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Ungaretti
“Veglia” rientra nella serie di poesie di Giuseppe Ungaretti scritte ispirandosi alla sua
tragica esperienza come soldato nella Prima guerra mondiale al fronte (“M’illumino
d’immenso”, “Soldati”). La poesia fa parte della sezione Il porto sepolto all’interno della
raccolta “L’allegria” edizione 1931 di Ungaretti.
In “Veglia”, componimento breve, è concentrata in pochi versi l’intensità dell’allegria che
l’essere umano prova nel momento in cui riesce a vincere la morte, uno dei sentimenti che
ispira la poetica di Ungaretti. Giuseppe Ungaretti avverte nella maniera più intensa
possibile la presenza della morte nella vita; la sua reazione è quella di scrivere “lettere
piene d’amore” e dare alla vita un valore ancora maggiore.
“Veglia” di Giuseppe Ungaretti: testo
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Parafrasi “Veglia” di Giuseppe Ungaretti
Ho passato una notte intera
sdraiato vicino a un compagno ucciso,
la bocca contratta dalla morte
rivolta verso la luna piena
il rossore e il gonfiore delle sue mani
che penetrano nel mio intimo
proprio in quel momento ho scritto
lettere piene d’amore.
Non mi sono mai sentito
così tanto attaccato alla vita.
“Veglia”: analisi del testo
La poesia è composta di due strofe, la prima di 13 versi e la seconda di 3 versi. Si tratta
di versi liberi e nel testo ci sono delle rime; dominano suoni duri grazie alla presenza di
lettere come l t e anche la scelta delle parole trasmette tutta la violenza e l’angoscia della
situazione vissuta dal poeta. La pausa che divide la prima dalla seconda strofa serve ad
enfatizzare il sentimento potente di attaccamento alla vita provato dal poeta.In questa
poesia l’atmosfera è creata dalla presenza della luna, in un richiamo leopardiano, che è
probabilmente l’ultima cosa contemplata dal soldato, compagno di Ungaretti, che ormai ha
perso la vita brutalmente. La sofferenza è data dai denti digrignati e dalle mani rosse e
gonfie, gli occhi rivolti alla luna quasi a domandare: perché? Perché la morte, perché
la sofferenza?
Intanto Ungaretti è lì, accanto al corpo, che veglia il compagno e vede da vicino la morte:
violenta, mostruosa, brutale, permanente. Proprio in quel momento emergono sentimenti
positivi nel poeta, in contrasto con la morte che vede lì, palese; la bellezza della
vita spinge Ungaretti a cantarne le gioie scrivendole.
Il silenzio è la sola cosa che accomuna i due opposti, vita e morte. Le parole hanno un
ritmo spezzato, quasi a voler concretizzare lo strazio provato dal soldato, la contrazione
della sua bocca, le mani rovinate e deformi. La morte del soldato viene ascoltata e accolta
dal poeta, che con le sue parole prova a dare voce a ciò che voce non ha, la fine di tutto.
Sul finale lo slancio positivo di Ungaretti che, proprio perché davanti ai suoi occhi vede
chiaramente la morte e lo strazio che ne deriva, ama la vita più che mai.
Analisi delle poesia “ Fratelli” di G. Ungaretti
La poesia che segue è la versione definitiva di Fratelli, che troviamo nella
raccolta L'allegria del 1943: precedentemente, ne Il porto sepolto, il titolo di questo
componimento era Soldato.
Fratelli fa parte delle poesie composte da Ungaretti durante la prima guerra mondiale,
mentre il poeta si trovava volontario al fronte. Il tema principale è quindi quello
della precarietà della vita, costantemente posta di fronte a una sensazione
opprimente di morte. Anche in questi versi, come in Soldati, la fragilità umana è
espressa dall'autore attraverso il confronto tra individuo e natura: i fratelli commilitoni
diventano così “foglie appena nate” (v. 5). Con la definizione di “fratelli” (v. 10) i soldati
riacquistano la propria umanità ed intima dignità. Attraverso l'immagine de
l'“involontaria rivolta dell'uomo” (vv. 7-8), Ungaretti celebra l'istinto di quest'ultimo alla vita
e il desiderio insito nell'animo di ognuno di sfuggire la morte e la guerra.
6. Nell'aria spasimante
7. involontaria rivolta 5
8. dell'uomo presente alla sua
9. fragilità
10. Fratelli
6. Istintiva ribellione,
7. nell’aria attraversata dalla sofferenza,
8. dell’uomo cosciente della sua
9. fragilità
10. Fratelli
1
Si tratta della località di Mariano del Friuli, paesino in provincia di Gorizia, a qualche
chilometro a nord della linea dell’Isonzo.
2
fratelli: parola-chiave che apre e chiude il componimento, e a cui si connettono tutti gli
altri termini del testo (“parola tremante”, “foglia”, “involontaria rivolta”). Il tema passa così
dalla realtà della guerra al senso di fratellanza che, nonostante tutto, prova ad
instaurarsi tra i soldati.
3
tremante: la sensazione di paura e di timore, connessa al pericolo di morire da un
momento all’altro, è trasferita dagli uomini del reggimento alla parola-chiave “fratelli”, che
in tal senso vibra e risuona nella notte simboleggiando tutta la fragilità umana dei
“soldati” (come appunto recitava il titolo originale della poesia nella raccolta del 1916).
4
foglia appena nata: analogia ungarettiana (come in altri testi, da Sono una
creatura a San Martino del Carso), che isola in un singolo verso tutta la fragilità dell’uomo.
5
involontaria rivolta: riproposizione del tema della fratellanza umana nel momento del
più cupo dolore; la parola “fratelli”, scambiata tra due reggimenti in una notte di guerra e
di morte, diventa una forma di ribellione istintiva e spontanea (come se la sofferenza
avesse portato a galla l’intima natura di ciascuno) all’assurda tragicità della realtà.
Metro: versi liberi.
1. Di queste case 1
2. non è rimasto
3. che qualche
4. brandello di muro 2
5. Di tanti
6. che mi corrispondevano
7. non è rimasto
8. neppure tanto
9. Ma nel cuore
10. nessuna croce manca
1. Di queste case
2. non sono rimaste
3. che delle rovine
4. di muro
5. Dei tanti amici e commilitoni
Tratto stilistico da sottolineare di San Martino del Carso è appunto l’uso sapiente degli
aggettivi deittici (cioè di tutti quegli elementi linguistici come pronomi e aggettivi
dimostrativi, avverbi di luogo o tempo e così via, che indicano la situazione spazio
temporale in cui avviene la comunicazione) e dei pronomi indefiniti. Ungaretti da un lato
punta infatti a collocare la propria esperienza in un clima e un orizzonte ben definito
(quello tragico e straniante della guerra di trincea: “queste case”, v. 1) ma al tempo stesso
eleva le sue considerazione ad un valore universale sul senso dell’esistenza e della
vita umana (“qualche brandello”, v. 4; “tanti”, v. 5; “tanto”, v. 8).
Come in altri testi della raccolta, i versi conclusivi assumono valore di sentenza, e
riassumono il senso della breve lirica. In questo caso, il risultato è raggiunto attraverso il
procedimento dell’analogia (frequentissima ne Il porto sepolto e ne L’allegria ma tipica di
gran parte della poesia del Novecento) che, rende in forma implicita una similitudine che
sarebbe esplicita, abolendo il “come” che serve per instaurare il paragone. Così, dal
rapporto di somiglianza si passa a quello, più forte, di identità: il “cuore” del poeta è
effettivamente un “paese straziato” dalla guerra e dal dolore
“Soldati" di Ungaretti
Come in molti altri testi de Il porto sepolto prima e de L’Allegria, anche in Soldati ritroviamo
alcune caratteristiche fondamentali della poetica e della poesia ungarettiana.
Innanzitutto, c’è il senso della tragedia esistenziale del primo conflitto mondiale: i versi
sono scritti in trincea presso il bosco di Courton, vicino a Reims. A questo sentimento si
associa l’estrema brevità del testo, che sembra quasi una fulminante scoperta della
condizione assurda in cui versano i “soldati”, a cui si può facilmente sostituire il termine
“uomini”. Soldati infatti può essere letta anche come una riflessione, breve ma assai
incisiva, sull'assurdità dell'intera condizione umana e sulla sua intrinseca finitudine, che
non può in alcun modo sfuggire al dolore e alla morte. I soldati, paragonati a rade foglie
autunnali appese a fatica agli alberi, cadranno inevitabilmente, vittime di una legge
universale spietata ed implacabile.
Il paragone tra esseri umani e foglie ha del resto una ricca tradizione letteraria, che
arricchisce i quattro versi di Soldati di echi e rimandi intertestuali che vanno dalla Bibbia
all’Iliade omerica, dal sesto libro dell’Eneide 1 di Virgilio fino ad un passo
dell’Inferno dantesco, quando, nel terzo canto, Dante descrive come le anime dannate
salgano sulla barca del nocchiero Caronte 2.
1
Virgilio, Eneide, VI, vv. 309-312: “quam multa in silvis autumni frigore primo | lapsa
cadunt folia aut ad terram gurgite ab alto | quam multae glomerantur aves, ubi frigidus
annus | trans pontum fugat et terris immittit apricis”; traduzione: “quante foglie, al primo
freddo d’autunno, cadono scosse nei boschi o quanti uccelli dal profondo mare si affollano
sulla terra quando la stagione fredda li fa fuggire attraverso l’oceano e li fan migrare nelle
regioni calde”.
2
Dante, Inferno, III, vv. 109-117: “Caron dimonio, con occhi di bragia | loro accennando,
tutte le raccoglie; | batte col remo qualunque s'adagia. || Come d’autunno si levan le foglie
| l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo | vede a la terra tutte le sue spoglie, ||
similemente il mal seme d’Adamo | gittansi di quel lito ad una ad una, | per cenni come
augel per suo richiamo”.