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ARGOMENTI VERIFICA

Giuseppe Ungaretti
Ungaretti: biografia e formazione culturale: Egitto, Francia ed Italia.
Ungaretti: “San Martino del Carso”
Ungaretti: “I fiumi”
Ungaretti: “In memoria”, analisi e commento, il tema della memoria e dell’identità, il non essere.
Eugenio Montale
Montale: biografia, le città: Genova, Firenze e Milano
Montale: “Spesso il male di vivere”, la poetica del correlativo oggettivo, gli oggetti e gli stati d’animo.
Montale: “non chiederci la parola che squadri da ogni lato”,
Montale: “meriggiare pallido e assorto”,
Montale: “cigola la carrucola del pozzo”
Montale: “non recidere, forbice, quel volto”,
Montale: “limoni”
Montale: lettore e traduttore di Eliot.

APPUNTI
VITA UNGARETTI
Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d'Egitto l'8 febbraio 1888 e muore a Milano il 1° giugno
1970. L'atroce esperienza della guerra di trincea lo condurrà a più generali riflessioni sulla dignità
umana e sul valore del tempo. In un mondo inaridito dalla violenza devastante del primo conflitto
mondiale, la parola si adatta alla situazione di guerra: sulla pagina, bianca, ogni parola viene scelta
accuratamente, perché sia scavata ed esatta. La sincopata poesia della sua opera più nota,
L'Allegria, rimane una delle più innovative e significative del Novecento.
Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto (i genitori lavoravano alla costruzione
del canale di Suez).
1890 – Morte del padre: Il periodo egiziano lascia nella mente dello scrittore ricordi esotici, uniti a
esperienze giovanili di consolidate amicizie.
1912 – Ungaretti si trasferisce a Parigi: Frequenta gli ambienti dell’avanguardia, venendo a
contatto con Autori come Picasso, De Chirico, Modigliani ecc.
1914 – Rientra in Italia a Milano. Questo è il periodo in cui inizia la sua attività poetica.
Allo scoppio della guerra, è attivo come interventista, si arruola come volontario ed è mandato a
combattere sul fronte del Carso. Questa esperienza di trincea spinge Ungaretti a una profonda
riflessione sull’effimera condizione umana e sul valore della fratellanza tra gli uomini: è l’uomo
presente alla sua/fragilità. Nasce quindi in mezzo ai morti la sua prima raccolta (Il porto sepolto,
1916).
Dal 1918 al 1921 vive a Parigi, lavora presso l’Ambasciata italiana ed è corrispondente per il
giornale fascista il «Popolo d’Italia». Durante il suo soggiorno francese sposa Jeanne Dupoix e
pubblica con Vallecchi la prima edizione di Allegria di Naufragi (1919). Il nome della raccolta indica
la gioia del sopravvissuto alla tempesta, di colui che, avendo visto la morte vicina, sa apprezzare la
vita.
Ungaretti è dunque il poeta delle emozioni forti, che richiedono un’immediatezza espositiva,
giocata sull’impiego di analogie e sulla rottura delle regole della metrica tradizionale. La
punteggiatura è annullata, la disposizione della parola nello spazio bianco del foglio assume
un’importanza fondamentale che concorre a scandire il ritmo nella declamazione poetica. Ogni
parola racchiude in sé un concetto, per questo l’autore opera una scelta ben calibrata del lessico,
che con la sua semplicità riesce a rendere con pienezza tutta l’amarezza e il dolore della sua
prima produzione.
Nel 1925, Ungaretti firma il Manifesto degli intellettuali fascisti.
Nel 1931 esce l'edizione definitiva, de l’Allegria, il volume pubblicato originariamente nel 1916 con
il titolo Il Porto Sepolto, quindi nel 1919 con il titolo Allegria di naufragi e di nuovo nel 1923 con la
prefazione di Benito Mussolini.
La raccolta Sentimento del tempo, datata 1933, segna l’inizio dell’avvicinamento alla fede religiosa,
che rappresenta per lo scrittore l’ultimo appiglio dell'uomo smarrito di fronte alle angosce
esistenziali e al dolore della morte. Il recupero fideistico da parte dello scrittore comporta la ripresa
di una metrica più tradizionale che vede l’impiego dell’endecasillabo e del settenario.
Nel 1936 è chiamato in Brasile a insegnare letteratura italiana all’Università di San Paolo. Durante
il soggiorno americano, il poeta, che in pochi anni aveva visto la morte della madre e del fratello, è
ora colpito da un lutto ben più grave, la morte del figlio di nove anni. A questo tragico evento sono
dedicati molti dei versi raccolti nella prima parte de Il dolore, in cui l’uomo ungarettiano lotta per
conservare la fede di fronte agli imperscrutabili disegni divini.
Nel 1942, a causa del conflitto mondiale, ritorna in Italia. Alla fine della guerra, dopo una serie di
difficoltà legate al suo collaborazionismo con il regime fascista, è confermato docente universitario
e Mondadori comincia a pubblicare le sue poesie: Il dolore (1947), La Terra promessa (1950), Un
grido e paesaggi (1952), Il taccuino del vecchio (1961) e Vita di un uomo (1969).
Questa ultima raccolta racchiude tutta la sua produzione poetica, inclusi i suoi saggi critici e le sue
traduzioni, tra cui Gòngora, Mallarmé e Blake.
Ungaretti termina così la sua opera letteraria, un anno prima della sua scomparsa.
OPERE UNGARETTI
Ungaretti, San Martino del Carso (Porto sepolto, 1916)
Opera confluita insieme ai componimenti di Allegria di naufragi (1919), nella raccolta L’allegria
(1931).
Il verso tradizionale viene distrutto e la parola assume il significato metafisico di una illuminazione
improvvisa e illuminante, grazie agli arditi accostamenti analogici e all’autonomia particolare che
assume all’interno di versi brevissimi o costituiti da una sola parola. Il tema principale è il ricordo
della guerra, che permette di raggiungere una rinnovata identità.
Al centro sta l’esperienza del poeta nella Grande Guerra, combattuta come volontario in trincea. In
questa raccolta di poesie, appare molto forte la volontà di rinascere dopo la tremenda esperienza
della guerra, attraverso la poesia che è la sola forza in grado di riportare un po’ di dignità ed
umanità in un mondo devastato.
San Martino del Carso tratta degli effetti devastanti della guerra, che non risparmia nulla, dello
strazio che la morte porta nel mondo e nel cuore del poeta. All’inizio prevale l’immagine della
distruzione del paese, ormai fatto solo di macerie di rovine; poi, il poeta si focalizza maggiormente
sul proprio stato d’animo: Ungaretti, come gli è tipico, trova una forte analogia tra le immagini del
mondo esterno e il sentimento interiore del suo cuore. La condizione del paese devastato è, infatti,
del tutto analoga a quella del cuore del poeta, come confermano i due versi finali.
La struttura del componimento è circolare: l’immagine finale del cuore straziato richiama quella
iniziale del “brandello di muro”, così come si richiamano a vicenda le “case” del primo verso e il
“paese” dell’ultimo. Il ricordo degli amici scomparsi è presente e vivo nel cuore del poeta e vi
rimarrà per sempre: le croci non evocano solo l’immagine di un cimitero, ma anche quella della
passione di Cristo. È questa la cosa importante: ciò che rimane in mezzo a tanta distruzione senza
speranza è proprio il cuore del poeta e il suo dolore, che ha il potere di redimere e di riportare
quell’umanità che sembrava perduta, di ricostruire nel cuore addirittura un “paese”, quel paese che
sembrava irrimediabilmente distrutto. Il fatto che degli amici deceduti non sia rimasto nulla,
neanche un “brandello”, è indice di una devastazione ancor più totale e profonda di quella del
paese.
Il linguaggio è semplice e piano. Risulta straniante l’impiego del sostantivo “brandello”, solitamente
da collegare alla carne umana o a pezzi di stoffa, riferito, in questo caso, alla parola “muro”.
La lirica è essenziale e priva di punteggiatura, per isolare ed esaltare le singole parole.
Ungaretti, I fiumi (Porto sepolto, 1916)
Opera confluita insieme ai componimenti di Allegria di naufragi (1919), nella raccolta L’allegria
(1931).
Il titolo Il porto sepolto, nasce da un ricordo dell’infanzia del poeta vissuta ad Alessandria d’Egitto:
la notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia del deserto, di un’era anteriore alla
fondazione della città e di cui si è persa la memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche
modo, simbolo del mistero dell’esistenza.
Il poeta ci presenta diversi aspetti della sua esistenza citando alcuni fiumi per lui molto importanti:
1. il Serchio, il fiume del territorio di Lucca, la città originaria della famiglia del poeta;
2. il Nilo che lo “ha visto nascere” perché il poeta è nato ad Alessandria d’Egitto e lì ha vissuto la
sua adolescenza, quando ancora non aveva piena consapevolezza di sé e del mondo;
3. la Senna di Parigi, città nella quale Ungaretti ha conosciuto il “torbido” malessere esistenziale (lo
spleen di cui ha parlato Baudelaire), e ha acquisito consapevolezza e si è formato come letterato;
4. l’Isonzo, il fiume che scorre nel Carso devastato, su cui i fanti italiani combatterono dodici
battaglie terribili contro gli Austriaci.
Ancora una volta è la tragedia della Prima guerra mondiale la vera protagonista del
componimento, ed è un paesaggio di guerra quello che ci viene presentato. Il poeta resiste nel
paesaggio come un albero mutilato e contempla la natura per ritrovare il senso delle cose. Ciò che
lo circonda è desolante: è un circo senza spettatori, perché è il momento in cui le luci della ribalta
sono spente.
Questa poesia presenta alcune delle innovazioni stilistiche tipiche del lirismo dell’Allegria di
Ungaretti: l’indicazione del luogo e della data della composizione;
il contenuto autobiografico;
la sintassi particolarmente frammentata e una metrica diversa da quella tradizionale, perché i versi
sono ridotti a brevi sintagmi.
Ungaretti, In Memoria (Porto sepolto, 1916)
Opera confluita insieme ai componimenti di Allegria di naufragi (1919), nella raccolta L’allegria
(1931)
In Memoria è la prima poesia de Il Porto Sepolto, dedicata al ricordo dell’amico Mohammed Sceab
suicida nel 1913 a Parigi. Mohammed Sceab era stato amico di Ungaretti fin dai tempi di
Alessandria, compagno di letture e di discussioni interminabili sui poeti e i filosofi letti insieme,
Baudelaire, Poe, Nietzsche. In memoria dell’amico “suicida perché non aveva più patria” Ungaretti,
che forse è l’unico a ricordarlo, inizia il suo libro di poesie scritte in guerra.
Ungaretti spiega il gesto del suicidio: Sceab aveva abbandonato il paese d’origine, ma non riuscì
mai ad adeguarsi alla cultura e alla società francesi. Si sentiva un esule privo di identità e non
sapeva spiegarlo con la poesia. Nonostante la similarità tra le esperienze Ungaretti riuscì, a
differenza dell’amico, a vedere nella poesia un appiglio contro lo smarrimento e il dolore.
VITA MONTALE
Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 e muore a Milano il 12 settembre 1981.
Nella poesia di Montale i motivi biografici che muovevano maggiormente la poesia dei coevi
Ungaretti e Saba vengono meno e la sua poesia cerca di definire piuttosto la condizione dell'uomo
contemporaneo. La sua opera più nota è certamente Ossi di seppia ma tutta la sua produzione
poetica è ritenuta tra le più alte e significative della poesia novecentesca.
OPERE MONTALE
Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato (Ossi di seppia, 1925)
Montale rinnova la grande tradizione letteraria italiana (caratterizzata da forme ampie) su una
nuova base linguistica con il riutilizzo dell’endecasillabo e della rima.
Nell’intera opera, Montale indaga il male di vivere, che si rivela nitidamente in un paesaggio scarno
ed arido (di cui l’Osso di seppia è evidentemente simbolo) ed in cui tutta la vita si rivela nel suo
sgretolarsi. Il poeta è intento, con difficoltà, ad interrogare la natura.
Il male di vivere che Montale descrive è un male oggettivo, radicato ed evidente già
dall’osservazione della natura quotidiana. Non c’è violenza nella poesia di Montale e la tecnica del
correlativo oggettivo tende ad identificare questo male così radicato con il rivo strozzato, con
l’incartocciarsi della foglia riarsa, con il cavallo stramazzato. Un dolore ed un male che è dunque
presente nella normalità della vita e non derivante da un qualsivoglia atto violento.
Montale, Non chiederci la parola (Ossi di seppia, 1925)
Il titolo “Ossi di Seppia” fa riferimento alla conchiglia interna della seppia (di colore bianco e dalla
consistenza schiumosa) che altro non è che la testimonianza di un organismo vivente che è stato
scartato dal mare.
Montale ritiene che le sue poesie abbiano la stessa caratteristica, in quanto sono tracce di ciò che
rimane di una vita consumata dalla presa di coscienza di non poter decodificare il senso
dell’esistenza e del dolore, sia dal senso d’impotenza provato dall’uomo, attanagliato dal “male di
vivere”.
La posizione occupata dalla lirica. Non chiederci la parola all’interno della raccolta e il suo
contenuto la rendono un vero e proprio manifesto poetico. I versi in questione esprimono la crisi
spirituale di Montale e di un’intera generazione d’intellettuali che, negli anni in cui si afferma il
Fascismo, rifiuta di compromettersi col regime.
I poeti non hanno più lo sguardo da veggente da loro posseduto in passato e sono smarriti come
tutti gli uomini comuni. Nella prima strofa Montale si rivolge ad un ipotetico lettore abituato ad
ascoltare formule rassicuranti e lo invita a non chiedergli più certezze positive, in grado di spiegare
tutto.

Montale, Meriggiare pallido e assorto (Ossi di seppia, 1925) 


La poesia è stata composta probabilmente nel 1916.
all’interno della raccolta ha il valore emblematico di introdurre il tema-chiave dell’estate infiammata
che rende tutto arido e secco. Il meriggio di una calda e assolata giornata estiva è un momento di
immobilità e sospensione: per effetto della calura e della luce accecante, la vita è quasi ferma,
tutto si muove molto lentamente e a fatica. Il paesaggio ligure delle Cinque Terre, arido e scarno, è
quello tipico di tutta la raccolta.
Infatti, l’aridità della natura è l’emblema di una condizione esistenziale di prigionia, solitudine e
abbandono, di assenza di ogni slancio vitale. Il poeta si vede costretto ad accettare la triste e
limitata condizione umana: l’uomo è simile alle formiche rosse che si muovono incessantemente
senza meta. Il paesaggio è chiuso, non comunica con l’uomo e non è fatto per l’uomo, è solo un
tramite verso qualcosa di indefinito, che dovrebbe essere in grado di rompere la monotonia della
vita quotidiana, tuttavia rimane sempre misterioso e insondabile, incapace di offrire risposte
soddisfacenti.
Montale, Cigola la carrucola del pozzo (Ossi di seppia, 1925) 
Cigola la carrucola del pozzo affida l’illusione di potersi sottrarre al “male di vivere” al ricordo che
emerge come un secchio che risale pieno d’acqua da un pozzo, alla possibilità vana di riportare
dal passato un volto caro. A Montale sembra, infatti, che sulla superficie dell’acqua contenuta nel
secchio si delineino i contorni di un volto a lui caro, appartenente al passato. Avvicinando il volto
alla superficie dell’acqua però, l’immagine s’increspa e scompare, venendo risucchiata
immediatamente da un passato che si deforma velocemente, e viene percepito come molto
diverso dal ricordo felice che se ne aveva poco prima.
Il ricordo appartiene ad un altro sé del poeta, alla parte che aveva amato quella figura
(presumibilmente femminile) e che ora fa parte di un passato che non può essere più recuperato,
come si deduce anche dalla spezzatura dei versi 7 ed 8 che esprimono la distanza tra il poeta e il
suo passato e l’impossibilità di riviverlo.
Montale, Non recidere, forbice, quel volto (Le occasioni, 1939)
Le “occasioni” da cui nascono le poesie altro non sono che alcuni momenti casuali e quotidiani, da
cui il poeta cerca di carpire il significato della stessa esistenza.
Non recidere, forbice, quel volto fa parte di quelle che trattano il tema del ricordo, anzi
dell’impossibilità angosciante di conservare il ricordo del volto della donna amata, che, in questo
caso, è Irma Brandeis, come evidenziato sopra.
Il viso della donna sembra protendersi ancora in ascolto verso le parole del poeta, ma la nebbia
dell’oblio è destinata ad avvolgerlo, anche se è “grande”, perché domina nella mente del poeta.
A fare da correlativi oggettivi a questa dolorosa esperienza della perdita della memoria sono tre
immagini:
1. La forbice, che è pregata di non tagliare via il volto della donna (anche se è molto evidente che
la preghiera del poeta non potrà essere esaudita, in quanto la forbice rappresenta l’azione
inesorabile del tempo, destinato a eliminare il ricordo dell’amata),
2. Il freddo che giunge improvvisamente
3. Il guscio della cicala che viene fatto cadere dall’albero colpito da un colpo di accetta.
La nebbia è una tipica immagine per indicare i ricordi che svaniscono.
Montale, Limoni (Ossi di Seppia, 1925)
Montale si trova immerso in un paesaggio ligure asciutto dove ci sono piante comuni e semplici,
diverse da quelle celebrate dai poeti laureati.
In condizione miracolosa, di silenzio, di sospensione si ha l’impressione che sta per avvenire la
rivelazione sul senso della vita da parte della natura, grazie all’uso dei sensi e ai limoni.
Si è vicini alla rivelazione, manca pochissimo, ma il momento magico si spezza: Montale viene
riportato alla realtà grazie alla pioggia, la luce offuscata, le “cimase” (cioè i cornicioni dei palazzi) e
capisce che ha perso definitivamente l’occasione. Però un giorno la comprensione sarà possibile
grazie ad uno spiraglio, ma senza garantire che avverrà la rivelazione.
La poesia di Ossi di seppia è una poesia che, come l’osso di seppia, si lima, riduce le pretese
eroiche e celebrative dei “poeti laureati” (in particolare Gabriele d’Annunzio, come si legge nei in
questa poesia), per avvicinarsi alla quotidianità, alla concretezza delle cose.

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