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Collana diretta da
Luigi Marco Bassani, Nicola Iannello,
Carlo Lottieri, Sergio Ricossa
I volumi della collana Mercato, Diritto e Libertà
sono pubblicati grazie al generoso contributo
dell’Istituto Adam Smith di Verona.
Milton Friedman
CAPITALISMO
E LIBERTÀ
Prefazione di Antonio Martino
Titolo originale
Capitalism and Freedom
(Chicago, University of Chicago Press, 2002)
Prima edizione 1962
Traduzione dall’inglese
David Perazzoni
AD
Uliva Foà
Copertina
Timothy Wilkinson
© IBL Libri
Via Bossi, 1
10144 Torino
info@ibl-libri.it
www.ibl-libri.it
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Capitalismo e libertà
Capitalismo e libertà
Il libro contiene una serie di conferenze tenute da
Friedman al Wabash College nel 1956 e raccolte, come
di consueto, con la collaborazione della moglie Rose
Director, anche lei economista e sorella dell’economista
Aaron Director. I tredici capitoli forniscono una splen-
dida sintesi del pensiero politico e delle tesi di politica
economica di Milton. Anche se non tutti sono egual-
mente accessibili a chi è digiuno di economia, sono
piacevolmente leggibili ed entusiasmanti. Questo libro,
ristampato innumerevoli volte e tradotto in un gran
numero di lingue, è un autentico classico del pensiero
liberale moderno.
L’incipit è rappresentato dalla critica devastante
all’affermazione di J.F. Kennedy: «Non chiedetevi cosa
il vostro paese possa fare per voi, chiedetevi cosa voi
potete fare per il vostro paese». Dice Friedman: «La for-
mula paternalista “cosa il vostro paese possa fare per
voi” lascia intendere che il governo è il tutore e il citta-
dino il discepolo, ossia una concezione in netto contra-
sto con la convinzione per la quale ogni uomo libero è
responsabile del proprio destino». “Cosa voi potete fare
per il vostro paese” rappresenta secondo Friedman la
conseguenza di una visione secondo la quale il governo
è il padrone e il cittadino il servo. «Per l’uomo libero, il
suo paese è l’insieme degli individui che lo compongo-
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Prefazione all’edizione italiana
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Capitalismo e libertà
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Prefazione all’edizione italiana
solo per gli interessati ma anche per tutti gli altri. Il qua-
dro era talmente variegato che un noto economista alla
richiesta di dare una definizione dell’economia rispose
“l’economia è ciò di cui gli economisti si occupano”!
Friedman, nel suo saggio sulla metodologia, rifacen-
dosi a John Neville Keynes, padre del più famoso John
Maynard, sostiene che bisogna distinguere l’economia
positiva, che ci dice come stanno le cose, dall’economia
normativa, che si occupa di illustrare come dovrebbero
andare. Per Friedman l’economia positiva è una scien-
za che ha come obiettivo quello di farci comprendere il
mondo in cui viviamo. L’economista fornisce una sua
spiegazione di una data realtà e per sapere se è valida
esiste un solo modo: mettere a confronto le conclusioni
che da quella teoria scaturiscono con la realtà. Se i dati
disponibili non ne smentiscono le conclusioni possiamo
continuare a farne uso, ma con l’avvertenza che l’anali-
si quantitativa non può dimostrare che la teoria è vera,
può soltanto limitarsi a non falsificarla. Fintantoché non
viene contraddetta dai dati possiamo fidarcene; non ap-
pena i dati la smentiscono bisognerà trovare una teoria
alternativa.
Quando, su suo suggerimento, venni invitato per la
prima volta a una riunione della Mont Pèlerin Society a
Hillsdale (Michigan) nel 1975, gli chiesi cosa pensasse
di Popper, che sapevo essere anch’egli membro della
società. A quel tempo, infatti, ero infatuato del lavoro
del grande epistemologo austriaco e la lettura delle sue
opere mi aveva portato a ritenere che le posizioni sue
e di Friedman in campo metodologico fossero molto
simili.
Il principio di falsificabilità di Popper mi sembrava
assai simile se non identico alla posizione del mio ma-
estro ed ero interessato a sapere quale dei due avesse
influenzato l’altro. Friedman mi disse che, dopo il suo
primo incontro con Popper, ne era rimasto entusiasta,
ma che poi aveva cambiato opinione perché sembrava
che a Popper interessassero solo i suoi studi e le sue
idee, mostrando totale disinteresse per tutto ciò che non
lo riguardava da vicino.
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Capitalismo e libertà
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Prefazione all’edizione italiana
La storia monetaria
La seconda metà del secolo Venti è stata in gran par-
te dominata da un’ortodossia imperante basata su una
versione di comodo della Grande Depressione, un’in-
terpretazione a senso unico della teoria keynesiana e
una diffusa e profonda avversione per l’economia libe-
ra. Friedman ha demolito questi tre pilastri del pensiero
unico dei benpensanti. I suoi lavori illustrano in modo
superbo la superiorità del mercato sulla politica e questo
libro è, forse, il punto di riferimento principale per stu-
diare le posizioni di Friedman sull’economia di merca-
to. Le sue teorie hanno mostrato con ineccepibile rigore
le pecche del pensiero di Keynes (Friedman aveva una
grande considerazione dell’economista di Cambrid-
ge ma stimava assai meno i suoi acritici ammiratori).
Ha, infine, ma certamente cosa non meno importante,
dimostrato, grazie alla monumentale Storia monetaria,
come la Grande Depressione non fosse stata per nulla
un drammatico esempio di fallimento del mercato e di
impotenza della politica monetaria, ma al contrario la
più imponente dimostrazione del fallimento della poli-
tica e dell’importanza della moneta.6
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Capitalismo e libertà
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Prefazione all’edizione italiana
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Capitalismo e libertà
Conclusione
Quanto è ancora attuale il pensiero di Friedman? A
me sembra che gran parte della sterminata produzione
del grande economista di Chicago mantenga intatta la
sua validità. È probabile che in futuro le sue teorie e i
suoi lavori scientifici vengano superati da nuove tecni-
che e da nuove teorie; per chi crede nel progresso anche
nel pensiero economico questa è una certezza. Più du-
rature, forse, saranno le proposte di politica economica
come la sostituzione di regole imparziali alla arbitrarie-
tà dei responsabili delle scelte politiche, o l’adozione di
una flat tax, o la sostituzione del farraginoso, costoso
e inefficiente sistema di trasferimenti in natura tipico
dell’attuale welfare state con un meccanismo di trasferi-
menti in denaro, che rispetti la libertà di scelta dei be-
neficiari.
Di una cosa sono, invece, assolutamente certo: l’ispi-
razione ideologica, il liberalismo radicale e riformatore,
sopravvivrà a lungo a tutto il resto. È, a mio avviso e
secondo l’esperienza storica, l’unica ideologia compati-
bile con la dignità degli esseri umani e con il progresso
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Prefazione all’edizione del 2002
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Prefazione alla prima edizione
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Prefazione alla prima edizione
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Introduzione
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Capitalismo e libertà
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Introduzione
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Capitalismo e libertà
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Introduzione
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Introduzione
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Capitalismo e libertà
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Capitolo 1
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La relazione tra libertà economica e libertà politica
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Capitalismo e libertà
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La relazione tra libertà economica e libertà politica
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La relazione tra libertà economica e libertà politica
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Capitolo 2
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Il ruolo del governo in una società libera
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Il ruolo del governo in una società libera
Conclusione
Possiamo immaginare una forma di governo in gra-
do di mantenere la legge e l’ordine, definire i diritti di
proprietà, servire da strumento per la ridefinizione di
tali diritti e delle altre regole del gioco economico, fun-
gere da arbitro in merito ai conflitti relativi all’interpre-
tazione delle regole, far rispettare i termini dei contratti,
favorire la concorrenza e offrire un quadro di riferimen-
to monetario. Il governo potrebbe inoltre operare per
contrastare i monopoli naturali e ridurre quelle ester-
nalità generalmente giudicate sufficientemente impor-
tanti da meritare l’intervento delle autorità, affiancare
le famiglie e gli enti privati di beneficenza nella tutela
degli individui irresponsabili (pazzi e fanciulli). Non
v’è dubbio che un governo siffatto svolgerebbe funzio-
ni importanti. Un liberale coerente non è per forza un
anarchico.
D’altro canto è evidente che questa ipotetica forma
di governo avrebbe compiti rigorosamente limitati ed
eviterebbe di effettuare numerosi interventi che oggi
sono svolti dalle autorità federali e statali negli Stati
Uniti e dalle loro controparti in altri paesi occidentali.
Nei capitoli seguenti esamineremo più dettagliatamen-
te alcuni di essi. Tuttavia può essere utile, al fine di dare
un’idea del ruolo che un liberale assegnerebbe ai poteri
pubblici, enumerare in chiusura di questo capitolo al-
2. Arthur V. Dicey, Lectures on the Relation between Law and Public Opinion in
England during the Nineteenth Century, Londra, Macmillan, 1914, p. LI.
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Capitolo 3
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Il controllo della moneta
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Il commodity standard
Nel corso della storia, il meccanismo adottato più
spesso nei luoghi e nei tempi più diversi è stato il com-
modity standard, vale a dire l’uso a mo’ di moneta di un
bene fisico, quale l’oro o l’argento, l’ottone, lo stagno, le
sigarette o il cognac e via dicendo. Se la moneta consi-
stesse del tutto o in parte in un bene fisico di questo ge-
nere, in linea di principio non sarebbe necessario alcun
controllo da parte del governo. L’ammontare di moneta
circolante dipenderebbe dal costo necessario per pro-
durre il bene monetario anziché altri beni. Le variazioni
della quantità di moneta esistente dipenderebbero da
cambiamenti delle condizioni tecniche di produzione
del bene monetario e da variazioni della domanda di
moneta. È questo l’ideale che ispira molti seguaci di un
gold standard ciecamente automatico.
Gli esempi reali di commodity standard si sono con-
siderevolmente allontanati da questo semplice sistema,
che non richiede alcun intervento dei poteri pubblici.
Storicamente, a ciascun commodity standard (come quelli
basati sull’oro o sull’argento) si è affiancato un qualche
tipo di moneta fiduciaria, ufficialmente convertibile nel
bene monetario secondo termini prestabiliti. Vi è un ot-
timo motivo per questa deviazione: dal punto di vista
della società nel suo complesso, il difetto fondamenta-
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Il controllo della moneta
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Capitalismo e libertà
2. Dopo l’approvazione del Coinage Act del 1873 gli Stati Uniti adottarono di
fatto un gold standard. Nel 1896 il Partito Democratico voleva tornare al “bime-
tallismo” permettendo il free coinage dell’argento e stabilendo un rapporto fisso
del valore dell’argento rispetto all’oro. Questa misura avrebbe prodotto inflazione,
favorendo i piccoli agricoltori e altri debitori, che avrebbero potuto ripagare più
facilmente i propri debiti. In pratica i Democratici desideravano attirare i voti
dei piccoli debitori (a prezzo di una maggiore inflazione), contrapponendo i loro
interessi a quelli dei creditori, assimilati al grande capitale industriale e finanziario.
Nel corso della Convenzione Democratica del 1896 il populista William Jennings
Bryan pronunciò un appassionato discorso in cui ammoniva i suoi avversari:
«Non porrete sulla fronte dei lavoratori questa corona di spine, non crocifiggerete
l’umanità a una croce d’oro». Bryan ottenne la candidatura alle successive elezioni
presidenziali, ma venne battuto da William McKinley [NdT].
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Capitolo 4
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Regimi commerciali e finanziari in campo internazionale
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Capitolo 5
La politica fiscale
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3. Una parte dei risultati può essere reperita in Milton Friedman - David
Meiselman, “The Relative Stability of the Investment Multiplier and Monetary
Velocity in the United States, 1897-1958”, in Stabilization Policies, Prentice-Hall/
Commission on Money and Credit, 1963, pp. 165-268.
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La politica fiscale
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Capitolo 6
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Il ruolo dei poteri pubblici nell’istruzione
1. Il fatto che il passo ora illustrato possa avere una significativa influenza sulle
dimensioni dei nuclei familiari è meno fantasioso di quanto può apparire. Ad
esempio, una delle spiegazioni della riduzione del tasso di natalità tra i gruppi
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Capitalismo e libertà
socio-economici più abbienti può certamente essere che il costo di ciascun figlio è
considerevolmente più elevato per una famiglia ricca rispetto a quanto avviene in
una famiglia più povera, in buona misura grazie al livello scolastico più elevato che
la prima tende a mantenere e il cui costo grava prevalentemente su di essa.
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tato dal National Health Service, il servizio sanitario nazionale britannico. In uno
studio attento e acuto, D.S. Lees giunge alla conclusione che «ben lungi dall’essere
esorbitanti, i fondi destinati al NHS sono stati verosimilmente inferiori a quanto i
consumatori avrebbero scelto di spendere in un libero mercato. Il ridotto numero
di ospedali costruiti, in particolare, è deplorevole». D.S. Lees, “Health Through
Choice”, Hobart Paper n. 14, Londra, Institute of Economic Affairs, 1961, p. 58.
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5. Nel mio esempio ho usato l’Ohio, piuttosto che l’Illinois, perché da quando
ho scritto l’articolo sul quale si basa questo capitolo (ossia nel 1953) lo stato dell’Il-
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Il ruolo dei poteri pubblici nell’istruzione
linois ha istituito un programma sulle linee della mia proposta, grazie al quale
vengono messe a disposizione borse di studio utilizzabili presso college e università
private in Illinois. Anche la California ha seguito l’esempio dell’Illinois, mentre la
Virginia ha istituito un programma analogo per gradi di istruzione più bassi, ma
per un motivo completamente diverso, ossia evitare l’integrazione razziale. Il caso
della Virginia verrà esaminato nel Capitolo 7.
6. Può accadere che il maggiore rendimento si manifesti solo parzialmente in
forma monetaria: esso può anche consistere in benefici non pecuniari inerenti
all’occupazione per la quale la formazione professionale è più adatta all’individuo
in questione. Analogamente, tale occupazione può presentare svantaggi non pecu-
niari, che vanno inclusi tra i costi dell’investimento.
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9. A dispetto degli ostacoli che presentano i prestiti a rendita fissa, a quanto pare
in Svezia essi sono un sistema alquanto diffuso per il finanziamento dell’istruzione.
Nel paese scandinavo questo genere di prestiti è disponibile a un tasso d’interesse
moderato. È presumibile che una spiegazione possa essere ravvisata in una variazio-
ne del reddito tra i laureati minore di quanto non avvenga negli Stati Uniti. Questa,
tuttavia, non può essere una spiegazione esauriente e potrebbe non essere la sola
ragione (né la più importante) di questo diverso modo di fare. Sarebbe auspicabile
uno studio più approfondito dell’esperienza pratica svedese e di altri paesi, in modo
da poter vedere se le ragioni sopra esposte rappresentino una spiegazione adeguata
dell’assenza, negli Stati Uniti come altrove, di un florido mercato dei prestiti per il
finanziamento della formazione professionale, o se non vi siano invece altri ostacoli
più facili da eliminare. Negli ultimi anni, negli Stati Uniti si è verificata una gradita
crescita dei prestiti privati a favore di studenti universitari. La molla principale di
questo fenomeno è stata la United Student Aid Funds, un’organizzazione no profit
che garantisce i prestiti concessi dalle banche private.
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11. Desidero ringraziare Harry G. Johnson e Paul W. Cook Jr. per avermi sugge-
rito di aggiungere questa condizione. Per una disamina più approfondita del ruolo
dei benefici e degli svantaggi non pecuniari nel calcolo degli introiti derivanti dalle
diverse carriere professionali, si veda Milton Friedman - Simon Kuznets, Income
from Independent Professional Practice.
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speranza di vita.
Se gli oneri amministrativi costituiscono l’ostacolo
principale alla realizzazione di un sistema privatistico
per il finanziamento della formazione professionale, il
livello più idoneo a mettere a disposizione i fondi neces-
sari è il governo federale. Nel tentativo di tenere traccia
degli individui che hanno beneficiato di finanziamenti,
qualsiasi stato dell’Unione incontrerebbe gli stessi co-
sti che avrebbe, diciamo, una compagnia assicurativa.
Il ricorso alle autorità federali permetterebbe di ridurre
al minimo, anche se non di eliminare, tali costi. Se un
individuo emigrasse in un altro paese, ad esempio, sa-
rebbe pur sempre soggetto all’obbligo legale e morale
di versare la frazione concordata dei suoi guadagni, ma
far rispettare tale obbligo sarebbe difficile e costoso. Gli
individui di particolare successo, quindi, avrebbero un
incentivo a emigrare all’estero. È evidente che si tratta
di un problema analogo a quello che si presenta nel caso
dell’imposta sul reddito, per giunta in misura decisa-
mente maggiore. Questo e altri problemi amministra-
tivi che si presenterebbero nella gestione del program-
ma a livello federale, per quanto complessi nei dettagli,
non appaiono particolarmente gravi. Il vero problema
è quello politico già menzionato: come impedire che il
programma diventi un pretesto politico e, sull’onda di
polemiche strumentali, venga trasformato da un pro-
getto finanziariamente autonomo a un programma di
sovvenzioni a fondo perduto.
Se questo pericolo è concreto, altrettanto reali sono
le opportunità offerte da un programma del genere. Le
imperfezioni esistenti nei mercati dei capitali tendono a
riservare i tipi di formazione professionale più costosi
agli individui che possono approfittare di genitori o di
benefattori disposti a finanziarli. Ciò rende costoro un
gruppo “fuori gara”, messo al riparo dalla concorren-
za dei molti individui che non dispongono del capitale
necessario. Il risultato è quello di perpetuare le inegua-
glianze in ricchezza e posizione sociale. La nascita di un
sistema come quello delineato nelle pagine precedenti
aumenterebbe la disponibilità di capitale e contribui-
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Capitolo 7
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Capitolo 8
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3. Adam Smith, The Wealth of the Nations (1776), Book I, Chapter X, Part II,
Londra, Cannan, 1930, p. 130 [trad. it.: La ricchezza delle nazioni, Roma, Newton
Compton, 1995, p. 155].
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Monopolio e responsabilità sociale del mondo dell’impresa e del lavoro
4. Adam Smith, The Wealth of the Nations (1776), Book IV, Chapter II, p. 421
[trad. it.: La ricchezza delle nazioni, p. 391].
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Capitolo 9
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Capitalismo e libertà
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
4. Per correttezza, devo aggiungere che Gellhorn non condivide la mia soluzione
al problema, ossia l’abolizione pura e semplice delle licenze. Anzi, egli è convinto
che, sebbene il sistema di concessione di queste licenze si sia spinto troppo oltre,
esse abbiano un’importante funzione da svolgere. Gellhorn propone riforme e
modifiche procedurali che, a suo parere, limiterebbero gli abusi nei meccanismi di
concessione delle autorizzazioni allo svolgimento di una professione.
5. Walter Gellhorn, Individual Freedom and Government Restraints, pp. 121-
122.
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Capitalismo e libertà
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Capitalismo e libertà
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Le licenze per lo svolgimento di una professione
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Capitolo 10
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La redistribuzione del reddito
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La redistribuzione del reddito
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La redistribuzione del reddito
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La redistribuzione del reddito
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La redistribuzione del reddito
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Capitolo 11
Assistenzialismo e welfare
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Assistenzialismo e welfare
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Assistenzialismo e welfare
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Assistenzialismo e welfare
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Capitalismo e libertà
Le pensioni di vecchiaia
Il sistema di previdenza sociale è uno di quei casi in
cui la “tirannia dell’esistente” sta iniziando a far sentire
i propri effetti. A dispetto delle controversie che ne han-
no accompagnato la creazione, il sistema pensionistico
viene ormai dato interamente per scontato, al punto che
non si mette più in dubbio quanto esso sia desiderabile.
E tuttavia esso comporta un enorme grado di ingerenza
nella vita privata di una considerevole parte dei citta-
dini, senza alcuna convincente giustificazione, almeno
a mio modo di vedere, non solo dal punto di vista dei
principi liberali, ma a partire da qualsiasi principio.
Vorrei quindi esaminare la componente più significa-
tiva del sistema, ossia il pagamento delle pensioni di
vecchiaia.
Dal punto di vista funzionale, il sistema per il paga-
mento delle pensioni di vecchiaia e a favore dei super-
stiti consiste di una imposta specifica applicata sui sa-
lari dei lavoratori dipendenti e del versamento a favore
degli individui che hanno raggiunto un’età prestabilita
di una somma periodica determinata dall’età alla quale
iniziano i pagamenti, dallo stato di famiglia e dalla sto-
ria salariale del pensionato.
Dal punto di vista analitico, il sistema consiste di tre
elementi diversi:
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Assistenzialismo e welfare
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Assistenzialismo e welfare
te esistente.
Appare evidente che i costi della nazionalizzazione
superano di gran lunga qualsiasi eventuale beneficio. In
questo come in altri casi, la libertà di scelta da parte de-
gli individui e la concorrenza tra imprese private a cac-
cia di clienti favorirebbero lo sviluppo di miglioramenti
nei contratti esistenti e stimolerebbero una maggiore
varietà e diversità in grado di soddisfare le singole esi-
genze. A livello politico va considerato l’ovvio beneficio
derivante dalla limitazione dell’espansione dell’inter-
vento dello Stato e della minaccia indiretta alla libertà
posta da tale intervento.
La natura del sistema attuale, inoltre, produce al-
cuni costi politici relativamente poco visibili. Le que-
stioni sollevate da questi problemi sono estremamente
tecniche e complesse e il cittadino comune raramente
dispone delle competenze necessarie per farsi un’opi-
nione in merito. La nazionalizzazione significa che gli
“esperti” diventano in gran parte dipendenti del siste-
ma nazionalizzato o membri del mondo accademico
strettamente collegati a esso. Inevitabilmente, costoro
diventeranno fautori del suo ampliamento, non – mi
affretto a precisare – per spudorati motivi di interesse
personale, ma perché gli “esperti” operano entro un
quadro di riferimento concettuale nel quale danno per
scontata la gestione pubblica e hanno familiarità solo
con i suoi metodi. L’unico fattore che fino a oggi ha sal-
vato gli Stati Uniti è l’esistenza di compagnie private di
assicurazione attive in questo settore.
Un controllo effettivo da parte del Congresso di enti
quali la Social Security Administration (che negli Stati
Uniti gestisce il sistema pensionistico) diventa sostan-
zialmente impossibile, in conseguenza della natura tec-
nica della materia e del quasi monopolio che esercitano
sugli esperti. Enti di tal fatta diventano in pratica organi
dotati di autogoverno e il Congresso si limita per lo più
a dare un placet formale alle loro proposte. Gli individui,
abili e ambiziosi, che fanno carriera al loro interno sono
comprensibilmente desiderosi di ampliare il campo
d’azione degli enti ai quali appartengono e impedirgli
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Capitolo 12
Il soccorso ai poveri
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Liberalismo ed egualitarismo
Al cuore della filosofia liberale sta la fede nella di-
gnità dell’individuo, la fede nella sua libertà di sfrut-
tare come meglio crede le proprie capacità e le oppor-
tunità che gli si presentano, con la sola riserva di non
poter violare la libertà altrui di comportarsi in maniera
analoga. Tutto ciò equivale ad avere fede, in un senso,
nell’uguaglianza di tutti gli uomini e, in un altro, nella
loro ineguaglianza. Ciascun individuo ha pari diritto
alla propria libertà. Si tratta di un diritto importate e
fondamentale proprio perché gli uomini sono diversi,
e ciascuno di essi potrebbe desiderare di utilizzare la
propria libertà in modo diverso da come farebbero gli
altri con il risultato che, così facendo, potrebbe contri-
buire più di altri alla cultura generale della società in
cui egli vive.
Un liberale, quindi, deve saper distinguere chiara-
mente l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità da
una parte, e l’uguaglianza materiale o l’uguaglianza dei
risultati dall’altra. Egli può accogliere con favore il fatto
che una società libera tende a produrre una maggiore
uguaglianza materiale di ogni altro tipo di società mai
sperimentata, ma riterrà questo fenomeno alla stregua
di un felice sottoprodotto di una società libera e non la
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Capitolo 13
Conclusione
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Conclusione
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Conclusione
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Conclusione
1. Arthur V. Dicey, Lectures on the Relation between Law and Public Opinion in
England during the Nineteenth Century, Londra, Macmillan, 1914, pp. 25-78.
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Mercato, Diritto e Libertà Arnold Kling,
La sanità in bancarotta.
Richard Epstein, Perché ripensare i sistemi
Mercati sotto assedio. sanitari
Cartelli, politiche
e benessere sociale Andrea Giuricin,
Alitalia.
Benjamin Constant, La privatizzazione infinita
Conquista e usurpazione
Alberto Mingardi
Paul H. Rubin, (a cura di),
La politica secondo Darwin. La crisi ha ucciso il libero
L’origine evolutiva della libertà mercato?
Peter T. Bauer, Nicholas Eberstadt
Dalla sussistenza allo scambio. e Hans Groth,
Uno sguardo critico L’Europa che invecchia.
sugli aiuti allo sviluppo La qualità della vita
può sconfiggere il declino
Fred Foldvary,
Beni pubblici John B. Taylor,
e comunità private. Fuori strada.
Come il mercato può gestire Come lo Stato ha causato,
i servizi pubblici prolungato e aggravato
la crisi finanziaria
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Straborghese Kevin Dowd,
Abolire le banche centrali
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La razionalità nell’economia. Stephen Goldsmith
Fra teoria e analisi sperimentale e William D. Eggers
Governare con la rete.
Jonathan R. Macey, Per un nuovo modello
Corporate Governance. di pubblica amministrazione
Quando le regole falliscono
Gabriele Pelissero
Milton Friedman, e Alberto Mingardi
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Eppur si muove
Policy Come cambia la sanità in
Europa, fra pubblico e privato
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Pianeta blu, non verde.
Cosa è in pericolo: il clima
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La telefonia mobile
e il laboratorio Italia.
Primo rapporto sulla telefonia
mobile in Italia
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(a cura di),
Indice delle liberalizzazioni
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Piercamillo Falasca
(a cura di),
Dopo!
Come ripartire dopo la crisi
Carlo Stagnaro
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Indice delle liberalizzazioni
2010
L’Istituto Bruno Leoni (IBL), intitolato al grande filosofo
del diritto Bruno Leoni (1913-1967), nasce con l’ambizione di
stimolare il dibattito pubblico, in Italia, esprimendo in modo
puntuale e rigoroso un punto di vista autenticamente liberale.
L’IBL intende studiare, promuovere e divulgare gli ideali
del libero mercato, della proprietà privata e della libertà di
scambio.
Attraverso la pubblicazione di libri, l’organizzazione di
convegni, la diffusione di articoli sulla stampa nazionale e
internazionale, l’elaborazione di brevi studi e briefing
papers, l’IBL mira a orientare il processo decisionale, ad
informare al meglio la pubblica opinione, a crescere una
nuova generazione di intellettuali e studiosi sensibili alle
ragioni della libertà.
L’IBL vuole essere per l’Italia ciò che altri think tank sono
stati per le nazioni anglosassoni: un pungolo per la classe
politica e un punto di riferimento per il pubblico in generale.
Il corso della storia segue dalle idee: il liberalismo è un’idea
forte, ma la sua voce è ancora debole nel nostro Paese.
IBL Libri è la casa editrice dell’Istituto Bruno Leoni.
Volti ad approfondire la dimensione teorica dei dibattiti
sulla libertà individuale e sulla giustizia, i volumi della col-
lana Mercato, Diritto e Libertà si caratterizzano per il rigore
con cui difendono la tradizione liberale più coerente. L’obiet-
tivo è di offrire i migliori strumenti intellettuali alle giovani
generazioni, favorendo quel mutamento del dibattito cultu-
rale che è premessa indispensabile a un’efficace difesa delle
libertà minacciate e ad una riconquista di quelle perdute.