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GIUSEPPE UNGARETTI

La vita

Dall’Egitto all’esperienza parigina


Nasce l’8 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto, dove i genitori (di Lucca) gestivano un
forno di pane. Frequenta fino al 1905 l’école Suisse Jacot e inizia ad occuparsi
intensamente di letteratura, leggendo i maggiori scrittori moderni e contemporanei, da
Leopardi a Nietzsche. Nel 1912 si reca a Parigi, dove frequenta i corsi del Collège de
France della Sorbona. Ha modo di approfondire la conoscenza della poesia decadente e
simbolista, da Baudelaire a Mallarmé, l’autore che più lo suggestiona, esercitando su di lui
un’influenza fondamentale. Frequenta gli ambienti dell’avanguardia, scrivendo anche versi
in francese e conoscendo alcuni fra i maggiori artisti e scrittori.
Nel 1914 Ungaretti era venuto in Italia per partecipare con entusiasmo alla guerra.
Arruolatosi come volontario in un regimento di fanteria, è inviato a combattere sul Carso,
dove prendono la loro forma originale e inconfondibile le liriche pubblicate a Udine alla fine
del 1916, con il titolo Il porto sepolto. Dopo aver combattuto in Francia nella primavera del
1918, alla fine del conflitto è nuovamente a Parigi, dove nel 1919 si sposa con Jeanne
Dupoix.

L’affermazione letteraria e le raccolte poetiche della maturità


Nel 1921 si trasferisce a Roma; aderirà poi al fascismo, convinto che la dittatura potesse
rafforzare quella solidarietà nazionale dalla quale si era sentito a lungo escluso. Collabora
con prestigiosi periodici italiani; divenuto uno dei più noti e prestigiosi intellettuali italiani, la
sua figura costituisce un punto di riferimento essenziale per la nuova poesia che darà vita
al definirsi di una poesia ermetica. Nel 1936 è chiamato a ricoprire la cattedra di
Letteratura italiana presso l’Università di San Paolo in Brasile, incarico che occuperà fino
al 1942, quando, rientrato in Italia, inizia a insegnare Letteratura italiana contemporanea
all'Università di Roma; nel medesimo anno viene nominato accademico d'Italia e l'editore
Mondadori intraprende la pubblicazione delle sue opere, con il titolo Vita d'un uomo. Le
vicende della Seconda guerra mondiale segnano comunque il maturare di una nuova e
dolorosa consapevolezza, preceduta da alcuni gravi lutti familiari: la morte del fratello, nel
1937, e la perdita del figlio, due anni dopo.
Ridotta l’attività creativa, Ungaretti attende all’edizione completa e definitiva dei suoi versi.
Muore a Milano il 2 giugno 1970. Nel 1974 esce il volume degli scritti critici. Non va
dimenticata la sua importante attività di traduttore.

L’allegria

La funzione della poesia


Quando Ungaretti cominciò a riordinare le sue poesie e diede loro il titolo di Vita d’un uomo,
volle sottolinearne il carattere autobiografico, proponendo tutta la sua opera poetica come
una sorta di nuova e versificata ricerca del tempo perduto. Il carattere autobiografico
dell’opera, tuttavia, non va inteso nel senso tradizionale di una narrazione che ripercorre la
vita dell’autore, ma va spiegato attraverso la concezione dell’arte elaborata da Ungaretti e
che sarà propria anche degli ermetici.
La poesia dunque ha il compito, selezionando alcune esperienze fondamentali nella vita di
un uomo, di illuminare e illustrare l’essenza della vita stessa.

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L’analogia
Le liriche di queste due raccolte assumono un andamento completamente diverso, che
tende a escludere le componenti più propriamente realistiche, attraverso un’estrema
riduzione delle frasi alle funzioni essenziali della sintassi e della parola.
Questa capacità di sintesi della poesia è inscindibile rispetto all’essenza profonda e
misteriosa dei contenuti che intende comunicare ed è conseguita da Ungaretti attraverso il
mezzo espressivo dell’analogia. Tale procedimento va oltre la simbologia e le metafore
utilizzate dalla letteratura precedente e vuole distinguersi dal carattere meccanico
dell’analogia futurista.
Ungaretti sostiene che la letteratura dell’Ottocento aveva cercato di conoscere il reale in
modo analitico, istituendo collegamenti chiari e immediatamente comprensibili tra gli
oggetti o tra i concetti. Si tratta tuttavia, di una conoscenza lenta, capace di rivelare solo gli
aspetti immediati e superficiali della realtà, non la sua essenza profonda. Ungaretti
contrappone il suo nuovo modo di fare poesia, "rapido", cioè sintetico, che sa mettere in
contatto immagini lontane, le quali apparentemente non hanno alcun rapporto tra loro e in
ogni caso non esprimono un senso immediato ed evidente.

La poesia come illuminazione


Per Ungaretti il poeta è una sorta di sacerdote della parola, un essere privilegiato che sa
cogliere i nessi segreti delle cose. Il mistero della vita non può essere svelato attraverso il
discorso disteso, concatenato e razionale delle scienze; può soltanto essere illuminato a
tratti, grazie alla forza di penetrazione intuitiva di cui si carica la parola poetica. La parola
assume il valore di una improvvisa e folgorante illuminazione, in cui la poesia riesce a
raggiungere la totalità e la pienezza dell’essere.

Gli aspetti formali


Dal punto di vista della versificazione comporta la distruzione del verso tradizionale e
l'adozione di versi liberi per lo più brevi, contribuendo a dare l'impressione di un dettato
fatto di parti staccate, isolate l'una dall'altra.
Anche la sintassi rifiuta le costruzioni complesse, adeguandosi, nella sua elementare e
lineare essenzialità, allo sforzo di cogliere l'attimo, di illuminare un momento dell'essere: la
strofa è spesso costituita dalla sola frase principale e non è frequente la presenza delle
subordinate.
La parola viene fatta risuonare nella sua autonomia e nella sua purezza (o nella sua
«innocenza»), talvolta addirittura isolata fino a farla coincidere con la misura del verso,
quasi per collocarla nel vuoto e nel silenzio, oltre ogni rapporto contingente con la realtà.
Sul piano lessicale, da Petrarca a Leopardi, appartiene a un sistema rigorosamente
monolinguistico, caratterizzato da una scelta di termini che tende ad alleggerire il peso
delle parole o comunque a trasferire gli elementi della realtà su un piano più rarefatto di
risonanze metafisiche e spirituali.

La struttura e i temi
L’opera è suddivisa in cinque sezioni. La prima è intitolata Ultime, perché raccoglie testi
del 1914-15 ancora legati alla fase precedente, poi ripudiata. La seconda, Il porto sepolto, e
la terza, Naufragi, rinviano a due poesie in esse contenute che diedero il titolo alle edizioni
precedenti sopra ricordate. Seguono la sezione intitolata Girovago, che comprende la
poesia dal titolo omonimo, dal sapore altamente emblematico, e la sezione conclusiva,
Prime, così intitolata in quanto prelude alla stagione poetica successiva.
I temi rendono evidente quella componente autobiografica, di cui si è parlato. Si tratta
tuttavia di una autobiografia trasfigurata, in quanto i singoli eventi assumono il valore di
un'esperienza paradigmatica in cui l'uomo incontra la verità, il senso profondo e ultimo
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della propria esistenza. Un gruppo di temi e immagini si lega all'infanzia e all'adolescenza
del poeta trascorse ad Alessandria d'Egitto.
Un decisivo momento di transizione è costituito dall'esperienza del fronte, che offre a
Ungaretti gli spunti per alcune delle sue liriche più crude e sofferte, spoglie di ogni retorica.
Ma la guerra gli consente anche di stabilire un contatto con la propria gente e di avvertire
la consapevolezza di una ritrovata identità. La guerra, infine, come fonte di ispirazione
particolarmente problematica e complessa, costringe a vivere nel precario confine fra la
vita e la morte, dove ogni cosa può rovesciarsi nel suo opposto e scomparire per sempre
all'improvviso; essa traduce così in immagini nitide e sofferte quella poetica dell'attimo che
costituisce il fondamento della prima ricerca di Ungaretti.
Particolarmente indicativa risulta la tematica del naufragio, che richiama il celebre verso
leopardiano dell’Infinito; essa si collega inoltre al motivo del viaggio, come simbolo di una
presenza della morte sempre latente.

In memoria, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 220

Il tema dell’esilio
La vicenda di Moammed Sceab consente di introdurre uno dei motivi di fondo della
raccolta: quello dell'esilio, inteso come perdita irrimediabile di ogni punto di riferimento,
che la poesia ha il compito di sublimare e di sanare, proponendosi come ricerca di una
identità originaria perduta. La peregrinazione dell'individuo è parallela alla rottura dei
legami con il passato e all'impossibilità di reintegrarlo nel presente. Il suicidio dell'amico
comprende e racchiude in qualche modo il destino stesso del poeta, corrispondendo a
un'analoga ricerca di valori, che si conclude tragicamente in chi non sa esprimerli e
comunicarli.

L’assoluto e il contingente
Il tono insieme dolente e distaccato trova riscontro nel ritmo franto e spezzato delle strofe
e dei versi, che sollecitano una lettura lenta e sillabata. La scelta di isolare alcune parole
semanticamente rilevanti determina una scarnificazione del verso e un andamento
frantumato dell’intera composizione. In questo modo Ungaretti sembra voler tradurre
anche sul piano formale l’insanabile contraddizione fra l’aspirazione all’assoluto e la
contingente precarietà della vita.
Lo snodarsi dei versi sembra adeguarsi all’andamento della stessa esistenza, in relazione
al carattere più scopertamente autobiografico del discorso. Di qui l’attenzione quasi
cronachistica per porre l’accento sullo sfiorire e sul decomporsi della vita. In questi termini
sembra racchiudersi il mistero delle cose, nell’incerto confine tra il contingente e l’assoluto.

Il porto sepolto, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 223

L’ascendente leopardiano
Il componimento si propone di cogliere l’essenza della poesia, il mistero che nasconde, la
fonte del miracolo e il mito da cui trae origine. Il primo verso allude a una sorta di
immersione rituale e purificatrice nelle acque primigenie, di tipo iniziatico, magico e
misterico.
Il nulla può essere considerato l’equivalente dello spazio infinito dell’assenza, del mare dove
i poeti usano naufragare, nel passaggio, in cui consiste tanta parte del procedimento
analogico, da una dimensione materiale a una dimensione immateriale dell’esistenza.

Il nulla e l’infinito

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Lo stesso nulla è sostanziato da un inesauribile segreto, ossia dal mistero profondo della
vita, che, toccando le radici dell’essere non ha né inizio né fine, e coincide quindi con
l’infinito. L’ossimoro nulla-inesauribile è quindi la condizione essenziale della poesia.
Veglia, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 224

Il senso dell’orrore
È una poesia scritta al fronte e composta da due strofe di diversa lunghezza. La prima è
costituita da un unico ininterrotto fluire del discorso poetico, che insiste sulla crudezza
della situazione: la vicinanza con il cadavere sfigurato e deformato di un compagno
caduto, nella notte sconvolta e allucinata. La guerra appare ridotta a questo macabro
confronto, rivelandosi in tutta la sua crudeltà. Il senso di orrore è ribadito dall’uso ricorrente
dei participi passati, che costituiscono la struttura portante del componimento;
ricollegandosi, nella forma, alla parola conclusiva del primo verso, essi assolvono a una
funzione di rima e si caratterizzano nell’immobile fissità di una deformazione
espressionistica. A potenziare l’effetto concorre anche il sostantivo congestione, che
sembra scavare nel profondo di chi continua a vivere, in quel silenzio dove si cela la fonte
dell’esistenza, adesso oltraggiata e lacerata.

L’istinto dell’amore solidale


La protesta nei confronti di questa sopraffazione conduce al rovesciamento inatteso senza
soluzione di continuità all’interno di un unico movimento strofico alla riscoperta dell’amore.

Sono una creatura, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 226

Un’esperienza disumanizzante
L’esperienza al fronte segna anche questa lirica: il poeta soldato coglie l’analogia tra la
sua condizione di uomo, impietrito dal dolore dinanzi agli orrori della guerra in trincea, e la
fredda e arida roccia che domina il paesaggio.
Nel titolo risuona la voce del poeta come un grido disperato, una rivendicazione umana
che viene negata dal contenuto dei versi, percorsi dal motivo della durezza, dell’assenza
di vita e di anima.

La morte nella vita


Questa pena interiore e muta si lega alla lapidaria riflessione conclusiva sulla morte,
anch’essa scandita in brevi versi, che eleva il vissuto del poeta a condizione universale. Il
sollievo della morte è un privilegio che si paga vivendo in un cupo dolore.

La strutturazione in strofe
La poesia è composta da tre strofe di versi liberi di misura breve ma di forte intensità
espressiva, che sembrano riprodurre, nella loro estrema frammentazione e nella
spezzatura dei nessi logici, i moti di un animo lacerato dal dolore. Le strofe, intessute a
livello fonetico da una fitta rete di assonanze e allitterazioni, si fanno via via più scarne ed
essenziali, quasi a sottolineare che lo strazio del poeta tende inesorabilmente al silenzio.

Uno spettacolo di desolazione e morte


La guerra è vissuta dal poeta come atroce spettacolo di morte, una violenza assurda che
priva l’uomo della sua umanità per assimilarlo agli aspetti più scabro paesaggio.

I fiumi, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 228

Il recupero del passato e il simbolo dell’acqua


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È questa la poesia della consapevolezza. Immergersi nella corrente dell’Isonzo equivale a
ricordare gli altri fiumi che hanno segnato l’esperienza ungarettiana, ricomposta nelle sue
diverse fasi. Prendere coscienza di sé significa chiarire il proprio percorso biografico-
esistenziale, dando un senso alle ragioni vitali che hanno sostenuto la vocazione poetica.
L’acqua è un evidente simbolo della vita, che dalle sue origini ancestrali (Serchio,
Toscana), giunge alla chiarezza del presente (Isonzo), alla maturazione dell’uomo che la
guerra ha dolorosamente determinato. In mezzo ci sono altri due fiumi: il Nilo, che evoca
l’infanzia e la giovinezza in Egitto; la Senna, che richiama gli anni parigini dell’inquieta
formazione artistica e intellettuale, con la scoperta della vocazione letteraria.

Il significato religioso e sacrale


Il carattere autobiografico del componimento è sottolineato dall’uso della prima persona.
L’immersione nell’acqua ha un valore rituale, che rinvia in particolare alla cerimonia del
battesimo. Lo scorrere dell’acqua compie un’opera di trasformazione e di purificazione,
riducendo l’individuo a una realtà minerale e ricongiungendolo alla natura, tanto da
assimilarlo a un sasso del fiume. L’azione è così intensa che finisce per scarnificare la
figura umana costituendo tuttavia il presupposto necessario per una riemersione che è
anche rinascita e liberazione. Il motivo della partenza si traduce in un’immagine di
straordinaria e quasi incorporea leggerezza: quella dell’acrobata che cammina sull’acqua,
con un richiamo al ben noto miracolo compiuto da Cristo, a conferma della disposizione
religiosa presente nel componimento.

La riconquista dell’identità
Attraverso la gradazione di questi passaggi, simbolicamente confluenti nel corso
dell’Isonzo, il poeta compie la conquista definitiva della propria identità, che consiste nel
riconoscersi.
L’evidenza dell’immaginazione è anche nella forza dimostrativa dei pronomi, che,
riprendendo il verso 27, si ripetono regolarmente, con l’insistenza dell’anafora, all’inizio
delle ultime strofe. Dalla raggiunta pacificazione con sé stessi nasce anche il rapporto di
quiete con il paesaggio notturno, che incornicia, per così dire, il componimento. Nell'ultima
strofa le tenebre si risolvono nell'immagine floreale della corolla, anche se la forma quasi
ossimorica dell'accostamento analogico non esclude la persistenza di un senso di
perplessità e di inquietudine.

San Martino del Carso, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 233

Un’intensa immagine di distruzione e di morte


Gli effetti della distruzione si riverberano qui sulle cose, in uno squallido paesaggio di
macerie e di rovine su cui si è abbattuta la furia degli eventi. L'evidenza dell'immagine
viene fatta risaltare in primo piano dall'aggettivo dimostrativo queste, mentre la sofferenza
raccolta nello sguardo sembra farsi più acuta nell'uso inconsueto e quasi umanizzato di un
sostantivo come brandello, in relazione a muro.
Nella seconda strofa il pensiero si sposta sui molti compagni caduti; di loro, non è rimasto
nulla. La loro totale scomparsa è il segno di una distruzione più dolorosa e profonda, in
quanto non ammette risarcimento o rinascita. A impedire che vengano del tutto cancellati
non resta che la commossa e pietosa memoria di chi è sopravvissuto; un ricordo fatto di
tante croci, che trasformano il cuore in un cimitero.
Nella sua consueta operazione di sottrazione e di scarnificazione, Ungaretti elimina le
determinazioni di luogo che rendevano troppo insistito e trasparente il contrasto fra esposto
all’aria e nei cimiteri.

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La simmetria lessicale e strofica
Tutta la poesia utilizza un linguaggio agevole e piano, fatto di parole comuni. La
compattezza che la caratterizza è dovuta al rigore calibratissimo della costruzione, alla
capacità di collocare le parole secondo calcolate simmetrie.
Mattina, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 236
Quattro parole di cui due monosillabi, che compenetrandosi con il termine che segue
attraverso l'apostrofo, danno luogo a due sole emissioni di voce. Nella brevissima
sequenza, la presenza del poeta («M'») appare investita di una luce intensa («illumino»),
che riverbera dall'intera estensione dello spazio. In questo modo l'individuo partecipa della
vita del tutto, il relativo si identifica con l'infinito e l'eterno. Ungaretti traduce così il
linguaggio dell'ineffabile, la sensazione di una pienezza quasi soprannaturale che non può
essere definita in termini logici e concettuali. Di qui, anche, il dilatarsi della dimensione
spaziale, che le parole impiegate nell'estensione senza limiti del loro significato, sembrano
prolungare all'infinito. Ne risulta una sensazione di totalità e di pienezza di vita che
rappresenta uno stato di beatitudine e di grazia edeniche, paradisiache.

Soldati, da L’allegria – Analisi del testo – pag. 239


Anche in questa poesia il titolo entra a far parte integrante del testo, risultando un
elemento essenziale per la sua comprensione. Esso costituisce il punto di riferimento del
procedimento analogico, che assimila la vita del soldato alla fragilità di una foglia
d'autunno. L'intera poesia è formata da un complemento di paragone, retto da un verbo
comune, il cui uso impersonale («Si sta») sottolinea una condizione di anonimato, ad
accentuare il senso acuto di solitudine desolata e di abbandono che pure accomuna la vita
dei soldati.
Il paragone rende la sensazione di precarietà e angoscia dovuta a qualcosa che potrebbe
in ogni momento accadere, per un impercettibile movimento o scarto portatore di morte. Il
valore tutto relativo di una vicenda esistenziale continuamente sospesa fra la vita e il nulla
emerge dalla profonda spezzatura dei versi, che richiedono una scansione
isolata, intervallata da pause profonde.
Scritta tutta di seguito, la poesia avrebbe avuto il sapore di un appunto prosastico, quasi si
trattasse di una forma di comunicazione normale, propria ad esempio di una lettera inviata
dal fronte.

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