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Ugo foscolo

“Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto.” È così che inizia la
prima lettera del romanzo epistolare di Ugo foscolo, con le “Ultime lettere di Jacopo
Ortis”. Un grande romanzo pistolare della storia letteraria italiana, composto dalle
lettere che l’autore immagina scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della
sua vita a un amico, Lorenzo Alderani. Questi le pubblica, aggiungendo alcuni
collegamenti narrativi e descrive, alla fine, la tragica morte del protagonista. Le
lettere raccontano le vicende, le ansie, le riflessioni di Jacopo, la storia mette in
evidenza il dramma interiore, che assiste al crollo dei suoi ideali di patria, libertà,
amore e giunge ad una disperazione dunque al tragico epilogo. Esso riprende il
Romanzo Goethe, a cui Foscolo ha saputo aggiungere originalità e valore di carattere
storico e politico.
Nella prima lettera del romanzo Jacopo egli si rivolge all’amico Lorenzo, nello stesso
giorno iniziano le trattative fra Austria e Napoleone che porteranno alla firma del
Trattato di Campoformio fu firmato il 11 ottobre 1797 da il generale Napoleone
Bonaparte, Jacopo (ma anche il Foscolo) sperava che egli fosse il liberatore dell’Italia
e che garantisse agli Italiani la liberta. Ma il trattato di Campoformio ha dimostrato,
invece, che Napoleone è stato un oppressore; egli si è preoccupato di più della
Ragione di Stato e degli interessi della Francia perché ha ceduto Venezia all’Austria,
in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina sotto il controllo
francese, rivelandosi traditore. Questo evento segna la fine delle illusioni, suscitando
una profonda e angosciante delusione nel giovane Foscolo. Jacopo ha lasciato la
nativa Venezia, ritirandosi sui colli Euganei, per sfuggire le persecuzioni che contro di
lui metteranno prevedibilmente in opera gli austriaci. Quando gli austriaci
rioccupano Venezia Jacopo Ortis è costretto a fuggire perché fa parte della lista nera
di coloro che vengono perseguitati. Prima di morire fugge si rifugia nei colli Euganei.
Nella lettera sono identificati subito alcuni temi fondamentali: la patria dove nella
prima parte Jacopo delinea la situazione politica di Venezia il “sacrificio” della patria
significa che “tutto è perduto”, ha delle conseguenze sul piano personale perché il
nome di Jacopo viene inserito nella lista di proscrizione, di coloro che devono
andare in esilio. L'amore per la patria è ben evidente nelle il primo capitolo quando
Jacopo si mostra amareggiato per la lontananza forzata a cui è sottoposto e descrive
in breve la situazione di Venezia, si trasforma in un fatto personale perché ha una
conseguenza sulla vita di Jacopo e sui suoi affetti. La cessione di Venezia costringe
Jacopo a lasciare il suo paese natale (la patria) e ad abbandonare la madre per cui si
ha il concetto di patria e il concetto di madre. Ugo Foscolo durante la sua carriera
artistico/letteraria, ha creato per sé due maschere, una opposta all' altra, che
rispecchiassero la sua condizione psicologica a seguito dei fatti storici che più
l’avevano sconvolto, come se per parlare di sé Foscolo sentisse comunque il bisogno
di specchiarsi in un doppio, in un alter ego, un’esagerazione creata per scelta.
Subito nella prima lettera compaiono i temi fondamentali del romanzo: le illusioni.
La patria perduta, da cui fugge per evitare di tradire, il legame con la famiglia,
soprattutto il desiderio di protezione per la madre. Phatos, situazione disperata in
cui jacopo viene rappresentato da frasi brevi come; eccc..
Nella vita pratica Foscolo ha fatto parte, fino all'esilio, dell'esercito napoleonico;
questo può sembrare una contraddizione ma lui era convinto che avrebbe potuto
operare, per convincere gli italiani a migliorare la loro condizione, solo all'interno del
sistema napoleonico. Decide, in questo senso, di comporre opere per incitare gli
italiani a conquistare l'indipendenza e quindi la libertà. L'idea di libertà è centrale
nell'opera di Foscolo, non solo come libertà individuale, ma anche politica e quindi
nazionale. Foscolo in tutta la sua vita ha sempre sperato che, come lui, gli altri
intellettuali italiani e le persone che avrebbero potuto sostenere la causa italiana
prendessero le armi per ottenere l'indipendenza. Per nostra fortuna, viviamo in un
Paese libero, democratico, repubblicano. La parte essenziale per una vera
democrazia consiste nella partecipazione di tutti alla vita politica della propria
nazione. Se democrazia significa "governo del popolo", questo vuol dire che tutti
dobbiamo sentirci coinvolti in ciò che il governo fa o decide, negli errori che compie,
negli inganni in cui si lascia trascinare, nelle truffe. Invece, spesso prevale il
disinteresse, l'abitudine. Tutti affermiamo di volere una società più onesta e giusta e
molti, a tal fine, propongono l'uso della violenza, della rivoluzione, dei cambiamenti.
Che la violenza produca giustizia è una pericolosa quanto mai diffusa illusione: è un
mito, una falsa storia. In realtà, la violenza non produce giustizia perché uccide la
libertà e produce solo insicurezza e paura. E l'insicurezza e la paura generano, come
la storia ci insegna, il terrore; e dietro allo stato del terrore c'è sempre in agguato un
Napoleone. La paura, dunque, è la madre del potere assoluto, dello stato totalitario.
E nello stato totalitario a decidere su ciò che è giusto e su ciò che è ingiusto è chi ha
il potere assoluto, senza che si possa criticare. Anzi, nello stato totalitario, chi critica
viene eliminato; nello stato totalitario chi ha il potere, ha anche il potere di decidere
cos'è la giustizia. Queste sono, dunque, le conseguenze della violenza: è proprio
vero che la violenza genera altra violenza. E, in genere, una violenza genera sempre
una violenza più grave.

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