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Analisi "Allegria" di Ungaretti

Istituzioni di letteratura italiana (Università degli Studi Roma Tre)

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L’Allegria è una raccolta di poesie che fanno riferimento alla prima guerra
mondiale, la I edizione era intitolata il Porto sepolto ( Il titolo fa riferimento una
leggenda che narrava l’esistenza ad Alessandria di un porto sepolto dal mare , ciò è
indice della componente simbolista di Ungaretti che allude al significato nascosto
delle cose) del 1916. Nel 1923 ci fu una seconda edizione ampliata con una
presentazione di Mussolini.
Nel 1919 la raccolta si amplia con nuove poesie ed è intitolata L‘Allegria dei
naufragi (Il titolo allude alla strage della guerra dove il naufrago rappresenta la
condizione esistenziale dell’ uomo moderno).
L’ ultima edizione , quella definitiva risale al 1931 con il titolo L’Allegria, con
questo titolo elimina la contraddizione o ossimoro allegria/naufrago per
rintracciare nella condizione disperata dell’ uomo uno spiraglio di vitalità.

Ungaretti realizza una vera e propria rivoluzione poetica filtrata attraverso la


disgregazione della sintassi, teorizzata in quegli anni dall’Avanguardia
futurista.
Egli intraprende una ricerca di essenzialità e di concentrazione nell’esprimere i temi
della solitudine e della precarietà della vita, che lo conduce alla frantumazione del
verso libero (chiamato versicolo), alla sinteticità del contenuto e alla ricerca
formale della parola evocativa, strumento di rilevazione del mistero.

Ungaretti compone poesie che rappresentano un’evidente rottura con la tradizione


(ci si riferisce a verso postpascoliano, dannunziano, crepuscolare). Sarà il maggiore
esponente della poesia pura da cui si svilupperà l'Ermetismo.

L'Allegria va interpretata come la vitalità che vince la morte ed energia che abita i
nostri giorni.

ULTIME:
Nonostante il titolo, Ultime è il gruppo di poesie ungarettiane più antiche fra quelle
riportate in Vita d'un uomo. Composte a Milano e pubblicate in genere per la prima
volta a più riprese su "Lacerba" nel 1915, sono state largamente corrette e variate in
occasione delle successive edizioni.
In Ultime al paesaggio milanese si alterna quello favolosamente riferito, della sua
terra natia; Milano è colta in quel nebbioso aspetto invernale che oggi, nel centro,
non conosce quasi più, e meglio si riscopre nella periferia. In ben tre composizioni
figure umane sono collettivamente rappresentate: cosa rara nel resto d L'allegria.
Suggestioni decadenti s'intravedono nel ritorno del compagno arabo suicida o nel
senso di solitudine suggerito dal colore del Tappeto; il tono prevalente è
malinconico, anche se la volontà di reazione si sforza di palesarsi con il rifiuto di
" vivere di lamento
come un cardellino accecato "
e la morte che il poeta dichiara di preferire non risponde a miti eroici, bensì al
lasciarsi morire (come la quaglia che non ha più voglia di volare).

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Eterno:
Il fatto che questo testo sia di apertura alla prima raccolta, Allegria, nella prima
sezione, Ultime, indica che è il componimento con il quale l’ autore sceglie di
presentarsi ai lettori.
La forma ed il linguaggio sono essenziali e scarni, la lirica si compone di soli due
versi, che spiccano sul candore della pagina.
Il primo verso è occupato da un’ immagine concreta, che svolge,
contemporaneamente, la funzione di delimitare il tempo e lo spazio intercorsi tra i
due semplici movimenti di cogliere e di donare.
Il secondo verso, invece, introduce un’ immagine astratta, cioè “l’ inesprimibile
nulla”, ovvero una dimensione di vuoto e silenzio, che non può essere
comunicata agli uomini.
Il significato del componimento è imposto dal valore metaforico del primo verso:
l’immagine del fiore è metafora della poesia, che il poeta prima raccoglie e poi dona
ai suoi lettori. Il secondo verso aggiunge l’ evocazione del luogo-tempo da cui la
poesia viene: il nulla.
Il testo, che apre l’ Allegria, introduce con sintesi estrema uno dei temi che
pervadono più profondamente l’ intera raccolta: il motivo del tempo. A esso fa
riferimento la dialettica temporale che, nel passaggio dal primo al secondo verso,
oppone i singoli momenti o frammenti del tempo vissuto, sentiti come relativi ed
effimeri, il momento del raccogliere e del donare, e l’ assolutezza dell’eterno nulla.
Si parla di un gesto, un fiore colto e donato, espressione figurata della vita
umana e delle sue azioni, che si fonde con l’immenso, di cui l’uomo è parte
integrante. Allora in questo ambito il nulla non è assenza ma inevitabilmente
presenza inesprimibile. Certamente s’avverte la necessità interiore del Poeta di
ambire ad evocare la totalità dell’universo, entro il quale permane il senso del
Mistero.

NOIA:
La lirica vive tre momenti staccati tra di loro, divisi dalla spaziatura, come
frammenti di impalpabile condizione esistenziale: la noia.
“Questa” rende con immediata evidenza realtà indeterminate (notte e solitudine).
I versi 2 e 3 sono caratterizzati dall'analogia: l'idea della solitudine è suggerita
dall'ombra dei fili tranviari in cui si raccoglie l'immagine di realtà inconsistente e

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incorporea. I “fili” segnano un'esile e inafferabile direzione spaziale che attraversa la


profondità dell'ambiente circostante (in giro), raccogliendosi nell'immagine visiva
dell'umido asfalto.
Il punto di vista si ritrova nell'ultima terzina nella prima persona, che scorge figure
oscillanti: il “tentennare” (occupa verso conclusivo) riprende “titubante” del verso 3
(t e n associate con vocali a ed e).
Ungaretti ha operato, per giungere alla redazione definitiva, un processo di
riduzione e semplificazione, eliminando ogni cadenza di tipo crepuscolare → es. a
posto di “faccioni” che appariva stonato usa “teste”.
Ungaretti sceglie come argomento centrale della poesia la condizione
esistenziale della noia; questa nasce dall’idea della solitudine che c’è intorno,
nell’ombra dei fili dei tram che attraversano uno spazio vuoto e si stagliano
sull’umido asfalto. L’immagine della noia per il poeta, si concretizza nella figura dei
brumisti, vetturini di piazza, che vacillano nel sonno.

LEVANTE:
Questi versi raccontano il viaggio di Ungaretti da Alessandria a Parigi. Il poeta è
sempre sul bastimento verniciato di bianco e guarda in avanti, verso Parigi,
sebbene nel suo cuore sia forte la "nostalgia" di Alessandria (scomparsa in
lontananza in Silenzio). Non c'è altro che il mare: la linea vaporosa (è l'effetto del
vapore acqueo nell'aria) del mare finisce laggiù, lontano, dove si confonde con la
linea del cielo. In questo vuoto sta solamente la nave (lo stacco è ancora una volta
segnalato dalla riga vuota) la cui presenza è rivelata dal suono di picchi di tacchi
e picchi di mani, dei ghirigori striduli (straordinario questo verso suggestivo
ancora più che onomatopeico: le note acute e dolci al tempo stesso di un clarino
che sembrano disegnare nell'aria un arabesco).
All'impressione sonora si somma la visione del mare cinerino che si increspa,
quasi fosse inquieto, ma è un'inquietudine dolce, come quella del piccione.
Sulla nave il poeta annota due situazioni contrastanti e separate, anche
fisicamente, nella realtà come sulla carta: a poppa emigranti siriani ballano, a
prua sta un giovane, da solo. Solo con i suoi pensieri: a quest'ora di sera, in un
sabato come questo, laggiù, nella città che egli si è lasciato alle spalle (il giovane è
a prua), Ebrei seppelliscono i loro morti (dopo il tramonto, perché prima è
proibito, agli Ebrei, di fare qualsiasi lavoro). La seconda immagine è quella dei
lumi tentennanti nei vicoli scarsamente illuminati. Nell'ultimo strofa avviene lo
svelamento: "che io odo". Dunque quel giovane a prua altri non è che il
poeta Ungaretti.

La poesia è costituita di sei strofe ognuna di diversa struttura e di varia misura, e


spesso formate di una sola parola che, isolata e "nuda", acquista tutto il suo valore
poetico e semantico.

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La punteggiatura è sostituita da spazi bianchi i quali, oltre a scandire i periodi


separandoli uno dall’altro, le parole acquistano respiro e, così isolate, esprimono a
fondo il loro significato. Inoltre la poesia è costituita da un certo numero di ellissi
come "picchi di tacchi picchi di mani e il clarino ghirigori striduli" e da un’analogia
"trema dolce inquieto" (il mare è dolce ma trema come gli inquieti piccioni). Le
allitterazioni "linea ... lontano" e "cerchio ... cielo" conferiscono al contesto una
sonorità soffusa, cui si contrappone la violenza sonora dei due versi successivi.
I versi sono liberi e non c’è nessuna rima.

TAPPETO:
Poesia breve, 3 versi, interpretabile in modi diversi come tutte le poesie di
Ungaretti. Il lettore diventa come un “poeta virtuale”, la poesia può vivere
attraverso i nostri occhi.
1. “Ogni colore si espande e si adagia negli altri colori, per essere più solo se lo
guardi” In mezzo a tutti i colori isolando ad esempio un rosso, il colore appare sotto.
Il colore siamo noi uomini e il tappeto è l'umanità intera → concetto antirazzista,
l'uomo significa qualcosa solo in mezzo agli altri. Vivere insieme migliora la propria
esistenza.
Tuttavia ogni tanto è come se gli altri non ci capissero e talvolta non ci capiamo
nemmeno noi, sentendoci così soli.
Questa è una concezione malinconica.
2. “Ogni colore si espande e si adagia negli altri colori per essere più! Solo se lo
guardi” Le prime due strofe suonano quasi positive, l'ultima ribalta la questione.
Siamo costretti tutti i giorni a stare nel tappeto, nei ritmi che la società ci impone,
negli schemi.
Però, se la gente inizia a considerarci più di un numero o una persona qualunque,
diventiamo grandi e il nostro colore si adagia e si espande.

Nessuna delle due interpretazioni è giusta, perché è tutto molto soggettivo


essendo la poesia priva di punteggiatura.

NASCE FORSE:
Possiamo immaginare un paesaggio cancellato dalla nebbia, dove tutto è possibile e
la realtà appare sotto una diversa forma: la percezione dei sensi è tradita, le

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morgane ingannano, potrebbero esserci le Sirene nell’ombra. È il momento in cui il


poeta, chiuso nella sua solitudine, diventa consapevole della propria funzione.
La poesia ci chiama con voce soave, ma – a differenza delle Sirene – non ci vuole
distruggere: al contrario, ci arricchisce.

AGONIA:
PARAFRASI
morire come le allodole in cerca di acqua
su un panorama immaginario
o come la quaglia
oltrepassato il grande argine
dei primi cespugli
perchè non vuole più volare
ma non vivere neanche di lamento
come un cardellino accecato.

Ungaretti nomina tre specie di uccelli: le allodole che, scambiando la luce riflessa
dagli specchi per un luccichio d’acqua, cadono nell’inganno degli uomini e vanno
incontro alla morte, la quaglia, uccello migratore che, a volte, dopo aver superato il
viaggio, si accascia sfinita alla meta e il cardellino, piccolo uccello che gli uomini
talvolta accecavano affinché meglio si adattasse alla vita in gabbia. Il poeta sostiene
che è preferibile morire come le allodole o le quaglie, piuttosto che condurre una
vita come quella del cardellino in gabbia. La poesia è composta di tre strofe,
rispettivamente di due, cinque e due versi irregolari. Nonostante inizino con la
lettera maiuscola, le tre strofe non terminano con il punto fermo, consuetudine
tipica di questo periodo della poesia ungarettiana. E’ presente una rima (quarto e
sesto verso: “are”); inoltre al terzo, quinto e settimo verso si notano delle
consonanze (gli). Vi è un richiamo tra l’ultima parola del primo verso (assetate) e
dell’ultimo (accecato): oltre alla somiglianza del suono, si noti che sono entrambi
participi passati che denotano “mancanza”. Come sempre, nelle poesie di questo
autore, grande importanza ha il titolo: “Agonia”, che, in una sorta di circolarità, ben
sintetizza la condizione del cardellino. In ogni strofa è sottintesa la proposizione
principale, che potremmo indicare con “E’ meglio, è preferibile, bisogna.” E’
presente un’inversione ai vv. 7-8: “di volare non ha più voglia”. Le tre specie di
uccelli formano ciascuna una similitudine: “morire come…” e “non vivere…come…”
I termini usati sono di immediata comprensione, ma va chiarito che, al v. 7, “voglia”
va tradotto con “forza, energia”. L’uso degli infiniti “morire”e “vivere” esprime,
nell’intenzione dell’autore, una verità universale, che deve valere per tutti gli uomini
e che, per essere meglio compresa, va letta alla luce del contesto storico e umano in
cui è stata composta la lirica. Nel 1914-1915 in Italia è forte il dibattito circa
l’opportunità di intervenire nella guerra da poco scoppiata; molti sono gli
irredentisti, che considerano l’intervento come l’unica possibilità di entrare in
possesso delle terre italiane ancora dominate dall’Austria (Trento e Trieste).

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Ungaretti ritiene che gli Italiani non debbano “vivere di lamento”, ma che debbano
invece impegnarsi per la realizzazione delle proprie aspirazioni, anche se questo
dovesse significare la morte. Egli stesso si comporta da allodola, da quaglia, e si
arruola volontario, mettendo a repentaglio la propria vita in prima linea (anche se
morirà solo molti anni più tardi, nel 1970). La poesia ha comunque assunto, nei
decenni, un significato svincolato dalla situazione vissuta in prima persona
dall’autore e continua ad essere apprezzata per l’universalità del suo messaggio:
nella vita bisogna impegnarsi per realizzare degli ideali, delle imprese, anche se ciò
comporta dei rischi, piuttosto che vivere prigionieri della propria stessa esistenza,
privi di interessi e di entusiasmo.

RICORDO D'AFFRICA:
In Ricordo d'Affrica, i nessi logici appaiono recisi, e quasi visivamente segnalati (e
sostituiti) dagli spazi bianchi, nell’accostamento delle tre figurazioni per cui si
realizza una sorta di cortocircuito semantico sottotraccia: la vertigine luminosa
sembra quasi cancellare la città (“Il sole rapisce la città”), nell’abbaglio visivo (“Non
si vede più”) che investe anche le tombe (“Neanche le tombe resistono molto”).
I versi del poeta si caratterizzano non solo per la loro brevità – ma esistono pure
liriche più lunghe – oltreché per la nuova tecnica grammaticale, sintattica e
della punteggiatura; nella poesia tradizionale, infatti, esistevano sì liriche brevi, ma
difficilmente di due versi.

CASA MIA:
L’amore per la vecchia casa e per gli affetti che un tempo essa racchiuse fra le sue
mura rinasce al ritrovarla, e ha il sapore d’una nuova scoperta. Così il poeta, dopo
lunga assenza, tornando alla sua casa dei giorni primi, sente con commosso stupore
che l’amore per essa non è morto. Tornano a ri-vivere nel cuore i ricordi cari che
egli credeva d’aver disperso qua e là, sparpagliati (che pregevole metafora!) negli
angoli del mondo dove la vita conduce. È quasi una rivelazione: la casa è lì, custode
dei ricordi. È solo bastato un ritorno alla vecchia casa perché essi nuovamente
riaffiorassero, intatti, senza aver nulla perso della freschezza di un tempo.

NOTTE DI MAGGIO:
Questa poesia della raccolta Ultime del volume Allegria, che vuole dire ultime del
periodo d’avanguardia del poeta, e parte finale proprio di questo periodo, prima
cioè della sua maturità poetica. E già si manifesta la tendenza al linguaggio
essenziale.

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Vediamo subito l’economia del linguaggio, quella economia espressiva, qui all’inizio
della sua vita creativa che contraddistinguerà la sua poetica.
Ma qui è sbagliato parlare già di ermetismo, perché il margine di incomprensione è
dato non tanto dal fondo segreto che la parola rivela, ma è dato dal non detto, dalla
mancanza di un legame poetico con la realtà.
Il poeta cela. Sappiamo che in una notte di maggio i minareti sono illuminati, ma ci
sfugge il dato reale, quello che il primario titolo invece dava “Curban Bairam” che in
persiano vuole dire “festa del sacrificio”.

IN GALLERIA:
L'«acquario di sonnambula noia» come metafora della Galleria milanese (In
Galleria) e un'osservazione eleganti della realtà, rilieva di un occhio prezioso e
leggero.
L’assenza di un’unica spiegazione, perché la validità di ogni spiegazione risiede
nell’originale autenticità del sentire di ciascuno. Perché la parola del nostro poeta
non è vincolante, ma evocante. Il fascino rivoluzionario di Ungaretti sta proprio
nell’ avere smascherato il grande vizio “retorico” della poesia precedente, che
credeva di potersi esprimere ed elevarsi solo tramite arcaismi o con l’insensata ed
ostentata ricercatezza del linguaggio, futili segni di erudizione, ma non certo di arte.
Ed acquista un sapore ancor più di rivoluzione se si pensa che, fra uno scontro
armato e l’altro, trovò sempre la forza di versificare il suo dolore. E ancora, il tutto
viene pervaso da un’aria magica se si pensa alla estrema brevità in cui condensa e
glorifica il segreto stesso.

CHIAROSCURO:

Contrasto tra la notte e il giorno.


Si parte dalla notte, l'ombra cala da casa del poeta fino al cimitero e le tombe
scompaiono. Mentre il poeta sogna rivede il suo compagno arabo morto, uccisosi
qualche sera prima perché non riusciva a sopportare lo sradicamento della realtà.
C'è quasi l'illusione che nulla sia accaduto.
Torna il giorno, ritornano le tombe incastrate nell'erba ancora non del tutto al sole
(verde tetro), visione inquietante. Poi con i primi chiarori, il verde diventa
“torbido”, quindi comunque opaco e fosco. Nonostante la luce, la visione resta
inquietante e il poeta torna alla realtà.

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POPOLO:
“Il popolo nostro è un popolo di fantastici; ha più di ogni altro, anzi questo è il suo
carattere, il potere di transmutare la realtà in ebrezza; neppure qui gli mancano
momenti di slancio e di spasimo vitale, che lo liberano e lo risarciscono di mille
secoli di patimento; ma i mille secoli sono lunghi a doversi patire. Non siamo
tedeschi, tutti fatti a immagine d’un solo «all man» «tutto un uomo»; siamo gente
di cui ognuno anche fisicamente sembra esprimere una civiltà diversa; da noi il
coraggio ha un senso di «fascino», non un senso di «sforzo di volontà»: sono lunghi
mille secoli.”
Lettera di Ungaretti a Giovanni Papini.

IL PORTO SEPOLTO
Il porto sepolto che dà il titolo ad una sezione della raccolta è proprio l'Io del
poeta sepolto dalla guerra, un Io da cui attingere attraverso la poesia. Il poeta-
soldato non è più l’eroe che trasforma la propria esperienza di guerra in qualcosa di
eroico e spettacolare o in un’opera d’arte, ma è un individuo fragile che da tale
esperienza trae pretesto per guardarsi dentro e rapportarsi al dolore e al mistero
della vita e della morte. Ungaretti non parla della guerra per come si è
oggettivamente svolta, non parla cioè di voglia di combattere o di vittorie
esaltanti, ma della guerra descrive solo le proprie personali reazioni. Sono reazioni
di isolamento, di sgomento e di smarrimento nel vedere lo spettacolo di
distruzione che circondava l’uomo.
Sotto il titolo di ogni poesia troviamo la data e il luogo di componimento.

IN MEMORIA:

In memoria è dedicato all’amico Moammed Sceab. L’amicizia risaliva all’adolescenza,


Schea e Ungaretti furono compagni di studi ad Alessandria d’Egitto e successivamente
emigrarono insieme a Parigi, dove vissero nello stesso albergo. A Parigi Sceab si suicidò,
non sopportando più la propria condizione di nomade, privo di patria.
Ungaretti ha sempre associato la figura di Sceab alla propria ricerca di identità letteraria.
Questa lirica è dominata dal motivo dello sradicamento e della perdita d’identità, percepite
anche da Ungaretti nel suo sentirsi estraneo al mondo. Ma il poeta al contrario dell’amico
riesce ad esprimere attraverso la sua lirica il senso di lacerazione e di sradicamento ed
inoltre attraverso la poesia riesce a far vivere il ricordo dell’amico e lasciare una
testimonianza che duri nel tempo.
La poesia è stata scritta mentre Ungaretti si trovava sul fronte di guerra (1916).

Metrica: Otto strofe di versi liberi. I verbi oscillano tra passato e presente, fino ai versi
finali dove i due tempi si incontrano nell’opposizione tra il passato della vita conclusa
dell’amico e il presente del ricordo. L’uso di parole quotidiane e scarne, il ritmo prosastico,
l’assenza di punteggiatura (l’inizio dei vari periodi è segnalato dalla presenza di lettere

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maiuscole) contribuiscono alla ricercata rinuncia di ogni retorica. I versi brevi o brevissimi
contribuiscono a dare il massimo risalto alle singole parole.

IL PORTO SEPOLTO:

Analisi del testo: Il poeta come un palombaro dello spirito: potrebbe essere la sintesi
concettuale dell'intenso componimento. Il significato della lirica si spiega a partire dal
titolo, a cui allude la prima parola del testo, il pronome Vi. Il poeta viaggia verso il suo
porto sepolto, e vi si immerge; esce di nuovo alla luce con i propri versi; e li dona al mondo,
disperdendoli.

La prima strofa si riassume in tre momenti, che esprimono il senso stesso del far poesia
secondo Ungaretti. La poesia è definita come:
- viaggio; è immersione nell'io profondo, nelle radici nascoste, alle quali la poesia attinge i
propri canti;
- ritorno; la poesia è poi una risalita alla luce, un ritorno all'esperienza del mondo, vissuta
tra gli altri;
- dispersione; i canti si disperdono nell'attimo in cui si comunicano al mondo: il messaggio
della poesia è fragile, affidato alle cure ai lettori.

La seconda strofa dopo il dinamismo della prima, si sofferma su ciò che il poeta giudica
il risultato più prezioso della precedente avventura: il nulla / d'inesauribile segreto. Si
tratta di un'immagine ardita, intraducibile:
- da una parte vi è il vuoto, il nulla, appunto;
- dall'altra un segreto inestimabile e inesauribile.
Tale segreto coincide con la vita profonda dell'io, con la sua memoria personale; ma
riguarda anche un orizzonte più largo, il mondo delle origini, a cui rinvia la leggenda del
porto sepolto dell'antica Alessandria.

Il linguaggio poetico di Ungaretti è essenziale: i versi sono brevissimi, spezzettati,


come a cercare la rarefazione della parola isolata, pura, pronunciata nel silenzio. Molto
significativa è in questa lirica l'assenza totale della punteggiatura: la lingua nuova della
poesia novecentesca si libera dalle regole del linguaggio tradizionale; il discorso, che un
tempo era affidato alla sintassi e alla punteggiatura, è ora comunicato anche attraverso il
silenzio degli spazi bianchi.

SCHEMA METRICO: versi liberi

Spiegazione parola per parola:


VI: è riferito al titolo, al porto sepolto; secondo la leggenda, un antichissimo porto era
sepolto sotto Alessandria d'Egitto, dove Ungaretti era nato.
CANTI: la sua poesia
DISPERDE: dopo aver scritto la sua poesia, il poeta la legge agli altri, la comunica. Il
verbo esprime un'idea sia di gratuità sia di sperpero. Forse qui Ungaretti allude alla Sibilla
Cumana, l'antica profetessa (descritta da Virgilio nel libro III dell'Eneide) i cui enigmatici
responsi profetici venivano scritti sulle foglie e poi dispersi al vento.
MI RESTA: resta a me, poeta, come ideale compenso.

LINDORO DI DESERTO:

Se isoliamo nello spazio le parole, esse acquistano la loro importanza: di qui l’importanza
delle onomatopee e di certe consonanti. In “allibisco all’alba” (“lindoro di deserto” )

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abbiamo l’insistenza sulla lettera l, consonante liquida, quindi questa frase appartiene al
campo semantico acqueo. L’alba ha generato stupore e questa poesia viene considerata un
aubade, cioè una serenata, un canto all’alba.
Lindoro è il nome di una maschera veneziana, ma è anche il panno lindo, dorato, che
appare nel deserto della trincea. C’è un riferimento al “tramonto della luna” : il momento
della scomparsa della luce è apocalittico, quindi il momento di riapparizione all’alba è una
cosa meravigliosa. A ungaretti, molto sensibile alla cecità, appare dunque
sorprendentemente miracolosa la riapparsa della luce all’alba. Abbiamo la sinestesia del
silenzio degli occhi, l’elemento del corallo e del mondo che brilla al sole, l’elemento della
sete che si contrappone al campo semantico dell’acqua, l’elemento dello spippolare, che
rimanda al mondo arabo in cui era cresciuto ungaretti. I fonemi generano i fonemi in un
unico verso con una consonante liquida; nel passaggio tra una strofa e l’altra c’è una
continua alternanza di situazioni. La nostalgia riporta al passato della patria lontana, dal
luogo in cui un uomo si può accasare (heimat). L’io poeta è il protagonista che ungaretti ha
creato; il viaggio è visto come un continuo vagabondare, come un momento di tensione,
mentre il sonno placa gli spiriti inquieti. Il poeta, dopo tutte queste vicissitudini nello
spazio, si copre di un tiepido manto di lindoro, il sole lo riscalda, si abbandona a lui.
Abbiamo l’idea della terrazza della desolazione (sul carso ci sono delle alture, dei luoghi
sopraelevati) per la solitudine, per la guerra. In questo spazio, il poeta riesce ad isolarsi, si
sporge e si affida al sole. Un altro elemento è la visione (abbandonare il visibile e creare
delle visioni). Spippolare (i pippoli d’ambra della corona, con cui vengono fatti i rosai) si
ritrova in una poesia pubblicata su lacerba (“l’ineffabile”). Troviamo anche il tema della
deriva, cioè l’andare senza meta in direzione orizzontale e verticale (presente anche in
graf), che porta anche qualche immagine precedente in mente. Riguardo al manto di
lindoro, ossola segnala una poesia di “alcyone” di d’Annunzio: infatti, l’ideologia
dannunziana fu rifiutata, ma le tracce dei testi dannunziani sono dappertutto.

VEGLIA:

Vv. 1,2 allitterazione suono “t”


Vv. 2,3,4,5 assonanza suoni “a,o”
Vv. 14,15,16 climax discendente
Vv. 10-11 metafora.

Nella poesia la punteggiatura è completamente assente per dare il senso dell’urgenza e


dell’immediatezza delle emozioni, in quanto le immagini sono collegate senza interruzioni.
In “Veglia” il poeta fa uso di molti participi passati come massacrato, buttato,
digrignato(…): alcuni compaiono all’inizio del verso, altri invece compongono essi stessi un
verso, dove si concentra l’orrore e l’atrocità della guerra. L’insistenza presente in tutta la
lirica sulla dentale “t” rende l’asprezza collegata al tema, accentuando la dura e
drammatica scansione sillabica. L’immagine della bocca digrignata rivolta al plenilunio
richiama il dolore ma la luna,e in questo c’è un forte contrasto, la bellezza della vita. La
metafora “penetrata nel silenzio” viene usata per far capire al lettore la sofferenza che il
poeta trova nell’osservare quel povero corpo straziato.
La rappresentazione che Ungaretti fa della sua veglia accanto al corpo del compagno ucciso
è caratterizzata da un’estremasemplicità di linguaggio e da una crudezza di
immagini. Ciò si deve soprattutto alle scelte lessicali, violentemente cariche e deformanti
(«buttato», «massacrato», «digrignata», «congestione», «penetrata»).
Tra l’altro i termini più forti hanno spesso una posizione rilevata nel verso (tre dei
cinque esempi ora fatti sono isolati in un unico verso). Vi è una notevole insistenza su
alcuni suoni (in particolare desinenza -ata/-ato vv. 1, 2, 4, 6, 10, 14, 16).
1915, Prima Guerra Mondiale: è la notte dell’antivigilia di Natale. Il poeta Giuseppe
Ungaretti si trova in trincea sul fronte del Carso, come si ricava dall’indicazione finale. Egli

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ha acccanto il cadavere sfigurato di un compagno, massacrato dal fuoco nemico. Dal


contatto diretto con questa tragica realtà il poeta prende coscienza della precarietà della
condizione dell’uomo e delle atrocità causate dalla guerra. Ma alla contemplazione
dell’orrore di un’umanità oltraggiata, il poeta reagisce con la riscoperta dell’amore e dei
valori della fraternità e con la prepotente affermazione del diritto a vivere. La strofa
finale si conclude quindi con questo messaggio positivo e alla rappresentazione iniziale
della morte oppone la conquista interiore di un rinnovato attaccamento alla vita e alla
solidarietà umana.

A RIPOSO:

"A riposo" è -nel mezzo-; è parte d'un dialogo con altri due momenti di scrittura: Veglia,
che lo precede; Fase d'oriente che è successivo. Comprenderlo significa considerarlo in
questo spazio che è inizialmente di dolore: per la morte -in "Veglia"-, in contrasto
associativo con l'amore richiamato come un pianto, attraverso quel verso composto
dell'unico: "penetrato", punto di fusione di due stati interiori. Segue quindi "A riposo",
come una fase di transizione, un vivere sentimenti contraddittori di tregue nel Tutto ed
Inquietudine nell'oscurità di se stessi. A seguire "Fase d'oriente" cui l'iniziale sapore
d'innocenza (sempre bramata, sempre cercata oltre il proprio essere uomo), dona una
sensazione di maggiore abbandono, di vero riposo, seppur momentaneo, condensato
pienamente nel sofferto, meditato verso "ci vendemmia il sole" dove il "ci" è un NOI
poetico è l’esatto vincolo che afferra le ciurme dei vascelli conradiani e che somiglia gli uni
agli altri dei soldati d’ogni fronte ( penso alle "infinite promesse" nei versi succesivi, penso
poi all'"involontaria rivolta dell'uomo" in "Fratelli").

FASE D'ORIENTE:

Le poesie del Porto sepolto, sezione dell’Allegria, esprimono – secondo la stessa


definizione di Giuseppe Ungaretti (1888-1970) – ciò che di segreto rimane in noi
indecifrabile. Il poeta è in guerra, sulle montagne del Carso, e gode di uno dei momenti di
riposo che il regolamento del Regio Esercito prevedeva tra un combattimento e l’altro. In
quel tempo mollemente sospeso, gli occhi chiusi che conservano l’immagine
luminosa del sole sotto le palpebre, inseguono “la dolcezza di un tempo svanito”: in
presenza della natura, in presenza della morte e della distruzione, lo slancio vitale è nella
dolcezza del sogno, nel “quasi annientamento di sé”, è nella poesia che, ripetendo le parole
di Ungaretti al tenente Ettore Serra, incontrato per una strada di Versa, “era il mio modo di
progredire umanamente”.
Per comprendere Tramonto è necessario aver compreso le immagini e le suggestioni
diFase d’Oriente; rinforzati dalla lettura di Tramonto si può poi tornare a Fase d’Oriente,
in un gioco circolare, e trovarvi significati nuovi. La chiave per interpretare le immagini ce
la fornisce l’autore stesso nelle note che ha scritto per accompagnare le sue poesie; al
riguardo del titolo Fase d’oriente spiega: “fase, momento di svago e di dolce
sospensione;Oriente, nel significato che si dà alla parola pensando alle mollezze e quasi a
un annientamento di sé in sogno”. Già il titolo stesso risponde al criterio dell’analogia, per
cui le parole assumono un significato non necessariamente comprensibile solo attraverso
la ragione. La nota di Ungaretti ci permette di comprendere dunque il molle del primo
verso e il turbine di germogli di desiderio; è una poesia sul risveglio della sensualità, dato

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da un semplice sorriso provocante (si ricordi che il poeta scrive queste poesie mentre è al
fronte durante la prima guerra mondiale; e che è nato ad Alessandria d’Egitto, il cui
paesaggio è molto presente in questa raccolta). Dati questi input si possono interpretare
anche le altre immagini della composizione. Forse il modo migliore per cogliere le poesie
ungarettiane che, come queste, sono molto legate al simbolismo, è proprio quello di non
seguire la logica della sintassi, ma di rincorrere le suggestioni che si creano tra le
immagini.

TRAMONTO:
Anche Tramonto parla del risvegliarsi del desiderio: un’affinità tematica resa ancora più
forte dalle parole che Ungaretti sceglie. Qui anzi il discorso è fatto in maniera più
esplicita (e in questo senso rinforza la nostra interpretazione della poesia precedente).
Senza aver letto la prima poesia non si capirebbe cosa sono le oasi e cosa vuol dire nomade
d’amore. A rendere ancora più forte il legame con la prima poesia è da sottolineare come
non si comprendere la scelta di questi due termini senza il riferimento all’Oriente, al
deserto egiziano; anche il carnato del sole in questo panorama assume la delineazione
precisa di un tramonto nel deserto; rileggendo il ci vendemmia il sole della prima poesia
alla luce di questa nuova considerazione del sole ci si aprono nuove suggestioni di lettura,
specie sui colori suggeriti dal carnato e dalla vendemmia.
In ogni epoca i poeti hanno costruito i loro canzonieri creando legami tra le singole poesie,
ma è in particolar modo nella poesia del Novecento che bisogna avere l’attenzione nel
cogliere questi nessi che si fanno più irrazionali, lontani dalla logica, permettendo al lettore
di giocare con i testi, creare reti intertestuali interessanti da esplorare.

STASERA:
Stasera è un componimento breve, di soli tre versi in ottonari piani. La semplicità
espressiva, costruita sul rifiuto della metrica e della punteggiatura tradizionali e
sull’uso della “parola nuda”, non si traduce però in immediatezza contenutistica: i livelli
del testo sono infatti abbastanza stratificati. L’immaginedel primo verso (v. 1: “balaustrata
di brezza”) potrebbe infatti rimandare al balcone interno della casa d’infanzia di Ungaretti,
ma anche - e questa è l’interpretazione più accreditata - essere un elaborato riferimento
alla tragica vita del soldato al fronte, sempre sospesa sull’abisso della morte (come
indica anche la metafora delle foglie contenuta in Soldati). La balaustra, inoltre, richiama
lo spazio ben delimitato entro cui l’autore si muove e che sorregge in qualche modo la
sua malinconia, che trova quiete e riposo su questo parapetto, nella pace serale. La
“malinconia” (v. 3) che il poeta, con un tono da confessione intima, confessa di
provare indica che anche Stasera, come gli altri testi della raccolta, è parte di un viaggio
introspettivo alla ricerca di sé e del significato dell’avventura umana alla luce della
barbarie della guerra. Si realizza cosìun’identificazione tra il poeta e il suo
sentimento, poiché l’uno plasma l’altro: non è solo dal soldato che sgorga la malinconia,
ma è questa stessa a plasmare la sua intuizione poetica e la sua identità di uomo e scrittore.
Il poeta-soldato solo aggrappandosi al sostegno della balaustra, quindi combattendo la
malinconia del fronte e la seduzione di abbandonarsi alla disperazione, può sopravvivere al
naufragio della Grande Guerra. Il titolo stesso del componimento, d’altronde, indica una
sospensione temporale, un eterno presente in cui il poeta, aggrappato al suo precario

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sostegno, aspetta.

Metro: versi liberi.

FASE:

Nella poesia Fase troviamo: "Cammina Cammina ho ritrovato il pozzo d'amore".


Analizziamo i tre segmenti: il camminare è viaggio. Il pozzo è l'acqua e l'acqua nel deserto
si trova nell'oasi. Il più interessante è il secondo segmento. Trovare è l'entrare in uno
spazio, un acquisire per la prima volta, ma in questo caso Ungaretti ci parla di un ritrovare;
c'è un riferimento a qualcosa molto amato e perduto. Qualcosa che era parte del suo spazio
esistenziale, mentale, della fantasia, della memoria che aveva perduto. Ha fatto un lungo
viaggio per ritrovarlo, per ritrovare se stesso la propria identità.

SILENZIO:

Le poesie di Ungaretti sembrano nate di getto; invece, come appare dal confronto delle due
stesure di Silenzio egli è arrivato a rendere l'ultima edizione così scarna ed essenziale in
virtù di un lavoro di lima e di riduzione. Il suo è un tipo di poesia «nuovo» sia per la scelta
del lessico, sia per la sintassi, sia per la struttura metrica.
La scelta lessicale: egli usa parole comuni, non poetiche: qui ce ne sono soltanto tre
di «tono» letterario: rapito (=avvolto di luce), limìo (la parola è stata scelta con molta cura:
esprime bene infatti, l'insistenza del canto delle cicale che assorda e rode dentro come
una «lima»), torbida (a causa della foschia prodotta dal caldo).
La sintassi: manca completamente la punteggiatura a scandire i periodi e le frasi.
Riusciamo a capire la fine di un periodo dagli spazi bianchi che isolano periodo per periodo
(ci sono anche di guida il senso di ogni pensiero e la lettera maiuscola con cui ha inizio ogni
nuovo periodo). Le frasi sono semplici e si accordano con il tipo di lessico: ne risulta uno
stile scarno, adatto a esprimere l'intensità del pensiero del poeta.
La struttura metrica sono strofe varie, con «pause semantiche» (coincidono cioè con il
significato della frase o del periodo), e versi liberi, senza rima ( ce n'è una sola: momento...
bastimento) e non legati ai consueti schemi metrici: al poeta interessava soprattutto
esprimere il suo pensiero, in piena libertà di spirito e fuori da ogni legame metrico che
avrebbe raffreddato l'ispirazione e spento la gioia del canto.
Nel mezzo della guerra, quando tutto spinge a dubitare anche della propria esistenza, il
poeta-soldato si aggrappa alle sue poche certezze. Il "conosco" che apre il componimento
ha la stessa forza del "cogito ergo sum" di Cartesio. Dal momento che conosco io sono vivo,
ed io esisto nel presente perché "conosco una città che appartiene al mio passato". Allo
stesso tempo la "città" che il poeta conosce, piena di luce e di vita, lo aiuta a vincere l'orrore
della guerra e dei tanti paesi distrutti, tra le cui macerie si vede soltanto la morte.
La città che Ungaretti conosce, l'Alessandria d'Egitto dove era nato nel 1888, ogni giorno,
all'alba, si riempie di luce e in quel momento tutto è come rapito, in uno stato di stupore
commosso, quasi ascetico. La seconda tappa, e il tempo passato (lo spostamento è da
adesso ad allora) è evidenziato dallo spazio vuoto, è il momento del distacco: il ricordo si
sposta a quella sera quando il poeta se ne andò (ma egli dice: me ne sono andato, usa
cioè il passato prossimo, cioè più vicino, logicamente, al tempo presente, in cui il poeta
soldato scrive). Di quella sera Ungaretti conserva una straordinaria impressione uditiva,
capace di rendere anche il calore della stagione: il limio delle cicale dura ancora nel suo

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cuore adesso che scrive. E' il primo sintomo di una malinconia che diviene esplicita
nell'ultima parte, quella più lunga, in cui prevale l'impressione visiva: il bastimento
verniciato di bianco, l'abbraccio di lumi, l'aria torbida. E' pure evidente il movimento
dell'allontanamento: Alessandria sparisce alla vista, ma prima di scomparire si è
trasformata in un abbraccio di lumi sospesi nell'aria torbida. Il distacco è completo quando
svaniscono anche le luci della città che per qualche tempo erano rimaste come sospese
nell'aria poco nitida.
PESO:
Un contadino, povero, macchiato di lavoro, affaticato dalla sua giornata, torna felice a casa
stringendo come un amuleto la sua medaglia di sant’Antonio. Un vessillo religioso, nulla
più che un’immagine impressa dalla mano robusta d’un fabbro. Confida in quel simbolo
come in un oracolo che gli CONFERMA, al di là degli eventi, il senso dell’esistenza, della
SUA esistenza beata nella sua semplicità. E’quella fede che gli fa sopportare il dolore
quotidiano. Questa certezza è invidiata dal poeta, gli invidia l’accettazione spensierata
dell’essere senza la necessità della razionalità: al contadino, diversamente che al poeta, non
serve la prova effettuale della sua fede. Crede qualcosa con tutta l’anima, quel qualcosa che
lo rende libero di seguire le sue credenze “senza un peso”e quel qualcosa è. Non gli serve
altro.

DANNAZIONE:
Ungaretti vuole farci capire la tristissima consapevolezza dei limiti dell’uomo, della
fragilità di ogni cosa esistente, ma al contempo il profondo desiderio che l’uomo ha di
superare questi limiti, di giungere all’assoluto, al perfetto, a Dio, forse.
Il poeta nel primo verso evidenzia la sensazione di un uomo che si sente mortale,
imperfetto, chiuso fra cose mortali. Pure il cielo stellato, immenso, apparentemente
immutabile, un giorno finirà, poiché è costituito da materia.
L’uomo, quindi, diventa consapevole dei suoi limiti, della sua impotenza a superarli. Ma
allora, si domanda il poeta nell’ultimo verso, perché bramo Dio, desidero l’eterno? Nello
stesso tempo abbiamo Dio dentro di noi perchè altrimenti non avremmo potuto nemmeno
pensarlo.
Questa è la nostra specificità umana, che ci eleva al di sopra di tutte le altre creature, ma
anche la nostra condanna.
La poesia, infatti, si intitola "Dannazione". Se al di fuori di me tutto è evidenza di morte,
da dove mi viene questo desiderio, questa consapevolezza, questa brama? Dove ha origine
questa speranza?
Ecco la dannazione. Qui Ungaretti esprime drammaticamente tutto il tormento
dell’uomo in ricerca di Senso. Constatando che un giorno tutto avrà un termine, forse non
esprime tanto la ricerca di un perché quanto il desiderio, la nostalgia di quell’unica cosa
che resisterà nel nulla: Dio.

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RISVEGLI:
Il risveglio del poeta si traduce in queste poche parole nel risveglio della coscienza; gli
orrori della guerra che sopravvivono nella sua memoria lo spingono ad una rinascita, ad un
riscatto forte della coscienza nella consapevolezza che Dio è. Tutto ciò si traduce nella
volontà di continuare a vivere.

DESTINO:
E’ una lirica ermetica di Ungaretti connotata dal punto interrogativo, che lascia una piccola
speranza alla nostra vita volta alla sofferenza come avviene in tutte le creature. L’uomo è di
fronte ad un interrogativo angosciante. Perché la sofferenza, se Dio ci ha creati?
Non troviamo nessuna risposta al quesito ma forse soffriamo perchè facciamo parte di una
natura dolente e siamo scossi dalle onde del destino. Ma in quel punto interrogativo
finale c’è una speranza che ci prende e ci attacca al cielo, perchè non siamo fatti solo per
il dolore. Allora dobbiamo trovare un significato, una speranza, ed essere attaccati alla vita.

FRATELLI:
Fratelli è stata composta da Ungaretti il 15 luglio 1916, durante la Prima Guerra
Mondiale. Lo schema metrico è quello dei versi liberi, tipici dei componimenti della fase
ermetica del poeta. La poesia si apre con una domanda, e il punto interrogativo è l'unico
segno ortografico presente nel componimento. In questa fase poetica Ungaretti usa
raramente i segni di punteggiatura, di conseguenza risulta molto importante e
mostra uno scarto stilistico rilevante. Nella prima frase è presente un iperbato: viene,
infatti, invertito l'ordine sintattico (il vocativo "fratelli" è posto in fondo alla frase e in un
verso isolato). Fratelli è la parola-chiave dell'intera poesia in netto contrasto
con la situazione in cui è ambientato il componimento, durante la guerra.
L'ambito militare è sottolineato dalla parola "reggimento" nel verso iniziale. Il vocativo
"fratelli" non si rivolge semplicemente a una moltitudine indefinita, ma parla
anche al singolo individuo. La parola viene posta al di là dello schieramento di
appartenenza, quindi il poeta potrebbe rivolgersi anche al nemico. La poesia prosegue con
tre analogie che correlano tre immagini alla parola tematica "fratelli": "Parola tremante
nella notte"; "Foglia appena nata"; e "Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo
presente alla sua fragilità". In queste immagini è da notare l'uso del participio
presente: tremante, spasimante e presente con funzione modale. Importanti perché
rendono indefinite e incerte le qualità dei sostantivi, a cui si riferiscono.

Tutto il componimento sottolinea il senso di precarietà esistenziale dell'uomo


e la sua fragilità, evidente nell'immagine della foglia appena nata e nel forte
enjambement creato tra "alla sua" e "fragilità". Il poeta è consapevole dell'incertezza
della vita, soprattutto nella situazione in cui si trova, e lo mostra nel verso "[...] uomo
presente alla sua fragilità".

C'ERA UNA VOLTA:

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Ne L’Allegria di Giuseppe Ungaretti, si alternano liriche dominate da una visione


dolorosa della vita ad altre, come questa, in cui emerge una concezione più serena e
distesa. Le due strofe sono in versi liberi.
La terra del Carso e la luce della luna offrono al poeta un motivo di ispirazione, come in
questa lirica, in cui prevalgono sentimenti e visioni di tranquillità, di pace, di sogno. Il
titolo e la notazione topografica di Bosco Cappuccio creano un’atmosfera da fiaba. Il
paesaggio, delineato con immagini limpide e sintetiche, nasce dal ricordo e dalla
nostalgia, prendendo forma nella fantasia del poeta alla luce della luna.
La lirica è costituita sull'uso attento degli aggettivi e sulle pause, rese evidenti dalla
scomposizione dei versi liberi. Il ritmo è lento, per dare maggiore risalto ad alcune parole
chiave che anche attraverso l’allitterazione della -/ comunicano al lettore un affetto di
dolcezza e il desiderio di una pace perduta. La sintassi accosta due sole frasi senza segno di
interpunzione.
Nella prima strofa l'analogia è tra Bosco Cappuccio e poltrona; nella seconda il
declivio è diventato la poltrona di un caffè: i deittici, ovvero gli elementi della frase che
rimandano al contesto speziale e/o temporale, indicano la lontananza dal colle di Bosco
Cappuccio e la vicinanza della località del Carso, in cui il poeta si trova; il verbo
all'infinito indica un'azione in una precisa dimensione temporale, ma che si compie nella
mente del poeta.

SONO UNA CREATURA:


Nella prima strofa il poeta descrive il monte San Michele del Carso. Attraverso questa
descrizione introduce gli elementi della similitudine fra sé stesso e il monte. Il monte è
freddo, la sua terra è dura e arida, refrattaria, senza anima. Così è anche l’anima del poeta,
impietrita dal dolore, svuotata della vita stessa
Nella terza e ultima strofa Ungaretti riflette sulla morte, da una parte, e la sofferenza della
vita dall’altra. Questa, infatti è il prezzo che si deve pagare per essere scampati alla morte.
L’ultima strofa è una sorta di spiegazione dei versi precedenti: offre la motivazione del
grande dolore del poeta.
L’ultima strofa del componimento significa che il prezzo che l’uomo deve pagare per
raggiungere una morte liberatrice è la sofferenza della vita.
Il poeta guarda la morte con desiderio perché la vede come l’unica soluzione al dolore e alla
sofferenza.
L’iterazione “come questa pietra” serve a sottolineare e a ribadire la similitudine fra la
pietra del monte e il pianto, la sofferenza del poeta.
Il poeta utilizza in ben cinque versi l’anafora della parola “così”. Con questa ossessiva
ripetizione il poeta comunica l’assolutezza del dolore, e la sua inderogabilità. Il suo cuore
resterà sempre freddo, e così anche il monte sarà freddo per sempre.
Il poeta grazie all’utilizzo dell’anafora “così” riesce a creare una situazione di climax: egli
descrive il monte, con un crescendo d’intensità. Il poeta inizia elencandone le
caratteristiche meno drammatiche, fino ad arrivare a descriverlo come “disanimato”
Il poeta utilizza spesso nel testo le allitterazioni. Nei primi due versi si nota una frequente

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ripetizione della vocale e. Nel secondo e terzo, invece, è prevalente la lettera d. Infine, nel
quinto e sesto utilizza spesso la r. Nel decimo verso ritornano le vocali, con le frequenti i.
Negli ultimi due, invece, prevalgono le n.
Nella prima strofa si può notare come il poeta abbia utilizzato inizialmente suoni vocalici
dolci, terminando con le dure e graffianti r. Negli ultimi due versi della quartina,
però, “così totalmente / disanimata”, le allitterazioni sono assenti, in modo da creare uno
stacco e metterne in risalto la drammaticità.
Il poeta usa l’espressione “pianto che non si vede”, paragonato alla pietra del San Michele,
per rappresentare il suo muto dolore e la sua interna sofferenza.
Il poeta separa “disanimata” da “totalmente”, innanzitutto per porre l’accento sulla totalità
e inderogabilità della sofferenza umana, e poi per mettere in evidenza l’aggettivo più
intenso che attribuisce alla pietra del monte, rafforzando così il rapporto analogico fra la
pietra e il cuore del poeta.
La poesia è formata da una similitudine: il paragone che il poeta fa fra la
pietra del monte San Michele e il suo pianto, il suo cuore.
Il poeta descrive inizialmente la pietra, per nominare il pianto soltanto alla fine. Questa
scelta sintattica è utilizzata per evidenziare la drammaticità della situazione e la grande
sofferenza del poeta, e quindi rendere più efficace la similitudine stessa.
Fra le poesie di Ungaretti affrontate, quella più positiva è “fratelli”, mentre le più
disperate sono “San Martino del Carso” e “Sono una creatura”. “Veglia”, invece,
si trova a metà fra i due poli perché, nonostante vi sia una forte drammaticità riferita
alla descrizione del compagno massacrato persiste sempre l’amore, l’attaccamento alla
vita.
In “fratelli” Ungaretti ricorda la fratellanza, l’amicizia, forse la speranza, che
scaturiscono dal comune destino dei compagni tra le atrocità della guerra.
Nelle ultime due poesie, invece, regna la desolazione, la morte e la sofferenza, la
lacerazione dell’animo, infatti in San Martino del Carso il cuore del poeta è paragonato al
paesaggio devastato dalla guerra e in sono una creatura invece il cuore del poeta diventa
una pietra dura e senza anima, per significare la sofferenza della sua vita.

IN DORMIVEGLIA:
La prima strofa dà un taglio generico circa la situazione, la seconda
ancora la tragedia della guerra, similitudine dell’uomo serrata in
trincea “come le lumache nel loro guscio”. Ma nella terza strofa tutto ciò si
trasforma in un mondo “incantato”, esule dalla pioggia di piombo, in un luogo di
“scalpellini” “lastricati” (il lastricato rimanda agli scalpellini sul lastricato delle
strade di Alessandria, città natale) dove Ungaretti si finge ad occhi chiusi trovando
asilo momentaneo alle atrocità in cui era immerso e suo malgrado partecipe. Un
ruolo importante lo svolge l’utilizzo delle allitterazioni (“violentATA”, “crivellATA”,
“SchioppettATA”) e la fonetica tendenzialmente stridente che contribuisce al
collasso sentimentale e al coinvolgimento emotivo che Ungaretti mira ad ottenere

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nel lettore. Ma è solo una finzione questo dormiveglia, un’illusione che il


poeta conosce bene ma non sa evitare.
La poesia è composta da versi liberi. Manca, come è consuetudine di Ungaretti, la
punteggiatura. L’aspetto fonico è molto interessante, in quanto il recupero
memoriale scatta proprio a livello acustico: si ripetono ossessivamente i suoni
"duri" :assisTo, noTTe, vilenTaTa, cRivellaTa, Trina, schioppeTTaTe, riTRaTTi,
TRincee, affannaTo, baTTa, lasTRicaTo, pieTRa, sTRade, ascolTi.

I FIUMI:
Ungaretti, il poeta-soldato, descrive un momento di breve pausa dalla guerra
trascorso in riva all’Isonzo dove il poeta si immerge nelle acque e ne esce rinnovato.
Attraverso i ricordi il poeta ripercorre i fiumi che si intrecciano con le sue vicende
personali.
Ungaretti ha definito questa lirica la propria “carta d’identità”. Egli passando in
rassegna i fiumi lungo i quali ha trascorso la sua vita, ne ripercorre le tappe:
il Serchio che scorre presso Lucca (terra d’origine dei suoi genitori);
il Nilo (lungo il quale è nato e ha trascorso infanzia e adolescenza);
la Senna parigina (dove è avvenuta la sua formazione culturale);
e infine l’Isonzo, fiume del presente e della guerra.
Il percorso è a ritroso e parte dalle acque dell’Isonzo in cui si immerge e consente al
poeta, recuperando il proprio passato di ritrovare quell’equilibrio con il mondo che
la guerra aveva spezzato.
Questa poesia è considerata dalla critica uno dei testi cardine della raccolta
l’Allegria. Vi appaiono alcuni dei temi più ricorrenti nell’opera di Ungaretti: l’azione
purificatrice dell’acqua, la riduzione all’essenziale, il senso di precarietà della
condizione umana.
Attraverso il passaggio nelle acque del fiume, il poeta riconosce la propria identità
di docile fibra dell’universo ed è proprio questa l’armonia di cui ha bisogno in un
momento così difficile come quello della guerra. Egli prende coscienza di sé stesso e
chiarisce in questa lirica il suo percorso autobiografico.

Metrica: Quindici strofe di versi liberi. Il linguaggio è scarno ed essenziale ed il


ritmo è reso efficace dai numerosi enjambements.

PELLEGRINAGGIO:

Poesia suddivisa in tre strofe di versi liberi: la prima più lunga di dieci versi e due
quartine più piccole. Manca la punteggiatura, domina lo spazio bianco che amplifica
il significato delle parole. Gli a capo sono abbondanti tanto da costringere la voce a
sostare nella lettura.

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L’immagine che caratterizza la poesia di Ungaretti, è quella del fante che trascina la
sua carcassa nel fango dei camminamenti e si paragona a un oggetto come una
suola consumata, ma anche a un seme di biancospino, che, da quello stesso fango,
saprà portar fuori l’energia per fiorire e consolare il mondo attraverso la poesia.
Il Pellegrinaggio, di cui parla il poeta, non è altro che una ricerca della sua
identità, sollecitato dalle difficoltà di una trincea dove non c’è differenza tra la vita
e la morte. Ma il poeta capisce che non tutto è perduto nella trincea e quindi è “in
agguato in queste budella di macerie”.
Parte importante della poesia è sempre il contrasto tra angoscia e speranza, tra
sofferenza e amore per la vita, quell’amore per la vita che permette all’uomo di pena
di sollevarsi dalla disperazione e di continuare il cammino. Lui scopre che non c’è
dolore tanto grande da impedire all’uomo di conservare un’illusione che dà la
forza di andare avanti “un riflettore mette un mare nella nebbia” cioè apre una vasta
distesa di luce.

UNIVERSO:
Prima di tutto , dal punto di vista metrico, si assiste in questa poesia allo
scardinamento completo della versificazione di tipo tradizionale. Il verso
breve usato da Ungaretti ha una strordinaria tendenza ad identificarsi con una sola
parola, che in questo mdo diviene chiave per comprendere il significato profondo
del testo: il legame tra significante e significato, quindi, si fa ancora più forte che
nella poesia di tipo tradizionale e questo passo, nella sua nudità e scabrosità
formale, accompagna la tematica ricorrente della raccolta Allegria: in un momento
di grandissima difficoltà del genere umano, che ha accettato di autodistruggersi,
quasi, con la guerra, e nel quale gli uomini, in primo luogo i più giovani, che
quell'esperienza hanno vissuto sulle loro spalle -come mostrano tantissimi testi
tratti da questo primo lavoro del poeta- hanno sprimentato l'assurdità della
violenza e l'orrore della devastazione assoluta, il poeta cerca di trovare un motivo di
rinascita, un barlume di speranza pur nell'orrore delle cose vissute. Per questo il
tessuto della poesia è costruito abilmente su alcuni contrasti retorici, come
l'apertura gioiosa data dall'allitterazione in "a" e dal significato consolatorio di
alcuni termini ("mare", "freschezza") e la terribile antitesi bara/morte,
freschezza/voglia di vivere

SAN MARTINO DEL CARSO:


La lirica San Martino del Carso è stata scritta da Giuseppe Ungaretti il 27 agosto
1916. In essa il poeta descrive il paesaggio che ritrova tornando nel paese che
amava tanto: San Martino del Carso. Il paese era distrutto dalla guerra e aveva

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perso quasi tutti i suoi abitanti, alcuni dei quali erano cari amici di Ungaretti.
Per questo il paese è straziato, perché in esso non è rimasto nessuno, mentre nel
cuore del poeta “nessuna croce manca”. La lirica è costituita da quattro strofe: le
prime due sono legate da un’anafora (di queste case – di tanti) e dalle iterazioni
(non è rimasto / tanti). Come le prime due, anche le ultime due strofe sono legate
dall’analogia (cuore – paese). Nella lirica sono presenti due metafore: “nel mio
cuore nessuna croce manca” e “brandello di muro” che si riferisce ai capi mutilati e
ridotti a brandelli. L’immagine finale del cuore straziato chiude la lirica in un
cerchio di dolore.
La spaventosa realtà della guerra e della morte è espressa mediante
un'analogia, le macerie del paese di San Martino diventano il simbolo del cuore
del poeta e del suo dolore. Lo strazio per l'orrore della guerra è espresso dalle case,
metaforicamente ridotte a qualche brandello di muro. Di tanti soldati uccisi non è
rimasto neppure un brandello del corpo, mu tutti sono vivi nell'animo e nel ricordo
del poeta. La parola isolata nel versicolo e la sintassi elementare creano un sistema
di parallelismi mediante l'uso insistito dell'iterazione. Ogni strofa incomincia con
una maiuscola, ma per la mancanza di punteggiatura è difficile dire se si tratta
dell'inizio di un nuovo periodo o della continuazione del precedente.
Le maiuscole funzionano come soli simboli grafici e non sono indicatori di sintassi.

DISTACCO:

A me ha dato l'impressione che si descriva come qualcosa di morto, immobile, senza


profondità nè movimenti autonomi.Solo nella notte qualcosa dentro di lui lo fa
sentire forse un essere umano, ma è solo una sensazione passeggera, che scompare
presto. Che la guerra lo abbia alienato tanto da non essere più un vivente? che la
guerra imponga di far tacere ogni raro bene? Che sentire un anelito dentro di sè sia
quasi un crimine che deve scomparire in silenzio?

NOSTALGIA:

Poesia ermetica con molte parole in primo piano che lasciano spazi bianchi che
lasciano al lettore una difficile interpretazione.
Giuseppe Ungaretti scrive questo triste testo il 1916. Si trova sul Carso,in
guerra,nella trincea durante la Prima Guerra Mondiale. E per sfuggire alla brutalità
della guerra, fa volare il suo pensiero andando lontano dai campi fetidi di
battaglia tornando con la memoria alla cara Parigi durante un notte di Febbraio.
In quel momento il cielo è nebbioso e la notte sta cedendo alle pretese dell’alba.
L’acqua della Senna sotto i ponti scorre grigia, portando via col suo movimento le
luci riflesse nelle acque.

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Lì, Ungaretti è tutto preso ad osservare una ragazza quieta, Marthe , "un fiore
d'alpe" tenue e opaco. Lui contempla quell’illuminato silenzio e percepisce il
malessere della ragazza simile al suo in quel momento della notte, come se le loro
malattie si fondessero.
Lei non fa niente, è praticamente ferma su un ponte mentre il fiume fa scorrere le
sue acque che trascinano via i suoi pensieri, così identici a quell’”oscuro colore di
pianto“.

PERCHE'?

Un effetto "sconvolgente", una insolita intensità.


È dall'inizio folgorante, "sconvolgente", appunto, tutta l'unicità d'accento che
Ungaretti non perderà mai, fino alle recenti poesie d'amore del "Dialogo", mai
potendosi derivare da alcuna imitazione o suggestione letteraria o culturale il suo
rinnovare dall'interno l'espressione poetica, e la tecnica, il suono stesso, la scelta
delle parole (un rinnovamento - si badi bene - mai pensato da snob o da produrre
choc, voluto ma da ricondursi sempre nell'alveo della sua invenzione, e dunque
anche prevedibile, alla fine: nelle linee della sua mano tutto era già segnato fin
dall'inizio! E lo choc, per forza di ispirazione, fu semmai proprio d'inizio: l'insorgere
delle linee della mano). Ed è dell'inizio la tematica di fondo di tutto l'arco della sua
ricerca, sia rispetto alle cose in cui credere, cercandosele intorno e lontano e da
approfondire sempre, sia rispetto alla fusione delle sue strutture poetiche nel
paesaggio: la poesia del "Porto Sepolto" nasce dal deserto e punta subito, è orientata
verso la "Terra Promessa".
Non so quanto spazio sia stato dato dalla critica al fatto che la nascita della poesia in
Ungaretti avviene in un clima di rapporti letterari e culturali, del tutto a sé,
appartato, fuori dalla bagarre italiana del tempo, fuori dalla polemica, e dalla
necessità di una scelta, di una presa di posizione all'interno della nostra cronaca
letteraria.

ITALIA:

La poesia si apre con l’affermazione: "Sono un poeta". Nella seconda strofa, però,
già campeggia l’autobiografismo: il poeta è l’uomo Ungaretti, che racconta se stesso
nelle sue occasioni esistenziali di formazione ("frutto di innumerevoli contrasti
d’innesti / maturato un una serra"). Poesia e vita vengono a coincidere nel
momento in cui la funzione di entrambe consiste nel chiarimento del rapporto tra
l’Io e l’Assoluto (il Dentro e il Fuori). L’Io ricostruisce, con la parola poetica, l’ordine
distrutto di ciò che lo circonda e l’Assoluto diventa un "dove" nel quale tutto può
coesistere in un ripristinato ordine dell’universo. Soltanto sollevandosi nella
sublimità della condizione di poeta è possibile al fante Ungaretti passare attraverso
l’angoscia della concreta esperienza (la sua vita al fronte), nella quale si è
finalmente riconosciuto per quello che è: un uomo, un poeta e un Italiano. Il titolo
della lirica, infatti, è "Italia" e, in un certo senso, si tratta di una poesia "patriottica",
perché, in essa, Ungaretti esprime il suo patriottismo, la sua appartenenza all’Italia,
la sua naturale fraternità con i commilitoni, il senso di pace (scrive: "mi riposo"),
che gli infonde l’indossare la divisa ("uniforme") di fante dell’Esercito Italiano. Il

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suo è un patriottismo infinitamente lontano dalla magniloquente retorica


imperante in quegli anni.
Il poeta, per Ungaretti, è un uomo che nutre sentimenti, gioie, dolori, momenti di
tristezza come gli altri uomini, ma li esprime, non li nasconde. Infatti dalla
definizione che da di se ( “Sono un poeta / un grido unanime / sono un grumo di
sogni”) si può ricavare la lontananza della sua concezione da quella di Carducci e la
sua vicinanza a Pascoli, nel concetto del poeta interprete del sentimento collettivo.
Tutta l’opera di Ungaretti poi dimostra la sua volontà di fare poesia per
testimoniare un’epoca, per far riflettere, per educare. Nello stesso tempo essa
rappresenta una continua analisi della condizione esistenziale dell’uomo
contemporaneo. E poiché la sua analisi parte sempre da quella di se stesso, questa
poesia poi è sempre anche autobiografica, del resto il poeta stesso confessò che la
sua poesia era dipendente dalla sua biografia, poiché il suo sogno poetico è fondato
sulla sua esperienza diretta”.

COMMIATO:

Il poeta si rivolge al proprio editore nell'atto di congedare il suo volumetto (da qui il
titolo Commiato): il risultato è una dichiarazione di fede, ingenua ma appassionata,
nella poesia.
Nella prima strofa Ungaretti illustra le potenzialità della poesia su due versanti:
- da un lato, la parola sa esprimere e far fiorire (cioè far conoscere e, insieme,
arricchire) ogni cosa;
- dall'altro lato, aggiunge l'autore, poesia è anche fermento, è cioè l'espressione
palpitante della vita stessa, nella sua bruciante e inafferabile intensità.
Nella seconda strofa l'autore mette in gioco se stesso: il suo essere poeta dipende dal
cercare, nel proprio silenzio interiore, una parola, una soltanto, si noti, e quando la
trova, essa è sufficiente a illuminare il mistero, l'abisso della nostra vita.

SCHEMA METRICO: due strofe di versi liberi.


FIORITI DALLA PAROLA: la parola della poesia rende la realtà più dura e viva.
IN QUESTO MIO SILENZIO: le poesie di Ungaretti sembrano sgorgare davvero da
un silenzio interiore.

PRIME
LUCCA:

La poesia è tratta dal volume Allegria del 1931. Tale raccolta è caratterizzata dalla
fede nella capacità evocatrice della parola e dall’istanza biografica. La punteggiatura
è rifiutata per dare nuovo risalto alle parole in una autosufficienza espressiva, la
metrica risulta scardinata per farsi prosa in un libero fluire dell’anima.
Le esperienze dei due conflitti mondiali e il loro forte impatto emotivo influirono in
modo determinante nell’espressione artistica di Ungaretti. Nelle sue opere

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trapelano infatti le fragilità dell’uomo stesso che si vede smarrito alla ricerca della
propria identità e delle proprie radici. A lui si riconosce inoltre lo sviluppo di un
nuovo stile che si realizza nell’immediatezza espositiva, nell’uso di analogie e nella
rottura delle regole della metrica tradizionale con l’abbandono della punteggiatura,
la parola è un "abisso" dove ricercare se stessi.
Lucca è una poesia di ricapitolazione: il giovanile fermento pare finito, la
responsabilità comincia a pesare, ci si avvia alla maturità. Solo ora, appena uscito
dalla guerra, il pensiero di Ungaretti va alla morte. Ha più di trent'anni, è spaesato,
vede per la prima volta Lucca e scopre le sue radici, lui nomade. In questa poesia
riconosce esplicitamente le sue origini lucchesi e rievoca i ricordi personali, le tappe
attraversate nello scorrere della sua vita. Il contatto con la violenza della guerra
rafforza la tensione del poeta verso l’innocenza, la purezza, l’origine. Questa poesia
è appunto il ritrovamento di un momento autentico e perciò puro, innocente,
originario. L’immagine della città di Lucca lo pone in una condizione di ancestrale
armonia con la realtà circostante e soprattutto con la natura, rievocata attraverso la
vividezza degli aggettivi utilizzati.
Ungaretti rievoca la propria infanzia quando dopo cena la madre gli narrava di certi
luoghi. La sua infanzia fu colpita da questi racconti. Successivamente il poeta si
sofferma sulla città di Lucca tentando di descriverla, di vivere i suoi luoghi, si ferma
in una locanda e sta a contatto con la gente, ascolta i discorsi. Si immedesima con
l’anima degli abitanti e ciò gli suscita sentimenti profondi, conturbanti, si sente più
vicino ai suoi antenati e alle sue origini. Riconosce e ammette le sue origini umili, si
rende conto del suo destino e dell’approssimarsi della morte ed è intenzionato ad
avere figli. Riflette poi sulle proprie esperienze sentimentali.
Il realismo descrittivo di Ungaretti pregna profondamente questa poesia. Nel testo
troviamo insiti rimandi e riferimenti alla città di Lucca. In "in queste mura" il poeta
utilizza non a caso il sostantivo "mura" ad indicare la nota origine di Lucca quale
città medievale, che conserva tutt’ora le sue cinte murarie.
"Ho preso anch’io una zappa": il rimando all’arnese agricolo non è casuale, Lucca è
una città di agricoltori, e di migranti.

PREGHIERA:

Primo verso: settenario tronco, a configurare un ritmo che non può distendersi in
un rassicurante incipit dall’uscita piana; considerando cosa sta augurandosi tramite
il verso in oggetto quell’uomo di pena che è stato Ungaretti (così come il poeta
stesso si è esplicitamente riconosciuto).
Secondo verso: endecasillabo, anch’esso tronco (e non potrebbe essere
diversamente, in base alla sua emissione di senso); peraltro, un endecasillabo non
canonico, ossia atono nella quarta e/o sesta sillaba, a riprova di come il poeta
-volendosi affrancare da una vera e propria selva oscura- non debba preoccuparsi
-modernamente- di una pre-disposizione ortodossa degli accenti del verso (e, in

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effetti, De Robertis e Bo non fanno che ricordarci il possente lavoro ungarettiano a


vantaggio di generazioni di poeti).
Terzo verso: finalmente un endecasillabo con accenti sulla quarta e settima sillaba;
dunque, nell’ambito della più dorata tradizione italiana; se non fosse per quella
parola ancora ostinatamente sdrucciola sulla quale va a posarsi l’accento di quarta
(“limpida”): ma il poeta comincia eccome a riveder le stelle!
Quarto verso, graficamente distanziato, nel testo, a formare una stupenda anafora
con l’attacco della lirica; quarto verso: formato da un endecasillabo finalmente
canonico e mirabilmente fluido; vibrante di un disteso canto con accenti sulla
quarta e ottava sillaba (do per scontato, ovviamente, l’inevitabile accento sulla
decima sillaba, ché altrimenti non parleremmo di endecasillabi). Ecco, con tale
verso, il quarto, sta avvenendo davanti agli occhi del lettore una metamorfosi di
luce. Meraviglioso davvero, questo farsi della poesia, secondo il grande
insegnamento dantesco, in Ungaretti!
Quinto verso: ancora un endecasillabo, e canonico, con un significativo accento
sulla sesta sillaba di una parola sdrucciola, “concedimi”, in cui va ad agglutinarsi
tutto il senso della non scontata invocazione ungarettiana.
Sesto e ultimo verso: un limpidissimo e canonico endecasillabo puro come un
diamante (per dirla col De Robertis); laddove la rinascita del poeta è dolorosamente
avvenuta, strappata al buio; come attesta l’allitterazione basata sulla consonante g
lungo il crinale del verso: verso in effetti binario nel ritmo, prima ascendente e poi
discendente (a comprovare il suo puro conio diciamo così pneumatologico; con
questo volendo alludere ad un respiro poetico che si offre già come senso sul piano
fonematico del discorso poetico, in maniera non dissimile dal verso di chiusa dell’
INFINITO leopardiano).

GIROVAGO

GIROVAGO:

La forma e lo stile: Girovago è la poesia chiave della piccola sezione omonima,


costituita di solo cinque liriche, tre delle quali composte al fronte di Bligny, in
Francia. Come nella precedente sezione Naufragi, le lirice di Girovago,
compreso il componimento omonimo, portano alle estreme conseguenze la
frantumazione del testo, al punto che in molti casi una parola coincide
con l’intero verso. Altro aspetto legato contemporaneamente
all’essenzializzazione del verso e all’evocazione dell’indeterminato e del poetico è
l’impiego di articoli indeterminativi in luogo di quelli determinativi (un solo
minuto; un paese innocente…) e le preposizioni semplici in luogo di quelle
articolate, in particolare l’occorrenza molto frequente della preposizione “di” (in
nessuna parte di terra; solo / minuto di vita / iniziale).
I temi: Il tema principale della lirica è il nomadismo e lo sradicamento. Se
nella poesia In memoria, scritta nel 1916, Ungaretti credeva saldamente nelle
proprie radici, in Girovago, scritta due anni dopo, questa convinzione viene meno,

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anche in ragione della difficile situazione in cui il poeta-soldato si è venuto a


trovare: la partenza per il fronte franco-tedesco in vista dell’offensiva finale.
Ungaretti si sente un nomade incapace di trovare un luogo dove “accasarsi”, vive un
forte disagio di adattamento, al punto di sentirsi ovunque uno straniero. In realtà,
come chiariscono le ultime strofe, il disagio è più esistenziale che storico, infatti
il paese innocente che il poeta cerca si situa al di fuori di epoche storiche, che
risultano tra l’altro troppo vissute, ma in un solo / minuto di vita / iniziale, quindi
prima della possibilità stessa di consumare la vita. Riaffiora, quindi, il tema
dell’origine immacolata, non guastata dal vissuto storico e personale. Ciò che il
poeta cerca è in definitiva l’eden perduto.

SERENO:

La poesia parla della natura e della poca importanza dell’uomo nel mondo.
La lunghezza dei versi è varia; questi sono raggruppati in strofe. I versi sono liberi,
la punteggiatura è completamente assente e le parole sono semplici.

SOLDATI:

Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere la condizione di soldato.


Egli paragona infatti il soldato ad una foglia d'albero in autunno: basta un colpo di
vento per far morire la foglia, così come basta un colpo di fucile a far cadere il
soldato.
A livello denotativo= i soldati sono come le foglie che, nel periodo autunnale,
cadono dagli alberi
A livello connotativo=la poesia, scritta in tempo di guerra, vuole esprimere
l'incertezza e la precarietà della vita dei soldati al fronte, che possono morire da un
momento all'altro, come le foglie, in autunno, possono staccarsi improvvisamente
dai rami.
Il poeta usa la forma impersonale (si sta) in quanto si riferisce a tutti i soldati. L'uso
della forma impersonale contribuisce a creare un'atmosfera di universalità, di
indefinito e, nello stesso tempo, di immobilità e di fatalità.
Il come introduce il paragone con le foglie. E ciò che unisce la vita dei soldati alle
foglie è proprio l'incertezza, l'instabilità, la precarietà.
Come d'autunno basta un soffio di vento per far cadere le foglie, così in guerra basta
una pallottola, che non si sa da dove arriva né quando per porre termine alla vita di
un uomo. Con la preposizione semplice di (d'autunno) si rimane sempre
nell'atmosfera di indefinito. Sugli alberi è, nella poesia, l'elemento meno
importante.
Le foglie costituiscono l'elemento di paragone. Molto importante in questa poesia è
il titolo, perché ci dice di chi si sta parlando.
E' da notare l'ordine delle parole, che è diverso in prosa da quello in poesia.
Ordine normale, in prosa: Si sta come le foglie sugli alberi d'autunno.
Ordine poetico, in poesia: Si sta come/ d'autunno/ sugli alberi/ le foglie.

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In poesia, dunque, l'ordine delle parole è diverso da quello tipico della prosa e non è
casuale, ma voluto dal poeta e ciò per evidenziare il messaggio e per creare il ritmo
particolare della lirica.
Riflessione
La poesia è stata dedicata ai soldati che andavano in guerra e di cui il destino è già
scritto.
Ma forse non si riferisce solo a loro, bensì a tutti → concetto universale. Siamo
tutti come delle foglie, non conosciamo il nostro futuro. Abbiamo una solo
certezza...la morte.
Il non senso, il buio, il terrore, è dovuto a questaprofonda e reale incertezza che
l'uomo ha da sempre. Solo un grande come Ungaretti poteva racchiudere il
pensiero di molti in poco meno di un verso.

NAUFRAGI

Poco dopo, Il Porto Sepolto divenne parte di una più ampia raccolta, intitolata
Allegria di Naufragi e stampata nel 1919. Quel nuovo titolo intendeva sottolineare
che sia nell'esperienza di guerra, sia, più in generale, nella condizione umana, gli
estremi (vita e morte, felicità e dramma) si toccano e s'intrecciano. E così, dal
disastro della guerra e dal naufragio dell'umanità, si può forse dischiudere la gioia
di ricominciare, l'allegria di riassaporare più intenso il gusto e il valore della vita.
Lavorando sui medesimi testi, Ungaretti approdò infine a una terza versione
dell'opera, pubblicata a Milano nel 1931: il titolo definitivo divenne L'Allegria. La
raccolta avrebbe ricevuto ulteriori, pur se lievi, modifiche da parte del poeta fino
all'edizione del 1969.

ALLEGRIA DI NAUFRAGI:
Il testo ripropone il tema fondamentale della raccolta : nell’esperienza della guerra
e del dolore come universale naufragio, si riafferma la forza della vita, l’uomo
riprende il suo viaggio per una spinta istintiva che si sprigiona dal profondo in
un’esperienza estrema. Ungaretti ritaglia il caso particolare di un marinaio di
esperienza(lupo di mare) nel quale il naufragio fa scattare un nuovo impulso a
vivere. Il titolo Allegria di Naufragi è un ossimoro, qui naufrago è colui che si
salva dopo una tempesta e la nave viene abbandonata, allegria indica uno stato
lieto. Dopo ogni naufragio l’uomo, il superstite sente rinascere in sé la volontà
di ricominciare da capo, sente un rinnovato impulso a vivere: questa vitalità
istintiva è la sua allegria. In effetti l’individuo nella propria vita può essere travolto
da forze più grandi di lui, praticamente devastanti, ma proprio allora trova lo
slancio per riprendere il suo viaggio, reso anzi più vitale, più allegro, dal confronto

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con la catastrofe.
SPIEGAZIONE
La poesia si basa su una similitudine: come un superstite, che si salva da un
naufragio, diventa felice per la salvezza e riprende il suo viaggio, così chi sopravvive
alla guerra devastante è felice di essere salvo e riprende a vivere come sempre.
Figure retoriche: La breve poesia, scritta da Ungaretti, composta da 5 versi,
“Allegria di naufraghi”, è la metafora delle mille difficoltà che
qualsiasi persona può incontrare nel cammino della propria vita.
Si possono riscontrare due enjambement, un artificio metrico
per il quale parole strettamente legate sul piano sintattico,
sono separate dalla pausa di fine verso.
Vi è un esempio di ossimoro nel titolo di una poesia: Allegria di Naufragi,
è una sorta di antitesi in cui si accostano parole di senso opposto.

NATALE:

Il poeta vive il Natale da un punto di vista tutto interiore e soggettivo: Natale non
come rinnovamento, ma come pausa di pace, identificata con il caldo buono della
casa. Si avverte in sottofondo la presenza, sospesa ma mai annullata, della guerra; il
poeta soldato cerca di dimenticare, in questa pausa dai combattimenti, le ansie e i
pericoli dell'esterno, del mondo collettivo (il gomitolo di strade), per rifugiarsi nella
dimensione squisitamente individuale dell'angolo, la dimensione della casa e del
focolare.
Natale è uno dei testi più spezzati di Ungaretti: la frantumazione del discorso rompe
l'unità logica dei versi, creando segmenti privi di significato autonomo. La lentezza,
il ritmo smozzicato, che rinnega ogni musicalità, vogliono tradurre quel senso di
stanchezza, cui corrisponde il bisogno di tregua e pace, che è poi il messaggio
fondamentale della poesia.

CAPRIOLE: la nota vivace dell'immagine non riesce a rompere l'atmosfera di dolore


e di accorata stanchezza.

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