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A che cosa serve la letteratura?

Storia di
un’autointerrogazione e dei suoi esiti operativi
di Giuseppina Danese - Liceo "Primo Levi" di San Donato milanese

Generalmente adottiamo due punti di vista per guardare la


nostra esperienza: un punto di vista alto, che allontana per
poter valutare, e un punto di vista basso, che si immerge nel
flusso esperienziale nell’illusione di poterlo comprendere
meglio.Un terzo punto di vista è quello narrativo, che non
stabilisce criteri valutativi a priori, né si lascia sommergere dai
cosiddetti vissuti. Per me, insegnante di letteratura italiana nel
triennio del liceo, il punto di vista narrativo ha costituito un
approdo personale, la necessità di riflettere sui presupposti
teorici della letteratura, il bisogno di portare alla luce gli
assunti impliciti dei manuali in uso nei licei, ed infine la
scoperta di una didattica “utile”, cioè di una modalità di lavoro
capace di dare senso a ciò che si fa.

La crisi delle modalità routinarie che mettevo in atto è stata


determinata anche dalla decisione di non liquidare come
semplicistiche le domande, spesso implicite, degli adolescenti
davanti al testo letterario. Domande di natura teorica: “ qual è
e dov’è la verità in questo testo?”, e di natura pratica: “a che
cosa mi serve studiare la letteratura?”. Mi sono chiesta se,
attribuire ai testi letterari la funzione di laboratorio
sperimentale di verifica del contesto storico e/o della verifica
delle ipotesi sull’intenzionalità dell’autore stesso, fosse
congruente ai bisogni formativi degli studenti, se fosse proprio
questo lo specifico del sapere letterario. Per analizzare il testo
letterario usavo gli strumenti teorici e narratologici del
paradigma formalista e strutturalista, senza però averne chiari
i presupposti teorici.

Non voglio discutere qui problemi di teoria letteraria e


linguistica, ma soltanto porre all’attenzione che, questioni
relative alla verità del testo letterario, alla natura
dell’immaginario narrativo, alla distanza o analogia tra
letteratura e realtà, hanno un rapporto diretto con le valenze
formative della letteratura, con le modalità cognitive degli
adolescenti e con il loro stile di approccio ai testi. Inoltre la
questione del rapporto tra enti d’invenzione e realtà si pone
spontaneamente ed automaticamente all’esperienza di ogni
lettore, e quindi anche dell’adolescente.La contraddittorietà
dell’esperienza del lettore, che sa di trovarsi davanti ad eventi
e personaggi non veri, e la sensazione che gli stessi eventi e
personaggi siano veri, finendo con l’identificarsi con essi, è
stata indagata e spiegata in vari modi, in genere appuntando il
focus sull’aspetto di referenza.Lo strutturalismo e il
formalismo, presenti come assunti teorici, generalmente
impliciti nei manuali, sono i principali responsabili del
tecnicismo didattico e della perdita di valenza formativa della
letteratura, perché nell’ottica strutturalista il testo letterario
non va visto come espressione personale dell’autore, ma come
catena di rapporti formali. Nell’analisi del testo domina
incontrastato l’intreccio, che investe di sé ogni altro elemento.
Anche i personaggi sono meri agenti in rapporto alle unità
dell’intreccio. Porsi di fronte al testo secondo questi assunti
significa non rendere ragione del gioco della mente, dell’autore
e del lettore, gioco che rende immaginario alla mente ciò che
recepisce nello stesso momento in cui lo ricrea.

La ricezione dell’opera si pone quindi come l’altra faccia della


creazione dell’opera, il doppio volto del gioco creativo della
mente, ed è in questo territorio soggettivo ed aleatorio
l’aspetto comunicativo e formativo dell’opera letteraria di
fiction. Uso il termine inglese fiction, purtroppo oggi
desemantizzato, perché il suo significato, intraducibile in
italiano, rende meglio di ogni altro l’idea del racconto
d’invenzione come gioco della mente che crea un mondo
possibile. Fiction richiama sia la nozione del “fingere” (dal
latino fictio che ha il duplice significato di “composizione” e
“finzione”), sia quella di creare ( latino fictor, “artefice” nel
latino classico, “dio creatore” nel latino ecclesiastico).

L’opera di fiction si pone in rapporto con la realtà sia


falsificandola, rinominandola con la simulazione, stabilendo
con lei rapporti di contiguità, sia intervenendo su di essa,
ricreandola, trasformandola come se l’arte potesse rifondare la
realtà. Il gioco della mente dell’autore rende immaginario a sé
stessa un “mondo possibile” “come se ne potesse esistere uno
così”, mentre il gioco della mente del lettore partecipa alla
finzione “come se credesse all’esistenza di un mondo così”. E
se, secondo Ricoeur, esiste analogia tra “l’essere nella storia” e
“fare dei resoconti su di essa”, il discorso di fiction può essere
definito il resoconto dell’essere, del sostare
momentaneamente, in un mondo possibile.

Con questi presupposti il nodo da sciogliere, per me


insegnante, consisteva nel progettare un percorso didattico nel
quale l’adolescente potesse comprendere sé stesso e le sue
modalità di pensiero costruendo ipotesi per comprendere l’altro
da sé, cioè il mondo al quale l’autore dà vita nel testo
letterario. Ho elaborato una definizione di punto di vista che si
è rivelata funzionale sia al lavoro autobiografico che a quello
sul testo letterario: punto di vista come situazione interna del
vissuto dalla quale si guarda e si realizza la sintesi del
percepire e del pensare in senso lato, punto di vista come
funzione della mente che costruisce resoconti tra il conscio e
l’inconscio intorno all’esperienza del “qui e ora”, sintesi
continua, sempre in movimento, tra il passato e il futuro.

Con queste ipotesi di lavoro abbiamo giocato a scuola con il


pensiero-fiction, imparando a immaginare scenari per capire il
quadro di riferimento mentale dell’autore.C i siamo abituati a
porci domande su come quell’autore abbia costruito il suo
contesto di riferimento, insieme a chi, attraverso quali
esperienze, con quali riferimenti valoriali e rappresentazioni
sociali. Abbiamo imparato a interrogare la biografia dell’autore
e il suo contesto storico. Un aspetto importante del lavoro, per
le sue valenze trasformative, è l’addestramento a
rappresentarsi l’altro da sé, ad incontrare il terreno
dell’intenzionalità e quindi dell’alterità psichica, scontrandosi
con l’inattingibilità dell’altro, con l’impossibilità di
comprenderlo, immediatamente e “veramente”. E’ un lavoro di
immersione nella complessità della costruzione sociale dei
significati, che ci imbrigliano mentre ci sono necessari, li
cerchiamo mentre li rifiutiamo.

Il racconto autobiografico procede, a volte parallelamente a


quello di fiction, altre volte apparentemente svincolato da
esso. Il connubio autobiografia-letteratura consente di
formulare legittimamente obiettivi ambiziosi, perché fondati
sul sapere del “vissuto personale” dello studente:obiettivi
educativi e formativi:- acquisizione della consapevolezza
dell’identità personale come pluriappartenente;- acquisizione
di capacità empatiche attraverso la comprensione del punto di
vista dell’altro;- acquisizione della capacità di distinguere la
propria soggettività e riconoscerne le peculiarità
nell’apprendere;- acquisizione della capacità di lavorare in
gruppo;- acquisizione della capacità di negoziare significati;-
acquisizione della capacità di spostare e ampliare il punto di
vista;- acquisizione della capacità di rappresentarsi la
complessità dell’azione umana;- acquisizione della capacità di
tollerare l’incertezza nei processi di pensiero;- acquisire
motivazione intrinseca (star dentro il processo)

obiettivi di operatività cognitiva:- acquisizione della capacità di


usare assunti teorici come ipotesi di lavoro;- acquisizione della
capacità di porre e strutturare problemi complessi;-
acquisizione della capacità di gerarchizzare le operazioni
cognitive;- acquisizione della capacità di costruire contesti di
significati culturali.

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