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Ultime lettere di Jacopo Ortis: i personaggi

Jacopo Ortis: protagonista del romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis.


Il nome Ortis viene da Girolamo Ortis, studente universitario che si
suicidò nel 1796. Questo fatto spinse Ugo Foscolo a farne il
protagonista della sua opera, cambiando solo il nome in Jacopo.
Giovane, ribelle, esule, ramingo e perseguitato dalla sorte, animato
dall’amor di patria, innamorato di una donna che non potrà mai
ricambiarlo, Ortis è sempre alla ricerca di un significato ultimo
dell’esistenza. Per lui l’amore, la patria, la poesia rappresentano
illusioni necessarie per poter vivere la vita con trasporto, anche se è
sempre in agguato il senso di vanità.

Teresa: la donna amata, l’oggetto di contesa. Forse specchio di


Teresa Pikler, moglie del poeta Vincenzo Monti, ma forse, e più
probabilmente, di Isabella Roncioni, promessa sposa al marchese
Pietro Bartolomei. Teresa è dolce, tenera, anche sensuale, descritta
con grazia stilnovistica, ma con fine realismo prosaico. Rappresenta
l’illusione della felicità amorosa, il vagheggiamento sublime di
un’anima inquieta come Ortis, che riversa su di lei tutto il suo
desiderio di felicità.

Odoardo: è l’antagonista di Jacopo; è un brav’uomo, in fondo. Colto,


eloquente, preciso, affidabile, ma sempre con l’oriuolo in mano. Inoltre
è ricco. Il padre di Teresa guarda soprattutto a questo. Jacopo mette
in risalto la sua aridità interiore, la sua incapacità di capire davvero la
sua fidanzata, che è infelice al suo fianco. Jacopo, al suo contrario, sa
chi è Teresa, cosa prova, cosa vive, mentre Odoardo no. Per questo
Jacopo lo vede come usurpatore, e quindi anche noi lettori.

Lorenzo Alderani: l’amico del protagonista oltre che fittizio editore del
libro. Nel nome possiamo intravedere un omaggio di Foscolo a un
autore inglese da lui molto amato: Laurence Sterne. La sua
personalità può essere dedotta solo attraverso Jacopo e dai pochi
interventi diretti che compie nel libro. Guarda con tenerezza all’amico:
cerca di dissuaderlo dai suoi eccessi, dalle sue smanie. Accoglie i
suoi sfoghi e le sue intemperanze. Il suo affetto è sincero e si unisce
alla coscienza di una profonda diversità rispetto a Jacopo. C’è in
Lorenzo già un filo, se non di disincanto, di pacato e sofferto distacco,
che, accentuato, sarà un aspetto del Foscolo più maturo.

Altri personaggi sono Isabellina (sorella di Teresa), il Signor T***,


(padre di Teresa), la madre di Jacopo e Michele.

5La visione della realtà nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis


Il parallelo con Pavese«Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si
uccide perché un amore, qualsiasi amore, ci rivela nella nostra nudità,
miseria, inermità, nulla». Sono parole di un grande scrittore morto
suicida, Cesare Pavese, e sono adatte per accostarci alle Ultime
lettere di Jacopo Ortis, il cui protagonista, voce potente e imperfetta,
confida le illimitate speranze e illimitate disperazioni della gioventù.

Il titanismo«Le sue illusioni, come foglie di autunno, cadono ad una ad


una, e loro morte è la sua morte, è il suicidio» (De Sanctis). Disperato
l’amore, perché i suoi sentimenti sono giganteschi, e bramano di
arginare il nulla che gli sta invadendo la vita e che combatte, da
giovane poeta guerriero, disposto all’annientamento di sé stesso pur
di dirsi libero.

La figura di Catone Uticense nel Purgatorio dantesco


«Libertà va cercando»Fieramente disilluso della vittoria, vince
morendo, assomigliando molto a Catone uticense, suicida per la
libertà, custode del Purgatorio dantesco, e citato in modo sibillino da
Ortis poco prima di suicidarsi. Ma libertà da che cosa? Libertà dalle
illusioni, libertà dall’obbligo di essere determinati a vivere
nell’infelicità, libertà dal meccanicismo naturale. Si compie, dunque,
un processo di disillusione continua che significa avanzare nelle
esperienze della vita facendo propria la nullità del tutto. L’arrivo delle
Ultime lettere di Jacopo Ortis è il pessimismo cosmico, si potrebbe
dire, in riferimento alle riflessioni che farà in seguito Leopardi. L’ultima
illusione a cadere è proprio Teresa ed è lì che il suicidio si prospetta
con insistenza. Sembrerebbe solo un suicidio per amore. Ma il nulla in
cui lo precipita questa disillusione è verità.

Ritratto di Giuseppe Parini


Il patriottismoIl pessimismo sugli ideali politici (e quindi sul
patriottismo) lo ritroviamo nel dialogo di Jacopo con Parini, che
sostiene: «Un giovane dritto e bollente di cuore, ma povero di
ricchezze, ed incauto d’ingegno quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno
del fazioso, o la vittima del potente». E la patria intanto giace morta,
nel lucido bilancio che Ortis redige nella lettera da Ventimiglia (19 e
20 febbraio 1798): «Così grido quand'io mi sento insuperbire nel petto
il nome Italiano, e rivolgendomi intorno io cerco, né trovo più la mia
patria». Si fa strada, a questo punto, la coscienza di un meccanismo
perverso: «Ma poi dico: Pare che gli uomini sieno fabbri delle proprie
sciagure; ma le sciagure derivano dall'ordine universale, e il genere
umano serve orgogliosamente e ciecamente a' destini».

Statua di Ugo Foscolo presso la Basilica di Santa Croce


Statua di Ugo Foscolo presso la Basilica di Santa Croce — Fonte:
Ansa
La visione della NaturaAppare strettissima la connessione tra
delusione storica e concezione meccanicistica della Natura, che nelle
Ultime lettere di Jacopo Ortis appare spesso lugubre e inospitale: «Ho
vagato per queste montagne. Non v'è albero, non tugurio, non erba.
Tutto è bronchi; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che
segnano il sito de' viandanti assassinati…». L’agire umano appare
sempre velleitario poiché difetta dell’eternità. La condizione umana è
desolante: Ortis sente la necessità di una patria e al tempo stesso
capisce che in un’ottica cosmica tutto si annichilisce; la storia stessa
non è che uno dei meccanismi della Natura: «Noi argomentiamo su gli
eventi di pochi secoli: che sono eglino nell'immenso spazio del
tempo? Pari alle stagioni della nostra vita normale, pajono talvolta
gravi di straordinarie vicende, le quali pur sono comuni e necessarj
effetti del tutto. L'universo si controbilancia. Le nazioni si divorano
perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell'altra».
e Ultime lettere di Jacopo Ortis è un romanzo epistolare scritto da Ugo Foscolo
agli inizi della sua carriera letteraria; il modello principale è, ovviamente, "I dolori
del giovane Werther" di Goethe, a cui questa relazione fa riferimento
nell’analizzare quest’opera, romantica e innovativa per quei tempi.

Possiamo considerare "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e "I dolori del giovane
Werther" due romanzi d’amore; entrambi i giovani si innamorano perdutamente
di una ragazza, e vengono catturati da una passione che sconvolge nel profondo i loro
animi. La donna amata è bellissima, dolce, e presenta agli occhi dell’innamorato tutte
le migliori qualità della terra; quando è con lei il giovane tira fuori la parte migliore
di sé, ispirato dalla bontà che viene emanata da lei (ciò richiama per certi aspetti la
donna angelicata di Dante). Ma questo idillio si infrange ben presto: l’amata è
irraggiungibile; Lotte ama profondamente il suo sposo Albert e vuole bene a Werther
solo "come ad un fratello", mentre Teresa è promessa dal padre ad un ottimo partito,
e pure amando Jacopo, deve piegarsi alle imposizioni di un matrimonio combinato,
dettato dalle ingiuste leggi della società. L’amore non si può realizzare mai perché
non può essere ricambiato: è una passione a senso unico, e la consapevolezza di
questa situazione getta il protagonista nel baratro della disperazione. Il suo
risentimento, che si accresce progressivamente fino a diventare odio, si rivolge verso
la società, che rovina gli individui con l’imposizione di ingiuste regole, e nemmeno il
rivale ne viene risparmiato. Nel cuore del protagonista non vi è posto per
nessun’altra donna, ed il dolore per questo amore impossibile non si attenua né con il
tempo né con la lontananza, anzi aumenta sempre più, anche perché il protagonista
si rende conto che non vi è possibile soluzione.

Contrariamente al Werther, in cui è presente solamente l’elemento amoroso, l’Ortis è


un romanzo in cui il tema dell’amore si interseca continuamente con il tema della
patria. Jacopo Ortis racconta nelle primissime lettere del romanzo di come sia stato
costretto a lasciare Venezia, la sua città natale, a causa delle persecuzioni riservate ai
patrioti italiani in seguito alla firma del Trattato di Campoformio (1797); come molti
altri l’Ortis è amareggiato dal meschino comportamento di Napoleone che ha tradito
di fatto gli italiani dopo avergli fatto credere che avrebbe unificato la loro patria,
come si desume dalle seguenti parole:

"Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne
verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra
infamia".

Tuttavia, Jacopo Ortis non vuole lasciare l’Italia: "Aspetto tranquillamente la


prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere";
infatti è sommo piacere sapere che "le ossa mie fredde dormiranno sotto quel
boschetto alloramai ricco e ombroso" piantato nel suo podere.

Le sue lettere vengono intercettate, progetta di recarsi in Francia, ma non riesce a


sopportare il pensiero di lasciare l’amata patria; le sue lettere traboccano di richiami
agli italiani, affinché ricordino che "non si dee aspettare libertà dallo straniero" e
servano sempre la loro patria ("se avete le braccia in catene, scrivete, scrivete a
quelli che verranno, e che soli saranno degni d’udirvi, e forti da vendicarvi"), ma si
rende progressivamente conto che la sua debole voce nulla può per cambiare il
destino dell’Italia.

Si riscontra dal tono delle lettere il disprezzo tanto per gli uomini mediocri quanto
per quelli calcolatori; ciò che viene esaltata è l’azione, dettata a volte da una profonda
convinzione interiore, ma a volte anche da un’irrefrenabile passione.

In tutti e due i romanzi riscontriamo una peculiarità mai incontrata finora nella
letteratura mondiale; vi è la pressoché totale assenza di un padre o di una qualsiasi
figura, giusta o ingiusta, che faccia da guida al protagonista. Werther e Ortis sono
soli e se la devono cavare con le proprie forze. Non c’è nemmeno, come
avveniva per l’eroe greco-romano, un dio protettore, prepotente e non sempre giusto,
ad indicargli la strada: Dio è presente e se ne parla nelle lettere, ma in modo sempre
diverso a seconda dello stato d’animo del protagonista; ora esiste, ora non esiste, ora
è misericordioso, ora è indifferente al destino dell’uomo, ma non è mai un punto di
riferimento per l’uomo. Da sottolineare il fatto che non troviamo nessun accenno
(nell’Ortis ce n’è qualcuno, ma con riferimento più alla patria che non a una figura
paterna) al padre del protagonista; nelle lettere al massimo ce n’è qualcuno alla
madre, peraltro sempre lontana.

Entrambi i romanzi abbondano di numerose citazioni dai più disparati testi della
letteratura internazionale; ma, mentre per Werther queste citazioni provengono nel
primo libro da Omero e nel secondo da Ossian, e sono un ulteriore specchio degli
stati d’animo del giovane, per Ortis la faccenda si fa più complessa; sono frequenti
citazioni da tutti gli autori: Dante, la Bibbia, Plutarco, Petrarca, Stern. . . Petrarca
accompagna i momenti in cui l’amore e la contemplazione della natura hanno il
sopravvento nell’animo dell’Ortis, Plutarco accompagna i momenti di solitudine e di
meditazione… Rilevantissima è la presenza dell’Alfieri che compare, non a caso, nel
momento in cui Jacopo Ortis, realizzata l’impossibilità del suo amore, inizia la parte
discendente della parabola che lo porterà al suicidio; infatti i punti di contatto tra i
due autori sono più che evidenti: l’esaltazione del sentimento e dell’agire passionale,
il suicidio come punto di arrivo dell’impossibilità di vivere del protagonista, un
modo di scrivere apparentemente brusco e istintivo, dai ritmi spezzati, che ricalca
questa visione (con la differenza che l’Alfieri si esprime attraverso la tragedia e il
Foscolo attraverso il romanzo epistolare).

"Ciascun individuo è nemico nato della Società, perché la Società è necessaria


nemica degli individui"; i due protagonisti vedono la società a loro contemporanea
come il mondo dei vizi, dell’edonismo e della perversione, contrapposto a quello,
meramente bucolico, della campagna, dove regnano le tradizioni, i valori e la
stabilità.
Sia Werther sia Ortis si soffermano in alcuni momenti a contemplare la natura che
appare ai loro occhi come maestosa e di una bellezza indescrivibile. In certi momenti
sembra che questo elemento possa riportare la pace e la tranquillità nei loro animi
afflitti, come avveniva in Saffo, ma è solo un’apparenza. Per Werther la natura e la
campagna in genere rappresentano l’idilliaco mondo dei valori e delle tradizioni
contrapposto alla corrotta società, che alla fine ha però il sopravvento, mentre
nell’Ortis non c’è questo significato: egli si rende conto che nemmeno la pace
derivata dalla contemplazione della natura può calmare il suo dolore, e l’elemento
naturalistico va via via scomparendo man mano che il protagonista si avvicina al
suicidio.

"Cos’è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non
nel sentimento del dolore: ed or anche l’illusione mi abbandona": come è potuto
accadere che un giovane di 24 anni sia arrivato ad una simile concezione della vita?
Egli aveva sempre vissuto in un’ottica puramente egocentrica, se non addirittura
egoistica, come un bambino che continuamente cerca l’attimo del piacere ("voglio
godere il presente, e sia passato il passato"). Egli ha provato la felicità, una felicità
che non poteva nemmeno immaginare, e subito dopo ne è stato privato, e alla felicità
è subentrato il dolore per averla persa e per il sapere di non poterla riavere mai più.

Werther ha cercato una soluzione: ha tentato di dimenticare Lotte, ha tentato di


cambiare stile di vita, ma non vi è riuscito; solo immagini di vuoto e di sofferenza si
presentavano nella sua mente e l’ultimo incontro con Lotte, quello in cui Werther si è
lasciato prendere dalla violenza dell’istinto, fu la goccia che lo spinse definitivamente
al suicidio. Jacopo, dopo il matrimonio di Teresa, ha dedicato le sue energie
all’amata Italia ("l’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio
corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria"), ma le sue speranze
cominciano a vacillare fino a crollare del tutto dopo un lungo colloquio con Giuseppe
Parini. Così l’idea del suicidio comincia a prendere corpo nell’animo dell’Ortis; non si
tratta di un suicidio improvviso, bensì di un suicidio lungamente meditato e
accuratamente preparato (l’ultima visita a Teresa, l’abbraccio finale alla madre, la
lettera a Lorenzo con quella da consegnare a Teresa, l’ultima passeggiata. . . . ),
inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e impotenza.
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ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS: RIASSUNTO Le Ultime lettere di


Jacopo Ortis è un romanzo epistolare, composto dalle lettere che il Foscolo
immagina scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della sua vita a un amico,
Lorenzo Alderani. Questi le pubblica, aggiungendo alcuni collegamenti narrativi e
descrive, alla fine, la tragica morte del protagonista.
Le lettere raccontano le vicende, le ansie, le riflessioni di Jacopo, la storia mette in
evidenza il dramma interiore, che assiste al crollo dei suoi ideali di patria, libertà,
amore e giunge ad una disperazione radicale e quindi al tragico epilogo. Rifugiatosi
sui Colli Euganei, dopo che Napoleone, col trattato di Campoformio, ha ceduto
Venezia all’Austria, Jacopo, esule senza patria, conosce qui Teresa, se ne innamora e
ne è ricambiato.

Ma il padre di lei l’ha già destinata in sposa al ricco Odoardo; Jacopo è consapevole
che il suo amore è un sogno senza speranza perché un animo generoso non può,
secondo lui, vivere sotto la tirannide (su questo concetto si allinea al pensiero di
Alfieri). Tuttavia è costretto ad abbandonarsi alla passione amorosa perché
contemporaneamente vede cadere gli ideali che davano senso alla sua vita.
La seconda parte del romanzo contiene le lettere scritte durante le peregrinazioni del
protagonista, che lo portano in numerose città d’Italia. A Firenze, nella chiesa di S.
Croce, venera le tombe di Galileo, di Michelangelo e di Machiavelli; a Milano
incontra il Parini e parla con lui tristemente delle sorti della patria; più tardi in una
località al confine con la Francia, medita sulle alterne vicende dei popoli, che gli
appaiono rette da un fato cieco e imperscrutabile. Ritorna, infine, sui Colli Euganei,
dove ritrova Teresa ormai sposa, e qui si uccide.

Nella struttura formale dell’Ortis si può notare come il Foscolo sia stato
notevolmente influenzato dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe;
infatti ad imitazione del Werther, l’Ortis presenta un unico destinatario, del quale
non sono inserite le lettere di risposta, che è insieme l’amico, il confidente e il
riscontro prudente del protagonista: il romanzo si riduce così ad un diario del
protagonista che riproduce solo le riflessioni e gli stati d’animo del poeta. Lorenzo,
come Guglielmo nel Werther, pubblicherà le lettere dell’amico aggiungendo, di sua
mano, quanto è necessario al lettore per comprenderne la storia. Nella seconda
edizione il poeta mette in risalto il tema politico, trascurato in quello precedente, che
diventa così quello dominante.

La trama dei due romanzi è molto simile. Sia Jacopo che Werther incarnano il tipo
dell’eroe sentimentale, generoso, infelice, a disagio nella realtà quotidiana e nel
contatto con gli altri, rispetto ai quali però si distingue per nobiltà d’animo. Il loro
destino è così segnato dalla solitudine, dalla sconfitta e dalla sventura. La loro breve
vicenda umana è dominata dalla riflessione pessimistica sulla realtà in cui vivono; il
loro cuore è in continua lite con la ragione e solo la natura sembra corrispondere ai
loro stati d’animo.
Si nota anche un notevole influsso del pensiero alfierano: Jacopo incarna l’uomo
libero di Alfieri che protesta contro qualsiasi forma di tirannide per l’ideale di libertà;
ma mentre l’eroe alfierano rimane nella sua astratta solitudine, l’individuo di Foscolo
cerca di attuare i suoi ideali nell’incontro concreto con la società.

L’Ortis è un autobiografia ideale del Foscolo, lo specchio e lo sfogo della sua prima
giovinezza appassionata. Jacopo del suo autore riproduce spesso l’essenza e il
carattere: infatti è ardente, appassionato, facile all’ira e impulsivo; ma è anche
tenero, attento, sensibile e capace di compassione. Inoltre vi confluiscono i suoi
amori infelici, le sue esperienze politiche, in primo luogo quella di Campoformio,
tanto più grave perché segnò il crollo di quelli ideali che dopo il tramonto della fede
religiosa erano divenuti per il poeta unica ragione di vita: da qui le riflessioni
sull’uomo.

L’Ortis appare un’opera assai discontinua. Spesso infatti il poeta si lascia trasportare
dai sentimenti, da fraseggi che rivelano una personalità ancora un po’ giovane.

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