Sei sulla pagina 1di 6

GIUSEPPE UNGARETTI

● 1888 Nasce l’8 febbraio ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi.


● 1913-14 Trasferitosi a Parigi, studia alla Sorbona e conosce grandi personalità come
Apollinaire, Bergson, Picasso, De Chirico, Modigliani.
● 1915 Giunge in Italia e, scoppiata la prima guerra mondiale, si arruola come
volontario. I drammatici giorni trascorsi da soldato semplice di fanteria sul fronte
carsico fanno da sfondo ad alcune liriche pubblicate sulla rivista «Lacerba».
● 1916 Pubblica la raccolta Il Porto sepolto.
● 1918 Ritorna a Parigi.
● 1919 Esce la raccolta Allegria di naufragi (che a partire dal 1931 assumerà il titolo
definitivo L’allegria).
● 1921 Va a vivere a Roma.
● 1933 Dà alle stampe la raccolta Sentimento del tempo.
● 1936 Si trasferisce con la propria famiglia a San Paolo in Brasile, dove insegna
letteratura italiana moderna presso l’Università.
● 1939 Perde il figlio Antonietto di soli nove anni.
● 1942 In seguito allo scoppio del secondo conflitto mondiale rientra in Italia.
● 1947 Pubblica Il dolore.
● 1952 Esce la raccolta Un grido e paesaggi.
● 1953 Viene pubblicata La terra promessa.
● 1960 È la volta della raccolta Il taccuino del vecchio.
● 1969 Mondadori completa la pubblicazione della produzione ungarettiana nel volume
intitolato Vita di un uomo. Tutte le poesie.
● 1970 Muore il 2 giugno a Milano.

L’ALLEGRIA
LA FUNZIONE DELLA POESIA
Il titolo dell'edizione definitiva dei versi di Ungaretti Vita d'un uomo, sottolinea il carattere
autobiografico della sua opera poetica: non però come narrazione che ripercorre la vita
dell'autore, ma nel senso più alto di esplorazione della concezione dell'arte da lui elaborata e
che gli ermetici faranno propria. Per questi poeti, infatti, letteratura e vita sono strettamente
connesse tra di loro: la letteratura svolge la funzione quasi religiosa di svelare il senso
nascosto delle cose e illustrare l'essenza della vita.

L’ANALOGIA
La prima raccolta di Ungaretti, Il porto sepolto (1916), caratterizzata da sostanziali novità
formali; la frase è ridotta alle funzioni essenziali della parola come risulta evidente nella nota
lirica Mattina del 1917: «M'illumino / d'immenso». Ai vecchi procedimenti lo scrittore
contrappone il suo nuovo modo di fare poesia, rapido e sintetico, che mette in relazione
immagini lontane, le quali non hanno alcun rapporto tra loro e in ogni caso non esprimono
un senso immediato ed evidente: questo modo di procedere è appunto quello che si
definisce dell"analogia (il termine deriva da una parola greca che significa “che ha
relazione"). L'innovazione ungarettiana è favorita dalla rivoluzione futurista delle 'parole in
libertà", ma anche dall'esperienza dei poeti simbolisti.
LA POESIA COME ILLUMINAZIONE.
Per Ungaretti il poeta è una sorta di "sacerdote" della parola, un essere privilegiato che sa
cogliere i nessi segreti delle cose. Questa concezione della poesia le attribuisce un
significato magic, spingendola fino al limite dell'inconoscibile e dell'inesprimibile.
Secondo Ungaretti, il mistero della vita non può essere svelato attraverso il discorso disteso
e razionale delle scienze, ma può soltanto essere “illuminato” a tratti, per la forza intuitiva
della parola poetica. La parola, infatti, costituisce la fonte di una conoscenza rara e preziosa
e assume il valore di una improvvisa 'illuminazione", grazie alla quale, per un attimo, la
poesia riesce a raggiungere la totalità e la pienezza dell'animo umano.

GLI ASPETTI FORMALI


Dal punto di vista della versificazione, le poesie ungarettiane sono caratterizzate dalla
distruzione del verso tradizionale e dall'adozione di versi liberi, per lo più brevi.
La sintassi è essenziale e rifiuta le costruzioni complesse. La strofa è spesso costituita dalla
sola frase principale, le subordinate sono poco presenti e la punteggiatura è quasi del tutto
assente. La parola viene fatta risuonare nella sua autonomia e nella sua purezza, talvolta
addirittura isolata fino a farla coincidere con la misura del verso allo scopo di collocarla nel
vuoto e nel silenzio, come abbiamo visto nel caso di Mattina. Sul piano lessicale, Ungaretti si
ricollega alla più alta tradizione lirica italiana, soprattutto a quella del petrarchismo: infatti
egli tende a scegliere termini che riescano a trasferire gli elementi della realtà su un piano
più astratto e spirituale.

LE VICENDE EDITORIALI E IL TITOLO DELL’OPERA


Per quanto riguarda la scelta dei titoli delle raccolte è possibile distinguere tre fasi:
- Il porto sepolto (1916) allude a «ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile»,
cioè al segreto della poesia, nascosto nel fondo di un «abisso» in cui il poeta deve
immergersi per “tornare” alla luce con i suoi canti e cioè con i suoi versi, come scrive
nella lirica.
- Il secondo titolo, Allegria di naufragi, (1919) costituisce un'espressione dove i due
termini sono opposti uno all'altro ("ossimoro") e nella quale l'«allegria» si riferisce
all'«esultanza d'un attimo» che ha origine dal «sentimento della presenza della
morte da scongiurare», mentre «naufragi» indica invece l'effetto distruttivo della
morte e la tragica erosione del tempo.
- Nell'edizione definitiva, che porta il titolo di L'allegria (1931) la decisione di eliminare
il secondo termine è motivata forse dalla volontà di sottolineare maggiormente
l'elemento positivo dell'opposizione.

LA STRUTTURA E I TEMI
L'opera è suddivisa in cinque sezioni, si tratta tuttavia di un'autobiografia per così dire
'trasfigurata', perché i singoli eventi assumono il valore di un'esperienza esemplare in cui
l'uomo, qualsiasi uomo, incontra la verità, il senso profondo della propria esistenza. Un
gruppo di temi e immagini è legato all'infanzia e all'adolescenza che il poeta ha trascorso ad
Alessandria d'Egitto: il deserto, il miraggio, le cantilene arabe, come ricordo di quegli anni; il
mare, il porto, il viaggio, legati alla vicenda dell'emigrante. Il discorso si approfondisce nei
motivi del viaggio, del nomadismo, dell'estraneità, dell'esilio, ad esempio nella lirica intitolata
In memoria, in cui Ungaretti proietta la propria esperienza di uomo senza patria nel destino
di un amico arabo, morto suicida a Parigi. Da questi versi emerge spesso un senso di
sradicamento che, rappresenta metaforicamente una condizione esistenziale, quella del
poeta che va alla ricerca del suo essere più profondo e autentico.
Un decisivo momento di transizione è costituito dall'esperienza della guerra, che offre a
Ungaretti gli spunti per alcune delle sue liriche più crude e sofferte. Da un lato la guerra
consente al poeta di stabilire un contatto con la propria gente e di avvertire la
consapevolezza di una ritrovata identità grazie al ricongiungimento con la natura; dall'altro
lato poi, il terribile conflitto, che lo costringe a vivere nel precario confine tra la vita e la
morte, dove ogni cosa può rovesciarsi nel suo opposto e scomparire per sempre
all'improvviso, gli permette di mettere in luce, attraverso immagini nitide e sofferte, quella
"poetica dell'attimo” che costituisce il fondamento delle sue prime riflessioni letterarie.

IL SENTIMENTO DEL TEMPO


Le poesie scritte a partire dal 1919 sono inserite nella raccolta intitolata Sentimento del
tempo (1933), che rappresenta la seconda tappa dell'esperienza poetica dell'autore.
Il tema fondamentale della raccolta, enunciato fin dal titolo, è costituito dalla riflessione sul
tempo, inteso come causa del mutare di tutte le cose e come processo continuo di
distruzione e di rinascita.

ROMA, LUOGO DELLA MEMORIA


Per Ungaretti Roma è un luogo della memoria perché permette di cogliere il senso del
tempo che passa e il carattere effimero delle cose umane. I resti degli edifici sparsi per la
città ricordano gli splendori delle epoche passate, ma le rovine rendono evidente come il
trascorrere del tempo distrugga ogni cosa, anche le civiltà più illustri. Dalle poesie di
Ungaretti, spesso pervase da un sentimento cupo e incombente di morte, emerge la
consapevolezza di come «tutto passi sulla scena di questo mondo».

I MODELLI E I TEMI
Nella raccolta Sentimento del tempo Ungaretti recupera le strutture sintattiche, le forme
metriche tradizionali e l'uso dell'endecasillabo. Il poeta si riallaccia alla tradizione letteraria
anche per quanto riguarda le tematiche: nelle sue riflessioni sul trascorrere del tempo, nel
motivo dell'invocazione alla luna e nelle riprese del tema amore-morte si coglie, ad esempio,
l'influenza di autori come Petrarca e Leopardi. In altre poesie, invece, Ungaretti si interroga
su questioni religiose, sul tormento delle passioni e sul contrasto tra la purezza e il peccato,
spirito e la materia.

IL DOLORE E LE ULTIME RACCOLTE


Nel 1947 Ungaretti pubblica la raccolta intitolata Il dolore, una sorta di diario poetico, simile
a una vera e propria confessione autobiografica, in cui sono comprese poesie che danno
voce ai tormenti del poeta sul piano personale (la morte del fratello e del figlio di nove anni)
e collettivo (la guerra). Alle poesie scritte in memoria del fratello, riunite sotto il titolo Tutto
ho perduto, seguono le sezioni Giorno per giorno e Il tempo è muto, dedicate al figlio
morto, nelle quali Ungaretti trascrive il proprio dolore.
POESIE UNGARETTI
IN MEMORIA (690)
La poesia apriva la raccolta il Porto Sepolto (1916).
La vicenda di Moammed Sceab consente di introdurre uno dei motivi di fondo della raccolta:
quello dell'esilio, inteso come perdita irrimediabile di ogni punto di riferimento, che la poesia
ha il compito di sanare, proponendosi come ricerca di un'identità originaria perduta.
Il suicidio dell'amico comprende e racchiude in qualche modo il destino stesso del poeta,
corrispondendo a un'analoga ricerca di valori, che si conclude tragicamente per chi non sa
esprimerli e comunicarli. Oltre a sollecitare la commossa pietà del ricordo, il gesto del
suicida diventa così l'equivalente della poesia, con la quale ha in comune la medesima ansia
di liberazione e di «abbandono». Il ritmo spezzato delle strofe e dei versi, sollecitano una
lettura lenta e sillabata, in modo da percepire tutto il dolore. La scelta di isolare alcune
parole semanticamente rilevanti («suicida», «Patria», «vivere», «sciogliere», «Riposa»,
«sempre») determina una scarnificazione del verso e la cadenza frammentata dell’intero
componimento.
In questo modo Ungaretti sembra voler tradurre anche sul piano formale la contraddizione –
propria dell'amico e della sua stessa poesia – fra l'aspirazione all’assoluto e l'inevitabile
precarietà della vita. Lo snodarsi dei versi, nella loro misura del tutto variabile, sembra voler
riprodurre l'andamento imprevedibile e discontinuo della stessa esistenza.

FRATELLI (694)
La lirica formata da versi liberi, compare per la prima volta con il titolo “Soldato” nella
raccolta “il porto Sepolto” (1916).
La poesia si articola in cinque brevi strofe, distinte ma al tempo stesso strettamente legate,
accomunate anche dallo stile nominale, ossia da una mancanza di verbi reggenti che lascia
in sospeso la situazione.
1) la prima strofa è costituita da una domanda fugace, rivolta ad alcuni soldati per verificare
la loro appartenenza ad uno specifico raggruppamento dell'esercito; sono proprio queste
parole che ci consentono di ricondurre il componimento nel contesto della guerra.
L'appellativo «fratelli», che segue immediatamente, sembra avere lo scopo di stabilire con
gli interlocutori una qualche forma di solidarietà.
2) Nella seconda strofa si sottolinea il “tremore", il senso di trepidazione con cui la parola
«fratelli» è pronunciata nel silenzio della notte, che avvolge tutto con le sue Oscure e
misteriose insidie.
3) Il verso 5 contiene un'analogia (attraverso la quale l’esile suono della parola «fratelli» (e
ancor di più il suo significato) viene accostato alla precaria condizione di una «foglia appena
nata».
4) La quarta strofa ci permette di comprendere che la precedente immagine della giovane
foglia rappresenta anche un messaggio di speranza, poiché la parola «fratelli» diventa
un'«involontaria rivolta», ovvero un'inconsapevole ribellione della natura umana contro
l'assurdità della guerra.
5) Nell'ultimo verso riecheggia ancora una volta la parola «Fratelli», che si afferma in
questo modo come il motivo centrale dell'intero componimento, racchiudendo In se anche il
messaggio cristiano della fratellanza, che costituisce un riparo contro la precarietà della vita
del soldato, sottoposta a una continua minaccia.
VEGLIA (695)
La poesia composta in versi liberi comprare per la prima volta nel Porto Sepolto (1916).
È una poesia scritta al fronte e composta da due strofe di diversa lunghezza.
● La prima strofa di tredici versi, è costituita da un unico e ininterrotto discorso poetico,
che insiste, sulla crudezza della situazione: la vicinanza con il cadavere sfigurato e
deformato di un compagno caduto, nella notte sconvolta e allucinata. La guerra
appare un episodio macabro, rivelandosi in tutta la sua crudeltà. Il senso di orrore è
ribadito, in modo quasi ossessivo, dall'uso ricorrente dei participi passati («buttato»,
«massacrato», «digrignata», «penetrata»), che costituiscono la struttura portante del
componimento. A potenziare questo effetto concorre anche il sostantivo
«congestione», che, riferito alle «mani» del cadavere, sembra scavare («penetrata»)
nella coscienza di chi continua a vivere, in quel «silenzio» dove si cela la fonte
stessa dell'esistenza, adesso oltraggiata lacerata.
● La seconda strofa, in forma sintetica e concisa, precisa le ragioni di un attaccamento
alla «vita» che nascono dall'orrore, dal dolore e dalla morte, come prepotente
riaffermazione di un istinto naturale, ma anche come riconquista dei valori di
un’umana solidarietà.

SOLDATI (704)
Questa poesia composta da versi liberi fu scritta nell’ultimo anno di guerra sul fronte
francese, dove Ungaretti era stato inviato insieme ad altri soldati italiani per aiutare la
Francia a fronteggiare l’attacco tedesco. Anche in questa poesia il titolo entra a far parte
integrante del testo, risultando un elemento essenziale per la sua comprensione. Esso
costituisce il punto di riferimento del procedimento analogico, che assimila la vita del soldato
alla fragilità di una foglia d'autunno. L'intera poesia è formata da un complemento di
paragone, retto da un verbo comune, il cui uso impersonale («Si sta») sottolinea una
condizione di anonimato, ad accentuare il senso acuto di solitudine desolata e di abbandono
che accomuna la vita dei soldati.Il paragone rende la sensazione di precarietà e di angoscia
dovuta a qualcosa che potrebbe in ogni momento accadere, un evento imprevedibile che
esporrebbe l'uomo al pericolo di morte.

I FIUMI (697)
Poesia che fa parte della raccolta Allegria, scritta in piena guerra mentre si trovava in
Trincea, composta da versi liberi. È questa la poesia della consapevolezza, di una raggiunta
identità che deriva dal recupero del proprio passato attraverso la memoria. Immergersi nella
corrente dell'Isonzo equivale a ricordare tutti gli altri fiumi che hanno segnato l'esperienza
ungarettiana, ricomposta adesso nelle sue diverse fasi.
L'acqua che scorre è un evidente simbolo della vita, che il poeta prende in considerazione
dalle sue antiche origini (richiamate dal Serchio, il fiume dei suoi antenati) fino alla chiarezza
del presente (rappresentata dall'Isonzo), cioè fino alla maturazione dell'uomo,
dolorosamente provocata dalla vicenda della guerra. Tra questi due momenti estremi si
collocano altre esperienze, rappresentate emblematicamente da altri due fiumi: il Nilo, che
rievoca la stagione libera e avventurosa dell'infanzia e della prima giovinezza africana; la
Senna, che richiama gli anni parigini della formazione artistica e intellettuale, con la scoperta
della vocazione letteraria.
Il componimento possiede un carattere autobiografico, sottolineato dall'uso della prima
persona (si noti la frequenza dei pronomi personali e possessivi «mi», «mie», «miei» ecc.),
ma tende subito a caricarsi di significati ulteriori. L'immersione nell'acqua ha un valore
rituale, che rinvia in particolare alla cerimonia del battesimo. Il bagno rigeneratore trasforma
il fiume in un'«urna» (v. 10) che raccoglie la «reliquia» del corpo, con un uso dell'analogia
che si avvale di un linguaggio liturgico e religioso, attribuendo un significato sacrale all'intera
situazione.
Lo scorrere dell'acqua (vv. 13-15) compie un'opera di trasformazione e di purificazione,
riducendo l'individuo a una realtà minerale e ricongiungendolo alla natura, tanto da
compararlo a un «sasso» del fiume. La scarnificazione della figura umana («le mie
quattr'ossa», v. 17) è il presupposto per una riemersione che è anche rinascita e liberazione.
Ad essa segue l'immagine di straordinaria leggerezza dell’«acrobata» (in relazione
analogica con il «circo», v. 4) che cammina «sull’acqua», con un richiamo al ben noto
miracolo compiuto da Cristo. Un altro elemento significativo, nella strofa che segue, è
costituito dalla nudità del poeta, che non ha ancora indossato i panni sudici di guerra
(simbolo della corruzione e della morte) e che, in un immediato rapporto con la natura, si
china «a ricevere / il sole», che porta con sé la luce e il calore della vita.
il poeta compie la conquista definitiva della propria identità, che consiste nel riconoscere se
stesso come pienamente partecipe della vita del tutto. E’ questa l'«armonia» (v. 35) e «la
rara / felicità» (vv. 40-41) di cui il poeta va alla ricerca e che solo pochi momenti privilegiati di
pienezza dell'essere sembrano in grado di poter realizzare.
Nell’ultima strofa, invece, l'impressione negativa legata alla parola «tenebre» è attenuata
dall'immagine floreale della «corolla», anche se la forma quasi ossimorica dell'accostamento
analogico («corolla / di tenebre») non esclude la persistenza di un senso di perplessità e di
inquietudine.

SAN MARTINO DEL CARSO (700)


Poesia di Ungaretti fa parte della raccolta l’Allegria. Il titolo di questa lirica fa riferimento a
una piccola località in provincia di Gorizia, che venne distrutta completamente durante la
Prima Guerra Mondiale. Composta da versi liberi, il 27 agosto 1916.
Come Veglia anche questa poesia contiene immagini di desolazione e di morte, legate alla
guerra. Gli effetti della distruzione si riverberano qui sulle cose, in uno squallido paesaggio di
macerie e di rovine su cui si è abbattuta la furia degli eventi. L'evidenza dell’immagine viene
fatta risaltare in primo piano dall'aggettivo dimostrativo «queste» (v. 1), mentre la sofferenza
raccolta nello sguardo sembra farsi più acuta nell’uso inconsueto e quasi umanizzato di un
sostantivo come «brandello», in relazione a «muro». Nella seconda strofa il pensiero si
sposta, per una spontanea associazione, sui molti compagni caduti; di loro, a differenza
delle «case», non è rimasto più nulla. La loro totale scomparsa è il segno di una distruzione
più dolorosa e profonda, in quanto non ammette risarcimento o rinascita. A impedire che
vengano del tutto cancellati non resta che la commossa e pietosa memoria di chi è
sopravvissuto. Di qui la folgorante analogia fra il “straziato”, “paese” e il «cuore», che
appare come “il paese più straziato” inserendolo in un contesto di grande semplicità
espressiva. Tutta la poesia utilizza un linguaggio agevole e piano, fatto di parole comuni.

Potrebbero piacerti anche