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4 Aprile 2005

Tema: “Dai capitoli relativi alle vicende di Renzo a Milano emerge un quadro
sconfortante della giustizia nel sec. XVII. Quali sono le considerazioni del
Manzoni in relazione a questo tema”

Renzo non giunge a Milano in un giorno qualsiasi, bensì l’11 Novembre 1628, il giorno
dell’assalto al forno delle grucce. La sua permanenza in questa città sarà breve e
movimentata, in quanto, sebbene i fatti di Renzo a Milano occupino quattro capitoli e
mezzo, egli vi rimane solo poco più di un giorno.
Con le vicende narrate in questi capitoli il Manzoni tratta, tra gli altri, uno dei temi a lui più
cari, quello della giustizia. La sua ironia ed il suo commento emergono così dalla storia da
lui narrata, e giungono al lettore attraverso piccole precisazioni o vere e proprie pause
riflessive.
Il primo momento in cui compare il tema della giustizia in queste pagine si trova poco dopo
l’inizio del cap. XII e consiste proprio nell’assalto al forno delle grucce. In questo passo,
infatti, il Manzoni, oltre a denunciare il comportamento della folla, ridotta a massa istintuale
ed irrazionale (molto espressiva la pagina del saccheggio), critica anche quello del capitano
di giustizia, che cerca di risolvere la situazione con diplomazia, assumendo un tono
paternalistico. In realtà, poi, colpito nella sua “profondità metafisica”, rinsavirà ed assumerà
un tono più spiccio e adatto alla situazione.
In questo caso, il Manzoni si serve di un suo personaggio per denunciare l’inefficacia della
giustizia, che non sa mantenere l’ordine durante i tumulti e poi, come vedremo fra poco,
pensa di recuperare “fierezza” semplicemente effettuando esecuzioni sommarie.
Nello stesso capitolo compare per la prima volta il cancelliere Ferrer. Egli agisce da
demagogo, pensando di risolvere il malcontento del popolo semplicemente abbassando il
limite massimo del prezzo del pane (la meta), e nel cap. successivo, durante l’“assedio” alla
casa del vicario di provvisione, avrà modo di fare quello che non era riuscito a fare il
capitano degli alabardieri: placherà la folla indemoniata, spendendo quindi bene una
popolarità “mal acquistata”.
Questo passo mette in luce la doppiezza dell’uomo politico, in quanto Ferrer placa la folla
parlando in italiano, promettendo che farà giustizia e porterà in prigione il vicario, mentre fa
continuamente precisazioni ed osservazioni più veritiere a mezza voce in spagnolo, per non
farsi sentire né tanto meno capire dalla folla. La condizione che giustamente pone Ferrer alla
richiesta da parte della folla di portare in prigione il vicario, “Si es culpable” (“se è
colpevole”), ad esempio, dimostra che lui si è mostrato “senza apparato” al cospetto della
folla inferocita solo perché deve assicurare il suo posto, in quanto deve rendere conto di
quanto succede a Milano al governatore don Gonzalo. Così, se nel capitolo precedente di
Ferrer era vista la negatività intellettuale (la sua incapacità di ragionare e la sua caparbietà),
ora si sottolinea ancora una volta la negatività morale, che si esplica nella sua ipocrisia e
nella volontà esasperata di ingannare il popolo con il fascino ed il carisma della sua persona.
Ad ogni modo, la figura che senza dubbio è la più significativa per quanto riguarda la
giustizia in questi capitoli è quella del notaio criminale. Egli è infatti asservito al sistema di
in-giustizia e sopraffazione della dominazione spagnola, e si rivela capace di condividere
questo sistema di violenza e sopraffazione per il solo amore della carriera e del quieto
vivere, l’“amore per la toga”. È perciò solo per dimostrare che il suo sistema giudiziario
funziona ancora che egli è felice di poter consegnare nelle mani dei suoi superiori un
responsabile del tumulto: che lo sia veramente, a lui non interessa. Renzo, infatti, per il
notaio criminale non è altro che un “reo buon uomo”, cioè un povero innocente che non ha i
mezzi per difendersi e perciò il colpevole ideale. Questo personaggio, per questo motivo, ha
la tendenza a vedere in tutti potenziali criminali, anche in chi, come l’oste della luna piena,
non sta facendo altro che il suo dovere di eseguire le prescrizioni di legge. Infatti, il tono
con cui si rivolge all’oste è quello con cui l’uomo di giustizia si rivolge ad un colpevole o ad
un sospetto; di qui la conseguenza che “aver a che fare con la giustizia” è sempre un
pericolo.
Altra caratteristica di un uomo di legge fasullo, di un falso magistrato qual è il notaio
criminale, è poi il fatto che sa fare il tracotante e lo spavaldo solo quando si sente al sicuro
nel palazzo di giustizia, ma poi è vigliacco di fronte alla folla minacciosa; la sua fuga ne
sancisce la distruzione totale. Scoperta la sua vera identità (anche grazie alla sua amata toga,
che lo distingueva in mezzo agli altri), infatti, il notaio criminale non desidera altro che
uscirne indenne, e non si preoccupa più minimamente del suo “reo buon uomo”.
Anche se abbiamo una sfumatura comica in questa beffa popolare ai suoi danni, la condanna
morale e civile del Manzoni nei confronti di questo personaggio non potrebbe essere più
completa.
Alla fine dei fatti di Milano, Renzo uscirà dalla città un po’ più maturo, perché quello che
gli è successo lo ha fatto riflettere. Il suo animo, infatti, è per sua natura predisposto al bene;
in Renzo gli ideali cristiani di pace, carità e giustizia tra gli uomini sono radicatissimi. A
riprova di ciò, oltre che nel discorso appassionato che rivolge alla folla dopo che Ferrer se
n’è andato, nel cap. XIV, la sua ansia di giustizia emerge anche dal suo secondo discorso,
quello che fa all’osteria della luna piena, quand’è ubriaco: la sua passione per la giustizia è
così forte che neanche i fumi del vino riescono a fargliela dimenticare.
Con tutto ciò, a noi giunge tra le righe anche il commento del Manzoni sulla possibilità di
realizzazione della giustizia fra gli uomini. Egli è vissuto tra il ‘700 e l’‘800, ed ha perciò
visto formarsi progressivamente le idee illuministe scaturite dalla rivoluzione francese. È
quindi consapevole che la giustizia tra gli uomini si può realizzare, ma a costi altissimi in
termini di tempo e sforzi per la parificazione dei diritti; per questo, non può che vivere
appassionatamente e paternamente la vicenda di Renzo all’interno della sua opera, che è poi
un romanzo di formazione. Alla fine della storia, infatti, Renzo avrà fatto esperienza del
mondo che c’è fuori dal suo paese ed avrà capito che tutto non è cosi semplice come
sembra, ma il mondo della politica e dell’economia è complicato, e non se ne possono
cambiare le regole dall’oggi al domani.
In questo senso, è un poco come se l’oste della luna piena del cap. XIV impersonasse in
parte il giudizio del Manzoni sulle ragioni che Renzo sostiene: egli, infatti, sa che quella
giustizia da lui tanto gridata è impossibile e che costerà cara al montanaro, ma questa
consapevolezza gli causa un certo sentimento paterno e di pietà verso l’ingenuo giovane,
che sente con ambivalenza come un seccatore, ma anche confusamente come la vittima
innocente di un mondo spietato di violenza.

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