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LEZIONE UNO

Tutti sanno cos una storia finch non si siedono a


scriverne una
Se sei un aspirante scrittore hai l80% di
possibilit di non saper costruire una storia. Il
dato calcolato a spanne ma ha un senso. A
inizio anni 90 ho intervistato una dozzina di
editor di case editrici. Negli anni successivi,
lavorando nel cinema, ho parlato con molti
lettori di sceneggiature. Dalle loro parole ho
ricavato a grandi linee il dato, che merita un
bold: l80 % dei dattiloscritti che arrivano
non contiene una storia, o ne ha una
abbastanza sballata da non poter essere
definita tale. Si tratta di una notizia surreale,
come se met degli aspiranti calciatori si
presentasse ai provini giocando con le mani e
cercando di fare canestro.

Il fatto che la nostra tradizione culturale


non-narrativa. E giuridica, religiosa e poetica:
fatta di cose da dire o sentimenti da
esprimere, non di storie da raccontare. I
nostri grandi autori sono poeti (Dante), diaristi-
saggisti-poeti (Leopardi), autori di racconti
(Boccaccio), favolisti (Collodi). Non abbiamo
avuto Shakespeare o Flaubert, Tolstoj o
Cervantes. Nel pi grande romanzo della
nostra tradizione, i Promessi Sposi, per
risolvere la trama non a caso interviene la
Provvidenza. E un dato simbolico troppo
sottovalutato!

Tutto questo si riassume nella grande scuola di


scrittura creativa che educa la nazione da
decenni: il tema. Esistono due prototipi di
tema, declinati in infinite variazioni: Cosa hai
fatto sabato? e Cosa pensi della guerra?. La
prima formula una istigazione a raccontare
gli affari tuoi, la seconda insegna ad esprimere
idee nobili nel modo pi prolisso (il tema infatti
valutato a metri, come il lavoro degli
imbianchini).

Dopo 15 anni di questo addestramento, se


decidi di scrivere una storia, sei nei guai. Dei
tuoi nobili pensieri e dei tuoi piccoli aneddoti al
mondo non gliene frega una ceppa. Capisci che
in qualche modo devi costruire una storia, ma
non sai come si fa.

In questi casi, qualcuno si aggrappa alle idee e


alle teorie. Nasce cos la figura dello scrittore
ossessionato non da una storia ma dal nudo
scheletro di qualche concetto astratto
(Flannery O Connor). E lo stadio
artisticamente poco evoluto dellintelligenza, lo
stadio di chi ha idee che scambia per
emozioni (Regina Zabo, Daniel Pennac). Il
risultato un testo che si lancia in acrobazie
strutturali, sperimentalismi ed effetti speciali
che non sono chiamati dalla materia ma
appiccicati per certificare le proprie abilit.
Testi pieni di intelligenza ma con poche
emozioni, che si limitano a conciliare il sonno.
Quando un talento cade nel tunnel
nellintelligenza, la diagnosi sempre quella:
gli manca una storia da raccontare.

Buttare la zavorra

Si dice che gli scrittori devono avere qualcosa


da dire, ma il lapsus involontario con cui il
nostro sapere collettivo si tradisce: chi ha
qualcosa da dire deve darsi alla politica, alla
filosofia o alla radio. Per scrivere un romanzo o
un film bisogna avere qualcosa da raccontare.

E questo non perch sta scritto in qualche Libro


Magno dellEstetica, ma perch ci che
abbiamo da trasmettere una sostanza
indefinita, una qualit dello sguardo che si
esprime solo in modo indiretto, parlando
daltro. Raccontando una storia, appunto.

Poi certo, tutti conosciamo 12 teorie secondo


cui raccontare una storia superato, o
commerciale o poco artistico, o Non ho
argomenti per smentire queste teorie in
astratto, ma ne ho uno per confutarle in
pratica: per chi scrive sono mortali. Scrivere
senza avere una storia da raccontare come
far lamore senza essere eccitati. Si pu fare,
ma si gode poco, tutti quanti. E tanto basta,
per quanto mi riguarda.

Purtroppo, nelle antologie che ci hanno


appioppato da giovani, gli scrittori non vengono
presentati come costruttori di storie, ma come
Grandi Capoccioni che vogliono scandagliare il
disagio esistenziale, inchiodare la societ alle
sue colpe, descrivere la tragedia del vivere,
denunciare la borghesia, o tradurre in romanzi
le scoperte della psicoanalisi, della sociologia e
della fisica.

Certo, hanno fatto anche quello ma lo hanno


fatto per mezzo di una storia. Raccontare che
hanno fatto solo quello, un depistaggio;
come dare a un ragazzo un cd di Vasco Rossi
dicendo questo autore analizza il disagio
giovanile con un vitalismo venato di spiritualit,
descrivendo la quotidianit di una provincia
sospesa tra slanci verso lassoluto e ricerca
decadente del piacere. Il ragazzo butta via il
Cd senza neanche togliere il cellophane.

Non ha senso parlare di Vasco senza ascoltare


le sue canzoni e lo stesso vale per i romanzi
perch, come dice Forster, i romanzi sono
innanzitutto un canto e, come sostiene
Nabokov, gli scrittori sono soprattutto
incantatori. Amputati del canto dellopera, gli
scrittori delle antologie sembrano sociologi del
Censis o pazzi che predicano ad Hide Park.

Avrete notato che molti bravi autori dicono io


non so niente, volevo solo scrivere una storia.
Non falsa modestia n un modo di
schermirsi: un igienico principio operativo.
Alla scrittura si va nudi e inermi come neonati.
Se abbiamo qualcosa da dire, entrer
comunque nelle nostre storie. E se non ce
labbiamo, avremo comunque scritto una storia
onesta.

In pratica: per scrivere dobbiamo prendere le


nostre geniali idee, le nostre acute teorie, i
nostri squisiti ragionamenti, le abilit tecniche
di cui andiamo tanto fieri, e gettare tutto nel
secchio dei rifiuti. Quella la zavorra che
impedisce di volare. Nabokov dice che nella
scrittura le grandi idee non servono a nulla.

Certo, buttare la zavorra difficile. Le teorie e


lintelligenza aiutano ad evitare il terrore del
nulla, la voragine su cui non osiamo sporgere
lo sguardo, quella strana angoscia a cui non
sappiamo dare un nome. E invece basta,
stavolta un nome glielo diamo, in una riga,
pure col bold: Vogliamo scrivere, ma non
abbiamo una storia.

Nell80% dei casi questo il problema. E quindi


la prima parte del corso sar dedicata a
imparare come si scrive una storia. Sono
concetti nati studiando fonti diverse, da sottili
testimonianze dei grandi romanzieri a tecniche
di sceneggiatura che ti dicono a quale pagina
mettere la prima svolta e il primo colpo di
scena (se siete curiosi, pagina 10 e 30). Il
testo scritto citando soprattutto autori classici
e parlando di romanzi per il semplice motivo
che il nostro sapere narrativo nasce da l. La
stessa Hollywood, per anni Maestro Unico delle
narrazioni, non ha fatto altro che analizzare
2000 anni di sapere europeo, e ricavarne
regole che poi ci ha rivenduto come proprie.
Le tecniche americane di sceneggiatura
nascono da Omero, da Aristotele, dallanalisi
dei miti e dallepopea del romanzo classico
europeo (non lo dico io, lo dicono loro, gli
americani). Non si capisce perch, per
imparare a scrivere un film, non dovremmo
abbeverarci alle nostre fonti. Lo hanno fatto i
vari guru americani della sceneggiatura,
possiamo farlo anche noi.

La non-storia e liper-storia

Prendiamo un prototipo di storia sbagliata che


ammorba di tedio editori e produttori
cinematografici italiani (sono loro a dirlo). La
storia, giunta in migliaia di varianti ai loro
lettori, questa: c un essere che somiglia
allautore, sta fra i 25 e i 30, incerto sul suo
destino, non sa che mestiere fare, vivacchia tra
sogni di grandezza e insicurezze, indeciso
anche in amore e non riesce a trovare la
propria strada. Cos procede tra lavori casuali,
viaggi casuali, amori casuali. Ad esempio
allinizio lavora in un call center ma viene
licenziato, va a lavorare in una pizzeria dove si
riempie di chiazze perch allergico alla farina,
si innamora di una ragazza splendida che
sparisce dopo la prima notte damore, lui
depresso sbaglia un impasto e viene licenziato
dalla pizzeria, poi va a lavorare da una
parrucchiera che si innamora di lui e lo
perseguita, allora si licenzia, ma reincontra la
ragazza bellissima che per sparisce di nuovo,
allora va a lavorare da un avvocato alcolizzato
e

Provate a raccontare questo inizio di storia


agli amici. Siccome vi vogliono bene, diranno
interessante, che la traduzione ufficiale
dello sconveniente che due palle. In realt
questa una non-storia, non si prende da
nessuna parte, e non va da nessuna parte. Se
raccontate linizio di una buona storia, la gente
non dice interessante. Chiede E poi cosa
succede?. Questa domanda lunica prova che
una storia ha qualche valore. Qualunque altra
cosa dicano, significa che non funziona.

Un difetto opposto - ma in netto aumento-


liper-storia, in cui laspirante sente che per
scrivere deve raccontare qualcosa ma, non
avendo compreso la funzione profonda della
trama, la usa come i cattivi registi usano gli
effetti speciali: a piene mani, spargendo fatti e
colpi di scena come un fertilizzante. Pi ce n,
meglio

Spesso partono comunque da un personaggio


che gli somiglia (il classico essere tra i 25 e i
30, eccetera) ma lo inseriscono in un gorgo di
eventi stratosferici che, per il loro carattere
eccessivo, risultano privi di ogni reale tensione
emotiva. Siccome la realt non offre
abbastanza appigli, i forzati della storia
attingono dal supermarket cinematografico e
dagli aspetti pi pulp dellattualit. Cos il
protagonista incontra spietati mafiosi dandy,
macellai che trafficano in organi, poliziotti che
praticano magia occulta, direttori di banca
iscritti allordine dei templari, serial killer non
vedenti, eccetera, eccetera, in un crescendo
abbacinante che dovrebbe inchiodare il lettore
alle pagine. Invece il lettore sbadiglia perch
questa storia piena di figure poco credibili
che paiono lanciate col paracadute dal cielo
dallimmaginario collettivo per atterrare in un
punto o laltro del racconto a seconda di dove
tira il vento, senza necessit.

Ecco dunque i prototipi estremi di due errori


molto diffusi. In uno c un giovane incerto a
cui accadono fatterelli insignificanti. Nellaltro
c un giovane incerto che combatte contro
limmaginario cinematografico e una caricatura
dellattualit. La diagnosi la stessa, sempre
quella, sempre ovvia: nessuno dei due aveva
una storia da raccontare.
Differenza pratica tra storia e pseudo-
storia

Perch questi due racconti sono pseudo-


storie? Cosa li differenzia da una storia? La
riposta completa lavrete alla fine della sezione,
ma anticipiamo qualche criterio misurabile.

Nelle pseudo-storie i fatti sono casuali e non


necessari. Va notato che queste non sono
categorie mistiche ma hanno un risvolto
pratico: i fatti casuali e non necessari sono
quelli che si possono spostare senza
danno da un punto allaltro del
dattiloscritto. Se il protagonista della non
storia va allinizio a lavorare dallavvocato
ubriacone e alla fine al call center, non cambia
nulla. Se il protagonista delliper-storia incontra
prima i poliziotti satanisti o il serial killer non
vedente, uguale.
Prima definizione: la buona storia quella in
cui gli eventi non si possono spostare.
Prendete lultimo romanzo o lultimo film che vi
ha davvero appassionato: provate a sostituire
un fatto che sta alla fine e metterlo allinizio.
Con ogni probabilit non ci riuscite. Se vi ha
appassionato, vuol dire che una buona storia,
e nelle buone storie i fatti non si possono
spostare.

Le buone storie sono architetture organiche


in cui ogni pezzo ha una funzione strutturale:
se provi a toglierne una, crolla tutto. Nelle
buone storie, gli episodi della trama possono
stare solo nel punto in cui sono.

Ma come si fa a costruire una storia cos?


Proviamo a fare un esempio.

Un esempio in diretta
Prendiamo il protagonista comune alle due
pseudo-storie e proviamo a costruire un
racconto su di lui. Per prima cosa dobbiamo
renderlo pi concreto. Quindi copiamo la
definizione del personaggio e sottolineiamo gli
aspetti vaghi da trasformare in qualcosa di
tangibile: un giovane immaturo che vaga tra
sogni di gloria, profonde insicurezze, e lavoretti
casuali.

Dobbiamo trasformare queste caratteristiche


interiori in qualcosa di tangibile, che si possa
toccare. In questi casi mi piace citare il
concetto di un poeta, Eliot, che parlava di
correlativo oggettivo: semplificando, una
tecnica poetica attraverso cui si cerca di
esprimere i concetti e i sentimenti pi astratti
attraverso oggetti definiti e concreti. Nel
cinema, che fatto di immagini, una tecnica
fondamentale.
Ad esempio per mostrare che il nostro
protagonista abitato da sogni di grandezza,
ne potremmo fare il leader di un piccolo gruppo
musicale, che suona in cantina ma sogna di
diventare un famoso rocker. Per mostrare la
sua immaturit potremmo stabilire che vive
ancora a casa dei genitori: fa notti da boheme
e la mattina mangia la colazione di mamma. Il
fatto che faccia lavoretti casuali nel suo caso
pu diventare una scelta esplicita: possiamo
stabilire che lui ha il terrore di fare una grigia
vita da ufficio, la stessa che il padre ha fatto
tutta la vita e che lha reso unameba spenta e
muta. Infine, un piccolo tocco che riassume
tutto: anche se ha solo 28 anni, sotto i capelli
da rocker si nota un inizio di stempiatura. Lui
un po ossessionato da questo fatto.

Notiamo due cose: rispetto alla definizione


iniziale, questo un personaggio migliore
perch pi definito. Ha un desiderio preciso
(diventare rocker), un terrore specifico (fare
la vita di suo padre) e una piccola
ossessione rivelante (problema capelli). Le
sue caratteristiche interiori hanno trovato dei
correlativi oggettivi.

Grazie al metodo del correlativo oggettivo


siamo usciti dalla vaghezza e abbiamo dato al
personaggio un desiderio, una paura e una
piccola ossessione: il minimo sindacale per
un personaggio vivo.

A questo punto pi facile costruire la trama.


Se conosco un desiderio e una paura specifica
del protagonista, so cosa devo fargli capitare
allinizio della storia: qualcosa che li vada a
disturbare entrambi. Il motivo semplice:
se gli capita qualcosa che non ha che fare con i
suoi desideri e le sue paure, non un
momento interessante della sua vita, quindi
non vale la pena raccontarlo.
Fateci caso: lesistenza diventa interessante
quando ci accade qualcosa che riguarda i nostri
desideri e le nostre paure. Se alle feste
vogliamo far colpo sugli altri quello che
raccontiamo, non quando eravamo impegnati
in faccende di cui non cimportava nulla. I
personaggi dei nostri racconti dobbiamo
trattarli allo stesso modo. Come diceva Andr
Breton: Non mi metto a raccontare i momenti
insulsi della mia vita.

Bene, abbiamo uno che vuole fare il rocker e


ha il terrore della grigia vita da ufficio, cosa gli
facciamo succedere?

Ad esempio: vince per caso un concorso in


Comune allufficio anagrafe. E lopposto di ci
che desidera e corrisponde a ci che lo
spaventa. Quindi fertile, sar interessante
vedere come se la cava e cosa sceglie.
Ne risulta un possibile abbozzo di trama tipo
quello che segue.

In una ricca citt del nord c un tizio che viene


da una triste periferia e da una famiglia un po
grigia. Sogna di fare il rocker, ha gi 28 anni e
abita coi genitori. Il successo non arriva e sotto
la zazzera rock comincia a perdere i capelli. La
madre apprensiva lo vorrebbe sistemato, gli
cita ogni giorno i cugini che fanno concorsi a
raffica e, per farlo sentire in colpa, prende gli
antidepressivi davanti a lui. Rocco
(chiamiamolo cos) per far stare tranquilla la
madre decide di darle retta e fare un concorso
in Comune. Ovviamente non studia perch per
lui un posto allanagrafe la morte. Fa il
concorso solo per far tacere la madre. Ma al
concorso accade qualcosa di strano
(decideremo poi cosa) e lui vince.
Rocco incredulo: non capisce come possa
aver vinto il concorso senza aver studiato una
mazza! Ma non ha tempo di pensarci, perch la
notizia gli procura la prima standing ovation
della sua vita. Sua madre felice e d la
notizia ai parenti, il padre lo abbraccia fiero, la
sua ragazza (pur batterista e tatuata) felice
perch avranno finalmente i soldi per vivere da
soli. I membri del gruppo rock antagonista
sono contenti perch, ora che pure Rocco ha
un reddito, potranno comprare il nuovo
furgone.

Ma Rocco terrorizzato dallidea di finire coi


capelli corti allufficio anagrafe e dice che
intende rifiutare il posto, perch lui vuole fare
musica. Questo provoca varie reazioni: la sua
ragazza gli mette il broncio perch di questi
tempi rifiutare un posto in Comune da idioti,
la madre piomba nella disperazione e torna a
prendere lo Xanax. Persino il padre, uomo mite
e silenzioso, sarrabbia, gli d un ultimatum e
lo caccia di casa: se Rocco nella vita vuol fare
solo musica, che lo faccia coi soldi suoi.

Rocco ora si trova nei guai. Per colpa di quel


maledetto concorso, la boheme a carico della
famiglia finita. Ora ha davanti due
alternative: o la boheme dura e pura senza
soldi n appoggi, oppure grigio lavoro
impiegatizio. Rocco deva fare la sua scelta, e
ha due giorni di tempo

Come vedete, il tema uguale a quello del


trentenne con vaghi sogna di gloria. Ma se lo
raccontate in questo modo, gli amici non
diranno: interessante. Vi chiederanno: E poi
cosa succede?. Vogliono sapere se Rocco
accetta o no quel posto.

Ecco unaltra definizione da appendere al


muro: Una buona storia ci che produce
la domanda E poi cosa succede? in
qualsiasi punto venga interrotta.

E ormai che ci siamo, attaccate anche questa:

Quando scrivete una scena non chiedetevi


cosa dice. Chiedetevi quale domanda
produce?

Punti di non ritorno

Perch questa storia fa chiedere E poi cosa


succede? e le altre due no? Cominciamo con le
risposte pi superficiali. La prima il test che
abbiamo visto: possiamo spostare lepisodio del
concorso a met libro? O a tre quarti? O alla
fine? No. E chiaro che questo evento sta verso
linizio della storia e generer i fatti successivi.
Invece negli esempi precedenti gli eventi
iniziali si potevano spostare a met o persino
verso la fine. Appendete alla parete: un buon
inizio di una storia un evento che pu
stare solo allinizio.

Non solo lepisodio del concorso non si pu


spostare ma, continuando a scrivere, non si
potr pi ignorare. E un episodio fondante, il
che significa: qualunque cosa voglia far
accadere in seguito, dovr tenerne conto. Ecco
quindi unaltra definizione: in una buona
storia ogni evento limita la nostra libert
nei passi successivi.

Scrivere significa limitare progressivamente le


proprie possibilit. Quando si inizia, la prima
pagina ha una libert totale, possiamo scrivere
tutto. Man mano che si va avanti le possibilit
si devono restringere sempre di pi, perch
ogni evento passato, se un vero evento,
limita le possibilit future. Finch, quando arrivi
alla fine, di libert non ne devi avere quasi pi.
Per me le storie ben costruite hanno un solo
finale possibile, che una conseguenza esatta
ma imprevedibile di tutto quel che successo
prima. Se la storia buona, il finale sta
nascosto fra le righe di quel che lo precede, e
tu devi soltanto trovarlo (cosa che fra laltro,
quando accade, provoca una eccitazione quasi
erotica).

E cos, ecco unaltra definizione: se un evento


non limita la tua libert successiva di scrittura
un non-evento. Lo si pu dire meglio e in un
modo pi rispettoso del vero protagonista, che
non chi scrive ma chi viene scritto. Se un
evento non limita la successiva libert di
azione del personaggio un non-evento.

In sintesi, quando si dice che le buone storie


trattano lessenziale, si vuole dire questo: le
buone storie trattano punti di non ritorno.
Anche piccoli, anche quotidiani, ma devono
essere punti di non ritorno. E l che la vita
diventa interessante, non quando stiamo a
guardare fuori dalla finestra chiedendoci cosa
fare. Quelle serate l, non le raccontiamo
neanche ai quattro amici che ci vogliono bene.
Perch dovremmo raccontarle ai lettori?

Noi produciamo scelte

A questo punto dobbiamo andare pi a fondo,


uscire dal rilassante tecnicismo delle
definizioni oggettive e chiederci cos davvero
che in questa storia rende levento concorso
pubblico necessario, fondante, non spostabile,
limitatore di libert , eccetera. In altre parole:
perch chi ascolta la storia si chiede come va
a finire?.

Perch il concorso costringe il protagonista a


misurarsi con se stesso, a mollare la via di
mezzo in cui si trova, a buttarsi di qua o di l.
Insomma: a fare una scelta. David Mamet
sostiene che non costituisce elemento idoneo
a un dramma ci che non si occupa della
possibilit di una scelta degli esseri umani.

Ecco unaltra frase da appendere al muro (s,


avrete il muro pieno alla fine): la trama la
macchina inventata dallautore per
costringere il protagonista a fare scelte.

Il motivo per cui le storie sono interessanti


che al mondo nessuno riesce a capire chi
facendo ragionamenti: solo davanti ai fatti
che capiamo chi siamo.

Che faccio se vedo una donna aggredita in una


strada deserta da tre uomini col coltello? Che
faccio se mi offrono ci che desidero di pi al
mondo in cambio di una mazzetta? Se incontro
il mio sex symbol preferito che mi propone una
notte di sesso? Se una persona cara si ammala
e ha bisogno di 24 ore su 24 di assistenza? Se
sul lavoro trovo un capo carogna che per mi
offre un raddoppio di stipendio se faccio la
spia?

Su queste domande ciascuno ha tante opinioni,


ma valgono poco. Ci che conta, ci che
definisce chi siamo, la scelta che facciamo
quando le cose accadono. E nessuno lo sa
prima. Noi possiamo ipotizzare, prevedere, fare
buoni o cattivi propositi. Ma solo quando la
prova dei fatti ci costringe a una scelta,
sappiamo davvero chi siamo.

Come dice Milan Kundera, il problema della vita


che nessuno possiede le istruzioni: tutto ci
accade per la prima volta, e non sappiamo
come affrontarlo. Le buone storie ci
appassionano perch vediamo i personaggi alle
prese con lo stesso tipo di sfida che
affrontiamo ogni giorno. Questa sfida si chiama
scelta.
Per questo se raccontate agli amici linizio di
questa storia, chiedono E poi che succede?.
Perch, per quanto mediocre sia questa storia,
la vittoria al concorso mette il protagonista
davanti a una scelta. Non pu pi continuare
con la comoda boheme a casa di mamma: o
fa davvero la boheme, o va allufficio anagrafe.

Per questo gli amici vogliono sapere come va a


finire: da questa scelta capiranno chi il
personaggio. E soprattutto questa situazione
ha il potere di evocare i momenti fondanti della
loro esistenza, quando, pi meno
consapevolmente, hanno fatto le scelte che li
hanno definiti.

Le buone storie, anche quando sono divertenti


o comiche, si occupano di cose serie. Di ci che
sono le persone, del perch lo sono e del come.
E tutto questo ha a che fare con le scelte. La
trama il percorso che costruiamo per
costringere il personaggio a compiere scelte
che lo rivelino a s stesso.

Appendiamo al muro, che c un buco vuoto:


compito di chi scrive produrre scelte.

L dove c il pericolo cresce anche ci


che salva

Cominciamo a capire perch la trama non


serve solo a intrattenere o a creare un filo,
ma ha una sua necessit spirituale.

Come dice Gardner la trama esiste perch il


personaggio possa scoprire da solo (e nello
stesso tempo rivelare al lettore) chi
realmente.la trama lo trasforma da statica
creazione intellettuale in individuo reale che fa
delle scelte e ne raccoglie i frutti (77).

Per attenzione, la scelta deve essere


significativa. Se ci limitiamo a mettere il
personaggio davanti a continui bivi, diventiamo
stucchevoli. Le scelte verso cui il personaggio
viene spinto devono avere una direzione.
Quale? La risposta la prendiamo di nuovo da un
poeta, Holderlin: L dove c il pericolo,
cresce anche ci che salva.

La direzione verso cui le buone storie portano il


protagonista questa: davanti al pericolo.
Quelle di puro intrattenimento si limitano a
metterlo davanti a fucili automatici, tempeste
oceaniche o leoni feroci. Le storie pi
sofisticate (che possono anche essere piene di
fucili, leoni e tempeste) portano il protagonista
a misurarsi con il suo codice esistenziale
(espressione di Kundera) o con la sua ferita
segreta, o fantasma interiore, o problema
nascosto (espressioni di vari guru americani
della sceneggiatura). Insomma, lo portano a
confrontarsi con quello di non risolto che ha
dentro, e che noi con Holderlin chiameremo la
sua area di pericolo.
Larea di pericolo di un personaggio qualcosa
che per definizione il personaggio non conosce.
E non chiedetemi perch senn dovrei
ricordarmi che anchio ho unarea di pericolo di
cui non voglio essere consapevole. Dai pericoli
tutti vogliamo fuggire, ma la vita diventa
interessante quando siamo costretti ad
affrontarli.

Larea di pericolo di un personaggio difficile


da leggere ma facile da localizzare. Non posso
dirvi cos ma posso dirvi dove abita: tra il suo
desiderio cosciente (nel nostro caso: fare il
rocker) e la sua paura esplicita (nel nostro
caso: fare la vita grigia e banale del padre). E
l, tra ci che pi desideriamo e ci che pi ci
spaventa, che si trova il nodo non risolto, la
nostra personale area di pericolo. Desideri e
paure sono cos forti perch in qualche modo
nascono da quel nodo, e quindi in qualche
modo ne parlano.
La decodificazione naturalmente non
matematica. A volte larea di pericolo
lopposto del desiderio del personaggio, altre
volte simile; altre volte ancora non centra
nulla ma collegata in modo laterale. Ma abita
l: tra i desideri pi forti e le paure pi intense.

Parentesi: il segreto della scrittura

Il pi profondo segreto della scrittura una


tecnica Usa, nata da decennali ricerche
psicometriche. Non vero, ma mi vergogno a
dire che per me il segreto della scrittura viene
da Alessandro Manzoni, autore reso plumbeo
dai tediosi studi scolastici. Per renderlo un filo
pi cool chiamiamolo quindi il Manzonis
Secret. Funziona cos.

A un ricevimento dellalta societ milanese, una


ricca dama avvicin Manzoni e inizi a squittire
lodi, chiedendo come avesse fatto a scrivere un
romanzo cos bello, cos profondo, cos vero,
cos intenso, cos emozionante, cos filosofico,
cos di qua e cos di l. La domanda dur 10
minuti, Manzoni ascolt paziente tutto il tempo
e poi rispose con una sola parola.

Pensandoci.

Questa parola solitaria il pi importante


manuale di scrittura creativa. Scrivere non
poi cos difficile: se uno scrive una storia
pensandoci per 27 anni, il risultato sar quanto
di meglio pu fare. Punto.

Certo, una applicazione cos integralista poco


adatta ai nostri tempi rapidi e superficiali,
quindi vi consiglio di applicare il Manzonis
Secret in una versione light. Quando vi
serve unidea, non usate mai la prima che
vi viene in mente. Buttatene gi 7, poi
scegliete la migliore.
Non un numero a caso, che nella vita
bisogna darsi dei metodi e poi rispettarli. Io ho
provato a farlo con 10 idee ma erano troppe,
con 5 idee ma erano poche. Sette diventato
per me il numero giusto. Voi scegliete il vostro.
Su ogni scena: 7 idee. Ogni dialogo: 7 idee.
Ogni location, ogni svolta psicologica, ogni
finale: scrivete sempre 7 idee, poi scegliete la
migliore. La qualit dei vostri scritti lieviter
come una torta istantanea.

Nel nostro esempio, le scelte che ho fatto (il


desiderio del personaggio, la paura, levento
che lo costringe ad affrontarli) erano la prima
idea. Si sente vero? Bene, quindi non usate
mai la prima idea: applicate il Manzonis
Secret, poi scegliete.

Ancora su scelte e trama

Nel nostro caso, essendo una storia banalotta,


capire larea di pericolo abbastanza facile:
Rocco ha inconsciamente paura di essere un
uomo insignificante come suo padre, per
questo desidera diventare rock-star.

Per questo inoltre ha il terrore della monotona


vita da ufficio. Razionalmente crede che il
padre sia diventato unameba per colpa di
quella vita grigia, ma inconsciamente teme che
suo padre sia cos di natura, e quindi che lui
stesso sia cos. Rocco quindi ha il terrore di una
banalit che teme di avere dentro, e vuole
sfuggirle. Non sar unarea di pericolo da
grande opera darte, ma unarea di pericolo,
e tanto basta per adesso.

A questo punto si capisce perch il concorso


un evento necessario in questa storia: se hai
un personaggio che teme nel profondo di
essere un grigio impiegato come suo padre,
devi fargli vincere un concorso allanagrafe.
Cos lo costringi a fare i conti con se stesso.
E per questo che lepisodio del concorso vinto
per caso fondante, per questo non si pu
spostare, per questo limita la libert delle
azioni successive. Perch costringe il
protagonista a una scelta che, quale essa sia,
lo far avvicinare alla sua area di pericolo.

Per questo i piccoli fatti casuali che capitano


nelle non-storie, o i macro-fatti che capitano
nelle iper-storie, suscitano solo una curiosit
superficiale e non producono la domanda
come va a finire?. Perch non avvicinano il
protagonista alla sua area di pericolo. Non
lo costringono a una scelta importante, lo
fanno andare di qua e di l, magari mettendo
in pericolo la sua vita, ma senza mai toccare i
suoi nervi scoperti. Scrivere vuol dire
inventare trame che costringano i
personaggi a fare i conti con la loro
personale area di pericolo.
Dice Simenon: Abbiamo in noi, tutti quanti,
tutti gli istinti dellumanit. Ma di questi istinti,
ne freniamo per lo meno una parte, per onest,
prudenza, educazione, talvolta semplicemente
perch non abbiamo loccasione dagire
diversamente. Il personaggio di romanzo, lui,
andr fino al limite di se stesso. Il mio ruolo di
romanziere metterlo in una situazione tale
che vi sia costretto (Simenon, Let del
romanzo, Lucarini, Roma, 1990, pag. 36).

La trama il mezzo che aiuta il narratore nel


suo fondamentale compito esplorativo:
condurre il personaggio fino al limite di se
stesso affinch riveli chi realmente.
Procede attraverso punti di non ritorno,
costringe a fare scelte e punta verso larea di
pericolo. E per questo che, se interrompete il
racconto in qualunque punto, gli amici
chiedono come va a finire.
Tema o problema?

Attenzione. Tutto questo non significa che il


compito di una storia sia lesplorazione
psicologica. La psicologia del personaggio
solo uno dei mezzi che abbiamo a disposizione
per esplorare qualcosa di molto pi essenziale,
che Kundera chiama una possibilit
dellesistenza.

Nei grandi romanzi, il personaggio pi che un


personaggio. Come scrive Piergiorgio Bellocchio
in Stendhal, Balzac, Dickens, Tolstoj,
Dostoevskij, lestremizzazione dei caratteri
consegue dallesigenza di andare alle radici dei
problemi che i personaggi rappresentano.
Questo il punto: i personaggi sono
incarnazioni di problemi umani significativi.

Se dobbiamo esplorarli sino in fondo, non


tanto per capire la loro singola psicologia ma
per andare alla radice dei temi che essi
incarnano.

E anche per questo che, ascoltando la nostra


storiellina, gli amici vogliono sapere come va a
finire. Non solo la curiosit di sapere cosa
sceglie il personaggio: che questa scelta
costringe lui e noi ad andare pi a fondo
rispetto al conflitto vita speciale contro vita
banale. Un tema che, nellepoca luccicante dei
mass-media, coinvolge, ha coinvolto o
potrebbe coinvolgere ciascuno di noi. E un
altro motivo che attira lattenzione degli amici:
il tema prende.

Ma quando labbiamo scelto questo tema?


Pensateci, ceravate anche voi: e vi ricorderete
che questo tema non mai stato scelto. Siamo
partiti dal vago personaggio della non-storia e
abbiamo solo cercato di dargli un desiderio e
una paura. Da quelli abbiamo intuito la sua
area di pericolo, ma al tema, quello che per le
antologie il senso di un romanzo, non ci
abbiamo mai pensato. Eppure il tema alla fine
c, evidente.

Insomma, abbiamo dato al nostro personaggio


un desiderio e una paura e a quello gli
spuntato un Tema. Che fortuna!

In realt normale. Vorrei togliermi un peso e


dire che il Tema, lArgomento, la Problematica,
il Messaggio, cio questa cosa profondissima su
cui si fa un gran can-can, una faccenda assai
semplice per chi i romanzi deve scriverli e non
farne ledizione commentata. Come dice
Gardner con una semplificazione liberatoria:
Tema il termine critico elevato che sta
a indicare il problema principale del
protagonista (77).

Deo gratias.
Il Tema il problema del personaggio. Punto.
Trova i sassi nella scarpa del tuo eroe, e il
tema si sviluppa da solo.

A questo punto cominciamo a capire che, se si


segue il metodo giusto, le caselle a volte si
mettono a posto da sole. Francis Scott
Fitzgerald ci ha fatto persino il titolo di un libro:
Le belle storie si scrivono da sole. E una cosa
che capita sempre pi spesso man mano che si
capisce la funzione profonda della trama.

Riassunto

Il mio professore di terza media aveva un


principio semplice ma saggio: Per imparare
non basta leggere, bisogna mandare a
memoria. Perci facciamo un riassunto.

Dobbiamo avere un personaggio che, come


tutti, tende verso qualcosa e fugge da
qualcosaltro: cio, semplificando, ha un
desiderio e una paura.

La trama ha il compito di creare eventi che


ostacolino o assecondino il suo desiderio
spingendolo a fare scelte che lo avvicinano
alla sua area di pericolo.

La sua area di pericolo tuttavia anche il


tema della storia. Quindi pure noi, modesti
artigiani che volevano solo costruire una storia,
ci troveremo ad avere un racconto col
Significato, proprio come i capoccioni delle
antologie. Ammazza!

Esercizio 1

(fondamentale: chi non lo fa non trarr


alcun profitto dal corso)

Per imparare il metodo senza farsi ingabbiare


dal metodo bisogna fare come quando si
prende la patente. E necessario passare un
certo tempo a guidare con la testa, pensando
razionalmente che prima devi abbassare la
frizione poi inserire la marcia e non viceversa.
Bisogna farlo tante volte finch non diventa un
gesto automatico. A quel punto guidi ma non
pensi pi a quali pedali spingi: pensi a dove
andare.

Le pagine che avete letto sono una scuola di


guida. Ora avete gli strumenti per inventare un
inizio di trama: allenatevi. Mettetevi l e
inventate almeno 10 inizi di storie usando
questi concetti. Datevi per ciascuna una spazio
massimo, tipo 2 o 3 cartelle. Tuttavia
pensatele come sintesi di narrazioni lunghe,
capaci in futuro di supportare un romanzo o un
film. Se 2 o 3 cartelle vi sembrano poche per
un inizio, pensate a chi riassume intere trame
nei risvolti di copertina o agli sceneggiatori
americani che si sentono dire: Raccontami la
storia in 40 secondi.
Per costruire il racconto, cominciate come vi
pare e proseguite come volete, ma alla fine
questo inizio di storia deve avere gli elementi
di cui abbiamo parlato: un personaggio che
ha un desiderio e una paura, da cui si evince
la sua area di pericolo (che anche il
tema), poi c un inizio di trama che lo spinge
a fare scelte non casuali ma connesse alla sua
area di pericolo. Fate muovere anche i
personaggi che gli stanno intorno, ma cercate
di crearli in modo che siano funzionali allo
scopo, cio che servano a mettere nei guai il
protagonista, non in modo gratuito, ma rispetto
ai suoi punti deboli.

Ovviamente, i personaggi dovrebbero essere


anche anche vivi e credibili: ma questo
secondo me fa parte delle cose che non si
insegnano. Sono certo che quasi tutti ne siete
gi capaci.
Se poi non volete avere un solo protagonista
principale, non c problema, potete avere una
storia con pi protagonisti, nel qual caso fate la
stessa cosa per tutti i protagonisti della vostra
storia (ma allinizio meglio averne uno solo).

Ho detto di scrivere 10 inizi, ma sarebbe


meglio 20, e ancor meglio 30. Pi ora scrivete
storie da buttare, meno facile che buttiate via
quel che andrete a scrivere dopo. Decidete
adesso un numero di storie che volete scrivere
come esercizio, e poi rispettate la decisione
presa. Scrivete su un post-it scriver X inizi
di storie come esercizio, poi appendetelo
sul computer e rispettate quello che c scritto.

Lesercizio serve perch questo tipo di sapere,


se funziona, funziona solo quando viene
applicato senza pi pensarci, obiettivo che si
raggiunge solo con la pratica. Si tratta di
scrivere facendo un sacco di ragionamenti
razionali su come applicare i principi, sapendo
che cos non si ottiene nulla di buono. Quando,
a forza di praticarlo, il metodo diventer
automatico, allora comincer ad essere utile.
Diventer anche personalizzato perch
scrivendo apporterete come tutti le vostre
personali variazioni.

Mentre scrivete questi inizi di storie da


buttare, forse qualcuna vi sembrer una bella
storia. Se accade, ignorate questo pensiero e
continuate fino al traguardo prefissato. Se vi
sembra che facciano schifo, continuate fino al
traguardo prefissato. Non fatevi spaventare
dallesercizio, se 10 inizi di storie vi sembrano
troppi, fatene 5, o anche 3. Ma fateli. Ricordate
per che sono soltanto inizi di storie. Non
cercate di finirle, bastano 1-2 cartelle di
impostazione della trama.
LEZIONE 2

Il magico trio: Desiderio-Ostacolo-Conflitto

Una storia vera

Partiamo da una storia vera, che riguarda me e


voi. Nel raccontarvela la drammatizzo, per
farne un modellino di storia che serve a
fissare le categorie che abbiamo studiato o
studieremo (sono quelle in grassetto). Sia
chiaro che drammatizzare significa
falsificare. La storia cos non pi vera.
Come sostiene Nabokov, dire che un romanzo
una storia vera significa offendere sia la
verit sia il romanzo.
Uno sceneggiatore di commedie ha una felice
vita professionale (situazione precedente).
Una notte sogna una promessa fatta in
giovent (incidente scatenante) e decide di
fare un corso gratuito su Internet per regalare
ai pi giovani le cose che ha imparato
(desiderio esplicito). Crea un sito, scrive la
prima lezione, riceve bei commenti, contento.
Poi per non riesce a scrivere la Lezione 2
perch ha troppo lavoro (primo ostacolo).
Supera lostacolo lavorando duro per un mese
e ritagliandosi alcuni giorni per scrivere la
Lezione 2. Ma si incarta, non trova il bandolo
della matassa, i giorni previsti non bastano
nemmeno ad iniziare, si ritrova confuso e
incerto (secondo ostacolo: interiore, pi
difficile). Intanto altri lavori premono, gli
utenti protestano, lui aggira lostacolo in modo
creativo: pubblicando la lezione 3. Passa un
altro mese, stavolta deve proprio scrivere la
Lezione 2: ci si mette ma non ci riesce. Lui,
che riesce a scrivere tutto con una certa
facilit, stavolta bloccato. Ogni volta che
affronta la lezione 2, finisce per fare altro.
Comincia a preoccuparsi. Decide di rimettersi a
studiare i suoi antichi libri: ma per farlo occorre
molto tempo, buca qualche scadenza di lavoro
e qualche impegno familiare. La maledetta
Lezione 2 gli sta rovinando la vita: i produttori
protestano per i ritardi, la moglie lo sgrida per
le assenze, gli utenti del corso perdono fiducia
(terzo ostacolo, ancora pi duro, conflitti
generali). Lui va in crisi, ormai perso nei testi
che s rimesso a studiare, non ci capisce pi
niente. Una sera riguarda tutto quel che ha
scritto sul tema e non funziona. Capisce una
cosa tremenda: lui non riuscir mai a scrivere
la Lezione 2 se non prendendosi un tempo
enorme, che proprio non ha (quarto ostacolo,
insuperabile). A quel punto decide di
rinunciare al corso gratuito di scrittura, scrive a
tutti una mail in cui dice ho sbagliato, questa
cosa mi porta via troppo tempo, non ce la
faccio. Sta per spedire la mail a 400 indirizzi
ma (colpo di scena) arriva una telefonata,
costretto ad andare a casa per un problema
che lo costringe a stare sveglio tutta la notte.

In quella notte riflette, e si rende conto che


non sta scrivendo la seconda lezione, sta
scappando da qualcosa, una verit che non
vuole conoscere. Nella stanza della sua veglia
sono appese le locandine di tutti i film che ha
scritto. Le guarda e ha una rivelazione: in
tutti i film che ha scritto c lo stesso errore, la
mancanza di un Nemico davvero cattivo! E il
Nemico era il tema della lezione 2

Affronta il suo problema in una dura lotta,


guardando dentro se stesso (la dura lotta
sarebbe il Climax, che in questa storia non
molto spettacolare ma pazienza) sino a trovare
il coraggio di digitare la frase che segue: nelle
sue storie non ha mai dato il giusto peso alla
figura del Nemico perch non ha mai voluto
affrontare il Male del mondo, il male
irrimediabile, quello che non cambia e non si
redime. Lui scrive commedie per fuggire quel
Male, perch questa la sua Paura Nascosta.
Quel Male lo spaventa cos tanto che lo teme
persino sulla carta (notate il sottile legame
della Paura Nascosta col Desiderio Esplicito
che era lesatto contrario. Un esempio di Bene
totale: fare un regalo a tante persone senza
chiedere nulla in cambio).

Saltato questo tappo interiore, il problema


tecnico svanisce e il protagonista scrive con
grande facilit la benedetta Lezione 2. Anzi ora
cos facile che il materiale lievita, la lezione
raddoppia, poi triplica, nascono la Lezione 2 Bis
e la 2 Tris. Ma appena ha finito, anzich
mettersi a scrivere una nuova commedia,
scrive una tragedia. E cambiato. Ora pronto
a far entrare il Male nelle sue storie.

Fine.

PRECISAZIONE: Ripeto: per farla diventare un


modellino di storia, ho dovuto
drammatizzare, per cui alla fine la storia
inventata. Non vero che ho sbagliato il
Nemico in tutti i miei film, non vero che ora
scriver solo tragedie, non ho mai scritto una
mail per dire rinuncio a fare il corso e
soprattutto non ho appese in casa le locandine
di tutti i miei film! Non vero neanche che lo
scontro con la Lezione 2 sia stato cos
drammatico, non ho litigato con la mia
compagna o con i produttori. Quindi tutto
finto? No.

E vero che sulla Lezione 2 mi sono incartato


per un po di tempo perch l dentro cerano
cose su cui, in questa fase della mia vita,
volevo io stesso re-imparare. E vero che
queste cose riguardavano la figura del Nemico,
e pi in generale gli ostacoli e i conflitti:
insomma il male di una storia.

E vero anche che ho capito una cosa: nella


scelta di fare questo corso, oltre al desiderio
conscio di regalare qualcosa agli altri, cera un
desiderio personale di imparare pi forte di
quanto credessi.

Da tutto ci il ritardo, di cui mi scuso. Il resto


fantasia.

Ora per abbiamo un modellino di storia. E


una brutta storia ma interessante perch
contiene tutti gli elementi. Abbiamo cio:

- Un Personaggio con un Desiderio


Esplicito (qua: regalare sapere agli altri), un
Desiderio Nascosto (imparare per s) e una
Paura Inconscia (affrontare il Male nelle
storie che scrive).

- UnArea di Pericolo del Personaggio (il


suo rapporto col Male) che il desiderio esplicito
e la paura inconscia suggeriscono.

- Un Incidente Scatenante che mette a fuoco


il desiderio del personaggio e avvia in pratica la
storia (la decisione di fare il corso).

- Una Escalation di Problemi che si


oppongono al desiderio di fare il corso (la
difficolt di scrivere la Lezione 2).

- Un Nemico (in questo caso qualcosa che


sta dentro il personaggio stesso).

- Un momento di Resa & Sconfitta in cui tutto


sembra perduto (la mail che dice rinuncio al
corso).

- Un momento in cui il personaggio capisce


limportanza della vera posta in gioco (Apice di
Consapevolezza) e decide di affrontare il
proprio nemico.

- Un momento in cui il personaggio lotta contro


il proprio nemico (Climax: che in questa storia
fa schifo ma non importa).

- Il Cambiamento Finale (un cambiamento


del personaggio dovuto allesito positivo o
negativo dello scontro).

Inoltre, in ordine sparso, in questo modellino


troviamo anche:

- Qualche barlume di Colpo di Scena, che non


guasta mai.

- Dei bivi che costringono il personaggio a Fare


delle Scelte.

- Un accenno di Rischio Reale per il


Personaggio (se non capisse questa cosa si
condannerebbe ad una scrittura inautentica).
- C inoltre una corretta Escalation dei
Problemi perch la difficolt di scrivere la
Lezione 2 inizia con una semplice mancanza di
tempo, prosegue con confusione e blocco
(pi grave), crea liti col mondo esterno
(ancora pi grave) e culmina con il non ci
riuscir mai (pi grave di tutte perch una
resa).

- C qualche accenno di potenziale


Sottotrama da sviluppare (perch la
telefonata che giunge a deviare il corso della
storia troppo casuale: va preparata in
precedenza, inserendola in una storia laterale,
che diventer appunto una sottotrama).

Un test utile

Continuiamo a studiare questo modellino di


storia. Il fatto che sia una brutta storia ci di
grande aiuto. Possiamo infatti cercare di capire
perch brutta da un punto di vista tecnico. In
questo modo capiremo meglio come funziona il
modello e a cosa serve. Vediamo dunque gli
errori tecnici di questa storia.

Primo: il Problema del Protagonista (che


ripetiamo anche il Tema della storia)
riguarda il rapporto con la scrittura. E un po
finto. Chi legge ha la sensazione, magari
inconscia, che quel personaggio abbia problemi
pi gravi. Quindi pi interessanti. Lautore non
d limpressione di aver azzeccato la vera area
di pericolo del personaggio. Sembra occuparsi
di un suo problema secondario. E un peccato
mortale: anche se chi legge non fa tutti questi
ragionamenti, sente a istinto certe cose, e
reagisce alla storia con la principale delle
stroncature: chissenefrega

Due: importante notare che il chissenefrega


parte nella mente del lettore gi quando
appare nella storia lIncidente Scatenante (il
sogno) che mette a fuoco il Desiderio del
Personaggio (fare un corso di scrittura
gratis). Siamo allinizio ma chi legge fa una
faccia che nei fumetti accompagnata dal
mumble mumble. Si intuisce che, se questo
il primo passo, non sar una camminata
memorabile. Questa la prova che tema, area
di pericolo del personaggio, incidente e
desiderio del personaggio sembrano cose
diverse ma sono in realt la stessa cosa. O
funzionano tutte o nessuna.

Tre: Il Nemico piatto perch si trova a un


solo livello: tutto dentro al personaggio. Non ci
sono antagonisti e ostacoli esterni.
Protagonista e Nemico sono la stessa persona.
In pratica, uno che se la canta e se la suona.
Certo, se lautore fosse Svevo o Proust
potrebbe funzionare lo stesso ma, ritenendo
improbabile che decine di nuovi Svevo e Proust
stiano seguendo il mio corso di scrittura on-
line, di queste eccezioni non parlo.

Quattro: la Posta in gioco troppo piccola. Il


Rischio profondo del personaggio non
capire che vuole far entrare il Male nelle sue
storie e quindi condannarsi ad una agiata e
divertente esistenza da autore di commedie di
successo. Uno pensa ma vattene un po
affanculo, e chiude il libro. Anche il Rischio
concreto basso. Sostanzialmente il
personaggio rischia di fare una brutta figura se
interrompe il corso gratuito. Un rischio da
niente, che produce un altro chissenefrega
clamoroso. In una buona storia la posta in
gioco riguarda cose di vitale importanza,
almeno per il personaggio. Se il rischio
profondo e il rischio concreto sono cos
insignificanti, perch diavolo devo passare ore
a seguire le gesta di sto tizio?
Detto ci, inutile continuare la critica
esaminando lescalation di problemi, il
momento di resa & sconfitta, lapice di
consapevolezza, il climax, il finaleQuando gli
elementi iniziali della storia sono deboli,
illusorio sperare che quelli successivi
migliorino. E molto pi facile fare 5 + 1
allEnalotto.

La storia come organismo

Coi termini in grassetto che appaiono in tutte le


5 pagine precedenti, dovete fare amicizia. Sono
gli strumenti con cui si costruisce una storia.
Alcuni li abbiamo gi visti, altri li vedremo. In
ogni caso ciascuno torner spesso, a volte
raccontato in modo diverso. Il problema che
a mio avviso non si pu scomporre una storia
nei suoi vari elementi, definirli una volta per
tutte e poi passare oltre. Una storia infatti un
organismo vivente, ogni parte esiste e ha
senso solo in relazione con le altre.

Scrive Henry James Cos un personaggio se


non la determinazione di un incidente? Cos
un incidente se non lillustrazione di un
personaggio?.

E lo sceneggiatore Doc Comparato: Tra


personaggio e storia intercorre lo stesso
paradosso che esiste tra luovo e la gallina: non
si pu dire chi sia apparso per primo.

O Flannery OConnor: I personaggi si svelano


mediante la trama, e la trama a sua volta
condotta mediante i personaggi.

Insomma, i diversi elementi che formano una


storia sono fusi tra loro. Lo dimostrano anche
due opinioni diametralmente opposte, una di
Stephen King
Partire da un tema prestabilito un buon modo
per scrivere male. Un buon romanzo parte
sempre dalla storia per arrivare al tema: quasi
mai comincia dal tema per diventare storia.

E una dello sceneggiatore Paul Schrader (Taxi


Driver, Toro Scatenato, American Gigolo, ecc)

Primo, bisogna avere un tema, qualcosa che si


vuole dire. Poi bisogna trovare una metafora
che esprima quel tema. Quindi una trama che
rifletta accuratamente il tema e la metafora. Se
si procede allinverso molto difficile lavorare.

I due dicono cose opposte: ma chi ha ragione?


Nessuno ed entrambi. E che i diversi elementi
(tema, personaggio, trama, incidente,
eccetera) in una buona storia sono
perfettamente integrati e si modificano a
vicenda, in una rete di condizionamenti cos
fitta che impossibile isolare e trattare un
elemento una volta per tutte. Non sono
elementi diversi, sono una creatura organica,
un tutto unico che non pu essere scomposto
perch una esperienza umana. Perch, santo
Ges, una storia.

Per questo motivo riprender spesso i vari


elementi. Se parlo del personaggio in relazione
al tema o al climax, dir cose diverse. Cos
come se parlo del Nemico in relazione al
personaggio o al tema, il discorso cambia.
Quindi mi prendo il diritto di riparlare di una
cosa ogni volta che mi va, senza chiedermi se
sembra una ripetizione o no. Infatti ripartiamo
da cose gi dette nella lezione 1. Ti!

Esseri desideranti

Abbiamo detto che un personaggio deve avere


un desiderio, un obiettivo, una meta, una
volont. Insomma, deve volere qualcosa. Ma
perch? Vediamolo in modo pi specifico.
Uno: Il desiderio del personaggio ci aiuta a
mettere in moto la storia. Non serve inventare
sofisticate trame. Quando un personaggio
vuole qualcosa, basta far accadere un fatto che
ostacoli o assecondi il suo desiderio e lui, quasi
da solo, reagir mettendosi in modo. La storia
parte cos, quasi senza far nulla. Come diceva
Fitzgerald, le belle storie si raccontano da
sole, quelle brutte bisogna raccontarle. Per far
agire un personaggio che vuole qualcosa, basta
un piccolo evento ben scelto. Smuovere un
pelandrone amorfo e senza desideri una
faticaccia.

Due: Il desiderio aiuta a creare un personaggio


vivo. Noi siamo esseri desideranti. Noi
vogliamo. Ci sono solo tre tipi di persone che
non hanno desideri: quelle che stanno al
cimitero, i protagonisti delle brutte storie, e i
giovani senza desideri inventati dalle
inchieste giornalistiche. Tutte le persone reali
e vive invece di desideri ne hanno, eccome.
Dare al vostro personaggio un desiderio
significa renderlo pi vero e pi vivo.

Tre: Il desiderio aiuta a creare empatia col


personaggio. Quando vediamo qualcuno che
desidera qualcosa, ci riconosciamo cos tanto in
lui che tendiamo a fare il tifo. Il meccanismo
cos forte che avviene anche se il desiderio
criminale. Le polemiche sui film che
eroicizzano la mafia nascono solo da questo.
Un personaggio che persegue la sua meta ci
ispira tanta empatia che finiamo per fare il tifo
anche se il suo obiettivo orrendo.

Quattro: Il desiderio d una enorme mole di


informazioni. Se diciamo che il principale
obiettivo di un personaggio una bicicletta con
cui andare al lavoro abbiamo gi detto tanto di
lui, della sua condizione sociale e del paese in
cui vive. Una semplice informazione
emozionale (cosa vuole) ci risparmia noiose
descrizioni. E poi quando sappiamo cosa vuole
davvero una persona ci sembra di conoscerla.
Pensate a chi pu avere questi quattro
desideri: un lavoro fisso, uno yacht, un bacio,
una dentiera che non si vede. Leggendoli, non
avete gi visualizzato il tipo di persona che
potrebbe provarli? Non vi apparso un
barlume di volto, un genere sessuale, unet o
magari, misteriosamente, persino un colore di
capelli? Dire cosa desidera, significa forse
dare linformazione pi densa e significativa su
un essere umano. In una o due parole c un
mondo, una personalit, a volte persino un
corpo.

Cinque: Il desiderio, o volont, del personaggio


ci fornisce informazioni anche sui problemi
nascosti che lui stesso non sa di avere. Il tizio
che nella nostra storiella inizia regalando un
corso di scrittura, ovvio che da qualche parte
ha qualche suo conto da regolare con lo
scrivere (parlo della storiella, non della realt!).
In altre parole: la volont del personaggio ci
fornisce una prima indicazione per capire dove
si trova la sua area di pericolo, quel territorio
misterioso che a volte si scopre solo scrivendo,
come in una caccia al tesoro. Lobiettivo del
personaggio ci d la prima traccia di dove si
trovi. Se il personaggio vuole guadagnare
10.000 euro per rifarsi il naso, o riconquistare i
propri figli dopo 10 anni di carcere, chiaro
che la sua area di pericolo ubicata in zone
molto diverse della psiche. Il desiderio del
personaggio indica la direzione in cui guardare.
Avvertenza: su questo tema (rapporto fra
desiderio e area di pericolo) bisogna trovare
soluzioni vere ma anche interessanti, cio poco
scontate. Prendete il personaggio di un ricco
che vuole diventare ricchissimo (desiderio)
perch nato povero e quindi ha un terrore
inconscio della miseria (area di pericolo).
sicuramente un personaggio vero, ma non
molto originale n interessante. Perch?
Perch la relazione tra i due poli meccanica:
nato povero = terrore della miseria. Accade
che ci siano esseri umani che funzionano cos
ma pi spesso la relazione tra desiderio e area
di pericolo non ha questo stile piatto da 2 + 2
= 4, perch costruita dalla fantasiosa
precisione dellinconscio. Proviamo a pensare
altre soluzioni: un uomo ha il terrore inconscio
della miseria e lo esprimecome?

A: Regala soldi ai poveri per aiutarli per li


nega ai propri figli, perch vuole educarli a
quella vita di stenti che teme come una
minaccia sempre incombente. Pensatela dal
punto di vista dei figli, ai quali questa scelta di
dare soldi a sconosciuti e negarli a loro appare
orrenda e incomprensibile. La storia gi un
filino pi interessante.
B: Tenta una operazione spericolata che lo
conduce in miseria, cos pu affrontare di
nuovo lincubo della sua infanzia e scoprire che
ora ha le risorse per affrontarlo. Alla fine sar
di nuovo benestante ma senza pi ansie di
povert.

C: Si traveste da operaio e si fa assumere in


una delle sue fabbriche mosso dal desiderio
esplicito di vedere come funziona lazienda e
dalla voglia segreta di misurarsi con quella vita
povera che lo atterrisce. Ma il suo socio
approfitta dalla sua lontananza per fregarlo, e
lui si ritrova davvero ad essere un operaio.

Eccetera eccetera. In questo momento non


sono in forma e gli esempi non sono granch,
ma avete capito. La relazione tra area di
pericolo, paura nascosta e desiderio esplicito
segue anche vie molto creative perch
possiede la fantasiosa precisione
dellinconscio. Ed questa che bisogna imitare.
La precisione non basta, la fantasia men che
meno. Fantasiosa precisione.

Sei: Il desiderio esplicito del personaggio


conferisce una direzione concreta alla storia.
Dal suo desiderio discendono gli ostacoli che si
trover di fronte, la lotta di valori in gioco, la
natura dei suoi nemici e delle battaglie che
dovr affrontare. E chiaro che se il desiderio
del personaggio fare pace con la sorella,
comprare un grande cavallo da corsa o trovare
del tritolo per fare un attentato, gli ostacoli che
avr davanti saranno molto diversi. Per questo
tra laltro, il desiderio deve essere chiaro.
Come dice Alonso De Santos Senza una chiara
meta dei personaggi la storia sar confusa e si
muover da una parte allaltra. La meta (del
personaggio) decide che direzione far prendere
alla trama. Si pu anche dire che il desiderio
esplicito del personaggio il seme della storia.
Quello da cui nasce tutto.

Sette: Ricordate che il desiderio del


personaggio deve essere capito dal lettore
(o dallo spettatore) in un tempo
ragionevolmente breve e deve essere
fondamentale per il personaggio. Non
importa quanta importanza oggettiva
abbia: per lui deve essere una questione
vitale. Da questo dipende la tensione
drammatica. Ancora Dos Santos, che ce lho
sottomano: Se nellopera non c in
pericolo qualcosa di importante (lamore, il
potere, il futuro, la sopravvivenza, lonore,
la dignit, la vita) la trama non avr
forza.

Se lobiettivo del personaggio comprarsi un


vestito per fare il figo in discoteca, non avrete
molta tensione nella storia. Per non detto.
Se un indiano e il vestito nuovo gli serve per
il matrimonio dellunica figlia, che sarebbe
disonorata da un padre vestito male alla
cerimonia, la faccenda acquista un altro peso.
Adesso il vestito mette in gioco lonore, lamore
paterno, la dignit. Adesso per quel vestito si
lotta davvero. Per quel vestito si pu rubare.
Forse, portando allestremo la storia, si pu
persino uccidere.

Secondo me spesso le grandi storie hanno


desideri piccoli che arrivano ad assumere una
importanza epica: la bicicletta di De Sica e
Zavattini ne un esempio perfetto.

Insomma, prima di stabilire cosa vuole il vostro


protagonista pensateci bene. E la pietra miliare
della vostra storia.

Infine, io lho chiamato desiderio, molti teorici


usano nomi differenti. Si parla di volont del
personaggio (Mc Kee), di obiettivo
(Stanislavskij e Lavandier), di meta (De
Santos), e poi di scopo, traguardo, target e chi
pi ne ha pi ne metta. Tutte queste parole
servono solo a martellare una frase: mettete
in scena personaggi che vogliano
qualcosa! E incredibile come una
raccomandazione cos semplice venga
dimenticata tanto spesso.

Gardner riassume meravigliosamente la


faccenda: In quasi tutta la buona narrativa, la
struttura base -pressoch inevitabile- della
trama : un personaggio principale vuole
qualcosa, persegue il suo obiettivo malgrado le
opposizioni (compresi forse i suoi stessi dubbi)
e cos giunge ad una vittoria, ad una sconfitta o
al niente di fatto.

Se manca un personaggio che vuole


qualcosa la storia non ha benzina.

Precisazioni sul desiderio


Il fatto che il personaggio abbia una volont
chiara non significa che debba somigliare per
forza alleroe americano che vuole salvare il
mondo e si scontra con tutti i cattivi della terra
o dello spazio. Possiamo creare volont pi
sottili, se ci piace. Ne La coscienza di Zeno, il
protagonista vuole diventare un uomo pi
attivo e deciso. Ma convinto che ci riuscir
solo smettendo di fumare, cosa che non sa
fare. Su questo si intorcina per centinaia di
pagine perch il suo obiettivo e il Nemico che vi
si oppone, sono entrambi dentro di lui. Il
romanzo la storia di questo conflitto interiore,
che porta a una esplorazione profonda del
personaggio.

Altro esempio. Un vecchio film di Ferreri El


Cochechito ha per protagonista un anziano. I
suoi tre amici hanno infermit alle gambe e i
figli comprano loro carrozzelle a motore, con
cui vanno a fare piccole gite. Il protagonista sta
bene, quindi non ha la carrozzella. Per resta
escluso dalle imprese degli amici infermi e
motorizzati che partono per una allegra gita
al fiume mentre lui resta solo nellafa della
citt. Nasce quindi in lui un desiderio bizzarro
ma logico: vuole la carrozzella! Quindi simula
una infermit alle gambe che non ha per
convincere i figli a comprargliela.

Come vedete, abbiamo un personaggio che ha


un desiderio forte, ed cos determinato a
realizzarlo da essere pronto a tutto. Al tempo
stesso non ha nulla a che spartire col volitivo
mascellone da film americano. E un anziano
delicato e poetico che si finge paralitico per non
essere pi solo.

In genere nella vecchia Europa, forse in


analogia a quanto succede nella vita sociale,
accade meno spesso che la storia si metta in
moto perch il protagonista vuole qualcosa.
Molte volte sono le circostanze esterne a
premere sul protagonista, creando la sua
volont.

Un esempio classico il Processo di Kafka:


Josef K., messo sotto accusa dal Tribunale per
motivi misteriosi, non porta avanti lazione, la
subisce. Ci che lui desidera solo tornare alla
situazione precedente. Poi nel corso della storia
matura altri desideri (difendersi, sapere di
quale reato accusato) che per nascono solo
come reazione a qualcosa di esterno che gli
accaduto.

Si tratta per distinzioni da critici. Per chi


scrive non cambia nulla se il desiderio del
personaggio autoprodotto o nasce come
reazione a ci che gli viene fatto dal vicino di
casa, dallo Stato o da un Arcangelo.
Limportante che, in un tempo abbastanza
breve rispetto allinizio della storia, ci sia in
scena un personaggio che vuole qualcosa. Il
resto, per noi che dobbiamo scrivere storie,
non ha alcuna importanza.

Una piccola spinta (lincidente scatenante)

Scrive Simenon: Un personaggio di romanzo


chiunque nella strada, un uomo, una donna
qualunque Affinch diventino personaggi di
romanzo mi sar sufficiente metterli in una
situazione tale da costringerli ad andare fino in
fondo a se stessi E facile, vedete. Non
occorre neanche trovare una storia.
Semplicemente degli uomini, degli esseri
umani, nella propria cornice, nel proprio
ambiente. La piccola spinta che li mette in
moto.

La frase su cui voglio puntare laccento


lultima: la piccola spinta che li mette in
moto. E quello che Flannery OConnor chiama
lincidente, Mc Kee levento dinamico, altri
lincidente scatenante o lo starter. In
sintesi: il motorino di avviamento della
storia. Quello che spinge il personaggio ad
agire (o lo costringe a reagire). Inutile tentare
di classificare le forme che la piccola spinta o
incidente scatenante pu assumere. Pu
essere un fatto minuscolo o enorme, positivo o
negativo, previsto o inaspettato: qualunque
cosa. Una definizione pratica porterebbe solo a
un elenco infinito (quindi inutile) di possibilit.
Meglio tentare una definizione concettuale.

Primo: lIncidente Scatenante che avvia la


storia deve apparire come insolito nel mondo
del personaggio. Questo nasce dal patto
implicito tra chi scrive una storia e chi la segue,
patto che suona pi o meno cos: Amico,
dammi un po del tuo tempo, in cambio giuro
che non ti racconter il tran tran quotidiano ma
unesperienza decisiva e significativa nella vita
di uno o pi personaggi.
LIncidente Scatenante, che cade abbastanza
presto nella storia, il primo momento con cui
dite al lettore Amico, lo vedi che il patto lo
rispetto? Lo vedi che qua sta succedendo
qualcosa?.

La sensazione del sta succedendo qualcosa


la prima e pi importante che dobbiamo
suscitare. Non legata alla grandezza degli
eventi ma al loro significato per il personaggio.
Un furto di bicicletta, come sappiamo, pu
bastare a creare una storia memorabile.

Quel che conta che lincidente sia in relazione


col desiderio e la paura del protagonista. Chi
segue la storia deve sentire che quello il
primo passo che condurr il personaggio verso
la sua area di pericolo. Attenzione, non ho
detto che lo deve capire, ancora presto: lo
deve sentire. Come quando nella vita ci capita
qualcosa che ci fa pensare qua mi sto infilando
in un guaio. Magari non sappiamo perch, non
abbiamo prove razionali per lo sentiamo. E in
questi casi, alla fine, scopriamo sempre di
esserci infilati in un guaio.

Per capire meglio la funzione dell incidente


scatenante, vi faccio lesempio di due storie
che ho scritto (magari non saranno capolavori
ma abbiate pazienza: questo passa il
convento).

E allora Mambo: Il protagonista ha assunto


molte responsabilit: a 28 anni ha moglie, figli
e un lavoro impegnativo. Assolve ai suoi
doveri, ma rimpiange la giovinezza che non ha
vissuto. Poi lincidente: la banca per errore gli
mette sul conto una somma enorme. Sorge
spontanea la domanda Ora che far?. Infatti
chiaro che questo incidente va a rimescolare
il suo garbuglio non risolto tra responsabilit e
rimpianti di libert. Si sente che si sta infilando
in un guaio! Quindi la storia ci interessa.

Si pu fare: Siamo a inizio anni 80, il


protagonista un sindacalista troppo avanti,
dice che la sinistra non deve combattere il
mercato ma imparare a starci dentro coi propri
valori. Incidente: per queste posizioni, il
sindacato lo espelle e lo manda a dirigere una
cooperativa di malati di mente che non sanno
far nulla. Viene da chiedersi Ora che fa?. E
chiaro che lincidente va a rimescolare il suo
garbuglio tra sinistra e mercato, solidariet e
competizione (infatti nascer in lui un desiderio
imprevedibile ma logico: trasformare 12
matti in unazienda che compete sul mercato).

Io in sala i miei film li guardo girato allindietro:


non fisso lo schermo ma gli occhi di chi guarda.
E vi garantisco che questi due incidenti
funzionano. Fanno il loro mestiere. Quando
avvengono il pubblico intuisce che sta
succedendo qualcosa. Ancora non sa nulla, non
ha capito nulla, ma intuisce che quellincidente,
su quel personaggio, produrr qualcosa di
significativo. Ancora non sa se la storia gli
piace, ma ha capito che una storia: non
descrive il tran-tran ma tenta di raccontare un
evento decisivo di unesistenza. Il patto-base
rispettato.

Controprova: provate a invertire i due


incidenti. Mandate il personaggio di E allora
Mambo a lavorare fra i matti e la sensazione
sta succedendo qualcosa scompare.
Lincidente non interessante, perch non
rimescola il vero problema del personaggio.
Alla domanda ora che fa? viene da rispondere
chissenefrega!. Era frustrato prima, sar
frustrato adesso, intuitivo che per lui non
cambia nulla a livello esistenziale.
Lo stesso avviene se la banca accredita per
errore una montagna di denaro al protagonista
di Si pu fare: un idealista di sinistra, il
portafoglio gonfio pu anche fargli piacere ma
non gli cambia nulla a livello esistenziale. La
sua sfera di problemi e significati si trova
altrove. Accade lo stesso identico fatto ma il
pubblico pensa qua non succede niente.

(scusate la personalizzazione ma ho qualche


pudore ad usare come esempi storie altrui: si
rischia sempre di proiettare su altri autori i
propri metodi e le proprie intenzioni. Usando le
mie storie almeno sono sicuro che vi dico la
verit su come sono andate le cose).

Identikit di un Incidente

Riassumiamo ora le caratteristiche che servono


ad omologare un evento come Incidente
Scatenante valido ad avviare la storia. Queste
liste servono anche (forse soprattutto) in fase
di revisione. Ad esempio, per fare il check up
agli inizi di storie che avete certamente
scritto come esercizio (non direte che non vi ho
lasciato abbastanza tempo, eh?!).

Lincidente deve avvenire il pi presto


possibile. E ci che mette in moto la storia,
non pu cadere troppo avanti. Soprattutto:
fate attenzione a quello che lo precede.
Spesso, sembra necessaria una lunga
descrizione del personaggio per poter sentire
tutta la forza dellincidente. Non cos. Per
raccontare la problematica esistenziale di
qualcuno bastano pochi tocchi. Sentite cosa
dice Milan Kundera sul personaggio di Thomas
che, ne LInsostenibile Leggerezza dellEssere,
ha presentato con pochissimi tocchi: la
scarsit di informazioni non lo rende meno
vivo. Perch rendere vivo un personaggio
significa: andare fino in fondo alla sua
problematica esistenziale. Significa cio andare
fino in fondo ad alcune situazioni, alcuni motivi,
alcune parole, direi, di cui fatto. Niente di
pi.

E quindi, siccome difficile che i nostri


personaggi siano pi complessi di quelli di
Kundera, non facciamola troppo lunga. Il
tempo che passa tra linizio e lincidente deve
essere il minimo sindacale per capirne la
portata, non di pi. Negli esempi che ho fatto,
lincidente accadeva dopo pochi minuti di film
(5 e 3, vado a memoria). Poi chiaro che se la
storia riguarda lo sterminio della civilt Azteca,
prima di far arrivare gli sterminatori dovr
raccontare un po la civilt Azteca, e mi servir
pi tempo. Insomma, il quanto concreto lo
decidete voi. Ma il quanto concettuale
chiaro: il minimo possibile. Ricordate che prima
dellincidente, il lettore non ha ancora avuto la
prova che voi rispettiate il patto: vi sta
seguendo sulla fiducia, non approfittatene
troppo. Dategli il prima possibile la benedetta
sensazione che sta succedendo qualcosa.

Lincidente deve essere legato al desiderio


esplicito del personaggio, alla sua paura e al
suo desiderio nascosto. Si deve sentire (non
capire con certezza) che la reazione
allincidente avvicina il personaggio alla sua
area di pericolo. Lo dico in modo sintetico
perch ne ho gi parlato ma un punto
fondamentale.

Lincidente deve avere una sua forza coattiva.


Tenete conto che, se il personaggio pu
infischiarsene, per la nota legge della pigrizia
umana, lo far. La piccola spinta di cui parla
Simenon deve essere qualcosa che il
personaggio non pu ignorare. Pu essere
oggettivamente una cosa molto piccola ma per
il personaggio non trascurabile.
Deve essere un evento credibile, naturale, non
forzato. C chi alla prima riga si sveglia che
uno scarafaggio, ma uneccezione. Nelle
storie normali, la piccola spinta un evento
che odora di realt. Funziona meglio.

E ovvio ma lo dico lo stesso: lincidente ci


che mette in moto la nostra storia, quindi deve
essere anche interessante, bello,
appassionante, potente, originale, e chi pi ha
aggettivi ne metta. Ricordiamoci che il metodo
serve solo a capire come creare una struttura
funzionante. Non facciamo che per seguire il
metodo, ci scordiamo lobiettivo principale:
scrivere cose che sia bello leggere. Al contrario,
il metodo aiuta a capire quali sono i punti in cui
dobbiamo dare il massimo delle nostre risorse
di creativit, stile, fantasia, precisione, verit,
emozione: lincidente scatenante uno di
questi.
Ostacoli & Conflitti (una fitta rete di
traversie)

E giunta lora di definire la materia prima con


cui si porta avanti una storia. Prima di leggere,
provate a indovinare di che si tratta? Emozioni?
Avvenimenti? Valori? Stile? Azione? O
cosaltro? Scrivetelo in un foglietto.

E ora confrontatelo con quella che secondo me


la risposta giusta: la premiata ditta Ostacoli
& Conflitti.

Come scriveva Truffaut Probabilmente grazie


a tutti gli ostacoli contro i quali si scontrano,
che il pubblico ha potuto simpatizzare con i
miei personaggi. E Dickens in una lettera
sprizzava ammirazione per un collega capace di
Gettare fin da subito il personaggio in una fitta
rete di traversie.
Ostacoli & Conflitti sono lessenza di una
narrazione. E un punto su cui non esistono
distinzioni di mezzi. Un teorico della
sceneggiatura, Robert Mc Kee, scrive In una
storia nulla progredisce se non attraverso il
conflitto. Il conflitto sta alla narrazione come il
suono sta alla musica () La legge del conflitto
ben pi che un semplice principio estetico;
lanima della storia.

Un autore di teatro, Alonso De Santos


ribadisce: La maggior parte degli artisti e dei
teorici teatrali di tutte le epoche daccordo
nellaffermare che lelemento esenziale che
caratterizza -e struttura- lopera drammatica
il conflitto.

E un romanziere, Chandler va pi diretto: dice


che quando scriveva, appena sentiva cadere la
tensione, faceva apparire una pistola alle
costole di Marlowe, poi con calma avrebbe
pensato chi diavolo la teneva e perch.

Ostacoli & Conflitti, per chi crea storie,


corrispondono alla farina e al lievito dei
fornai.

Ora per devo fare una precisazione: user il


nome della premiata ditta Ostacoli & Conflitti
come contenitore in cui rientra tutto il male
che il personaggio incontra nella storia, cio
tutto ci che si intromette fra lui e i suoi
obiettivi. Pu appartenere a 4 categorie:

1. Esseri umani (conflitto interpersonale)

2. Natura (conflitto ambientale)

3. Societ, gerarchie, regole, usi, convenzioni,


pregiudizi, eccetera (conflitto sociale)

4. Problemi, dubbi o incapacit del personaggio


stesso (conflitto con se stessi).
Le storie meglio riuscite pongono davanti al
personaggio conflitti e ostacoli che si trovano a
pi livelli. Tutte quelle di un qualche spessore
prevedono il livello 4, quello del conflitto con se
stessi (di cui sono prive ad esempio certe storie
dazione seriali in cui leroe non ha alcun
problema se non quello di stendere tutti i suoi
nemici).

Alcuni teorici, soprattutto nel cinema, trattano


nel dettaglio la figura del Nemico o Antagonista
a cui io non do uno status specifico perch,
semplicemente, non detto che il male
incontrato dal personaggio venga da un
individuo ben identificato. Chi ad esempio il
Nemico ne La coscienza di Zeno o in Into the
wild? Non c, perch in queste storie il
conflitto principale interno al personaggio. In
altre storie pu essere un aspetto della societ
nel suo insieme (ad esempio il razzismo), o la
natura (terremoti & disastri vari), o una
combinazione di fattori.

Quindi preferisco lespressione usata da Robert


McKee, che parla in modo pi vago, ma pi
preciso, di forze antagoniste. E pi o meno il
senso generico che io attribuisco alla Premiata
Ditta Ostacoli & Conflitti. Ne sono soci tutti
coloro che mettono intralci sulla strada che
separa il protagonista dal suo desiderio, e con
cui il protagonista deve quindi lottare. Spesso,
quindi socio anche lui.

Intermezzo per le gentili lettrici

Basta. Sullultimo lui mi ribello, non ne posso


pi di tutti sti maschi. Il fatto che, fin
dallinizio, ogni volta che voglio dire Gli
scrittori tendono, o Il protagonista mi
viene da pensare: E le scrittrici? E le
protagoniste?
Per non voglio fare come certi politici di
centrosinistra che iniziano ogni frase con
cittadine e cittadini, elettrici ed elettori. Sei
parole e ancora non hanno detto niente,
intanto la Lega dice via gli stranieri (tre
parole) e vola nei sondaggi!

Scherzi a parte, la scelta spinosa. Come fare?


Ignorare il genere femminile (peccato di cecit
e misoginia) o raddoppiare le parole (peccato
di noiosit)? Per puro amor del testo ho scelto
il primo, sposando la convenzione maschilista
della lingua.

Alla fine per in questo corso si sente


terribilmente la mancanza delle donne,
troppo pieno di personaggi scrittori,
lettori, sceneggiatori, critici. Mi sembra di
stare in una di quelle tristi feste
delladolescenza, in cui ci si ritrovava tutti
maschi. Mi scuso con le lettrici (che tra laltro
dai commenti mi paiono ben pi numerose dei
maschi!!) e chiedo loro suggerimenti, tramite i
commenti o i blog? Che fare?

Ho anche pensato di fare tre lezioni al maschile


e poi tre tutte al femminile ma mi pare un po
strano. Poi sarebbe tutto un la scrittrice, la
sceneggiatrice, la protagonista che mi pare
un po spiazzante se qualcuno ci capita per
caso. Attendo pareri illuminanti.

A proposito di deviazioni, mi dice lamico dei


computer che sui motori di ricerca questo sito
non appare ai primi posti perch non ricorre
abbastanza spesso la frase che tutti cercano di
pi corso di scrittura creativa. Per forza non
appare, perch Corso di scrittura creativa mi
fa schifo. Esiste forse una scrittura non
creativa? Ma dove? Nemmeno nelle multe c.
Su quella riga in cui il vigile descrive
linfrazione in 5 parole si potrebbe fare un
concorso letterario! Per bisogna rimediare,
senn chi cerca queste cose trova solo i corsi a
pagamento. Quindi, per favore, mi scrivete
ogni tanto nei commenti corso di scrittura
creativa, anche cos random, alla
cazzoScrittura creativa, corso di scrittura
creativa, imparare a scrivereChe bel corso di
scrittura creativa, no? E chiss se Creativa
corso scrittura o Scrittura corso creativa
funziona lo stesso? La risposta a un bel corso di
scrittura creativaO ricreativa? Corso.
Scrittura. Creativa, come no?

Il conflitto come risorsa

Bando alle deviazioni, entriamo nel vivo di


questo corso di scrittura creativaPerch
Ostacoli & Conflitti sono cos importanti per
chiunque si occupi di storie nei pi diversi
settori? Ci sono varie ragioni e la prima assai
semplice: da alcuni millenni la vita quaggi
funziona cos. Noi desideriamo qualcosa e il
destino si oppone. Punto. Le cose non sono
cambiate neanche dopo lavvento di sofisticate
neo-avanguardie che trovavano noioso o
borghese lo svolgimento classico della storia.
La vita purtroppo arretrata dal punto di vista
narrativo, non frequenta luniversit e crea
meccanismi basici: io voglio questo, la realt
risponde ti. Questo . Era cos quando
dormivamo sugli alberi con le scimmie ed
cos oggi che andiamo nei Resort: tra desideri e
realt si frappongono intralci davanti ai quali
possiamo fare sostanzialmente solo due cose:
fuggire o combattere. Uno dei motivi principali
per cui amiamo le storie vedere come altre
persone affrontano questa fondamentale sfida
che viviamo tutti i giorni.

Secondo motivo. Edward M. Forster sostiene


che la narrativa nata nelle caverne, attorno
ai fuochi, coi selvaggi che dopo una giornata di
caccia volevano ascoltare storie e continuavano
a chiedere E poi? E poi?. Quando la domanda
non gli sorgeva pi, o si addormentavano o
uccidevano il narratore. Oggi i narratori per
fortuna non si uccidono pi. In compenso,
appena vanisce la domanda E poi?, si uccide
la storia. Cio si posa il libro, si cambia canale,
sito, dvd, quel che . Il movente principale per
cui si segue una storia la curiosit.

Ma qual il modo pi sicuro di suscitare


curiosit? Nascondere informazioni? Creare
mistero? Annunciare segreti terrificanti? No. E
mettere un ostacolo davanti al personaggio e
creare un conflitto! Chi segue la storia vuole
sapere come va a finire. Finch non gli date la
riposta sta l.

Il conflitto il pi potente produttore di


curiosit. Se vediamo per strada due che
litigano, ci fermiamo ad ascoltare per sapere
come va a finire. Se invece vediamo due che si
baciano, tiriamo dritti. Altro esempio, guardate
un talk-show dal vivo: vedrete che i politici si
scannano gridando, ma appena il programma
finisce continuano la discussione parlando
civilmente. Perch non lhanno fatto anche
prima? Il conflitto crea curiosit. Parlassero
civilmente, avrebbero meno spettatori (ora
cominciano ad averne meno lo stesso perch
molti annusano che il conflitto finto, ma un
altro discorso, anzi no: la prova che per
creare curiosit serve conflitto vero, non un
succedaneo simulato).

Facciamo un esempio pratico per chiarire ( un


esempio di scrittura creativa in questo corso di
scrittura creativa, scusate ma mi tocca).
Scriviamo una mini storia: un capofamiglia
disoccupato chiede una casa Popolare a cui ha
diritto e gliela danno. Vi viene da chiedere E
poi?? No, perch non c conflitto.
Giriamola cos. Un capofamiglia disoccupato
chiede una casa popolare a cui ha diritto, ma
arriva secondo: perch la casa viene data a
una famiglia benestante e maneggiona che non
la merita.Qua vi viene da chiedere E poi che
succede? Qua volete sapere cosa fa il
capofamiglia. Perch qua c conflitto tra
desideri e realt.

Quindi sappiamo che ora qualcosa deve


accadere, e vogliamo sapere cosa. La si
potrebbe anche mettere sotto forma di
equazione: D + 0 = C. Desiderio pi
Ostacolo uguale Curiosit.

Terzo. Mettendo il personaggio davanti ad un


ostacolo, lo costringiamo a rivelare chi
davvero. Gli esseri umani quando parlano di se
stessi non dicono la verit. Quando agiscono
s. Come dicevano gi gli antichi greci Il
guerriero si rivela nellazione.
Ora vado di taglia e incolla e, asciugandole
un po, recupero in corsivo alcune parti della
Lezione 1 che solo ora possiamo capire meglio.

Scrive David Mamet non costituisce elemento


idoneo a un dramma ci che non si occupa
della possibilit di una scelta degli esseri
umani. La trama la macchina inventata
dallautore per costringere il protagonista
a fare scelte. Il motivo per cui le storie sono
interessanti che al mondo nessuno riesce a
capire chi facendo ragionamenti: solo davanti
ai fatti capiamo chi siamo. Che faccio se vedo
una donna aggredita in una strada deserta da
tre uomini col coltello? Se mi offrono ci che
desidero di pi al mondo in cambio di una
mazzetta? Se una persona cara si ammala e ha
bisogno 24 ore su 24 di assistenza?

Su queste domande ciascuno ha tante opinioni,


ma valgono zero. Ci che conta, ci che
definisce chi siamo, la scelta che facciamo
quando le cose accadono. Nessuno lo sa prima.
Possiamo ipotizzare, prevedere, fare buoni
propositi. Ma solo quando la realt ci costringe
a una scelta, sappiamo chi siamo. Le buone
storie, anche quando sono divertenti o
comiche, si occupano di cose serie: di ci che
sono le persone, del perch lo sono e del come.
E tutto questo ha a che fare con le scelte.
Compito di chi scrive dunque produrre
scelte.

Sono tornato a queste parole (un po riassunte)


perch ora conosciamo lo strumento tecnico
che si permette di produrre scelte a volont:
Ostacoli & Conflitti. Non piazzati a caso ma
sistemati tra il personaggio e il suo
desiderio. Quando li trova, il personaggio
deve fare una prima scelta: arrendersi o
proseguire verso la sua meta. Se decide di
proseguire deve fare unaltra scelta: come
eliminare lostacolo. Lottando o aggirandolo?
Usando lastuzia o la forza? Con stile violento o
seduttivo? Tenendo fede ai propri principi
morali o abdicando? E cos via per altre
centinaia di possibilit.

Questa scelte ci dicono chi il personaggio, e


al tempo stesso provocano effetti che faranno
nascere un altro ostacolo, da cui nascer
unaltra scelta, eccetera. Ostacoli & Conflitti
sono lo strumento con cui obblighiamo il
personaggio a fare scelte e a rivelarsi.

Riprendiamo lesempio del capofamiglia


disoccupato che si vede fregare la casa da una
famiglia benestante che non ne ha diritto. Che
fa? Si mette a piangere? Si sfoga trattando
male i familiari? Si ubriaca e cos gli ritirano la
patente, e perde anche i lavoretti in nero?
Oppure reagisce con una denuncia alle
autorit? Minaccia la famiglia benestante che
gli ha fregato la casa? O addirittura, essendo
stato colpito in quel che ha pi caro, organizza
rapine e sabotaggi per far sloggiare gli abusivi
maneggioni?

Ognuna di queste reazioni definisce persone


diverse. Nel momento in cui il personaggio fa la
sua scelta, diventa una di queste. Noi siamo
le scelte che facciamo. Davanti ad ostacoli
e conflitti, il personaggio costretto a
rivelarsi a se stesso, a chi segue la storia
e spesso anche a chi lo sta inventando.

Avrete sentito tante volte la frase un po


mistica da scrittore A un certo punto il
personaggio ha iniziato a decidere di testa
sua. Nel 90 per cento dei casi avviene cos: lo
scrittore mette un ostacolo davanti al
personaggio e quello, anzich avere la reazione
prevista, ne produce unaltra. La reazione a un
ostacolo rivela il personaggio anche agli occhi
dellautore.

Creare personaggi non vuol dire pensare


in astratto alla loro anima, ma metterli
davanti a eventi che li costringano a
dimostrare chi sono. Scrive Stephen King
Ci che desidero collocare un gruppo di
personaggi in una certa situazione e vedere
come si cavano dimpaccio. () Non ho mai
preteso che dei personaggi agissero a modo
mio. Al contrario, voglio che facciano a modo
loro. Ci sono casi in cui la soluzione quella
che ho visualizzato io. Pi spesso tuttavia
qualcosa che non mi aspettavo proprio. Perch
questo accada, necessario mettere il
personaggio in quella situazione l: quella in cui
deve cavarsi dimpaccio. Non sorprender se
lo lasciate seduto ad ascoltare musica senza un
problema che sia uno. Ostacoli & Conflitti
costringono il personaggio ad agire e
definirsi.

Quarto. Con Ostacoli & Conflitti raggiungiamo


anche un altro importante obiettivo:
raccontiamo il personaggio evitando
descrizioni. Non diciamo chi , vediamo cosa fa
davanti a un problema, che molto pi efficace
per capire chi . In altre parole, applichiamo
con naturalezza la regola aurea dei manuali
americani di scrittura creativa: show, dont
tell (mostra, non dire).

Facciamo un nuovo esempio. Immaginate


come personaggio una donna che ha ereditato
una azienda agricola di famiglia e crede
profondamente nei sistemi naturali. Per
qualche motivo, la storia richiede di spiegare
con precisione i vantaggi e gli svantaggi del
biologico per un agricoltore. Tema interessante
ma se ci scrivo un monologo o un micro-saggio
una palla mortale. Come fare?

Semplice, basta dare alla protagonista un


fratello che stufo del biologico, vuole
riportare in azienda i fertilizzanti perch si
fatica di meno e si guadagna di pi. I due
litigano di brutto, lei si arrabbia, dice che cos
si fa del male alla gente, si danno ai bambini
schifosi prodotti chimici, si rovina la terra per le
generazioni future, eccetera eccetera. I pregi
del biologico escono tutti in fila (e cos i suoi
difetti, dalla bocca del fratello) ma non pi un
noioso trattato o un monologo sfinente: gli
stessi argomenti ora sono armi di un
personaggio che duella con un antagonista e,
come fanno gli umani, mescola gli argomenti
razionali della disputa (biologico o no) con
quelli personali: rancori di famiglia, vecchi
litigi, presunte volont del padre che morto e
non pu pi dire la sua, eccetera.
Sentite la differenza? Fredde parole-concetto
diventano parole vive, calde, emotive, si
colorano di vita e di ricordi. In pi, ora le
parole diventano azioni, perch in corso un
duello e le frasi ora sono attacchi, parate,
ferite, persino colpi mortali. Parole trasformate
in azioni, perch vengono usate in battaglia.

In sintesi, la semplice aggiunta di un conflitto ci


d molti vantaggi:

-trasforma una spiegazione in unazione.

-rivela un sacco di cose sui due personaggi e


sulla famiglia.

-produce curiosit perch vogliamo sapere chi


dei due vince la discussione.

-crea un tifo, perch chiunque segua la storia


prender le parti di uno dei due.

-fa nascere un personaggio che non cera (il


fratello) e che magari diventa importante! E
pu farne nascere un altro, perch a me
verrebbe istintivo pensare che il fratello non
vuole i fertilizzanti non perch cattivo, ma
per qualche altra ragione che coinvolge i suoi
rapporti con la moglie o il figlio. E sono nuovi
personaggi che vengono alla luce. Nella mia
esperienza, il conflitto un potentissimo
concezionale: fa nascere un sacco di
personaggi.

In ogni caso, grazie al conflitto riusciamo a


mostrare anzich dire, a raccontare anzich
descrivere, a produrre azioni anzich
descrizioni. E persino un autore come Milan
Kundera (che nei suoi romanzi si concede il
lusso di ospitare micro-saggi) sostiene che il
codice esistenziale di un personaggio non
analizzato in abstracto, si rivela
progressivamente nellazione. Lazione del
personaggio la sua descrizione. E lazione
ha sempre a che fare col magico trio:
desiderio-ostacolo-conflitto.

Se non c questo magico trio lazione viene


percepita come poco significativa, non pi
una azione ma una devi-azione. E quel che si
prova in certe storie in cui accade di tutto ma
ci si annoia come se non stesse succedendo
niente. Andate ad analizzare, quasi sempre il
problema sta l: le azioni non nascono dal
magico trio desiderio-ostacolo-conflitto.

Quinto: Dalla forza del Nemico discende la


forza del personaggio. Prendiamo questa
storia: due ragazzi si amano e vogliono
sposarsi. Ostacolo: lui ha avuto una relazione
con una donna un po folle che fa la vigilessa e,
per non perderlo, lo perseguita di multe.
Cercate di visualizzare il ragazzo, immaginate
com.
Ora cambiamo: la donna pazza non fa la
vigilessa ma il funzionario di polizia e per non
perdere il ragazzo lo incastra in una indagine
sul traffico internazionale di droga. Sa che lui
innocente e alla fine se la caver, ma ci
vorranno anni, intanto deve affrontare carcere,
interrogatori, vergogna sui giornali, amici che
lo abbandonano, la fidanzata che dubita di lui, i
genitori in lacrime. Ora visualizzate di nuovo il
ragazzo. Non pi tosto di quello che prendeva
solo le multe?

Ma come possibile? In entrambi gli esempi il


ragazzo non ha fatto assolutamente niente.
Come pu sembrarci pi o meno tosto? Per
questo: la forza dellostacolo aumenta la
forza del personaggio. Il tizio perseguitato
dalle multe ci sembra un simpatico sfigato, il
secondo quasi un eroe. Infatti la prima storia
una commedia e la seconda un dramma.
Come stato detto: la forza di Otello nasce da
Iago. O, come ha scritto una volta Umberto
Garimberti, solo grazie al tradimento di Giuda
che Ges Cristo pu rivelare la sua grandezza.
E un altro giornalista (mi pare Zucconi) scrisse
che negli anni Ottanta Craxi ed Scalfari
dovevano la loro fama al fatto di essere riusciti
a definirsi reciprocamente come Nemico
Supremo. Dimmi chi combatti, e sapr chi sei.
Se il tuo nemico la camorra organizzata o un
collega di ufficio con la scrivania pi grande, sei
due persone molto diverse, non credi?

Per questo non capisco bene quei corsi di


scrittura (scrittura creativa, sia chiaro, e per
scrittura creativa intendo scrittura creativa,
scusate ma ogni tanto mi tocca) dicevo, non
capisco quei corsi in cui si raccomanda di
costruire il personaggio scrivendo la sua
biografia, il curriculum di studi, come si veste,
come fa sesso, quanto guadagna, eccetera. A
me sta roba non mai servita granch. Non
cos che ho mai capito un mio personaggio. Mi
servito molto pi dedicare energie a pensare
un bel desiderio del personaggio e a mettere
ostacoli potenti sul suo cammino. Vedendo
come se la cava nei vari passaggi di questo
scontro, capisco chi , e scopro istintivamente
come si veste, come fa sesso e cosa ha
studiato da giovane. E lazione che rivela
lanima, non il contrario. Costruire a tavolino
unanima e poi sperare che agisca mi pare
molto pi difficile.

Insomma, per tutti i motivi che abbiamo visto,


il Nemico rappresenta lanima della narrazione.
La premiata coppia Ostacoli & Conflitti ci che
crea le storie. Nellideare queste cose occorre
quindi molta attenzione, bisogna pensarle con
cura, essere consapevoli che nella loro scelta
occorre spendere il meglio delle proprie energie
creative. Insisto tanto su questo perch oggi
facile sottovalutare questo aspetto. Al di l
delle nostre lamentele, abitiamo infatti
unepoca facile, siamo quasi tutti ben nutriti e
ben vestiti, chi aspira a scrivere in genere
anzi ottimamente nutrito e ottimamente
vestito. In questo tipo di societ, che a miliardi
di umani del passato (o del presente che sta a
diverse latitudini) pare letteralmente il
Paradiso, chi scrive pu sottovalutare
limportanza della Premiata ditta Ostacoli &
Conflitti.

Nel dopoguerra in un certo senso era pi facile


scrivere storie: bastava mettere in scena un
tizio a caso, e quello nel 90 per cento dei casi
aveva poco cibo, pochi soldi, una casa
malmessa e una vita durissima. Il puro istinto
di sopravvivenza lo riempiva di desideri e la
vita di ogni giorno lo tormentava di ostacoli.
In altre parole, la struttura base della narrativa
era la struttura base della societ.
E per un errore capitale credere che oggi ci
siano meno desideri, meno conflitti e meno
ostacoli. Sono solo pi nascosti, pi contorti, a
volte pi costruiti o pi artificiali. Ma non
per questo fanno meno male. In Occidente,
una persona su tre (1 su 3!) nel corso della
propria vita sperimenta la depressione, quella
vera, quella che si cura con gli psicofarmaci.
Cosa vuol dire, secondo voi? Secondo me vuol
dire che esiste un oceano di desideri nascosti e
ostacoli segreti, milioni di battaglie private che
ciascuno combatte, quasi sempre da solo, e
tante volte perdendo. Un oceano di desideri e
conflitti celati. Un oceano di storie da
raccontare. Da trovare. Da inventare.

Un secondo motivo psicologico per cui gli


aspiranti scrittori a volte non danno la giusta
importanza a Conflitti & Ostacoli che, in
giovane et (e in societ pasciute), lessere
umano tende a coltivare lillusione che il bello
della vita cominci quando avr risolto i propri
problemi. In altre parole, i problemi vengono
visti come un inciampo temporaneo, non come
lessenza dellesistere.

Lantica saggezza popolare sa che le cose sono


diverse. In tutti i dialetti c un proverbio quasi
uguale, che dalle mie parti suona cos quando
si finisce di costruire la propria casa, si
muore. Per la saggezza popolare aver risolto
tutti i propri problemi non significa iniziare del
bello della vita: significa essere morti.

Essere vivi, per gli uomini come per i


personaggi, significa affrontare guai. Lasciate i
vostri personaggi con la casa finita, senza
nessun problema, nessun ostacolo, nessun
conflitto: vi moriranno immediatamente tra le
mani. E non c nulla di peggio di una storia in
cui i personaggi sono morti e lo scrittore non se
n accorto.
Intermezzo (romanzo, cinema o teatro?)

Come intermezzo rispondo a una obiezione che


nessuno mi ha fatto quindi forse solo una mia
paranoia. Ma la sento vagare nellaria quindi ne
parlo: questo metodo di costruzione della
storia vale solo per il cinema o anche per la
narrativa scritta? E possibile dire le stesse cose
per due mezzi cos diversi? O stai forse
spacciando un sapere da cinema per metodo
universale che vale anche nei romanzi?

La mia risposta : questo metodo vale per


cinema, letteratura, e anche per il teatro, il
fumetto. Aggiungo, un po provocatoriamente,
che si pu usare anche in altri settori. Ad
esempio, anche un politico che vuole attaccare
un avversario crea una storia: individua un
punto debole del nemico (area di pericolo),
trova una notizia, un documento o un fuori
onda che lo metta in difficolt (incidente
scatenante), lo fa pubblicare dai media
provocando una reazione, a cui seguono
controreazioni, eccetera eccetera.

Insomma, anche la politica costruisce storie


che il lettore segue a puntate. Lunica
differenza che nella politica italiana non c
mai il Climax e la risoluzione (cio il
cambiamento). Tutto resta sempre uguale. Per
questo diciamo che un teatrino. Senn
sarebbe teatro. E lo rispetteremmo di pi.

Al di l di questa divagazione, sono convinto


che le categorie per costruire una buona storia
siamo comuni a tutte le arti narrative che si
basano sulla durata (cinema, teatro, narrativa,
fiction, fumetto). Non a caso, in questo corso
cito indifferentemente romanzieri,
sceneggiatori e autori teatrali senza che si noti
la differenza: parlano tutti delle stesse cose, a
volte anche usando gli stessi termini (ho poche
citazioni dal mondo del fumetto solo per mia
ignoranza in materia).

Oltre a questa parentela di contenuti fra i vari


mezzi espressivi, va ricordato che negli ultimi
anni le distinzioni sono saltate in modo
oggettivo, nella realt. Non esiste romanzo di
successo che non diventi anche film, e ormai
funziona anche al contrario: molti film escono
contemporaneamente anche come romanzo.
Gli scrittori di libri poi sono quasi sempre anche
sceneggiatori, e ogni sceneggiatore finisce per
pubblicare almeno un libro. Entrambi spesso
sono anche autori di fiction e di teatro.

In altre parole: che mestiere fa David Mamet?


E uno dei pi grandi autori teatrali americani,
ha scritto sceneggiature memorabili (Il
verdetto, Gli intoccabili, Il Postino suona
sempre due volte), lui stesso ha fatto il regista
di film e fiction, pubblica libri, insegna cinema e
teatro. Ripeto: che mestiere fa? Racconta
storie, punto. Usando mezzi diversi, come
normale che avvenga in un mondo
tecnologicamente variegato.

Lo stesso Milan Kundera che, deluso dalla


trasposizione su schermo dellInsostenibile
Leggerezza dell?essere, annunci di voler
scrivere solo romanzi che non sia possibile
portare al cinema, ha per individuato grandi
affinit tra il romanzo europeo classico e il
linguaggio cinematografico. Sentite: La scena
diventa lelemento fondamentale della
composizione del romanzo allinizio
dellOttocento. Scott, Balzac, Dostoevskij
strutturano i loro romanzi come un susseguirsi
di scene in cui vengono descritti
miniziosamente lambientazione, il dialogo, i
gesti; tutto quanto non legato a un
susseguirsi di scene tutto quanto non scena,
viene considerato e percepito come secondario,
se non superfluo. Il romanzo simile a una
sceneggiatura ricchissima di particolari.
(Testamenti Traditi 33).

Poi certo, larte del romanzo unarte che


prevede infinite possibilit, alcune delle quali
possono seguire strade diverse dai metodi qua
descritti. Ma si tratta di alcune, anzi: di poche.
Per la maggior parte delle persone che oggi
vogliono scrivere un romanzo, saper costruire
una storia importante e decisivo. E anche se
uno decide seguire altre vie, bene che queste
categoria le conosca. Si pu fare un buon
romanzo senza desiderio del personaggio,
incidente, conflitto, climax, antagonista, area di
pericolo, eccetera? No. Si possono eliminare
alcune di queste categorie, si possono
rimescolare le carte, si pu creare intorno alla
storia un mondo molto pi ampio e sofisticato.
Per impossibile eliminare tutto quello che
qua viene descritto.
E in ogni caso, escludo che operazioni pi
sofisticate del semplice creare una storia (che
semplice non ) possano essere fatte da chi
non sa scrivere una storia. E il vecchio
esempio di Picasso che inventa il cubismo ma
solo dopo aver imparato a fare un ritratto ben
fatto. Se il cubismo lavesse inventato mio
nonno che non sapeva una mazza di pittura
classica, non veniva uguale.

Un esempio illuminante: Centanni di solitudine


uno splendido romanzo che credo sia
impossibile portare al cinema (infatti in 40 anni
nessuno cha provato). E un romanzo fluviale,
privo di scene, collettivo, dotato di un realismo
magico che arduo far diventare immagine.
Eppure, se leggete la lunga intervista di Garcia
Marquez nel libro Odor di Guayaba, scoprirete
una cosa sorprendente. Lui racconta dove ha
scoperto il realismo magico, creando una delle
categorie letterarie pi importanti e meno
cinematografiche di fine 900. Sapete dove?
Seguendo una scuola di cinema e le lezioni di
uno sceneggiatore. La scuola era il Centro
Sperimentale di Cinematografia di Roma e lo
sceneggiatore era Cesare Zavattini. Uno dei
romanzi pi belli e meno cinematografici degli
ultimi 50 anni nato da lezioni di cinema. Ecco
perch non la farei tanto lunga sulle distinzioni
di mezzi e generi.

Esercizio finale

Lesercizio in questo caso semplice da


descrivere (non da fare, solo da
descrivere). Consta di numero 4 mosse.

-Prendete gli inizi di storie che avete


scritto alla fine della lezione 1 e che sono
fatti di poche pagine ciascuna.

-Stampate questa nuova lezione e


rileggetela dallinizio alla fine pensando
solo una cosa: come, alla luce dei nuovi
concetti, quegli inizi di storie potrebbero
essere migliorati.

-Mentre leggete prendete appunti di tutte


le idee che vi vengono su ogni storia.

- Revisionate tutti i vostri inizi di storie


apportando i miglioramenti necessari sulla
base di questa lezione

Considerate che questa lultima volta


che lavorate su tutti gli inizi. Dai
prossimi esercizi dovrete scegliere la
storia che vi piace di pi e lavorare solo
su quella. Quindi impegnatevi bene su
tutte le storie: quelle che al prossimo giro
perdono, sono eliminate.

Nota

Il discorso su come costruire una storia


prosegue nella lezione 4, perch la 3 un
intermezzo in cui si parla di talento, dubbi
sulle proprie capacit, ispirazione,
inconcio e altre cosette piuttosto
importanti ma meno tecniche.

LEZIONE 3

Lezioni di talento

Come scrivere quando non si scrive


Uno dei primi problemi a cui ho pensato
quando ho iniziato questo corso, che io
stesso, quando sento parlare di istruzioni per
scrivere un racconto o di tecniche narrative,
resto perplesso. Penso che tra il manuale della
Scuola Radio Elettra e quello di narrativa
dovrebbe esserci qualche differenza. Se non
altro perch lelettricit ha regole oggettive
mentre regola doro della narrativa che non
esistono regole, eccetto quelle che ogni
scrittore pone a s stesso (David Lodge).

Per capire cosa sia in realt la tecnica


narrativa occorre fare un salto indietro nel
tempo. Oggi infatti siamo ormai assuefatti a
percepire la tecnica come qualcosa di esterno,
un sapere oggettivo che precede la personalit
di chi usa lo strumento. Come le istruzioni per
il trapano, appunto.
Invece, parlando di scrittura, dobbiamo
accedere ad un significato pi antico di
tecnica: la tecnica come ponte fra linterno e
lesterno, un apprendistato che riguarda sia gli
aspetti pratici che quelli spirituali della propria
disciplina. Nella scrittura questi due aspetti non
sono soltanto collegati. Sono la stessa cosa.

Per fare lesempio pi banale: cosa vuol dire


che bisogna evitare aggettivi scontati (sorriso
amaro) o vaghi (sorriso meraviglioso)?
Questa una lezione di tecnica? No, una
lezione di sguardo: ci dice che dobbiamo
guardare meglio e pi a fondo il sorriso che
abbiamo davanti. Solo cos troveremo un
aggettivo che ne definisce la natura in modo
pi chiaro e preciso. Ma questa non una
tecnica come quella che serve a usare il
trapano: questo qualcosa che riguarda non
solo la pagina ma la persona. Imparare a
definire meglio un sorriso non ti servir solo a
scrivere, ma anche a divertiti alle feste o a
capire gli intrighi in Consiglio di
Amministrazione.

Mentre le regole duso del Black & Decker


parlano di un trapano e basta, ogni regola
narrativa seria parla anche di noi. Perfezionare
il proprio stile o la propria capacit di tessere
trame, significa perfezionare il proprio modo di
vedere e di sentire. Come dice Forster (66) Se
lo scrittore vedr s stesso in modo nuovo
vedr analogamente anche i propri personaggi,
e ne verr fuori un nuovo sistema dilluminarli.

Del resto, perch mai stiamo a perdere tempo


dedicandoci ad una attivit come la scrittura,
che non pare tra le pi richieste o le pi
redditizie? Siamo masochisti? Non siamo capaci
di fare nientaltro? Siamo disadattati sociali?

A parte pochi casi, no, non per questo. In


genere ci si avvicina alla scrittura mossi da un
desiderio pi o meno consapevole di capire
meglio, di avere uno sguardo pi limpido, di
sentire in modo pi ordinato e preciso. Le
ragioni della aspirazione a scrivere si
annidano in un desiderio di crescita spirituale
che in qualche misura naturale ma trova
sempre meno sbocchi nelle nostre vite cos
come sono.

Perch parlo di tutto questo? Perch se la


tecnica un ponte tra linterno (noi stessi) e
lesterno (la scrittura), non detto che la
soluzione sia sempre lavorare sulla scrittura: a
volte serve anche, e forse pi, lavorare su noi
stessi.

Sar matto ma sono convinto che gli errori


nelluso del punto di vista narrativo, la
genericit di un personaggio, la trama esile o
viceversa troppo densa, le ingenuit dello stile,
possono essere definiti come problemi tecnici,
ma spesso affondano le loro radici in qualche
zona antecedente alla tecnica. Tante volte
(anche se non sempre) nascono dal nostro
personale rapporto con la scrittura, dai nodi
non sciolti tra emozioni profonde e gesto
creativo, dalla scarsa fiducia nelle nostre
capacit (o in deliri di grandezza, che la
stessa cosa), dalla paura di portare la scrittura
su terreni pericolosi e perci fertili, o da tante
altre questioni che con la tecnica non hanno
niente a che fare.

Finch questi problemi non vengono risolti, o


almeno non diventano visibili, parlare di
questioni tecniche come insegnare sofisticate
diete a qualcuno che nel profondo desidera
mangiare pi di ogni altra cosa al mondo.
Servir solo ad aumentare la frustrazione.

Cos ho deciso: ogni due lezioni di tecnica


pratica ne far una di questa roba qua, che
non so come nominare e che -con ironia, sia
chiaro - ho chiamato Lezioni di talento .

Il nome viene da una riflessione di Dorothea


Brande che (nel 1934!) scriveva che chi tiene
corsi di scrittura si sente obbligato a dire che il
genio non si insegna, provocando crisi di
sconforto nellaspirante scrittore, perch lui,
segretamente, si era iscritto proprio sperando
di impararne almeno un pochino.

Oggi genio stato sostituito dal pi laico


talento, ma la sostanza resta identica. Ogni
discorso sulla tecnica narrativa inizia dicendo il
talento non si insegna. La frase a livello logico
incontestabile ma a livello emotivo una
mazzata, perch il talento la magia della
scrittura, la differenza tra unemozione e il
nulla, il motivo per cui tutti amiamo leggere.
Quello per cui vogliamo scrivere. Ma se il
talento non si insegna, che diavolo stiamo a
fare qua? A imparare come mettere insieme
una trama e come scegliere aggettivi?

Ecco limbroglio. Il significato reale della frase


il talento non si insegna che allora non si
insegna niente di rilevante.

E allora, come provocazione, ho scelto come


titolo proprio limpossibile Lezioni di Talento.
Al di l dellironia, sono lezioni che mirano ad
affrontare un problema importante: il come
scrivere quando non si scrive. Secondo logica,
avrebbero dovuto essere un primo capitolo che
precedeva il resto. Ma le riflessioni allinizio
sono una palla, quindi le facciamo adesso,
dopo le prime due lezioni pratiche (Nota: s lo
so, la seconda lezione pratica non c ancora.
Ma arriver).

Il limbo del Sar in grado?


Tra i problemi della scrittura che stanno prima
dello scrivere uno dei pi melmosi
linsicurezza, il senso di colpa, la paura di star
perdendo tempo. Il tutto riassunto nella
domanda fatidica: io avr talento? Sar in
grado di scrivere?

Diciamolo subito: questo limbo una


situazione comoda. Permette di stare con un
piede dentro la scrittura e un piede fuori. E
una condizione in apparenza tormentata ma
che regala la calda e illusoria sicurezza delle
scelte fatte a met. Confortevoli e inutili.

Ci vuole un po di coraggio. E indispensabile


abbandonare il limbo e gettarsi, da una parte o
dallaltra. Il motivo non etico, pratico:
scrivere bene una bella storia richiede ogni
nostra energia interiore e non possiamo
regalare al dubbio nessuna delle nostre forze,
che sono scarse per definizione. Sulla scrittura
si deve scommettere senza riserve. Magari per
un tempo limitato, ma bisogna farlo.

Basti pensare alla fatica delle revisioni. Nel


cinema riscrivere una sceneggiatura tra 7 o 10
volte rappresenta la normalit. Nella narrativa
uguale: la necessit di fare molteplici
revisioni al testo capitata a Tolstoj (sette) e a
Moravia (nove) nel pieno della loro maturit
artistica. Forse pu capitare anche a noi
durante la nostra prima storia, no?

La domanda pratica : come si fa a riscrivere 9


volte una storia se ci si continua a chiedere
sar in grado di scrivere?. E chiaro che non
si fa, dopo una o due riscritture si getta la
spugna. Poi, se il bisogno davvero forte, si
riparte con un altra storia, con maggiori dubbi
sulle proprie capacit e un accresciuto senso di
colpa perch forse sto perdendo tempo. A
forza di tentativi timorosi compiuti al sussurro
di sar in grado?, si finisce per perdere molto
pi tempo che con un tentativo determinato,
una scommessa senza riserve.

Questo non significa che per scrivere dobbiamo


tirarci fuori dalla vita. La scommessa senza
riserve possiamo farla anche con poche ore a
disposizione, in presenza di impegni, lavori e
affetti da gestire. Non sono i limiti esterni che
ci impediscono di abbandonare il limbo. Potrei
farvi 500 esempi di scrittori che hanno prodotto
centinaia di pagine mentre facevano un lavoro,
pensavano alla famiglia o gestivano reti di
relazioni complicatissime. Il problema non
quasi mai lagenda, sono i sensi di colpa:
avr le qualit? Sto perdendo tempo? E questo
fardello che va buttato a mare.

Ci sono solo due soluzioni sensate per chi si


trova nel limbo del sar in grado?. Mettere da
parte i dubbi e scrivere oppure, se i dubbi sono
troppo forti, mettere da parte la scrittura e non
pensarci pi.

Il vero modo di buttare il tempo stare nel


limbo, perch tra laltro questa domanda
contagia ci che si scrive. Dice Gardner: E
difficile essere contemporaneamente un buon
scrittore e una persona che si sente colpevole;
nella prosa che uno scrive si insinua una
mancanza di rispetto nei propri confronti.
Insomma, i dubbi dello scrittore su se stesso
tolgono alla scrittura lautorevolezza, una delle
sue doti pi preziose.

Non c nulla di male nel rinunciare a scrivere:


si risparmia fatica e tempo, si perdono
ricompense incerte e raramente adeguate allo
sforzo. Dunque, una scelta saggia. Se invece
abbiamo voglia di continuare, basta dubbi.
Finch non abbiamo finito il lavoro, siamo
scrittori che credono in se stessi.
Abbandoniamo ogni tormento sulla nostra
adeguatezza e gettiamoci, considerando ogni
problema, ogni blocco, ogni errore, come un
normale ostacolo da superare col lavoro, la
ricerca, la riflessione.

Se si riesce a compiere questo scatto - scrivere


da scrittori anzich da timorati aspiranti
oppressi da sensi di colpa - si pu assistere a
un miglioramento notevole, a volte miracoloso
della scrittura. Per alcuni aspiranti di talento
bloccati dallinsicurezza, questo scatto mentale
pu sostituire ogni altro insegnamento e fornire
la chiave per scoprire da soli le tecniche
necessarie. Perch la vera dannazione, dentro
al limbo, che le energie deragliano dal loro
corso. E anzich interrogarci sulla sorte dei
nostri personaggi, finiamo per interrogarci sulla
nostra sorte di scrittori. Con gravi conseguenze
su entrambi i fronti.
Il contenuto o la forma?

Per molti aspiranti i corsi di scrittura sono


inutili perch hanno un problema alla radice:
scrivono di contenuti di cui a loro stessi
importa poco.

S, lo so che nei salotti fa figo dire che il


contenuto irrilevante e solo la forma conta, o
che non conta ci di cui si scrive, ma come lo
si scrive.

Sono balle colossali. O meglio: sono


affermazioni che forse sono vere, e comunque
vanno benissimo per critici, professori, lettori.
Il problema che per chi scrive questi pensieri
sono mortali.

Chi scrive deve avere una autentica passione


per il contenuto che ha scelto. Solo questo lo
spinger a trovare anche la forma migliore per
esprimerlo.
Se non ti importa fino in fondo di quello che
scrivi, la forma tende a sfasciarsi e gli errori
tecnici proliferano. Il contenuto poco sentito
tende a produrre una forma scadente.

Non difficile da capire. Solo quando scrivi di


contenuti che per te sono essenziali ti
viene la volont profonda di trovare la forma
giusta, e magari di imparare anche le tecniche
che non sai. Tu credi in quelle cose, e vuoi
raccontarle al meglio.

Se non c questo movente profondo, e ci si


concentra solo sul come si scrive, si cade nel
formalismo, una ricerca di tecnica astratta e
fredda. Tra laltro inevitabilmente destinata a
un pubblico settoriale, fatto di critici, scrittori e
aspiranti tali.

E una cosa che si vede anche nella vita


quotidiana, basti pensare ai rappresentanti che
per vendere devono mostrarsi amichevoli senza
provare amicizia: le loro dimostrazioni di
simpatia sono verbose, utilizzano termini
astratti, fanno ricorso a clich e luoghi comuni
e sono sempre troppo lunghe. Inoltre, sono
prive di uno stile personale e sembrano tutte
uguali.

Andiamo a guardare le parole sottolineate:


sono alcuni tra i difetti tecnici pi diffusi nei
testi degli aspiranti scrittori. Ma quello dei
rappresentanti non un problema tecnico:
solo che stanno fingendo, vogliono solo
vendere e di noi non gli importa una mazza!
Per anche loro sanno fare dichiarazioni di
simpatia perfette quando giocano coi loro figli
o vanno a bere coi vecchi amici.

Per chi scrive uguale. Non fingete che vi


importi di quello che scrivete. Scrivete di
qualcosa che vi importa davvero.
Del resto i contenuti sono importanti anche per
chi legge. Quando un amico ci consiglia un libro
un film non gli chiediamo che stile ha?, gli
chiediamo di cosa parla?. Come bambini che
chiedono la favola al nonno, vogliamo sapere il
contenuto, non la forma.

Certo, nei salotti citeremo Buffon (non il


calciatore, laltro), col suo classico lo stile
luomo. Per quando scriviamo bene
ricordare che per noi deve venire prima il
contenuto.

Abbiamo necessit di un contenuto che ci


entusiasmi, ci ingolosisca, ci dia una frenesia
strana come quando siamo innamorati. Allora
sar pi facile trovare la tecnica per
rappresentarlo. Potremmo anche scoprire che,
senza saperlo e senza neanche fare un corso,
forse la tecnica la conosciamo gi.

Ma qual il contenuto giusto?


Ovviamente una risposta generale non esiste,
ciascuno ha il suo. Intanto possiamo dire per
qual il contenuto sbagliato.

Cosa non scrivere

Non si deve scrivere su qualcosa che crediamo


di aver capito meglio, qualcosa che pu piacere
al pubblico, o che pu affascinare i critici. Non
bisogna scrivere per seguire le mode del
momento, n per combatterle. Non bisogna
correre dietro agli argomenti di attualit.
Nemmeno esplorare nuovi linguaggi o trattare
importanti temi sociali.

Questi sono i mezzi, non i fini. E inseguendo i


mezzi difficile arrivare da qualche parte. A
differenza di quella per il Paradiso, la strada
per la scrittura sempre la pi dritta.
Ripetiamo le parole di Schrader citate nella
lezione 1 (credo): bisogna scrivere su
qualcosa che ci disturba.

E cos semplice. Bisogna mettere le dita sui


nostri nervi scoperti e avere il coraggio di
entrare nella nostra, personale, area di
pericolo.

Gomorra un bellissimo libro, ma non solo


perch affronta un tema importante, perch
denuncia la camorra, perch svela meccanismi,
perch inventa una forma. Questi pregi sono
decisivi, ovviamente, ma secondo me sono pi
effetti che cause. Secondo me, Gomorra un
bellissimo libro perch lautore ha avuto il
coraggio di prendere il toro per le corna: ha
affrontato la cosa che lo disturbava di pi al
mondo e lo ha fatto in modo totale,
immergendovisi fino al collo, senza reticenze e
paure.
Arriviamo quindi al nocciolo della faccenda, la
frasetta da appendere al muro: la capacit di
affrontare ci che ci disturba uno dei
tratti principali del talento.

La buona notizia che, come tutto, si impara.


Alla fine della lezione, vedremo anche come.
Non sto scherzando.

Livelli di ingresso

Nella scelta del contenuto la soluzione pi


immediata quella che Francis Scott Fitzgerald
suggeriva a una studentessa che gli aveva
mandato i suoi racconti: E il tuo cuore che
devi vendere, le tue reazioni pi viscerali, non
le cosucce che appena ti sfiorano (). E questo
vero soprattutto quando si comincia a
scrivere, quando ancora non si sono messi a
punto gli stratagemmi per fissare linteresse
della gente sulla pagina, quando non si dispone
di quella tecnica che ci vuol tempo per
imparare. Quando, in poche parole, si hanno
soltanto le proprie emozioni da vendere.

Fitzgerald si spinge anche pi in l: Lo


scrittore inesperto pu verificare la sua
capacit di trasmettere agli altri i propri
sentimenti soltanto grazie a procedimenti
radicali ed estremi, come strapparsi dal cuore
una prima sventura amorosa e trasferirla sulla
pagina scritta.

Questo esplicito invito alla confessione va preso


per quello che : il consiglio a una giovane
scrittrice che aveva dato prova di scarso
talento. Per lei, strapparsi dal cuore una prima
sventura amorosa era una ottima indicazione,
una strada per imparare il talento. Ma non
lunica n la migliore. Lo stesso Fitzgerald, in
un altro brano, vede i limiti di questo
atteggiamento. Infatti parla di quegli scrittori
che fanno un buon libro solo perch avevano
la pancia vuota e i nervi a pezzi, ma poi, con
la pancia piena e i nervi rilassati, non riescono
pi a produrre nulla di interessante.

La tecnica strettamente autobiografica, lo


strapparsi dal cuore le proprie sventure
(amorose, professionali, familiari, ecc.) per
trasferirle sulla carta, il primo livello della
buona narrativa, nonch la sua fase per cos
dire giovanile. E un ottimo modo per fare
allenamento o per scrivere la prima storia,
proprio al massimo la seconda. Poi basta, dopo
un po una strada da cui non si cava pi
nulla, bisogna abbandonarla. Scrivere, alla
lunga, significa imparare ad abitare altre vite,
non raccontare allinfinito la propria.

Il trapianto emozionale

A un livello pi elevato troviamo un metodo


che potremmo definire trapianto emozionale.
Dostoevskij non ha mai ammazzato nessuno,
tuttavia Delitto e Castigo uno dei pi
straordinari viaggi compiuti dentro la mente di
un assassino. Come si sa, la storia di un
giovane che ammazza una vecchia usuraia in
totale leggerezza, per rubarle i soldi, poi entra
in un lento e agghiacciante processo di presa
di coscienza della colpa che occupa tutto il
romanzo e lo conduce infine al bisogno
purificante della confessione e del castigo.

Ma come fa il non-assassino Dostoevskij a


raccontarci ci che accade dentro la mente e i
nervi di un giovane assassino? Come fa a
raccontarcelo addirittura meglio di quanto
facciano oggi i giovani assassini in carne e ossa
quando -dopo arresto, condanna, prigione e
pentimento- raccontano i loro tormenti ai
settimanali o in tiv? Come pu, lui che non ha
ucciso nessuno, conoscere quelle emozioni
meglio di chi le ha provate e di chi le prover
un secolo dopo?
Leggendo le lettere di Dostoevskij si trovano
tracce di un suo personale, enorme senso di
colpa che riguarda il gioco dazzardo e i
problemi che questo vizio provocava alla sua
famiglia. Queste pagine hanno pi di qualcosa
in comune col senso di colpa provato dal
giovane assassino del romanzo, ci sono
aggettivi in comune, giri di frase simili. Perch
Dostoevskij (almeno secondo me, la mia
idea) ha attinto alla sua emozione personale di
colpa, per calarla in unaltra storia e in un altro
personaggio.

Questa capacit talento a un livello pi alto.


Anzich strapparsi dal cuore le proprie
emozioni per trasferirle sulla pagina, lo
scrittore sa usarle come strumenti per indagare
la condizione umana. Usa il proprio senso di
colpa, per inventare altri sensi di colpa.
In fondo, dice Simenon, abbiamo in noi, tutti
quanti, tutti gli istinti dellumanit. Di fronte a
qualsiasi evento accada ai nostri personaggi,
basta guardarsi dentro e trovare un nocciolo di
emozione che abbia a che fare con quella
situazione.

Un nocciolo di emozione dentro di noiQuesta


spesso la base che odora di verit e che ci
permette di costruire in modo credibile le
emozioni di un personaggio diverso da noi.

Basta trovare dentro di s unemozione, che ci


interessa perch importante, o che ci
incuriosisce perch nella nostra vita non si
sviluppata ed rimasta inespressa in un
angolino. Senza intaccarne la natura viva e
sanguinante, bisogna trasferirla in un
personaggio e in una storia che a naso capiamo
potranno farla crescere: poi la coltiviamo, la
annaffiamo, e vediamo dove va.
Avremo costruito una storia, e forse, se ci
interessa, capito anche una cosetta in pi su
noi stessi.

A mio avviso, il trapianto emozionale la


chiave con cui raccontare altre vite attraverso
noi stessi. Ci che caratterizza il mestiere di
raccontare storie.

Nel mio piccolo, che molto piccolo, cos che


io, maschio bianco di 46 anni con una
tranquilla vita da pap di provincia, ho potuto
scrivere film che parlano di schizofrenici,
giovani madri, immigrati egiziani, gay, utopisti
anni settanta, ragazze strafottenti, maniaci
ossessivi, poliziotti frustrati, politici cinici,
baroni universitari, e via dicendo.

E alla fine quasi sempre pure arrivato


qualcuno che si identificava e diceva Ma quello
sono io? Come hai fatto?. E la magia della
scrittura, oltre che la sua vera libidine. Basta
non avere paura del proprio mondo emozionale
e tuffarcisi ogni tanto: dentro ciascuno di noi
c tutto.

Esercizi di trapianto

Vi propongo un esercizio di trapianto


emozionale. Pensate a un momento in cui
avete fatto qualcosa di particolare, un gesto di
cui siete fieri, o di cui vi vergognate. Qualcosa
che esce comunque dalla routine. Un momento
raro che ricordate vividamente. Ritornate a
quellemozione, provate a descriverla su carta,
in terza persona, come parlando di qualcun
altro. Scrivete 10, 15, 20 righe. Non di pi.
Non soffermatevi tanto su gesti e parole,
descrivete lemozione.

Ora quellemozione davanti a voi, su carta,


scritta in terza persona. Se vi provoca fastidio
pensare che vostra, dimenticatelo. E
unemozione scritta su carta. E scrittura e
basta. Provate ad inventare un personaggio e
una storia partendo da quella emozione
(intendo una storia in forma di soggetto, solite
3-5 pagine).

Chiedetevi: Questa emozione in qualche


personaggio potrebbe essere il tratto
dominante? Quale storia potrebbe stimolarla e
farla uscire in modo sempre pi forte? Quali
ostacoli la trama deve porre al personaggio
perch questa emozione si sviluppi?

Provate a vedere che succede. Fatelo quante


volte volete.

PS. Al contrario di tutti gli altri esercizi che vi


propongo, questo non so se funziona perch
non lho testato personalmente. Infatti non ho
mai fatto esercizi di trapianto emozionale,
perch una cosa che mi veniva spontanea.
Per non mi pareva un buon motivo per non
farlo fare nemmeno a voi.
Tutto quel che avreste voluto sapere sul
talento e non hanno mai osato dirvi

Ricevo, come chiunque scriva per mestiere,


diversi scritti da persone che mi chiedono
unopinione. Da un po non leggo pi per
mancanza di tempo, ma per vari anni lho
fatto, dando anche risposte molto dettagliate.
Ma quasi sempre mi sono accorto con stupore
di una cosa: chi manda testi in lettura, a parte
rari casi, gi consapevole dei difetti del
proprio scritto.

Allora perch perde tempo a cercare


unopinione? Perch non usa quel tempo per
lavorare sui difetti del testo ed eliminarli?

Il fatto che la vera richiesta non quasi mai


un parere sullo scritto. Laspirante scrittore
vuole sapere dal professionista se ha talento
sufficiente oppure no. Vuole un verdetto. Una
sorta di analisi del sangue.
E un atteggiamento che capisco perfettamente
(da giovane lho avuto per troppi anni), ma
sbagliato. Come dicevamo prima, domande
tipo avr talento? provocano dubbi inutili.

Il fatto che talento una parola bella ma


imprecisa. La parola precisa (che giustamente
non si usa perch orribile) sarebbe
talentuosit. Che come la puntualit,
laffidabilit, la responsabilit e tutte le parole
che finiscono in t-t-t. Descrivono capacit.
Cose che, se uno vuole, le impara.

Fate una prova: prendete 10 autori che


ritenete geniali e cercate i loro testi giovanili.
In 9 casi su 10 scoprirete che la genialit che vi
incanta, da giovani non ce lavevano. Il talento
qualcosa che hanno perfezionato. Che hanno
imparato col tempo.

Poi vero, in 1 caso su 10 scoprirete che a 20


anni qualcuno aveva gi un talento maturo,
beato lui, o lei. Ma poi in questi casi, in genere
da adulti sono peggiorati. Per loro il talento
qualcosa che si perde. Che si disimpara.

Ecco qua la definizione del talento: qualcosa


che si impara e si disimpara nel tempo. Non
una magia o una benedizione ma un percorso:
un duro percorso, fatto di fatica, impegno
interiore e tante ore di applicazione, ma un
percorso.

E ovvio che qualcuno pi portato a


intraprenderlo di altri. Vale per tutte le parole
in t-t-t: chi di natura tende a essere
irresponsabile, per imparare la responsabilit
dovr farsi un gran mazzo.

Per il talento uguale. E siccome il talento (al


contrario della responsabilit) non
indispensabile per vivere, si sconsiglia di
intraprendere il percorso a chi non sia gi un
po portato.
Se farlo o no, affar vostro. La decisione di
intraprendere il percorso del talento
personale e nessuno pu prenderla per voi. Ma
una decisione che va presa, magari dandosi
un tempo di verifica (ci provo per un tempo X
poi vedo). Per dovete decidere se volete fare
questo percorso o no.

Se decidete no, amen. Se decidete s, non


chiedetevi mai pi avr talento?. Se avete
deciso s, la domanda che vi dovete fare dora
in poi unaltra: come aumentare il mio
talento. Proviamo a vedere come.

Anatomia del talento

Proviamo a definire il talento scomponendolo in


alcune caratteristiche di base (lelenco
incompleto, non siamo alluniversit):

-capacit di avere belle idee, e di averne molte

-senso estetico e\o senso del ritmo


-capacit di sintonizzarsi con quel che gira
nellaria (cio quel che gi c ma ancora non
si sa che c)

- empatia, cio capacit di sentire cosa


provano gli altri (ha un duplice uso: ci serve
per sentire quel che prova il personaggio ma
anche quel che prova il pubblico e a prevedere
le sue emozioni)

-avere una visione del mondo personale, vera e


interessante

-avere sensibilit per il genere specifico che si


scelto, per il linguaggio che si sta usando,
eccetera

-avere uno stile personale

-avere la capacit di lavorare 8 ore al giorno, e


concentrati (Il genio sedersi a tavolino ogni
giorno alla stessa ora, Flaubert)
-avere un gusto profondo per la riscrittura e la
revisione, perch scrivere riscrivere

-avere una grande severit nel giudicare se


stessi, e al tempo stesso la capacit di non
dare troppo peso ai giudizi del mondo,
continuando sulla propria strada

-altre qualit a piacere che ciascuno pu


decidere (perch ognuno si crea anche il
proprio specifico talento)

Bene, leterna domanda avr talento?, gi


adesso ha meno senso: chiaro che ciascuna
di queste singole caratteristiche si impara.
Basta scindere la parola magica in una serie di
capacit specifiche, per rendersi conto che
ciascuna pu essere migliorata.

Per fare un esempio, vi racconto quali sono


stati i miei personali esercizi di talento. Non
sono i migliori n gli unici. Ve li cito solo perch
sono veri, concreti e sperimentati in prima
persona. Servono come base per inventare i
vostri personali esercizi di talento.

Riprendiamo quindi le caratteristiche che sopra


abbiamo individuato facendo la anatomia del
talento: come sfida, partiamo da quelle che
sembrano pi innate e poco adatte ad essere
sviluppate con lesercizio.

Capacit di avere idee belle, e di averne


molte.

Chi lavora con me spesso dice che sono molto


creativo, cio che ho un numero elevato di
idee. Sembra il classico dono di natura, e
magari in parte lo , non lo so: ma di sicuro
una cosa che ho allenato moltissimo. Ho
iniziato intorno ai 22-23 anni, dopo aver letto
una sul giornale (attenzione, cito a memoria
dopo 20 anni, quindi non sono certissimo che i
nomi siano quelli giusti) che Tonino Guerra e
Andr Breton si trovavano ogni mattina in un
bar di Parigi e facevano un gioco: uno diceva
una parola, laltro doveva costruirci sopra una
piccola storia in 2-3 minuti. Lo facevano per
unoretta poi andavano alle rispettive
occupazioni.

Mi trovavo in una di quelle fasi giovanili ben


riassunte dal termine cazzeggio, cos ho fatto
per alcuni mesi questo gioco, anche se da solo
perch non avevo amici cos pazzi. Trovavo
una parola a caso (da un giornale, dal
dizionario, ecc) e ci costruivo mezza pagina di
racconto al volo. Lho fatto per alcuni mesi, al
termine dei quali la mia capacit di produrre
idee era letteralmente triplicata. In seguito ho
continuato a fare lesercizio in modi pi
sofisticati: ad esempio inventavo articoli per un
mensile di notizie false, che poi ho buttato via
quando avevo ormai i numeri per un anno
intero. Anche oggi, in certi giorni di stanca,
apro il giornale, leggo una breve di cronaca da
5 righe, e ci scrivo un soggetto. Cos, per
tenermi in forma. Poi lo butto via.

La capacit di produrre idee lho coltivata


anche con le scelte di lavoro. Quando un lavoro
raggiungeva la fase di routine e non serviva pi
creativit, ne cercavo un altro: in vari casi sono
andato a guadagnare meno o a fare cose meno
importanti, per volevo essere costretto a
produrre nuove idee.

Morale: io non so se sono davvero creativo


(magari lo dicono solo per lusingarmi per
ottenere da me prestazioni sessuali, chiss)
per se lo sono una capacit che ho in buona
parte imparato. Se era un dono di natura, lho
allenato moltissimo.

Se volete avere pi idee, fate per 2 o 3 mesi


questo esercizio, e vedrete
Senso estetico e\o senso del ritmo

Si tratta di una dote essenziale perch, come


diceva Andy Warhol, non so cos larte, ma so
che un attimo prima e un attimo dopo
merda.

Lasciando stare lArte, certo che la capacit di


chiudere al punto giusto una frase, una scena o
una storia essenziale. Anche questa una
dote che si pu affinare con la pratica, ad
esempio passando il proprio tempo con i
maestri della propria disciplina anzich con le
schifezze. Se passate ore a guardare le soap
difficile che poi scriviate film alla Hitchock o
romanzi alla Milan Kundera.

Quando desideravo scrivere sceneggiature, mi


sono inventato un esercizio: prendevo i film
che mi emozionavano di pi e, andando avanti
con lavanzamento veloce, riscrivevo la
sceneggiatura. Non la cercavo su Internet, non
la leggevo su un libro: la riscrivevo
riguardando il film a pezzettini. E un esercizio
faticoso (per un film puoi impiegare due o tre
giorni) ma potentissimo, perch fai a ritroso il
percorso degli autori. In pratica devi
immaginare come avevano pensato sulla
pagina quelleffetto cos bello che poi hai visto
sullo schermo. Entri nella testa dei creatori e
fai il loro percorso al contrario.

Met delle cose che ho imparato sul mestiere di


sceneggiatore, le ho imparate cos. Basta un
videoregistratore e una risma di carta. E
lantica (e sottovalutata) pedagogia del
ricopiare. Questo per me stato un grande
esercizio di talento.

Lo si pu fare ovviamente anche coi romanzi.


Prendete un romanzo che vi piaciuto, e
scomponetelo per capire la struttura
architettonica che lo sorregge. Provate a
scrivere un nuovo capitolo con lo stesso
identico stile dellautore. Eccetera eccetera.

Capacit di anticipare le cose, cio


sintonizzarsi con quel che gira nellaria
(cio quel che gi c ma ancora non si
sa).

Anche questo parrebbe un dono, ma non lo


affatto. Quanto siete curiosi degli umani?
Quanto vi interrogate sul futuro? Quanti
rapporti del Mit (o del Censis) vi siete letti
nellultimo anno? Quando conoscete una
persona quante domande gli fate per capire
cosa pensa, come se la passa, dove va il suo
settore o la sua azienda o la sua vita
personale? Non serve farla tanto lunga, il
concetto chiaro: per sintonizzarsi con quel
che gira nellaria bisogna essere curiosi sul
mondo e il suo futuro. Tra laltro questa
caratteristica, utile in tutto, ormai
indispensabile per il cinema. Oggi per fare un
film in Italia possono servire 4 o 5 anni (a me
capitato anche di pi). Se tu parli del presente,
quando il film esce parla del passato. Devi per
forza individuare temi che valgano nel presente
ma restino validi qualche anno. E una sorta di
necessaria capacit professionale.

Empatia, cio capacit di sentire laltro.


Sentire quel che provano il personaggio, il
lettore o lo spettatore.

Questa una delle qualit pi importanti per


scrivere. Il nostro compito non giudicare i
personaggi ma sentirli, viverli da dentro, farli
muovere con la loro propria energia. Questa
capacit essenziale io lho allenata in molti
modi. Ad esempio, sempre negli anni di
cazzeggio giovanile, mi scrivevo una paginetta
su ogni persona che conoscevo, anche di
sfuggita. Cercavo di immaginare chi era, cosa
provava, di cosa aveva paura, cosa sognava.
Spesso non sapevo nulla, dovevo inventare,
dedurre da una parola sentita, da un gesto, da
uno sguardo abbassato su un certo argomento.
Questo allenare lempatia. Nella vita
quotidiana ci sono mille modi per farlo. Tra
laltro fa pure bene ai rapporti.

Conclusioni.

1. E inutile continuare allinfinito, il


ragionamento s capito. Se avete deciso di
scrivere, la domanda da porsi non avr
talento?, ma come migliorare il mio
talento?. Ovviamente quelli sopra non sono gli
esercizi giusti, sono quelli che ho fatto io,
perch servivano a me. Ognuno pu (deve)
inventare i propri esercizi di talento.

2. E chiaro che al mondo nessuno (me


compreso) s mai detto oggi faccio un
esercizio di talento. Semplicemente si tratta di
imparare a trascorrere il proprio tempo
coltivando passioni e abitudini che tendano a
sviluppare la capacit di scrivere e non a
deprimerla. Se uno passa le sue serate col
gossip, i reality e la Champions, poi non serve
che si danni lanima a spedire i suoi manoscritti
per sapere se ha talento. Glielo possiamo dire
fin dora: non ce lha.

3. In sintesi. Il talento non tanto una


questione di lotteria (mi hanno estratto o no?)
ma di condotta: si tratta di spendere bene il
proprio tempo per tanto tempo. Fatelo, e il
talento crescer. Passate il tempo a chiedervi
ho talento? e restate fermi dove siete.

4. Va infine ricordato che il talento nella


scrittura non indispensabile per vivere, non
serve per avere successo, in genere non rende
ricchi e non procura incrementi apprezzabili
alle proprie chance sentimentali o erotiche.
Quindi si consiglia il percorso solo a chi gi
predisposto, senn davvero non ne vale la
pena. Per se lo iniziate, non fatevi pi
domande inutili. Siete scrittori? Bene, allora
inventatevi un Dio che vede nella vostra testa e
dice se ti becco ancora a chiederti avr
talento?, ti fulmino allistante. E credeteci!

Incoscienza gioiosa

Un piccola parentesi. Garcia Marquez aveva


una famiglia, due figli e un impiego come
giornalista quando a poco pi di trentanni anni
si licenzi e si chiuse in una stanza a scrivere,
mentre sua moglie, con una creativit non
inferiore alla sua, riusciva a convincere i
negozianti a farle credito. La cosa and avanti
per 18 mesi, alla fine dei quali usc dalla stanza
con Centanni di solitudine. Nel giro di poco
tempo il libro si vendeva per le strade come
hot-dog, ma questo fu un accidente. Per
quanto ne sapeva Garcia Marquez, il libro
poteva andare come i precedenti (buone
critiche e poca grana) lasciando la famiglia
nella miseria e, vista la mole di debiti, quasi ai
margini della legalit.

Garcia Marquez definisce questa e altre scelte


della propria vita come incoscienti,
giustificandole con un irragionevole ottimismo
che ho sempre considerato la mia migliore
qualit. Ecco, la parentesi questa. Dopo aver
studiato per anni grosse antologie in cui la vita
degli scrittori stata raccontata come
interminabile riflessione sui mali del vivere,
ricordiamoci che il pi celebrato scrittore
contemporaneo vede come sua migliore qualit
un irragionevole ottimismo.

Non un caso isolato. Molti scrittori che nei


ritratti scolastici appaiono come tetri individui
che grondano lacrime sulla miseria
dellesistere, hanno invece una forma di gioia
tutta particolare e un tantinello incosciente.

Nel suo bel libro su Tolstoj, Pietro Citati


racconta come lo scrittore russo abbia provato
anche pi di un irragionevole ottimismo. Tra
le testimonianze, c questa lettera alla cugina:
E arrivata la primavera! Nella natura,
nellaria, in tutto c speranza, avvenire: un
avvenire meraviglioso (.) a volte mi
sorprendo nella piena illusione di essere una
pianta per crescere semplicemente,
tranquillamente e gioiosamente nel mondo di
Dio. (.) Sotto i nostri occhi si compiono i
miracoli. Ogni giorno, un nuovo miracolo. Ci
sono molte testimonianze di un Tolstoj che
prova come un senso di mistica fusione con gli
uomini e le cose sino a sentire una bellezza
troppo grande. (22) Non a caso Pietro Citati
conclude che Tolstoj fu felice come pochi
esseri umani (92).
Persino un autore considerato ombroso e poco
avvicinabile come Nabokov considera quasi un
ferro del suo mestiere di scrittore la fede
irrazionale nella bont delluomo. Poi precisa
che questa convinzione non si basa sui fatti
n tantomeno sulle traballanti filosofie
idealistiche. E soltanto una verit personale,
una verit solida e iridiscente che oppone al
mondo dei direttori di giornali e di altri brillanti
pessimisti. E che oppone soprattutto al mondo
comune che quadrato mentre tutti i valori e
le visioni pi essenziali sono meravigliosamente
rotondi, rotondi come luniverso o come gli
occhi di un bambino, la prima volta che vede
uno spettacolo al circo.

Di esempi ne potrei fare moltissimi. Pur


essendo ovviamente capaci di guardare con
occhio fermo ai drammi della condizione
umana, gli scrittori migliori sembrano spesso
capaci di una strana forma di felicit pagana.
Una capacit di fondersi nellesistenza che,
probabilmente, non estranea alla capacit
professionale di abitare altre vite.

Insomma, pochi scrittori somigliano alla


cupezza jettatoria che emerge dalle antologie o
da certa critica letteraria. Al contrario, se c
uno stato danimo che forse pi facile trovare
negli scrittori che in altre categorie, una gioia
irrazionale, unesperienza quasi mistica di
partecipazione allesistenza, una fusione con le
cose che permette di percepirne la bellezza con
una forza che annichilisce.

Volevo ricordare questa cosa perch viviamo in


un paese che a scuola racconta la letteratura, il
teatro e il cinema dautore come una lista di
trattati sulle disgrazie e sulla sfiga dellessere
vivi. Quindi volevo solo dire che se un mattino
vi capitasse di svegliarvi felici, non c da
preoccuparsi! La capacit di gioire
perfettamente compatibile con la scrittura.
Anzi, al contrario, secondo me un ingrediente
- e pure importante - del misterioso talento.
Fine parentesi.

Genio e regolatezza

Per essere scrittori, occorre coltivare un


temperamento da scrittori. Questa una frase
piuttosto banale. Anche per essere
rappresentanti occorre coltivare un
temperamento da rappresentanti. Il problema,
nella scrittura, la difficolt di vedere da vicino
il modello perch di rappresentanti ne abbiamo
visti in abbondanza, ma quanti scrittori
abbiamo conosciuto nella nostra vita?

Come diceva Indro Montanelli, questa societ


non elimina i talenti, li disperde. Non esistono
pi circoli, cenacoli, laboratori, luoghi in cui le
persone che scrivono e quelle che vogliono
scrivere possano guardarsi in faccia, trovare
analogie tra loro, capire a che razza
appartengono.

Cos i modelli nascono dalle fantasie e dai


racconti popolari, in cui lo scrittore ha una vita
sregolata e maledetta, geniale e vanitoso,
incapace di ordine persino sulla sua scrivania,
con una vita sentimentale promiscua, dominato
da impulsi inconsci e oscure ispirazioni.

Da dove nascano queste dicerie lo sa -se lo sa-


soltanto Iddio. Perch, dietro linevitabile
variet dei temperamenti, se esistono alcune
caratteristiche pi frequenti nella trib degli
scrittori, queste sono proprio lopposto.

Gli scrittori sono perlopi persone abitudinarie,


con una vita allapparenza tranquilla e persino
noiosa, concentrati sul proprio lavoro e poco
distratti dalle vicende del mondo. Non manca
qualche scrittore davvero eccentrico (n
qualche generoso che vuole donare al pubblico
limmagine sregolata che si attende), ma se
andiamo a guardare la maggioranza, troviamo
per lo pi una schiera di persone in apparenza
assai placide. Moravia poteva descrivere i
tempi della sua giornata con la precisione di un
impiegato che timbra un cartellino. Garcia
Marquez ha orari di lavoro rigidissimi a cui
aggiunge fissazioni da vecchia zia (non lavora
se non ha un mazzo di rose gialle sulla
scrivania e, quando scriveva a macchina, ad
ogni errore di battitura buttava via tutto il
foglio). Quella di Italo Calvino era, per dirla con
le parole del suo amico Eugenio Scalfari, una
vita interamente dedicata al lavoro. E per un
Hemingway cacciatore di donne e di elefanti,
abbiamo Tolstoj e Manzoni, intenti a scrivere
nelle loro campagne, protetti da una tranquilla
vita familiare.

Persino un artista considerato maledetto come


Baudelaire scriveva che la fedelt uno dei
segni del genio (lettera a Madame Sabatier). E
Flaubert ci ha regalato una frase che
rappresenta quasi una poetica della vita senza
trambusti: Perch una cosa sia interessante,
basta guardarla a lungo.

Certo, non si vuole affermare che chi scrive


debba essere una vecchia zia che non si muove
mai di casa. Chi scrive pu vivere come meglio
crede. Il punto che non bisogna illudersi che
per scrivere bene basti una vita spericolata, n
che la scrittura abbia come optional di serie
una vita pi interessante delle altre.

La vita interessante serve per scrivere


lautobiografia, non per inventare storie.
Stevenson dice che lartista scrive con pi
efficacia e con pi entusiasmo delle cose che
ha solo desiderato fare, non di quelle che ha
fatto. Il desiderio un meraviglioso telescopio
(48)
Se vogliamo una vita avventurosa, non
abbiamo che viverla, il mondo l che aspetta.
Se invece vogliamo scrivere sar bene ignorare
le credenze popolari e non farci distrarre dalle
presunte esigenze eccentriche del nostro ruolo.
Per riuscire a creare una bella storia
statisticamente pi probabile che ci occorra
imparare a concentrare le energie, non a
disperderle.

Come scrive Flannery OConnor se non riuscite


a cavar qualcosa da unesperienza ridotta,
probabilmente non vi riuscir da una pi
vasta. E aggiunge: Il dovere dello scrittore
contemplare lesperienza, non dissolversi in
essa. (54)

Ma su questo tema, la definizione pi


folgorante quella di Georges Roditi, che ci ha
lasciato una frase che mi piace moltissimo:
Per creare una grande opera ci vuole un
avventuriero che resti a casa.

Cattivi moventi

Uno dei grandi ostacoli alla buona scrittura


gi scritto nel movente per cui si comincia a
scrivere: la firma.

E difficile trovare qualcuno che cominci a


scrivere spinto dal desiderio di raccontare il
mondo. Quasi sempre si comincia per
raccontare se stessi. Una minoranza, gi
sofisticata, inizia per mostrare lacutezza del
proprio sguardo sul mondo. In ogni caso, il
movente iniziale mettersi in mostra.

Dobbiamo farcene una ragione: tra i motivi per


cui ci siamo avvicinati alla scrittura c spesso
lo stesso bisogno di chi veste fosforescente in
discoteca o compra automobili di tre metri pi
lunghe del necessario. E il bisogno antico di
gonfiare il petto e gridare a tutta la giungla
sono qua anchio. Come fa, in modi pi diretti
e forse meno stressati, nostro cugino orango,
con cui condividiamo il 99,8 per cento di Dna
(dato sempre troppo trascurato).

In seguito per dovrebbe avvenire una svolta


analoga a quella di chi negli anni Settanta si
avvicinava alla politica perch cera lamore
libero, poi ha iniziato a crederci davvero e a
lavorare con tossicodipendenti, barboni ed ex
carcerati in qualche cittadina di provincia.

Anche chi ha avvicinato la scrittura per pura


vanit esibizionistica pu (deve?) evolvere il
prima possibile per arrivare al punto in cui si
scrive per il puro gusto di raccontare,
consapevole dei limiti e dei doveri che questo
comporta. Per aiutarsi in questa svolta, si pu
rileggere ogni tanto il giuramento del narratore
contento.
Il giuramento del narratore contento

(di B. C. Craven)

Sono narratore. Non sono altro che un postino


incaricato di portare la realt al lettore, dopo
averla riscritta per renderla pi interessante, e
pi comprensibile.

Penser al mondo che vuole rappresentarsi


tramite me, e penser al lettore che deve
godere della rappresentazione. Non penser al
mio successo, al mio nome e al destino della
mia opera, accidenti poco pi che casuali.

Accetter linsuccesso o la fortuna senza


permettere che questi pensieri occupino la mia
mente e mi distraggano dal lavoro che ho
scelto.

Far quanto nelle mie possibilit per


conoscere pi a fondo la realt, e per imparare
ogni giorno a descriverla un po meglio.
Non mescoler vita e scrittura, perch so che il
mio lavoro scusa i miei comportamenti quanto
il lavoro di un manovale, di un manager o di un
macellaio.

Non seguir n combatter le mode della mia


epoca, perch il destino delle mode di essere
ignorate.

Non prover invidia n disprezzo per i miei


colleghi, e divider con loro i segreti del
mestiere di cui vengo a conoscenza.

Non cercher di mettere in evidenza la mia


abilit perch, poca o tanta che sia, deve
essere usata per raccontare il resto del mondo,
non per mostrare se stessa.

Tratter col massimo rispetto ogni creatura


della mia fantasia e tenter con ogni mezzo di
capirla pi a fondo possibile, come fosse un
essere reale che per vivere ha bisogno della
mia comprensione.

Non riterr mio un personaggio, una frase,


una immagine, unidea solo perch li ha
inventati la testa che poggia sulle mie spalle. Il
copyright e la parola io sono concetti assai
utili alla vita pratica, ma imprecisi nel
profondo. La fantasia un serbatoio comune
dellumanit che appartiene a tutti. Desidero
imparare ad accedervi nel modo pi ricco e pi
efficace, ma la mia fantasia non mia.

Comunque vada, sar grato al destino per


avermi regalato un mestiere, o un hobby, che
ha il potere di riempire lesistenza.

Lo stile sei tu

In futuro nel corso parleremo di stile. Stile nel


cinema. Stile nella narrativa. Stile nei dialoghi.
Stile nei vari generi. Stile in eccetera eccetera.
Ma il nocciolo della faccenda che le pi
importanti lezioni di stile si possono riassumere
in poche pagine e molti aspiranti scrittori le
sanno gi. Non difficile trovarle, e chi
interessato in genere lo ha fatto da tempo.

Nel fare lezioni di stile ci si imbarca in micro-


consigli tecnici, in faticose classificazioni di
infinite possibilit, per poi dire alla fine lunica
cosa che conta, cio due frasi verissime e
piuttosto conclusive.

La prima : Ogni stile va bene purch sia


necessario, cio intimamente legato alla
materia e ai personaggi.

La seconda : Il tuo stile sei tu. Il che


significa alcune cose precise, e molto pratiche.

Se quando scrivi sei insicuro, si sente.

Se vuoi dimostrare la tua bravura, si sente.

Se non sai dove andare a parare, si sente.


Se hai paura, si sente.

Se hai dubbi sulla tua vocazione, si sente.

Se vuoi la fama si sente.

Se scrivi per scansare qualche problema


personale, si sente.

Se non ne hai pi voglia, si sente.

E se, alla fine, cerchi di mascherare quello che


senti, si sente.

La scrittura una particolare seduta di


psicoterapia che non dice granch sulla
personalit profonda dellautore (anzi spesso la
maschera) ma racconta perfettamente quel che
lautore prova mentre scrive. Quello entra nello
stile. In una certa misura, quel che proviamo
scrivendo il nostro stile.

Troppo spesso i problemi di stile sono solo la


spia di un nostro rapporto non risolto con la
scrittura. Se cos, giunta lora di provare a
risolverlo. C un esercizio che pu aiutarci. In
questa e in tante altre cose.

Il miglior esercizio di scrittura che


conosco

Conosco un esercizio, che ho praticato e


pratico spesso, perch ha una capacit
miracolosa di avvicinarci al nostro mondo
emozionale. Lho trovato in un libro del 1934
dellamericana Dorhotea Brande (pioniera dei
corsi di scrittura in America e mai tradotta in
Italia, che io sappia), poi ripreso nel 1974
dallaustraliana Carmel Bird (pure lei inedita nel
nostro paese, che io sappia). Faccio queste
citazioni esotiche solo perch ho verificato che,
se descrivo lesercizio puro e semplice, molti
pensano che stronzata e non lo fanno.

Questo esercizio pu sembrare in effetti una


piccola cosa, invece ha una potenza atomica.
Il suo unico problema che troppo facile e
spesso non riesco a farne capire limportanza.
Chiamiamolo quindi Dream Writing, che pi
figo.

Il Dream Writing funziona cos. Per un mese ci


si prende limpegno di dedicare ogni giorno un
quarto dora a scrivere. Non molto no? Quel
che conta il quando scrivere e il cosa.

Il quando : appena svegli. Prima di bere il


caff, fumare la sigaretta, cambiare il
pannolino, fare footing, vendere azioni. Prima
di tutto. Appena ci si sveglia si prende un block
notes e si scrive per 15 minuti. Lideale
sarebbe tenere il block notes sul comodino, e
prenderlo appena si aprono gli occhi.

Cosa si scrive? I sogni fatti alla notte. Senza


interpretarli, senza chiedersi cosa significhino.
Li scrivete e basta.
Pu essere che allinizio i sogni non vi vengano
in mente ma non c problema: in questo caso
scrivete un ricordo di infanzia (pi indietro ,
meglio ).

Tutto qua Facile no? Appena svegli prendete il


notes e scrivete un sogno della notte o, in
alternativa, un ricordo antico.

Questo esercizio cos banale ha un potere quasi


magico. E prezioso per trovare il proprio stile
personale. Non quello artificioso che cerchiamo
per fare i fighi: no quello vero, il nostro stile
naturale. Inoltre prezioso per far venir fuori i
contenuti che vi premono.

Ricordate? Allinizio, si diceva quanto sia


importante scrivere di cose che per noi
contano, trovare ci che ci disturba. Facendo
questo esercizio, prima o poi viene fuori.
Come? In modi che non centrano nulla: un
pomeriggio viene unidea, sembra una come
tante, dopo un po che ci lavorate dite cazzo!.
Avete messo il dito su qualcosa che per voi
molto importante. Ed successo nel periodo in
cui facevate lesercizio.

Voi direte: ma come pu un esercizio cos


semplice, quasi banale, produrre tanti miracoli?
Perch, semplicemente, crea un collegamento
fra la scrittura e linconscio. Sgretola le difese,
abbatte muri, fa svanire paure. Infatti
linconscio per definizione si difende, si
maschera, non ha voglia di farsi vedere: nella
sua natura, senn non sarebbe un inconscio.

Con questo esercizio lo stanate, lo tirate fuori


dal suo nascondiglio, prima una zampina, poi
una mano, poi magari vi mostra un istante quel
musetto che forse somiglia a E.T.

E sapete perch si fa vedere? Perch ha capito


che voi non lo guardate, che scrivete solo i
sogni che lui usa per esprimersi, che non
cercate di disegnare lui ma le sue invenzioni e
le sue maschere. Allora si fida, si scopre un
po, inizia a giocare con la vostra penna che
scrive. Per questo importante non cercare di
interpretare i sogni che escono con lesercizio.
Se linconscio si accorge che cercate di capirlo,
torna in tana. Lui un inconscio. Se vi limitare
a giocare con lui, a chiacchierare scrivendo
quel che produce, lui viene fuori sempre un po
di pi.

Per questo poi, quando di giorno scrivete, vi


avvicinate al vostro stile e ai contenuti che per
voi contano. Siete pi in contatto con
linconscio.

Inoltre, se fate lesercizio, vedrete che i vostri


sogni cambiano, a volte anche parecchio: il
vostro inconscio che sta giocando con voi,
tramite la vostra penna.
Non c da aver paura. Con questo esercizio,
state tranquilli, non conoscerete il vostro
inconscio. Lui non mica scemo. Si lascia un
po stanare perch capisce che, grazie alla
scrittura, pu mostrarsi senza farsi svelare. E
accetta di giocare.

Ma voi non saprete nulla di pi dei vostri


segreti profondi. Tuttavia questi segreti, sotto
forme fantasiose, invieranno a contaminare la
vostra scrittura.

E questo, se ci pensate, il nocciolo di tutta la


faccenda. Quando si dice che la scrittura deve
avere una sua verit profonda, si dice quella
roba l. Deve aver a che fare con ci che ci
disturba. E ci che ci disturba sta nascosto
proprio l, nellinconscio: ce lo mettiamo
apposta, perch non vogliamo vederlo.

Vedrete che facendo lesercizio succedono cose


strane, e divertenti: il vostro stile di scrittura
cambia, dopo un po cambiano anche i sogni, la
scrittura giorno dopo giorno si avvicina alle
zone nascoste della psiche, e si arricchisce.

Se per mestiere scrivete (qualsiasi cosa, anche


depliant per saponi) vedrete che facendo
questo esercizio la scrittura migliora, diventa
pi personale, pi viva, pi densa. Pi vostra.

Forse diventer cos vostra che non andr pi


bene per i saponi, e quel giorno sarete felici.
Insomma questo esercizio davvero
unesperienza esaltante, inutile parlarne tanto,
perch le esperienze si fanno e basta.

Tutto quel che c da dire : gli altri esercizi


sono facoltativi, questo no. E assolutamente
obbligatorio per continuare il corso. Da oggi si
fa il Dream Writing per un mese tutti i
giorni, appena svegli, per almeno 15
minuti.
Attenzione per: se state leggendo questo
corso e non fate lesercizio, avete un problema.
Ripeto, questo il miglior esercizio di
scrittura che conosco. Quindi delle due luna:
o non vi fidate di me, quindi vi sconsiglio di
perdere altro tempo con questo corso. Oppure
un pochino vi fidate, e allora questo esercizio
dovete farlo.

Da domattina.

LEZIONE 4
Lezione 4. Io sono lostacolo

Un senso a questa storia

(Premessa tecnica: questa lezione il seguito


della 2, perch la 3 una sorta di intermezzo
zen. E quindi dalla 2 che riparte il discorso).

A questo punto, qualcuno potrebbe pensare


che per costruire una buona storia basti
mettere il personaggio in un mare di guai. Non
cos, anzi cos si rischia liper-storia: una
sequela di conflitti inutili e noiosi, senza alcuna
necessit. E quindi ecco la domanda: cosa
rende i conflitti necessari? Cosa invece li rende
inutili?

Provate a pensare la risposta. Scrivetela su un


post-it. La mia semplice: senso. Le buone
storie hanno a che fare col senso. Pensateci, la
nostra vita trabocca di storie, basta aprire un
giornale, attaccare bottone nella sala dattesa
di un dottore, passare un pomeriggio al bar:
sentiamo decine di storie. Perch perdere
tempo a leggerne o guardarne una fasulla?

Perch le narrazioni sono portatrici di senso.


Suggeriscono un significato che, nella vita
quotidiana, spesso ci sfugge, o non c, chiss.
Certo, nelle narrazioni il senso non enunciato
in modo esplicito: suggerito, indicato, fatto
balenare. Questo perch il senso delle
narrazioni non una visione del mondo
compiuta come quella delle religioni, della
politica o della scienza. E un senso pi
problematico, pi impalpabile, pi indicibile.
Somiglia pi a una domanda che a una
risposta, pi a una contraddizione da illuminare
che a una verit da dire. E un dubbio, una
qualit dello sguardo, uno stile, un modo di
respirare.

Non sto facendo il poeta, cerco solo di


dimenticare il nefasto messaggio delle
antologie (almeno quelle dei miei tempi) che
pretendevano di spiegare le opere
mostrandone il significato. ARGGGHH!
Lessenza delle buone storie sta proprio nella
capacit di trasmettere un significato che non
si pu tradurre in un messaggio logico
definitivo. Le narrazioni, come tutta larte, sono
da secoli la parte zen di un Occidente che ha
puntato sul razionalismo. Sono loasi nella
pretesa di capire tutto, esprimono quella parte
di realt che la nostra civilt non poteva
esprimere nei milioni di teorie logiche che ha
prodotto. Le narrazioni trasmettono un senso
non definibile e non definitivo. E questo
avviene anche (e spesso soprattutto) per
mezzo della trama. La trama unazione e
unazione sta l, esemplare e misteriosa, col
suo carico di significati. Ci interroga. Ci pone
domande. Insinua visioni. Non offre risposte.
Nelle migliori narrazioni, la trama portatrice
di un senso intraducibile: qualcosa che stato
espresso con una narrazione perch non cera
un altro modo per dirlo. Se Dostojesvky avesse
potuto riassumere le sue migliaia di pagine in
una teoria di 20 cartelle, sarebbe stato crudele
a non farlo! Se ha scritto migliaia di pagine di
narrativa perch quello era lunico modo di
esprimere quel che aveva addosso: dubbi,
domande, lacerazioni, visioni, speranze,
emozioni, fardelli, colpe, sogni, strazi, illusioni,
grida. Di questo trattano le narrazioni, del
mistero di stare al mondo, e lo fanno nel modo
pi aperto: cio con una storia. Una fila di fatti
che, se ben scelti, paiono sprigionare o
promettere un barlume di senso, non
definitivo, che si rivela solo con la complicit
attiva del fruitore, e quindi pu variare infinite
volte.
Tutto questo papiello per dire che i conflitti e
gli ostacoli sono tremendamente importanti per
tutti i motivi tecnici che abbiamo visto nella
lezione 2, per non basta mettere i personaggi
in un mare di guai per avere una narrazione. I
guai dei personaggi, e la loro soluzione,
devono avere la capacit di alludere -o
illudere- a un senso.

In questi casi c sempre qualcuno che chiede


S, ma 007? Wilbur Smith? Dov il senso?.
La risposta di solito che nelle narrazioni
seriali il senso non c perch puro
intrattenimento, sono trame che servono solo
allo svago, eccetera. Invece il senso di quelle
narrazioni c, ed tragico. Almeno secondo
me, il patto che lintrattenimento di evasione
offre allo spettatore suona cos: ehi amico, la
vita non ha senso, tu lo sai, io lo so, non
perdiamo tempo in storie che ne cerchino uno.
Ti offro qualcosa di pi sicuro: ti distraggo
qualche ora dalla tua ansia del nulla, intanto
passi un po di tempo, poi troverai qualche
altra distrazione.

E una opinione personale ma secondo me


lintrattenimento leggero che domina la nostra
epoca non ha nulla di leggero, anzi si fonda su
un pessimismo apocalittico: la vita non ha
senso e non vale la pena cercarlo, meglio
distrarsi un pochino. Leopardi al confronto era
un guru dellottimismo.

Ma bando alle ciance, torniamo alla pratica. La


trama fondamentale per creare lallusione (o
lillusione) del senso. Questo avviene persino
nelle narrazioni pi filosofiche, come ad
esempio i fratelli Karamazov, che affronta un
tema tipo: Che ne sar del mondo dopo la
morte di Dio?

Riassumiamo brutalmente la storia che -


evidentemente non a caso- quella
dellomicidio di un padre. I sospettati sono i
suoi stessi figli. Un militare materialista, un
intellettuale ateo e razionalista, un fervente e
innocente religioso ( il meno sospettato ma a
tratti viene il dubbio che potrebbe essere stato
anche lui). Insomma, c un padre che muore e
tre figli sospettati che rappresentano le tre
grandi possibilit dellesistenza dellepoca. E
chi il colpevole alla fine? Nessuno dei tre. A
commettere il patricidio stato il servo con
problemi mentali, che non aveva nemmeno un
movente. Semplicemente, quando ha sentito
lintellettuale dire pi volte che se non c Dio
tutto permesso, ha creduto che gli stesse
chiedendo di uccidere il padre, e lha fatto.

Questa svolta della trama emana un senso


potente, evidente e oscuro al tempo stesso. Un
significato complesso, fatto di molte facce, che
impossibile da tradurre in un messaggio
compiuto. Lo si pu solo contemplare, o
interrogare, magari trovando ogni volta
risposte diverse.

Questa lettura dei Karamazov (superficiale e


fatta a memoria, non lo leggo da 15 anni) si
presta certo a mille obiezioni. Ma non voglio
fare critica letteraria, solo martellare un
concetto pratico: con la trama dite molto di
quel che avete da dire. E coi fatti che
dovete creare un senso (poi, certo, c anche
lo stile, ma quella la parte B del corso).

Ho scelto come esempio i Karamazov perch


un romanzo denso di discorsi filosofici, tra i pi
alti nella storia della letteratura: eppure
persino l, alla fine la pura sequenza dei fatti
che si incarica di trasmettere il senso della
vicenda. Non a caso lautore filosofeggia su
tutto ma sul fatto che lassassino il servo,
non dice una parola. Anzi, sembra quasi che
tutto il filosofare precedente serva a preparare
il lettore, per poi lasciarlo nudo al confronto col
semplice fatto finale e alla sua enigmatica
capacit di sprigionare senso.

Scusate la parentesi elevata, ma mi sembrava


utile ricordare che i concetti che stiamo
studiando non sono solo trucchetti che servono
a tener desta lattenzione e creare storie che
funzionano o si vendono. Possono essere
usati soltanto cos, ma non detto. Volont del
personaggio, conflitti, ostacoli, climax e via
dicendo sono presenti in Shakespeare come
nellultima soap. Questi concetti rappresentano
il volante, il cambio e la benzina che ci
permettono di guidare la macchina. Dove
andiamo dipende da noi. Dalle nostre capacit,
certo, ma un pochino anche dalla nostra
volont.

Ora torniamo sul pratico. Stavamo parlando di


come costruire il percorso di ostacoli &
conflitti di cui abbiamo -spero- dimostrato
limportanza nella lezione 2. Abbiamo detto che
importante pianificare con cura questo
percorso perch il senso della storia sar
affidato ai fatti pi che ai discorsi. Dobbiamo
quindi concentrare tutta la nostra energia
nellinventare una trama che parli, cio
capace di allineare fatti che esprimano
qualcosa. Per farlo possiamo seguire vari
criteri che, come sempre, sono intersecati fra
loro e quindi, nellatto pratico della scrittura,
vanno pensati tutti insieme. Nellelencarli devo
dividerli, ma solo perch si pu spiegare
soltanto una cosa per volta.

La direzione della storia

Ostacoli o conflitti vanno pensati tenendo


presente la partenza e la destinazione finale
della storia, che riassumiamo.
PARTENZA. C un personaggio che vuole
qualcosa, e questa volont ha a che fare in
qualche modo con la sua area di pericolo.
Avviene un incidente iniziale che avvia la
storia e costringe il personaggio a muoversi per
perseguire il suo obiettivo (a volte per definirlo
se non laveva fatto prima).

DESTINAZIONE. La meta a cui siamo diretti


un cambiamento del personaggio perch
una buona storia racconta unesperienza
decisiva di un essere umano, e le esperienze
decisive sono quelle che ci cambiano. Se
dovete raccontare la vostra vita a qualcuno,
scegliete gli episodi che vi hanno costretto a
cambiare. Sono quelli i momenti in cui la vita
acquista significato. I cambiamenti sono i
culmini - spesso anche dolorosi - dellesistenza.
E quando scrivete una storia dovete raccontare
i culmini di una vita, non il tran tran
quotidiano.
Come ha scritto R.S. Crane (citato dal
romanziere David Lodge) La trama un
processo di cambiamento portato a
termine. E cos dai tempi della tragedia
greca. Perch, come dice Billy Wilder, La
gente apprezza un personaggio che sta in
piedi, che ha una sorta di vita propria. Specie
se quel personaggio cambia; la cosa
importante che nel corso della storia diventi
una persona diversa.

Il problema che cambiare difficile. Noi tutti


ci proviamo di continuo, quasi sempre senza
riuscirci. Eppure basta parlare con qualche
anziano per sentirsi raccontare che nella vita
cambiato, spesso pi di una volta. Quindi come
avviene questo mitologico cambiamento che
nessuno riesce a fare, eppure tutti fanno?
Semplicemente, la vita che, in bene o in
male, ogni tanto ti costringe a cambiare. Coi
fatti, con quello che ti succede, con le
esperienze concrete che ti pone davanti.
Questo accade nella realt. E questo accade
nelle storie.

Ostacoli & Conflitti sono il percorso che


conduce la storia da A a B. Dallincidente
iniziale che mette in moto il desiderio del
personaggio (A) al suo cambiamento finale
(B). Dunque Ostacoli e Conflitti non sono un
orpello, non sono una tecnica per tener desta
lattenzione: sono la simulazione di un
processo che avviene nella realt.

Ora riassumiamo il percorso in uno schema


(con tutti i limiti e le semplificazioni del caso).

-C un personaggio che ha certe


caratteristiche, tra cui una determinata area di
pericolo (che conosce o non conosce, pi
spesso non la conosce).
-Accade qualcosa che crea un desiderio nel
personaggio (o che lo stimola se gi era
presente). Il personaggio deve mettersi in
moto per ottenere ci che vuole.

-Incontra un ostacolo, reagisce e in qualche


modo lo supera.

-Ma incontra un secondo ostacolo (a volte


generato almeno in parte dalla sua reazione al
primo ostacolo). In qualche modo supera anche
questo.

-Si ripete N volte lo schema ostacolo-


reazione. Ogni reazione del personaggio lo
conduce dinnanzi ad un nuovo ostacolo. Gli
ostacoli sono sempre pi pericolosi (si intende
pericolosi per lui, cio rispetto alla sua area
di pericolo).

-Si giunge ad un culmine in cui il personaggio,


per ottenere ci che vuole, si trova di fronte un
ostacolo cos grande che per superarlo
costretto a confrontarsi davvero con la sua
area di pericolo e, in sostanza, a cambiare. O
comunque ad imparare qualcosa di significativo
ed essenziale. Fine.

Se cercate il pi sintetico schema-bonsai per


costruire una storia, questo. Certo, uno
schema cos piccolo lascia fuori molte
eccezioni, per la gran parte delle storie
scritte, filmate o recitate a teatro, lo seguono.
E, come vedremo, molte storie che sembrano
avere uno schema diverso, in realt usano
questo, solo travestendolo meglio.

A qualcuno tutto ci potrebbe sembrare


artificioso. In realt si tratta di un percorso
molto naturale, come forse mi riuscito di
spiegare decentemente nella risposta data via
mail a uno di voi. La pubblico perch mi pare
utile per tutti. Lui si chiama Karma (non un
nome darte) e ha scritto quanto segue,
appena un po riassunto:

Io sono alla lezione 2. Non riesco bene ad


utilizzare la premiata ditta Ostacoli & Conflitti
con personaggi che hanno delle problematiche
rilevanti, ad esempio se sono mitomani,
cleptomani, se si drogano, se la loro timidezza
congenita li preserva dal fare ci che
vorrebbero fare, per esempio esibirsi in
pubblico (il desiderio in questo caso esiste ma
in un perenne stato di metastasi, perch il
suo ostacolo non esterno ma interno al
personaggio). Quindi il superamento
dellostacolo possibile in questi casi solo se
c una trasformazione radicale del
personaggio, e tranne nelle favole questo
sembra poco realistico, o perlomeno molto
difficile, e insomma io faccio fatica ad applicare
lo schema Ostacoli & Conflitti con molti
personaggi problematici che mi vengono in
mente. Dici che sono io che ho un reale
problema congenito nellinventare storie?

Risposta Che lostacolo principale del


personaggio sia interno va benissimo: giusto,
anzi normale. Per nella vita quasi nessuno
risolve i propri problemi interiori affrontandoli
direttamente. Linteriorit sfugge, o noi
sfuggiamo ad essa: in ogni caso, non sappiamo
affrontarla in modo diretto. Quel che accade
nella realt -e che le narrazioni imitano- un
percorso di questo tipo. Qualcuno ha un
problema interiore, lo sa o non lo sa ma non
importa: in entrambi i casi non far nulla per
risolverlo. Per prima o poi il problema
interiore si riverbera nella sua vita reale, dove
produce ostacoli concreti e oggettivi. Per fare
un esempio banale: un iper-timido potr
trovarsi ad essere sottovalutato sul lavoro e
incompreso dai colleghi perch non esprime
abbastanza quel che pensa, quel che prova e
quel che sa. Per anni la cosa rimane a livello di
problema interiore poi un giorno, magari per la
crisi economica, lazienda deve licenziare
qualcuno: scelgono lui perch -causa
timidezza- sembra meno in gamba e meno
collaborativo di quel che . A questo punto il
personaggio costretto a mettersi in moto:
non vuole cambiare se stesso n affrontare i
propri nodi non risolti, vuole soltanto risolvere
un problema pratico: trovare un altro lavoro.

Nella realt pu essere che ci riesca restando


comera: nel qual caso siamo contenti per lui
ma non una storia interessante da
raccontare.

Oppure pu accadere che, cercando di risolvere


il problema pratico, debba affrontare una serie
di Ostacoli & Conflitti che lo costringono a
cambiare: cio a superare il suo problema
interiore (o a peggiorarlo: anche questo un
cambiamento). A questo punto la storia si fa
interessante.

In altre parole: questa faccenda degli ostacoli


oggettivi che ci costringono ad affrontare i
nostri problemi interiori non un trucco
narrativo! E cos che funziona nella realt! Il
problema interiore prima o poi finisce per
concretizzarsi in un problema della vita
quotidiana. Quel problema concreto spinge il
personaggio a muoversi, affrontando ostacoli
che in certi casi lo costringono a confrontarsi
col problema interiore, che aveva originato il
tutto. E quella potenzialmente una storia
interessante da raccontare.

Insomma, il meccanismo quanto di meno


artificioso esista. E la vita che va cos.

La prima regola da tener presente dunque


che ogni ostacolo e ogni conflitto sono le tappe
di un percorso che va da A (area di pericolo e
volont del personaggio) a B (cambiamento del
personaggio). Avere presente il punto di
partenza e quello di arrivo molto utile.
Ovviamente, pu darsi che il B non lo sappiate
con precisione, per se avete definito bene
larea di pericolo del personaggio, sapete di
cosa pu trattare, a che famiglia appartiene il
cambiamento finale del personaggio.

Nellesempio del presunto rocker quando


inizio a scrivere non so ovviamente come
finisce la storia. Per so che la sua area di
pericolo ha a che fare con un eccessivo
desiderio di avere una vita speciale. Questo mi
fa sospettare che la sua area di pericolo abbia
a che fare con la paura di essere banale:
troppo normale. So quindi che la sua crescita
avr a che fare con questi temi. Quello il B a
cui tendo. Ho una bussola, vaga, ma ce lho!
Grazie a questa bussola, mi pi facile
stabilire se un dato evento serve alla storia o
no. E utile che il presunto rocker incontri un
serial killer? No, chiaro che non centra nulla.
Che vinca allEnalotto? Uh, potrebbe essere,
cos vediamo se coi soldi vive la vita speciale
che desidera o no. Per non ancora il centro,
infatti cos non c conflitto. Idea, gli faccio
vincere per sbaglio un concorso allanagrafe!
Ecco, questo funziona, si sente: un aspirante
rocker trova un rarissimo posto fisso, si capisce
a naso che questo rimescola le carte nella sua
area di pericolo. E fertile.

Cos si pu partire, si crea lostacolo, poi la


reazione del personaggio, le altre reazioni che
questa mette in moto. Per man mano che si
scrive - e si inventa- si tiene sempre presente
lo schema, e cos il punto di arrivo (il
cambiamento) si precisa sempre di pi. Ad ogni
passaggio si mette un filo pi a fuoco, e
abbiamo sempre pi strumenti per valutare se
un determinato Ostacolo o Conflitto utile ad
arrivare a quel punto, o no.

Si procede cos, un po pianificando e un po


inventando. Da un lato scegli razionalmente un
ostacolo perch utile a far andare il
personaggio nella direzione in cui deve andare.
Per la scrittura invenzione, magari il
personaggio ha una reazione imprevista
allostacolo che hai scelto. Questo ti fa capire
qualcosa in pi di lui, diventa un pochino pi
chiaro quale potrebbe essere il cambiamento
finale. Quindi hai una bussola un po pi
precisa con cui scegliere il prossimo ostacolo,
eccetera.

Insomma, si dice che gli scrittori si dividano in


due categorie: quelli che prima pianificano
tutto e poi scrivono, e quelli che al contrario
scrivono per farsi sorprendere dai propri
personaggi, scoprendo la storia strada
facendo. Il metodo che vi suggerisco io una
via di mezzo. Si pianifica e si inventa in
contemporanea, procedendo su due livelli che
si aiutano lun laltro.

A mio avviso, comunque meglio iniziare a


scrivere la storia quando si ha un barlume di
idea dello sviluppo. Poi potr accadere che i
personaggi vi sorprendano e deraglino dal
percorso stabilito: benissimo, riaggiusterete la
mappa in corso dopera. Ma partire senza
mappa rischioso, si rischia di finire in
direzioni del tutto sbagliate. Come ha detto
Cechov: Nellopera ci deve essere unidea
chiara, precisa. Lei deve sapere perch scrive,
altrimenti, movendo per questo pittoresco
cammino senza uno scopo preciso, finir per
smarrirsi e il suo ingegno le sar fatale.
Fra laltro, se non avete esperienza, rischiate
che la vostra incertezza su dove andare a
parare tracimi nello stile. Quando non sapete
dove andare a parare, spesso si sente nel tono.
E non fa bene, chi segue una storia in genere
vuole sentire un narratore autorevole, che
sembri padroneggiare la sua storia.

La complicit tra personaggio e ostacoli

Tra il personaggio e gli ostacoli che deve


affrontare c una relazione forte, una segreta
complicit. Come abbiamo visto, in certe storie
il personaggio fin dallinizio il co-autore
dei propri ostacoli. Facciamo un esempio: io
sono un dipendente e soffro perch meriterei
una promozione che da anni non arriva. Per
questo vado in ufficio malmostoso, evito di
impegnarmi al massimo perch quelli non lo
meritano, a volte ho una buona idea ma sto
zitto: che mi promuovano, se vogliono il mio
sapere! Torno a casa frustrato e per di pi c
un collega che abita vicino a casa mia (uno che
gi dirigente e quindi pu uscire prima,
maledetto!) che mi ruba ogni sera il parcheggio
a cui avrei diritto. Non oso affrontarlo perch
un mio superiore ma devo dargli una lezione:
un mattino metto nel parcheggio una manciata
di chiodi a tre punte, cos gli buco una gomma
e impara, sto stronzo. Quel giorno vado al
lavoro sollevato, sono pi sorridente e allegro.
E forse per questo il capo mi dice di passare a
prenderlo: ha deciso di portarmi a cena coi
boss, forse lanticamera dellagognata
promozione. Mi agito, comincio a pensare che
ho un vestito sbagliato, i peli nelle orecchie,
forse dovrei fare mezzora di lampada Esco
prima con una scusa, corro a casa bruciando i
rossi per prepararmi al meglio, mi infilo nel
parcheggio ebuco tre ruote della mia
macchina con le puntine da disegno che ho
messo la mattina, e che avevo scordato. Ora s
che sono nella merda: fra unora devo andare a
prendere il capo e ho la macchina con tre ruote
bucate. Da qui parte una lotta senza quartiere
per trovare unauto in tempo e

Ok, la storia non un capolavoro (i capolavori


inediti si usano di rado nei corsi gratuiti!) per
funziona come esempio: sentite come gli
ostacoli sono tutti legati? Si parte da un tizio
frustrato perch non si realizza, va in ufficio
con un rancore che probabilmente ritarda la
sua promozione. E cos frustrato che anzich
affrontare il superiore che gli frega il
parcheggio, mette le puntine da disegno. Ed
quello che poi gli crea il guaio che lo frega.

In questa storia il personaggio che, con


le sue reazioni al problema, crea i propri
ostacoli. Questo meccanismo ha una sua
profonda ragion dessere perch, come hanno
detto con parole diverse molti saggi, destino
sinonimo di carattere. Ci che ci accade
spesso determinato (o co-determinato) anche
da noi.

Per qua non siamo mistici zen. Nella realt


non tutti gli ostacoli sono auto-creati. Il Male
esiste. Esistono i nemici, i cattivi, gli stronzi, la
sfortuna. Se uno esce di casa per fare il
colloquio che sognava da anni, ma incrocia una
rapina e si becca un proiettile in una gamba,
non possiamo dare la colpa ai suoi problemi
interiori! E sfiga e basta.

Pensiamo a quel tizio che ha diritto alla casa


popolare e se la vede soffiare da una famiglia
benestante e truffaldina. Anche qua, gli
eventuali problemi interiori del personaggio
non centrano nulla con lincidente che avvia la
storia. Per attenzione: quelli successivi
centrano eccome. Infatti la reazione del
personaggio al fatto esterno sar figlia del
suo carattere, dai suoi pregi, dei suoi difetti.
Potr fare denuncia, minacciare gli abusivi con
la violenza, far finta di nulla per paura,
rifugiarsi nellalcol, o tante altre cose. Ma
qualsiasi azione scelga di fare essa
contribuir a formare lostacolo
successivo che si trover di fronte.

In altre parole, anche quando il primo ostacolo


esterno, quelli che seguono dipendono
(anche) dalle scelte del personaggio, portano in
s le tracce della sua natura, dei suoi limiti,
delle sue paure e dei suoi desideri.

In fondo ogni storia ha questo percorso:


Incidente iniziale - reazione personaggio -
nuovo ostacolo - nuova reazione - ostacoli e
reazioni a volont - risoluzione finale. Le non
storie semplicemente non hanno ostacoli e
quindi non succede niente. Le iper-storie
hanno ostacoli gratuiti che non prevedono la
complicit del personaggio, non nascono dalle
sue reazioni e dunque non parlano di lui, sono
arbitrarie, casuali, prive di un senso.

Nelle buone storie invece le reazioni del


personaggio e gli ostacoli si influenzano a
vicenda, in misura diversa a seconda del tipo di
storia, ma un po lo fanno sempre. Leroe e i
suoi nemici crescono insieme, nel bene o
nel male.

Per questo lescalation ostacolo-reazione-


ostacolo-reazione tende a condurre il
personaggio nella sua area di pericolo:
perch gli ostacoli sono anche figli suoi,
portano i segni delle fragilit e delle paure
che ha dentro. Ma guardiamoci intorno,
guardiamo le cose pi semplici, come le storie
damore. Quante volte la gente finisce per
infilarsi in rapporti chiaramente sbagliati, che
sembrano concepiti apposta per ferirli nei loro
punti pi deboli!! Perch lo fanno? Per
masochismo? Gli psicologi dicono di no: ci si
infila in rapporti sbagliati per costringersi
(inconsapevolmente, chiaro) ad affrontare
quei punti deboli. A farci i conti, a superarli. I
rapporti sbagliati sono passaggi in qualche
modo obbligati, esperienze di crescita da cui
bisognava passare. Chi sa viverli fino in fondo,
con tutti gli errori che contengono, pu
imparare, e non commettere pi quegli errori.

Se non siete ancora convinti, prendiamo un


esempio opposto, dove gli ostacoli sembrano
tutti esterni, indipendenti dal carattere del
personaggio. Un classico film americano, ne
avranno fatti 10 simili: il marito torna a casa e
scopre che una banda di rapinatori ha ucciso la
sua adorata famigliola. Lui, accecato di
vendetta, tira fuori dallarmadio un fucile
(siamo in America!) e cerca gli assassini per
sterminarli e vendicare la moglie e il figlio. Ma
scopre che quei banditi sono pesci piccoli di
una organizzazione molto pi estesa. La
vendetta si allarga e il personaggio entra in
una sorta di guerra in cui si trova davanti
nemici sempre pi grossi, pi spaventosi e
meglio armati, che in apparenza nulla hanno a
che vedere con la sua interiorit.

Ma siamo sicuri che cos? Mica tanto. Un


marito normale a cui capita una disgrazia
simile non prende il fucile: prende lo Xanax
perch disperato e vuole morire, o va dallo
psicologo, o si rifugia nel letto, o comunque
trova un modo per vivere il suo tremendo
dolore. E la scelta di compiere una vendetta
sanguinaria (di per s la scelta pi
improbabile) a far s che gli ostacoli successivi
siano uomini armati. E quindi anche quegli
ostacoli apparentemente esterni nascono da
una chiara inclinazione interiore: una
propensione alla violenza con cui il personaggio
prima della fine dovr fare i conti, se una
buona storia. Ad esempio, chess, ci sar una
scena in cui pu far fuori il boss dei cattivi,
portando a compimento la sua vendetta. Ma il
boss sta partendo su un piccolo aereo con il
figlio. Se laereo decolla il nostro eroe non lo
ritrover mai pi. Se invece spara col bazooka
(che ovviamente nel frattempo ha rimediato:
siamo in America!) uccide anche un bambino
innocente e diventa come i cattivi che voleva
sterminare. Che fare?

Morale: anche in questa storia di sparatorie gli


ostacoli sono intrisi della interiorit del
personaggio. La scelta iniziale di compiere una
sanguinosa vendetta lo conduce a un dilemma
in qualche modo inevitabile: spargere o no
sangue innocente.
Tra parentesi, accade spesso che la scelta
culminante del protagonista, quella pi
importante e decisiva, sia in qualche modo
inevitabile. Infatti legata alle basi iniziali,
alla volont del personaggio, alla sua prima
reazione, alla sua scelta originaria. Ovviamente
inevitabile non vuol dire anche prevedibile,
com in questo esempio volante. E su queste
cose che bisogna usare il massimo di fantasia:
ci che inevitabile deve sempre essere reso
sorprendente. Ma su questo torneremo.

Escalation degli ostacoli

Nel pianificare il percorso ostacolo-reazione c


unaltra regola che pu apparire scontata e che
invece chiunque -anche i pi esperti - talvolta
dimenticano: ogni ostacolo deve essere pi
difficile di quello precedente. Occorre
costruire un crescendo.
Infatti appena il personaggio affronta un
ostacolo pi facile di quello gi superato,
lattenzione cala immediatamente. E una sfida
che non interessa pi, perch sappiamo come
va finire. Se uno ha saltato una siepe di due
metri, stupido fargli trovare davanti un muro
di due metri: pi duro, ok, ma sappiamo che
pu saltarlo, quindi ci annoiamo. Sappiamo gi
come va a finire.

Proviamo a fare un esempio pi sofisticato di


un muro da saltare. Una giovane funzionaria di
banca, nota per la sua integerrima onest,
viene incastrata da un collega truffatore e
incolpata di una gravissima frode che ha
portato la banca vicina al fallimento. Il collega,
autore della truffa, ha fabbricato perfette prove
false che incolpano la ragazza. Ora lei
ricercata dalla polizia, se la pigliano rischia di
non poter dimostrare la sua innocenza. Se
invece resta fuori ha unidea per smascherare il
colpevole.

La ragazza decide di diventare latitante per


dimostrare la sua innocenza. Per non ha un
soldo in tasca, non pu rivolgersi a nessuno
che conosce, perch sono tutti controllati. Per
sopravvivere deve fare ci che non ha mai
fatto: rubare. E una scelta difficile: giusto
diventare ladri per poter dimostrare la propria
onest? Supponiamo che risponda s, e decida
di rubare 10 euro per mangiare. Bene, su
questo livello di sfida, il dado tratto. Il
personaggio ha gi fatto la sua scelta, non
potete pi mettergliene davanti una dello
stesso tipo.

Se poco dopo deve scappare e la fate


tormentare davanti allipotesi di rubare
lautomobile a un povero pensionato, chi segue
la storia sbuffa. Perch quella non una vera
scelta: sempre un furto, solo pi grosso. Per
una donna onestissima il dilemma posso
rubare per sopravvivere?. Se si gi risposta
s rubando i 10 euro, ruber anche la
macchina. Non potete fingere che la seconda
sia una scelta tormentata: la gente non ci
crede.

Se volete inserire il furto della macchina,


occorre che lostacolo sia di natura diversa. Ad
esempio, una ragazza onesta probabilmente
non ha la pi vaga idea di come si faccia a
rubare unauto. Ecco quindi un secondo livello
di ostacoli, diverso dal primo: la competenza
tecnica. Qui la gente ci cascher perch,
semplicemente, non sa come finisce la
faccenda. Se riproponete il dubbio morale
rubo o non rubo, lo sa benissimo.

Capita abbastanza spesso che in storie anche


buone si provi un senso di ripetizione nella
parte centrale. Quasi sempre si tratta di
questo: il crescendo di conflitti non stato
efficacemente pianificato e il personaggio
affronta ostacoli di segno inferiore (o uguale) a
quelli precedenti. E come un videogame che
dopo il livello 9, ti rimanda al livello 7, o ti
ripete il 9: dopo un po ti stufi e spegni.

Al cinema questa cosa pazzesca: appena


succede, vedi locchio dello spettatore che
perde quella magica fissit ipnotica, si sposta
qua e l, nota delle cose, abbraccia il partner
(la noia nei film giova alla coppia, si sa).

Insomma, per costruire lescalation tra ostacoli


e reazioni abbiamo trovato unaltra regola. Gi
fanno due, le ripetiamo entrambe:

- La catena ostacoli-reazioni collega la


partenza con la destinazione della storia.
Ogni pezzo deve avere una precisa
funzione in quel percorso.
- Un ostacolo non pu mai essere di
portata inferiore o uguale a quelli
precedenti. Deve sempre essere in
crescita.

Lescalation significato

Ovviamente una bella storia non un


videogame, non basta trovare a ogni capitolo
nemici sempre pi grossi. Quando si dice che
lostacolo deve essere pi pericoloso dei
precedenti, si intende pericoloso rispetto
allarea di pericolo del personaggio. Lostacolo
soggettivamente pi grande pu essere
oggettivamente il pi piccolo: conosciamo tutti
persone in grado di vincere le pi agguerrite
guerre professionali e poi andare in crisi per
una telefonata sentimentale (o viceversa).

E questo che permette a uno schema costante


fin dal tempo della tragedia greca di produrre
milioni di variabili, creando infinite storie
diverse. Lo stretto legame tra larea di pericolo
del personaggio e gli ostacoli che si trova
davanti fa s che la creazione dellescalation
ostacoli-reazioni sia un lavoro ogni volta
diverso, che va sempre fatto su misura. Se
questo corso riuscisse a convincervi che su
queste cose che va usato il massimo di
fantasia, creativit e profondit, avrebbe gi
raggiunto il suo scopo.

Conflitto di valori

Nella lezione 2 abbiamo detto che ostacoli e


conflitti producono curiosit. Se mettete il
personaggio in un vicolo chiuso, inseguito da
un leone, create la domanda se la caver o
no? Finch non date la risposta, la gente vi
segue perch vuole sapere. A volte per -vi
sar capitato come lettori o spettatori-
continuate a seguire, ma sentendovi un po
presi in giro. Percepite a pelle che quel leone
disonesto, messo l soltanto perch voi vi
chiediate leroe se la caver o no?. Questo
accade quando gli ostacoli sono soltanto muri
da saltare, senza che sia in ballo un conflitto di
valori, dunque di senso.

Nelle buone storie, ostacoli e conflitti


producono curiosit (cio fanno il loro sporco
mestiere) ma la loro funzione principale non
questa. Nelle storie migliori, lo scontro tra il
personaggio e i suoi nemici racconta un
conflitto di valori, vivo, lacerante e
comprensibile. Ostacoli e nemici non entrano in
scena soltanto per creare la curiosit del poi
cosa succede? ma per raccontare uno scontro
tra visioni del mondo diverse.

Prendiamo un caso narrativo, Stieg Larsson.


Secondo me la sua forza nasce dallaver
individuato un conflitto di valori molto vivo ma
di cui si parlava poco o nulla. Non voglio
definirlo con precisione ( mestiere da critico)
ma a grandi linee mi pare evidente che nei suoi
romanzi c una unica fonte di Male: sono gli
uomini che odiano le donne. Quelli che
cercano di sopraffarle, perch temono la loro
forza e la loro autonomia. Provate a fare mente
locale: nelle quasi 3000 pagine dei suoi
romanzi tutti i problemi, tutti i mali, tutti i
cattivi nascono da quel tipo duomo. E, daltra
parte, guardate le forze del bene: o sono
donne forti e autonome, o uomini abbastanza
sicuri di s da provare un sincero rispetto per
questo tipo di donne (come Mikael Blomqvist).
Considerate che questo inizio di terzo millennio
in apparenza fondato su una acclarata parit
fra i sessi, ancora da raggiungere pienamente
sul piano pratico ma ormai scontata dal
punto di vista dei valori. Stieg Larsson con le
sue storie ci racconta unaltra realt, in cui il
tema ancora scottante e un conflitto cova
sotto la cenere. Ci dice che molti uomini
fingono di accettare il ruolo forte e autonomo
della donna mentre in realt non sono capaci di
accettarlo. Non pu essere un caso se, nei suoi
libri, i personaggi anche secondari che creano
ostacoli ai protagonisti appartengono tutti
(tutti!) alla razza degli uomini che odiano le
donne. E ovvio che c dietro una scelta
consapevole. Lautore ha stabilito che l c il
Male, e ce lo dice senza fare chiacchiere: con
pagine e pagine dazione mostra i danni fatti da
quel tipo di persone. La teoria retrostante
passa nel respiro del racconto, senza bisogno
di enunciarla.

Ecco quindi la ricetta di questo autore: ha


individuato un conflitto di valori interessante
perch sotterraneo e lo ha espresso
attraverso incalzanti trame gialle. La gente si
gusta queste storie efferate e a tratti un
poimprobabili, per quando esce dalla lettura
ha qualche elemento in pi per valutare il
collega dufficio o il parente che hanno -in
forma pi lieve- lo stesso problema dei cattivi
di Larsson.

Insomma, pensare agli ostacoli e ai nemici solo


come un elemento tecnico per creare curiosit
e tensione narrativa (chi vincer?) un
peccato. Unoccasione sprecata. Ormai che
abbiamo questi elementi (e in una storia
dobbiamo averli) vanno usati per raccontare
conflitti di valori del nostro mondo, espliciti o
sotterranei che siano.

Tutto ci che si oppone al desiderio del


protagonista (ostacoli, limiti, nemici) pu
dunque assumere uno status molto pi alto di
quanto assegnato finora. Non solo un
intralcio allazione che crea curiosit ma pu
(forse deve) raccontare un conflitto di valori
interessante.
A questo fine non basta dunque pensare
allevoluzione del personaggio ma anche a
quella del nemico (cio linsieme di ostacoli,
conflitti, antagonisti, che si oppone al suo
desiderio). Il loro scontro il modo con cui un
autore mette in scena il conflitto di valori.
Quindi una cosa su cui ragionare con rigore e
fantasia.

Per avere una buona storia non dovete solo


progettare-creare levoluzione del personaggio
da A a B, utile anche dedicare energie a
pensare come evolve il nemico.

Per fare un esempio: nella nostra storiella del


presunto rocker ci potrebbe essere a intuito
un percorso di questo tipo. Parte da un
desiderio esplicito (una vita speciale e fuori
dalle regole della normalit) che nasce da una
paura segreta (essere lui stesso un tipo
banale), poi attraverso la storia arriva al punto
B del cambiamento (accettare la propria
normalit e nel frattempo capire che la
normalit non banalit, anzi piena di
eroismo).

E ovvio che un cambiamento cos non avviene


in un istante n per volont: il personaggio
deve vivere esperienze, traumi e dolori che lo
costringano a una presa di coscienza che da s
non farebbe mai. Costruire il percorso da A a B
significa proprio questo: creare un crescendo di
ostacoli, conflitti e antagonisti su misura, per
far provare al personaggio esperienze ed
emozioni tali da giungere a quel punto. Nella
creazione di questo percorso non si deve
sentire la mano vostra, deve essere tutto
naturale: in compenso si pu (si deve) sentire
la mano del personaggio che, come abbiamo
visto, concorre alla creazione dei propri ostacoli
e dei propri nemici.
Per attenzione, vale anche il contrario: i
nemici e gli ostacoli concorrono alla creazione
del personaggio. Ogni volta che ne affronta
uno, il personaggio si rivela ai nostri occhi con
le sue reazioni, comunque mai del tutto
prevedibili. E soprattutto, alla fine del percorso,
il personaggio cambia proprio per merito di
tutti i guai che ha incontrato sul cammino.

Oltre a dedicare le vostre risorse di ingegneria


e creativit a delineare levoluzione del
personaggio, dedicatene altre a pensare al
disegno del male nella vostra storia. Che ad
opporsi alla volont del personaggio sia un
antagonista unico, un nemico diffuso, il caso,
la natura o quantaltro, la sua azione deve
essere sempre crescente, sempre
sorprendente, sempre appropriata ma
imprevedibile. Per far crescere il vostro
personaggio non c nulla di meglio che un
nemico potente. E per farlo arrivare nella
direzione in cui deve arrivare non c nulla di
meglio di un nemico intelligente che sa
colpirlo nei punti deboli.

A ragionare solo sullevoluzione del


personaggio si rischia di restare a secco o di
trovare soluzioni ripetitive. Ragionare anche
sullevoluzione e lescalation del nemico pu
essere di grande aiuto.

Tutto ci sar oggetto della prossima lezione.


Volevo anticiparvelo perch vi sar daiuto nel
fare gli esercizi finali. Ma prima una
precisazione.

Buoni, cattivi o?

Abbiamo parlato di male e nemico per


comodit ma in molte storie non sono
chiaramente delineati buoni e cattivi. Milan
Kundera, ad esempio, sostiene che il romanzo
non debba occuparsi di questo perch luomo
sogna un mondo in cui il bene e il male siano
nettamente distinguibili. Su questo desiderio si
sono fondate le religioni e le ideologie. Invece
il romanzo secondo Kundera il territorio in
cui nessuno possiede la verit, n Anna n
Karenin, ma in cui tutti hanno diritto ad essere
capiti, Karenin non meno di Anna.

La grandezza del romanzo consiste per


Kundera nel superare il desiderio istintivo di un
mondo diviso in bene e male, per approdare a
una sorta di saggezza dellincertezza, dove il
bisogno di capire supera quello di giudicare. E
il terreno dellironia romanzesca, in cui lautore
non giudica, semplicemente racconta i conflitti
fra i personaggi, senza prendere posizione,
anzi cercando di capirli tutti.

Se si imposta il conflitto di valori in questo


modo, restano tutti gli elementi della storia
(volont, ostacoli, conflitti, climax, eccetera)
ma scompare la distinzione fra il protagonista
(leroe) e i suoi nemici. Vengono a trovarsi
tutti allo stesso livello, sono protagonisti in
conflitto tra loro, senza che lautore si
identifichi col punto di vista di uno o dellaltro.
Come ne Lo Scherzo in cui Kundera tratta allo
stesso modo i diversi personaggi: per cui, pur
avendo conflitti anche aspri tra loro, non c il
buono e il cattivo, sono visti tutti con uno
sguardo imparziale che cerca di comprendere
le ragioni di ciascuno. Questo accade in
moltissimi romanzi, classici e non, ed forse
una delle principali differenze della trama nella
letteratura e nel cinema. Infatti al cinema gli
autori tendono pi nettamente a entrare nel
punto di vista di un personaggio principale, che
diventa leroe, mentre inevitabilmente chi vi si
oppone diventa il nemico. A mio avviso
questo deriva da una ragione ideologica o
estetica ma pratica: il tempo. Il cinema pi
breve, non c il tempo materiale per
empatizzare in profondit con pi personaggi.
Infatti gi nella fiction seriale, dove gli autori
hanno decine di ore a disposizione, le cose
cambiano. Ma un discorso difficile, da
intellettuali. Qua siamo artigiani, non ci
compete.

Esercizio finale

E giunta lora. Anche voi, come i


personaggi delle storie, dovete scegliere.
Avete gli inizi di storie fatti dopo la
lezione 1 e revisionati dopo la lezione 2.

Erano, ricorderete, storie fatte per essere


buttate via. Bene, il momento di farlo.
Scegliete quella che vi piace di pi e
buttate via le altre.

Nello scegliere la storia assicuratevi che ci


siano tutti gli elementi che devono esserci
in un inizio. Un protagonista, un desiderio
chiaro del protagonista, un evento che lo
costringa a mettersi in moto per
raggiungere il suo obiettivo. Poi deve
esserci la sua area di pericolo: questa
potete scriverla o non scriverla (in una
storia non si scrive) per voi dovete averla
ben presente, magari anche solo in modo
intuitivo,

Domanda: e se ci sono pi storie che mi


piacciono? Tenetene una sola lo stesso,
un esercizio. Sullaltra magari lavorerete
poi.

Bene, avete tenuto una storia. Su questa


dovete fare 4 cose:

1. Revisionare di nuovo linizio alla luce


della nuova lezione (scrivere riscrivere,
ricordatelo)
2. Andare avanti, costruendo un percorso
di Confitti e Ostacoli. Qualcosa si frappone
tra il protagonista e ci che desidera, lui
reagisce e supera il problema, poi c un
altro ostacolo, lui reagisce e Create un
percorso con almeno 4-5 ostacoli,
seguendo le regole espresse nella lezione.
Rileggete queste regole pi volte. Aiuta.
Non arrivate a scrivere il finale.

3. Uguale al punto 2, ma con contenuti


diversi. Prima avete creato un percorso
che parte con un ostacolo X? Bene ora
cambiate totalmente X e provate a vedere
che succede alla storia prendendo quella
direzione. Se vedete che imbocca una
direzione simile a quella precedente,
cercate di allontanarvi. Lesercizio serve a
sperimentare alternative. Anche in questo
caso create un percorso con almeno 4-5
ostacoli.
4. Ora avete un inizio di storia, ma due
sviluppi totalmente diversi. Scrivetevi una
piccola relazione sui due sviluppi,
valutandone caratteristiche, pregi, difetti.
Poi scegliete quella che vi sembra
migliore.

AVVERTENZA: qualcuno non ha ancora


iniziato a fare gli esercizi. Credo sia il
momento di farlo. Adesso si pu ancora
recuperare. Andando avanti sar sempre
pi difficile.

NOTA TECNICA

Molti mi hanno chiesto come devono essere


questi abbozzi di storie. Le domande principali
sono due.

-Quante pagine devono essere?

-Devono avere uno stile definitivo o essere solo


una traccia?
Risposta. Non sono questioni fondamentali. Gli
esercizi servono a prendere dimestichezza con
un metodo per fabbricare storie. Servono
quindi a sviluppare un modo di pensare pi che
a produrre un testo con determinate
caratteristiche.

Considerate questo: lo scritto che producete


un progetto di narrazione non una
narrazione. Nel cinema sarebbe un soggetto,
nella narrativa un progetto di romanzo da
dare alleditore per strappare un anticipo pi
alto J.

Quindi per ora non fatevi distrarre dallo stile. A


quello penseremo poi. Ora stiamo cercando di
imparare a costruire una trama. Quindi
limitatevi ad uno stile basic ma senza scrivere
semplici appunti, cercate comunque di
raccontare. Diciamo che in questa fase lideale
uno stile da giornalista di cronaca: raccontare
i fatti nel modo pi chiaro, diretto, preciso e
sintetico (so che ne siete quasi tutti capaci, ma
se volete qualche dritta in materia c
sullhomepage abc dello stile).

Tanto per dare dei numeri (indicativi) alla fine


il vostro progetto di storia dovrebbe stare
dentro le 10 pagine. Diciamo divise cos.

- 2 pagine per linizio della storia


(presentazione personaggi e situazioni,
incidente che avvia la storia)

- 6 per lo sviluppo (crescendo ostacoli-reazioni)

- 2 per la conclusione

Questi numeri sono puramente indicativi. E


solo per dare un riferimento a chi lha chiesto
LEZIONE 5

Le belle storie si scrivono da sole

(Francis Scott Fitzgerald)

Luscita del tunnel

Il primo teorico di Hollywood, Aristotele,


sosteneva che Ogni nostro stato di felicit o di
infelicit assume la forma di unazione. Si
potrebbe aggiungere che ogni conflitto di
valori, idee o visioni pu e deve assumere la
forma di unazione.
Sono parole da tenere presenti mentre iniziamo
a vedere luscita del tunnel e sbirciare il finale
della storia, che a mio avviso si presta meno
agli schemi e alle guide concettuali.

Sullinizio infatti si pu quasi teleguidare chi


scrive senza neanche sapere cosa sta
scrivendo. Basta fare domande. C un
protagonista definito? Ha una volont precisa e
-possibilmente- interessante? Quali ostacoli
esterni si oppongono alla sua volont? E quali
ostacoli interiori? Cosa desidera e di cosa ha
paura? C un evento che mette in moto la
storia?

Allinizio la maggioranza delle narrazioni ha


questo schema (poi, certo, non riconoscibile
come schema perch le risposte alle domande
devono diventare un racconto vivo, originale,
emotivamente vero. Ma le domande check up
si possono porre).
Sul finale no, non ci sono domande precise per
fare il check up. Persino i manuali di
sceneggiatura, che provano a ricavare una
regola anche sulla disposizione dei peli del
naso, quando arrivano al finale cominciano ad
intorcinarsi o a diventare evasivi. Sul concetto
che dovrebbe essere decisivo, quello di climax,
spendono tutti pochissime parole, come se
nessuno in realt lavesse mai capito bene e,
per prudenza, si limitassero a nominarlo.
Inoltre, tra i diversi teorici, sulla scansione
delle fasi finali si aprono divergenze abissali:
mentre sui primi tre quarti della storia
esprimono tutti circa gli stessi concetti (magari
cambiando un po i nomi), quando si arriva alle
regole per il finale ognuno la racconta in
modo diverso, e nessuno pare davvero
soddisfacente.

La verit secondo me semplice [parentesi,


ricordo che quando parlo di "verit" mi riferisco
sempre a piccole verit da artigiano praticone:
la promessa di questo corso "raccontare
quello che so su come scrivere una storia", non
"affermare cose giuste"], quindi, dicevo, la
verit per me semplice: sul finale non c
molto da dire.

Infatti il modo in cui si costruisce linizio


universale, ma andando avanti ogni storia ben
fatta traccia una sua propria strada,
disegnandola nel nulla. Ed ecco la fotografia:
siete in mezzo a una tundra deserta su una
strada che avete costruito voi. Nessuno pu
dirvi come e dove concluderla.

Spesso non solo i contenuti, ma anche la forma


del finale, la sua struttura e la sua scansione,
vanno inventati su misura in base al percorso
che precede. Nellaffrontare la parte pi
importante della storia siete soli.
Perch una cosa sicura: il finale la parte pi
importante della storia. Su questo la
stragrande maggioranza dei narratori pronta
a scommettere.

Se quello che hai messo in piedi non si scioglie


nellepilogo, hai fallito diceva Billy Wilder.

E il giallista Mickey Spillane: Il lettore mica


legge per arrivare a met, legge per arrivare
alla fine, quindi lepilogo deve essere cos
buono da giustificare tutto il tempo perso con
quel libro tra le mani.

Edgar Allan Poe: Il climax linterrogazione


finale la cui risposta deve contenere in s un
fardello inimmaginabile di dolore e di
disperazione. Si pu dire che il componimento
prenda inizio da questo punto: dalla fine, cio
da dove tutte le opere darte dovrebbero
incominciare.
Nel finale i nodi vengono al pettine. Le
domande che avete aperto devono trovare
risposta, i conflitti innescati devono avere una
conclusione; devono esserci dei vincitori e dei
vinti, dei cambiamenti nei personaggi. E
sarebbe bello che un senso - una parvenza di
senso, un vago odore - si sprigionasse dalla
sequenza di azioni che chiude la storia.

Il finale il momento pi alto della vostra


responsabilit di scrittori, quello in cui vi
rivelate e, volenti o no, esprimete ci che
pensate, forse anche ci che siete. Qualcuno,
leggendo, star meditando di cavarsela con un
finale aperto. Ma non funziona, anche il finale
aperto vi rivela: a parte i rari casi in cui
davvero necessario alla storia, vi rivela come
persona che non vuole prendersi
responsabilit.
[appunto di sociologia onirica. Forse si pu
misurare il livello di responsabilit di una
societ dalla diffusione dei finali aperti nelle
sue narrazioni. Le due cose sembrano andare
di pari passo: nei periodi storici in cui non ci si
prende la responsabilit dei finali, cala la
disponibilit generale a prendersi responsabilit
nella vita. Le generazioni dei finali aperti non
prendono mai il potere e fanno meno bambini.
Fine della sociologia onirica. Scusate ma
abbiamo attenti lettori al Censis!].

Insomma, il finale la parte pi importante


della vostra storia, e nessuno pu aiutarvi a
farlo. C una campagna deserta e una strada
che avete costruito voi. Dove e come
terminarla? Una indicazione c ma non la
trovate in corsi e manuali: sta nel cammino che
avete tracciato. Se il percorso della vostra
storia stato costruito bene, c una sola
destinazione possibile e sta a voi trovarla.
In una buona storia il finale non solo
giustificato, ma lunica conseguenza
possibile (John Vorhaus). Insomma, il finale
della vostra storia gi scritto. Basta
sperimentare 10, 20, 30 idee: quando arriver
quella giusta, lo saprete.

Micro-corso di sceneggiatura

Ma non voglio cavarmela con questo


suggerimento misticheggiante e vago. C
unaltra cosa -importante- che si pu fare per
avere un buon finale: ragionare su ci che
viene prima, la parte centrale della storia.
Labbiamo gi trattata nella lezione 4, ma era,
come dire, una visione della parte centrale
come conseguenza dellinizio. Invece va vista
e pensata, anche e soprattutto, come
preparazione alla fine. Se costruita bene,
parler, vi mander segnali su come va
costruito il finale della vostra storia.
Se invece la parte centrale non funziona vi
mander segnali incoerenti e dovrete
rassegnarvi a improvvisare un finale un po a
caso. Magari, come dice Henry James con
sarcasmo, farete uno di quei lieti fini con
distribuzione di premi, pensioni, mariti, mogli,
bambini, milioni, paragrafi aggiunti e allegri
commenti. Oppure il contrario: distribuzione di
dolori, miserie, divorzi, aborti e straziati
lamenti. Comunque un finale arbitrario, che
nasce da una improvvisazione, anzich cadere
come il frutto maturo della storia scritta sinora.
Il finale infatti la cartina di tornasole di tutto
il percorso: se avete camminato bene, salter
fuori (anche se magari non subito) un bel
finale. Se non salta fuori, avete camminato
male.

Il guaio spesso si annida nella parte centrale


della storia, un terreno vasto e infido, una
sorta di grande centro paludoso dove spesso
ci si pianta, la tensione cala, si cade nelle
ripetizioni o si imboccano deviazioni che non
centrano. E la parte dove, nelle iper-storie,
appaiono alieni, serial killer ciechi e buchi neri.
E la parte in cui, nelle non-storie, il
protagonista inizia a ripetere quel che ha fatto
allinizio, con gran noia sua e nostra. Far
avanzare la storia nella parte centrale
(avanzare, non deviare o tirare in lungo) un
compito difficile.

Per affrontarlo meglio ci faremo aiutare dalla


tecnica narrativa forse oggi pi codificata,
quella che si usa nelle sceneggiature per il
cinema. Sinora ho preso concetti da l come
dalla narrativa e dal teatro. Per affrontare
meglio il tema finale & dintorni (nei vari
mezzi) ora faremo un micro-corso accelerato di
struttura narrativa per il cinema. Ci dar
qualche concetto utile.
La struttura in tre atti

Secondo i manuali di sceneggiatura la parte


centrale racchiusa tra due svolte importanti.
Quella che chiude il primo atto e quella che
apre il terzo. Io non ho mai parlato della
struttura in tre atti perch davo per scontato
che la conosceste tutti, ma forse meglio fare
un passo indietro.

La struttura in tre atti una teoria estetica pi


antica del cristianesimo. Fu elaborata la prima
volta da Aristotele nel IV secolo Avanti Cristo
ragionando sulla struttura della tragedia greca.
Per secoli stata usata da drammaturghi
europei, ha permeato la struttura delle fiabe
popolari e dei cantastorie ed stata usata per
scrivere romanzi. Infine negli ultimi 50 anni
diventata (con varianti assortite) la Bibbia di
Hollywood.
In sintesi: la teoria dei tre atti resiste da troppo
tempo, in troppi contesti e mezzi diversi, per
essere arbitraria o solo estetica. E evidente
che connessa a qualche legge oggettiva insita
nella percezione umana, o perlomeno in quella
occidentale. Possiamo e dobbiamo rinfrescare
questa struttura, rinnovarla e mascherarla
(anche perch luso massiccio che ne ha fatto
lindustria dellaudiovisivo Usa lha resa cos
familiare da suscitarci un senso di deja vu
quando la troviamo applicata in modo troppo
lineare). Per non possiamo prescinderne,
almeno secondo me. Presentarsi dicendo O
babbei, sono 2400 anni che sbagliate, adesso
arrivo io e vi spiego come funziona non mi
mai parsa una buona idea.

In sintesi, cerchiamo di capire come funziona la


struttura in tre atti vedendola in due versioni:
una pura (ne parla ad esempio Yves Lavandier)
e una modificata (ne parlano tra gli altri Syd
Field, Robert McKee, Linda Sieger, eccetera).

La struttura in tre atti (versione pura).

Primo atto

Presentazione di personaggi e ambiente.


Accade levento scatenante che mette in moto
la storia e crea la volont del protagonista di
conquistare qualcosa che desidera (o
riconquistare qualcosa che ha perso). Insomma
si stabilisce la domanda iniziale: X vuole la tal
cosa, ce la far a raggiungerla?

Secondo atto

Lescalation, cio la lotta del personaggio per


raggiungere il suo obiettivo confrontandosi con
ostacoli via via crescenti. Gli ostacoli sono di
varia natura (lambiente e la natura, le regole
sociali, i nemici e gli oppositori, i limiti fisici e
interiori del personaggio).
Terzo atto

Risoluzione. La scena o sequenza di scene che


risponde alla domanda posta allinizio: il
protagonista raggiunge la sua meta o no?

Questa divisione in tre atti pura ha un


vantaggio: davanti a una storia si capisce
benissimo quali sono gli atti, senza possibilit
di equivoco. Tuttavia ha il difetto di essere
poco utile come bussola per chi scrive. Molte
storie diventano infatti un unico enorme
secondo atto. Pensate al classico thriller dove
alla prima scena si scopre il cadavere di un
serial killer e alla seconda si stabilisce la
volont del detective di catturare lassassino. A
quel punto inizia il secondo atto che prosegue
fino alla penultima scena in cui il detective
piglia lassassino oppure (pi raramente)
muore o rinuncia allimpresa.
Insomma, questa divisione in atti chiara ma
inutile: lintera storia, a parte due scene in
testa e due in coda, diventa un infinito secondo
atto.

Nella pratica invece di grande utilit poter


scomporre una storia in tre atti di lunghezza
analoga. Pensare di scrivere una storia appare
un compito infinito: lidea di scrivere un buon
primo atto gi pi abbordabile. Ecco perch
ritengo pi utile la struttura in tre atti
modificata, che amplia il primo e il terzo atto
componendo la storia in tre parti quasi uguali.

Il difetto della struttura modificata che poi


distinguere gli atti diventa una faccenda da
glossatori medievali: in America si litiga sui
forum per stabilire quale sia -su un certo film-
la vera fine del primo atto, o il vero inizio del
terzo. E a volte non riescono a mettersi
daccordo.
Ma noi non siamo critici o studiosi, siamo
artigiani. Non ci interessa avere la chiave di
lettura giusta, ma uno strumento che ci aiuti.

La struttura in tre atti modificata funziona


meglio allo scopo. Tra quelle che conosco, io
prediligo la versione di McKee alla quale ho a
mia volta apportato alcune modifiche. Non
perch pensi di essere pi bravo (per carit)
ma solo perch gli strumenti pratici vanno
adattati a se stessi. Io lho fatto scrivendo: mi
accorgevo che mi distaccavo dallo schema
sempre allo stesso modo, e cos, nella mia
testa, lho aggiornato alle mie inclinazioni.

Quella che vi sottopongo dunque lo schema


di una struttura in tre atti modificato alla
McKee, e poi un altro pochino anche da me
(raccomando per assolutamente di leggere
per intero il libro di McKee, citato in
bibliografia: ne vale assolutamente la pena).
Struttura in tre atti modificata due volte

Prendiamo come base una sceneggiatura


italiana che di circa 100 pagine, il che
equivale a 100 minuti (1 a pagina). Lo dico
perch indicher il numero di pagine in cui
dovrebbero apparire la fine dellatto, le svolte, i
colpi di scena. Ovviamente si tratta di numeri
indicativi, servono a far capire il sistema di
pesi di una struttura in tre atti. Non prendeteli
alla lettera e non azzardatevi a dire che vi ho
detto di mettere un colpo di scena a pagina x.
E solo un esempio per capirci.

Per tenete conto che, in termini di pesi,


lesempio sensato e nasce dallanalisi di
migliaia di film (fatta da altri, non da me):
discostarsene un po va bene, discostarsene
troppo pu provocare squilibri che poi sullo
schermo diventano lentezza, noia, ripetizione o
quantaltro.
Ultima precisazione, poi la pianto: con questo
schema che costruisco le mie storie? Non
proprio, o meglio: non adesso. Per
seguendo questo schema che ho imparato.
Solo dopo averlo applicato in una quindicina di
film (la met rimasti inediti) sono riuscito in
parte ad andare oltre: cio ad ottenere gli
stessi effetti drammaturgici in modi un po
diversi. Per da qui che sono partito, qui
che per un pezzo sono rimasto, ed qui che
consiglio a chi inizia di sostare per un bel po.

Primo atto, da pag 1 pag 35 circa

Da pg.1 a pg. 15 circa: inizio della storia,


presentazione dei personaggi e dellambiente,
raffigurazione del protagonista, del suo
carattere, del suo sistema di relazioni. Va
ricordato: la presentazione non mai statica
ma si esprime gi attraverso azioni e conflitti, e
magari avvia qualche sottotrama, come
spiegheremo meglio in seguito.

Pg 15 circa. Avviene levento scatenante che


avvia la storia: da qui in poi sappiamo cosa
vuole il protagonista e ci chiediamo se riuscir
ad ottenerlo. Ho scritto pagina 15 ma una
media. Lideale, da quel che ho sperimentato,
che la storia si metta in moto a pagina 10 del
copione. Poi ovvio che dipende dalla storia:
se si parla della civilt Inca forse serve un po
di preparazione in pi. Io non andrei
comunque oltre pagina 20.

Se non capite il perch di queste prescrizioni,


pensate a voi stessi come spettatori. Andate al
cinema e dopo mezzora non avete ancora
capito di cosa tratta la storia: vi viene il
nervoso. Invece se dopo 10 minuti di film
sentite che parte una storia e si capisce con
chiarezza quale, pensate beh, qualcosa
succede, non proprio una fregatura
colossale.

Da pag 15 a pag 30-35 circa: Il personaggio


inizia a cercare di raggiungere la meta. Si
trova, come nella vita di ciascuno di noi, un
intero mondo di ostacoli e nemici che si
oppongono. Inizia ad affrontarli sinch, alla fine
del primo atto (nel nostro schema intorno a
pag. 35) avviene una svolta che cambia
direzione alla storia. La svolta pu avvenire in
mille modi. Ad esempio il personaggio ha una
reazione sbagliata ad uno dei primi ostacoli e
finisce nei guai. Oppure i nemici gli impongono
una sterzata anche non voluta. Oppure lui
stesso -misurandosi contro nemici e ostacoli -
capisce che cos non raggiunger mai il suo
obiettivo e decide di alzare il livello dello
scontro, di cambiare strategia, di trovarsi un
alleato, o qualunque altra cosa. Limportante
che sia una svolta vera, che cambia direzione
alla storia ma senza cambiare la storia. Si
differenzia dalle tante altre svolte di cui una
buona narrazione piena perch rappresenta
un punto di non ritorno. Compiuta questa
scelta il protagonista non pu pi tornare alla
situazione iniziale.

Questa la sintesi del primo atto: in 30-35


minuti avete presentazione, messa in
moto della storia, prima lotta contro gli
ostacoli, prima svolta senza ritorno.

Capite che, concepita cos, la divisione in atti


rappresenta un grande aiuto per superare il
panico da viaggio nel Sahara con mezza
minerale. Ora non ho pi davanti linfinito di
una storia da inventare, mi basta creare una
struttura di 30 minuti. E pi facile, o almeno
sembra tale: e questo limportante per noi
scrivani che -checch se ne dica- abbiamo
bisogno soprattutto di coraggio ed entusiasmo.
Considerate per che creare una svolta capace
di cambiare direzione alla storia e produrre un
punto di non ritorno non facile. Come diceva
gi Diderot: La genialit che dispone gli
incidenti sembra pi rara di quella che trova
dei discorsi ben fatti. Ci sono pi opere con bei
dialoghi che opere strutturate bene.

Vediamo, giusto per capirci meglio, alcuni


esempi di svolta-fine primo atto:

1. Classico thriller, detective a caccia del serial


killer. A fine primo atto il detective scopre che
il killer sa cose conosciute soltanto dentro il suo
gruppo di lavoro, un gruppo unito e solidale,
mito della Polizia. Il mostro uno di loro!
Questo non cambia la storia (si continua a
cercare il killer) ma cambia completamente la
direzione e la posta in gioco, cio il rischio: ora
il detective rischia molto di pi: il killer un
suo amico, potrebbe anche essere lamico del
cuore. Inoltre comincia a mettere in
discussione se stesso: se guida quel gruppo e
non s mai accorto di avere dentro un mostro,
forse ha qualche problema anche lui. E la
stessa storia ma ha preso unaltra direzione e
non si torner mai pi alla situazione iniziale (il
gruppo di lavoro armonioso). La storia ha preso
una piega del tutto inaspettata. E quello che
deve fare una buona svolta (o colpo di scena,
chiamatelo come volete).

2. Altro esempio, una storia di formazione. Un


giovane ha un obiettivo molto normale (trovare
un lavoro pertinente coi suoi studi) ma non
riesce a raggiungerlo. Le prova tutte ma sbatte
sempre contro un muro. In compenso vede un
sacco di idioti che riescono perch hanno
lappoggio giusto. Decide allora di allearsi con
una persona potente e affascinante, forse non
troppo pulita. Vuole usare quel rapporto come
un autobus che lo porti alla meta e poi
scendere. Questo cambia direzione alla storia:
aumenta la posta in gioco e il rischio del
personaggio (non pi fare un lavoro di
merda ma perdere lanima). Anche lo
scontro di valori cambia, non pi giovane col
merito contro societ dei previlegi: adesso il
conflitto merito-previlegio si spostato dentro
il protagonista. Lattenzione si ridesta
immediatamente.

3. Una storia damore. Una donna ama un


uomo ma non riesce a prenderlo. Lui sfugge
perch sposato, i due hanno una storia e lui
dice di amarla alla follia ma non riesce a
lasciare la moglie. Alla fine del primo atto la
protagonista dice basta: o lei o me. Lui
risponde te. La storia ha cambiato
radicalmente direzione. Anzi in apparenza lha
cambiata sin troppo perch sembra diventata
unaltra storia (se la domanda iniziale era lei
prender luomo che ama? appena lo prende
la storia finito). Ma non cos perch la
svolta del primo atto deve ancora arrivare: lei
scopre che dopo aver lasciato la moglie, lui
sfuggente come prima. Ora colpa di impegni
crescenti di lavoro, o della malattia di un
genitore, ma la sostanza non cambia: lamato
continua a sfuggirle. Lei comincia a sospettare
che il problema vero stia altrove: ma dove?

La svolta o lei o me non ha cambiato il tema


della storia (lo prende o no?) per ha cambiato
direzione e anche alzato la posta in gioco. Ora
lei non sta pi dentro una storia clandestina ma
dentro una relazione damore: e continua a non
funzionare. Eccetera eccetera.

(noto tra parentesi che la svolta in due fasi


sempre molto soddisfacente. Fase uno: sembra
tutto risolto. Fase due: si scopre che il
problema era un altro).

Perch svoltare?
Domanda delle cento pistole: perch vi sto
dicendo che alla fine del primo atto
necessario creare una svolta che cambia
direzione alla storia, alza la posta in gioco e
rappresenta un punto di non ritorno? Tre
risposte:

-la prima, che mi secca quasi dover dare, un


dato di fatto: lattenzione umana tende a
smorzarsi dopo mezzora. Se non date una
netta sterzata alla storia, lo spettatore
comincer a distrarsi, a pensare ai fatti suoi, a
guardare i vicini, a chiedersi se comprare o no i
pop-corn nellintervallo.

-la seconda, pi filosofica e dunque pi


interessante, che questa svolta avvicina il
protagonista alla sua area di pericolo, che
la vera meta del viaggio. Pensate ai tre
esempi: in tutti e tre il protagonista toccato
pi da vicino dopo la svolta. Il detective che ha
nel gruppo un mostro non pi uno che va
solo a caccia del male l fuori: uno che
inizia a chiedersi dove ho sbagliato?, e
dunque a cercare il male qua dentro. Il
giovane che cerca il protettore potente si
trasforma: da eroe che ha ragione al 100% a
tizio che rischia di perdere lanima. E la donna
che scopre come lo sfuggente continui a
fuggire anche dopo aver lasciato la moglie
inizia a pensare allora forse colpa mia, non
gli piaccio abbastanza, eccetera. Ciascuno dei
personaggi si sta avviando verso la sua area di
pericolo. Senza sapere nulla di loro, avendoli
inventati solo per farvi un esempio, ora gi so
che tipi sono, e dove sta a grandi linee la loro
area di pericolo. Questa la potenza delle
svolte. Vi crea il personaggio. Non a
chiacchiere ma con la forza dei fatti. In un
dialogo tra sceneggiatore e personaggio
suonerebbe cos: Se so la tua svolta, so il tuo
problema.

Lho gi detto ma lo ripeto: questi schemi


seguono la vita reale. Noi vorremmo
raggiungere le nostre mete senza mai doverci
confrontare con i nostri punti deboli. Ma, nella
vita, finch non facciamo i conti con questi
punti deboli non raggiungeremo le nostre
mete, oppure, se lo faremo, tenderemo a
rovinare tutto con le nostre mani. La vita reale,
come una buona storia, ci costringe a misurarci
con noi stessi per raggiungere i nostri desideri
(che nascono, non a caso, come ricorderete
dalla nostra area di pericolo in cui stanno le
nostre debolezze). Ecco come un meschino
ma necessario espediente per risvegliare gli
spettatori distratti dopo mezzora, diventa
loccasione per spingere il personaggio verso il
cammino socratico del conosci te stesso.
-La terza risposta che nelle svolte senza
ritorno prende forma quello che ho chiamato
il disegno del male. Non rifaccio tutta la
cantilena, ma in ciascuno dei tre esempi la
svolta dice tutto non solo sul protagonista ma
anche sul suo nemico (inteso come le varie
forze che ostacolano il suo cammino). Ne
parleremo pi vanti, per ora registrate il
concetto: importante.

Secondo atto

Il secondo atto la palude dove spesso ci si


pianta. E infatti il pi lungo (nostro schema, in
cui gi accorciato, va da pag 35 a 75) e non
ha particolari agganci.

Lunica cosa certa che anche il secondo atto


chiude con una svolta senza ritorno. In un film
ce ne sono solo due: una alla fine del primo
atto, una alla fine del secondo. Ma gi sono
tante: come avete visto dagli esempi, non
facile inventarne una. Inventarne due, per di
pi collegate tra loro, nonch a quel che viene
prima e quel che viene dopo, non facile.

La svolta che conclude il secondo atto quella


decisiva che preparer il protagonista alla
risoluzione finale, cio alla risposta definitiva
alla domanda posta in partenza (raggiunger
o no il suo obiettivo?).

Cosa deve accadere nel lungo percorso del


secondo atto (che ripeto, io ho gi accorciato
rispetto a tutti gli schemi trovati in giro)? In
apparenza ben poco: ci che necessario per
passare dalla svolta del primo atto alla svolta
del secondo. Tutto qua.

Domanda: abbiamo impiegato 35 pagine per


passare dal nulla alla prima svolta, perch ora
ne servono 40 per arrivare alla seconda?
Risposta: perch la seconda svolta porta il
protagonista di fronte al nocciolo del suo
problema, quella che abbiamo chiamato la sua
area di pericolo. E ogni essere umano fa
tutto- ma proprio tutto- ci che gli possibile
per evitare questo confronto. E dunque
compito della storia, cio del conflitto tra il
protagonista e i suoi nemici, cio del crescendo
problema-reazione-problema-reazione,
mettere il personaggio in una situazione tale
da costringerlo ad andare in fondo a se stesso.
Ecco perch il secondo atto cos lungo.
Perch questo noi umani non lo vogliamo fare.
La trama serve -come lesistenza- per
costringere il personaggio a farlo. Nella fiction
come nella realt, sono i momenti pi dolorosi
ma anche di maggiore crescita.

E la metafora del drago nelle fiabe per


bambini. Vi siete mai chiesti perch, in tante
favole, quando il principe arriva al suo
obiettivo, appare dal nulla un drago che lo
presidia? Non un cavaliere, non un esercito,
non un cannone: no, lostacolo supremo un
drago, creatura stregata che appare dal nulla e
non si sa da dove venga. Io ho sempre pensato
che venga dal cavaliere: il drago la metafora
del nemico interno che ciascuno di noi deve
sconfiggere per raggiungere la sua meta. Il
drago la paura del cavaliere che prende
forma nella nebbia.

Se quindi il terzo atto la lotta contro il drago,


il secondo il percorso che costringe leroe a
decidersi ad affrontarlo.

Ecco quindi lobiettivo della parte centrale:


arrivare ad una seconda sterzata, collocata
circa a tre quarti del racconto, che dia alla
storia una nuova direzione. Non scelta a caso
ma precisa: una strada che ormai punta con
decisione verso larea di pericolo del
personaggio, cos che nel giro di poche scene,
e qualche altro ostacolo, sia pronto ad andare
in fondo a se stesso. A battersi col suo drago.

Cominciamo quindi ad avere unidea su come


strutturare la palude della parte centrale,
abbastanza vaga per non imbrigliarci ma
abbastanza sostanziosa per non perderci.

La crescita e il male

Quello che affronta il personaggio nella parte


centrale dunque, tra le tante peripezie, un
percorso di crescita. Come tutte le crescite
interiori non sar lineare, proceder a balzi
alternati a lunghe stasi, e sar condizionato
dagli ostacoli che si trova di fronte.

Come costruirlo? In teoria ci sono due strade.


Una quella di tracciare il percorso di crescita
del personaggio e poi di dedurre in modo
logico gli ostacoli e i nemici da fargli trovare
davanti per costringerlo a fare quel percorso. E
forse in teoria il modo di procedere pi
razionale, ma personalmente lo trovo freddo.
Io faccio a rovescio: inizio a gettare un grosso
guaio tra i piedi del personaggio, e vedo come
reagisce e come se la cava, dalle sue reazioni
gli faccio nascere un guaio pi grosso, e via a
crescere: piano piano, quando mi gira dritta,
scopro chi , qual la sua area di pericolo, e
dove deve andare la storia. Ovviamente per
procedendo cos si fa un gran casino. E
impossibile che esca un percorso coerente e
strutturato. Esce un caos in cui individui a
fatica una direzione.

E infatti gli schemi secondo me non servono


per scrivere: servono per riscrivere. O
comunque per mettere ordine fra mille idee e
mille possibilit creative che sono gi venute
fuori, trovando un senso preciso al caos tipico
delle fasi di brainstorming.
Anzi, se proprio volete sapere il mio metodo
pratico, ogni mia storia parte cos: da una cosa
che chiamo brainstorming. A volte un file, pi
spesso scrivo appunti a mano usando il retro
dei fogli gi stampati. In questa fase non mi
pongo obiettivi di ordine strutturale, mi getto
a ruota libera nella creazione. Ovviamente uso
i criteri che ho scoperto essere funzionanti e di
cui parlo nel corso. In primis, la premiata ditta
Ostacoli & Conflitti. Quindi getto petardi tra i
piedi del personaggio e vedo come se la cava,
ma non mi curo che le varie idee siano gi
tutte in fila, nemmeno che siano coerenti fra
loro. Spesso tengo idee chiaramente
alternative, senza scegliere. Continuo a
compilare fogli di appunti, spesso scritti di
getto, e a moltiplicare le idee. Prima o poi
arriva una luce, cio vedo una possibile meta:
un potenziale finale che mi piace.
A quel punto torno indietro e inizio a scremare
le idee: quelle che non centrano le butto,
quelle che si accordano con la luce intravista
le rielaboro, e verifico quali sviluppi possono
dare. Solo quando ho un certo numero di fogli
(spesso decine, a volte oltre il centinaio) mi
metto l a lavorare di ingegneria.

Ecco, io credo molto nella ingegneria del


racconto e la faccio tornare in varie fasi, ma
quasi sempre per mettere ordine alla creativit,
non per generarla.

In realt succede anche il contrario, ma pi


avanti, alla seconda o terza stesura. Qualcosa
non funziona allora torni alla teoria, fai una
spietata analisi di ingegneria strutturale per
capire quale il problema. E poi lavori
creativamente per risolverlo. Sempre che sia
possibile. Una volta, su una sceneggiatura gi
finita, mi capitato di convincermi che il
problema era il desiderio iniziale del
protagonista, che era stato mal scelto rispetto
a certi sviluppi che volevo dare alla storia. Ho
buttato via tutto. Se sbagli le fondamenta non
c nulla da fare.

Mi capita anche spesso di strutturare un


racconto e mettere ordine tra le idee creative
basandomi su un certo finale che ho in mente.
ma poi, mettendo ordine, saltano fuori nuove
cose, nuovi risvolti del personaggio, nuove
minacce, e alla fine elaboro un nuovo finale pi
bello. A quel punto bisogna tornare di nuovo
indietro perch il racconto diventi un albero
che, come un frutto maturo, lasci cadere il
nuovo finale che ho pensato, non quello
vecchio. Insomma tutto un avanti e indietro.
Per dire, non sono mai riuscito a consegnare le
prime 30 o prime 50 pagine di una
sceneggiatura. Ad un certo punto le ho,
ovvio, ma che ne so se alla fine saranno ancora
quelle? Avere una concezione della storia come
organismo unico significa lavorare
contemporaneamente su tutte le parti del
testo. Finch non perfetto, in teoria. Finch
non ne puoi davvero pi, nella realt sincera
dei fatti.

Tutta questa confessione (che non so quanto


interessi) serve solo per dare il giusto peso a
schemi, concetti e metodi. Per me sono
essenziali ma servono solo come vaga bussola
per orientarti nel caos che stai creando, non
devono diventare un Tom Tom a cui affidarsi
per trovare la strada in tutta tranquillit. Quella
unillusione. Il caos creativo, come il panico
di non farcela o linsicurezza di non essere
capaci, sono ingredienti base dello scrivere.
Non voglio che questi schemi e concetti
spingano qualcuno a credere di poterli evitare.
Coraggio. Con altre due lezioni (una in arrivo
prestissimo) finiremo la parte come si
costruisce una storia. Per il seguito lancio un
sondaggio. Cosa preferite dopo? Vi do varie
opzioni pi una libera, in cui potete chiedere
quello che volete

1. Entrare nello specifico della sceneggiatura.


E il mio settore, lo dovrei conoscere meglio. I
primi temi sarebbero cose tipo: scrivere una
scena, i segreti dei dialoghi, scrivere un
soggetto avvincente, eccetera

1. Avventurarci nella narrativa, settore che


come avete visto amo molto ma in cui ho
scarsa competenza certificata
2. Fare un altro po di zen e arte della
scrittura (tipo lezione 3)
3. Piantarla con le ciance e scrivere tutto
quello che so su come si fa a vendere
copioni e romanzi inediti (vi avverto che
non ne so molto)
4. Approfondire concetti gi espressi in
questa prima parte, come ad esempio..
5. .

Esprimete il vostro voto nei commenti a questa


lezione. Seguir lopzione vincente. Lesercizio
stavolta non ve lo do, arriver alla fine della 6.
Per potete ragionare sulla vostra storia sulla
base di ci che avete letto. Lesercizio sar su
quello, lo sapete gi.

ALTRI MATERIALI DEL CORSO

Un ABC dello stile

Questa sezione tratta alcune regole base di una


scrittura chiara, funzionale ed efficace. Sono
cose che ho scritto in passato, quando mi
occupavo di giornalismo, e che ho riunito per
questo corso.
Si tratta, diciamo, di una lezione
supplementare e facoltativa riservata agli
studenti pi acerbi.

Infatti questo testo non serve a chi gi conosce


le regole base e anzi, come molti scrittori,
magari sta tentando di superarle per giungere
a un proprio stile personale.

Per non tutti i partecipanti al corso sono allo


stesso punto, quindi ad altri pu invece servire
un ABC di stile modellato sui criteri della
scrittura giornalistica, che deve essere chiara,
precisa ma anche accattivante.

E del tutto evidente ma lo voglio ribadire:


queste regole di stile riguardano lABC della
scrittura e dunque non servono, ad esempio, a
scrivere un buon romanzo. Tuttavia, anche per
scrivere un romanzo bisogna conoscerle.
Possiamo tranquillamente superare lABC dello
stile per scelta artistica, ma non per ignoranza.
Gli esempi sono a volte un po datati e la
trattazione non del tutto completa. Per c
molta roba.

Stile giornalistico

La chiarezza

La chiarezza di un testo dipende da vari fattori


ma non , come si potrebbe credere, un
criterio vago. Ci sono persino delle formule
matematiche attraverso le quali possibile
misurare lindice di leggibilit in uno scritto. Tra
queste, la pi usata quella proposta da
Rudolph Flesch nel 1946.

Scriveva nel 1979 il linguista Tullio De mauro


usiamo questa formula come misura di prima
approssimazione, allinterno del gruppo
redazionale degli Editori Riuniti. In generale,
sulla base di questa esperienza, si pu dire che
lapplicazione della scala di Flesch d buoni
risultati: ci che essa valuta come molto o poco
leggibile risulta quasi sempre tale anche da
altri punti di vista. Abbiamo (in un anno e
mezzo) trovato solo un paio di eccezioni.

Senza entrare nel dettaglio, le regole principali


su cui si basa la formula di Flesch sono due:

- una frase corta pi leggibile di una frase


lunga

- una parola corta pi leggibile di una parola


lunga

Sono affermazioni tanto semplici da poter


sembrare ovvie, anche se i numerosi testi
confusi e incomprensibili che vengono stampati
ogni giorno dimostrano che ovvie purtroppo
non sono.

Dunque, per essere leggibili dobbiamo


innanzitutto scrivere frasi brevi, evitare i
periodi interminabili, usare con parsimonia le
subordinate, gli incisi, le parentesi. In poche
parole: il nostro strumento principale deve
essere il punto e non la virgola. Nei giornali
anglosassoni, quando ci si vuole rivolgere ad
un pubblico di cultura semplice, si raccomanda
ai redattori di scrivere frasi che non superino le
18 parole. Quella che state leggendo dunque,
per un quotidiano popolare inglese, la frase pi
lunga consentita al giornalista.

In Italia, invece dura a morire la tradizione


avvocatizia e burocratica fatta di frasi tortuose
che non finiscono mai. Viene in mente il filosofo
Hume, che disse di apprezzare Kant ma di non
aver abbastanza dita per poterlo leggere:
infatti per non perdersi nel discorso segnava
con lindice la frase portante, con il medio la
prima subordinata, e cos via, ma quando le
due mani erano gi occupate, la frase non era
ancora finita.
Non bisogna pensare che questi suggerimenti
facili valgano solo per chi scrive sui quotidiani
popolari inglesi. Umberto Eco un autore
apprezzato nelle universit di tutto il mondo
per i suoi complessi testi di semiotica. Eppure,
il suggerimento che d agli studenti per
scrivere la tesi di laurea, esplicito:

Non siete Proust. Non fate periodi lunghi. Se


vi vengono, fateli, ma poi spezzateli. Non
abbiate paura a ripetere due volte il soggetto,
lasciate perdere troppi pronomi e subordinate.
Non scrivete:

Il pianista Wittggenstein, che era fratello del


noto filosofo che scrisse il Tractatus Logico-
Philosophicus che molti oggi ritengono il
capolavoro della filosofia contemporanea, ebbe
la ventura di aver scritto per lui da Ravel il
concerto per la mano sinistra, dappoich aveva
perduto la destra in guerra.
scrivete caso mai:

Il pianista Wittggenstein era fratello del filosofo


autore del celebre Tractatus. Il pianista
Wittggenstein aveva perduto la mano destra.
Per questo Ravel gli scrisse un concerto per la
mano sinistra.

Quello che poteva sembrare un complesso


testo per specialisti, era soltanto una frase
confusa, che diventa pi chiara e pi sintetica
aggiungendo due punti, ripetendo una volta il
soggetto e togliendo le parole inutili..

Se il primo metodo per ottenere la leggibilit


scrivere frasi brevi, il secondo consiste
nellusare di preferenza parole corte.

E intuitivo che una parola lunga sia meno


leggibile di una parola corta. Ed subito
sera, un verso immediato, penetrante.
Invece e discende rapidamente limbrunire,
una frase che ha il merito di confondere le idee
con tre sole parole.

Se Giulio Cesare, anzich venni vidi vinsi


avesse detto pervenni, rimirai, colsi vittoria
avrebbe fatto ridere i suoi soldati e non
sarebbe entrato nelle antologie. Ancora peggio,
se avesse creduto che gli avverbi servano a
rafforzare il discorso. In questo caso avrebbe
detto Pervenni prontamente, rimirai
attentamente, colsi vittoria astutamente. In
realt con questo stile di espressione, e dunque
di pensiero, forse non sarebbe stato in grado di
vincere nemmeno una partita a briscola.

Mettendo allopera le due semplicissime regole


che stanno alla base della formula di Flesch
(scrivere frasi brevi e usare parole corte) si pu
dunque esprimere la notizia pi complessa in
termini comprensibili a tutti.
Un severo direttore una volta disse al
principiante giornalista: Quando scriver un
articolo, si ricordi che ogni frase ha un
soggetto, un predicato, un complemento
oggetto. Punto. Poi di nuovo soggetto,
predicato, complemento e punto. E quando
sentir il bisogno di usare un aggettivo venga
nel mio ufficio a chiedermi il permeso.

Naturalmente, non va preso alla lettera.


Bisogna fare attenzione a non confondere la
semplicit e la chiarezza con la banalit. Una
scrittura piatta e uniforme risulta illeggibile
quanto una contorta perch diventa
rapidamente noiosa. E passiamo a qualche
regola specifica.

Variare la struttura del discorso

Per evitare che la chiarezza si trasformi in


banalit, bisogna evitare di ripetere per due
frasi in successione una identica struttura del
discorso. Anche senza entrare in un dedalo di
subordinate e parentesi, possibile trovare ad
ogni frase una forma specifica.

Il tempo dei verbi, luso della forma attiva e di


quella passiva, la posizione dei segni di
punteggiatura, il rapporto tra le frasi,
lorganizzazione del testo in capoversi, la
posizione della singola parola nel contesto della
frase: tutti questi elementi, possono creare
infinite variazioni anche nello stile pi semplice.
Vediamoli uno per uno.

Frasi vicine, inizi diversi

Non cominciare due periodi in successione con


la stessa parola. Oltre al fastidioso senso di
ripetizione, si rischia di confondere il lettore. Se
due periodi vicini iniziano allo stesso modo
possibile che, dopo una breve interruzione, il
lettore riprenda a leggere dal punto sbagliato.
Come e quando usare la forma passiva

In genere, un periodo pi leggibile se


espresso in forma attiva. La stabilit della lira
favorisce gli investimenti pi immediato che
non gli investimenti sono favoriti dalla stabilit
della lira. Tuttavia dipende da quello che
vogliamo dire: diverso se al centro del nostro
discorso c chi fa lazione oppure chi la
subisce. Prendiamo queste due frasi:

Il maltempo ha provocato sette incidenti

Sette incidenti sono stati provocati dal


maltempo

Non che una sia giusta e laltra sbagliata: la


prima va bene se stiamo parlando del cattivo
tempo, la seconda pi adatta se il tema sono
gli incidenti stradali. In altre parole, la forma
passiva, anche se leggermente meno leggibile
della forma attiva, pu essere usata per
spostare laccento del discorso.

Infine, bisogna anche tenere presente


lequilibrio stilistico del testo. Come ricorda
Roberto Lesina, nel suo Manuale di stile,
unopportuna alternanza fra attivo e passivo
contribuisce a dare il giusto rilievo alla forma
del discorso.

Non negare per affermare

Se vogliamo dire qualcosa, non ha senso


sostenere il contrario e poi negarlo. Sembra
logico, ma il vizio pi diffuso di quanto
sembri. Perch scrivere Non intendo essere
bugiardo, invece che Sono sincero?

A volte, tuttavia, la negazione pu servire a


rendere pi efficace il discorso. Per esempio,
non ha una lira, pu essere pi incisivo di
povero. La mancanza di soldi una assenza,
la presenza di una negazione aiuta a definire
questo stato in modo pi intuitivo.

In altre occasioni, la negazione pu servirci a


dare informazioni pi precise. Non felice
pu non essere sinonimo di infelice.

E invece sempre vietato luso della doppia


negazione, che costringe il lettore ad inutili
rompicapo. La frase Non penso di non poter
sbagliare, significa So di poter sbagliare, ma
per capirlo bisogna pensarci bel po. E uno
sforzo inutile, che non vale la pena chiedere al
lettore.

Accumulando negazioni si arriva a rebus


inestricabili, come in questo esempio. Non
dico di non voler accettare perch non posso
negare che certe offerte non possono essere
rifiutate facilmente, ma non intendo comunque
privarmi della libert di non dire di si.
Quanto tempo occorre per capire che la
risposta lofferta allettante ma ci penso?

La virgola

La virgola un segno tanto piccolo quanto


importante. La sua posizione pu capovolgere il
senso di una frase. Ha scritto Luciano Satta:
chi tiene in poca considerazione la virgola
come segno appena percettibile dellortografia
uno sciagurato che non sa leggere bene, e
quindi non sapr mai scrivere decentemente.

La virgola non svolge sempre la stessa


funzione. In alcuni casi facoltativa e dipende
soltanto dal gusto di chi scrive e dalle sue
intenzioni espressive. La frase Avrebbe potuto
arricchire, se avesse accettato pu funzionare
anche senza virgola. Inserendola, si mette
laccendo sulla seconda parte della frase.
In altri casi la virgola consigliabile ma,
omettendola, non si pregiudica la
comprensione. Ad esempio, nella frase Persino
il Sindaco, Mario Rossi, ha detto che..
Togliamo le virgole e la frase rester corretta,
anche se un po pi sciatta.

Lassenza o la presenza di una virgola pu


anche cambiare il senso della frase. Un
esempio di Luciano Satta: Conosco poche
persone idiote, come te.

Allinterlocutore resta il dubbio: sta dicendo al


suo amico che un idiota o che conosce pochi
idioti? Se invece togliamo la virgola, sparisce il
dubbio e si passa subito alla querela, o alla
rissa. Il tranello pu anche essere pi sottile,
come in questo esempio di Sergio Lepri: Il
sottosegretario al lavoro, Mario Bianchi, ha
detto che. Se togliamo le virgole la frase
regge perfettamente: Il sottosegretario al
lavoro Mario Bianchi ha detto che. . Tuttavia,
attenzione: in questo caso sembra che di
sottosegretari possano essercene altri, oltre a
Mario Bianchi. Se non ce ne sono, la frase
sbagliata.

Il punto e a capo

Il punto il segno pi importante, quello che


d il ritmo al discorso e che, come abbiamo
visto, va usato di frequente. Lo stesso segno,
tuttavia, pu avere anche unaltra funzione:
pu diventare un punto e a capo.

Come importante spezzare le frasi troppo


lunghe, cos necessario rompere il ritmo del
testo in numerosi capoversi. Umberto Eco
perentorio: Andate sovente a capo. Quando
necessario, quando il respiro del testo lo esige,
ma pi spesso potete andare e meglio .
Nel giornalismo anglosassone, si va
mediamente a capo quattro o cinque volte per
cartella, cio ogni sei-sette righe di
dattiloscritto. In Italia invece non raro vedere
capoversi lunghi mezza colonna o addirittura
una colonna intera. E una cattiva abitudine,
che conviene imparare subito ad eliminare,
imponendosi di andare a capo almeno ogni
dieci righe dattiloscritte.

Non solo una questione di stile o di grafica (le


colonne troppo piene stanno male sulla pagina)
ma di leggibilit del testo. Dividere un testo in
capoversi significa anche organizzarlo dal punto
di vista concettuale, isolando con chiarezza i
vari mattoni narrativi. Ogni capoverso un
elemento che deve avere una sua unit e
svolgere una funzione precisa allinterno del
discorso.
Quando si rilegge occorre controllare anche la
struttura del testo e, se troppo pieno,
spezzarlo con qualche andata a capo. In questo
caso, come dice Silvano Rizza se non si
trovano i punti di frattura logici in cui varare i
nuovi capoversi, significa che la prosa
evidentemente a incastro, soffocata da tali
concatenazioni da risultare oppressiva.
Insomma, o siete Proust o un testo da
riscrivere.

Naturalmente non bisogna esagerare dallaltra


parte, e andare a capo troppo spesso, come
rivela una testimonianza di Piero Ottone, che
parla di un giornale che dove per regola si
andava a capo dopo ogni punto fermo.
Quando vedevo la mia pur modesta prosa cos
smontata, frase per frase, e ridotta a una
successione di brevi enunciazioni telegrafiche,
provavo sofferenza. Ogni capoverso deve
esporre, sviluppare e concludere un concetto,
un ragionamento, un pensiero compiuto;
linsieme dei concetti costituisce un articolo. Se
il capoverso spezzettato in tante frasi a s
stanti, addio logica, addio costruzione
generale. E come se una sinfonia fosse ridotta
ad una marcia militare.

Puntini e punti esclamativi

Armi predilette dallo scrittore dilettante, i


puntini di sospensione e il punto esclamativo
sono quasi sempre superflui e fastidiosi. Un
esempio.

E andato a tappeto come un .novellino,


eppure era campione mondiale!

Togliamo i segni incriminati e la frase ha lo


stesso effetto. Anzi pi efficace.

E andato a tappeto come un novellino, eppure


era campione mondiale.
Chi scrive non deve illudersi di creare lenfasi
coi segni di punteggiatura. Quei puntini che
sembrano annunciare adesso la dico grossa e
quel punto esclamativo che dichiara visto che
roba, rivelano soltanto una presunzione
uguale solo ad una scarsa confidenza con la
scrittura.

I puntini possono essere usati solo per indicare


una frase che continua. Oppure, messi tra
parentesi allinterno di una citazione, per
segnalare al lettore che stato tagliato un
brano dellautore citato. Il punto esclamativo,
invece, va usato solo in casi rarissimi. Gi
prima dellultima guerra Ugo Ojetti lo avrebbe
bandito dalla calligrafia, dalle tipografie, dalle
macchine da scrivere, dallalfabeto Morse, con
la speranza che a non vederlo pi gli italiani se
ne dimenticassero anche nel parlare e nel
pensare. Gi, perch chi scrive col punto
esclamativo pensa col punto eslamativo: e
questo, per chi di mestiere non fa il leader di
un movimento politico arrabbiato, non sano.

Punto interrogativo

Tutti sanno usarlo ma non bisogna dimenticare


che, a differenza dello spagnolo, litaliano non
prevede che venga stampato a rovescio anche
allinizio del periodo. Quindi le frasi
interrogative devono essere rigorosamente
brevi, per evitare che il lettore le scorra come
se fossero in forma affermativa e scopra solo
allultima parola che si trattava una domanda.
Il punto interrogativo chiede frasi brevi.

Ma chi che parla?

Spesso chi comincia a scrivere si chiede che


pronome usare quando parla in prima persona.
Bisogna scrivere ho chiesto al presidente cpsa
pensa, oppure abbiamo chiesto al
presidente cosa pensa?
In questo caso la risposta semplice: n luno
n laltro. Si presenta la domanda semplice e
secca. Ma il Presidente cosa pensa?. Il lettore
capisce al volo che a fare la domanda lautore
del testo.

Il giornalista (ma in generale chiunque scriva)


deve osservare i fatti dallesterno, nel modo pi
obiettivo e imparziale che gli possibile: meno
si avverte la sua esistenza e meglio . Certo,
come nota Silvano Rizza I giornalisti con la
smania di mettersi in mostra non sono una
rarit e, in una professione competitiva una
spinta comprensibile. ma bisogna stare in
guardia e, quando emerge Narciso, affrettarsi a
respingerlo. Nei giornali il protagonismo va
evitato, almeno finch non si una celebre
firma (ma anche molti grandi giornalisti, ci
pensano due volte prima di scrivere io).
Ci sono delle eccezioni. Alcuni disagi che il
giornalista incontra sul suo lavoro possono
avere una valenza conoscitiva che doveroso
trasmettere al lettore. Se un inviato ha dovuto
passare una notte sotto la pioggia per trovare
uninformazione, sono fatti suoi: il suo
lavoro. Ma se questo avvenuto perch le
autorit del luogo cercavano di impedirgli di
accedere alle notizie, linformazione diventa
interessante perch svela una caratteristica del
potere locale.

In ogni caso il noi sconsigliato perch una


forma ipocrita. Se proprio si deve, si scriva
io. Molto spesso, possibile risolvere il
problema girando la frase in un altro modo. Se
vi si pone troppo spesso il problema se usare
io o noi pu voler dire che pensate troppo a
voi stessi e poco a quel che state raccontando.

la posizione delle parole


Uno degli elementi pi contribuiscono
allefficacia dello stile la capacit di disporre
le parole. Prendiamo questa affermazione:

Per una partita di calcio morto un ragazzo di


22 anni.

Proviamo a capovolgerla

Un ragazzo di 22 anni morto per una partita


di calcio.

La seconda frase ha una intensit maggiore,


colpisce di pi. Spostando la causa alla fine del
discorso, ne risulta accentuata la tragica
assurdit.

In genere, porre una parola alla fine della


frase, significa caricarla di maggiore impatto.
Attenzione, per, abbiamo detto in genere,
non sempre. Purtroppo non esistono regole
sicure in questo campo. Bisogna valutare caso
per caso e per riuscirci non c che una ricetta:
lallenamento. Abituarsi a scrivere e soprattutto
a riscrivere, sinch la migliore geografia di un
periodo non verr percepita in modo istintivo,
quasi automatico.

La posizione della parola nella frase non serve


soltanto a rendere il mesaggio pi incisivo; se
sbagliata pu renderlo incomprensibile o
persino involontariamente comico. Se
leggiamo:

Retata contro il contrabbando dei carabinieri

viene da domandarsi quale banda potesse mai


dedicarsi al traffico di carabinieri, da chi li
comprasse e soprattutto a chi riuscisse a
rivenderli. Basta spostare le parole e la frase
riacquista il suo senso originale.

Retata dei carabinieri contro il contrabbando

Anche quando si pressati dalla fretta, le


parole non possono essere disposte a caso,
occorre tenere conto del filo logico che le
unisce. Prendiamo questa frase:

Il motociclista morto andava ai 180 allora.

Se non fosse una notizia cos tragica ci si


potrebbe chiedere a che velocit sarebbe
andato quel motociclista se fosse stato vivo.
Certo, il contesto della frase permette di intuire
che il motociclista morto dopo essere andato
ai 180 allora, e forse proprio per quel motivo,
per al lettore resta limpressione di uno stile
sciatto, tirato via. Inoltre, non sempre lintuito
permette di decifrare una frase in cui la parola
posizionata male. Come in questo esempio:

Il Parlamento ha approvato una legge sulle


votazioni con procedura durgenza.

La legge approvata stata discussa con


procedura durgenza oppure riguardava le
votazioni con procedura durgenza? La frase
non permette di capirlo.

Sigle e abbreviazioni

Abbreviazioni, sigle, numeri: per chi scrive


questi argomenti sono una continua fonte di
incertezza. Devo scrivere Dc o Democrazia
cristiana? E se scrivo Dc perch poi non
limitarsi a scrivere Apm per indicare
lAssociazione Pesche e Meloni? Scrivo 10 o
dieci? E se decido di usare le lettere, quante
righe mi serviranno per scrivere esattamente il
debito dello Stato italiano?

Su molti di questi temi non esistono regole


condivise da tutti e persino i linguisti si trovano
spesso a sostenere tesi diverse fra loro. Ogni
giornale ha un suo codice interno che prescrive
la condotta da tenere nei pi frequenti casi di
incertezza linguistica. Quelle che seguono non
sono dunque leggi assolute, ma criteri utilizzati
da molte testate. Per il resto, chi comincia a
collaborare ad un giornale, far bene a cercare
la risposta ai piccoli dubbi sul linguaggio
cercando esempi analoghi sul giornale stesso e
vedendo come li hanno risolti i colleghi pi
esperti.

In ogni caso, qualunque soluzione si scelga


necessario seguirla con coerenza. Un testo che
risolve in due modi diversi lo stesso problema
caratteristico di un autore disattento.

quando abbreviare

Nel linguaggio giornalistico le abbreviazioni


sono sempre da evitare. Cos come non si dice
dammi il tuo numero di tel., non si deve
abbreviare il termine telefono in un testo (a
parte alcune rubriche particolari, come ad
esempio, i tamburini dei cinema). Si scrive
pagina, non pag, decreto legge, non DL,
Guardia di Finanza, non GdF, Gazzetta
Ufficiale, non GU. La stessa regola deve
valere anche per i titoli personali. A parte che,
in un articolo, non si dovrebbero anteporre ai
nomi qualifiche come dottore o ingegnere,
se dobbiamo usarle scriviamole senza
abbreviazioni (che tra laltro, almeno nel caso
di dott. fanno risparmiare ben poco:
compreso il punto sono cinque battute al posto
delle sei necessarie per scrivere il nome
completo).

In tema di abbreviazioni, ha scritto Sergio


Lepri: perch dott., col. (colonnello),
comm. (commendatore) e non anche pres.
(presidente) e arc. (arcivescovo)? Ancora una
volta, allora, richiamiamoci al linguaggio
parlato e, nei testi narrativi, scriviamo per
esteso i titoli personali, le cariche e le
qualifiche (). Ma tanto meglio sarebbe
eliminare tutti i titoli e chiamare ciascuno
soltanto col nome e col cognome.
le sigle

In grammatica si dicono acronimi, nel


linguaggio comune sono le sigle, cio quelle
abbreviazioni formate dalle lette iniziali delle
parole che formano il nome completo.
Possiamo distinguere tre tipi di sigle.

- Quelle che ormai non vengono pi


riconosciute come tali. Chi ricorda pi che
laser, tir o vip erano inizialmente delle
sigle? Sono parole ormai entrate nel linguaggio
comune e vanno usate normalmente,
scrivendole con lettere minuscole. Certo, ci si
attende che il giornalista sappia, ad esempio,
che vip sta per very important person.
Eviter di scrivere controsensi come un
anonimo vip di provincia.

- Ci sono poi le sigle che non hanno perso il


loro carattere ma che si suppone siano
conosciute ad un largo pubblico. Queste si
possono utilizzare senza indicare il nome per
esteso. Si pu scrivere Usa, senza specificare
che sta per United States of America. Allo
stesso modo si pu scrivere Dc,Sip, Enel,
Rai, Ufo, eccetera. In questi casi, si scrive
in maiuscolo la prima lettera e in minuscolo le
altre, senza il punto di abbreviazione tra un
carattere e laltro.

- Le sigle meno conosciute si scrivono allo


stesso modo ma oppurtuno accompagnarle
con lindicazione del nome per esteso. Il nome
si scrive usando la maiscola solo nelliniziale
della prima parola. Ad esempio, Cnel
(Consiglio nazionale delleconomia e del
lavoro).

A questo proposito bene ricordare che


meglio spiegare una sigla in pi che una in
meno. Spesso tendiamo a scrivere sigle senza
indicare cosa significano, dando per scontato
che il lettore sappia tutto ci che noi sappiamo:
se cos fosse, il letore non avrebbe alcun
bisogno di comprare il giornale.

i numeri

In genere, si scrivono in lettere i numeri da 1 a


10 e in cifra quelli maggiori. Tuttavia, il testo
deve essere uniforme, e dunque, quando si
deve fare un elenco in cui compaiono cifre di
entrambi i tipi, bisogna scriverli tutti allo stesso
modo (in genere, in cifra).

I numeri come cento, mille, un milione, si


scrivono sempre con le lettere, anche per non
correre il rischio di sbagliarsi aggiungendo o
togliendo zeri. Allo stesso modo (ma su questo
punto non tutti sono concordi) si pu anche
scrivere 32 mila anzich 32.000. In ogni
caso, se il numero molto alto, opportuno
aiutare il lettore a leggerlo inserendo un
punto ogni tre cifre, partendo da destra:
Questa settimana i 13 hanno vinto 21.765.987
lire.

Lo stesso criterio di leggibilit va usato in molti


altri casi: le frazioni (si scrive due terzi e non
2/3), le percentuali (si scrive per cento e
non %), laltezza (un metro e ottanta, non
1,80 e nemmeno 180 centimetri), let
(non si scrive si scrive 45enne ma
quaranticinquenne o, ancora meglio, di 45
anni), le date (non 25/10/1991 e neppure
25 ott. 1991 ma 25 ottobre 1991.

Sono regolette un poco noiose ma, con questi


piccoli problemi del linguaggio, meglio
familiarizzare subito. E meglio rileggerle e
pensarci un po su. Eviteremo di alimentare con
errori banali la matita rossa del caposervizio o,
ancora peggio, locchio del lettore.

Il tempo dei verbi


Ricorda Cesare Marchi che il verbo, tra tutte
le parti variabili del discorso (le altre sono:
articolo, nome, pronome, aggettivo) la pi
variabile: 94 forme attive, 94 passive, 21
tempi, 7 modi. Trattare in modo esauriente il
problema dei verbi significherebbe dunque
ripartire da quanto abbiamo studiato a scuola.
Questo impossibile per ragioni di spazio, ma
laspirante giornalista pu farlo da solo.

Ripassare la grammatica di base utile per


colmare lacune inevitabili in una materia assai
complessa, mentre, per chi scrive gi
perfettamente, rappresenta una occasione
preziosa per riesaminare con pi
consapevolezza regole ormai applicate in modo
istintivo. In questa sede limitiamoci a qualche
rapido cenno sui tempi principali e sul modo in
cui vengono usati nellinformazione.
A parte qualche inviato televisivo che descrive
in diretta un fatto che si sta svolgendo in quel
momento, la maggior parte dei giornalisti parla
di eventi che si sono gi conclusi. A rigor di
grammatica, tutte le notizie dovrebbero
dunque essere raccontate al passato prossimo
o al passato remoto. In realt, le cose vanno
un po diversamente. Cominciamo con un
esempio:

1) Il bandito punta la pistola alla tempia


dellautista e, con voce ferma, gli dice: Dammi
lauto o sei morto.

2) Il bandito ha puntato la pistola alla tempia


dellautista e, con voce ferma, gli ha detto:
Dammi lauto o sei morto.

3) Il bandito puntava la pistola alla tempia


dellautista e, con voce ferma, gli diceva:
Dammi lauto o sei morto.
4) Il bandito avrebbe puntato la pistola alla
tempia dellautista e, con voce ferma, gli
avrebbe detto: Dammi lauto o sei morto.

5) Il bandito punt la pistola alla tempia


dellautista e, con voce ferma, gli disse:
Dammi lauto o sei morto.

1) Il presente indicativo. Leggendo in sequenza


queste frasi ci accorgiamo che il presente il
tempo pi immediato, quello pi adatto a
condurre il lettore dentro la notizia. Usando il
presente, il giornalista descrive il fatto come se
si stesse svolgendo sotto i suoi occhi, non lo
racconta ma lo fa vedere al lettore. Per
questa sua forza drammatica, il presente
indicativo trova largo impiego, ad esempio,
nelle pagine sportive per rendere la descrizione
pi viva e coinvolgente. Talvolta viene usato
anche nella cronaca, per accentuare la
drammaticit di certe notizie. Tuttavia, la forza
di questa forma verbale rappresenta anche il
suo limite. Il lettore che vede la notizia
raccontata al presente, portato ad allentare il
suo spirito critico, a dare per scontato che il
fatto sia avvenuto nei termini esatti con cui
riportato sul giornale. Di conseguenza, potremo
usare questa forma solo per notizie di cui
siamo ragionevolmente certi.

2) Passato prossimo. In teoria dovrebbe


indicare un fatto accaduto da poco (Ieri
finito il festival) ma nelluso pratico serve ad
indicare anche eventi lontani nel tempo
(Kennedy morto nel 1963). Il motivo
semplice: avvicinare il tempo della narrazione,
aumenta la forza espressiva del discorso.
Insieme al presente, viene dunque utilizzato
nel descrivere i fatti di cronaca e, poich
sostituisce anche il passato remoto nellindicare
episodi lontani, finisce per essere il tempo pi
usato nei giornali.
3) Imperfetto. Nel nostro esempio, la forma
verbale meno efficace. Usare limperfetto per
indicare unazione conclusa, significa scivolare
in uno stile burocratico, da vecchio verbale
poliziesco, contorto e privo di forza
drammatica. Per questo, stato quasi
eliminato anche dalle cronache sportive, dove
rapprsentava una sorta di vezzo. Tuttavia
limperfetto pu svolgere diverse funzioni, che
Sergio Lepri riassume cos: descrittiva (Era
una bella serata destate, storica (Nel 1910
moriva a Parigi lo scrittore), di consuetudine
(Mio padre si recava spesso a Roma), di
contemporaneit (Si trovava in casa quando
cominci a piovere). Nel linguaggio
dellinformazione limperfetto utile per
indicare, nel passato, unazione abituale (Ogni
sera mangiava in trattoria) o continuata
(abitava in un appartamento di due stanze).
4) Condizionale. In teoria, a parte i rari fatti di
cui il cronista ha potuto essere testimone
diretto dallinizio alla fine, tutto il giornale
andrebbe scritto al condzionale. Infatti,
utilizando una nozione assoluta di obiettivit,
anche se 50 fonti confermano la stessa
versione, esiste sempre la possibilit teorica
che si tratti di un complotto per ingannare il
giornalista: e dunque lui, correttamente,
dovrebbe usare il condizionale. Naturalmente,
se tutti dicono che c stata unesplosione,
ridicolo scrivere che il palazzo sarebbe
crollato.

Dunque, il condizionale va usato soltanto


quando non abbiamo un ragionevole margine
di sicurezza. Tuttavia, anche in questi casi,
resta una forma verbale fastidiosa, troppo
cautelativa, insicura. Il lettore tentato di
protestare col giornalista: perch devi venirmi
a dire sarebbe accaduto, avrebbe detto, non
sarebbe vero che? Se sai qualcosa parla
chiaro, altrimenti taci.

Il lettore ha ragione: nel poco tempo che pu


dedicare alla lettura, vuole fatti, non ipotesi
confuse. La soluzione semplice, e ne abbiamo
gi parlato. E sufficiente fare quello che, come
abbiamo visto, dovremmo sempre fare: citare
la fonte. Dopo, possiamo usare una forma
verbale meno incerta. Il nebuloso Craxi
avrebbe detto che, diventa, Secondo Tizio
Caio, Craxi ha detto che. Questo esempio
la prova migliore di come lo stile non sia un
elemento astratto, ma il risultato della
complessiva qualit del nostro lavoro. Se il
condizionale brutto, solo perch sovente
rivela un giornalista che non fa la fatica di
individuare e verificare la fonte.

5) Passato remoto. Rileggendo le frasi del


nostro esempio, ci accorgiamo che col passato
remoto si perde gran parte della drammaticit:
tutto sembra avvenuto in un tempo
lontanissimo, gi concluso, non ci riguarda
pi. Per questo motivo, il passato remoto
stato quasi espulso dal linguaggio giornalistico
come da quello parlato: basti pensare che il
suo uso si va riducendo persino in quelle
regioni, come la Sicilia o la Calabria, in cui
veniva usato anche per indicare azioni
recentissime (Questa mattina il sindaco fece
un discorso).

Tuttavia, uno stile efficace di scrittura deve


saper trarre profitto da tutte le sfumature
offerte dalle forme verbali. Prendiamo questa
frase:

San Francesco si spogli dei suoi abiti e don


ogni ricchezza ai poveri

In questo caso il passato remoto, proprio


perch allontana le azioni nel tempo e le fa
apparire concluse e definitive, aumenta la
portata drammatica del gesto. Se proviamo a
tradurre la frase al presente,

San Francesco si spoglia dei suoi abiti e dona


ogni ricchezza ai poveri,

abbiamo s un senso pi vivido della scena, ma


ci resta la vaga sensazione che il Santo
avrebbe ancora il tempo di cambiare idea,
rivestirsi e dire ridatemi i miei soldi. La
definitivit del passato remoto, in questo caso,
d pi forza al gesto descritto.

La scelta delle parole

Un buon dizionario della lingua italiana


contiene pi di centomila parole ma, se
vogliamo farci capire da chi legge un giornale,
possiamo usarne solo una piccola parte. In un
suo studio, il linguista Tullio De Mauro ha
calcolato che, per essere capiti da chi ha fatto
la terza media, dovremmo attingere da un
vocabolario base formato da non pi di 6.700
parole.

Del resto, vecchie ricerche compiute dal


Servizio Opinioni della Rai rivelavano che, tanto
per fare un esempio, la parola legislatura era
correttamente compresa da quattro casalinghe
di Voghera su cento e da 53 impiegati di Roma,
diplomati o laureati. Certo, da quelle ricerche
sono trascorse alcune decine danni, e
speriamo che le cose siano cambiate in meglio,
ma resta il fatto che la scelta delle parole un
problema spinoso che il giornalista deve
affrontare ogni giorno.

Come prima regola, dobbiamo ricordarci di


preferire sempre una parola facile ad una
difficile. Chi pensa di entrare nel giornalismo
per fare sfoggio di preziosismi e parole
ricercate, va incontro a una delusione. In
questo campo non vale il noto aforisma di
Oscar Wilde: Chi chiama zappa una zappa,
dovrebbe essere costretto ad usarla.

Nel giornalismo esattamente il contrario: ad


usare la zappa dovrebbe essere mandato chi va
a cercarsi un sinonimo per sostituire un
termine tanto chiaro e preciso. Il giornalista
deve farsi leggere, e quindi deve usare le
parole che il pubblico pu capire.

Il richiamo alla semplicit non deve per


impedirci di usare anche quei termini che, pur
essendo poco noti, sono i pi appropriati per
raccontare un fatto. In questi casi dovere del
giornalista usare la parola che permette una
descrizione pi precisa, ma al tempo stesso
suo dovere spiegarla. E questo senza
pedanteria e, soprattutto, senza assumere
unaria saccente. La spiegazione ideale quella
nascosta tra le righe, quella che non sembra
una spiegazione. Alcuni grandi giornalisti sono
capaci di rendere chiara una parola difficile
soltanto costruendole attorno un contesto che
ne rivela il significato. Quindi, riassumendo:

Bisogna eliminare i termini difficili quando


sono superflui e renderli chiari quando
sono indispensabili.

E una regola tanto semplice da dichiarare


quando dura da mettere in pratica. Chi non ci
prova, tuttavia, si condanna a scrivere in un
modo poco comprensibile, oppure, allopposto,
ad usare un linguaggio piatto e banale che non
provoca alcuna crescita culturale in chi lo
legge.

La seconda regola doro quella di evitare le


parole vaghe. Scrive Silvano Rizza: E tanto
pi facile ottenere il coinvolgimento del lettore
quanto pi si evitata ogni genericit nei
particolari, dimostrando in fase dinchiesta uno
spirito di osservazione che pu davvero fare la
differenza. Unautomobile di grossa cilindrata
che procedeva alla massima velocit si
schiantata contro un albero non la stessa
cosa di una Lancia Thema turbodiesel che
marciava a 180 allora si schiantata contro
una quercia.

Cesare Marchi fa un altro esempio. Se Pierino


deve fare un tema dal titolo Cosa vedi dalla
tua finestra, pu scrivere vedo tante cose, e
poi andare a giocare a pallone. Ma se vuole
essere pi preciso scriver Vedo fiori, alberi,
case, automobili. Ancora per siamo vaghi.
Per essere pi preciso, Pierino dovrebbe dire
che, anzich fiori, vede margherite, rose e
tulipani. Ma comunque una informazione
generica. I tulipani, ad esempio, sono rossi,
gialli o bianchi? le rose sono sbocciate o no?
Labilit del giornalista non consiste nellusare
parole colte, ma parole precise, quanto pi
possibili aderenti ai fatti. Ecco dunque la
seconda norma da ricordare.

Bisogna scegliere sempre la parola che


esprime con pi precisione quello che
vogliamo descrivere.

Unaltra regola riguardo alle parole, quella di


usarle come fossero una valuta pregiata:
trattarle con parsimonia e spenderne il meno
possibile. Gli inglesi dicono che un uomo
capace di usare cinque parole quando ne
basterebbero quattro, capace di qualunque
delitto. Prendiamo questa frase and
allaereoporto con delle borse e delle valige?
Se scriviamo and allaereoporto con borse e
valige, facciamo risparmiare qualche istante a
chi legge e otteniamo una frase pi snella e
incisiva.
Essere sintetici, non significa fornire una
comunicazione ridotta. Spesso lefficacia di un
messaggio inversamente proporzionale alla
sua lunghezza. Papini e Palazzeschi scrissero
sul primo numero della rivista Lacerba, Un
pensiero che non pu esser detto in poche
parole, non merita desser detto. Da sempre,
allinizio della professione, molti giornalisti si
accorgono con stupore che, seguendo lordine
di un caposervizio, riescono a togliere 20 righe
alla loro notizia senza eliminare alcuna
informazione. Sia chi collabora gi ad un
giornale, sia chi deve ancora cominciare, non
ha alcun bisogno di attenere un ordine dallalto
per rileggersi larticolo e chiedersi se ci sono
parole superflue. Se ne trovano sempre.

Ed ecco quindi la terza regola


Eliminare tutte quelle parole che possono
essere cancellate senza causare danni alla
comprensione del testo

Infine, dopo avere fatto tanto sforzi per


imparare a scrivere in modo diverso da come
parliamo, cerchiamo a volte di compiere il
percorso opposto. Certo, la lingua parlata
troppo piena di errori grammmaticali per
essere trasportata sui giornali. Tuttavia Luciano
Satta ci ricorda che, dal punto di vista lessicale
(cio nel modo di usare le parole), la lingua
parlata spesso il modello migliore per una
prosa decente. Quei giornalisti che scrivono
aveva consumato il pasto, ad un certo punto
si alzano e chiedono al collega: andiamo a
mangiare. I burocrati che sugli autobus di
molte citt hanno scritto che bisogna obliterare
il biglietto, alla mattina si limitano a timbrare il
loro cartellino. Persino i colonnelli
dellareonautica che fanno le previsioni del
tempo in televisione, prima di chiedere alla
moglie dov lombrello, dicono oggi piover e
non oggi prevista una intensa
precipitazione.

Prima di scegliere un vocabolo, pensiamo


a quale useremmo nel linguaggio parlato
di ogni giorno.

Ovviamente la scelta delle parole un tema


che non si pu imparare una volta per sempre.
Lapprendimento deve proseguire per tutta la
vita professionale, perch gli errori sono
sempre in agguato. Anche noi ne abbiamo
appena commesso uno, quando abbiamo
scritto ovviamente. E una parola che non si
dovrebbe mai usare perch, come diceva Leo
Longanesi, se una cosa ovvia non c bisogno
di scriverla, mentre, se non ovvia, non
possiamo definirla tale. E una logica che non fa
una piega.
Allo stesso modo, devono essere eliminate
tutte le espressioni equivalenti:
naturalmente, com noto, tutti sanno
che, eccetera.

Questo esempio non casuale. Gli


ovviamente o i com noto sono solo alcune
delle tante parole che spesso usiamo in modo
automatico, senza rifletterci, commettendo
piccoli errori che possono dare fastidio ad un
lettore pi attento di noi o a un direttore
esigente come fu Longanesi.

Nelle pagine precedenti Sergio Lepri ha


proposto un campionario di errori commessi
con frequenza sui giornali. E un elenco da
leggere e rileggere con attenzione. Non
bisogna stancarsi di studiare le possibilit di
errore perch, in un campo sterminato come la
scelta delle parole, capire il cos no una
delle via pi brevi per imparare il cos si.
Vediamo ora quattro vizi in cui facile cadere
quando si comincia la professione giornalistica.

Le frasi fatte

Secondo lo scrittore Pittigrilli, il primo uomo


che guardando una donna disse bella come
una rosa era un poeta; il secondo era un
cretino. Se certe parole sono incomprensibili
perch poco diffuse, altre risultano inefficaci
per il motivo opposto: sono tanto abusate che
non significano pi nulla. E il caso di quegli
aggettivi e sostantivi che, per cos, dire, fanno
coppia fissa nel linguaggio giornalistico.

Ha scritto Cesare Marchi: Se domandiamo a


un cronista: com la convergenza? lui
risponde: ampia. la riflessione? Approfondita.
La volont? Politica. La memoria di un partito?
Storica. Levasione del detenuto?
Rocambolesca. Linseguimento?
Cinematografico. Il meccanismo della scala
mobile? Perverso. La giungla? Retributiva. Dato
un sostantivo, si sa a priori quale aggettivo lo
seguir. Come il cognome e il nome dei
personaggi celebri (). fanno coppia fissa,
senza possibilit di divorzio.

A protestare contro luso dei luoghi comuni


sono in tanti. Massimo Baldini parla di un un
tipo di oscurit dello stile che nasce dalla
pseudochiarezza degli articoli di cronaca colmi
di aggettivazioni rituali e di formule fisse.
Sono quei tic linguistici secondo i quali il
vecchietto che compie centanni sempre
arzillo, loperazione della polizia
immancabilmente brillante, lincidente
spettacolare mentre le lamiere delle auto
devono essere per forza contorte. Allo stesso
modo i danni di un incendio o di un temporale
sono regolarmente ingenti, mentre la scena
del delitto raccapricciante per decreto.
Sergio Lepri critica luso di quelle locuzioni che
il giornalista usa senza sforzo intellettuale, per
forza di automatismi mentali: ad esempio,
ammasso di rottami, battuta a vasto
raggio, regolamento di conti. Alcune di
queste espressioni, come anonima sequestri
o racket del vizio sono veri e propri errori
giornalistici, perch danno al lettore
limpressione di trovarsi di fronte ad
organizzazioni compatte mentre in realt sono
piccole bande non collegate tra loro.

Il giornalista si trova dunque di fronte ad un


doppio divieto: da un lato non pu usare parole
troppo complicate, dallaltro deve evitare le
espressioni abusate e i luoghi comuni pi
banali. E una sfida difficile, che si pu risolvere
con lallenamento e con labitudine a
consultare, ogni volta che se ne ha il tempo, il
vocabolario della lingua italiana e un buon
dizionario dei sinonimi.
le tautologie

Se i luoghi comuni sono fastidiosi e vuoti, le


espressioni tautologiche sono veri e propri
errori. Intendiamo riferirci a quelle locuzioni
che, in due parole, ripetono per due volte lo
stesso concetto. Lesempio classico uscire
fuori. Basta pensarci un attimo e ci si rende
conto che uscire sarebbe sufficiente:
nessuno, da che mondo mondo, mai uscito
dentro.

Un altro esempio classico riguarda laggettivo


apposito, che quasi sempre superfluo. Per
contrastare la mafia, il governo ha varato un
apposito disegno di legge. Laggettivo
apposito inutile: nessun governo, per
quanto incapace, preparerebbe contro la mafia
un disegno di legge che parla di allevamenti
suinicoli o di velocit sulle strade. Allo stesso
modo non ha senso scrivere che sulle stragi
stata costituita una apposita commissione
parlamentare. Leviamo apposita e la frase
non perde nulla.

Altro errore comune: le indagini sono seguite


dalle autorit competenti. E chi mai potrebbe
seguirle queste indagini? Un disoccupato
incompetente? Oltre a essere ovvia e
tautologica, lespressione anche troppo vaga:
meglio specificare al lettore quali sono le
autorit in questione.

La politica e la burocrazia sono esperte nel


produrre tautologie. C il classico entro e non
oltre (come se potesse esistere un entro ma
oltre), ci sono i requisiti richiesti (dove
richiesti inutile, perch gi compreso nel
significato di requisiti), e c la preventiva
autorizzazione (che fa balenare la possibilit
tutta italica di una autorizzazione a posteriori).
Ma la tautologia non patrimonio dei burocrati,
come dimostrano espressioni quali prospettive
future o dubbi interiori. Qualcuno ha mai
avuto delle buone prospettive per il passato?
Ha mai coltivato dubbi in qualche luogo non
interiore, magari nei piedi o nelle tasche del
cappotto?

Le ripetizioni

Lo abbiamo imparato a scuola, e vale anche


per i nostri articoli: non bisogna ripetere per
due volte la stessa parola allinterno di una
frase e neppure in due frasi vicine. Se, nella
fretta, ci accade di farlo, un dizionario dei
sinonimi pu permetterci, in fase di rilettura, la
sostituzione della parola ripetuta.

Non bisogna per diventare prigionieri di


questa regola. A volte, la ripetizione non d
alcun fastidio, e contribuisce a rendere pi
chiaro loggetto del discorso. Prendiamo questa
frase: Lambasciatore italiano a Parigi, Mario
Rossi, ha incontrato ieri il ministro degli esteri
francese. Mario Rossi ha dichiarato che. In
questo caso ripetere il nome Mario Rossi non
crea effetti sgradevoli. Se avessimo voluto
trovare ad ogni costo un sinonimo avremo
peggiorato la situazione, creando una frase di
questo tipo: Lambasciatore italiano a Parigi,
Mario Rossi, ha incontrato ieri il ministro degli
esteri francese. Il diplomatico italiano ha
dichiarato.. E una frase contorta: il
diplomatico italiano, comparso allimprovviso,
pu sembrare una terza persona, e comunque
occorre qualche istante per identificarlo come il
Mario Rossi di prima.

A volte lossessione di evitare una ripetizione


conduce a risultati comici, come in questo
esempio: Alberto Tomba ha vinto ancora. Ieri
il carabiniere di San Lazzaro ha sbaragliato gli
avversari, e oggi lo slalomista azzurro solo in
vetta alla classifica. Al termine della gara,
lallievo di Gustavo Thoeni ha detto. In
poche righe la stessa persona viene definita in
quattro modi diversi, provocando un certo
smarrimento in chi legge. Sarebbe stato meglio
ripetere il nome dello sciatore.

Questo discorso vale in modo particolare per le


notizie televisive e radiofoniche, che spesso la
gente ascolta in condizioni di scarsa
concentrazione, mentre parla, mangia o fa
lavori domestici. Nei telegiornali, come gi
suggeriva molti anni fa Antonio Picone Stella,
non bisogna avere paura delle ripetizioni. La
frase su Alberto Tomba, ancora comprensibile
su un giornale dove si pu tornare indietro a
rileggere, diventa indecifrabile se viene letta in
televisione.

Lincomprensione

Il giornalista che usa parole oscure si


sottopone al rischio di non essere capito ma
soprattutto a quello, ben peggiore, di essere
frainteso. Cio, per usare i termini dei linguisti,
pi che lincomprensione rischia la
malcomprensione. Infatti la mente umana
tende a ricondurre la parola sconosciuta ad
unaltra che le assomigli, e finisce spesso per
interpretarla nel modo sbagliato.

Gaetano Berruto, in un suo studio sulla


comprensione della lingua italiana, segnala
alcuni casi, pi frequenti di quanto non si
creda. Accade, ad esempio, che circoscritto
venga interpretato come firmato (perch
simile a sottoscritto) oppure che dicastero
(termine usato molto spesso anche nei
telegiornali) sia confuso con monastero. Allo
stesso modo ribadire stato interpretato da
qualcuno come spalare, forse per la
somiglianza con la parola badile.
Altre volte la cattiva comprensione non
causata dalla somiglianza nelle parole ma da
una comprensione vaga e approssimativa del
significato. In questo modo diramare viene
interpretato come dattiloscrivere in pi copie
mentre il poligrafico diventa un distributore
di giornali.

La scelta delle parole dunque una grande


responsabilit per il giornalista, come dimostra
in chiave tragicomica un episodio citato da
Cesare Marchi. Riguarda una ragazza che
stata malmenata per il cattivo giudizio riportato
a scuola: sulla pagella cera scritto introversa
e il padre, deducendo che la figlia era diventata
di facili costumi, si tolto la cinghia.

- gli eufemismi: sembra uno spazzino ma


un operatore ecologico.

Eufemismi, litoti, e perifrasi sono gli strumenti


linguistici usati per sostituire parole ritenute
crude, volgari oppure offensive. La litote
consiste nel sostituire una affermazione con la
negazione del contrario: anzich dire che un
uomo un ladro si dice quelluomo non
onesto. La perifrasi invece un giro di frase
che sostituisce la parola: nel nostro esempio
potrebbe essere quelluomo tende ad
appropriarsi di oggetti non suoi. Invece
leufemismo consiste nel sostituire il termine
troppo duro con una espressione raddolcita, un
sinonimo blando: il ladro diventa cos un
furfantello o un cleptomane. Poich
leufemismo pu anche esprimersi sotto forma
di litote o perifrasi, possiamo usare questo
termine per indicare tutti i casi in una una
parola viene sostituita con unaltra pi soffice.

Ma quando va usato leufemismo?

E impossibile fare un elenco preciso delle


parole proibite perch il confine che le
racchiude le parole proibite in continuo
movimento. Negli ultimi trentanni molti termini
considerati tab sono entrati nel linguaggio
giornalistico mentre altri, al contrario, ne sono
stati espulsi. Possiamo dividere le parole a
rischio in diversi campi.

- la sfera del pudore. Tutti i vocaboli attinenti


la sfera della sessualit, a lungo estromessi dai
giornali, hanno recuperato terreno negli ultimi
denenni. Anche lomosessualit viene chiamato
col suo nome, sostuendo i vecchi rapporti
contro natura. La parola preservativo, a
lungo vietata, ormai ammessa, anche se in
genere ritenuta meno conveniente di
profilattico. Ha invece aver vinto la sua
battaglia il termine incinta, che ormai ha
sostituito le tradizionali perifrasi, come in
stato interessante oppure dolce attesa. Per
gli organi genitali, sia maschili che femminili, le
porte dei giornali sono appena socchiuse: il
pene e la vagina fanno capolino qua e l,
ma pi spesso spesso sono sostituiti dal
termine sesso o da altri eufemismi (come
attributi virili, organo femminile). In ogni
caso bisogna stare attenti a non inventare
espressioni astruse e un po ridicole, come gli
organi paragenitali usati in un rapporto di
polizia per indicare i seni.

- la religione. In questo settore anche i giornali


di area cattolica, sembrano aver superato il
timore, molto diffuso in passato, di nominare
invano il nome di Dio. Il Signore lAltissimo
e il Padreterno non sono pi indispensabili e
si pu scrivere Dio senza offendere alcuna
coscienza. Sesso discorso vale per il Cristo e
la Madonna.

- la sensibilit sociale. Se nel campo del pudore


e della religione molte parole proibite sono
state ammesse nei giornali, tra i ruoli sociali e
lavorativi ne sono state espulse altrettante. Il
facchino diventato un portabagagli, il
padrone un datore di lavoro, gli operai
maestranze, il bidello personale non
docente, e cos via. Anche in questo caso c
chi esagera: pu anche darsi che il termine
spazzino non sia dignitoso. Passi quindi
netturbino, ma operatore ecologico sembra
francamente troppo.

- il disagio. Il rispetto per chi si trova in


condizione sfortunate ha trasformato
lhandicappato in portatore di handicap, il
cieco in non vedente, il sordo in non
udente, per non parlare del vecchio zoppo
che da tempo un claudicante. Allo stesso
modo la vecchiaia diventata la terza et e
i vecchi sono stati trasformati in anziani.
Anche la sfera delle malattie cosparsa di
eufemismi: le parole cancro e tumore
vengono spesso sostituire da male incurabile.
Persino infarto pu trasformarsi in arresto
cardiaco.

Lo stesso ragionamento si applica anche a chi


responsabile del suo disagio: il delinquente non
va in prigione ma in carcere o, addirittura,
in istituto di pena. Aumentano furti e rapine
ma il verbo rubare e la parola ladro, con la
loro forte connotazione negativa, tendono a
scomparire dai giornali: il funzionario che ruba
i soldi della collettivit commette un
peculato, limpiegato produce un ammanco
di cassa, i documenti compromettenti vengono
sottratti, il portafogli sul tram viene sfilato,
i clienti rapinati al ristorante sono allegeriti.
Persino tra certi politici e la mafia non c
complicit ma una strana collusione che fa
pensare ad un fortuito incidente stradale. E
giusto non infierire su chi ha sbagliato, per a
volte leufemismo finisce per far sembrare pi
accettabile il crimine. Basti pensare che un
termine duro come tangente stato quasi
sostituito da una parola leggera, quasi
simpatica, come bustarella. La quale, tra
laltro, non si pretende mai: si intasca, quasi
fosse una lettera dimenticata sul tavolo. Alla
fine la differenza si sente: il politico che
intasca una bustarella sembra uno che, in un
attimo di leggerezza, non ha saputo resistere
alla tentazione. Invece, quello che pretende
una tangente, uno che impone un ricatto
consapevole, pianificato e, viene da sospettare,
continuato nel tempo.

- la diversit. Lincontro con razze diverse, ha


posto allimprovviso il problema di come
chiamare chi ha la pelle di un colore diverso dal
nostro. Nessun problema per le razze asiatiche,
perch termini specifici come cinese,
pakistano, giapponese permettono di
risolvere la questione. Per chi ha la pelle nera,
si invece coniato extracomunitario, un
eufemismo tanto brutto quanto fuorviante:
anche un canadese o un americano, essendo
estranei alla comunit europea, sono
extracomunitari. Purtroppo il termine ormai
troppo diffuso per pensare di sostituirlo, ma il
suo uso non certo consigliabile.

- la morte. E un argomento che fa paura da


sempre e dunque la storia della morte anche
una storia di eufemismi. Tanto per fare un
esempio, persino cimitero era in origine un
eufemismo dal dolce significato: luogo in cui si
dorme. Poi il termine si identificato con il
concetto di morte, ed stato cos sostituito da
camposanto, che per ha fatto rapidamente
la stesa fine. Anche sui giornali, il termine
morte viene spesso sostituito: il ferito
deceduto allospedale, il celebre attore
venuto a mancare, il politico scomparso,
lanziano poeta si spento. Anche in questo
caso non bisogna lasciarsi prendere la mano,
come ha fatto quel giornale di provincia che ha
cambiato il titolo della rubrica nati e morti in
nati e sotto i cipressi.

- la politica. In questo settore il discorso un


po diverso. Leufemismo non una cautela del
giornalista ma arriva direttamente dal
produttore. Nel linguaggio della politica, gli
eufemismi rappresentano una componente
essenziale. Basti pensare ai governi che si
reggevano sulla non sfiducia delle
opposizioni, alle celebri convergenze
parallele, alla svalutazione che diventa un
asettico riallinamento monetario, ai
disoccupati che si trovano trasformati in
manodopera disponibile, al disavanzo che
sostituisce espressioni come debito, deficit,
perdita. Non sempre possibile tradurre gli
eufemismi della politica senza alterare il senso
del messaggio ma opportuno farlo ogni volta
che possibile.
E impossibile fornire una regola generale
sulluso degli eufemismi. In questo campo le
scelte dipendono dalla sensibilit individuale e
dal giornale in cui si scrive. Una cosa sicura:
leufemismo annacqua il discorso, lo rende
meno incisivo. E un modo di fare lanestesia
alle parole. Manzoni lo considerava una forma
di ipocrisia, e non facile dargli torto. Quindi,
fatti salvi i diritti della sensibilit altrui, occorre
impiegare meno eufemismi possibile. Il giusto
rispetto per chi coinvolto nelle notizie di cui
scriviamo, si manifesta meglio in una ricerca
accurata e obiettiva che non nelluso addolcito
dei vocaboli.

Strumenti di lavoro: il dizionario dei


sinonimi

Di solito, quando vogliamo usare una parola


che abbiamo gi scritto, andiamo a cercare un
sinonimo per non incorrere in una ripetizione.
Tuttavia, a rigor di logica, non esistono
sinonimi. Anche le parole di analogo significato
hanno, nella grammatica o nelluso, sfumature
che le differenziano.

Facciamo un esempio: vogliamo scrivere


loratore ha accolto la provocatoria domanda
con una risata, ma non vogliamo usare la
parola risata. Un dizionario di sinonimi ci pu
suggerire termini come sorriso, sogghigno,
ghigno, risolino, sghignazzo, sghignazzata,
allegrezza, giocondit, brio, ilarit, ironia.

Usando queste parole al posto di risata,


otterremo altrettanti risultati diversi e loratore
potr sembrare strafottente (con
sghignazzo), furbo (con sorriso), sicuro di
s (con risolino), o persino un poco scemo
(se usiamo giocondit).

Ogni termine indica una azione diversa e


fornisce una descrizione differente. Ecco quindi
che i cosiddetti sinonimi, quasi sempre incapaci
di sostituire pienamente una parola, si rivelano
preziosi per un altro scopo: rendere pi precisa
la nostra descrizione, farci trovare il termine
che riproduce con maggiore fedelt ci che
abbiamo visto.

Ecco quindi un suggerimento molto utile per chi


si avvia alla professione: usare il dizionario dei
sinonimi non solo come stampella a cui
ricorrere quando si in difficolt, ma come
costante strumento di lavoro. Una volta scritto
larticolo, nulla vieta di cercare le parole che ci
paiono meno efficaci e meno esatte, per poi
guardare se il dizionario dei sinonimi pu
suggerirne altre pi efficaci. Come ha scritto
Joseph Joubert, cercando le parole, si trovano
i pensieri.

Come scrivere in modo brillante


Tra le caratteristiche del linguaggio
giornalistico rientra anche la vivacit,
lacutezza, il giro di frase che colpisce, il
vocabolo che arpiona lattenzione e costringe a
proseguire la lettura. Tutto questo lo stile
brillante, che molti usano ma che qualcuno
contesta, preferendogli la precisione di un
linguaggio asciutto e scarno, privo di fuochi
arficiali. La verit, come sempre, sta in mezzo:
lo stile brillante uno strumento utile per
agganciare lattenzione ma un suo impiego
troppo largo finisce per drogare la notizia.

Ma di cosa si compone una scrittura brillante,


quali sono le sue componenti, i suoi segreti?
Per elencarli dovremo impiegare una serie di
termini, come anadiplosi o sineddoche, che di
brillante hanno ben poco: ma i nomi delle
figure retoriche sono quelli che sono, non
possiamo cambiarli. Al massimo, applicando le
regole che abbiamo visto in queste pagine,
possiamo cercare di spiegarli in modo chiaro.

metafora

Abbamo una metafora quando, per esprimere il


significato di un termine, lo accostiamo ad un
altro. Ad esempio, quel discorso lungo come
un fiume. (che pu contrarsi nel pi
immediato discorso fiume). La metafora
nasce dallaccostamento con linguaggi di
settore. Le combinazioni possibili, sono infinite.
La politica, ad esempio, pu combinarsi con la
metereologia (bufera nel governo, riunione
tempestosa, i fulmini di Craxi), lo sport (il
braccio di ferro tra Dc e Psi, vittoria ai
punti), la guerra (ritirata dei liberali,
campagna dautunno), lastronomia (i partiti
satelliti, lorbita del Pds), la geografia
(arcipelago verde, continente
democristiano), il giardinaggio (rami secchi,
foglie morte), e cos via per un elenco che,
abbracciando il giro di valzer e il cavallo di
razza, l ago della bilancia e il partito in alto
mare, pu abbracciare tutto lo scibile umano.

Il discorso non riguarda solo la politica ma


tutto il linguaggio giornalistico. Basti pensare
ad uno sport popolare come il calcio, con i
cannonieri, le ali, i centrocampisti che
dialogano, i difensori che fracobollano, i
tornanti che imbeccano, i portieri trafitti.
Inoltre le metafore si spostano da un settore
allaltro: il calciatore di forte personalit
diventa un leader, ma quando si parla del
futuro economico della nazione vengono fuori
termini come serie A e serie B.

Con la metafora, il giornalista dispone di un


inesauribile bagaglio di immagini che rendono il
discorso pi immediato, intuitivo. Il suo uso
risale agli albori della professione. Negli anni
Venti, un giornalista francese, suggeriva ai
giovani: Assimilate, senza esitare, larte della
guerra al commercio delle spezie e riducete
decisamente le scienze politiche in equazioni
algebriche; confondete a piacere i regni
animale, vegetale e minerale; arriverete, senza
sforzo e con risultati molto chiari e allo stesso
tempo sbalorditivi. Questo il fine che vi
dovete proporre.

Come sempre, non bisogna farsi prendere la


mano, come quel deputato che disse Il carro
dello stato naviga sopra un vulcano. Fece
ridere tutto il Parlamento: tre metafore in una
sola frase sono davvero troppe.

metonimia

Si ha metonimia quando si scambiano due


nomi tra i quali esiste una qualche relazione.
Ad esempio, quando si scambia lautore con
lopera (ha letto tutto Moravia), lo strumento
con chi lo usa ( una penna formidabile),
leffetto con la causa (ho comprato questa
casa col sudore della mia fronte, dove il
sudore in realt leffetto del lavoro). Una
metonimia molto diffusa nel giornalismo
quella di tipo geografico: Pechino indica il
governo cinese, Mosca quello russo. Allo
stesso modo si scrive Casa bianca per
indicare il presidente americano, Palazzo
Chigi per presidenza del consiglio, e cos via.
Anche in questo caso, un esempio di
esagerazione: passi se larbitro diventa il
fischietto e lallenatore la panchina, ma si
cade nel ridicolo quando si scrive che il
fischietto ha ammonito la panchina.

antonomasia

Quando descriviamo le caratteristiche di una


persona, chiamandolo col nome di un
personaggio conosciuto, vero o di fantasia. In
alcuni casi lantonomasia ormai consolidata,
come nel caso di mecenate o dongiovanni.
Altre volte il giornalista attinge dallattualit o
dalle arti contemporanee: cos luomo che si fa
giustizia da solo si trasforma nel Rambo della
metropolitana, il grande fabbricante di
biciclette diventa lAgnelli delle due ruote e
un elegante ladro lombardo viene chiamato
lArsenio Lupin della Brianza.

ossimoro

E lunione di due parole di significato opposto,


come silenzio eloquente, equilibrio
instabile, fretta tranquilla. Lossimoro trova
largo uso in politica, dove proliferato sulla
scia delle memorabili convergenze parallele.

Notizie, non novelle

Lo stile brillante pu anche diventare una


forma di antigiornalismo. Arriva la notizia che
in citt stata scoperta una casa di
appuntamenti. La tenutaria stata arrestata e
alcuni ragazze sono stati denunciate a piede
libero insieme ai loro clienti. Non sappiamo
altro, la polizia fa soltanto il nome della donna
arrestata, tutte le bocche sono cucite, e non c
il tempo per fare controlli meticolosi sul posto,
cercando altri particolari. Unica indicazione la
casa di appuntamenti, che si trovava in una
zona signorile della citt.

Cosa fa il giornalista? Secondo una concezione


superata, ma dura a morire, potrebbe scrivere
un pezzo del genere.

Si comprava e si vendeva amore in Via Po. La


polizia lo ha scoperto mercoled sera,
troncando con una irruzione la catena di
appuntamenti clandestini che durava
probabilmente da molto tempo. La titolare,
Maria Rossi di 55 anni, ha lasciato in manette
quello che si rivelata agli agenti come un
vero e proprio tempio dellamore mercenario.
Luci soffuse, arredamento ricercato, una tenue
musica in sottofondo. Nelle varie stanze,
piacevoli ragazze rivelavano le loro grazie
malprotette da abiti succinti e maliziose
trasparenze. In questo supermercato
dellamore, non mancavano i clienti: per lo pi
personaggi eleganti e insospettabili disposti a
spendere cifre anche molto elevate per qualche
ora dallegria. Di fronte alle divise degli agenti
qualcuno stato preso dal panico: nonostante
le disperate richieste di anonimato, i troppo
focosi signori sono stati coinvolti nellinchiesta
e, dunque, dovranno confessare la scappatella
alle rispettive consorti. C da giurare che, in
qualche casa della nostra citt, gi da questa
sera voleranno i piatti.

Come ha fatto il giornalista a scrivere il pezzo?


Semplice, ha inventato. Naturalmente non lo
ha fatto a ruota libera ma individuando, sulla
base della sua esperienza, particolari
verosimili. E infatti probabile che il traffico
amoroso durasse da molto tempo, che le
ragazze indossassero abiti succinti e maliziose
trasparenze, che ci fossero luci soffuse e
magari pure musica di sottofondo, che i costi
corrispondessero a somme elevate e che
infine i clienti siano stati presi dal panico. E
tutto molto verosimile e forse vero. Per
potrebbe anche essere tutto allopposto, e il
giornalista avrebbe scritto il falso.

Qualcuno, ancora oggi, considera questo


atteggiamento come un esempio di buon
giornalismo. In altre redazioni, per fortuna la
maggior parte, si ritiene invece che si tratti
dellesatto contrario: cattivo giornalismo.
Quello che, come ha scritto il linguista Maurizio
fardano, riduce la notizia ad una moderna
novelletta di consumo. Si badi bene:
novelletta, dunque favola, dunque racconto
intriso di elementi inventati.

Non questa la strada da seguire. Se la notizia


scarna occorre approfondirla sollecitando
altre notizie dalle fonti. In questo esempio di
giornalismo sbagliato c per qualcosa da
salvare. Come avrete notato il giornalista
descrive la vicenda come se avesse assistito
allirruzione degli agenti con i propri occhi.
Quando si ragionevolmente certi di ogni
particolare della notizia che si scrive, questa
una buona tecnica per rendere pi avvincente
larticolo. Ne riparleremo.

Il giornalista deve correggersi da solo

la leggibilit di un testo data anche dalla sua


pulizia formale, dalla sua mancanza di errori o,
come si dice in gergo, di refusi. I progressi
della tecnologia forniscono straordinarie
opportunit al giornalista, ma lo caricano anche
di nuove responsabilit, soprattutto nella fase
di scrittura.

Ancora negli anni Settanta il giornalista


scriveva a macchina, consegnava il
dattiloscritto al caposervizio che lo controllava
e poi lo passava in composizione. Qui il testo
veniva ribattuto da un tastierista professionista
e poi sottoposto al correttore di bozze, spesso
un insegnante di lettere che arrotondava lo
stipendio scovando errori di battitura (ma
anche di grammatica o sintassi) nei testi
destinati ad apparire sui giornali.

Oggi invece il testo scritto dal giornalista al


computer tecnicamente pronto per essere
impaginato. Spesso viene stampato senza
alcun controllo o dopo una sommaria revisione
ad opera di personale improvvisato che,
nellindividuare i refusi, meno abile dei vecchi
professori di scuola.
Di fatto, nei giornali va scomparendo la figura
del correttore di bozze. Il giornalista sempre
pi responsabile della leggibilit formale del
suo testo. La capacit di scrivere al computer
senza commettere errori, unita alla pulizia
stilistica e alla correttezza grammaticale, sta
diventando una qualit decisiva per chi aspira a
un posto in redazione. Ogni giornalista deve
anche saper fare il correttore di bozze di s
stesso.

fare attenzione con aggettivi e avverbi

Nel linguaggio giornalistico, laggettivo deve


essere impiegato con moderazione perch, tra
tutte le forme lessicali, quella che implica il
pi netto giudizio personale. A un congresso di
partito un leader lancia un imprevisto attacco
ad un suo ex alleato. Com il viso di
questultimo? Preoccupato, indifferente,
attento, distratto, nervoso, sereno? Laggettivo
con cui lo descriviamo un nostro giudizio
soggettivo, che potrebbe anche essere
sbagliato ma che, di fatto, determina una
diversa lettura dellepisodio. Cosa fa in questo
caso il bravo cronista? Semplice, non ha
bisogno di usare laggettivo perch ha notato
alcuni particolari concreti della situazione: ad
esempio che il leader attaccato gesticolava pi
in fretta, oppure si consultava ripetutamente
con i vicini, oppure, pur mostrando
unespressione normale, muoveva
ritmicamente le gambe sotto al tavolo.

Laggettivo va dunque sostituito da fatti


concreti, che spetter al lettore interpretare.
Tra laltro, parlando delle frasi fatte, abbiamo
visto come laggettivo pu accoppiarsi in modo
automatico a certi sostantivi -caldo afoso,
danni ingenti- e diventare un luogo comune,
una frase priva di forza espressiva. Un motivo
in pi per non usare laggettivo e scrivere
quanti gradi cerano o riportare una stima dei
danni.

Inoltre, ricordiamoci di non inventare aggettivi


superflui, sostituendoli ai complementi di
specificazione: davvero non si capisce perch
una riunione di condominio debba diventare
una riunione condominiale, un incontro tra
ministri un vertice ministeriale e una
decisione dei dirigenti una decisione
dirigenziale.

Anche in questo settore, abbiamo leccezione.


Sono quegli aggettivi che introducono una
caratteristica concreta, che non deriva da una
valutazione soggettiva. Ad esempio: una
bandiera rossa, un cantante genovese, un
diplomatico bulgaro, un vestito liso, eccetera.
Questi aggettivi specifici, al contrario degli
altri, sono essenziali ad un linguaggio come
quello giornalistico, che deve sempre aspirare
alla precisione e allesattezza.

Gli avverbi

Luciano Satta afferma che, tra le parole


abusate, il primo posto spetta ad un avverbio:
estremamente. Anche Sergio Lepri non ha
dubbi: C poi un avverbio da eliminare senza
piet: estremamente. Al posto del semplice
molto (forse trascurato proprio perch
semplice), estremamente lavverbio pi
usato a sproposito.

Tutti concordi sulla necessit di sopprimere


estremamente, dunque. Ma in generale,
possiamo dire che nel linguaggio giornalistico,
sempre meglio eliminare gli avverbi che
finiscono in mente. Sono tanto comodi da
usare quando pesanti e goffi da leggere, senza
contare che, avvicinandone due nella stessa
frase, si ottiene un risultato sgradevole, come
in questo esempio: Gli sar grato eternamente
per essersi offerto spontaneamente. E una
frase farraginosa, che non scorre.

Come dimostra il box a fianco, quasi tutti gli


avverbi in mente possono essere sostituiti da
espressioni pi semplici e immediate: altri
avverbi, locuzioni avverbiali o complementi di
modo.

Non dimentichiamo, in ogni caso, che spesso


gli avverbi sono superflui. Giampaolo Pansa,
racconta un episodio di quando si stava
facendo le ossa alla Stampa diretta da Giulio
De Benedetti: Un giorno che Getano Tumiati,
inviato di serie A cominci un articolo con due
avverbi, Pressoch quotidianamente, De
Benedetti si catapult inviperito nel salone, con
le copie di quel pezzo in pugno, stazzonate,
maltrattate. Io avevo gi cambiato linizio in
Quasi ogni giorno. Lui mi consider
sogghignando e disse: Lei diventer un buon
redattore.

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Author: Fabio Bonifacci Tags:


1. Un test per gioco: i mali di chi scrive

1 ottobre 2009
55 commenti
Infine un gioco: I mali di chi scrive

Questo solo un gioco. Ho cercato di


ricostruire le 10 possibili sindromi degli
aspiranti scrittori (e anche non aspiranti).
Nessuno ha tutti questi disturbi, ma quasi tutti
ne hanno uno o pi di uno. Io ad esempio ne
ho tre. E voi?

(S sindromi ce ne sono molte altre, io andr


avanti. Ma nei commenti potete suggerirne
anche voi, se mi piacciono le aggiungo)
- Narcisismo narrativo. Nella buona scrittura
lautore studia leffetto che il testo deve
produrre sugli altri. Al Narcisista Narrativo,
invece, basta sapere leffetto che il testo
provoca a s stesso. In genere fa un altro
mestiere e scrive perch gli piace. A volte ha
problemi col partner e vuole solo una scusa per
isolarsi in tavernetta. In ogni caso scrive come
una vaporiera, senza mai correggere n fare
revisioni. Ama tutto quel che produce e dice io
scrivo per me. Spesso, infatti, lunico a cui
piacciono i suoi testi. Tuttavia il soggetto
scrivendo prova un piacere autentico, il che gli
conferisce unaria allegra e un invidiabile
ottimismo, infatti pu subire decine di rifiuti e li
sopporta senza fare un piega. Lo si riconosce
perch se gli chiedi una revisione risponde
cos?

-Sindrome del genio. Al contrario del caso


precedente, chi affetto da questa sindrome
lavora sui testi in modo scrupoloso o persino
maniacale. Insomma, studia leffetto del suo
messaggio. Il problema che sbaglia
messaggio. Le sue frasi infatti non devono
comunicare informazioni sui personaggi o la
trama, ma sullautore stesso. In sostanza,
lunica domanda che si pone : da questa
frase si capir che sono un genio?. Il testo si
riconosce perch nelle prime righe viene da
pensare caspita questo ha talento. Poi ci si
accorge che ogni frase serve solo a ripetere lo
stesso messaggio (Ho talento, eh?). Cos si
posa il libro a pagina 10. Chi ha la Sindrome
del Genio non regge i rifiuti, e si accompagna a
manie che portano il soggetto a ritenersi
perseguitato dal corrotto ambiente letterario,
cinematografico, teatrale, eccetera.

-Vocazione apparente. Bizzarra forma di


autoinganno che porta il soggetto a credere di
voler scrivere, senza che in realt provi piacere
nellatto pratico dello scrivere. In sostanza al
soggetto scrivere non piace. Gli basta il
semplice dichiararsi scrittore, che pu servire a
mitigare problemi di adattamento alla realt,
eludere fastidiosi obblighi come il lavoro e la
puntualit, coprire carenze di autostima o
mascherare una certa paura del futuro. In ogni
caso, il soggetto ha bisogno per qualche tempo
di rifugiarsi in una vocazione fittizia. La
sindrome ha sintomi molto riconoscibili: lesilit
dei testi, la frettolosit dello stile o, nei casi pi
conclamati, la totale mancanza di scritti. Lauto
diagnosi facile: basta aprire il computer e
contare la quantit di pagine effettivamente
scritte.

-Carenza di disturbi. Malattia che coglie gli


aspiranti che in astratto vorrebbero scrivere
ma, in concreto, non sanno cosa scrivere. Non
hanno argomenti, storie e personaggi che li
disturbino abbastanza per dover essere domati
sulla carta. In altre parole non hanno, almeno
per il momento, nulla da raccontare. E questo,
per chi vuole scrivere, un problema. In
questi casi, la produzione si caratterizza per la
gran quantit di storie abbozzate e mai
terminate, nonch per landamento ondivago
della trama, che cambia tono e direzione di
continuo.

La carenza di temi disturbanti nasconde quasi


sempre una difficolt a prendere contatto con
le proprie fonti di dolore. In casi rari invece il
soggetto ha una dotazione eccessiva di felicit
congenita, incompatibile con la professione di
scrittore. In questo caso, si consiglia di lasciar
perdere e godersi la vita.

-Sindrome del caro diario. Problema assai


diffuso che consiste nel raccontare i fatti propri
e spacciarli per una storia. Il fatto che le scuole
di scrittura suggeriscano (peraltro
giustamente) di cominciare da ci che si
conosce, ha dato al fenomeno una copertura
ideologica che lo ha reso inarrestabile. Chi ne
afflitto si pu riconoscere perch dice di avere
sempre nuove storie da raccontare, e se gli
chiedi dove le prende alza le spalle dicendo:
non so, mi vengono. Le sue storie sono
sempre insignificanti, a causa della nota legge
di Ida Omoboni: meno interessante una
vita, pi probabile che il suo possessore
decida di raccontarla. La prova definitiva della
sindrome si ha quando il testo viene
pubblicato: il lieto evento sempre guastato
da liti con parenti, amici o partner che si
arrabbiano al grido di io non sono cos.

Questi due li abbiamo gi visti nella prima


lezione, ma ripetiamoli:

-Carenza di storia. Classico problema da


esordiente che desidera tanto scrivere ma non
ha una storia da raccontare. Allora prende un
personaggio che ha il suo stesso sesso, la sua
stessa et (25-30), identica condizione sociale
(spesso purtroppo il precariato) e analoghe
aspirazioni (spesso vaghi sogni artistici). Poi,
con un stile fresco, brillante e acuto, manda il
personaggio a vagare tra lavori casuali, viaggi
casuali, amori casuali e peripezie casuali.
Finch a un certo punto, il personaggio
incontra un colpo di fortuna o una disgrazia, e
la storia finisce. Spesso dotate di uno stile
fresco e sincero, a volte queste storie
diventano libri o film, nella speranza di far
colpo sui giovani. Per lautore non un gran
fortuna perch cos si convince che sa scrivere
una storia, e rischia di non imparare mai pi a
farlo.

-Eccesso di storia. Anche in questo caso


lautore non ha una storia da raccontare ma
sente che per scrivere una trama serve. Allora,
usa la trama come i cattivi registi usano gli
effetti speciali: a piene mani, spargendo colpi
di scena come un fertilizzante che fa bene. Il
protagonista (spesso di nuovo un 25-30 enne
precario simile allautore) viene frullato in un
gorgo di eventi stratosferici: incontra mafiosi
dandy, macellai che trafficano in organi,
cassiere che lavorano nel porno, poliziotti che
praticano magia occulta, direttori di banca
iscritti allordine dei templari, serial killer non
vedenti e venditori di caldarroste satanisti. Alla
fine convinto di avere una trama pazzesca.
Se gli va male, smette di scrivere perch a
elaborare quel delirio ha fatto troppa fatica. Se
gli va bene, smette subito dopo, quando scopre
che, misteriosamente, la sua storia non
diventata un successo internazionale.

-Sindrome del Fanciullone. Il nome deriva


da Pascoli secondo il quale il poeta deve
trovare il fanciullino che in s. Questo
concetto, imprudentemente diffuso nelle
scuole, degenera nella confessione incontrollata
di sentimenti da parte di Fanciulloni ormai
grandi e pelosi che scrivono al solo scopo di
mostrare la delicatezza del proprio animo. La
sindrome riconoscibile dallo spessore dei
dattiloscritti, mai inferiori ai 10 centimetri, e
dai caratteri nobili del protagonista narrante
che ha la stessa et dellautore e fa lo stesso
lavoro ma coltiva ogni genere di sentimenti
profondi e generosi. Una variante oggi pi
diffusa la

-Sindrome del Fanciullino che Rutta.


Funziona allo stesso modo ma ha un
protagonista antieroico e ignobile, che ostenta
la propria bassezza morale con orgoglio. I
dattiloscritti in questo caso sono per pi
sottili: lennesima prova che al mondo le buone
intenzioni superano quantitativamente i cattivi
comportamenti. Spesso questa sindrome si
unisce a quella che segue

-Trasgressione del nulla. Chi ne affetto


vuole imitare le rotture delle avanguardie,
infrangere le regole narrative e shockare i
benpensanti. Gli sono sfuggiti alcuni
cambiamenti, tipo che le avanguardie sono la
cultura ufficiale studiata alluniversit o che i
benpensanti si sono iscritti in massa ai club
priv, frequentano escort e consumano
cocaina. Il Trasgressore del Nulla si trova cos
nella imbarazzante situazione di chi vuole
infrangere leggi che non sono pi in vigore da
40 anni. Inevitabile che il risultato sia un
tantino confuso, e anche noioso.

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