Sei sulla pagina 1di 15

lOMoARcPSD|23914520

Riassunto di Che cos’è la narrazione di Andrea Bernardelli

Letteratura italiana (Università degli Studi di Trento)

Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo.


Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)
lOMoARcPSD|23914520

1. Incipit – Come iniziare una narrazione?

Le prime pagine suggeriscono il tono, il ritmo e il soggetto delle pagine che seguiranno. Qui vengono poste
le domande alle quali il resto del racconto cercherà di dare una risposta.

Ci può essere un modello universale in base al genere del testo, come quello del romanzo poliziesco, in cui
viene descritta un’azione criminale all’inizio, e poi avviene lo sviluppo della ricerca del colpevole.

Il più semplice degli inizi è quello in cui si presentano lo spazio e il tempo, il dove e il quando della
narrazione. Es. Notre-Dame de Paris di Victor Hugo.
Le azioni dei personaggi si svolgono poi all’interno di quei confini, che il lettore conosce.

A volte però si cerca di confondere il lettore, scatenando la curiosità di capire chi sia il personaggio che gli
sta rivolgendo la parola. Es. Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.

Sì può iniziare con:


- Una descrizione di un paesaggio o di uno dei personaggi. Es. Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
- La presentazione in prima persona del narratore. Es. Moby Dick di Herman Melville.
- Un pensiero o una riflessione filosofica. Es. Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen.
- Una conversazione. Es. Al Faro di Virginia Woolf.
- Una spiegazione dell’origine del racconto. Es. Il nome della rosa di Umberto Eco.

È possibile anche citare l’inizio di qualcun altro, come fa Snoopy, iniziando sempre con “era una notte buia e
tempestosa…”

Gli eventi del racconto non si svolgono necessariamente nel momento zero in cui la narrazione ha preso
inizio. Molto spesso la narrazione parte quando l’azione è già cominciata. L’inizio in medias res si apre su un
episodio centrale per andare avanti e indietro nel corso della narrazione. Es. Odissea di Omero. Questo
permette al personaggio di Ulisse di raccontare in prima persona gli eventi precedenti che lo hanno
condotto alla situazione iniziale della narrazione.

All’inizio della narrazione il lettore si trova nella condizione di accettare o rifiutare le modalità del racconto,
per vari motivi, tra i quali l’incredulità. Questo l’autore deve evitarlo fin dal principio, deve riuscire a creare
una complicità tra la storia e il suo lettore, facendo in modo che questo sia interessato a proseguirla. Deve
avvertire fin dall’inizio il lettore di ciò che potrà incontrare in seguito. Questo processo è stato spiegato da
Samuel Taylor Coleridge attraverso l’espressione “sospensione dell’incredulità”. Il lettore deve essere
consapevole della possibilità di dover accettare delle variazioni della realtà così come la conosce.

Nelle prime fasi di un racconto avviene dunque un patto di lettura, che spesso è di facile intuizione grazie a
degli stereotipi che delineano il genere del testo. Esistono delle espressioni fisse che aiutano a riconoscere
un genere fin dall’inizio, come “C’era una volta…” nelle fiabe. Ma anche in questi casi è possibile giocare con
le aspettative del lettore. Es. Pinocchio di Collodi.

Esistono anche altri modi per portare il lettore a dover rielaborare le proprie attese, in Fahrenheit 451 ad
esempio, l’autore Ray Bradbury presenta i pompieri come coloro che incendiano i libri, capovolgendo il loro
ruolo nella realtà, e facendo in modo che il lettore si allinei con la nuova realtà presentata.

Cinema
Si può iniziare dalla fine, proponendo un quesito, dando un obiettivo da perseguire per il resto della
narrazione. Questo tipo di incipit però non ha la stessa funzione sia nel cinema che nel libro, perché se non
ci dovesse piacere l’inizio di romanzo probabilmente non lo continueremmo, però difficilmente lasceremmo
la sala nel caso di un film.

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

Serie TV
L’incipit di una serie tv è diverso rispetto quello del romanzo o del film, soprattutto per quanto riguarda
l’estensione di ciò che preannuncia o introduce. In un tempo limitato di cinquanta minuti lo sceneggiatore
deve inserire tutti gli elementi che ritiene utili per catturare l’attenzione. Qui devono essere presentati i temi
ricorrenti della serie, con la presentazione del mondo narrativo e dei suoi personaggi principali. L’incipit te
serve dunque ad attirare lo spettatore, ma lo stesso tempo ad abituarlo alle regole della narrazione.

2. Cosa raccontare e come

Fabula e intreccio
Nell’antica tradizione retorica esistevano tre momenti fondamentali per una narrazione efficace:
- Inventio: trovare gli argomenti giusti per sostenere la propria causa
- Dispositio: il modo più efficace a seconda delle situazioni di disporre di quegli argomenti
- Elocutio: la forma espressiva da usare per la stesura definitiva del proprio discorso

Questo metodo può essere applicato alla narrazione. Bisogna prima trovare del materiale narrabile, poi
disporne in maniera adeguata, per catturare l’attenzione, e infine applicare una forma espressiva efficace.
Durante la ricerca del materiale narrabile teniamo anche conto di ciò che può essere raccontato e ciò che
non può, o non deve, esserlo. Si può utilizzare la forma retorica della reticentia, E non dire tutto
esplicitamente ma facendolo intuire, oppure si può esercitare sui farti una censura preventiva, tagliando o
eliminando, applicando cioè un’ellissi narrativa.

Nella Poetica, Aristotele aveva creato la categoria del verosimile. In situazioni verosimili si raccontano
condizioni che potrebbero accadere, e non ciò che è realmente accaduto. Così realtà e finzione vengono
unite attraverso la coerenza della narrazione.

Con fabula si indicava l’ordine degli avvenimenti secondo una sequenza logica e cronologica. Con intreccio
invece la disposizione che assumono gli eventi della fabula, nell’ordine in cui vengono di fatto esposti nello
svolgimento della narrazione.

Dalla stessa sequenza di eventi e dagli stessi personaggi possono derivare racconti differenti, in base alla
modalità in cui questi vengono esposti nella narrazione. Se durante un film o una lettura ci mettessimo a
tracciare la ricostruzione causale e cronologica degli eventi, otterremmo una fabula, cioè l’ossatura della
trama. La messa ad intreccio di una storia consiste infatti nella dislocazione o inversione dell’ordine
temporale degli eventi, questo per creare particolari effetti narrativi.

Questo rapporto esiste anche tra il soggetto cinematografico e la sceneggiatura. Con soggetto si indica il
nucleo narrativo, la storia minimale. Il soggetto può essere originale, quando è una creazione dell’autore,
oppure non originale, quando deriva da un’opera precedente, come un romanzo. La sceneggiatura contiene
invece la struttura narrativa del film, con la visualizzazione delle azioni e dei personaggi così come saranno
presentati nella pellicola. Tra le due parti esiste una fase detta del trattamento, in cui si elabora una scaletta
della struttura narrativa.

Modelli
Esistono schemi e modelli generali per la narrazione. I più semplici, perché i più antichi, sono ad esempio la
fiaba e il mito. Queste venivano trasmesse oralmente, ed è per questo che utilizzano formule narrative di
facile memorizzazione.

L’etnologo Vladimir Propp, studiando le fiabe di magia russe, ha scoperto un modello narrativo comune di
31 situazioni narrative. Queste sono singole azioni astratte legate tra loro in modo causale. La struttura di
queste fiabe è sempre la stessa. La prima funzione può avvenire in diversi modi. Principalmente consiste
nell’allontanamento della vecchia generazione dalla dimora dell’eroe, dove questo resta. Questo
allontanamento può avvenire in diversi modi, quello più estremo è la morte. Può avvenire anche che sia

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

l’eroe ad allontanarsi. Queste 31 funzioni vengono distribuite tra 7 personaggi principali, cioè l’eroe, il
donatore, l’aiutante, la principessa e suo padre il re, il mandante, l’eroe, il falso eroe.

Joseph Campbell invece ha notato che il racconto mitologico narra la stessa storia, con alcune varianti più o
meno ampie. Campbell ha definito questa storia-modello “il mito dell’eroe”. Egli si basa sulle teorie dello
psicanalista Carl Jung, secondo il quale esiste un inconscio collettivo dell’umanità, dal quale derivano le
universalità e le archetipicità delle strutture di fondo del mito

Cheistopher Vogler ha pensato che questa idea potesse essere applicata anche al mondo cinematografico, e
ha definito il modello come “viaggio dell’eroe”. Questo modello propone 12 fasi che vedono il protagonista
del racconto abbandonare il proprio mondo per affrontare i pericoli dell’ignoto e rischiare la morte
combattendo terribili nemici, per poi poter ritornare al proprio mondo di partenza con un dono che
trasformerà per sempre sia l’eroe che la realtà in cui vive. Inoltre Vogler, come Propp, identifica 7 tipi di
personaggi ricorrenti:

1. L’eroe, il protagonista con il quale lo spettatore si identifica.


2. Il mentore, la figura del saggio che aiuta l’eroe.
3. Il guardiano della soglia, colui che blocca l’eroe dall’accesso alla ricompensa.
4. Il messaggero, una figura che porta all’eroe importanti rivelazioni.
5. Lo shapeshifter, un personaggio doppiogiochista, ambiguo e complesso.
6. L’Ombra, il cattivo, l’antagonista dell’eroe.
7. Il Trickster, il comico, spesso anche un alleato dell’eroe.

Queste sono funzioni che possono anche coesistere in uno stesso personaggio. Il modello è tipico delle
animazioni Disney.

Archi narrativi
Un’altra forma narrativa molto antica è la tragedia classica. Aristotele, nella Poetica, dice che le strutture
narrative della tragedia possono essere divise in semplici e complesse, in base alla presenza o all’assenza di
due dispositivi narrativi, cioè la peripezia e il riconoscimento.

La peripezia consiste nel cambiamento improvviso e radicale, che rovescia le sorti del protagonista. Questo
avviene ad esempio quando Edipo scopre da un messaggero che colui che credeva essere suo padre era
morto. Questo lo rattrista, ma allo stesso tempo lo rassicura perché la profezia secondo la quale lui avrebbe
ucciso il padre e sposato la madre viene smentita. Il messaggero continua però dicendo che coloro che lo
avevano cresciuto non erano i suoi veri genitori. Egli aveva ucciso durante un litigio il vero padre e ne aveva
successivamente sposato la moglie, che ora sa essere sua madre. Avviene così un rovesciamento della
percezione della realtà di Edipo.

Il riconoscimento consiste invece nel passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza, in una rivelazione che
cambia le sorti del racconto. Questo è presente anche nell’Edipo, ma è ampiamente presente anche
nell’epica. Ad esempio, nell’Odissea, quando Ulisse fa ritorno a Itaca, viene riconosciuto inizialmente dal
cane Argo e successivamente anche dalla nutrice.

In entrambi i casi si tratta di dispositivi narrativi che determinano lo sviluppo della trama. Lo scrittore Kurt
Vonnegut ha deciso di rappresentare questo sviluppo su degli assi cartesiani. L’asso orizzontale è quello
temporale, che rappresenta lo svolgimento della storia dall’inizio alla fine, l’asse verticale invece serve per la
rappresentazione degli alti e bassi del protagonista. In questo modo si possono rappresentare in modo
semplificato diverse tipologie di sviluppo narrativo.

Uno di questi modelli è quello del Man in hole, cioè dell’uomo nella fossa, in cui il protagonista si mette nei
guai e poi riesce a tirarsene fuori, tipica del romanzo di formazione, che termina con una situazione migliore

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

di quella di partenza, perché ora il protagonista è più esperto delle cose della vita. Questo è tipico anche del
“viaggio dell’eroe” di Vogler. Il tono è quello della comedy.

Un altro esempio di curva narrativa è quello che Vonnegut chiama boy meets girl, cioè lui incontra lei, ma
può essere anche il contrario. Il tono è tipico del romance, di una tormentata storia d’amore. Inizialmente le
cose non vanno né bene né male per il protagonista, quando un giorno incontra la propria persona ideale.
Questo è il giorno più bello della sua vita e il picco positivo dell’onda. All’improvviso succede qualcosa che
mette in pericolo il suo sogno d’amore, ma dopo varie peripezie, trova una soluzione e si ha un finale
positivo.

Nella tragedia invece, abbiamo inizialmente una curva scende verso il basso, poiché accade qualcosa che
mette in discussione il mondo del protagonista. Poi avviene una ribellione che fa risalire la curva nello
spazio positivo, dove la condizione iniziale del personaggio migliora, ma infine tutto corolla verso la più
totale negatività. Amleto di Shakespeare inizia con la morte del padre di Amleto, a seguito della quale la
madre sposa lo zio. Successivamente il fantasma del padre si manifesta rivelandogli di essere stato
assassinato proprio dallo zio. Amleto decide quindi di vendicare il padre ma durante il suo tentativo altre
persone muoiono, persone a cui lui teneva come ad esempio Ofelia, la sua fidanzata. L’opera culmina poi
con la morte stessa dell’eroe. Le attese dello spettatore sono così soddisfatte, poiché tutti i malvagi vengono
puniti, persino il protagonista, che a suo modo è colpevole.

Reagan ha identificato sei archi narrativi emozionali di base, che ricorrono con maggiore frequenza nel
corpus delle narrazioni analizzate:

1. dalle stalle alle stelle o ascesa


2. dalle stelle alle stalle o caduta
3. l’uomo nella fossa o caduta-ascesa (il romanzo di formazione)
4. Icaro o ascesa caduta (il genere drama)
5. Cenerentola o ascesa-caduta-ascesa (fiaba, genere comedy, sentimentale)
6. Edipo, ovvero caduta-ascesa-caduta (tragedia, drama complesso)

Ci troviamo di fronte due movimenti di base, o strutture narrative semplici alla Aristotele: l’ascesa e la
caduta. A partire da queste due curve emotive elementari possiamo puoi ottenere le altre potenziali onde
emotive del racconto: caduta-ascesa, ascesa-caduta, ascesa-caduta-ascesa, e caduta-ascesa-caduta.
L’obiettivo di questi meccanismi narrativi è quello di creare delle reazioni emotive nel lettore o nello
spettatore. Questo vale principalmente per le narrazioni che prevedono una conclusione, come i racconti
brevi, i romanzi, oppure i film.

I racconti a puntate o le soap-opera televisive comportano l’intrecciarsi delle avventure di più soggetti. Con
più linee narrative che si intersecano, si crea una struttura multilineare del racconto. Già Ludovico Ariosto
nell’Orlando furioso faceva seguire al lettore in modo alternativo le vicende di più personaggi, costruendo
diverse linee narrative che in alcuni punti si incontravano. Anche adesso opera in molte serie televisive
contemporanea usano questa tecnica. Seguiamo diversi fini della storia tra loro interconnessi alle quali
restiamo vincolati emotivamente. E come se ci trovassimo di fronte a una serie di curve senza fine, che si
intrecciano tra loro. E la andamento di queste onde ricorderebbe il grafico usato in fisica per illustrare il
moto armonico. In questo modo lo spettatore non ha un attimo di tregua ed è continuamente coinvolto.

3. Lo spazio e il tempo (e lo spazio-tempo)

Lo spazio
Lo spazio narrativo funge come contenitore, in cui l’autore pone diversi elementi come i personaggi, gli
eventi, gli oggetti, gli animali.
L’arte della retorica, oltre ai tre passaggi fondamentali dell’inventio, dispotio ed elocutio, aggiungeva altre
die tecniche: la memoria e l’actio. La memoria comprendeva tutte le modalità per la memorizzazione di un

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

discorso, attraverso le cosiddette mnemotecniche. L’actio riguardava la recitazione, cioè il modo in cui le
parole dovevano essere accompagnate, attraverso ad esempio la gestualità.

La prima di queste due tecniche, cioè la memoria, ricorda la funzione dello spazio nella narrazione. Per
ricordare un lungo discorso infatti, veniva memorizza la sequenza di alcune stanze che rappresentavano dei
concetti, o anche le stesse parole del discorso. Venivano create delle immagini, che dovevano servire
all’oratore per ricordare un argomento che aveva precedentemente associato ad ogni particolare immagine.
Per poter ricordare quindi una determinata sequenza di eventi, è necessario prima definire uno spazio dove
collocarli, in modo da facilitarne la memorizzazione. Una cosa simile accade anche per la costruzione del
mondo narrativo. Prima vengono creati gli spazi, poi vengono inseriti i vari elementi, per aiutare lettore o lo
spettatore.

Di solito si cerca di distinguere le parti dedicate al racconto e quelle riservate alla descrizione. Si cerca di
distinguere le parti dinamiche, cioè il racconto di azioni e di eventi, da quelle statiche, cioè la descrizione di
paesaggi, oggetti e persone. In realtà queste due forme narrative sono strettamente correlate e spesso
indistinguibili. Si può dire che a volte si racconta lo spazio e altre si descrive l’azione.

In alcune scene dei Promessi Sposi di Manzoni, ad esempio, si può notare che le azioni si svolgono in pochi
attimi, ma il testo richiede un tempo di lettura molto più lungo. Questo perché Manzoni fornisce al lettore
un grande quantità di informazioni sulla scena e sulle azioni dei personaggi in uno spazio però ristretto,
anche claustrofobico, come quello di una stanza, creando una certa tensione emotiva.

In altre forme narrative, come nei romanzi di avventura o nei moderni action films, la descrizione
dell’azione, manifestata in uno scontro, una lotta, un duello, è essenziale, come nei Tre Moschettieri di
Alexandre Dumas. Anche in Moby Dick di Herman Melville la descrizione dell’azione va al di là del risultato
degli eventi, dando anche al lettore la sensazione di esserne parte.

Nel fumetto la descrizione dell’azione viene rappresentata graficamente entro degli spazi. Lo spazio qui non
è più uno sfondo inerte, ma partecipa alla descrizione dell’azione, attraverso deformazioni o la suddivisione
di una pagina in paragrafi di diversa altezza.

Il problema del raccontare lo spazio viene abitualmente legato al concetto di descrizione, che nella
tradizione della retorica classica veniva considerata come la parte del racconto in cui l’autore poteva
manifestare tutta la propria competenza tecnica. Nel romanzo moderno la descrizione ha invece assunto un
ruolo sempre più vicino a quello del racconto. Non ha più una funzione accessoria, ma ha il fine di
aggiungere, specificare, accrescere, sfumare le parti più narrative, creando nello stesso tempo un effetto di
suspence. Manzoni, ad esempio, all’inizio dei Promessi Sposi, fornisce una descrizione di Don Abbondio e
successivamente anche dei due bravi, per poi fare un attento esame di alcuni documenti dell’epoca, prima
di passare all’azione. Questa descrizione è tipica di un narratore esterno al racconto, presente soprattutto
nei romanzi storici.

Nel romanzo realista e naturalista invece, seguiamo la storia di un personaggio attraverso il suo sguardo.
L’autore cerca così di darci la sensazione di un contatto diretto con i suoi personaggi. Successivamente
abbiamo però anche il giudizio del narratore, che può essere di segno opposto, dandoci così due prospettive
diverse del mondo del racconto. In alcuni casi l’autore può scegliere di far seguire fisicamente il percorso
compiuto dai personaggi, in modo che gli possa allo stesso tempo sviluppare le proprie conoscenze riguardo
al mondo narrativo che sta esplorando insieme a loro.

La narrazione può essere caratterizzata anche attraverso dei particolari elementi ambientali. Ad esempio
Alessandro Manzoni nell’incipit dei Promessi Sposi fa uso di una tecnica narrativa che gli antichi chiamavano
ipotiposi, in cui descrive l’ambiente fisico-geografico in cui si svilupperà una parte dell’azione. Attraverso
questa descrizione, il lettore ha la sensazione di una situazione calma e idilliaca, ma da lì a poco l’autore
introdurrà diverse forme di tensione e di complicazione narrativa. Qualche capitolo dopo, si potrà già notare

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

il netto cambiamento di rotta del tono della narrazione, attraverso un’altra descrizione, quella del palazzotto
di Don Rodrigo, durante la quale il lettore viene portato a una condizione di forte tensione emotiva legata al
timore per le sorti della protagonista.

Esistono qui di diverse modalità di descrizione degli spazi: la Map view, che dà al lettore una prospettiva più
ampia. Nel campo cinematografico viene definita establishing shot, un’inquadratura panoramica che
mostra allo spettatore i luoghi in cui si svolgerà la narrazione. Questa è una visione statica. Oppure il Tour
view, una tecnica narrativa dinamica, attraverso il movimento nello spazio stesso. Quest’ultimo può
avvenire attraverso il gaze tour, in cui un personaggio fermo descrive l’ambiente che lo circonda muovendo
solo lo sguardo, oppure il body tour, nel quale il personaggio si sposta fisicamente nello spazio, dandone
una descrizione.

In campo cinematografico l’iniziale panoramica viene solitamente seguita da un progressivo avvicinamento,


con la riduzione dello spazio rappresentato, fino ad arrivare ad inquadrare un personaggio in un contesto
specifico.

Lo spazio è dunque una costruzione narrativa, preparata dall’autore per ottenere determinati effetti
cognitivi o emotivi, ed è strettamente correlato al tempo, per lo sviluppo della narrazione.

Il tempo
Ogni storia ha una propria cronologia che deve rispettare la logica che regola lo scorrere del tempo nel
mondo reale. Così, un racconto a spesso inizio in un più o meno preciso momento del tempo storico, che
può essere indicato con una data, oppure degli indizi dell’epoca. Una narrazione ideale sarebbe quella in cui
il narratore racconta in tempo reale la propria storia, rispettando così anche La consequenzialità degli
avvenimenti. Anche se questo comporterebbe dei notevoli problemi, a causa della lentezza esasperante.

Tradizionalmente vengono distinti tre diversi tipi di temporalità del racconto:

- il tempo della storia, che misura l’effettiva estensione e durata cronologica delle vicende narrate,
che può essere di diverse ore o di tanti anni.
- Il tempo della narrazione, che stabilisce la collocazione temporale del narratore.
- Il tempo del racconto, che riguarda il modo e le forme in cui vengono rappresentate nelle vicende
del tempo nella storia, cioè tagliando o ripetendo, oppure saltando avanti e indietro.

Ci sono inoltre tre distinzioni di rapporto fra il tempo della storia e quello del racconto: cioè il rapporto tra la
durata variabile degli eventi nella storia e nel racconto, il rapporto di ordine tra la sequenza cronologica
degli avvenimenti nella storia e nel racconto, e infine di una diversa frequenza nella presenza di eventi della
storia rispetto al racconto.

Durata
Solitamente, nel corso della scrittura, l’autore sopprime parte della storia, cancellando parti superflue
(ellissi) oppure facendo un riassunto essenziale (sommario). Questo riassunto funge da ponte narrativo
collegando due parti del racconto più importanti. L’autore può anche scegliere di dare una descrizione della
storia in tempo reale (scena), cercando di creare un rapporto uno a uno fra il tempo della storia e quello del
racconto. Per approfondire la storia, l’autore può soffermarsi su specifici episodi, dilatandone la dimensione
temporale (estensione) oppure può concedersi una pausa riflessiva andando al di là del tempo della storia.

Ordine
L’autore può variare la sequenza interna degli eventi della storia anticipandoli (prolessi) o compiendo delle
retrospezioni (analessi). Le anticipazioni narrative sono abbastanza rare e servono principalmente per
richiamare l’attenzione del lettore su una segreta relazione che lega situazioni narrative tra loro distanti,
oppure per sottolineare l’inatteso rovesciamento di una situazione. Le analessi sono invece più frequenti,
sono richiami a eventi che si sono svolti prima dell’attuale sviluppo della narrazione, e questo è necessario

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

quando diverse situazioni si sviluppano parallelamente, oppure quando nasce un nuovo corso dell’azione ed
è quindi necessario un chiarimento. Se queste vengono prese da un periodo di tempo precedente a quello
coperto dalla narrazione queste vengono definite analessi esterne, in caso contrario vengono definite
analessi interne.

Frequenza
L’autore può inoltre decidere di variare la quantità di rappresentazioni nel racconto. Può ad esempio dare
una singola rappresentazione a un evento che si è ripetuto più volte (racconto iterativo) oppure dare una
rappresentazione all’evento ogni volta che si ripete (racconto singolativo). Ad esempio ne La Coscienza di
Zeno, Svevo menziona una sola volta l’abitudine di Zeno a rubare i sigari del padre, ma descrive più volte la
sua volontà di smettere di fumare, cosa che non farà mai.

Il modo con cui viene costruito l’intreccio narrativo, lasciando aperte varie possibilità, con anticipazioni e
silenzi, determina varie reazioni di tensione razionale o emotiva nel lettore, come la suspence, la curiosità o
la sorpresa.

Lo spazio-tempo (o il cronotopo narrativo)


Lo spazio e il tempo sono sempre intrecciati tra loro, e per indicare questa caratteristica Bachtin ha usato il
termine fisico-teorico di cronotopo. I cronotopi possono essere presenti a diversi livelli del testo narrativo,
riprendendo la tradizionale ripartizione in storia (mondo narrativo), racconto (intreccio concreto) e
narrazione (l’atto del narrare).

I cronotopi della storia sono i più generali e astratti, e definiscono il genere del romanzo. Ad esempio, il
romanzo di avventura è basato su un eroe immutabile, per cui il tempo non scorre mai, che viaggia e si
muove fisicamente attraversando molti spazi, venendo messo continuamente alla prova. Il cronotropo del
genere d’avventura vede lo spazio scorrere, collegato a un tempo pressoché immobile. Nel genere di
fantascienza in alcuni casi è presente uno spazio alternativo a quello della realtà di riferimento, come un
mondo alieno, rappresentato in un altro pianeta. Questo genere può giocare anche con il tempo,
immaginando il nostro mondo nel futuro, oppure descrivendo un mondo in cui le cose siano andate in
modo diverso rispetto alla storia nota. Questo è un genere detto controfattuale. Esiste anche il genere
utopico, in cui si immagina una realtà alternativa ideale.

I cronotopi del racconto sono invece più precisi, e non coinvolgono la struttura dell’intera narrazione.
Bachtin definisce “della strada” un intreccio inteso come luogo di incontro e di intersezione, che può essere
interpretata anche come metafora del cammino della vita. La strada in cui si trova Don Abbondio all’inizio
dei promessi sposi è usata per permettere l’incontro di due mondi, il suo e quello dei due bravi. In modo
analogo la locanda svolge un ruolo negli sviluppi narrativi, permettendo l’incontro di diverse identità che in
altri contesti non sarebbero venute a contatto. Ad esempio, è proprio in una taverna che Renzo incontra la
realtà dei bassifondi della grande città. Abbiamo anche il cronotropo “della soglia”, intesa sia
metaforicamente che materialmente come una porta, legata a un momento di svolta nella vita di un
personaggio.

Il cronotopo della narrazione invece, serve a far intrecciare e cooperare i diversi cronotopi di una
narrazione in un rapporto dialettico o dialogico. Esistono cronotopi che mettono in relazione il mondo
dell’autore e del lettore, ad esempio in una relazione tra lo spazio materiale di rappresentazione della
narrazione e i suoi tempi di lettura. Questo lo fa Sterne in Tristan Shandy, giocando con il lettore e le sue
aspettative mettendo in rilievo i paradossi del rapporto tra il tempo della lettura e il tempo di svolgimento
della storia, che non possono corrispondere. John Fowells in La donna del tenente francese invece, usa una
voce narrante per dare una propria valutazione degli eventi attraverso paragoni anacronistici, fuori dal
tempo della narrazione, perché a noi contemporanee. Così l’autore commenta gli eventi narrati da un
tempo presente all’atto della scrittura del testo e coinvolge nei suoi giudizi il lettore e il suo mondo. Nel caso
dell’autobiografia, abbiamo il racconto di eventi di un tempo di un luogo lontani rispetto alla voce narrante,

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

che li descrive e li giudica dal presente, ma che è però la voce della stessa persona che li ha vissuti. In questo
tipo di dialettica si mette in gioco la credibilità o la fiducia che come lettori concediamo al narratore.

Anche nei fumet sono presenti questi cronotopi. Il disegnatore può ad esempio inserire degli spazi tra una
vignetta e l’altra con dei commenti di una voce narrante, in cui i tempi e i luoghi di ciò che viene
rappresentato nelle immagini e di ciò che viene raccontato in forma scritta sono diversi, in una modalità
analoga a quella del Voice Over, cioè della voce fuori campo cinematografica, che commenta gli eventi
mentre si svolgono. Si ha così l’intreccio di diversi tempi e luoghi, quelli della storia nel mondo narrato, e
quelli della voce narrante, che definiscono il cronotopo della narrazione, cioè la relazione spazio temporale
vissuta dal lettore.

4. Come popolare un mondo narrativo

Personaggi
Il ruolo dei personaggi di una narrazione non si può ridurre al semplice agire, perché questi non sempre
hanno un avere propria capacità d’azione che abbia conseguenze sullo sviluppo della trama narrativa, in
alcuni casi possono avere una funzione decorativa o descritva, facendo da sfondo alla storia.

La tecnica del ritratto con le parole permette di accumulare attorno alla denominazione del personaggio
una serie di dati descrittivi che possono identificarlo, rendendolo riconoscibile nel resto del racconto come
un singolo individuo dotato di caratteristiche specifiche.

In alcuni casi questo ritratto descrittivo può essere un’ironica caricatura, oppure una modalità a questa
analoga, cioè quella dei tipi, una descrizione che identifica un’intera categoria di individui, tipica di autori
come Honoré de Balzac.

Certo, la definizione del carattere di un personaggio avviene lentamente nel corso della narrazione, ma la
prima descrizione che viene data è comunque fondamentale. In molti casi il personaggio rivela il proprio
carattere per via relazionale, la sua identità si forma cioè dai rapporti e dalle relazioni che intrattiene con gli
altri personaggi del racconto.

A introdurre un personaggio può essere una narratore esterno, attraverso una descrizione in apparenza
oggettiva e neutrale, oppure può essere un altro personaggio del racconto o, nel caso delle autobiografie, a
presentarsi può essere il personaggio stesso. In ogni caso, il personaggio viene delineato dalle relazioni con
gli altri, che sono il limite e il termine di paragone delle sue azioni e dei suoi pensieri. Questi sarà descritto
secondo molteplici punti di vista, e la costruzione della sua identità risulterà da un processo di
comparazione e selezione delle diverse prospettive messe in evidenza dai personaggi.

I buoni, i catvi, e quelli così così


Secondo Edward Morgan Forster i personaggi possono essere piat oppure tondi. Il personaggio piatto è
facilmente riconoscibile, non ha caratteristiche complicate e non muta nel corso della narrazione. Questi
sono costruiti intorno a un’unica idea o qualità. Il personaggio tondo invece, ha la capacità di sorprenderci,
e in maniera convincente. La piattezza di un personaggio non vuol dire però che ci troviamo di fronte a una
narrazione inferiore, questa caratteristica è funzionale all’effetto che il narratore vuole ottenere. L’autore
mescola infatti nel racconto personaggi tondi e piatti a seconda delle esigenze della trama.

Questa distinzione ci serve perché spesso si fa confusione tra il concetto di eroe e quello di protagonista.
Non tutti i protagonisti infatti sono eroici. Con protagonista si intende il personaggio principale, le cui azioni
seguiamo nel corso della narrazione, e al quale si contrappone un personaggio, che ostacola i suoi progetti,
cioè l’antagonista. A questa coppia si associa anche quella dell’eroe e del villain. L’eroe compie atti di
coraggio e generosità estremi, fino al sacrificio di sé stesso, mentre il villain è una persona malvagia che può
fare del male ad altri e che si pone contro le norme della comunità.

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

A partire da questi due poli estremi possiamo immaginare una lunga serie di potenziali caratterizzazioni più
complesse dotate di sfumature e profondità, quindi tondi. Potremmo avere antagonisti non del tutto cattivi,
così come protagonisti non sempre buoni e positivi. L’antieroe non possiede tutte le tradizionali
caratteristiche positive, ma è manchevole, difettoso. Ci può essere anche la figura di un anti-villain, un
cattivo che manifesta tratti di umanità. Questo attribuisce al racconto una forte carica di realismo.

Spesso il personaggio cinematografico antieroico sfrutta la fisicità dell’attore nel definire la sua
caratterizzazione. A un catvo fisicamente attraente e affascinante viene parzialmente perdonata la sua
ferocia, ma vale anche il contrario, un catvo fisicamente brutto potrà suscitare nello spettatore sentimenti
contrastanti di pena e di compassione. Esistono dei dispositivi narrativi che possono essere utilizzati per
giustificare questo deficit morale del personaggio, ad esempio rendendo noto che questo abbia subito un
sopruso, un abuso, una forma di danno fisico o psichico, e che porta a giustificare le sue azioni. Il
personaggio antieroico delle serie tv ha un’ulteriore possibilità, che è quella della familiarizzazione con il
pubblico. Seguendo le sue vicende episodio dopo episodio, ci appassioniamo alle sue gesta e minimizziamo
gli aspetti negativi del suo comportamento, nonostante questo sia un feroce criminale, come nel caso dei
camorristi della serie tv Gomorra.

Mondi narrativi
Un mondo possibile narrativo è generato da un insieme di frasi o di immagini, si costruisce nel corso della
lettura o della visione, e viene arredato attraverso la descrizione di individui, cose, azioni ed eventi. Le sue
caratteristiche possono essere più o meno simili a quelle della nostra realtà di riferimento. Un tentativo
estremo di costruzione di un mondo narrativo è ad esempio quello di descrivere un mondo bidimensionale.
Un appiglio in questi casi può essere la presenza di esseri con caratteristiche umane, anche se piatti, che
può aiutarci ad accettare questa realtà.

Questi mondi narrativi sono limitati, non possono mai essere completi, a causa del principio di economia
del racconto, che lascia fuori ciò che non è funzionale per la narrazione. I personaggi e gli oggetti, i paesaggi
e i contesti vengono descritti solamente tramite gli elementi necessari. Anche nella cinematografia le
diverse inquadrature e le tecniche di montaggio offrono solo ciò che serve allo spettatore per comprendere
la linea narrativa, escludendo il resto.

I mondi narrativi possono anche spostarsi da una forma espressiva ad un’altra, ad esempio un romanzo può
diventare un film, un fumetto può diventare una serie tv. Questo meccanismo si chiama adattamento o
trasposizione. Da un singolo romanzo si può trarre una sceneggiatura che sia l’adattamento di quella trama
letteraria a uso cinematografico, oppure possono svilupparsi più universi narrativi complessi. Ad esempio, la
serie di romanzi e di racconti di Arthur Conan Doyle sulle avventure di Sherlock Holmes, ha generato un
mondo narrativo specifico attraverso un accumulo decennale di informazioni e di prospettive derivate da
varie manifestazioni letterarie, teatrali, cinematografiche, fumettistiche, e seriali. A volte questo è un
progetto consapevole di sfruttamento commerciale. Ci sono grosse operazioni di marketing che cercano di
diffondere un medesimo mondo narrativo su differenti piattaforme mediali, cercando di costruire un
franchise. In questi casi si parla di transmedia storytelling, ad esempio dalla serie di romanzi delle
Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin è nata la serie televisiva intitolata Trono di Spade,
per poi creare altri progetti, come video giochi, giochi da tavolo e un testo enciclopedico che descrive quel
mondo narrativo. A questo vanno sommate le elaborazioni realizzate dagli stessi fan di quel universo
narrativo, le cosiddette fanfiction, che proseguono il racconto come spin-off, o come versioni alternative.

Ci può essere anche un meccanismo produttivo più ampio, basato su un complesso ecosistema narrativo,
dal quale si possono estrarre e utilizzare diversi personaggi e differenti linee narrative che possono essere
ricombinante in varie singole narrazioni o in serie narrative. L’esempio più importante di questo
meccanismo è l’universo Marvel. Questo si basa sui supereroi dei fumetti Marvel, ai quali si accosta un
ampio progetto di produzione cinematografica e televisiva basato su quel mondo. Sono stati prodotti diversi
film tra loro collegati da rimandi e rinvii incrociarti a un comune mondo finzionale di riferimento. Abbiamo
produzioni cinematografiche incentrate su singoli supereroi, o che riuniscono parte di questi supereroi in

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

una stessa pellicola. Inoltre, sempre legata al medesimo universo narrativo e al suo marchio è la messa in
onda di alcune serie televisive, prodotte in collaborazione con diverse reti, o la produzione di cortometraggi.
Il meccanismo è quello di avere un serbatoio, cioè il mondo narrativo dei supereroi Marvel, da cui prelevare
di volta in volta personaggi per nuove storie e nuovi intrecci.

5. La voce e lo sguardo

Chi parla
Un rapporto diretto tra l’autore della narrazione e chi legge o guarda, come accade per il narratore e
l’ascoltatore di un racconto orale in presenza, è impossibile, ed è quindi necessaria una mediazione. Spesso
le narrazioni non ci forniscono un concreto e reale narratore che guidi l’ascolto con i suoi suggerimenti e
chiarimenti, questo per l’effetto messaggio nella bottiglia. Chi produce una narrazione, che sia un romanzo o
un film, non saprà chi verrà a contatto con la sua narrazione, e non sa in che modo questo reagirà. E
comunque necessario adoperare degli strumenti narrativi che permettono al lettore ascoltatore di godere
del racconto. Anche nella più oggettiva delle narrazioni, abbiamo la sensazione che ci sia qualcuno a
raccontare.

Il racconto che leggiamo è il prodotto dell’atto della narrazione, che nello scritto può solo essere
rappresentato. Questa rappresentazione è detta istanza dell’enunciazione, in cui l’autore identifica la figura
testuale di un narratore.

Questa figura del narratore può essere costruita in diversi modi. Bisogna stabilire innanzitutto il rapporto tra
il narratore e la storia narrata. Una possibilità è che il narratore Sia esterno alla storia, e quindi assente
come personaggio (narratore eterodiogetico). Un’altra possibilità è quella di identificare il narratore con un
personaggio della storia, quindi presente nel mondo narrativo (narratore omodiegetico).

Ci sono alcuni casi in cui le due tipologie sono sovrapposte. La figura del narratore può essere inizialmente
introdotta come esterna alla storia, per poi rivelare alla fine che in realtà questo narratore era uno dei
personaggi, come fa Italo Calvino nel Cavaliere inesistente.

Esistono poi casi di narrazione “di secondo grado”, in cui un personaggio racconta qualcosa ad un altro
personaggio. Questo è tipico di quei testi che hanno una struttura detta “a cornice”. In queste opere il
racconto principale serve da guida, da raccoglitore, e nel mezzo vengono disposti racconti secondari, come
ad esempio il Decameron di Giovanni Boccaccio. Questa tipologia permette agli autori di alternare il tono
della narrazione dal comico, al grottesco, al tragico, senza creare una altrimenti difficile mescolanza di
generi.

Nella Poetica, Aristotele distingueva due diverse modalità di mimesi o rappresentazione dell’azione: quella
in forma narrativa e quella in forma drammatica. Nel primo caso l’autore racconta rappresentando i
personaggi nel loro mondo, senza riprodurre le azioni di persona. Nel secondo caso ci sono degli attori che
interpretano i personaggi, agendo come se fossero delle persone viventi, mimandone le azioni.

Qui, nel teatro, sembra che la figura mediatrice, il narratore, sia scomparsa. Gli attori sono qui gli unici
mediatori. Nel cinema però le cose cambiano. Non c’è uno spettatore fermo di fronte al palco, qui non conta
solamente l’interpretazione dell’attore, ma anche le inquadrature, il montaggio, la musica. Mi Rice svolge
quindi un ruolo di narratore mediante le mani, mostrandoci le cose in un certo modo anziché in un altro.
Qui si narra mostrando.

Chi vede
Nel racconto, la posizione da cui si osserva l’azione muta la quantità delle informazioni che il lettore può
avere a disposizione. Questo dipende dal rapporto che si instaura tra il narratore e uno o più personaggi. Chi
racconta la storia può scegliere di filtrare o esaltare alcuni aspetti attraverso lo sguardo di un personaggio.
Questo personaggio viene definito focale, e indirizza e guida l’attenzione del lettore. Attraverso la sua

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

prospettiva, il lettore viene a conoscenza solo di una certa e ben definita quantità di informazioni sulla storia
narrata.

Le modalità di relazione informativa tra personaggio e narratore possono essere di tre tipi:

Narratore > personaggio. Il narratore in questo caso è onnisciente, cioè ne sa più dei personaggi coinvolti
nelle vicende. Vede attraverso i muri delle case, legge nel pensiero, non esistono segreti o punti oscuri che
gli possono sfuggire. Manzoni ad esempio, descrivere i segreti dell’anima dell’Innominato, nel suo percorso
di conversione.

Narratore = personaggio. In questo caso il narratore ha le stesse informazioni del personaggio, seguendolo
nel corso del racconto non anticipando e non esprimendo giudizi che non siano quelli del personaggio
stesso. Il narratore passa attraverso il personaggio, avviene una focalizzazione interna, inserendo la
mediazione di chi vede, cioè di un focalizzatore, che limita, controlla e dosa l’informazione. In Al faro di
Virginia Woolf, si passa dalla prospettiva di un personaggio a quella di un altro, alternandone i diversi punti
di vista, e questo è un esempio di focalizzazione variabile. In altri casi l’autore può scegliere di offrire la
descrizione di uno stesso evento, però da prospettive diverse di vari personaggi. Questa è una
focalizzazione multipla, tipica dei romanzi epistolari.

Narratore < personaggio. In questo caso il narratore ne sa meno di qualsiasi azioni e reazioni dal di fuori,
questa viene definita focalizzazione esterna. Il racconto diventa così descrittivo e oggettivo, non potendo
superare i confini di ciò che il narratore bene e riporta al lettore. Questo procedimento viene usato quando
il narratore vuole mantenere un’aura di mistero e di segreto, tipico dei romanzi polizieschi.

Il “punto di vista” è metaforico per la narrazione letteraria, ma non lo è per quella cinematografica. Qui le
inquadrature sono uno sguardo sul mondo narrativo, e di questa realtà viene data allo spettatore una
visione parziale, fornendo o non fornendo informazioni allo spettatore, come attraverso le diverse
focalizzazioni letterarie. Sapere e vedere nel cinema non corrispondono però alla coppia a leggere e sapere
di un romanzo, poiché non coincidono. Lo spettatore può avere la stessa prospettiva del personaggio, ma
quest’ultimo può saperne più di lui.

Come si parla
L’autore può trovare nel linguaggio uno strumento per regolare, attraverso determinate scelte discorsive, la
quantità di informazioni da fornire al lettore. Per ottenere un effetto di maggiore o di minore in realtà, il
narratore può accrescere o diminuire la quantità dei particolari riportati. I “connotatori di mimesi“ o “effetti
di realtà“, non sono altro che elementi descrittivi, che sembrano spesso superflui per la trama, ma che
rivestono una funzione importante nel dare al lettore la sensazione di trovarsi di fronte a un evento reale.

Esistono diverse modalità per riferire i discorsi dei personaggi. Una di queste consiste nel raccontare la
sostanza o il contenuto in una forma distaccata, in cui le parole pronunciate dal personaggio vengono
narrativizzate. Oppure si può riportare il discorso dei personaggi, come discorso diretto o riferito. Con la
trascrizione sotto forma di dialogo, si ottiene nel lettore la sensazione di una maggiore aderenza del
racconto alla realtà. Una forma intermedia invece, è quella del discorso indiretto. Questo viene messo in
evidenza attraverso espressioni come “disse che” (verba dicendi). Attraverso l’uso del discorso indiretto
l’autore può creare una situazione ambigua, in cui il lettore non è in grado di comprendere fino a che punto
il giudizio del narratore abbia modificato le parole riportate del personaggio. Un altro genere di ambiguità e
dato dall’uso del cosiddetto discorso indiretto libero. In questo caso l’assenza di un verbo dichiarativo lascia
il lettore nell’incertezza, perché non sa se questo discorso è stato pronunciato o semplicemente pensato dal
personaggio. Esiste poi anche il discorso diretto libero, che dà nel racconto una trascrizione fedele del
discorso mentale, che consiste in un fluire caotico dei pensieri. Un celebre esempio di questo monologo
interiore è rappresentato dall’ultimo capitolo dell’Ulisse di James Joyce, privo di punteggiatura.

6. Che cosa si deve sapere per capire un racconto

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

Il piacere e il dovere
Ogni narrazione mira a raccontarci qualcosa per ottenere un effetto, cognitivo ed emotivo allo stesso tempo.
Le diverse tecniche utilizzate nella narrazione non servono alla semplice funzione del fluire del racconto. Sì,
c’è un certo piacere nella lettura o nella visione di un film, ma ciò non vuol dire che ci si possa limitare al
solo divertimento e all’evasione, il rapporto con una narrazione comprende anche lo sviluppo del pensiero,
per comprendere il testo e il suo scopo.

Umberto Eco ha parlato di due diversi livelli di fruizione della narrazione, facendo la distinzione tra la figura
del lettore “semantico“ e quella del lettore “critico“. Il lettore semantico segue il percorso narrativo del testo
nel suo procedere lineare dotandolo di significato. Il lettore critico si interroga invece Sulle modalità che
hanno permesso di costruire quella interpretazione del testo. Non si limita a godere della narrazione, ma si
chiede come questa sia stata costruita. Ci si può limitare a seguire un racconto, da bravo lettore ingenuo,
oppure ci si può interrogare su come il testo stia cercando di ottenere un certo effetto su chi legge in un
determinato modo invece che in un altro. Ad esempio, il lettore potrà riflettere sulla funzione di un incipit
volutamente ingannevole, dopo essersi sorpreso, rendendosi conto di essere stato condotto in un’altra
direzione.

Eco parla anche di un’altra distinzione, oltre l’atteggiamento del lettore nei confronti di un testo, possiamo
prendere in considerazione anche le strategie messe in atto al momento della realizzazione del testo. Una
narrazione è infatti costruita in modo da prevedere la reazione del proprio lettore. Un testo narrativo è fatto
di vari artifici e dispositivi, pensati per ottenere un determinato effetto. L’autore cerca così di immaginare le
mosse che farà il lettore cercando di capire la narrazione. Un autore può però anche costruire una
narrazione aperta alle possibilità interpretative del lettore.

La macchina pigra
Secondo Eco, un testo narrativo è una “macchina pigra“, un meccanismo che richiede uno sforzo più o meno
impegnativo perché si avvii, così che alla fine possa dare il senso del racconto. Una narrazione è
inevitabilmente piena di buchi, non possiamo sapere tutto per filo e per segno. Per una legge di economia
narrativa, bisogna lasciare molte cose non dette, e non solo per creare curiosità o attese riguardo alla
narrazione. Alcune cose non vengono dette per far fare lo sforzo al lettore di comprendere da sé gli
avvenimenti. Se viene detto che è un personaggio torno a casa per cambiarsi d’abito, si darà per scontato
che il lettore sappia cosa accade in questi casi, senza doverlo raccontare. Queste situazioni vengono
chiamate “ellissi“, e consistono in tagli nella storia che evitano di raccontare cose non essenziali. Le scienze
cognitive hanno chiamato queste competenze pragmatiche presenti nella nostra memoria scripts, cioè
sceneggiature. Queste sono informazioni riguardo a comportamenti soliti nella nostra esperienza
quotidiana. Ognuno di noi possiede una “competenza intertestuale”, sappiamo come andranno le cose in un
certo tipo di racconto. Questo sapere deriva dalla conoscenza di altri testi, che ci permettono di creare delle
attese riguardo allo svolgimento della trama di un determinato genere narrativo. Riusciamo ad individuare
ad esempio delle situazioni stereotipate come il tipico duello tra il buono e il cattivo nel western. Queste
operazioni cognitive sono state definite da Eco come “passeggiate inferenziali”, attraverso le quali lo
spettatore ricostruisce il senso complessivo di un racconto.

Secondo alcuni studiosi dell’area delle scienze cognitive i lettori sfruttano, per comprendere una narrazione,
i parametri cognitivi che vengono dalla loro esperienza quotidiana. Questi frame possono essere il telling,
quello che sperimentiamo quando qualcuno ci racconta una storia, dell’experiencing, che consiste
nell’essere immersi in sensazioni ed emozioni, e del viewing, di quando vediamo ciò che abbiamo intorno a
noi e cerchiamo di costruire dei pensieri.

I salti fuori dal racconto


Una serie di elementi apparentemente superflui allo scorrere della narrazione rivestono un preciso ruolo
funzionale, per fare riferimento a una realtà quotidiana. Questi possono essere oggetti, dialoghi e atti
mancati. Esiste una realtà di cui non abbiamo un’esperienza diretta, ma che riconosciamo come vera, come

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

nel caso di un racconto collocato in una realtà storica. Questo rapporto però deve essere considerato come
di intertestualità, cioè come un rapporto tra diversi testi. Il testo letterario non farà riferimento a una realtà
concreta esterna al testo medesimo, ma ad altri testi, a opere sulla storiografia o alla saggistica storica.
Queste “passeggiate nella storia” sono quindi soggette a una serie di trasformazioni. Nei promessi sposi si
possono trovare molti riferimenti storici, spesso supportate dalla presenza di trascrizioni dei documenti
dell’epoca, come le grida. Questi riferimenti alla realtà storica li possiamo trovare anche in Notre-Dame de
Paris di Victor Hugo, in cui parla della rivoluzione culturale che stava avvenendo nella città universitaria di
Parigi alla fine del Quattrocento, dopo l’invenzione della stampa.

Un ambito narrativo in cui storia, ideologie e culture sono venute intrecciarsi, e quello della letteratura detta
post coloniale, vale a dire di quelle forme di narrazione che sono nate dalle ceneri delle dominazioni
politiche e culturali europee nei paesi asiatici e africani nelle lingue dei loro colonizzatori.

7. Concludere o forse continuare

Finire bene, finire male


L’ideale dell’happy ending, cioè del finale positivo, proviene dalla letteratura, più precisamente da quelle
forme di narrazione che sono destinate a un pubblico di massa. Queste opere cercano di istruire e allo
stesso tempo divertire il loro pubblico, questo concedendo un finale in cui il bene trionfa e i giusti ricevono
una ricompensa per il loro comportamento.

Una storia può però finire male, e in modo più realistico. Un esempio è Notre-Dame de Paris di Victor Hugo,
in cui entrambi i protagonisti muoiono tragicamente.

Oppure può finire né bene né male, in modo che il lettore possa immaginare una propria conclusione.
Questo è dunque una sorta si finale a metà. Questa conclusione è tipica della narrazione seriale, un
esempio lo si può trovare nelle avventure di Pinocchio.

Ogni seguito deve però mantenere un costante riferimento all’opera precedente mediante richiami a
personaggi ed eventi già noti al lettore.

Esistono anche tipologie di racconto che non hanno una vera conclusione, per scelta dell’autore, che vuole
sviare le più tradizionali aspettative del lettore, scegliendo ad esempio di concludere l’opera a metà di un
dialogo, come ha fatto Harry James ne Gli Ambasciatori.

Altri racconti invece non hanno una conclusione perché l’obiettivo è quello di far tornare il lettore al punto
da cui è partito, un esempio è quello dei racconti delle Mille e una notte. Qui dobbiamo immaginare che la
ragazza racconterà una storia circolare, rinviando all’infinito la sua fine. Questi sono detti racconti ad anello.
Altri esempi di racconti ad anello sono i volumi de La ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, Che si
chiude con una lunga meditazione sul trascorrere del tempo e sul modo attraverso cui sia possibile salvare
la memoria del proprio passato. Attraverso questa meditazione il narratore capisce che è attraverso una
lunga operazione di scrittura che si può salvare il tempo e la memoria, E vede le migliaia di pagine che a
letto come un esempio di questa operazione, e gli si conto che quello che ha appena terminato di leggere, è
solo l’inizio dell’opera intera. Lo stesso risultato si può raggiungere anche con altri dispositivi narrativi, come
ha fatto James Joyce in Finnegans Wake, lasciando il finale in sospeso anche graficamente, con un articolo, e
per capire questa sospensione si deve ritornare alla frase di apertura del testo, che inizia senza un articolo.
La frase lasciata in sospeso nel finale e dunque conclusa in apertura del testo. La circolarità narrativa non è
però necessariamente un loop, può anche indicare una sorta di ritorno alla quiete, riportando la narrazione
al punto di inizio.

Nei comics, ad esempio, la tavola iniziale e quella finale possono rappresentare graficamente le stesse
condizioni, ad esempio le stesse luci nei riflessi di alcune pozzanghere su cui cade la pioggia, riportando il
lettore alla condizione di quiete iniziale che era poi stata interrotta da oscuri eventi narrativi.

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)


lOMoARcPSD|23914520

Finali e chiusure
Il fallimento o il successo di un racconto si gioca spesso proprio nel finale. Qui il lettore vive un conflitto,
quello tra la voglia di giungere alla fine e il desiderio che quella stessa storia non si concluda mai.

Possiamo avere finali che rispondono alle attese di chiusura del lettore o dello spettatore, oppure finali che
non forniscono tutte le risposte per non far finire la narrazione, temporaneamente oppure mai. Il classico
finale chiuso e quello che il lettore si aspetta, cioè l’happy ending, oppure quello tragico, che chiude ogni
questione con la morte. Quel che più importa del finale chiuso è che non lasci nulla di irrisolto.

Si può però anche avere un finale scioccante, che rovescia le attese del lettore o dello spettatore, che gioca
con le sue competenze di fruitore di uno specifico genere narrativo. Però anche in questo caso c’è una
chiusura, con delle risposte, anche se non sono quelle attese.

Più interessante è considerato il finale aperto. Il lettore o lo spettatore viene lasciato in sospeso, con tante
domande in attesa di risposta. In realtà questo finale presenta due possibilità: si può dare al lettore la
facoltà di chiudere da solo il racconto, lasciandolo a ipotizzare il finale secondo le proprie capacità di
elaborazione dei dati che gli sono stati forniti, oppure possiamo avere un finale in sospeso, ma facilmente
ricostruibile, o ancora, ci si può trovare di fronte a una serie di finali possibili, tra i quali il lettore o lo
spettatore può scegliere.

Finali seriali
Un caso di finale aperto è ovviamente quello di una narrazione che prevede un seguito. In ambito letterario
esistono molti esempi di saghe narrative in cui il finale di ogni volume è costruito in modo da lasciare aperte
delle questioni, delle linee narrative, che avranno una soluzione nel volume successivo.

Questi finali sono presenti anche nelle serie televisive, soprattutto nelle lunghe serie, come le Soap opera,
che non hanno una conclusione né di puntata né di stagione, se non quando la produzione ne decide la
chiusura. Ci sono serie classiche, con episodi auto conclusivi, senza dunque una continuità interepisodica, in
cui tutte le line e i quesiti narrativi aperti all’inizio vengono chiusi alla fine dell’episodio. Esistono però anche
formati più complicati, in cui gli episodi sono collegati fra loro narrativamente, trasformandosi dunque in
una sequenza narrativa continua. Quando la linea narrativa si chiude nel singolo episodio si tratta di trame
verticali, nel caso contrario si parla invece di trame orizzontali. In quest’ultime si può scegliere di dare un
finale alla stagione oppure di tenere un finale aperto per la stagione successiva.

Scaricato da dadino dadinu (jibog35440@mitigado.com)

Potrebbero piacerti anche