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Scòzzari + Nipote
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
Dove
Chi
Come e perché
QUA E LÀ
Parhì
Come a suo tempo sulla via di Damasco toccò ad un certo Pèvel, Vanes
è bastonato dalla scoperta che a Parì ilià un centro, ma il manifestino è
modesto modesto, il metrò è un po' scuro, questi odiosi lampi buio luce
buio luce buio che sembra di essere tornati giù alla Cavalla Rossa nei
giovedì delle serve, legge male, si sente male, non è possibile, é un
errore, si deve rimettere a sedere, ha il culo gelato, ma molto meno del
cuore: non può credere che al mondo possa esistere un Centre Pompinù,
senza che lui non ne abbia mai saputo nulla, senza che in tutti questi anni
nessuno gliene parlasse, si consultasse, gli richiedesse pareri. É umiliato,
e defraudato, e gli manca un po’ il fiato. Provincia maledetta, quanti
delitti in tuo nome. Quante cose dovranno cambiare al mio ritorno, tio
bo'.
E a scheggia cambia metrò, rotta e destinazione.
Capire.
Vedere. Sognare.
Forse consumare.
Farsi consumare.
DDài metrò del cazzo, incita Vanes.
Lòndron
Troppo tropico
Indians!
PARTE SECONDA
Ri qui
Vanes torna in Italia rinnovato, sia da cima a fondo che dentro e fuori.
Naturalmente anche da così a così. Rifondazione umanista. Il Mondo gli
ha fatto un gran bene. Ha uno spirito più tranquillo, consapevole, sa
distinguere con maggiore lucidità ciò che vuole e ciò che detesta.
Azione, Forza, Eleganza, Criterio. Un uomo di polso e di polsini.
Già alla Malpensa, oltre che dal fetore giallo nebbioso è colpito dagli
accenti e dai dialetti indigeni. Tra le voci che si spingono e si
maledicono nella navetta riconosce con un soprassalto i tìo bò natii, e lo
coglie uno sbocco irrefrenabile di disprezzo. Soprattutto verso se stesso,
le proprie radici, la propria storia. Lo stomaco intorcinato strilla ed
emette fuochi. L'uomo di polso va capito: aveva dimenticato da quale
fango proviene. Provenisse. Proveniva. Ricordarglielo tanto brutalmente
è - è stato scorretto, ecco.
A new life
Cerchinlega
Standing on a beach
Al termine di due settimane di lavoro (gli slogan giovani gli hanno
dissanguato le sinergie), Leonardo decide di fare un saltino a Rimini, per
prendere un po’ di sole, rilassarsi, darsi una frenata. Frenare o franare.
Ehi, forte, questa me la devo se - aaah, basta. Al mare, al mare.
Ricorda con gioia e tenerezza le rare occasioni in cui piccolino arrivava
in spiaggia con la famiglia, coi nonni secchi pallidi e i secchielli e le
palette viola, le pesche gialle alla sabbia, le palline di plastica coi ciclisti
e le sogliole di plastica impanata della pensione. Era tutto molto bello.
Sono queste le rimembranze che l’hanno convinto alla rentrè, oltre alla
vaga speranza di ritrovare quel bambino che gli rubava sempre la
raccolta di noccioli di pesca dal secchiello.
Aborrisce il concetto di spiaggia «privata». La sabbia deve potersi
posare sulla frutta di chiunque voglia pasteggiare sotto le tende, negli
occhietti di tutti i bimbi, e i lettini privè sono un lucroso business sul
quale bisognerebbe veramente aprire un'inchiesta parlamentare. Al
riguardo anzi ha già pronta la bozza da sottoporre al Calzino, deve solo
rifinire alcuni punti.
A Leonardo, che da sempre stima San Francesco, lo considera un
eccellente santo, piace molto il contatto con la Madre Terra, perciò ama,
vuole, deve stendersi su un asciugamano, senza per questo dover
sponsorizzare ai vari Floris e Villiam e Primo, perennemente abbronzati,
gli occhiali neri e le piadine firmate e la palestra e le bandane bagnine.
Ormai è diventato un fighetto - la Cultura di cui è Portatore Sanissimo
gli ha fatto snobisticamente prendere le distanze dal popolame - ma al
tempo stesso ha la certezza di essere favolosamente libero di decidere il
come, il dove e il perché di ogni cosa. Con l’intera costa pronta a
servirlo, dunque, non può che scegliersi la porziuncola d’arenile
prospiciente il Grandessum Hotel. Fellini, lusso, privacy, pochi felloni,
personale di spiaggia laureato ad Harvard. Cose così.
Il problema è che ha deciso di farsi percuotere da Nostalgie e
Riminiscenze in piena stagione turistica, e la spiaggia è zuppa di celluliti,
topless vergognosi, pakistani con tappeti di Prato, depilazioni suppuranti,
facce italiane.
Armato di telo da spiaggia Leonardo arriva al bagno Grandessum Hotel
dopo aver parcheggiato a quindici chilometri dalla spiaggia. Già è bel
nervosetto - la camminata gli ha fatto diventare violaceo l’interno coscia
- e trasecola quando vede ciò che vede.
I bagnini ogni anno il governo ci aumenta i balzelli, vigliaca madona,
perciò si sono visti costretti a rinegoziare col Demanio la maggiorazione
dell’estensione di territorio di loro spettanza usufruibile, e ad innalzare
una nuova palizzata di rete arancione da cantiere sul bagnasciuga,
separando i Bagni a Pagamento (lettini Giugiaro, poca gente ma assai
giugiara, ambiente privé) dal brodo gratis (trippa ammassata, fese
lardose, strani odori, brutti colori). Tra le due zone una stretta lingua di
sabbia pesta e strapesta, la cui larghezza media - un metro scarso -
stagione dopo stagione si restringe a sfavore del popolo manmano
avanza la marea degli obblighi di legge, dei permessi e delle concessioni
e delle tasse.
Complicato descrivere, insopportabile visitare; cani e porci e mamme
obese. Poi nonni che giocano a bocce, venditori senegalesi d’accendini e
avori plasticati, venditori salernitani di Coccobello, magre vulve con
capezzoli disomogenei, montoni romagnoli a caccia di russe, russe a
caccia di montoni, guanti dell’amore ancora bagnati di performàns,
siringhe ancora bagnate, porci, cani, obesi con mammelle. Scontri,
scavalchi, stratifiche, annodamenti, chiassi, marmellate, rimescoli in un
vorticoso koyaanisqatsi da suburra, sudato e molliccio.
La Capitaneria di Porto in questa terra di nessuno ha trovato opportuno
rizzare ogni 15 metri cartelli irti di editti, ripetuti nelle lingue della
Romagna: crucco, russo, pesarese, e quest’anno, tra i soliti divieti,
giocare a palla, dormire in spiaggia, defecare in spiaggia, atti contrari
alla decenza in spiaggia, morire di pera in spiaggia prima delle 22,
vendere tappeti, accendini e cocchibelli, arruolare/linciare
extracomunitari, spicca una nuova proibizione, preceduta dal simbolo del
divieto di sosta:
“A Chi di Interesse: è espressamente fatto divieto tassativo ai Sigg.
Bagnanti di sostare a qls. titolo nella fascia demaniale delimitata adibita
esclusivamente al transito dei suesposti Sigg. Bagnanti. Coloro i quali
dalle: alle: verranno ivi sorpresi a distendersi con mezzi suoi propri
sull’arenile incorrerà nelle sanzioni previste a sensi dell’Art. 16/b
comma 5 e successivi del vigente C.P. in vigore qui da noi”. Di traverso
uno spiritoso ha ritenuto opportuno aggiungere a pennarello ACTUNG
MINE!, ma il sole ha quasi cancellato quel pessimo tedesco.
Divieto di sosta? Transito? Comma Penale Successivo?
Ivi?
«Senta, scusi, se voglio semplicemente stendere il telo dove posso
andare?», strilla ad un bagnino in posa plastica, al di là della striscia
rossa. Molto, molto distante da lui.
«Ciò, burdèl. La spiaggia libera è più in là ». Tarzan è seccato di dover
aprire la bocca senza L’Adeguato Compenso. Indica vagamente col
mento una linea all’orizzonte, situata più o meno tra il porto canale e la
Yugoslavia.
Cavolo. Allora era quella la spiaggia libera.
Leonardo, tuttora tenero di ricordi infantili, quando tutti andavano
dappertutto e dapperdove, e il lettino lo noleggiavano solo i padroncini
ricchi con la Rossa, ha i masseteri cianotici. Nella sua quindici
chilometri dal parcheggio al mare aveva in effetti intravisto un tratto di
sabbia attiguo al canale, ma gli era sembrato tutto fuorché una spiaggia:
acqua schiumosa e algosa, una lardosa che faceva il bucato sotto la
doccia, una gara di volley con dj urlanti idiozie al megafono, pubblicità
delle discoteche più, annunci di Luigini persi con pantaloncini azzurri e
lauta ricompensa solo se pantaloncini intonsi all’atto della restituzione,
coatti con lo stereo a manetta, una toilette apparentemente pubblica ma
chiusa sprangata, tutte le immondizie provenienti a cluster dai Balcani
noiosamente in fiamme.
Leonardo è un lavoratore integrato nella società, porta a casa uno
stipendio, è un costruttore di Culture e Tendenze. Quindi questa volta
può permettersi di noleggiare il maledetto lettino. Mai come adesso è
stato tanto contento d’aver saltato il fosso: si scopre d’accordo coi
cartelli vietativi, e comunica ai masseteri, ora masseteri di Ricco, che
possono rilassarsi, è finito il Tempo dell’Abominio, si gioca nell’altra
squadra, vedete di ricordarvelo e di contrarvi cianoticamente solo su mia
indicazione scritta. Cretini.
Il bagno del Grandessum Hotel è deserto, ma in maniera exclusive. Non
c’è posto migliore.
«Quant’è un lettino, Sig. Bagnino?»
«Zinquantamile prima ora, idem successive, più il mio disturbo»,
riemerge Delmo da sotto le lenti nere, schifato. La faccenda del
«bagnino» al bagnino non va mai giù, mai. Si sente, è un «Operatore
Estivo», un «Esercente Balneare». Gli è costata fatica strappare al
comune un Diploma con in cima quelle Parole, e così gli si dovrebbero
rivolgere tutti, ma la clientela è ignorante, cazzo vuoi farci. Delmo è un
filosofo.
Leonardo sceglie il posticino più lontano da bagnanti, camerieri, cani
lupo anti vù cumprà, e vuole che la linea rossa di plastica che verso Est
lo separa dall’inelegante e chiassoso mondo prolet sparisca nel tremolìo
della calura.
Stende il telo, orienta lo sdraio verso la padella del sole, e nel giro di un
secondo e mezzo si addormenta, felice della vita e dello scrigno di gioie
che, ogni tanto, la cinquantamila può schiudere.
Delmo, sedizenne palestré che stagionalmente fa vedere l’interno delle
cabine e dei propri bermudi alle Sigg. Clienti e mette da parte un po’ di
baiocchi per mantenere l’abbronzatura, non è però una cima, sennò
sarebbe art director. Dopo qualche minuto, infatti, quando ormai
Leonardo è in catalessi fritta, gli piazza di fianco una bella signorina di
Ferrara, pensando addirittura di fargli un favore.
«È tutto solo, la gradirà senz’altro», si dice. Lui ormai di carne di
Ferrara ne ha tritata un bel po’, e oggi si sente magnanimo. Vuole
lasciare anche al prossimo un po’ di briciole, potrebbero giovarsene le
mance.
La ferrarese non è per nulla da buttare. Corpo scultoreo, abbronzatura
da melanoma, labbri a taglio di coltello ma dipinti di rosa sciòkking,
microtanga leopardato, possenti mammelle forate da crocefissi
capezzolari in iridio, lunghi capelli verde inglese annodati alla
boscimana, occhiali da ciclista a specchio ma con montatura d’oro,
poche smagliature attorno all’ombelico abitato da un teschietto in
argento, il Giglio delle puttane francesi alla corte di Gigi XV tatuato
sulla scapola destra, espressione severa nei confronti di tutto ciò che la
circonda. Per far risaltare il tatuaggio di una rosa senza spine che le
striscia fuori dal tanghino provenendo chissà da dove, l’inguine è stato
rasato di fresco, ed é identico alla pelle di un pollo, probabilmente con lo
stesso sapore. Per essere unto é unto, sa lei di cosa. All’interno della
caviglia sinistra il tatuaggio clù: un numero di serie, e la scritta SI APRE
A COMANDO, E CHI COMANDA É NAZZA. FIRMATO: NAZZA
Non appena la carne stende il telo (anche questo leopardato), le trilla il
telefonino. Sembra un carillon natalizio e Leonardo si sveglia di
soprassalto, convinto di aver acceso Windows ( e di dover produrre un
nuovo slogan giovane.
«Ziao, Katiuscina, come stai, sei tu? Na, sano pena rivatadesso. Na,
sano sola. Nazzareno è rimasta nalbergo, dopo la festa di stanotte.
Poverazzio, è a pezzi, dopo tutta quella fecola, eppoi odial sole.
Seeeeffigurati, vampiro, magara, il mio sapore non gli piacce, a quel
semone. Seee, zzerano tutti: Ellio, la Murena, la Debbbora, Macs, la
Zamanta, Shoraia, Gyanny, e poi quel cubano chinsegna la zalza... Come
zi chiama. Sé, Paco. Discreto pacco anche, ah ah aha aha ah ah. Aaah Ah
Ah Ah. Nooo che non glielo ripeti a Nazza, brutta sema, sei matta. Ieri?
Zono stata dalla Zenny per lo siampo. Massì, sì, tuttol zorno, madonnina,
té lo sai quanté lenta».
La carne non parla. Urla.
Sarà la prima e ultima importantissima telefonata di questo genere
disposta a ricevere, Leonardo si mente spudoratamente, seguace di una
terapia zen autoimposta e autoinventata proprio adesso.
Purtroppo però Sciàron (il nome della carne; ne è messo al corrente alla
quinta comunicazione via cellulare: «Si stazira nin mitto quello
spizzitino liopardato cò nculato nviale Ziccarini nin mi chiamo piò
Sciàron, tlò zuro sulla panza del canguro») ha una vita di relazione
parossistica, e per ore, ore, ore riceve chiamate d’emergenza ed invia
appelli d’importanza vitale per la Nazione alla Monia, alla Vania, alla
Lorena, alla Beba, alla Biba e alla Bimba. Un utentico frizzanti Ministiro
delle Scorezze.
Leo è alle schiume. Gli sguardi da squartatore pazzo che ad ogni squillo
saetta al tanga, implorando pietà per i giusti della terra, pietà per me,
amorino, vuoi? le rimbalzano sul pube muscolato e cadono,
insabbiandosi. Perché non spegne quel cellulare sguaiato?
Regolarmente, ogni volta che riesce a riaddormentarsi, il telefonino gli
uncina timpani e fegato. Capire Sisifo.
Driiin, Plimplon, Dindan, Tuiiiith, Blimblam.
«Seee... Eeei, ziiaaao Monia dovi zei. Be, chi fai ozzi Ciccia?».
Leonardo s’alza di scatto a novanta gradi, come se un commissario gli
avesse sparato un sacco di sabbia nello stomaco. Si deve sorbire
quest’altro monologo imbecille, da cui però ricava un particolare
importante: Ziiaaao Monia è la miglior amica della carne.
L’odio innesta il processo chimico che porta all’ebollizione del Corno
d’Ammone.
Al quarto Allora Ciccia Te Chiffai Ozzi, Leonardo, un bolo
fosforescente a strisce rosse di acidi gastrici, molla l’ancora. La
Tolleranza è a Zero. Il mantra saetta da solo, sa la strada.
Zip, zap, stracciaboom
Il volume del telefonino di colpo si alza mostruosamente, e tutti
possono sentire. Una ribalda conversazione è filodiffusa vivavoce via
altoparlanti lungo tutto il litorale, dal Po di Gnocca fin giù a Marotta.
«Ahrf, Aaahrf. Eeeefforza Nazza, spakkami tuttil giiiiesùkkristoh,
strànz, cosaspetti, ddai col ppùgno».
«Anf, anf, gorgle Monia, stupida troia, murfe, sputaci in vetta se vuoi
che te lo sgnacchi nel tondo».
I vicini, i bagnini fellini e il popolo di là dalla cortina di ferro
improvvisamente si fermano. Osservano in silenzio la telefonista.
La spiaggia non è mai stata così silenziosa, é il sei gennaio.
Lo scaraccio lubrificatore rimbomba, una cannonata che nemmeno nel
Kossovo. Qualcuno lontanissimo ride, la storia del tondo gli mancava.
Carne è bianca, la faccia seghettata da rughe da stupore, gli occhiali le
smontano dal naso, passavano da lì, non sono con lei, chi cazzo la
conosce a questa. Le gambe non la tengono, e crolla sul lettino abbattuta
dalla vergogna. Ogni tanto un sussulto, brevi contrazioni corticali,
ininfluenti, tipo manzo giustiziato dal chiodo.
Il marito era così stanco, ma così stanco, che sta ricalibrando a braccio
il sifone della sua migliore amica. Nella sua camera d’hotel. Sul suo
letto. Coi suoi attrezzi amorini. La sua ciccia.
Per filodiffusione. In tutta la Romagna. E anche più giù.
ATC
Banesto
L’uomo è cacciatore
Peli di Natale
Tivvù
Leonardo detesta la fogna TV. Ogni volta che l’accende nel giro di
dieci secondi trova motivo e ragioni per tirare calci.
I suoi nemici catodici sono così numerosi che solo a metterli in ordine
alfabetico farebbe Pasqua e Pasquetta. I quiz, innanzitutto, li proibirebbe
per legge perché sviluppano nell’unterproletariat una sottocultura
enigmistica. E poi le tangenti che si beccano i giornalisti nel lodare i
pregi di un tappeto rubato o di una pentola attaccatutto. Non sono già
strapagati? Non basta, per la tv di Stato, il canone? Non sono già
abbastanza alti i prezzi dei tappeti dubbi e delle pentole senza coperchio?
Leo non ha tappeti, solo uno di legno antiscivolo nella vasca, e i suoi
tegami sono stati sformati a martellate durante accessi d'ira in prima
serata.
Il vero Belzebù si transustanzia e appalesa nelle trasmissioni il cui filo
conduttore sono il Cuore Innamorato ed i Casini che è capace di
scatenare. Quando Leonardo è assaltato da coppie che fingono di litigare,
che si amano si lasciano si ritrovano si piangono addosso, che si sposano
in abito bianco, che provocano dibattiti tra i giovani e la ggente, e che,
soprattutto, beccano gettoni di presenza per esibire le loro sconfittine
condominiali, va in down da napalm, ma anche dell’azzurro kerosene da
stufetta sarebbe apposito. Sogna ad occhi aperti di entrare nello studio di
registrazione e in diretta rifare il Soldato Ryan, con se stesso nella parte
di un lanciafiamme che non salva nessuno.
Nel corso di trasmissioni giovani, genere conduttrice che corre per
strada intervistando i nulli sul loro nulla, Lenny perde catrame.
«Vada in miniera, Signorina Pompina», aveva intimato una mattina alla
scema zampettante che aveva beccato proprio lui mentre camminava e
odiava in Via Indipendenza. Signorina aveva spento il microfono e
intirizzito il sorriso, ma era subito tornata a saltellare come una pallina di
gomma acefala, come ogni pallina del mondo, rimbalzando giuliva tra
piumini neri, denti verdi, etti di brufols e chili di gel. Chisse ne frega, un
vecchio matto cè sempre, trallalà trallalà.
Lo inquietano moltissimo anche le cosce e le chiappe catodiche. Sa che
quelle groppe e quelle lombate e quei girelli, e lonze, e marghette, e
selle, e polmoni e lombi, così elastici e irraggiungibili, sono violenza,
fanno male: nella vita quotidiana, per strada, al lavoro, nessuna
segretaria o profumaia offre al tuo morso anche solo un centesimo di
quei tagli polposi. L’offerta televisiva di vacche non corrisponde ad una
reale disponibilità di vacche. Peccato. Stizza. Dispetto. Turlupinatura. Tu
- turbativa di mercato.
Leonardo praticamente tratta solo con maschi sposati, e tra questi ben
pochi sbananano fuori dal Sacro Recinto della Famiglia; i più solitari
fanno come si faceva prima dell’arrivo della tecnologia. S’amano a
mano. Assoli da soli.
La bistecca in tv, dunque, è pura provocazione. Sarebbe meglio un po’
di oscurantismo, nel senso preciso di schermi neri, all’araba. Occhio non
vede cappella non fischia.
In un altro file della cartella TV ha raggruppato le trasmissioni
scientifiche condotte da riciclati che, non avendo trovato posto come
ballerini, si sono dati all’informazione settoriale: rubriche mediche,
ecologiche, letterarie. Diiiiiiiiio, i reginetti dell'inchiestistica dotati di
cultura medio-bassa e saccenza manicomiale. Dolore.
I salotti condotti da vecchi politicamente corretti, ma circondati di
gnocca, da vecchi piduisti politicamente scorretti, ma circondati di
gnocca, da giornalisti democristiani moralmente corrotti pieni la faccia
di nei, ma circondati di gnocca, fanno sragionare Lenny. P-per tutte q-
quelle mutande, caviglie, tacchi a spillo, minigonne ascellari e rossetti,
non p- per altro. Dolore.
Lo sport chiacchierato costituirebbe una ragione a sé per sfoltire
l’universo. A lui non frega mezzo atomo di come la pensi l’allenatore
dell’Empoli. Pensa solo a come sarebbe bello vederne gli atomi
esplodere su Empoli. Scampoli di Empoli. E giù ‘na risata. Poi piange
lunghi minuti, a singulti parossistici e latrati da Salpetrière. Dolore.
Gli scemeggiati con le gesta delle commesse che vanno avanti eroiche
nel quotidiano, e i muretti irti di Ragazzi e Ragazze che s’affacciano
proprio adesso alla Vita e guarda caso un regista era lì ed ha filmato
tutto, e le saghe dei marescialli commissari ispettori appuntati preti
single o a coppie, gli si rivelano per regola come posti di lavoro
socialmente inutili concessi a pentiti e partiti. E ai figli di Tognazzo, che
chiavava come un matto ma non si preoccupava dei danni all'ozono.
Come Gasmen. Come Dario Argenta. Come la Sandrella. Come Dapporc
- sbblluuòkk.
Stipendi spacciati per arte. La mistica, e la truffa, della ficsion vincente.
La bella creatività italiana contro le povere maggiors ollivudiàne, via
Teulada contro la Paramàun. Dolore.
A Leonardo rimane ben poca tv. Qualche film (ama quelli digestivi di
Schwarzy, che dopo cena ripuliscono il mondo dalla feccia, e quelli di
guerra, che lo allenano a ripulire il mondo), i telegiornali senza mollica,
qualche documentario davvero scientifico (apprezza al giusto grado lo
sbattimento del ricercatore che si è fatto cinque mesi in trincea per
beccare il secondo in cui la scorpiona siringa duemila uovi nel lucertolo),
molti cartoni animati (per fortuna quelli ungheresi sono stati travolti
della cadutaepocaledelmurodiberlino e stritolati dall’Avvento di
Bartholomew “Jo Jo” Simpson), gli spogliarelli notturni coi numeri
sotto. Quando arriva Blob scatta a cercarsi qualche canale turco o arabo,
trova patetica la TV che critica la TV e Giorgio Chezzi che si specchia
coi suoi sproloqui sull’occhio e sullo specchio come doppio dell’occhio.
Tutto il resto, sostiene in serrati soliloqui, è un’offesa ad Adamo, ad Eva
e al Serpente di Adamo quando s'ingolfava nelle mele di Eva per fare
mezzanotte.
La pubblicità, infine, che pur gli dà da vivere, gli fa crepare il soffitto
dalle bestemmie. Appena riesce ad immedesimarsi in un azione o in un
personaggio, arrivano le merendine, i gel per i peli di sopra e di sotto, le
auto che non riuscirà a desiderare mai, gli attaccatutto da dentiera, le
sedicenni mestruate che gli gridano chiocce «EVVAI», l’olio senza pari
tra colline e casolari, Ogni Cosa Noi Facciamo, oooh la bell vì, sansusì,
sansamùr, sanproblèm sanproblèm saan problèèmo. Il giorno che
diventerà Regista Famoso consentirà la proiezione delle proprie opere
solo a quelle emittenti che dopo aver immolato agnelli e primizie e
vergini gli giureranno per iscritto dieci volte di seguito: “Con la presente
siamo a confermarVi a indici crociati e baciati che trasmetteremo le sue
Quadrilogie da Camera senza intervalli per i brustulli, Meister. Firmato
Il Funzionario In Sevizio Mengoli Gino”.
È sulla scorta di tutto questo enfisema adrenalin-cerebello-coglionare
che Leonardo coltiva come imminente il giorno dell’Apocalisse, quando
i panni sporchi verranno al pettine, i conti torneranno, duchi e marchesi
pure e l’Arno, l’Aniene, il Reno, il Lambro, il Tevere e il Parma e il
Setta e il Busento e il Flumendosa e la Nera e il Topino e l’Ausa il
Marecchia il Conca il Pescara tracimeranno vogliosi di ben fare. Il
Lavacro. Il giorno della Vendetta senza Ammollo.
The Giornus.
È pienamente consapevole dei propri poteri fantalisergici, e sta solo
affilando la baionetta. Che cosa é la felicità - la sensazione del fatto che
la potenza cresce, che una resistenza viene vinta.
«I tre nuovi album di Lorna Pausini, Behind the Green Lorna, Deep
Inside Lorna e Pausini goes Dallas, sono piaciuti moltissimo a Lorna
Pausini. Il nostro Ciccy Mòllica ha voluto chiederle come mai. "Come
mai, Laura, voglio chiederti?”. "Be’, diciamo che è soprattutto il grosso
coraggio insito dentro in queste tre grosse proposte che me le fa
apprezzare ambedue come grosse donne oltre che come artiste aperte
profonde e sincere, evidentemente, diciamo", ha rivelato un'emozionata e
riconoscente Lorna Pausini al nostro coraggioso Ciccy Mòllica. Ed ora la
Rubrica Economia, conduce Milton Fessman».
Sudori freddi. Gocce sul parmigiano. Una mano, forse la sua, proietta il
piatto contro il muro. La Rohrshachmell al ragù che ne deriva riproduce
Baal mentre strappa le budella ad un gatto rosso.
Monica viziata? Windsor economica? Neutrini al formaggio? I
reggiseni di Mòllica? Coraggioso?
La stessa mano impazza sul telecomando per trovare qualcosa di
decente. Leo, nauseato, lascia fare.
Lenny apprezza l’uno per mille della musica italiana - qualche brano di
Endrigo, De Andrè, Battisti, Battiato, Dalla, Alma Megretta, e detesta
tutto il resto. Per lui non è musica, ma scoreggianza troppo pagata,
troppo riverita, troppo intervistata, troppo troppata. Aria di fogna sul mio
bel viso. Centro d’idiozia permanente. Mare nero, mare nero, mare né.
Il boss della G.O.A. gli assegna un lavoro gravoso ma remunerativo:
curare l’immagine del nuovo disco di Erpes Ragazzotti, idolo delle
giovani. I suoi fatturati, con vendite da capogiro in America Latina,
potrebbero sanare il deficit dei partiti. L’agenzia è molto interessata a
questo cliente facoltosissimo, e per curarlo ammodino ha spedito il
migliore in batteria: Lenny dovrà inventare un titolo vincente per la
nuova presa in giro di Erpes, il suo nuovo cd, cosiddetto disco.
Per fare ciò dovrà annusare, assorbire, fagocitare l’anima vera
dell’Artista durante le sue esibizioni e, infine, produrre uno slogan
sgangheraculi che caghi moneta. Sai la moneta? Be’, quella. Cagarla. A
pacchi. Siamo sotto. Va e uccidi.
Lavoro facile solo in apparenza.
Leonardo rigetta pinnacoli arancioni ogni volta che sente quel falsetto
nasale menarsela sull'amore. Prova orrore per il suo passato e presente e
futuro di coatto romano, le sue dichiarazioni alla stampa, le tube ai suoi
matrimoni e, soprattutto, la sua “musica”. L’unica cosa che ammiri di
Erpes - oltre i soldi - è il popò della moglie, una giovenca da stiancare i
sassi.
Condimento a parte, un incarico così è duro da digerire, ma va accettato
a fronte alta e cantinpetto, mordi la pallottola, getta i cuorglioni al di là
dell’ostacolo e insomma l’impossible mission ha da esser portata a felice
compimento: i veri uomini son usi tarare la propria tigna sulla grandezza
dei nemici, e del fuori busta a fine missione.
Il primo incontro Leo lo trova molto faticoso. Per il romanesco parlato
dall’Anatra avrebbe bisogno di sottotitoli e traduttori dell’ONU, per il
sorriso della moglie bisognerebbe essere gay spanati.
«Ahò, felice de cogniòscete. Sò Ragagnotti Erpes. Ragagnotti, presente.
Erpes, pe’ l’agnìci...»
«Piacere, Leonardo de’ Carolis, della G.O.A.».
Segue una forte stretta di mano. Leonardo le stringe sempre così, odia
quelli che concedono la mano lessa perché gliela si baci. Erpes, invece,
stringe forte secondo una vecchia usanza: in gioventù era portastendardo
e coppiere della Sez. Colle Oppio della Fronte Bassa della Gioventù
Laziale Giallorossa “É bella l’Alba dopo una Notte di Burrasca”. Tra
camerati non erano ammesse manine sinistre, e il vizio gli è rimasto.
Per venti giorni Leonardo dovrà seguire, a bordo del tourpedone della
troup, il tourpe di Erpes sulle principali piazze italiane della musica
leggera di successo e cassetta, Lucca, Ladispoli, Morciano di Romagna,
San Giovanni Rotondo, San Giovanni in Lupatoto, Carcilupo, Masseria
Lupotto, Macerata, Carate Brianza, Pachino, Morano dei Tedeschi In
Ritirata Massacrati a Zappate Per Usufruire Le Loro Belle Scarpe,
Casalecchio di Reno, Bastardo, Nola, Mola, Pola, Ruvo di Puglia, Isola
Dino, Scurcula Marsicana, Sesso, i Sassi Di Matera, Masseria Ravanusa,
Sala Paruta, Sala Consilina, Sala Manzù in Vaticano. Spera di resistere
sino al termine senza andare in escandescenze: estrarre la spada dalla
guaina significherebbe venire estratti a calci dall'agenzia. Non gli
servirebbe.
Leo vive per qualche istante la felicità degli Artisti. Alloggia in un
grande albergo di Lucca, prima tappa della via trucidis. Beve bira, sona
‘na chitara, e rilascia autografi pure lui. Sniffa coca e cameriere nel
Grand Hotel Torre Guinigi. Una vita spericolata senza tetto né legge. E
per sua fortuna smaccata, senza herpes; probabilmente os Santos di
Bahia gli tengono ancora una mano sul capo.
Arriva la sera della prima, e Leonardo è stupito dal fatto che le giovani
arrivate in massa non vestano altissima couture e siano prive di mazzi di
rose rosse da proiettare all’Artista.
«Maleducate», pensa. A Milano, che è una città davvero chic, alle
prime fanno così. Qua invece qualche cassintegrato al cromo arrivato da
Santa Croce esige visibilità con uova dispettose e diverse monete da
cinquanta lire, però è un rituale ormai consolidato, ci si potrebbe regolare
l’orologio. Siamo o non siamo nel profondo Sud?
Le fan sono sui quindici anni e in calore. Le tonnellate di piercing,
sballonzolando all’unisono nello stadio, provocano già di loro un ritmo
niente male. Cing ka-cing, cing ka-cing, ding kalind, potrebbero essere
ruote della preghiera o una batucada brasiliana. Sonagli a parte,
Leonardo è allucinato dal prezzo del biglietto: cinquantamila per sorbirsi
un’ora e mezza di orrore? E chi paga? I babbi? Una figlia così
cinquantamila cinghiate a sangue, e fila in camera tua o arriva il resto.
Attenta a come mi guardi.
Il costo del biglietto per Lenny non è un problema. Il suo incarico lo ha
fornito di privilegi preclusi ai mortali: può rubare i cioccolatini
bianchisecchi dal frigobar della sua stanza d’albergo, può fare shopping
in centro e bere tutta la birra che vuole, e alla sera può vedersi tutto
gratis. «Solo gnion guarda' pe' ppiù de du' secondi filati er bucio de mi’
moje, gniamo 'ntesi? Tò sgamato, fregnò», ha intimato Erpes al
primissimo tavolo di contrattazione, quando le clausole sono state messe
ben in chiaro e le occhiate di Leo, cappellarmente esplicite, messe al
bando.
Ma i bonus non sono finiti. Può perfino stare dietro le quinte, per
meglio osservare/studiare il Soggetto Committente mentre siringa la sua
Arte d’Anatra nelle adolescenti su di giri e giù di cervello. Leonardo li
ama, i palchi: lui può stare sopra, il popolo ha da star sotto, in nulla
migliore di Lui, Lui Migliore di tutti. La Geografia della Giustizia. La
Giustizia della Geografia. Lo fa impazzire giocherellare con la Vittoria e
intanto pensare puttanate.
Plim, plom, plaaaaaaaaaamm.
«Uaaaaahhhh!!! Erpeeeeeessss!!! Erpe Erpe Erpe Eeerpesss».
La folla è in follia, e in prima linea cadono subito le prime dieci
volontarie dello Svenimento Rituale. Estratte dai body builders del
servizio d’ordine, sono buttate in una pattumiera semicingolata. Le note
di un pezzo famoso, Più Bella Gnosa - segue boato - inaugurano la
serata, e l’art director Lenny tara le frequenze del proprio cervello
sull’Arduo Compito. Mette a punto e a fuoco. Mo’ se lavora.
Note Giovani? Note Giovani e ribelli? Giovani e Ribelli? Belli noti e
rinoti? Belli e giovanoti? Gniovani, con lammusica gner core, ebbelli?
Mmmm. Il penultimo farebbe imbestialire la concorrenza. L’ultimo
magara risulta un filo dialettale, in Padania potrebbero calare le vendite.
Aumenterebbero però a Torrinpietra, Tor Marrangio, Hostaria, Tivoli e
La Tina.
Mmmm, non so, mah, chissà, vedremo. Devo controllare all’anagrafe
se ci sono più sciroccati al nord o al centro, quale tribù conviene
scaricare, o se è meglio mungerle tutte a sangue. Bof. Mmoh. Decisioni,
decisioni, checca sino.
Con l'avanzare serale della prestazione professionale dell'Artista,
Leonardo, benché professionalmente applicantesi pure lui, capta che
qualcosa non va, c'è un quid sotterraneo che lo fastidia, registra un
gironzolìo di pressione non programmato. Sulle prime si sente agitato,
non capisce che cosa sia, cavoli se sto male, cosò, guarda come tremo.
Epperché sudo così.
Ah, ma poi capisce, ecco cos’era, eeeecco cos'era.
La vocina d'anatrina dell’Agnatra!
Qualcosa sotto lo sterno si libera e rulla. E non sono i rullanti della
batteria. Sono quelli delle coronarie. E poi, bum bum ratabum, bum bum
ratabum, nella borsa pallica si inizia un cake walk uànstep, genere
cinquecento caubois corolle innamorate che in quadriglia pestano con gli
stivali ricamati sul piancito in bois de rose della loro sala da ballo da
corolle innamorate. Sì, ma adesso c’è da lavorare, Leo, piantala con le
similitudini arzigogolate. Stai bum bum buono.
Dopo il terzo pezzo Moje passa tra le quinte per qualche secondo,
ondeggiando. A Leonardo vengono in mente molte cose. Gli si avvicina
sorridendo, chiede «Come te va? Ce sò probblemi?» Con un mignolo
unghiuto disincastra dal diastema inf. una cosetta verdina, che poi con
arco elegante proietta verso la folla: fate magnà me e l’omo mio, me pare
ggiusto che ve ridò almeno i resti.
Lenny freddamente, con educazione da bancario, comunica il proprio
stato: «Me sto a rompe li cojoni, bbella». Vorrebbe dire e fare di più, ma
il contratto e la stretta d’Erpes non consentono quella familiarità
amichevole che in altre occasioni l’hanno ricolmato di soddisfazioni e
creste di gallo.
«Ahahah ahah. ’Mazza, so’ fforti, ’sti torinesi», e se ne va. Il passaggio
del feticcio sorcale, ma soprattut. la sua battuta gli fanno lievitare
ulteriormente la pressione, ma un nanetto rannicchiato dentro la buca del
suggeritore, dritto davanti ad Erpes, attira improvviso la sua attenzione e
lo distrae un attimo dal bumbum rottobum in accelerazione. Chi è? Lo
vede armeggiare sudato con foglietti e microfonone. Che cavolo sta
facendo? Non è un tennico del suono o delle luci, né un turnista della
band. Non l’ha mai visto prima. Che sia un attentatore? Un fanatico della
Buona Musica? Un pasdaran di Pava Rotto?
Leonardo non è uso discutere più di tanto con curiosità esistenziali, e
strappa il binocolino al portinaio del teatro, anche lui lì dietro ad
ascoltare e spiar gratis, col suo grembiule nero. Piattola. Lottando aspro
con lenti in plastichina da uovo pasquale riesce a mettere discretamente a
fuoco.
È il nanetto, che canta! Bestiale, Erpes sta solo facendo finta.
Eccolo, il Playback. Il bestiale Playback!
Eccola, la fragranza del Reato! Bestiale.
Ecco spiegata la vocina da rospo. Ecco il segreto del successo, degli
Award dei tedeschi, poveretti.
Brividi caldi e freddi si alternano lungo i meridiani di Leonardo. Cielo
ciellino, che sensazione di potere! Può sputtanare il Re delle Agnatre
quando vuole! Far crollare l’intera caccosa industria discografica!
Milioni di disoccupati a incendiare le camere di Commercio! Deludere
miliardi di fans! Suicidi rituali per le strade! Forse anche saziar d'oca la
moje divorziata dell’Agnatra!
Che cosa è la felicità - la sensazione che un idolo sta per crollare con un
gran Paf Bum!
Questa agnizione naturalmente non migliora la qualità musicale della
serata, non si deve mai chieder troppo alle agnizioni, perciò al quarto
pezzo doppiato improvvisa escalation della temperatura e del tamburellìo
Leonici. E poi dell’attività biliare sua, e peptica, timica, surrenalica,
cerebrale e per la prima volta su questi schermi, nello splendore della
Vengeange 45 mm dum dum, anche cerebellare. Riconosce
immediatamente una cover per la quale troppe volte in autobus aveva
silenziosamente dato del KORNUTO a Creato e Creatore. Note volgari,
frasi da merceria, litanie zingare, concetti da pisciatoio. Amori
contrastati, tremende cinghiale contente di esserlo, amici che ne approfitt
Zip, zap, stracciaboom
Il nanetto viene eiettato dalla botola e, cantando a squarciagola, si
piazza di fianco all’Idolo ammutolito. Gli arriva alle ginocchia, ma la sua
voce la riconoscono tutti, tutti capiscono il maccherone posto in essere e
mandato a effetto per tanto tempo. Ad ogni modo lo sgorbio, per non
ingenerare troppi conflitti d’attribuzione, senza smettere di cantare spara
una testata da cobra allo scroto di Erpes, che smette di respirare,
sorpresissimo e celestino. Più dolorosa gniosa non c’è.
Silenzio in platea.
Silenzio.
Silenzio.
Gli occhi del cielo e della terra sono ipnotifatti e fissano la faccia del
nano. Gli accendini però rimangono accesi, e non sono i funerali di
Scalfaro: tutti vogliono vedere. Ve-de-re, no omaggiare. Gli omaggi
dopo. Li stiamo preparando, solo un attimo di pazienza.
Un sorriso insultante deturpa la faccia di Erpes, mentre la sua vera
vocina, insulsa, fessa, stonata, così - così insufficiente a petto di quella
già stomacante del nano, come d’incanto viene centuplicata dai
microfoni dell’intera regione Toscana: «Pacco! Pacco! Pacco! Pacco,
pacco, pacco!» sgranaglia e rivela rospesca.
Dalle ultime file sorge e sobbolle un sordo, incredulo interrogarsi. E’
un muggito ancora timido, incerto, insicuro di sé, dell’abominio
perpetrato, delle contromisure che bisognerà pur porre in atto: non si
citrulla una generazione, così, tanto per citrullare.
«Pacco? Paacco? Paaaaacco?».
«Ma gnìì. Gnììììììììììììì. Pacco pacco pacco, piuggniànde paacco
gniògnièèèèè», conferma volentieri Erpes; lo sgorbietto conferma anche
lui con cento sissì, sissì, sissì di testa, e riprende a cantare ma è interrotto
dal lancio di tutti gli ortaggi falloidi lunghi e duri che madre natura è
riuscita ad inventarsi. Pare di essere alle Termopili, il cielo e i riflettori
sono oscurati da pacchi di zucchine, carote, enormi roteanti melanzane,
asparagi, rudi cetrioli, cardi dei campi. Anche sedani. Certamente frivoli,
col loro tutù verdino, ma se ti entrano di traverso dove devono entrarti,
poi me lo sai dire il dolore.
E di dolore Erpes ne prova tanto, scipita statua di sale, condita nelle
parti più intonate dalla violenza vegetariana del popolo, che quando ha
mira, volontà politica, certezza del diritto e proiettili a sufficienza, come
dire, ce coje.
Il surrogato rospoide non gracida più, crocefisso ad un amplificatore
Farfinta®"! da due carote che in entrata gli hanno sfondato le orbite e in
uscita la nuca piatta.
Leonardo ci pensa e ci ripensa, e decide che stavolta probabilmente ha
esagerato. L Artista non meritava una fine così, non più di quelli che
comprano i suoi dischi, ecco. L’Agenzia fra l’altro l’ha spedito in
missione per fatturare, creare reddito, incrementare sopravvenienze,
falciare accantonamenti altrui, mantenere vitaminico il surplus di cassa,
tonica la fitness bancaria e NON, ripetesi NON, per armare casini e
distruggere il Cliente, che modo è? Sì va bene, ho capito, ma un Uomo è
un Uomo, ugniagniatra ugniagniatra, e fra l’altro sfido chiunque a
risalire fino a me. Chi mai potrebbe? Io sono fantascienza, io sono
iperboreo, io sono il posdomani, ma già da stasera infrango culi. Formula
della mia felicità: io ti do una bastonata, tu la prendi. Obiezioni? Eccoti
un’altra bastonata. Obiezioni?
Il mal di testa che l’insegue fino a Bulagna lo fa sentire un po’ in- in
traveggole. Be’, per un paio di giorni. Poi tutto passa, e i radicali libberi
se ne vanno, leniti da significativi minestroni alle gracidanti raganelle.
Non gli interessa la prima pagina del Calzino. Ci ha avvoltolato cardi, un
po’ di carote, asparagi, raccolti al concerto. Con quel che costa la
verdura antiossidante oggi...
Problematiche fòlbalistiche
Pi-erre
Orticaria
Leonardo si sveglia con un prurito orrendo alla schiena. Contorcendosi
allo specchio, scopre una serie inquietante di bolle, dalle scapole alle
natiche. Bianche e rosse, i bubboni hanno dimensioni diverse, e ronzano.
Aids! Tutte quelle zoccole che ha frequentato? O effetti indesiderati dei
Poteri? Sta degenerando? Funghi? Vaiolo? Incubi? Le fialette si sono
aperte nel letto? Una punizione divina? Leo ipotizza, ma non riesce a
capire. Ospedale, presto. O- oggi niente slogan.
Arrivato al pronto soccorso dell’Ospedale Maggiore, viavai di lettighe,
ambulanze, poliziotti, sigarette di poliziotti, si rivolge ad un’infermiera:
«Seeee, tica».
«Mi sono svegliato con la schiena ricoperta di bol
«Ortigaria. Saccomotasse, la ghiamo io».
La meritionala scrive fulminea la diagnosi su un foglio, e aggiunge il
nome di Leonardo sul fondo di una lista infinita. Come quella di
Schindler, però meno premiata.
Leo emette un gridolino interno in cui confluiscono riso - la diagnosi
gli sembra una cretinata - odio per le strutture pubbliche, odio per le
infermiere delle strutture pubbliche che si credono brillanti diagnoste
della Scuola Salernitana.
Siede pazientemente, da bravo paziente, su una panca in attesa del
proprio turno.
«Orticaria. Ma se non bazzico fragole dall’anno scorso. D’altronde, se
avesse avuto testa, sarebbe stata medico, no portinaia».
Il tempo passa, nessuno lo chiama. In compenso passa di tutto. Gente
sfracellata in auto, medici impegnatissimi a confabulare su Bulagna-
Lazio, uno con la faccia da cretino e i polpastrelli da stupido e uno che è
il contrario. Zingari a caccia di portafogli. Suore a caccia d’anime.
Texxani a caccia di fegati. Belgi a caccia di bambine, prima da far
sbocciare e poi da rivendere ai texxani (ma senza i pezzi migliori).
Imprese di pompe funebri a caccia di clienti. Vecchi a caccia di schede
telefoniche nei bidoni di materiale biologico ospedaliero.
Un’infermiera arriva spingendo su una lettiga un ragazzo che sta
morendo, avvinghiato ad una piovra di tubi da trasfusione infusione e
perfusione e macchinari che Leonardo non conosce, fischianti, battenti e
lampeggianti. Lo parcheggia lungo il muro della sala, e se ne va. Dopo
un minuto arriva un’operatrice sanitaria (la donna delle pulizie) con un
coso rombante, un lucida pavimenti della Nasa. Emette un rumore da
shuttle, infatti, e l’accorta puliziotta lo va a passare sotto le orecchie del
moribondo che sta per conoscere Dio, Gesù, lo Spirito Santo e tutto il
loro tipico, patetico astio chiesastico da vendicatori dei cieli nei confronti
di chi sulla terra pensava male di Loro mentre soffriva. Conosciamo
bene.
Leonardo s’è letto tutto ciò che la sala d'aspetto ha da offrire. Una
Settimana Enigmistica usata, un vecchio numero di Oggi con Diana
ancora viva e cavalcante, un Calzino dell’altro ieri, un poster sui
melanomi dei tifosi della Fiorentina. Colorato ed inquietante, ma
veritiero ed esaustivo. Leo ignorava quanto fossero marci a Firenze, e
non sapeva che il viola è solo lo stadio iniziale. Poi, mentre sei lì che ti
preoccupi e non sai che cosa fare, TRAP!, t'arriva il giglio su una tetta.
Poi l’olivera nera, l’edmundo biliare, i cernecchi e infine i gori, a chiuder
la partita. Brutto modo d’andarsene.
Maammamia, distoglie lo sguardo soprattutto perché non gli interessa
proprio, ognuno ha le sue. Lui ha le bolle. Be', in effetti adesso che ci
pensa cominciavano ad essere viola, già a casa. Continua a pensare. A
quest’ora saranno edmunde ormai. Arrivato ai gori decide che
abbandonarsi alla paranoia non è produttivo, non è performante. Nonnò.
«Signorina, mi scusi, qui che cosa intendete, esattamente, per pronto
soccorso? Sono seduto ormai da due ore e tre quarti».
«Sera sabato sera saresti statin pieti, vecchie. Ci sonurcenze più urcenti
dla toie, i metici sonimpegnate e gli ampulatoroccupate. Sietite, 'spett, e
tàttuna calmate. La prossima volt macari prov'o sappone. Kille caffà
schium, presént?».
L’infermiera è seccata. Cabbuogliono sti scassacazze, le cliniche privat
coma Lusann? Scarraffune. Affrikane.
Allo scoccare della terza ora - a Leonardo l’orticaria è virata in orchite -
la kapò lo chiama e lo indirizza.
«De’ Carolis, sala C».
Nella sala C un infermierino con gli occhiali lo scruta velocemente e
con aria strettina strettina:
«Devi andare in dermatologia, schifoso! Hai bisogno di una visita
specialistica! Chi t’ha mandato qui! Perché!».
Leonardo anche lui è un pezzo che se lo sta chiedendo. Le tempie
cominciano a stillargli resina d’aspide.
Finisce al terzo piano a fare la coda allo sportello bancario. Deve
pagare le cinquantamila di ticket per la maledetta visita specialistica.
Sale, sale. Ora sì che sa come san di sale le altrui sale. Altro reparto,
altra panca. Un vecchio Panorama, un Venerdì di Repubblica e una
Settimana Enigmistica con gli Incroci Obbligati ancora intonsi. Certo. I
piani alti. Roba fina. Giusto.
L’attesa per essere ricevuto da tal Dottor Antani non è lunga.
«Acari, signore, l’ho capito appena ho visto la sua faccia. Vive in un
fienile, vero? La lava spesso la paglia? Sarebbe meglio che la cambiasse,
non crede?»
Leonardo è umiliato dalla diagnosi.
«Come sarebbe, se mi lavo? Certo che mi lavo. E vivo in pieno centro.
Vabbè, le lenzuola le cambio solo per le Grandi Occasioni, ma non
dormo con cimici e scorpioni...»
Leonardo lascia l'importante Nosocomio Mandamentale Regionale con
cinquantamila lire in meno e cinquantamila dubbi in più.
«Macché acari. Chissà cosa s’è bevuto a colazione ».
Un forte interrogativo però lo turba.
«Non sarà che mi porto dietro ancora la puzza della campagna? Forse
mi sono beccato ‘ste piattole provinciali quando vivevo davvero in un
fienile, e oggi, dopo anni, mi sono tornate fuori. Oppure sono le pulci dei
barboni in Piazza Verdi. Ma come hanno fatto a finirmi nel letto? Ehi,
aspetta, ci sono, forse è un riacutizzo di pummarola brasiliensis, di
quando stavo con Edinalva. Non s'è mai voluta curare seriamente. La più
lercia di Bahia, però simpatica. Mah, bih, boh».
Leonardo non è per nulla convinto della diagnosi. Le bolle sono sempre
lì, agitate e cinguettanti. La sua schiena è un misto di acciottolato di
Pompei e soffioni di Pozzuoli. Dio, come non sopporto il sudicio sud.
Si aspettava una visita accurata, magari accompagnata da esami del
sangue e molti tipi di prove allergologiche. Ma il tizietto s’è limitato ad
uno sguardo sbadiglioso alle pustole e ad un
«Le lavi, le lenzuola, faccia questo sforzo. Ad alta temperatura. Si
cambi la maglietta spesso ed usi un sapone più incisivo. E si cosparga di
Mytigal, nel caso fosse scabbia. Mi telefoni, se è scabbia. Buongiorno. E
chiami l'Ufficio d'Igiene. Hanno delle macchinette a vapori di mercurio
che fanno miracoli, su quelli come lei. Ripassi tra due settimane per il
controllo, se non si è liquefatto. Faccia entrare il prossimo, non tocchi la
maniglia».
Non gli resta che andare a farsi spennare dall’arcinoto Dott. Marcolini,
un dermatologo a tassametro che si mette in moto solo con valute forti,
ma che non sbaglia mai una diagnosi. La visita costa 650.000 lire in
nero, e serve ad arricchirgli la collezione di soldatini di piombo, uno più
raro e bello dell’altro, ma puoi andare sul sicuro. La visita è come si
deve, non si fanno file, e se ti sei beccato l’aids il dottore te lo dice
subito, senza tanti giri. Inoltre, su un calendarietto con la Sua Foto, e la
didascalìa Un'Altra Volta Impari, ti segna con un cerchio rosso anche il
giorno che muori, preciso. E poi i soldatini in una teca in radica dello
studio, tutti a guerreggiare e crepare proprio come te tra poco, sono un
grandioso spettacolo, compreso nel prezzo. Bel tocco.
«Ha assunto per os crostacei surgelati?»
Leonardo è colpito. Veramente. Il dottore, dopo avergli attentamente
osservato la schiena maraglia per non più di un secondo e mezzo, ed aver
ascoltato la descrizione dei sintomi, ha già emesso una diagnosi
plausibile.
Silvan, sul serio. Meno vecchio finocchio, e più vecchio Murri.
«Non ho assunto nessuno, le tasse e i sindacati mi ucciderebbero. Però
ieri sera ho cenato con alcuni gamberetti in frezeer da un paio di mesi.
La conversazione è stata strana, e anche il sapore, adesso che ci penso.
Mi sono intossicato?».
«No, non si preoccupi. Vede, questa è un’orticaria classica da crostacei
e/o molluschi surgelati. Caso contemplato. Nel giro di ventiquattr’ore le
sarà passato tutto. Passi in cassa e arrivederci».
Il dottore si frega le mani e osserva affettuoso il Battaglione Ussaro Il
Giorno Prima Di Jena. Medico e paziente immaginano, sentono che
presto arriveranno robusti rinforzi, e forse nuove più fresche lavanderine.
Leo ne scorge una finita sotto un carro ippotrainato, e persino lui capisce
che non se la caverà, con la spina dorsale spezzata. Una lavanderina più
giovane, quella che l'ha fatta scivolare, ride allegra e nasconde dietro
l'ampia gonna una buccia di banana mentre s'accompagna ad un certo
Ulrik, posta di quella scaramuccia. Un vecchio Unteroffizier con pipa di
gesso scruta pensoso tra le sottane scomposte della moribonda. Bel
tocco. Diorama fantastico.
Sentimenti attraversanti Leonardo all’uscita dall’ambulatorio:
- gioia per sentirsi sollevato dall’incubo: non deve fare né l’esame HIV
né testamento;
- dolore urente per le 50.000 + 650.000, oltre ad una mattina di lavoro
persa;
- sorpresa per la competenza dell’infermiera del pronto soccorso
(l’orticaria era davvero un’orticaria, ma ci ha preso per puro caso);
- odio e bava vindice per i medici dell’ospedale pubblico;
- odio, democraticamente scorretto ma vivissimo, per tutto ciò che è
Pubblico;
- simpatia per le lavanderine, respirino o rantolino;
- dispetto per il comportamento di certi vecchi Unteroffizier, che stanno
lì a sognare e fumare quando ci sarebbe tanto da fare; forse per loro è
giunto sul serio il momento di andare in pensione e cedere il passo ai
giovani Ulriki.
- odio per i carri a cavalli parcheggiati di traverso;
- e per Ulrik.
É talmente inferocito che davanti a lui Bulagna si trasforma in una
Petra scolpita in carbone sardo, il cielo diviene una lavagna, le nuvole
escrementi di negro linciato. La giornata é andata a metà, tanto vale
sprecarla del tutto, farsi venire un bel mal di testa, chiudere i conti come
si deve. Questa volta, per meglio concentrarsi sul bersaglio e non
consentirgli di farla franca, Leonardo configura il proprio personalissimo
mirino, una croce rossa virtuale tra i lombi del cervello, mentre emette il
ronzio di dolore cui si sta assuefacendo.
Zip, zap, stracciaboom
Il Dott. Antani, dermatologo specializzato in vespe, acari e diagnosi
veloci, si ritrova trasformato nel personaggio principale di un romanzo
entomologico di Kafka, concupito dalla sorella matta che stravede per i
burdigoni su per la figa però lui non ci sta e fugge ad elitre levate per le
buie vie di Zlåta Bulagna, dove incontra una dittera bionda che produce
un miele sapidino delicatissimo che Antani si diverte un fracco a suggere
con la sua proboscide a tromba ma poi arriva il marito, un calabrone
calabrese nero con un pungiglione come Antani ha sempre desiderato e
invece si deve accontentare del suo tranquillo millimetro, che per la
copula e le uova andrà anche bene, ma per far festa è pietoso, anche se le
dittere non è a queste cose che badano, piuttosto ai tuoi colori, alle
cellette dei tuoi sei ocelli, a come danzi in tondo e in su ein giù ein
diagonale per convincerle alle nozze e sciamare al tuo nido di proprietà,
e a quanti petali e rugiada porti a casa alla fine del mese e insomma dai e
dai poi Kafka si scoccia e nell'ultima pagina, scritta peraltro con bel
mestiere, durante la disperata fuga Antani la cimice finirà sfrittellata con
una gran puzza sotto un’enorme lucida-pavimenti dell’ospedale Murri
Sei Grande, Che Ti Frega del Mazzacurati? Quello Pensa Solo Ai Soldi.
Nella più grande Realtà, a fine mese tutti gli insetti meritionali del
pronto soccorso in busta paga riscontrano dei pagherò a cadenza
settimanale e scadenza quinquennale, intestati ad un certo Leonardo
de’Carolis, che nessuno conosce ma che tutti dicono dotato di uno stuolo
di avvocati turpi e carogne, amici di tal Di Pietro o Del Piero, non si sa
bene. E per non essere sbancati, sbiancati, sbacchettati, sbranati pagano e
pagano.
Osse pagano. Leo rinnova il parco cravatte.
Sinergie
Mal di testa
I poteri e gli effetti speciali di Leonardo sono aumentati. Ogni volta che
si sente attaccato inventa punizioni sempre più efferate, tipo quando è
sceso in cantina, ha tolto dallo scatolone gli scarponi chiodati regalatigli
dallo Zio, se li è infilati e ruggendo è risalito e ha sfondato ha sfondato
ha sfondato a calci il televisore che trasmetteva la gente che applaudiva i
funerali di qualche deficiente morto nell’espletamento del dovere dello
stato. Loro e le loro mani idiote facevano clap clap, e lui gli ha fatto
CRAASH, CRACK TINGLE!, e com’è contento adesso. Principalm.
perché ha risparmiato un zip zap stracciaboom, e secondariam. perché è
sempre un piacere imparare che c’é un cretino in meno.
I zip zap stracciaboom aizzano nell'angelo sterminatore emicranie
vieppiù ingravescenti, e in particolare sono terribili i parossismi
scatenantisi in lui ogni volta che s'imbatte nella parola vieppiù,
immediatamente dietro a vivaddio nella sua lista di proscrizione. (Allo-
stato è hors concours, morirebbe alla prima sillaba, meglio non pensarci).
Certe sere il dolore è talmente lancinante che progetta di prendersi a
martellate. Si è assuefatto a qualsiasi tipo di antidolorifico. Non riesce
più a dormire, e non è in grado di presentarsi al lavoro.
La Vendetta quindi inizia a pesare, oltre che sull’integrità fisica, anche
sulla Produttività.
Conscio delle conseguenze, cerca di limitarsi, infierendo solo quando è
indispensabile. Le fonti di sturbo però sono infinite, e sembrano
addirittura aumentare. Leonardo si sensibilizza verso forme d’odio
vieppiù sottili. OOOOORGHHHHH.
Qualsiasi attentato al Buon Gusto e alla Cultura è oramai un attacco
personale, diretto alla sua stessa e medesima persona. Contro di lui, cioè,
non ha dubbi veruni.
In ogni modo, in questo modo, Leonardo benché attaccato su più
fianchi arriva a trentacinque anni. Certo a fatica, ma si è tolto
soddisfazioni, ha pareggiato conti, ha passato il punto di non ritorno, è in
vantaggio, yuk! Dalle rive orrende del suo fiume ha visto transitare a
faccia sotto migliaia di nemici, gonfi. Particolare importantissimo: tutti
eran con le mosche verdi, nessuno rideva, nessuno profumava e faceva
finta d’esser vivo. Il nutriente tempo della Realtà.
La cadenza delle sue vendette però è costretta a subire un
rallentamento. I postumi stanno diventando insopportabili, le multe
ormai bisogna comminarle con oculata parsimonia. E' preoccupato, ne va
sul serio della salute, tirerebbe ad arrivare minimo ai trentasei, ma i
bozzi gialloviolacei della fronte iniziano a suscitare nei colleghi divertiti
sospetti, glielo legge in faccia ogni mattina, glielo. Tutti fautori della
prova del nove, scienza esatta.
S-schifosi, p-porci tutti.
Non è più facile come agli inizi, ronde di Volunteers in caccia del VPV
(Vendicatore al Pepe Verde) stanno frugando ansiose i portoni e i
tombini dell’intera città, perciò si vede costretto al ribasso, a stabilire una
quota fissa: 1 (Una) atomica al mese. Giurin giuretta. Indici incrociati,
tre volte baciati.
See, figurarsi.
Isteresi é la fatica del metallo, Isterìa la fatica del Giusto. Non di
metallo.
Né di granito, né di carborundum, se è per questo, ma di ossa, carne e
incazzature, trastullo preferito di quel grandissimo rompicoglioni del
Lassù, che tanto per non smentirsi il giorno stesso del giurin giuretta
spedisce a Leo una raffica di molteplici attacchi a mitraglia.
Alla televisione del mattino sbatte in un agghiacciante "...Diciamo che
vi è un vieppiù di qualità e di quantità a go go. Diciamo che allo stato la
vera problematica è che i centrocampisti che cantano e portano la croce e
quant’altro appartengono un attimino, oggi come oggi, alla Milano da
bere, vivaddio. Evidentemente". Poi nel pomeriggio rimane coinvolto in
una rissa tra Pi Erre e buttafuori modenesi di una discoteca, il Tio?Boh!,
e sotto le Due Torri viene implicato in uno scontro tra caldarrostai
modenesi per il controllo dal teritôri.
Le conseguenze sono deleterie per il paladino, che nei giorni successivi,
dimentico di se stesso e dei suoi giurin giuretta, ha applicato con
munifica liberalità fulmini a tonnellate su ani reprobi e infedeli. Tante
tons. Ma tante tante tons.
E siccome dalli e dalli vien la bua ai non-metalli, Leonardo è ghermito
da inedito malore.
È raccolto dal 118 mentre sguilla e risguilla sul marciapiedi, tra sibili,
schianti, loffe, schiume, orine, ectoplasmi, cacche addosso e reiterati
tentativi orali, andati a vuoto, di strappare lo scroto a Baal.
Morsicare le balle a Baal. Gran numero, se riuscisse mai.
I silenziosi innocenti della Coop di Volontariato CDSM "Ci Dispiace
Se Morite" nei referti annoteranno che il paziente si artigliava tempie
rosse fuoco infernalissimo, e nel suo gonfiore testicolo-laringeo
assomigliava al mortadello Brodi quando gli viene in mente l'Orchessa
Dalema.
«Tossico in simmia», diagnostica una vecchia in blè. Dal pronto
soccorso Leonardo viene efficacemente instradato al reparto picchiatelli.
Privo di traumi fisici di rilievo - un singolo ematoma da craniata su
marciapiedi, vistoso e cìp, ridicolo dal punto di vista clinico - appena
torna in se’ rilascia un’intervista piuttosto interessante allo psicologo di
guardia.
«Senti qualcosa se ti faccio così, De’ Carolis?».
Il medico avvicina la testa a dieci cm, e lo guarda.
Leo apre gli occhi, e fissa il dondolìo dei suoi anelli da narice:
«Formiche. Voglia di napalm. Un M-16».
«In che senso formiche? E perché il napalm? Cos’è un M-16?».
«Formiche ha presente quegli esserini fascisti che raccolgono le
briciole e le portano sotto terra ne sento un mezzo miliardo belle grosse
qui sotto la fronte dottore e mi stanno rodendo il cervello mentril napalm
come la varechina è insostituibile nell'obliterare le macchie di merda
Apocalypse Now presente no se invece non hai abbastanza soldi puoi
fare benino anche con l'M-16 una specie di cerbottana. Uufff. Ha finito
con le sue curiosità da ignorante? Casa, idrogeno casa».
«Prima di lasciarti andare devo accertarmi delle tue condizioni
sicofisiche. Cos’è 'st'apocalissi nau? Perché ti esprimi in lingue estere?
Perché salti la punteggiatura?».
È in fissa col TU, stosterco, geme Lenny. È sfinito, non vuol parlare
più. Non serve mai. Suoni. Aria.
"Tu. Sterco. Fisso".
"Non fare lo stizzito con me, amico: sono il solo che si sta interessando
a te, qui dentro. Forza, sta su, mettiti dritto. Sei pronto per il test
Khaccyo-Vhuoy? Sì? Ipotizziamo che ti trovi chiuso in un autobus
affollatissimo, di quelli che strisciano sull'asfalto con la coda e le
portiere sono gonfie ma bloccate. Dove metti la crocetta:
A) Ti alzi e fai accomodare una vecchia in cinta in attesa dei soccorsi.
B) Col martelletto d’ordinanza prima spacchi il vetro d’emergenza, poi
spacchi la faccia a chiunque cerchi di saltar fuori prima di te.
C) Spacchi la faccia alla vecchia gravida, così, tanto in 'sto casino chi lo
viene a sapere.
D) Mordi a sangue una guancia alla stronzetta che tu le hai sorriso ma
lei è impallidita ed ha girato la testa».
Leo a medio alzato fa capire che crocerebbe B C D. Col secondo medio
alzato e vibrante comunica che alla personaggina smorfiosa di D
praticherebbe anche altre cose, tanto in 'sto casino chi distinguerebbe le
urla?
Si odora il secondo medio. Subito glielo odora anche il medico, che
balza indietro di scatto.
«Perché tanto odio? Cosa t'infastidisce?»
«Che cosa t’infastidisce, testa di cazzo, parla in italiano. Tutto. A
cominciare da te. La tua faccia. Come ti conci il naso. Il tuo stipendio.
Le tue domande imbecilli. Il tuo far parte della mia realtà. Quella vacca
di tua madre. Se mai l'hai avuta».
Un sichiatra pubblico non è meschino, è e vuole essere un
professionista, educato a non leggere come personali gli attacchi di un
ebefrenico franato. Sospira soltanto, e stila il referto. Il seicentesimo
della mattinata. Di fronte alle brutture posteti davanti (posteti?) dal
misericordioso mestiere ci si difende con la prassi, con gli atti dovuti.
Il paz. Barozzi Vanes, aka De’ Carolis Leonardo Lennileo, da Noi
approcciato il 23 ultimo scorso, all'esame obbiettivo denuncia
significativi elementi di marasma del sensorio superiore, connotati da
impulsi coattivi a morsicare tessuti umani, e associati a schizofrenia
paranoide galoppante. Allo stato risulta destrutturato in toto, intrattabile
e refrattario a qualsiasi presidio terapeutico, ivi inclusi elettrosciòcc, socc
del mel alla punta, scissura dei temporali e deafferentazione corticale.
Rinchiudere. Dimenticare. Evidentemente.
Si rilascia a chi di dovere per gli Usi di Legge.
In fede, Bulagnesi Pier Maria, diciamo.
Ha una coiffure arancione ed un tatuaggio GNOCCA RULES! sulla
guancia sx, anellini e crocifissi infissi nei posti più atroci, ma il mestiere
lo conosce, perdio se lo conosce, e va quindi a cantare il referto al
paziente laggiù nella stanzina imbottita, imitando la voce maschia di
Ron, suo artista di riferimento.
Grida cilene. Grida argentine. Grida tuzi. Grida kurde. Grida tibetane.
Grida slave. Grida terrestri.
Ravvolto in una camicia di forza che nessuno gli leva e nessuno gli
lava, Leo per un paio di anni vegeta in una stanza con materassi e ditate
nelle cantine di un manicomio convenzionato di Imola. L'unico che lo
accudisca e che gli voglia un po' di bene è Mengoli Gino, un infermiere
di Sassuolo, spinto in quelle tristi plaghe da indicibili intorcinamenti
della beffarda vita. Nasando odor di Premio Bancarella, Campiello,
Strega, Bagutta, Viareggio, Forte dei Marmi, David di Donatello,
Telegatto, Terrazza Martini e Chinzén de Realizér, Gino ha sub/odorato
la potenzialità delle memories del povero bavoso. Di giorno intervista e
registra, di pomeriggio si disinfetta, e di notte sbobina i deliri del
conterraneo. Un lavoro attento e minuzioso: molti pugni e cinghiate
partono quando Lenny si slancia nei suoi galoppi anti sassuolesi, ma il
resto, signori, è amore. Vero amore.
Allo stato trattasi di materiale ancora un po' crudo ma, cantando e
portando la croce, Gino sogna un'auto nuova e una moglie nuova.
E siccome c'è bisogno di gioia nel mondo, facciamo voti che tutto vada
come vuole lui.
Alè Gino.
PARTE TERZA
AP.
PLAUSI.