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UGO FOSCOLO E LA RELIGIONE DELLE ILLUSIONI

Nel contesto Illuminista del XVIII secolo, in cui la Dea Ragione regnava sovrana tra gli
intellettuali, appariva quanto mai paradossale che un poeta come Ugo Foscolo potesse
basare la propria concezione filosofica su una “religione”. Ma non bisogna farsi ingannare
dalle apparenze: infatti gli studi del poeta condotti sui filosofi razionalisti, l'indussero
inevitabilmente a rinnegare ogni fede trascendente e ad accettare solo tutto quanto fosse
rilevabile con i sensi e valutabile con la ragione.
Pertanto la parola “religione” con Foscolo assume un’accezione diversa da quella cui siamo
abituati: infatti la fede è un atto di speranza, poiché prevede una vita ultraterrena, migliore
di quella terrestre e caratterizzata dall’assenza di ogni sofferenza. Ma la religione foscoliana
è ben diversa: non solo non vi è alcun Aldilà, ma la visione della vita è pessimista e
rassegnata al dolore.
La realtà che cade sotto i nostri occhi è la “materia” che costituisce l’universo, la cui genesi
è razionalmente inspiegabile, ed il cui fine si perde nel nulla. L’esistenza è vista come un
continuo errare senza scopo verso una felicità irraggiungibile che termina nella morte e nel
nulla eterno.
L’uomo, dunque, vive in un mondo senza speranze, senza verità assolute, senza entità
ultraterrene. Da ciò deriva il radicato pessimismo del poeta, la sua disperata angoscia
esistenziale. Ma queste considerazioni sono dettate solo da un materialismo esasperato che
si risolve in un’esistenza vuota e squallida e non tiene in conto di una fondamentale
caratteristica umana: le passioni (“il forte sentire”). La sua stessa vita, infatti, appare
inquieta, disordinata, tumultuosa: una vita tipicamente romantica. Al di là di ogni calcolo e
buon senso, il poeta si abbandona spesso ai sentimenti, ai folli amori, alle roventi passioni...
Il suo cuore è, come egli stesso amava dire, ricco di vizi e di virtù: capacissimo di battersi
per gli ideali più nobili, quanto di perdersi dietro agli istinti più bassi (come l’amore per il
gioco, il lusso...), pronto spesso al dirompente furore (“quello spirito guerrier ch'entro mi
rugge” Alla sera), ma anche disposto, talvolta, a chiudersi rigidamente in se stesso.
E sono proprio la Libertà, la Giustizia, la Patria, la Famiglia e l’Eroismo gli ideali che
elevano la dignità umana al di sopra del mero materialismo, e che, ispirando il pensiero e
l’azione dell’uomo, lo rendono il protagonista della Storia, la quale deve essere considerata
anch’essa una “realtà”.
Ad esempio Jacopo Ortis, protagonista de “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, sacrificherà la
propria esistenza per inseguire questi ideali patriottici, patendo sofferenze e dolori che lo
porteranno alla distruzione delle proprie illusioni e al conseguente suicidio.
Benché Jacopo Ortis rispecchi fortemente la personalità di Foscolo, il poeta rinnega il valore
del suicidio (se non come topos letterario): è vero infatti che questi ideali sono solo illusioni
momentanee (l’amore prima o poi finisce; la bellezza sfiorisce; gli ideali politici non si
realizzano...) ma il poeta vi si aggrappa lo stesso con passione perché senza di essi, afferma,
“io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor di più) nella rigida e noiosa
indolenza”. Pertanto, la Ragione considera questi ideali niente altro che delle “illusioni”,
ma il cuore le accetta con un “atto di fede”: nasce così la “religione delle illusioni”, che è
accettazione tragica del nostro destino di morte e sfida eroica ad esso. Ed è proprio questo
contrasto che caratterizzerà l’irrequietezza del poeta, in una continua lotta tra illusioni e
disinganni, e questo dissidio interiore sarà la caratteristica dominante delle sue opere. Infatti
per Foscolo la poesia è espressione di umanità e civiltà, perché fa vivere questi ideali nel
mondo, li sottrae al nulla della morte, eternando nei secoli gli spiriti di eroi e poeti che li
hanno fermati (ne “Le Grazie” attribuirà alla poesia il compito di svolgere un’alta missione
civile). E questa funzione della eternatrice della poesia era tipica della tradizione classica:
ed infatti Foscolo risente fortemente della corrente neoclassicista; le sue opere sono
intrinseche di riferimenti ad eventi mitologici ed il lessico è ricercato e solenne, ricco di
latinismi e grecismi. Ma la grandezza di questo poeta sta nel suo modo di elevare la poesia
neoclassica: la sua mitologia è viva e palpitante, moderna, non antica, poichè in essa
riconosceva dei legami fortissimi con la sua tormentata coscienza: è questo l’esempio di “A
Zacinto” in cui egli, proprio come Ulisse, soffre per la lontananza dalla sua patria. Ma al
contrario dell’eroe geco egli non vedrà mai la sua “Itaca”: infatti morirà a Londra nel 1827,
lontano dalla sua tanto amata Zacinto.

SPINELLI ANTONIO
3 LICEO CLASSICO

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