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Lorenzo Alderani: l’amico del protagonista oltre che fittizio editore del
libro. Nel nome possiamo intravedere un omaggio di Foscolo a un
autore inglese da lui molto amato: Laurence Sterne. La sua
personalità può essere dedotta solo attraverso Jacopo e dai pochi
interventi diretti che compie nel libro. Guarda con tenerezza all’amico:
cerca di dissuaderlo dai suoi eccessi, dalle sue smanie. Accoglie i
suoi sfoghi e le sue intemperanze. Il suo affetto è sincero e si unisce
alla coscienza di una profonda diversità rispetto a Jacopo. C’è in
Lorenzo già un filo, se non di disincanto, di pacato e sofferto distacco,
che, accentuato, sarà un aspetto del Foscolo più maturo.
Possiamo considerare "Le ultime lettere di Jacopo Ortis" e "I dolori del giovane
Werther" due romanzi d’amore; entrambi i giovani si innamorano perdutamente
di una ragazza, e vengono catturati da una passione che sconvolge nel profondo i loro
animi. La donna amata è bellissima, dolce, e presenta agli occhi dell’innamorato tutte
le migliori qualità della terra; quando è con lei il giovane tira fuori la parte migliore
di sé, ispirato dalla bontà che viene emanata da lei (ciò richiama per certi aspetti la
donna angelicata di Dante). Ma questo idillio si infrange ben presto: l’amata è
irraggiungibile; Lotte ama profondamente il suo sposo Albert e vuole bene a Werther
solo "come ad un fratello", mentre Teresa è promessa dal padre ad un ottimo partito,
e pure amando Jacopo, deve piegarsi alle imposizioni di un matrimonio combinato,
dettato dalle ingiuste leggi della società. L’amore non si può realizzare mai perché
non può essere ricambiato: è una passione a senso unico, e la consapevolezza di
questa situazione getta il protagonista nel baratro della disperazione. Il suo
risentimento, che si accresce progressivamente fino a diventare odio, si rivolge verso
la società, che rovina gli individui con l’imposizione di ingiuste regole, e nemmeno il
rivale ne viene risparmiato. Nel cuore del protagonista non vi è posto per
nessun’altra donna, ed il dolore per questo amore impossibile non si attenua né con il
tempo né con la lontananza, anzi aumenta sempre più, anche perché il protagonista
si rende conto che non vi è possibile soluzione.
"Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne
verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra
infamia".
Si riscontra dal tono delle lettere il disprezzo tanto per gli uomini mediocri quanto
per quelli calcolatori; ciò che viene esaltata è l’azione, dettata a volte da una profonda
convinzione interiore, ma a volte anche da un’irrefrenabile passione.
In tutti e due i romanzi riscontriamo una peculiarità mai incontrata finora nella
letteratura mondiale; vi è la pressoché totale assenza di un padre o di una qualsiasi
figura, giusta o ingiusta, che faccia da guida al protagonista. Werther e Ortis sono
soli e se la devono cavare con le proprie forze. Non c’è nemmeno, come
avveniva per l’eroe greco-romano, un dio protettore, prepotente e non sempre giusto,
ad indicargli la strada: Dio è presente e se ne parla nelle lettere, ma in modo sempre
diverso a seconda dello stato d’animo del protagonista; ora esiste, ora non esiste, ora
è misericordioso, ora è indifferente al destino dell’uomo, ma non è mai un punto di
riferimento per l’uomo. Da sottolineare il fatto che non troviamo nessun accenno
(nell’Ortis ce n’è qualcuno, ma con riferimento più alla patria che non a una figura
paterna) al padre del protagonista; nelle lettere al massimo ce n’è qualcuno alla
madre, peraltro sempre lontana.
Entrambi i romanzi abbondano di numerose citazioni dai più disparati testi della
letteratura internazionale; ma, mentre per Werther queste citazioni provengono nel
primo libro da Omero e nel secondo da Ossian, e sono un ulteriore specchio degli
stati d’animo del giovane, per Ortis la faccenda si fa più complessa; sono frequenti
citazioni da tutti gli autori: Dante, la Bibbia, Plutarco, Petrarca, Stern. . . Petrarca
accompagna i momenti in cui l’amore e la contemplazione della natura hanno il
sopravvento nell’animo dell’Ortis, Plutarco accompagna i momenti di solitudine e di
meditazione… Rilevantissima è la presenza dell’Alfieri che compare, non a caso, nel
momento in cui Jacopo Ortis, realizzata l’impossibilità del suo amore, inizia la parte
discendente della parabola che lo porterà al suicidio; infatti i punti di contatto tra i
due autori sono più che evidenti: l’esaltazione del sentimento e dell’agire passionale,
il suicidio come punto di arrivo dell’impossibilità di vivere del protagonista, un
modo di scrivere apparentemente brusco e istintivo, dai ritmi spezzati, che ricalca
questa visione (con la differenza che l’Alfieri si esprime attraverso la tragedia e il
Foscolo attraverso il romanzo epistolare).
"Cos’è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non
nel sentimento del dolore: ed or anche l’illusione mi abbandona": come è potuto
accadere che un giovane di 24 anni sia arrivato ad una simile concezione della vita?
Egli aveva sempre vissuto in un’ottica puramente egocentrica, se non addirittura
egoistica, come un bambino che continuamente cerca l’attimo del piacere ("voglio
godere il presente, e sia passato il passato"). Egli ha provato la felicità, una felicità
che non poteva nemmeno immaginare, e subito dopo ne è stato privato, e alla felicità
è subentrato il dolore per averla persa e per il sapere di non poterla riavere mai più.
Ma il padre di lei l’ha già destinata in sposa al ricco Odoardo; Jacopo è consapevole
che il suo amore è un sogno senza speranza perché un animo generoso non può,
secondo lui, vivere sotto la tirannide (su questo concetto si allinea al pensiero di
Alfieri). Tuttavia è costretto ad abbandonarsi alla passione amorosa perché
contemporaneamente vede cadere gli ideali che davano senso alla sua vita.
La seconda parte del romanzo contiene le lettere scritte durante le peregrinazioni del
protagonista, che lo portano in numerose città d’Italia. A Firenze, nella chiesa di S.
Croce, venera le tombe di Galileo, di Michelangelo e di Machiavelli; a Milano
incontra il Parini e parla con lui tristemente delle sorti della patria; più tardi in una
località al confine con la Francia, medita sulle alterne vicende dei popoli, che gli
appaiono rette da un fato cieco e imperscrutabile. Ritorna, infine, sui Colli Euganei,
dove ritrova Teresa ormai sposa, e qui si uccide.
Nella struttura formale dell’Ortis si può notare come il Foscolo sia stato
notevolmente influenzato dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe;
infatti ad imitazione del Werther, l’Ortis presenta un unico destinatario, del quale
non sono inserite le lettere di risposta, che è insieme l’amico, il confidente e il
riscontro prudente del protagonista: il romanzo si riduce così ad un diario del
protagonista che riproduce solo le riflessioni e gli stati d’animo del poeta. Lorenzo,
come Guglielmo nel Werther, pubblicherà le lettere dell’amico aggiungendo, di sua
mano, quanto è necessario al lettore per comprenderne la storia. Nella seconda
edizione il poeta mette in risalto il tema politico, trascurato in quello precedente, che
diventa così quello dominante.
La trama dei due romanzi è molto simile. Sia Jacopo che Werther incarnano il tipo
dell’eroe sentimentale, generoso, infelice, a disagio nella realtà quotidiana e nel
contatto con gli altri, rispetto ai quali però si distingue per nobiltà d’animo. Il loro
destino è così segnato dalla solitudine, dalla sconfitta e dalla sventura. La loro breve
vicenda umana è dominata dalla riflessione pessimistica sulla realtà in cui vivono; il
loro cuore è in continua lite con la ragione e solo la natura sembra corrispondere ai
loro stati d’animo.
Si nota anche un notevole influsso del pensiero alfierano: Jacopo incarna l’uomo
libero di Alfieri che protesta contro qualsiasi forma di tirannide per l’ideale di libertà;
ma mentre l’eroe alfierano rimane nella sua astratta solitudine, l’individuo di Foscolo
cerca di attuare i suoi ideali nell’incontro concreto con la società.
L’Ortis è un autobiografia ideale del Foscolo, lo specchio e lo sfogo della sua prima
giovinezza appassionata. Jacopo del suo autore riproduce spesso l’essenza e il
carattere: infatti è ardente, appassionato, facile all’ira e impulsivo; ma è anche
tenero, attento, sensibile e capace di compassione. Inoltre vi confluiscono i suoi
amori infelici, le sue esperienze politiche, in primo luogo quella di Campoformio,
tanto più grave perché segnò il crollo di quelli ideali che dopo il tramonto della fede
religiosa erano divenuti per il poeta unica ragione di vita: da qui le riflessioni
sull’uomo.
L’Ortis appare un’opera assai discontinua. Spesso infatti il poeta si lascia trasportare
dai sentimenti, da fraseggi che rivelano una personalità ancora un po’ giovane.