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L’Ermetismo

Verso la fine degli anni Venti del XX secolo si affermò in Italia la corrente letteraria
dell’Ermetismo, che rivoluzionò profondamente il campo della poesia.
L’aggettivo ermetico (da cui deriva Ermetismo) significa letteralmente chiuso, serrato, enigmatico,
incomprensibile.
Il termine Ermetismo venne usato per la prima volta dal critico letterario Francesco Flora, per
indicare quel nuovo tipo di poesia caratterizzato da un linguaggio difficile, a volte misterioso.
Gli ermetici si sforzarono di “svecchiare” la poesia del tempo, influenzata dal dannunzianesimo,
che spesso si riduceva a un vuoto giro di parole inutili. Rifacendosi all’esempio del Simbolismo
francese, essi scelsero la via espressiva della poesia “pura”. Rifiutarono i versi tradizionali con
strofe, rime e ritmi classici, preferendo una poesia libera ed essenziale, scarna, ma densa di pensiero
e di significati anche nascosti, che il lettore doveva ricavare con la propria sensibilità dalle poche
parole dei loro versi, assai ricchi di immagini allusive. La poesia si presenta così “libera” dai vincoli
grammaticali (in molte poesie fu abolita la punteggiatura), pronta ad esprimere meglio la
complessità dell’uomo contemporaneo. I poeti ermetici, infatti, nei loro versi non descrivono, non
spiegano, non raccontano fatti o vicende, ma affidano alla parola il compito di offrire al lettore un
frammento, scarno ed essenziale, di una realtà sulla quale è necessario soffermarsi a riflettere.
Il più rappresentativo dei poeti ermetici in Italia fu senza dubbio Ungaretti, ma anche Salvatore
Quasimodo ed Eugenio Montale condivisero questa esperienza di stile nei primi anni della loro
produzione.

INCONTRO CON L’AUTORE


GIUSEPPE UNGARETTI

TAPPE FONDAMENTALI DELLA SUA VITA

L’infanzia e l’adolescenza
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1888, da genitori lucchesi che lì si erano
trasferiti all’epoca della costruzione del Canale di Suez, come emigranti, per ragioni di lavoro. La
sua povera abitazione si trovava alla periferia della città, ai margini del deserto (“con la tenda del
beduino a quattro passi da casa”), vicina al forno gestito dalla madre. La morte del padre e le
difficili condizioni economiche della famiglia lo costrinsero fin da piccolo ad alternare dolore e
miseria alla spensieratezza dei giochi, allegri e vivaci, con i compagni di razza e lingua diverse
dalla sua.

Gli anni della formazione e della maturità


Nel 1912, a ventiquattro anni, lasciò l’Egitto prima per l’Italia e poi per Parigi. Il soggiorno nella
capitale francese, dove completò gli studi presso l’Università della Sorbona, centro della vita
culturale europea dell’epoca, gli permise di conoscere letterati e artisti di grande importanza.
Ritornato in Italia due anni dopo, allo scoppio della prima guerra mondiale (1914), si arruolò
nell’esercito come soldato semplice, scegliendo di partire come volontario in prima linea, sul fronte
italiano del Carso, in Friuli e in seguito sul fronte francese. Questa esperienza lo segnò
profondamente, ispirandogli i temi della sua prima raccolta di poesie, intitolata “L’Allegria”,
pubblicata nel 1925.
Tra il 1920 ed il 1930 condusse un’esistenza poverissima, lavorando saltuariamente come impiegato
e scrivendo articoli per diversi giornali. Nel 1936 si trasferì in Brasile, per insegnare letteratura
italiana all’Università di San Paolo. Qui, dopo tre anni, lo colpì un gravissimo lutto: la morte del
figlio Antonietto di soli nove anni, causata da un attacco di appendicite mal curato.
Gli ultimi anni
Tornato in Italia nel 1942, insegnò letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma per
molti anni, curando contemporaneamente la pubblicazione completa delle proprie opere presso
l’editore Mondadori, riunite nel volume “Vita di un uomo”, che accrebbe successivamente,
inserendovi le liriche che veniva via via componendo.
Si spense a Milano, nel 1970, all’età di ottantadue anni.

LE SUE OPERE PRINCIPALI


L’opera poetica di Ungaretti è ricca di temi e contenuti vari, che seguono l’evoluzione della sua
ispirazione, lungo le principali tappe della sua vita. La sua prima significativa raccolta è
“L’Allegria”, ispirata alla dolorosa esperienza di guerra sul fronte del Carso, negli anni tra il 1914 e
il 1918.
Sono composizioni talora brevissime e sempre intense, che fissano in immagini nitide e ben
delineate i frammenti della drammatica realtà della guerra, rivissuta come nelle pagine di un diario.
“L’Allegria”1 è una raccolta particolarmente importante perché in essa Ungaretti si serve di una
poesia nuova, “pura”, che costituisce una vera rivoluzione negli schemi lirici dell’epoca e apre la
strada alle scelte poetiche del Novecento e in particolare all’Ermetismo, di cui Ungaretti è una delle
voci più significative.
Nel 1933 esce “Sentimento del tempo”, una nuova raccolta di poesie che in parte risentono della
crisi religiosa che lo aveva fatto avvicinare al cristianesimo. Qui affronta temi che vanno dall’amore
per il paesaggio alla riflessione sul destino dell’uomo e su una “civiltà” che va via via spegnendosi.
Sono argomenti complessi, che egli sviluppa in uno stile che in parte riprende le forme della poesia
tradizionale, con scelte talvolta difficili.
Dopo il definitivo ritorno in Italia e l’esperienza della seconda guerra mondiale, pubblica la raccolta
significativamente intitolata “Il dolore”, cui seguirono nel 1950 “La terra promessa” e nel 1960 “Il
taccuino del vecchio”.
L’opera di Ungaretti è profondamente nuova e moderna. La sua è poesia “pura”, che servendosi di
poche ed essenziali parole, di pause significative e di immagini suggestive, esprime e comunica al
lettore gli stati d’animo dell’uomo moderno, la sua solitudine, il mistero della vita stessa. In questa
nuova forma di poesia anche il verso cambia aspetto, divenendo “verso libero”, nel quale è messo in
evidenza il valore anche di una singola parola, isolata dalle altre. La parola è la vera protagonista
della poesia “pura”. Liberata dai condizionamenti delle regole e degli schemi grammaticali e
metrici, essa acquista una particolare potenza di significato e di suggestione, con un’intensa carica
di allusioni e di simboli. Di fronte a questi versi il lettore non può più limitarsi a essere spettatore
passivo (come spesso accadeva in passato), ma si sente coinvolto nel processo di creazione poetica,
perché deve saper interpretare quelle allusioni e quei simboli, rivivendoli attraverso la propria
sensibilità.
Alla base della rivoluzione poetica di cui Ungaretti è portavoce, ci sono innovazioni di forma e di
stile molto significative. Nelle sue poesie infatti:
abolisce la punteggiatura, sostituendola con spazi bianchi e conservando soltanto il punto
fermo e il punto interrogativo;
rifiuta le forme metriche tradizionali come la strofa, la rima, il verso di una lunghezza
stabilita, sostituendole con versi liberi, lunghi e brevi, talvolta formati da una sola parola;
alle parole della tradizione poetica classica preferisce quelle della prosa e della lingua
parlata, attribuendo loro significati più ampi e profondi di quello comune e letterale;

1
Soprattutto nelle liriche de L’Allegria, che rimane la sua raccolta più significativa, i temi si rifanno
alla sua esperienza di poeta-soldato e quindi sono: la sofferenza, l’angoscia della morte che
minaccia l’uomo da vicino, la solitudine, il dolore, la forza distruttrice della violenza e delle armi, il
desiderio di pace, di serenità e di fratellanza.
non rispetta le regole della sintassi e usa un linguaggio scarno ed essenziale. Talvolta
elimina il verbo e i complementi non del tutto necessari, isolando una singola parola, per
accentrare su di essa l’attenzione del lettore.
Per comprendere meglio il significato delle poesie e del pensiero di Ungaretti, leggiamo ciò che egli
stesso ha detto di sé.
“Per essere più preciso sulla mia vocazione alla poesia, è necessario che ricordi che essa mi apparve
nettamente durante l’altra guerra (la prima guerra mondiale). Ero un soldato fra soldati, vivevo di
fronte alla morte, tutte le incrostazioni tradizionali della civiltà mi erano bruscamente sparite di
dosso, ero rimasto un povero semplice uomo civile a contatto con la natura che mostrava con cruda
brutalità il suo prevalere. Da questo attrito è nata la mia poesia. La guerra mi fece capire che gli
uomini, anche i più insigni, anche i più potenti, non erano nulla; ch’essi erano in balia di una sorte
che non dipendeva da loro, e che dovevo quindi sentire per essi una solidarietà di fratello. La guerra
mi ha insegnato un’altra cosa, a non sprecare parole. Come non essere laconici (di poche parole),
con la minaccia di morte sospesa visibilmente sul vostro capo ad ogni attimo che passa, con il
timore di non arrivare in tempo a dire ciò che urgeva dire?...” 2.
“Nella mia poesia non c’è traccia di odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza
della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della
loro condizione. C’è l’esaltazione dell’appetito di vivere che è moltiplicato dalla prossimità
(vicinanza) della morte”3.

SONO UNA CREATURA (dalla raccolta L’Allegria)

Come questa pietra


del S. Michele4
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria5
così totalmente
disanimata6

Come questa pietra


è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

ANALISI DEL TESTO

È fondamentale, per capire la posizione poetica dell’autore, considerare l’esperienza che egli fece
come fante durante la prima guerra mondiale, che avvenne dopo che si era impegnato come
interventista per caldeggiare l’entrata in guerra dell’Italia.

2
E.F. Acrocca, Ritratti su misura, Sodalizio del libro, Venezia.
3
L.Piccioni, Vita di un uomo, Rizzoli.
4
S.Michele: altura del Carso, luoghi di combattimenti nella prima guerra mondiale.
5
Refrattaria: la capacità di resistere al calore, in questo caso insensibile.
6
Disanimata: senza vita.
Infatti la poesia, Sono una creatura, che fa parte della raccolta L’Allegria, contiene come tema
fondamentale quello della guerra che è vista dal poeta in tutta la sua drammatica crudeltà.
L’orrore della guerra colpisce la sensibilità del poeta il quale dice che il suo pianto, paragonato ad
una pietra, è impossibile da scorgere perché è tutto interiore. Una sofferenza la sua, divenuta
psichica ed esistenziale, che pare non poter trovare pace; infatti Ungaretti dichiara che: “la morte si
sconta vivendo”, a voler significare che in ogni istante della vita si muore un po’.
Leggendo con attenzione la poesia, possiamo notare che vi è una vera e propria frantumazione dei
versi tradizionali, talora ridotti a parole singole. Ungaretti, con la sua nuova tecnica compositiva,
attua un rinnovamento formale fra i più radicali del periodo. Le parole, quindi, assumono una
fortissima capacità comunicativa ed una straordinaria intensità lirica, resa ancora più evidente
grazie all’utilizzo degli spazi bianchi, che insieme all’abolizione dei segni di interpunzione,
consentono alle rare parole presenti nei suoi versi di delinearsi nettamente nello spazio bianco della
pagina, con la stessa intensità e forza evocativa con cui la parola originaria si delinea nel silenzio.
La parola ritrova in Ungaretti la forza di emergere dal silenzio, come avviene ad esempio, grazie
allo spazio bianco che intercorre fra i versi “disanimata” e “Come” che fa emergere il doloroso
silenzio che precede per un attimo l’intensa riflessione del poeta.
La lirica de L’Allegria è rivoluzionaria non solo nell’utilizzo del linguaggio, ma anche della metrica
tradizionale. Infatti possiamo notare come in questa poesia vi sia da parte dell’autore il ricorso ai
versi liberi, anche se è possibile cogliere la presenza di alcune rime che evidentemente sono servite
al poeta per accrescere il senso della musicalità della sua poesia, ad esempio: “prosciugata” fa rima
con “disanimata”, “pietra” con “pietra”.
Ungaretti nelle sue liriche fa spesso ricorso all’analogia, come accade nella serie di versi simmetrici
che vanno dal terzo al sesto, dove essa serve per rivelare al lettore la dolorosa condizione
esistenziale del poeta.
Ne L’Allegria l’autore fa uso della parola pura, che egli cerca di cogliere nella sua essenzialità
evocativa, proprio attraverso il sottile utilizzo dell’analogia, che gli consente di abbandonare il più
tradizionale discorso logico.
Ungaretti prese le distanze dalla poetica estetizzante del dannunzianesimo, come dai futuristi che
esaltavano la guerra e la violenza e che annullavano l’uomo di fronte alla macchina, così come non
poteva condividere l’utilizzo che veniva fatto della parola da Pascoli e dai crepuscolari perché
pomposa, vuota e, quindi, non poetica.
Egli, invece, voleva utilizzare una parola che fosse veramente poetica, che fosse soggettiva ma nello
stesso tempo universale.
Il poeta riteneva che l’esperienza della guerra gli avesse consentito di raggiungere una sorta di
“primitivismo”, ossia un ritorno ai sentimenti elementari, perché il conflitto poneva l’uomo senza
alcuna protezione, ne svelava le debolezze, la fragilità, le paure ed il senso di solitudine, sentimenti
che però solo la parola nuda ed essenziale poteva narrare.

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