini
e donne appartenenti a diversi sistemi culturali, una volta posti davanti a questioni così
ineludibili, daranno una risposta che varia a seconda della propria esperienza storica e ai
propri modi di vita e pensiero. In tali risposte risuonerà l’eco di una lontana tradizione
storica, insieme alle decisioni e alle interpretazioni dei contemporanei. In questo
dialogo equilibrato, probabilmente chiederemo aiuto alla nostra tradizione, ma la cosa
più importante è che man mano si venga formando un nuovo sistema di comunicazione
mondiale. La nuova lingua deve essere sia vecchia che nuova. Nel processo della sua
graduale formazione, tutte le nazionalità del mondo arriveranno a capirsi veramente.
Nei suoi cento anni di storia la letteratura comparata ha incontrato diversi problemi, ma
allo stesso tempo ha ottenuto anche grandi risultati. La cultura occidentale ha
contribuito fattivamente all’evoluzione della cultura umana nel corso di cinquecento
anni e noi possiamo andare avanti partendo da questa base esistente. Negli ultimi
vent’anni di storia della letteratura comparata la teoria letteraria è diventata centrale.
Al fine di piegare certi fenomeni della propria letteratura, la comparatistica cinese ha
dato vita agli “studi sull’interpretazione”. Ma questi fenomeni sono o no in
contraddizione con la specificità nazionale della comparatistica letteraria cinese?
Esistono certamente fenomeni di emulazione o imitazione frutto di un adattamento
forzato, così come esistono vere e proprie imitazioni di atteggiamenti tipicamente
colonialisti. In generale negli ultimi vent’anni di riforme e d’apertura a queste teorie
sono riuscite a emergere nuovi percorsi di ricerca fornendo punti di vista altrettanto
nuovi, utili a esplorare materiale inedito e a porre nuove domande. Se ci liberassimo di
quei modi di pensare orientali e occidentali che risultano troppo codificati e
cominciassimo guardare con lo sguardo nuovo della globalità, non avrebbe più
importanza sapere da dove nasce una teoria. Basterebbe, per essere adottata, che fosse
razionale, utile e servisse a risolvere problemi concreti. Un altro aspetto del problema è
che durante il passato dominio coloniale la produzione culturale nazionale nei territori
colonizzati o semicolonizzati non poteva sottrarsi all’oppressione dell’egemonia delle
culture coloniali, mentre, in una condizione di post-colonialismo, lo sviluppo del
multiuclturalismo dovrebbe portare spontaneamente alla nuova fioritura delle culture
nazionali. In questo modo le nazionalità non occidentali torneranno a guardare la
propria cultura tradizionale con occhio moderno, la arricchiranno di nuove
interpretazioni, la renderanno comprensibile ad altre nazionalità, contribuendo allo
sviluppo della cultura mondiale. La “teoria” ha una posizione centrale nella disciplina.
Per “teoria” si intende la ricerca teorica sul
corpo stesso della letteratura da un punto di vista astratto. Studia i modelli e le forme
dei testi letterari, così come le modalità della produzione di contenuti letterari, spiega
le somiglianze e le diversità tra le opere e chiarisce i principi secondo i quali esse si
collocano nella storia. La teoria letteraria costituisce lo studio della forma del letterario
in quanto tale. La teoria cerca di spiegare come l’idea di letteratura guidi la produzione
e i significati del testo letterario. Indaga come determinati contenuti storico-culturali
vengano rifratti dalla letteratura, in quale maniera cioè prendono forma. La teoria è

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interessata all’utilizzazione di forme e tecniche, nonché alla loro trasformazione, inclusi
i modi e le forme creati dai testi letterari all’interno di sistemi culturali ed epoche
diversi. Le teorie letterarie contemporanee possono far evolvere le problematiche che
affrontano, sommando le esperienze e le teorie accumulate per lungo tempo da tutte le
culture nazionali del mondo e possono cercare di risolvere le questioni che l’umanità
esperisce attraverso la letteratura. Nel processo di dibattito, avvicinamento,
interscambio tra teorie letterarie nazionali diverse, si forgiano concetti, categorie e
temi nuovi. Questi concetti, temi e categorie, oltre a fare della teoria letteraria una
disciplina che entra in una nuova fare di “mondialità” e “modernità”, riusciranno
attraverso il loro reciproco contrasto a mostrare più chiaramente il vero volto, valore e
spirito di ogni poetica nazionale. In questo processo, anche l’internazionalismo e la
nazionalità della letteratura comparata conosceranno una nuova evoluzione.
SEZIONE II Contributi attuali alla teoria e alla critica imagologica in Italia
1. Imagologia e traduzione: la rappresentazione dell’altro attraverso il viaggio del testo
(Paolo Proietti)
L’analisi e l’interpretazione del testo tradotto rappresentano i momenti fondamentali
nell’approccio critico al testo letterario. La natura ibrida del testo tradotto diviene un
forte interesse di carattere comparatistico. Lo studio delle immagini dell’Altro
attraverso l’affiormento di immaginari sia individuali sia collettivi assume un grande
valore per l’analisi compartistica. Analizzare le dinamiche di influenza che le immagini
dell’Altro giocano nei processi di costruzione del testo tradotto permette di investire la
riflessione sulla traduzione di una portata culturale oltre che propriamente linguistica.
Questo suggerisce già quanto la rappresentazione dell’Altro attraverso lo studio delle
immagini che lo caratterizzano e la ricezione letteraria attraverso il testo tradotto,
siano due ambiti di ricerca prossimi l’un l’altro, che non possono essere studiati
separatamente. Per questa ragione si seguiranno due passaggi: adottando una
prospettiva imagologica si svilupperanno alcune considerazioni di carattere più generale
sul ruolo delle immagini in Imagologia e sull’apporto che questi studi possono fornire agli
studi sulla traduzione; poi da una prospettiva traduttologica si proporrà un modello per
un approccio pragmatico agli aspetti imagologici dell’attività traduttiva.
I. Imagologia e traduzione Nell’era della globalizzazione e delle migrazioni di massa,
può sembrare paradossale fare riferimento alle ideologie nazionali o alle varie modalità
di espressione dei sentimenti di appartenenza che, di fatto affollano il nostro quotidiano
e sempre più si attestano sotto forma di immagini ostacolo, come gli stereotipi, i
pregiudizi, ecc. Proiettare queste considerazioni nell’ambito della traduzione significa
investire quest’ultima di una portata ermeneutica che va oltre la trasposizione
interlinguistica, inscrivendo questa pratica in una dimensione autenticamente
conoscitiva, nella quale il trasportare parole ed espressioni da una lingua all’altra,
assume la dimensione di un’attività complessa, che cerca di creare un ponte fra universi
culturali. In questo spazio di interconnessione l’imagologia incontra la traduzione:
fissare per iscritto immagini, percezioni collegate all’idea e all’immaginario che una
comunità o un paese hanno dell’”alterità” si traduce in un’operazione di arricchimento
della conoscenza del proprio Sé così come quella dell’altro. Lo studio delle immagini è al
centro dell’interesse di molte prospettive scientifiche e ciò è direttamente collegato
alla realtà storica in cui viviamo. L’essere circondati da immagini determina in noi la
tendenza a sviluppare un modello di pensiero costruito per immagini, cosicché la fissità
e la mobilità delle immagini stesse, la loro tangibilità non sono in rapporto di dissonanza
con la vita psichica delle immagini, le cui aperture si affacciano su territori vasti e
contenuti diversificati. L’analisi del discorso e l’ibridismo, unitamente alla centralità del

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cambiamento storico, costituiscono aspetti centrali per l’imagologia e la traduzione, che
hanno in ciò un fondamento
comune e un terreno d’incontro. L’idea e il perfezionamento di un modello imagologico
inteso come strategia narrativa sono stati teorizzati e messi a punto a partire dagli anni
Settanta da Paeaux. L’esigenza di fondo era ed è quella di sondare in profondità la
relazione esistente fra l’immaginario letterario e la dimensione emozionale dell’essere,
per analizzare con quale tipo di relazione gerarchica l’insieme dei simboli scritti
rappresenti e si traduca nel testo in un insieme di emozioni e immagini concettuali usate
per descrivere l’Altro. In questo modo indica un percorso imagologico che prende le
mosse dal testo letterario e sfocia nella sfera dell’immaginario individuale e collettivo.
Si tratta di un modello analitico ed ermeneutico che trova il proprio centro sulle
immagini letterarie e sulla loro capacità di “tradurre” su un piano metaletterario insiemi
di simboli rinvianti a un significato, costruito socialmente. Secondo Roland Barthes ogni
significato è l’espressione di un’immagine attraverso la quale si manifesta un
immaginario, una visione parziale, soggettiva della realtà. Le immagini sono in tal senso
i contenitori di questi significati; sono una creazione dell’uomo e nei processi di
costruzione delle immagini vi sono fattori temporali, spaziali, socio-culturali, politici che
giocano un ruolo importante: i pregiudizi, le convenzioni culturali, le abitudini sociali.
Nell’ambito di un più ampio processo di significazione, questi fattori si concretizzano in
forma di rappresentazioni che formano a loro volta il corpus delle immagini. La
riflessione sulla traduzione letteraria orientata all’analisi della funzione sociale o
culturale permette di indagare i processi di cambiamento che interessano la lingua verso
cui si traduce, la sua modernificazione, così come la sensibilità e l’immaginario delle
culture che entrano in contatto. La traduzione rientra nella fenomenologia della
comunicazione e “ogni modello di comunicazione è al tempo stesso un modello di
traduzione, di trasferimento verticale o orizzontale di significato” nel momento in cui il
principio di fondo di questo atto comunicativo si esplicita nella trasmissione del
significato nel tempo e nello spazio: è in tal modo che una cultura straniera, veicolata
attraverso la letteratura tradotta, trasmette informazioni sulla cultura dell’Altro
osservato. Ci si trova di fronte a un’imagologia che non si occupa solo del processo di
costruzione di queste immagini, ma ne indaga la loro portata all’interno del testo
letterario così come le relazioni che il testo intrattiene con il contesto. Partendo da un
interesse storico-culturale, il percorso imagologico si apre all’interdisciplinarietà e
investe in questioni di poetica entrando nel processo creativo dell’opera letteraria. Nel
primo caso si è di fronte a un’imagologia votata alla circolazione delle idee, nel secondo
di iscrizione di un’immagine nel processo poetico di scrittura dell’opera. Oggi
l’imagologia può fornire un valido sostegno agli studi sulla traduzione, sia attraverso i
propri studi metodologici, sia attraverso i propri modelli teorici fondati su un approccio
testuale multidisciplinare. Per Hugo Dyserinck bisognava capire quanto gli studi
imagologici focalizzati su “mirages” e su “images” fossero legati alla psicologia dei
popoli e quanto si dimostrassero utili o necessari nell’ambito di una pratica
comparatistico-letteraria autonoma. Colse la fecondità dell’approccio sociologico-
letterario nella valutazione del rapporto opera-lettore, nonché affermatare l’esigenza di
analizzare i meccanismi attraverso i quali l’immagine letteraria di una nazione è in
grado di influenzare i giudizi e i pregiudizi su di essa. In questa prima fase, la sua
teorizzazione sulle immagini letterarie poggia su tre questioni di fondo: la persistenza di
talune immagini in determinate opere; il ruolo di mediazione delle immagini nella
diffusione delle opere letterarie oltre l’ambito letterario nazionale di loro pertinenza; il
riconoscimento del valore illusorio di certe “images” e di certi “mirages” che, allestiti
sul pregiudizio e presenti nei testi di storia e critica letteraria, inducono a

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un’interpretazione del testo letterario disturbata dal filtro dell’ideologia. Per questa sua
qualità rappresentativa che le permette di riorganizzare e trasporre le realtà su un
piano simbolico, l’immagine si configura come vero e proprio strumento linguistico
attraverso il quale si esprime il nostro immaginario: il valore referenziale dell’immagine
letteraria fa di essa un simbolo, la cui valenza monogamica la avvicina allo stereotipo.
Pageaux individua tre momenti dello studio imagologico: la centralità dell’analisi
lessicale e del campo semantico condiviso dallo scrittore e i lettore; lo studio delle
relazioni gerarchiche che si instaurano nel confronto fra l’Alterità osservata; il contesto
d’insieme nel quale rientrano alcune attitudini mentali fondamentali trasposte nel testo
letterario fortemente condizionanti il contenuto tematico dell’opera. L’immagine
interpretata attraverso questo approccio penetra la cultura che osserva e ne esprime il
suo immaginario. L’imagologia si presta anche alla trattazione di questioni più
direttamente riconducibili alle distorsioni ideologiche rintracciabili nelle
rappresentazioni letterarie delle culture dei paesi emergenti. Gli studi sulle immagini
letterarie finalizzati alla promozione di un’imagologia
interessata alle questioni relative alla costruzione culturale e alla rappresentazione
letteraria dei caratteri nazionali vengono chiamati etnotipi. Partendo dal presupposto
scientifico che l’opera letteraria non sia mai l’espressione di un assoluto, da una
prospettiva comparativa il testo letterario è considerato nelle sue diverse manifestazioni
e forme di relazione possibili. È l’attestazione di un incontro che si è compiuto fra due o
più culture che il testo letterario ha mediato, diventando l’espressione di questo
incontro attraverso la codificazione di elementi tematici, linguistici, morfologici, storici
e culturali, altrimenti difficilmente riscontrabili all’interno di una medesima cultura. Lo
spazio di questa relazione, laddove l’accesso alla lingua d’origine fosse impossibile, è
colmato dalla traduzione, dal testo tradotto. Nella stagione della globalizzazione
disporre delle chiavi giuste per accedere alle dinamiche di comunicazione del testo in
traduzione può contribuire ad una migliore comprensione dei meccanismi di costruzione
e di espressione delle culture e l’imagologia si dimostra essere una pratica analitica ed
ermeneutica fondamentale in questo processo.
II. Traduzione e imagologia In un testo tradotto l’analisi delle immagini dell’Altro è
molto importante: le traduzioni possono esercitare un ruolo attivo o un effetto
trasformato sull’immagine esistente o affiorante dell’altro. Come è nata una data
immagine dell’Altro? Dove, in quale contesto e in quale momento storico? Quali
conseguenze e ripercussioni ha alimentato? Sono interrogativi che fra la fine degli anni
’60 e ’70 il compartista Hugo Dyserinck anticipava e su cui poneva l’attenzione nel
confronto critico internazionale. Egli si focalizzava sulle potenzialità sottostimate di
quelle pratiche che presiedono la formazione delle immagini, dimostrando come autori e
testi vengano tradotti perché corrispondenti all’immaginario che di essi si ha nelle
comunità verso le quali si traduce e come sia dimostrabile il fenomeno contrario.
L’interazione fra immagine e traduzione può verificarsi e produrre effetti a diversi
livelli, interessando aspetti come la scelta dei testi che si vogliono tradurre, la loro
interpretazione, le scelte traduttorie prese. Nei processi traduttivi a vari livelli
l’immagine dell’Altro esercita un ruolo potenzialmente formativo: precedentemente al
processo traduttivo, durante il processo traduttivo e durante il processo di ricezione del
testo tradotto. A un primo livello, preliminare a quello della traduzione vera e propria,
fattori come l’immaginario d’attesa del pubblico verso il quale si traduce, possono
esercitare condizionamenti sull’editore o sul traduttore in merito alla scelta dei testi
che si vogliono tradurre, nonché sul successo dei testi presso il pubblico. L’immagine
dell’Altro entra in una logica di condizionamento o interferenza con le norme di
carattere letterario ed estetico che determinano la scelta traduttiva di editori e

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traduttori. Il testo tradotto diventa espressione di dinamiche che si sono prodotte
preliminarmente alla sua stessa scelta, attraverso le quali fattori come la tipologia
testuale, la comunità dei lettori, le case editrici, esercitano un condizionamento
sull’importazione di quel dato testo in una data lingua e cultura in un dato momento
storico. Si tratta di “reti di corrispondenze” fra pubblico e istituzioni che si allestiscono
a livello nazionale o globale intorno a questioni che catalizzano gli interessi degli attori
che agiscono all’interno del processo. Queste questioni non vanno sottostimate;
implicano la possibilità o meno di avvalersi di traduzioni indirette, passando attraverso
la mediazione di alcune lingue piuttosto che altre, mettendo in eventualità il giusto
risalto dell’operazione di intermediazione linguistica avvenuta od oscurandola.
Procedendo nel processo traduttivo del testo, ossia lo svolgersi del processo
interpretativo durante l’attività di traduzione, le scelte prese dal traduttore si rivelano
importanti perché destinate a produrre un effetto sul proprio finito. Il testo che si sta
traducendo viene inquadrato all’interno di un processo di significazione: l’immagine
dell’Altro può determinare le scelte traduttive incoraggiando omissioni, aggiunte,
codificazioni del testo. L’immagine dell’Altro nella mente del traduttore può influenzare
il testo tradotto. L’ultimo livello del processo traduttivo, nella comunità dei lettori è
altrettanto significativo. La partita del successo all’estero di un testo o un autore spesso
si gioca anche attraverso l’utilizzazione delle immagini dell’Altro ad essi collegate più
radicate e attese nell’immaginario del publico dei lettori. Le immagini dell’Altro
possono essere mantenute, rinforzate, modificate, completamente cambiate nel
compiersi del paradigma traduttivo. Queste diverse situazioni possono dipendere da
fattori spaziali e/o temporali così come da condizionamenti socioculturali del pubblico
ricettore, ma anche il ruolo esercitato dall’editoria e dal traduttore non vanno
sottostimati.
2. L’imagologia interculturale nell’attuale contesto culturale e mediale (Nora Moll) I.
Premesse e sfide dell’imagologia interculturale L’imagologia è un campo di ricerca della
comparatistica letteraria incentrato sullo studio delle immagini e del così detto “altro”,
attraverso le quali è possibile risalire alle strutture mentali individuali e collettive atte a
formulare definizioni e giudizi più o meno costanti su chi è estraneo rispetto alla
nazione, alla cultura o al gruppo etnico di appartenenza. Affianco e attraverso l’analisi
critica delle immagini letterarie e culturali dell’altro, gli studi metodologici vertono
sulle forme di rappresentazione letteraria della propria nazione o civiltà. La costruzione
discorsiva e i dispositivi retorici sull’altro si intrecciano con la narrazione e la
mitizzazione della propria identità collettiva; e dal punto di vista degli studi di
comparatistica, la letteratura occupa un ruolo centrale all’interno del processo di
reciproche definizioni e visioni, un ruolo di incunabolo di nuove visioni e scenari ignoti.
Nata all’interno della scuola positivista francese durante i primi decenni dello scorso
secolo e inizialmente legata alla “psicologia dei popoli”, l’imagologia ha ricevuto
notevoli impulsi innovatori ed è stata intensamente praticata soprattutto dalla
comparatistica francese e tedesca sviluppando metodologie molteplici e segnate da
ambizioni e prospettive più o meno interdisciplinari. In Italia l’interesse verso le nuove
metodologie imagologiche fu sino ad anni abbastanza recenti sporadico. A partire dagli
anni ’80, in un clima di ripensamento di categorie concettuali quali l’identità nazionale
e culturale, i vari rappresentanti dell’imagologia europea e italiana hanno dimostrato di
saper fornire dei contributi preziosi a uno studio letterario inteso come unione tra
l’universo testuale e la realtà storico-sociale, tra immaginario di un singolo autore e
l’immaginario collettivo di una comunità. L’imagologia letteraria è sin dai suoi esordi
una disciplina eminentemente europea, rivolta a questioni e ambiti per definizione
intraculturali. Reichardt e Rolfha hanno iniziato a interessarsi all’analisi di immagini

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letterarie, individuali e collettive, di culture diverse e distanti, ma anche
all’esplorazione delle reciproche visioni delle popolazioni europee nell’insieme della
loro grande varietà. A partire dagli impulsi offerti ad essa da Dyserinck si è registrata
una particolare enfasi posta sulla necessità di effettuare un lavoro di demistificazione
circa le immagini letterarie e culturali che si erano formate nel corso dei secoli sul conto
di nazioni “piccole” e all’interno delle regioni di confine. Ai suoi occhi queste regioni
europee rappresentavano un’occasione di studio, il cui obbiettivo era colmare delle
lacune all’interno della mappatura critica dell’immaginario europeo, ma anche
demistificare lo stesso concetto di nazionalità generalmente intesa come entità storico-
politica volta all’omogeneità. I compartisti del suo gruppo rilevano nel concetto di
nazionalità la natura dialogico-differenziale di un “modello di pensiero” nel quale la
visione delle altre nazioni era da considerarsi uno dei possibili mezzi per la definizione
della propria identità collettiva. Nell’ottica di esplorare maggiormente le relazioni che
le auto- ed etero-immagini letterarie altri studiosi hanno posto l’accento sulla necessità
di oltrepassare i confini del solo campo letterario, al fine di condurre studi più
comprensivi sull’immaginario. Per Pageaux l’image si configura come punto di contatto
tra il discorso letterario e altri discorsi, artistici e non, tra la cultura “alta” e quella
popolare, tra testi finzionali e informativi; l’image è al centro di uno studio delle
attitudini mentali di una collettività, che ne segue le sue ramificazioni nel campo
dell’estetico, del politico, del mediale e del commerciale. Nelle teorie e studi
comparatistici sviluppatisi nel cinquantennio che va dagli anni ’60 all’inizio del XXI
secolo, siamo di fronte a uno strumento formidabile per analizzare criticamente le
rappresentazioni reciproche delle collettività umane, su piano sia intra- che
interculturale. All’interno di tali rappresentazioni, la letteratura, dal punto di vista
imagologico, sviluppa diverse modalità di traduzione dell’alterità, operando
contemporaneamente una auto-traduzione simbolica, mitica, o più o meno stereotipata,
nella quale elementi fisici o decisivi, espressioni di idee e riprese di “parole fantasma”
sono più o meno predominanti. È sull’analisi di tali modalità che la ricerca imagologica
interviene, spaziando dall’analisi lessicale del singolo testo a quella comparativa tra una
serie di testi posti in una relazione imagotipica, in senso sia sincronico che diacronico,
fino ad arrivare a delle conclusioni sul macrotesto della cultura “che guarda” ciò che è
diverso da sé. Indaga sui tanti modi delle nazioni e delle culture di “stare insieme”
all’interno dell’immaginazione letteraria, ma anche sulle conseguenze che quest’ultima
ha avuto relativamente all’apertura o alla chiusura di una cultura verso l’altra; cerca di
capire se e come le culture in questione sono riuscite a instaurare un dialogo, oppure se
e come una determinata collettività si è impegnata a sopprimere, ideologicamente o
materialmente, l’altra. Dall’analisi della produzione imagologica in campo europeo,
nello stesso cinquantennio, emerge un dato: nonostante la presenza di alcune aperture
verso un’imagologia interculturale prevale un
punto di vista europeo ed eurocentrico. Secondo quest’ottica sono le nazioni europee a
guardarsi e definirsi reciprocamente, ed è l’EU a guardare verso l’altrove, ma non ad
essere oggetto di un “writing back” che metta radicalmente in discussione il suo
desiderio di supremazia riflesso nelle sue letterature. È questo stesso “writing back” e lo
studio di queste “vere differenze” culturali che viene posto al centro degli studi post-
coloniali, emersi alla fine degli anni ’70 con la rappresentazione mistificatoria
dell’Oriente nell’immaginario occidentale e sulle implicazioni politiche e istituzionali di
questo processo culturale. La crescente diffusione, tra gli anni ’80 e ’90 degli studi della
“teoria” post-coloniale nel mondo accademico europeo e nordamericano, rappresenta
più o meno implicitamente una sfida per un ripensamento e una revisione critica degli
stessi statuti disciplinari dell’imagologia. L’attuale ritorno alla frammentazione

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identitaria interna all’EU e l’inasprirsi del discorso politico comunitario che sempre più
spesso fa leva sull’uso di stereotipi nazionali, sembrerebbero rendere particolarmente
urgente una maggiore cooperazione internazionale e interdisciplinare. Ma proprio il
confronto con gli studi post-coloniali sollecita una domanda: esiste un’imagologia
interculturale propriamente detta, oppure hanno preso il sopravvento altri indirizzi, più
determinati a rispondere alle esigenze di un mondo globalizzato, all’emergere delle
letterature extra-europee?
II. Tra etica ed estetica (e semiotica) delle immagini: imagologia e studi post-coloniali
Mettendo a confronto l’imagologia con gli studi post-coloniali, salta agli occhi un dato
fondamentale. Si tratta del radicale eclissamento del valore estetico del singolo testo
letterario, a fronte della messa in evidenza del suo valore, o disvalore, etico: obiettivo
comune sia della “vecchia” imagologia, sia della teoria e degli studi post-coloniali è lo
smantellamento testuale, al fine di trovarvi tracce ideologiche, costrutti simbolici e
strutture profonde che vengono messe in relazione con altri testi oltre che con il
contesto storico-politico. Si tratta di un lavoro di demistificazione che solitamente è
posto all’insegna di una dichiarata intenzione etico-politica, ovvero l’idea di mostrare a
un pubblico i vari inceppamenti ideologici e imagotipici di cui si è resa co-responsabile
la letteratura. Di primaria importanza in questo contesto era la revisione del concetto di
nazionalità, che non veniva più associato ai “caratteri nazionali” ma riproposto come
modello di pensiero o costrutto culturale e immaginario, storicamente modificabili e
frutto di reciproche visioni. Pageaux incarnava tale obiettivo etico nella definizione di
una serie di attitudini mentali rintracciabili nella rappresentazione individuale e
collettiva dell’altro, sul piano letterario e generalmente culturale. Questa definizione
comprende quattro varianti: 1. La mania: la realtà straniera è ritenuta da uno scrittore
e/o da una collettività come superiore
o più “desiderabile” rispetto alla cultura d’origine (italomania tedesca del 700-800,
anglomania dei filosofi francesi illuministi,…)
2. La fobia: secondo la quale un paese, una cultura straniera o un gruppo umano sono
considerati come inferiori (rappresentazione europea dell’Africa durante l’epoca dei
regimi coloniali, antisemitismo,…)
3. La filia: sussiste quando una realtà straniera viene giudicata come politica, è
caratteristica in tutti i contesti di vero scambio dialogico “alla pari” tra le culture,
rispettoso delle differenze e teso a trasformare “l’altro” in un partner equo con cui
interloquire.
4. Attitudini che tendono a cancellare le differenze inglobandole in una stessa identità
unitaria, spesso a volte senza ricostruire, anche politicamente, un’unità perduta
(panslavismo, pangermanesimo, panafricanismo)
Tali attitudini possono sussistere contemporaneamente all’interno di una stessa cultura
o rovesciarsi bruscamente l’una sull’altra. Nel confronto tra imagologia e studi post-
coloniali gli studi di Edward Said possono essere definiti come dei lavori di imagologia
interculturale, volti principalmente a demistificare un grande “costrutto fobico”, vale a
dire l’Oriente immaginato, narrato, sognato e posseduto dalle potenze coloniali
occidentali. In questo contesto apre la sua analisi alla dimensione affermativa nei
confronti di tale immaginario e delle sue espressioni in termini di potere, memoria e
“archivio”, una dimensione che poggia su e trae linfa proprio dal grande e incontestabile
valore estetico di opere centrali per il canone occidentale. Contemporaneamente mette
in evidenza il potenziale “antagonistico” della parola letteraria, in autori sia europei
che extraeuropei e comunemente classificati come “post-coloniali” tutti intenti a
fornire, nei loro testi funzionali così come in quelli saggistici, delle “risposte” alla
visione distorta della propria cultura da parte dell’Occidente.

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III. Imagotipie transculturali e prospettive intermediarie Una possibile strada da seguire
nel tentativo di praticare un indirizzo imagologico che sia contemporaneamente
interculturale ed europeo, è la sua applicazione al vasto campo della letteratura della
migrazione o transculturale. L’apparizione sin dagli anni ’50 del Novecento sulla scena
delle lettere europee di scrittori figli della globalizzazione, della decolonizzazione e
della “grande migrazione”, rappresenta una realtà stimolante dal punto di vista degli
studi comparatistici incentrati sulla discussione di questioni identitarie e tesi a una
riflessione sul destino degli studi umanistici in un contesto politico mondiale di estrema
emergenza. Un campo che costituisce un accurato contrappunto ai particolarismi
nazionali e ai costrutti ideologici volti a esaltare la propria cultura o nazione, in
contrapposizione con o a difesa dell’altro e dal diverso. Lo scrittore transculturale
articola sul piano estetico e creativo un discorso-cerniera che combina elementi
imagotipici, volti alla definizione del sé e dell’altro, ma anche all’espressione
dell’ibridazione identitaria, con elementi imagologici, atti a demistificare lo sguardo
dell’altro sul sé, a denunciare i cortocircuiti fobici del linguaggio e le “parole fantasma”
razziste. La capacità di rapportarsi con la società d’arrivo facendo leva su un doppio
sguardo diventa un potente motore tematico ed estetico. Un punto che costituisce una
delle sfide dell’analisi imagologica contemporanea svolta in chiave interculturale: di
fronte a un serbatoio testuale che presenta frequenti tratti imagologici sarà compito
dello studioso approfondire le valenze estetiche di questi aspetti testuali, oltre che
dell’imaging insito nella narrazione della cultura d’origine e della messa in scena degli
incontri- scontri tra varie identità culturali. La messa in scena e in intreccio delle
immagini del sé e dell’altro richiederà l’impiego di strumenti quali la semiotica testuale,
la narratologia e l’analisi retorico- linguistica al fine di tracciare adeguatamente le
valenze estetiche oltre che etico-politiche dei testi. L’imagologia interculturale volta
all’esplorazione del vasto campo della letteratura nelle lingue europee prodotta a
partire da esperienze e da poetiche della migrazione, in un primo momento è radicata
nella contemporaneità. Essa si occupa di testi della letteratura post-coloniale e
migrante contemporanea analizzandone il potenziale demistificatorio insieme alle
valenze estetiche ed imagotipiche inerenti alla costante necessità da parte dei loro
autori di negoziare l’identità culturale oltre che personale. Si profila come
un’ermeneutica culturale europea e interculturale, in base all’idea che le nazioni
europee siano diventate lo scenario di un incontro tra culture e mondi diversi: un
cambiamento che chiama in causa il gioco dialettico tra identità e alterità, dai
molteplici risvolti psicologici, sociali e culturali. Prendendo in considerazione
l’accelerazione di informazioni possiamo constatare che anche le rappresentazioni
interculturali hanno raggiunto un grado inaudito di complessità e un particolare livello di
efficacia e diffusione, soprattutto le rappresentazioni fobiche di altre culture e dei loro
rappresentanti. La comparatistica imagologica ha il compito di individuare nel grande
serbatoio dell’inter- e transculturalità letteraria, artistica e audio-visiva un potenziale
contro-discorso culturale che mette in luce la natura pregiudiziale e gli inceppamenti
ideologici dei discorsi dominanti, propagati e rafforzati dai media. Le immagini culturali
possono trasformare la realtà, creare e alimentare conflitti, cambiare le nostre
coscienze. Queste stesse immagini possono però anche farsi espressione di una cultura
del dialogo, di frontiera, di condivisione di prospettive inter- e transculturali.
L’imagologia letteraria vista e usata come ermeneutica del discorso culturale, a
tutt’oggi conferma essere uno strumento adeguato per far fronte a tale complessità e
per “mondializzare la nostra mente”.

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