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Brigatista
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ALTRAVISTA
Redazione e grafica di copertina: Edizioni Altravista
Tutti i diritti sono riservati. La riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo,
non è consentita senza la preventiva autorizzazione scritta dell’editore.
Ogni riferimento a fatti, cose o persone è da ritenersi puramente casuale.
Per te...
“Alekos”
Ringraziamenti
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Altre informazioni storiche sono state desunte dalla lettura di pa-
gine e pagine di «commissioni parlamentari d’inchiesta sulle stra-
gi e sul terrorismo in Italia», e dalla seguente bibliografia:
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Avvertenza
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discussione. Negli anni, ognuno ha raccontato la sua storia, le sue
ipotesi, le sue teorie, le sue verità.
Non esiste una storia univoca delle Brigate Rosse. La storia del
Partito Armato presenta da sempre più buchi neri che fatti acclara-
ti. É una storia pregna di lati oscuri, di teorie che tendono al vero-
simile, bizzarre e stravaganti, di dietrologie, di pentimenti, di con-
fessioni incomplete, di elementi giudiziari accertati e meno certi…
Basti pensare che un piccolo dettaglio dell’operazione che
portò al sequestro dell’Onorevole Moro, tutto sommato insigni-
ficante perché riguarda due brigatisti che sono stati comunque
catturati, processati, e condannati, è stato raccontato dagli stessi
in due modi assolutamente stridenti tra loro.
Nel libro «Brigate Rosse – Una storia italiana» scritto da Carla
Mosca e Rossana Rossanda, dove vengono raccolte le testimo-
nianze di Mario Moretti – il capo brigatista che gestì tutta l’ope-
razione – a pagina 134, incalzato dalle domande delle due autrici,
Moretti narra le fasi del sequestro. Racconta che, dopo l’agguato,
fu lui a guidare il furgone dove era tenuto nascosto in una cassa
il Presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, e descrive
come trasportarono il prigioniero da via Fani a via Montalcini.
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In un altro testo, scritto da Anna Laura Braghetti e Paola Tavella,
«Il prigioniero», la brigatista Braghetti fornisce tutta un’altra ver-
sione sostenendo che lei non guidò affatto la sua auto perché si
trovava già a casa, in via Montalcini, ignara peraltro dell’esito del
sequestro. A pagina 7:
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…Il giorno dopo
Milano, 8 settembre 1974
13
Il giorno prima…
Torino, 7 settembre 1974
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identità. Corpi che proiettano la propria ombra anche quando si
sottraggono al bagliore di qualsivoglia sorgente luminosa. Ombre.
Ombre proiettate dalla follia.
Il terzo uomo, il professionista, teneva un piede puntellato su
una vecchia cassapanca sbrindellata, e i pollici incastrati nei pas-
santi dei pantaloni. Era quello più vicino all’ingresso, sicché i suoi
scarni lineamenti venivano rischiarati al ritmo delle oscillazioni
della porta.
L’adunata aveva preso il via con le solite chiacchiere. L’uomo
che continuava a sputacchiare le scaglie della radice di liquirizia
aveva assunto il ruolo di primo attore, senza prestare la minima
attenzione al suo singolare difetto di inoltrarsi in appassionati e
altrettanto estenuanti ragionamenti politici, che abilmente con-
diva con parabole pittoresche. Discorsi triti e ritriti: il tema della
rivoluzione, quello delle avanguardie armate proletarie, il disprez-
zo per la borghesia…
Il suo amico era molto più attento a rivolgere occhiate inda-
gatrici attraverso qualche fenditura nei bandoni, mentre con una
mano faceva dondolare una vecchia lanterna imbrattata di polve-
re che penzolava da una cordicina appesa al soffitto. Anche se nul-
la di insolito all’esterno riusciva ad allarmarlo, sembrava incapace
di tenere a bada quelle paranoie che lo accompagnavano da anni.
Fissazioni che, oramai, obbedivano a un istinto viscerale giunto
a maturazione nel tempo, tipico di chi ha il problema di dover
tenere appiccicate identità diverse. A lungo andare, la mente non
distingue più tra una situazione paventata e una reale. Tutto lascia
una traccia. Se il pensiero è costantemente negativo, il cervello si
abitua a considerare solo prospettive infauste.
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Le armi erano nascoste in una fossa, al di sotto delle lamiere
del pavimento, e custodite all’interno di alcune casse di legno.
L’uomo dalle mille parole ne tirò fuori un campione per mostrarle
all’ospite. Il professionista si asciugò la fronte grondante di sudore
con un fazzoletto di seta spiegazzato, e cominciò a maneggiare
con professionale maestria ora un mitra, ora una semiautomati-
ca… Fece prove di puntamento, assunse diverse posture di tiro,
esaminò i caricatori… Conosceva bene la materia. Notarono sul
suo volto un’espressione compiaciuta per lo Sten, un mitra ef-
ficace nei combattimenti ravvicinati, leggero, che poteva essere
smontato in tre pezzi e infilato in una piccola borsa. Impugnò
poi un Mab di fabbricazione italiana, molto più ingombrante,
ma dotato di una maggiore potenza di fuoco. Non gli era ben
chiaro dove avessero acquistato tutte quelle armi, ma non si mise
comunque in condizione di soddisfare la sua curiosità perché un
professionista, in quel tipo di ambiente, non fa mai troppe do-
mande. Quando cominciò ad ammaliarli sciorinando le sue co-
noscenze tecniche, anche il tizio guardingo uscì improvvisamente
dal suo isolamento mentale.
Quando abbandonarono il podere, gli ultimi rimasugli di
chiarore crepuscolare stavano lasciando inderogabilmente spa-
zio alla sera. L’indomani, il professionista avrebbe avuto un
lavoretto da fare.
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Parte prima
1969
Marzo 1969
La Resistenza tradita
I.
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censurato gli atti teppistici inibendo i facinorosi dal frequentare
tutte le sezioni locali e nazionali…»
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ideali in nome dei quali il vecchio partigiano aveva combattuto,
restando ferito quasi mortalmente quando alcune pallottole lo
avevano centrato alla schiena, privandolo per sempre della mobi-
lità degli arti inferiori.
Accese un fiammifero e lo passò su tutta la superficie della
pipa cosparsa di tabacco. Fece partire un vinile che si trovava già
in posizione di “attenti” sul giradischi, cercando di ingannare la
delusione. Si lasciò andare per i sentieri nostalgici del passato. Le
note tormentate dell’inno3 ufficiale della Resistenza si librarono
evocative nell’aria, conducendolo nel viaggio.
3. Il titolo della canzone è Fischia il vento. Il testo fu scritto da Felice Cascione nel
1943, ma la musica si richiama a un celebre canto popolare russo dal titolo Katjusha,
scritto dal poeta sovietico Michail Isakovski. In Katjusha era espressa quella ribellio-
ne all’invasore che aveva ispirato i soldati sovietici e che nei partigiani italiani aveva
ispirato la guerra di liberazione.
21
II.
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– Volevo solo continuare a sognare.
– Questi dannati apostati!
– Credo che ci sarà presto anche un altro problema, ahimé!
L’uomo espose la questione solo dopo aver tirato un paio di
boccate prudenti e ritmate per assaporare fino in fondo la miscela
di tabacco.
– I democristiani, ragazzo mio, in questo clima di fermenti
sociali non hanno nessuna intenzione di tenere a bada il popolo
da soli. Lo si evince dalle dichiarazioni dei loro leader sui giornali.
Credo che lasceranno qualche porta aperta, per scongiurare che
le agitazioni operaie possano assumere le stesse dimensioni della
ribellione studentesca.
– Teme che il Partito possa farsi vedere da quelle porte?
– È scontato. Sarebbe la più logica conseguenza della nuova
linea berlingueriana.
– Mi fanno schifo tutti! – sancì il ragazzo. – Stanno svendendo
gli interessi della classe proletaria. Riconsegnerà la tessera?
– Certo, che diavolo! Siamo comunisti anche senza un pezzet-
to di carta. Che avete combinato tu e i tuoi amici, ieri? – chiese
all’improvviso il vecchio, con cipiglio.
– Cosa? – Il ragazzo si finse sorpreso, senza però riuscire a na-
scondere un sorrisetto malizioso.
– Ieri… tu e i tuoi amici… Miramare…
– Corrono le voci a Reggio, eh?
– Persino alla radio…
– Hanno fatto i nostri nomi alla radio?!
– Si sono limitati a dire che dei teppisti sono stati rinchiusi in
una cella… e poco altro. Non potevate che essere voi, no?
– Eravamo in centinaia a manifestare. Poteva essere stato chiunque.
– Lascia stare… capirai… Allora, cos’è successo?
– Mah… una bagattella… qualche tafferuglio…
– Risparmiami la parte in cui fai l’innocente, suvvìa!
– C’è stata una sassaiola contro gli automezzi della base.
Qualche sasso sarà finito anche contro gli yankee. Yankee di mer-
da! – bofonchiò. – Si risolverà tutto con una sanzione pecuniaria.
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– Erano i sassi avanzati dallo scorso anno? – lo pungolò l’uomo.
Il ragazzo se lo aspettava. Il vecchio partigiano non aveva mai
condiviso gli atti di guerriglia allo sbaraglio perché secondo lui
equivaleva a svuotare un lago con un cucchiaio.
– Stavolta è stato diverso, – disse il ragazzo, sottovoce.
– Sassaiole… bastonate… Basta!
– Si è trattato solo di un gesto simbolico per sancire pubblica-
mente lo strappo col Partito. La visita di Nixon in Italia era l’ideale
per farlo. È noto a tutti che per il Partito la via pacifica al socialismo
esiste davvero e l’americanismo non è più visto come un nemico…
– So che è arrivata una cartolina che non hai gradito, – disse
repentinamente il vecchio.
– Purtroppo non ho fatto in tempo a sostenere gli esami
universitari necessari per ottenere un rinvio. Il Car4 è previsto a
Matera. Come fa lei a saperlo?
– Approvo la tua scelta di partire, – rispose l’uomo, senza tro-
vare ingeneroso ignorare la domanda.
Il ragazzo restò sorpreso e si chiese come potesse approvare ciò
che lui non aveva affatto deciso.
– Credevo che lei non vedesse di buon occhio il servizio mili-
tare in questo esercito borghese. Ha cambiato idea?
Il giovane scostò il corpo dallo schienale e si piegò in avanti
per assumere una postura più attenta alla replica.
– Al contrario! – rispose il vecchio, tenendo la testa china e gli
occhi fissi sul tavolo. – Io mi sono limitato a dire semplicemente
che sono favorevole alla tua partenza. Entrambi, infatti, sappia-
mo benissimo che andrai via da Reggio, ma la tua meta, ragazzo
mio, non sarà per nulla Matera. Mi sbaglio? – disse, senza alzare il
capo, cercando furtivamente gli occhi del ragazzo.
Lo sguardo del giovane si era inebetito.
– È stato forse decisivo l’incontro con alcune persone, ieri? – aggiunse
il vecchio, con l’aria beffarda di chi non ha bisogno di nessuna conferma.
4. Centro Addestramento Reclute. Quando in Italia vigeva ancora l’obbligo del servi-
zio di leva, il Car rappresentava il primo periodo di addestramento.
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Il ragazzo sbarrò gli occhi e rimase a bocca aperta. Seguì un
breve silenzio.
– Chi le ha dato tutte queste informazioni? – chiese, con l’uni-
co filo di voce che gli venne fuori.
– Non ha nessuna importanza conoscere gli “uccellini”! – sen-
tenziò l’uomo, negando così al giovane di poter soddisfare ancora
una volta la sua curiosità.
Il giovane sbuffò rassegnato, memore di situazioni già vissute
con il suo interlocutore. Indispettito, mugugnò qualcosa a cui
l’uomo restò indifferente.
Prima di proseguire, il vecchio partigiano si tolse dalla bocca
una scaglia di tabacco filtrata attraverso il cannello della pipa.
– Non te la prendere per la mia reticenza, è importante però
che tu ne comprenda le ragioni.
– Cominci allora a spiegarmelo questo benedetto discorso su-
gli “uccellini”!
– Dal momento in cui non salirai su quel treno diretto a
Matera, sulla tua testa penderà un ordine di cattura per reniten-
za alla leva. Il reato è di tipo penale. Sei consapevole di questo
dettaglio?
– Ho come l’impressione che voglia spaventarmi per farmi
tornare sulle mie decisioni.
– No. A patto, naturalmente, che il progetto di quei tizi non
sia il solito di tanti altri chiacchieroni.
– Lei sa che mi hanno proposto di aderire a un progetto?!
– Stai proseguendo con le domande scomode. Rassegnati. Io
voglio darti delle nozioni e non delle risposte. Nozioni che, per
chi ben presto sarà nelle tue condizioni, avranno la stessa utilità
che possono avere un paio di occhiali da vista per un miope. Te lo
ricordi il discorso che abbiamo fatto sui nomi di battaglia?
– Sì. Mi disse che per ragioni sentimentali preferiva essere
chiamato Diego.
– Anche… ma in particolare mi chiedesti del perché tutti i
partigiani avessero fatto ricorso agli pseudonimi.
– Lo ricordo. Mi spiegò che era una garanzia per ognuno di
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voi non conoscere i nomi degli altri. Se i tedeschi vi avessero cat-
turato non avrebbero potuto risalire ai vostri compagni neanche
con le torture.
– E… non avrebbero potuto compiere rappresaglie ai danni
delle nostre famiglie, – precisò l’uomo. – Tra ex partigiani, ancora
oggi, ci rivolgiamo con quegli appellativi. Lo so, è curioso. Ma è
proprio questo il punto.
Prima di andare avanti si schiarì la voce.
– Per forgiare la tua mentalità devi mantenere determinati
comportamenti anche quando non ce n’è alcuna necessità. È la
prima regola che abbiamo dovuto digerire durante la guerra ed
è rimasta sedimentata in me. Non dimenticarti mai che più cose
un uomo ti racconta sul suo conto, più per lui diventi pericoloso.
Parla poco con chi non conosci e fidati ancora meno di quelli che
conosci! – lo ammonì il vecchio.
III.
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nisti dissidenti che entravano e uscivano. Questo aveva indotto la
Questura a far stazionare davanti al portone del palazzo, giorno e
notte, un automezzo della Celere.
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– C’è una garanzia. Il tizio di ieri ha un curriculum da
“sessantottino” che conferisce rispetto alla sua persona. La fiducia
se l’è guadagnata sul campo. È stato un simbolo, un’icona, uno
dei leader della contestazione studentesca della gloriosa facoltà di
Sociologia di Trento.6 Ha presente?
– Ho presente.
– È stato un punto di riferimento per le università di mezza
Italia, proprio per quella sua innata capacità di infiammare il ri-
bellismo studentesco. Non ha mai deluso.
– Suvvìa! Sembri quasi plagiato.
– Non sto esagerando. Mi ha raccontato che ora lavora a
Milano come sindacalista, alla Pirelli, e i “padroni” lo odiano a
morte per quanto gli rompe le scatole. Lo avevo già incontrato
l’estate scorsa, a Trento, quando andai per confrontarmi con lui
sulle riforme universitarie. Mi portò in un ufficio che avevano
occupato, quello del Preside. Avevano divelto la porta d’ingresso
per far passare il messaggio che chiunque sarebbe potuto entrare
senza più farsi annunciare o chiedere permesso. Stava quasi per
laurearsi, gli mancava appena un esame, mentre ieri mi ha detto
che per protesta contro i meccanismi universitari ha rinunciato al
pezzo di carta. Ha letto perfino tutte le opere di Marx.
– E la ragazza che ieri era con lui?
– È la sua compagna, tra poco diventerà sua moglie.
Frequentavano la stessa università…
– Come mai dovete aspettare fino al prossimo autunno per
decidere le sorti del proletariato?
6. La prima facoltà di Sociologia in Italia nasce a Trento, nel 1962. Divenne ben presto
il cuore della sommossa studentesca, un focolaio di accesa rivolta contro il sistema
didattico universitario considerato obsoleto e autoritario. Si trasformò poi in un
fenomeno di contrapposizione esteso ad ogni ambito della vita sociale e politica.
Rappresentò qualcosa di storico e irripetibile. Le occupazioni dell’università (una di
queste ebbe la durata di ben 67 giorni), le minacce ai professori e alle alte cariche
della dirigenza universitaria, gli scontri con le forze dell’ordine, i tafferugli con la
cittadinanza trentina di estrazione cattolica… costituirono la prassi quotidiana per
la stragrande maggioranza degli studenti iscritti. Alcuni, qualche anno più tardi,
cavalcarono l’onda della lotta armata in Italia.
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Il ragazzo non si curò troppo della vena sprezzante della
domanda.
– Mah… c’è uno… lo chiamano l’Inglese… è un personaggio
chiave del progetto. A quanto pare è sempre in giro e fino ad allo-
ra non potrà essere presente.
– È curioso!
– Lo chiamano così perché…
– No… non me ne importa nulla degli aspetti folcloristici del
suo nome. È singolare il fatto che sarà in giro per tutti quei mesi.
A fare cosa?
– Mi è parso di capire che neanche loro ne sappiano molto…
– Questo non è singolare, è bizzarro! Dove si terrà questa
riunione?
– Perché mai dovrei dirglielo? Me lo ha consigliato lei poco fa
di fidarmi ancora meno di quelli che conosco… Ricorda?
– I miei complimenti, ragazzo mio. Se portassi un cappello me
lo toglierei!
– È ancora tutto in alto mare. Stanno cercando un posto fi-
dato e al tempo stesso abbastanza capiente da contenere qualche
centinaio di persone. Mi hanno lasciato un paio di numeri di
telefono per rintracciarli.
– Insomma, incontri un tale in occasione di una manifesta-
zione antiamericana, è la seconda volta che lo vedi in tutta la tua
vita, e ti propone…?
Il ragazzo non gli diede il tempo di terminare, eccitato com’era
all’idea di prendersi la sua rivincita.
– Gli “uccellini” hanno steccato qualche nota!
– Che significa?
– Non ci siamo incontrati a Miramare, ci siamo andati insie-
me. Prima è venuto a cercarci nel palazzo dove abitiamo.
– Gli avevi lasciato l’indirizzo a Trento?
– No.
– E allora?
– Allora… aveva l’indirizzo, il numero di telefono, sapeva in
quanti ci abitavamo, sapeva che Bicio qualche anno fa stava quasi
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per far fuori il dirigente del Partito Liberale, sapeva che abbiamo
messo sotto sopra la fabbrica dove lavora Tony… Mi ha telefo-
nato per parlarmi di questi loro programmi e io gli ho detto che
avremmo potuto farlo durante la manifestazione.
– Uhm, è uno che fa miracoli!
– Mi ha raccontato che questo tizio… quello che chiamano
l’Inglese… gestisce una specie di “ditta”, così l’ha definita… che
ha uno strano nome: Zie Rosse. Ne fanno parte molte donne.
Le Zie Rosse tengono sotto controllo chi la “pensa in un certo
modo”. Raccolgono informazioni nelle università e in quelle fab-
briche del nord dove gli operai sono più incazzati. Quando in-
dividuano qualche soggetto “interessante” lo seguono da vicino.
Monitoravano anche me e i miei amici.
– E che ruolo avrebbero i futuri sposini in questa fantomatica
“ditta”?
– Nessuno. Loro stanno lavorando insieme all’Inglese a qual-
cosa di ben più importante, che non ha nulla a che vedere con le
Zie Rosse. Per capirci: il sociologo studia sul come fare la rivolu-
zione e l’Inglese, attraverso la sua “ditta”, si occupa di individua-
re e reclutare quelli che possono farne parte. Gli servono quelli
come noi! – concluse, con una smorfia di sussiego.
– Ieri, però, il sociologo e la ragazza sono venuti a lanciare i
sassi! – lo provocò il vecchio partigiano.
– Le faccio rispettosamente osservare che le ho già spiegato
che si è trattato di un gesto-simbolico-contro-il-Partito! – rispose
irritato.
– Ne ho incontrati tanti che per il solo fatto di avere sempre
sulla punta della lingua Marx, Lenin, o Mao… si attribuivano le
capacità di far compiere al proletariato il salto del fosso. Vedrai
che molto probabilmente il tuo amico, oltre a Marx, avrà letto
anche Topolino!
Il vecchio sollevò il capo per accompagnare la figura del ragaz-
zo che si stava alzando.
– Non possiamo mica dichiarare guerra allo Stato da un gior-
no all’altro! – protestò aspramente il giovane che, risentito, si av-
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vicinò alla finestra. Per qualche istante rimase in piedi, volgendo
le spalle al vecchio partigiano e fingendo di interessarsi alla picco-
la statuetta di gesso sul davanzale, che ritraeva la Dea Atena.
Di colpo, senza dirselo, stabilirono di affidare a un breve silen-
zio il compito di smorzare la polemica.
IV.
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