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19-38
Cortina, 2003; ed anche (a cura di) Scrittura e terapia, Adultità, n. 26, Milano, Guerini,
2007.
È possibile approfondire il motivo della scrittura di sé in funzione autoprotettiva
nei testi di S. Ferrari, fra questi: Scrittura come riparazione. Saggio su letteratura e psicoa-
nalisi, Roma-Bari, Laterza, 1994; e il recente: La scrittura infinita. Saggi su letteratura,
psicoanalisi e riparazione, Firenze, Nicomp, 2007.
Cfr. I. Tassi, Storie dell’io. Aspetti e teorie dell’autobiografia, Roma-Bari, Laterza,
2007.
Cfr. S.Vegetti Finzi (a cura di), Storia delle passioni, Roma-Bari, Laterza, 1997.
Si vedano: B. Anglani, I letti di procuste. Teorie e storie dell’autobiografia, Roma-
Bari, Laterza, 1966; F. D’Intino, L’autobiografia moderna. Storia, forme problemi, Roma,
Bulzoni, 1998; M. Guglielminetti, Memoria e scrittura. L’autobiografia da Dante a Celli-
ni, Torino, Einaudi, 1977; ed inoltre in una prospettiva antropologica: G.L. Bocchi, M.
Ceruti, Origini della scrittura, Milano, Mondadori, 2002.
dei «dilettanti di scrittura» di ogni tempo già evocati, il cui ricorso alla
penna è riconducibile a circostanze «al limite». Tragiche, drammatiche,
estreme per la preclusione di ogni libertà civile, la persecuzione razziale,
lo stato di parziale o totale infermità psicofisica. Durante o dopo tali
congiunture disumanizzanti, la scrittura delle proprie memorie, o delle
proprie difficili giornate in atto, ha saputo restituire dignità e spirito
di ribellione a coloro che vi si affidarono. Per testimoniare, ma, nondi-
meno per sopravvivere mentalmente; per esercitare un dominio alme-
no intellettuale sulle pene del corpo e verso ogni violenta vessazione.
L’autobiografia, inoltre, va compresa nel suo ruolo generativo: quando
ben oltre la sua redazione, oltre il libro finalmente redatto della propria
vita – pubblicato o meno –, non resta per il suo autore un episodio
erratico soltanto. Ciò può accadere quando l’esito, ma soprattutto il la-
voro profuso, ha il potere di mutarne lo stile di pensiero, la sensibilità,
financo le modalità relazionali usuali. Quando l’indotto che lo scrivere
è stato in grado di generare, al di là di quanto si sia esposto, si traduce
nel divenire un procedimento mentale vitalmente necessario, di natura
squisitamente coscienziale. Non è detto che una scrittura conclusa – au-
tomaticamente – susciti questi effetti, di grande importanza pedagogica.
Può accadere che questi si compiano soltanto lungo il tempo, breve o
lungo, dell’esecuzione narrativa; tuttavia, è dato notare in una grande
significatività di casi che chi inizia a scrivere di sé, e riesca a conclude-
re la propria avventura autobiografica, avverte il bisogno di proseguire
tanto nella scrittura (ad esempio diaristica), quanto di coltivare quegli
interrogativi (filosofici, esistenziali, spirituali) che il lavoro su di sé sem-
pre sollecita.
Del primo raggruppamento fanno parte gli scritti che mirano a rinsal-
dare i legami interni, a creare senso di appartenenza e consenso rispetto ai
capi famiglia, a figure maschili o femminili di spicco, e alla cultura nella
quale si è nati e cresciuti. In questi casi, l’autobiografia scritta solitamen-
te dai membri più anziani assume un valore simbolico quasi totemico.
Poiché rappresenta il perno testimoniale redatto da qualcuno che si è
assunto l’incarico di ricordare il più possibile, non dimenticando circo-
stanze, consuetudini, momenti salienti, passaggi e cicli di vita di ciascun
membro. Vengono qui rispecchiate le sorti e gli intrecci di intere genera-
zioni, si tratta di una tendenza in obsolescenza che costituirà sempre più
una rarità con il restringersi dei nuclei e il disperdersi degli individui.
Dal che ciò muterà in futuro profondamente il genere autobiografico
famigliare a questo proposito, il quale si mostrerà sempre più caratteriz-
zato dalla seconda modalità.
ne degli adulti, ora di Filosofia dell’educazione, all’Università degli studi di Milano, ora
Bicocca, ma soprattutto alle iniziative in corso della Libera Università dell’Autobiogra-
fia di Anghiari, istituita nel 1998, fondata e presieduta da chi scrive (www.lua.it).
2. Scritture «allargate»
La lettera di un genitore sa parlare ad un figlio-a in un linguaggio diverso da quello
brusco, irritato, freddo; e quella del figlio, a sua volta, può – secondo una celebre lette-
ratura – adoperarsi a spiegare quanto mai, altrimenti, si oserebbe pronunciare. È quasi
ovvio, a questo punto, rinviare alla celebre lettera di Franz Kafka al padre e ad una
copiosa letteratura conflittuale data alle stampe; ma innumerevoli sono gli epistolari o
le scritture varie ed inedite del riscatto, della ribellione, dell’uscita di casa o viceversa
dell’espiazione, del perdono, della rinuncia, di «famiglie comuni» conservate negli ar-
chivi storici e diaristici. L’Archivio di Pieve Santo Stefano (ar) costituisce senz’altro la
sede più preziosa per chiunque desideri occuparsi di letterature famigliari spontanee e
rintracciarne le due attenzioni qui indicate. Così come appartengono a questo genere,
come è noto, le scritture epistolari coniugali e del fidanzamento, dell’emigrazione, della
guerra, dell’esilio, della diaristica genitoriale che ha accompagnato i primi anni di cre-
scita di figli o figlie. Non meno importanti sono le scritture, emergenti, che seguono il
decorso delle malattie, fino agli ultimi istanti, sia di nonni, di geniori e figli.
3. Scritture segrete
4. Scritture dell’addio
Si veda a tal proposito il recente saggio, dalla bibliografia preziosa, di Elena Loe-
wenthal, Scrivere di sé. Identità ebraiche allo specchio, Torino, Einaudi, 2007.
Addentrandoci, ora più nel dettaglio e nei lasciti recenti e meno re-
centi, possiamo articolare ancora meglio le differenziazioni tipologiche.
Esse si presentano connotate da maggiore o minore cultura e raffinatez-
za stilistica, purtuttavia ci interessa cogliere il ruolo da esse svolto an-
cora una volta sul piano, questa volta, prettamente pedagogico. Il quale
si evidenzia laddove si scriva per lasciare qualcosa di sé ad auspicabi-
li lettori che certi eventi hanno condiviso, che non erano ancora nati,
che stanno crescendo e potranno essere messi al corrente del fatto che
qualcuno li guardava e ne scriveva. Crediamo sia quindi percorribile
identificare nella preziosa congerie degli scritti che gli archivi diaristici e
autobiografici ci mettono a disposizione, alcune altre modalità assegna-
te alle scritture famigliari:
Il bambino che pesca nella brocca: io a due anni che ho cominciato a pescare
nella brocca della vita per costruire la mia mente e capire. Il luogo era un ango-
lo del giardino della casa del Borgo del nonno Fino… Il giardino era ampio e vi
si accedeva dalla cucina e dal soggiorno, la parte subito fuori era pavimentata
a blocchetti, ricoperta di filari di glicini che in maggio emanavano un profumo
intensissimo; ogni volta che mi capita di sentirlo torno lì, sotto quella pergola.
Il resto del giardino era misterioso,difficile da esplorare perché io ero molto
piccolo quando la mamma ci portava ogni tanto nella sua vecchia casa (Albini,
2000, p. 77).
I frammenti testuali che ora seguiranno sono tratti da scritture autobiografiche
edite e inedite reperibili presso l’Archivio della Libera Università dell’Autobiografia di
Anghiari,www.lua.it.
agli altri familiari una pena così grande che non trovava le parole giuste
per esprimere il tormento. Allo stesso tempo, l’intento è quello di ren-
dere omaggio a chi si è perduto per sempre.
Sono trascorsi quasi tre anni da quell’atroce giorno in cui il cuore di mia
figlia ha smesso di battere e, da allora, il mio ritmo interiore non coincide con
quello del resto del mondo. Prima, dopo, sono ormai parole prive di significato
per me. E la sua morte ha segnato un tragico spartiacque che mi costringe ad
inventare altri ritmi in cui è il dolore a costruire la melodia di fondo (Mignola,
2005, p. 76).
Anche questa breve vacanza che Francesca ha trascorso a casa dei nonni sta
per finire. La valigia è lì, sulla cassapanca nell’ingresso e contiene gli indumenti
della bambina, che ha appena compiuto quattro anni ed abita con la famiglia in
un’altra città… seduta sulla valigia ancora aperta, una bambola vestita di tutto
punto. Era arrivata insieme ad altri giocattoli chiusa nello zainetto che Fran-
cesca è solita portare sulle spalle durante i viaggi. Al suo arrivo la bambola era
quasi nuda, ora riparte corredata di tutto, dalle calzine al cappottino rosso…
(Fara, 2007, p. 9).
O mio passato, mia piccola infanzia… la piccola chitarrina di legno nel vec-
chio mobile, tutti i bicchieri e le vecchie statuine, le foto scattate all’asilo, la
vecchia maestra… la culla ora donata alla mia vecchia baby sitter… la stessa
storia raccontata di giorno e di notte da mia mamma… il giardino di mio nonno,
dove facevo sosta aspettando che arrivasse qualcuno… le vecchie mappe fatte
con mio fratello per cercare i regali di Natale nascosti in casa (AA.VV., 2001).
Chiusi la porta dietro di me dopo aver guardato, per l’ultima volta che fosse
tutto in ordine; dovevo lasciare come se avessi dovuto tornare di lì a poco:il sole
penetrava dalla porta finestra della cucina… Mi pervase il terrore e la fretta di
chi scappa da una prigione… Non mi volsi mai indietro,tenevo stretta per ma-
no la bambina e la esortavo a camminare svelta,oppure,le risparmiavo qualche
tratto,tenendola in braccio, mi pareva che non camminasse abbastanza forte…
pregavo che lui non tornasse,non mi scorgesse, sarebbe culminato il tutto,ora,
in una vera tragedia, irreparabile (G.S., scrittura privata, 2006).
Quello che mi capita in questi giorni è una cosa sconcertante, non so come
dirvela,ma mi lascia senza parole. Mi sconvolge così tanto che è da giorni che
continuo a ripetere non è possibile… Vedo Antonio in ogni ragazzo della sua
età, in ogni sorriso,in ogni mamma che chiama il figlio. Arrivo a casa, so che
non c’è,non ci sarà mai più, mi lascio trascinare dal desiderio di vederlo e le
sue foto mi scorrono tra le mani… Gli parlo e me lo sento vicino per avere la
forza di accettare la morte è vedere il proprio caro nel sorriso di un bambino…
Antonio è vivo perché lo tengo vivo nel mio cuore, nei miei pensieri,ma non lo
vedo… Solo, abbandonato, ha perso un appoggio forte, mio marito mi sembra
invecchiato con un peso sulle spalle più grosso di quello che può portare (Vir-
gillito, 2006, pp. 7-13).
Riferimenti bibliografici