Sei sulla pagina 1di 13

Le opere in prosa vanno lette interamente / Le opere in poesia vanno lette solo nelle parti svolte a lezione.

Parte monografica: scegliere solo tre libri (due di prosa e uno di poesia). Parte istituzionale (quella da fare da solo): 1
solo testo da 1 sola sezione + saggio critico abbinato.

Esame orale. Domande: 1-2 sulla parte monografica, 1 sulla parte istituzionale

Parte monografica:
- “Una questione privata” (Beppe Fenoglio)
- “Il fuoco” (Gabriele D’Annunzio)
- “Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta” (Pier Vittorio Tondelli)

Parte istituzionale:
- “Uomini e no” (Elio Vittorini)
- “Storia della letteratura italiana. Il Novecento e il nuovo millennio” (Giulio Ferroni)

La prosa è da leggere integralmente. Le poesie da portare in esame sono quelle che si trovano su Virtuale. A lezione
non li faremo tutti, ma ciò che c’è su virtuale è materia d’esame.

Appunti – Letteratura italiana contemporanea

Perché “contemporanea”? Piace la definizione di Gramsci: “È contemporaneo tutto ciò che ti costringe a rivedere gli
strumenti con cui comprendi gli autori e le loro opere”. Può dunque essere contemporaneo anche Dante, poiché
verrebbe rivisto con gli strumenti di analisi esistenti oggi.

Rilke, Rodin e la scultura

Rainer Maria Rilke è stato amico e collaboratore di Auguste Rodin (scultore e autore dell’opera raffigurante la mano
di un pianista), nonché è stato Rilke a scrivere una biografia di Rodin. Rodin ha insegnato a Rilke che le arti possono
comunicare tra di loro anche senza esprimersi, e che un certo oggetto artistico riesce a rimandarci a qualcosa oltre
all’oggetto stesso [*la scultura raffigurante la mano del pianista]. Rilke è uno dei pochi (o dei primi) di quel periodo a
sentire l’inquietudine tra le arti.

Il rapporto tra Rilke e Rodin è emblematico di un rapporto tra le arti che si modifica rapidamente. Noi non possiamo
parlare di un arte con gli strumenti con cui si decodifica un’altra arte. Esempio: “Quanto è musicale questa poesia”
non si può dire. Questi passaggi di codice non sono così simmetrici, c’è una specie di sfasamento tra le comunicazioni
delle arti. Un’arte non progredisce allo stesso livello dell’altra: non ci sono quasi mai evoluzioni simmetriche tra le
arti.

Nella biografia su Rodin, Rilke parla del percorso storico della scultura, e dice che la scultura è l’arte di
rappresentare il corpo. Secondo Rilke, dopo il Rinascimento la scultura ha come perso il contatto con qualcosa. E si
chiede: e ora? Fa l’ipotesi che adesso ogni espressione emotiva passa attraverso l’inquieto, lo sconosciuto, il sinistro,
il non-definibile. Come se la scultura fosse rimasta fino a una stasi, fino a Rodin. Rodin è per Rilke l’autore che
permette di fare l’esperienza di ciò che non è né definibile né circoscrivibile.

La scultura doveva essere di aiuto a un tempo del quale il problema era questo: che tutti i conflitti di quel tempo
erano legati a una sfera invisibile. Cioè la scultura, nel tempo in cui Rilke scrive, la scultura è come se desiderasse di
essere d’aiuto al tempo dell’inquietudine e della sofferenza nascosta, però senza riuscirci. Il suo linguaggio, dice
Rilke, erano i corpi, ma questi corpi erano oggetti sconosciuti (cioè nessuno conosceva com’era fatto un corpo fino a
Rodin.

Differenza tra pittura e scultura. La pittura aveva giocato con leggerezza sui corpi, li aveva come fatti librare nell’aria;
invece la scultura era rimasta ferma a un’idealizzazione dei corpi. Ad un certo punto, con Rodin, la scultura ha capito
qual era il modo di rendere l’inquietudine sui corpi, cioè qual era il modo di conservare il linguaggio specifico della
scultura (un linguaggio corporeo) esprimendo al contempo questo senso del sotterraneo, dell’occulto.

*Dal 1860 alla prima guerra mondiale, circa.

*Nella poesia analizzata a lezione, Rilke assegna alla musica il ruolo di “straniera” (come se fosse straniera alle
parole, un linguaggio a sé stante)
*Sinestesia: “Il silenzio delle immagini”

Melodramma e romanzo

Melodramma e romanzo. Sono due modi di espressione artistica popolari, si leggono romanzi per piacere, evasione
o per appartenenza a una élite culturale e si va all’opera per li stessi motivi, ma ci sono alcune differenze.

La trasformazione del melodramma coincide col fatto che il romanzo prende delle caratteristiche del melodramma
e le fa proprie. Caratteristiche come: una forte temperatura emozionale; una polarizzazione e una schematizzazione
morale; stati d’animo e stati d’essere estremi; espressione gonfiate e stravaganti (…)

Anche se il romanzo non ha in sé qualcosa che porta alla musica, essa ha nel romanzo qualcosa di rilevante. Il
romanzo ha bisogno del linguaggio desemantizzato della musica. Stile, strutturazione tematica, modulazioni di tono e
ritmo e voce – pattern musicale in senso metaforico – sono chiamati a investire la trama con un po' dell'inesorabilità
e della necessità che nella letteratura premoderna derivava dal sostrato del mito.

Il melodramma sta al romanzo come il mito sta alla tragedia. Una componente del romanzo naturalista e del
romanzo psicologico sono completamente intrecciate col melodramma, sia dal punto di vista morfologico che dal
punto di vista emotivo (per sentimenti, passioni e contrasti).

Definizione di melodramma. Lo studioso Peter Brooks cerca di dare una definizione di melodramma non solo tecnica,
ma anche percettiva (come veniva assimilato e discusso da chi lo assisteva in un’opera teatrale.

Melodramma significa inizialmente dramma accompagnato dalla musica. Secondo Brooks il melodramma è un
genere in rapporto con l’idea di tragedia. Un rapporto non univoco, ma anche conflittuale. Peter Brooks arriva dire
che “il melodramma è ciò che sostituisce la tragedia quando il senso del tragico si è perduto. Il melodramma è ciò
che rimane quando il mondo ha perso il senso del tragico. Nel corso del tempo, la tragedia è diventata una parte
del melodramma”.
[Da “L’immaginazione melodrammatica”, scritto negli anni Settanta da Peter Brooks, ha tracciato una storia
sull’influenza del melodramma sul romanzo moderno.]

La parola melodramma significa in origine, un dramma accompagnato da musica. Sembra che sia stato usato per la
prima volta in questo senso da Rousseau, per descrivere un'opera teatrale in cui cercava una nuova espressività
emotiva attraverso la commistione di soliloquio parlato, pantomima e accompagnamento orchestrale.

La musica era un elemento importante nell'estetica di Diderot; è stato dato un durevole ruolo nel teatro
ottocentesco per poi diventare un punto fermo nella forma contemporanea che più ripropone e soppiantato il
melodramma, il cinema.

Melodramma e tragedia. La tragedia non è uno spettacolo, ma una cosa a cui si partecipa. Tutto ciò che è scritto
nella tragedia è già scritto nel mito, perciò la tragedia è la rappresentazione del mito. Il melodramma è invece uno
spettacolo.

*Nella tragedia greca la distinzione buoni e cattivi non era così netta

Baudelaire e Wagner

L’atmosfera (*ridefinizione del campo culturale nel quale gli oggetti estetici si muovono ed entrano in rapporto tra di loro) in cui ci muoveremo durante il corso,
quella in cui le opere che prenderemo in considerazione hanno avuto origine, possiamo stabilirlo nella data: 17
febbraio 1860. Giorno in cui Baudelaire assiste per la prima volta a un concerto wagneriano, che per lui è uno
“shock”, e scrive una lettera in cui riporta che “la prima volta in cui è andato a teatro era maldisposto, pieno di cattivi
pregiudizi (…) eppure sono stato subito catturato dalla sua musica. (…) Mi è sembrato che la conoscessi la sua
musica, mi sembrava che fosse mia e io la riconoscevo come ogni uomo è destinato a riconoscere le cose che ama.
(…) In essa ho sentito tutta la maestà di una vita più grande della nostra, un piacere che assomiglia a quello di librarsi
in aria.”

Vuole restituire l’idea di una presa totale di questi suoni. Come Baudelaire descrivere l’alterità della musica a
Wagner: “Per servirmi di comparazioni riferite alla pittura, io immagino davanti ai miei occhi una vasta distesa di
rosso scuro. Se questo rosso rappresenta la passione, io lo vedo arrivare gradualmente attraverso tutte le transizioni
di rosso e di rosa all’incandescenza della fornace. Sembrerebbe impossibile arrivare a qualcosa di più ardente,
tuttavia l’ultimo prodotto della fusione arriva a tracciare un solco più bianco sul bianco che gli serve di sfondo [*lui
sente la musica di Wagner come una progressione cromatica, dal rosso cupo fino al bianco più puro]. Questo sarà il
grido più supremo dell’anima salita al parossismo (*stato più elevato)”

In Francia nasce la revue wagnérienne (rivista wagneriana), molto significativa se nata in Francia per onorare un
tedesco che più tedesco di Wagner non c’è.

Per la prima volta, Wagner adotta una tecnica interessante del preludio (pezzo di un melodramma dove di solito il
sipario è chiuso e l’orchestra suona degli estratti ritmici e melodici di ciò che si sentirà nell’opera; è una specie di
sintesi iniziale). In questo preludio non abbiamo sentito un insieme di melodie, ma una melodia unica: è un flusso
che parte da un punto unico e non si ferma. In Wagner non ci sono più parti di collegamento, ma si parte con un
flusso e si continua con quel flusso; non c’è neanche più distinzione tra poeta, regista e musicista, ma tutto parte da
una mente sola.

Caratteristiche del pezzo ascoltato [Preludio dell’“Lohengrin”]:


- Non c’è un momento di interruzione, è come un’onda continua (Wagner ha trattato la musica come un corpo
in movimento)
- Usa una tecnica un po’ particolare per gli archi: di solito i violini dell’orchestra si dividono in primi violini e in
secondi violini, e suonano ognuno una parte diversa dall’altra, ma dalla tradizione del concerto grosso
Barocco, succede spesso che tra i primi violini e i secondi violini ognuno suoni una parte diversa dal proprio
compagno di leggio. Gli archi non sono trattati come una massa unica, a blocchi, ma sono trattati a flusso.
Non è Wagner che ha inventato questa cosa, ma in lui questa cosa si fa quasi sistematica. Grazie (anche) a
questo, si è come immersi in un flusso liquido
- L’orchestra non era in una buca dentro il palco ma sotto il palco. Questo dà la sensazione dell’orchestra
wagneriana come alonata da una specie di aura metafisica. La sorgente del suono è nascosta, e Wagner
voleva che le sue opere si sviluppassero al buio
- Gioca molto sul distanziamento del timbro, come se il suono arrivasse da lontano

[Salto dall’inizio alla fine]. Questo processo di liberazione del melodramma arriva ad un punto, che è allo stesso
tempo un punto di partenza e un punto di arrivo definitivo, ed è il cosiddetto accordo di tristano
Come la musica occupa lo spazio, come diventa da “respiro delle scatole” a una specie di saturazione del campo
culturale. Un altro importante stadio di questa musica che diventa modello culturale è il Tristano e Isotta. La prima
rappresentazione è del 1865, la prima rappresentazione italiana è del 1888

Caratteristiche di Tristano e Isotta:


- Ogni volta che Tristano entra in scena, si suona l’accordo di Tristano. Significa che è un principio strutturale
che ci porta verso l’indeterminato (perché la nota non si chiude ma resta come sospesa). È l’inizio di un
senso di indeterminazione che sarà sconvolgente per la musica di inizio 900

D’Annunzio

D’Annunzio assimila Wagner e lo rielabora a suo modo. “Il trionfo della morte” e “Il fuoco” sono i due romanzi
potremmo dire più wagneriani di D’Annunzio. D’Annunzio, grazie a Wagner, supera la concezione meccanica del
melodramma, quella che dice che prendo un testo e ci metto sopra della musica.

Ciò che dell’Ottocento/inizio Novecento è entrato nella prosa di D’Annunzio che da giovane, circa 21 enne, scrive
resoconti di opere teatrali:
- La mondanità: non la musica in senso stretto, ma lo spettacolo di chi guarda

Nei suoi resoconti delle opere teatrali, D’Annunzio ci fa notare due caratteristiche del melodramma:
- meccanismo del movimento: il melodramma è innanzitutto azione; per fare un buon melodramma, prima
che buon poeta e buon musicista, devi essere un bravo uomo di teatro, un bravo conoscitore dello scorrere
delle azioni
- meccanismo del verso: controllo del ritmo, bilanciamento degli accenti, uso di forme arcaiche ma in una
forma rinnovata

In uno dei suoi resoconti, scrive: “Io son di parere che oramai i libretti si debbano fare in prosa, in una prosa poetica,
fluida, senza ritmo e senza rima, agile tanto da piegarsi a tutti i varissimi movimenti musicali. L’inutilità del ritmo e
della rima, specialmente nell’opera moderna, è manifesta”.
[Questo pensiero non è suo, ma è preso da un poeta francese, Théodore de Wyzewa, scritto sulla revue
wagnérienne]. Il suo romanzo “Il fuoco” può essere considerato un libretto in prosa.

*Il 1892 è un anno importante per D’Annunzio perché c’è un suo amico (Angelo Conti, poeta, intellettuale) che
amava conversare con lui, e dal quale D’Annunzio ha scopiazzato più volte.

*D’Annunzio aveva la sensazione che il tempo psichico è un tempo dilatato: la psiche non pensa con un tempo
misurabile ma con un tempo dilatato. Per cui i personaggi di D’Annunzio pensano con un tempo molto dilatato.

Il rapporto poesia-musica è in D’Annunzio un rapporto ampiamente favorevole alla poesia.

- Baudelaire ammira Wagner ma poi diventa diffidente


- Nietzsche è infatuato di Wagner ne “La nascita della tragedia” (che è dedicata a Wagner), ma poi arriva a
dire che la sua musica è la musica della morale del popolo

“L’allegoria dell’autunno” (Gabriele D’Annunzio)

“L’allegoria dell’autunno” è un romanzo di autocitazione, un romanzo dentro il quale ci sono altre opere di
D’Annunzio. È un meccanismo finzionale che adotta l’autobiografia come modello. È il primo nucleo del fuoco.
L’allegoria dell’autunno è un discorso che viene attribuito a Stelio Effrena, un oratore a cui piace arringare la folla, e
per come narra vicende simili a quelle successe nella vita reale a D’Annunzio, il lettore (dell’epoca) poteva
confondere i due, il personaggio del romanzo e l’autore del libro.

Sarah Bernhardt (?)

“Il fuoco” (Gabriele D’Annunzio) [*Il romanzo lo leggeremo nell’interazione tra musica e immagine]

Più che un romanzo, è un’operazione culturale molto complessa. Progetto che è andato male, perché non si è
realizzato ciò che D’Annunzio aveva in mente (cinque parti, ma le realizzate sono state soltanto due). È un’opera
fallita ma fallita bene, perché ha toccato, nel fallimento, alcuni punti che sono rimasti poi decisivi per la storia del
costume del Novecento. È un tentativo di esprimere la musica in parole.

La più celebre delle recensioni a “Il fuoco” era di Henry James, che lo definì “Una splendida accumulazione di
materiale”.

“La litterature de tout a l’heure” di Charles Morice è il libro da dove D’Annunzio ha tratto le sue idee su Wagner per
comporre “Il fuoco”. È un saggio di critica letteraria, ma più per metà è occupato da un discorso su Wagner. Morice
contesta a Wagner che non è riuscito a ricondurre tutte le arti a una sola arte, cioè la poesia, perché per quanto la
musica può essere dirompente, tutte le arti servono a formare la poesia.

Personaggi.

Eleonora Duse nel libro è Foscarina, però Stellio la chiama spesso Pérdìta. Eleonora Duse dichiarò che era a
conoscenza delle pagine che la ritraevano, e ha dato il suo consenso al farne parte. Nel romanzo, Foscarina e
Venezia sono quasi la stessa cosa: Venezia è la versione-città della femminilità di Foscarina, e Foscarina è la
versione-donna della città di Venezia.

Daniele Glauro è la controfigura di Angelo Conti (nella realtà amico di D’Annunzio).

Stellio Effrena. Il vibrare, il propagarsi. Molto spesso, Stellio è un personaggio dal quale si propagano le cose. Anche
ciò che dice si propaga. È un’amplificazione che non è sempre positiva, perché a Stellio la folla fa paura (è esaltato
dal parlare, ma la folla gli fa paura). La sfida di Stellio è fabbricare un teatro a Roma fatto tutto di marmo nel quale
debba risuonare la poesia come la più alta espressione delle arti.

Stellio aggiunge all’esperimento wagneriano (di riunire nella musica tutte le arti) la poesia. Questo senso di oltranza
che la musica comporta, Stellio cerca di ricomprenderlo in un’unica grande arte. Non sono solo le arti a essere
ricomprese, ma tutto il sistema percettivo.

Donatella Arvale. È il tramite per dare l’idea di una femminilità protesa verso il passato, verso il mito. Tanto che nel
romanzo sarà lei a cantare “L’Arianna” di Benedetto Marcello (del 1726-27), ma anche “L’Arianna” di Claudio
Monteverdi (del 1608).

Prima parte.

La prima parte si intitola: “L’epifania del fuoco”.

Il romanzo inizia con un discorso diretto, cioè con una voce (di Foscarina, nel libro la controfigura di Eleonora Duse).
Questo “farsi” della voce umana da un punto che non vediamo ha un po’ del wagneriano, della fonte del suono che
viene oscurata (anche la seconda parte, L’impero del silenzio, si apre con un discorso diretto di Foscarina). A livello
d’ambientazione, il romanzo si apre con Stellio che sta per tenere una conferenza, che sarebbe “l’allegoria
dell’autunno” che è stato preso e messo nel romanzo.

Nella prima parte, il personaggio centrale, Stellio, viene elogiato da tutte le parti, specialmente da Foscarina. Nella
seconda parte de “Il fuoco”, quando la focalizzazione sarà sulla metafora del silenzio e non più sul fuoco, si noterà
che il vero personaggio del romanzo non è Stellio ma Foscarina. Stellio è una sorta di bambolotto meccanico, una
specie di percettore compulsivo della realtà. La cosa importante del romanzo è tutto ciò che si muove intorno a
Stellio.

Il rapporto tra Stellio e Foscarina.

Molto spesso Foscarina non risponde a Stellio, o risponde con qualcosa che non c’entra nulla. Come se lei non fosse
in un reale dialogo con Stellio. Stellio pensa in maniera improvvisa, mentre Foscarina immagazzina lentamente la
realtà.

Stellio descrive qualcosa che noi chiamiamo allegoria (una presa di distanza, un mettere a distanza degli elementi
per costruire da questi elementi una storia diversa da quella che sembrano raccontare; etimologicamente è
un’alienazione di ciò che vediamo). Il personaggio che rende allegorico tutto ciò che vediamo nel romanzo è
Foscarina. C’è sempre “l’altro” nell’allegoria.

Il rapporto che ha Stellio con Venezia.

Nell’immagine visiva di Stellio vi è una contrapposizione tra qualcosa che preme da sotto, che fa un rumore
irregolare, e un’armonia dell’architettura.

Ogni personaggio che Stellio incrocia, mette insieme il paesaggio umano con il paesaggio culturale. “Il fuoco” diventa
una specie di grande enciclopedia dell’arte rinascimentale veneta in cui Stellio non fa che far diventare il paesaggio
un quadro. La sua Venezia è una Venezia intellettualizzata; ogni parte del paesaggio che vede diventa un riferimento
pittorico. Foscarina avrà il compito di assimilare e di smontare questa interpretazione, dandole un significato più
umano, legato alla percezione reale delle cose.

Nel discorso alla platea, Stellio fa di Venezia l’allegoria dell’autunno; Venezia come città la cui decadenza è per sé
espressione di bellezza.

*C’è un immagine di partenza (con Stellio che la guarda), e poi per associazione analogica si passa a un’altra
immagine alla prima collegata, e via dicendo.

*Stellio attribuisce armonie all’architettura e non alla musica. Nelle sue architetture di pietra e d’acqua, c’è la chiave
per rendere più vera la vita.

L’analogia pittura-musica.
Funziona (nel libro bene nel punto in cui entra Giorgione) in un contesto allegorico. Giorgione è un pittore
allegorico, non rappresenta mica un personaggio per quello che è, ma è rappresentato per raccontare un’altra
storia.

Il rapporto di Stellio con l’immagine di Venezia è composta dall’architettura di Venezia. In particolare c’è un periodo,
il primo Cinquecento Veneziano (potremmo dire il Rinascimento senza Firenze, la versione veneta del Rinascimento).
Venezia è anche fatta di pittori. Due in particolare: Tiziano e Giorgione. Giorgione è uno snodo del rapporto con le
arti figurative.

Pittore Giorgione. Rinascimento veneto, pittura allegorica. Il primo quadro di Giorgione (Concerto) che D’Annunzio
descrive probabilmente non è neanche di Giorgione, ma di Tiziano, e probabilmente è stato fatto da tutti e edue con
tempi e soggetti diversi. È un concerto all’aperto, dove non si capisce se la musica sta suonando o no. I quadri di
Giorgione sono quadri indecifrabili, perché hanno tantissima quotidianità dentro.

Walter Pater (autore del saggio The School of Giorgione) è stato un mentore per D’Annunzio. Nel suo saggio, Pater
dice che il rinascimento veneziano non è come il rinascimento fiorentino. Non vi è la stessa profondità filosofica. Il
rinascimento veneziano è più legato all’iconografia veneziana del Medioevo. Peter attribuisce Giorgione la scintilla
del fuoco del rinascimento veneziano.

Interazione tra musica e immagini.

“A Venezia, come non si può sentire se non per modi musicali così non si può pensare se non per immagini. Esse
vengono a noi da ogni parte innumerevoli e diverse, più reali e più vive delle persone che ci urtano col gomito nella
calle angusta. Noi possiamo chinarci a scrutare la profondità delle loro pupille seguaci e indovinar le parole ch’esse ci
diranno, dalla sinuosità delle loro labbra eloquenti. Talune sono tiranniche, come amanti imperiose, e ci tengono
lungamente sotto il giogo del loro potere. Altre si presentano tutte chiuse in un velo come le vergini o strettamente
fasciate come i pargoli, e soltanto colui che sa lacerare quegli involucri può elevarle alla vita perfetta. Stamani, al
risveglio, la mia anima ne era già tutta ingombra; e somigliava a un bell’albero carico di crisalidi.
Egli s’arrestò e rise.
– Se stasera si aprono tutte, – soggiunse – io sono salvo. Se restano chiuse, io sono perduto”.
[*Citazione di pagina 9]

Musica. [*Stellio lo cita] D’Annunzio vuole andare all’origine della musica, ciò che c’era prima di Wagner, per questo
torna indietro a Benedetto Marcello, autore di un opuscolo (“Teatro alla moda”) che era una sorta di critica satirica
del mondo dei cantanti.

Nel dibattito su Wagner, per descrivere il rito del Venerdì Santo, adotta dei termini wagneriani (il tema musicale
legato a un particolare momento del rito, come la melodia della solitudine, la melodia della purificazione). Il suo
tentativo di superare Wagner è anche un tentativo di ridimensionare la folla.

Il Parsifal è l’opera per cui il teatro di Bayreuth (*leggerlo: Bairoit) è stato costruito. È l’ultima opera di Wagner ed è la
consacrazione definitiva del mito di Wagner. Nel romanzo, Il Parsifal è l’opera che ha spezzato il mondo in
wagneriani e anti-wagneriani. È l’opera in cui il wagnerismo è compiuto.

Il teatro di Bayreuth è composto da una sala, quello che Wagner chiamava il golfo mistico (una parte sotto il palco) e
il buio in sala.

Preludio del Parsifal. Caratteristiche:


- Sembra meno deciso, meno forte, quasi spaventato (rispetto agli altri che abbiamo sentito)
- Pur essendo il Parsifal teoricamente più integrata nel sistema wagneriano, c’è meno solennità
- Il ritmo è il punto debole del Parsifal; è come se fossimo in assenza di ritmo

Stellio pensa ad un dramma recitato ma che abbia all’inizio e alla fine la musica di Wagner. I principi generatori della
sua creazione è un Motivo

Dice Stellio: “Io ho imparato a essere sensibile alla musica dopo aver sentito Palestrina, che è un mottetto (testo
sacro, musicato a più voci). Palestrina è il primo grande decodificare della forma del mottetto.
Caratteristiche di Palestrina:
- L’effetto che ci fa è quello di una pienezza musicale: non c’è una voce che emerge, qui sono distribuite
- È come se la voce ti facesse da guida

Finale. La morte di Wagner è in una Venezia che muore. D’Annunzio assimila la gondola alla bara. Muore Wagner e
D’Annunzio scrive: “Il mondo parve diminuito di valore”. Nel momento in cui Wagner muore, si scopre che Foscarina
non ne vuole più sapere nulla, vuole lasciare Stellio e l’Europa. Le due scene si sovrappongono.

Al funerale, gli amici di Stellio che avevano discusso sul Wagner-sì e Wagner-no, sul finale portano la sua bara.

Correlativo oggettivo: sono oggetti allegorici.

“Il notturno” (D’Annunzio)

Un lungo periodo di convalescenza a causa di un incidente aereo che gli causa la momentanea perdita della vista a
un occhio, d’Annunzio scrive “Il notturno”, un taccuino-saggio-repertorio d’immagini interessante. Ne “Il notturno”
vedremo realizzato qualcosa della sensibilità musicale di D’Annunzio che ha cominciato a venire fuori ne “Il fuoco”.

Qui traccia una nuova prosa sensoriale, una registrazione dei sensi, di come il corpo di riappropria di se stesso, delle
proprie facoltà. Immagine dell’infermiera animalizzata. “La Sirenetta appare su la soglia. Ha una veste rigata e il suo
bel capo bruno si leva da un gran collare bianco movendosi sul collo nudo con quella grazie che è sola degli uccelli e
sembra perciò regolata dall’istinto del canto”.

Resistenza del corpo all’invasione della musica. Il rapporto con la musica, siamo nel 1916, è cambiato. Qualcosa è da
ri-discutere nel d’Annunzio ascoltatore. Qui non si considera più padre, ma figlio della figlia. È musica che ci riporta al
margine, al limite della vita. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda di Rilke: la musica con colori indicibili.

Qui riemerge in modo molto deciso anche un’idea della musica diversa rispetto a quelle più wagneriane di
d’Annunzio. È qualcosa che riporta all’essere in sé della musica: così com’è, autonoma, indipendente dalle altre arti.
Per la prima volta veniamo a contatto con la resistenza che la musica incontra quando viene verso di noi. Non c’è qui
una sintesi possibile con le altre arti, vi è qui invece autonomia.

Beethoven e Hanslick (con la sua opera: “Il mondo musicale”)

Musicalmente, il modello culturale può essere proprio Beethoven. Esso è colui che trasforma il dato musicale in
espressione: non espressione di qualcosa, ma espressione in sé.

No. 5, “Ghost”:
- è una struttura classica, bi-tematica, forte all’inizio e delicato
- il passaggio da uno strumento all’altro. Si sente una continuità della melodia ma in realtà se la passano il
violoncello e il violino

Johannes Brahms. È l’esempio della continuità con Beethoven e del ricoscimento della specificità dell’elemento
musicale al di là di qualunque paragone con le altre arti. Il suo primo tentativo è quello di uscire dall’orbita di
Beethoven. Ha scritto solo quattro sinfonie. L’asse tra Beethoven e Brahms mette in dubbio il connubio tonalità
maggiore-senso di benessere e tonalità minore-senso di malinconia.

Eduard Hanslick è autore nel 1854 di un libro epocale nel mondo musicale: “Il mondo musicale”. È il più importante
documento di reazione della musica dell’800 alla musica wagneriana. È un’opera d’anti-wagnerismo. Leggendolo, si
cerca un antidoto a Wagner. Il complimento migliore che fa a Wagner nel suo libro è che “è un oppiaceo per le
folle”. È una specie di grande baraccone nel quale le grandi masse vengono trasportare verso chissà quali mondi
fasulli.

Leggere “Il mondo musicale” è il modo che abbiamo per cominciare a ragionare sulla musica senza avere l’idea che
la musica debba esprimere dei sentimenti. La musica ci ha suscitato (in Stellio e negli altri personaggi) dei
sentimenti, nel senso che li ha portati con sé, li ha veicolati. Ma il problema è anche chiedersi se questi sentimenti
non appartenessero già agli ascoltatori, e nel caso come la musica li abbia risvegliati o fatti emergere rispetto ad altri
potenziali modi di essere. Questo è un nodo sul quale Wagner rifletteva nelle sue opere teoriche, ma è anche il nodo
su cui, in maniera opposta rispetto a Wagner, riflette Hanslick.

Dice, in questo libro. Penso che un opera di poesia sia bella quando si fonde con la sua struttura: meglio di così non
può essere detta e perciò mi piace.

Ciò che Hanslick critica. Attribuiamo alla musica dei sentimenti, e pensiamo che il contenuto di quella musica sia ciò
(i sentimenti) che proviamo. Quindi tendiamo a identificare la musica con un sentimento particolare: non ci piace la
musica di per sé, ma ciò che rappresenta o che crediamo rappresenti. Il non avere parole della musica è un suo
carattere autonomo, che ha in sé, e che non può essere inficiato da ciò che proviamo noi come ascoltatori. La musica
non esprime sentimenti determinati, perché non ha concetti. La musica non produce amore, ma io ascolto una
musica che riproduce il processo psichico dell’amore. La musica è una dinamica di rappresentazione, è un processo
di rappresentazione.

“Le idee che il compositore espone [darstellt] sono innanzitutto e per lo più puramente musicali. Alla sua fantasia si
manifesta una determinata e bella melodia. Essa non dev’essere nient’altro che se stessa. ma come ogni fenomeno
concreto rimanda al concetto del genere che lo comprende, all’idea che innanzitutto lo riempie, e così via più in alto
fino all’idea assoluta, così accade anche delle idee musicali.”
[Darstellt: mettere lì davanti, rappresentare nel senso di metterci davanti agli occhi]

“Se dunque la musica non ha la capacità di esibire il contenuto dei sentimenti, che cosa può esibire di essi? Ebbene:
solo la dinamica”. Oggi, ci sono certe forme musicali anche commerciali che uccidono la dinamica: è musica che non
si muove, anche se sembra agitare perché usa buoni ritmi. Se tu fai musica devi muovere qualcosa.

Hanslick ha rivoltato contro Wagner le sue stesse armi. Wagner per Hanslick è colui che ha impedito di riconoscere
alla musica qualità che sono proprie della musica, in particolare l’espressione del movimento.

Clemente Rebora

Vita.

Clemente Rebora è della generazione successiva di d’Annunzio. È passato per un periodo cruciale per la storia
italiana ed europea, il periodo per cui lui stesso dedica il primo dei suoi libri: “Frammenti lirici”. Libro edito nel 1913.
La dedica recita: “Ai primi dieci anni del secolo ventesimo”.

Rebora fin da giovane è uno studente precario, nel senso che non sa cosa vuole fare. Tutta la sua vita, fino alla
conversione al cattolicesimo, è fatta nella sensazione di essere inadeguato, fuori tempo e fuori posto. È figlio di una
famiglia borghese, ha tutto a disposizione. Ha vissuto come insegnante precario fino alla prima guerra mondiale. A
un certo punto della sua vita decide di convertirsi al cattolicesimo e diventare sacerdote. Le sue ultime raccolte di
poesia saranno preghiere, o costruire in maniera salmistica. In “Canti dell’infermità”, come il d’Annunzio del “Il
notturno”, scava nelle sue interiora.

Su Leopardi.

Fu allievo di un grande filosofo, Piero Martinetti, anticipatore dell’esistenzialismo francese. Rebora scrive una tesina
su Leopardi. Si intitola: “Per un Leopardi mal noto”. Saggio di come Rebora vede in Leopardi un elaboratore
musicale.

È un uomo che affronta la materia linguistica e letteraria con passione e dedizione, quasi con un coinvolgimento
viscerale. Tra le cose che affronta c’è anche Leopardi, specialmente il Leopardi prosatore. Rebora ripercorre i dubbi
di quando Leopardi affrontava la musica. Sono due:

- Se la bellezza può essere apprezzata, giudicata, concettualizzata da un popolo, da una grande massa di
persone
- Se la bellezza è in natura o se è qualcosa che dipende da una cultura (o più culture)
Leopardi intuisce che c’è un elemento nella musica che non ha fattori naturali, ma è primigenio, è primitivo: il suono.
L’armonia è mettere sotto il gioco: quando hai degli elementi che discordano, metti una regola e loro si armonizzano.
L’armonia è quindi una costrizione e costruzione culturale, non è in natura. Il suono è invece un fattore naturale,
primitivo.

Il tempo è nemico del suono. Il suono non è duraturo, è come se fosse condannato a perire. Tra il suono e la voce
umana, quest’ultima (se ha una sua gradevolezza, una sua adesione al nostro animo) allora riesce a toccarci
comunque, a lasciare su di noi un’espressione forte. La materialità del suono e la spiritualità passano attraverso la
voce umana (il canale di connessione tra la materialità del suono e la spiritualità è la voce umana). Cosa già notata
nel mito: il mito è un racconto che passa attraverso la voce umana. Il mito, per essere tale, si concretizza solo con la
voce (è infatti alla base della cultura orale). La radice è il suono ma questo deve essere aiutato dall’armonia. Non
parliamo di materia solida, ma di dinamica. Lo stesso termine di Hanslick: la musica come dinamica, movimento, e
non statica.

Scrive Rebora: «Il suono (o canto) senza armonia e melodia non ha forza bastante né durevole, anzi non altro che
momentanea sull’animo umano. Ma viceversa l’armonia o melodia senza il suono o il canto, e senza quel tal suono
che possa esser musicale, non fa nessun effetto. La musica quindi consta inseparabilmente di suoni e di armonia, e
l’uno senza l’altro non è musica… Ma io attribuisco l’effetto principale al suono, perch’esso è propriamente quella
sensazione a cui la natura ha dato quella miracolosa forza sull’animo umano (come l’ha data agli odori, alla luce, ai
colori), e sebbene egli ha bisogno dell’armonia, nondimeno al primo istante il puro suono basta ad aprire e scuotere
l’animo umano.»

*“Lo spirituale nell’arte” di Kandinskij è il contrappunto di ciò che dice Rebora in “Per un Leopardi mal noto”.

“Frammenti lirici” (Rebora)

Sono settantadue poesie senza titolo, scritte in modo progressivo con numeri romani.
[Prima poesia]
Un tentativo di fotografare l’istante: mentre provo a fissare il presente, esso è già andato. È una poesia con
una sintassi abbastanza complessa, nonostante sia scritta con versi brevi. Non ha una struttura regolare. Questo “io”
che sta parlando cerca di cogliere una vita diversa che non coglie mai. Ci sono dei richiami alla musica (“accordo
solitario”; “vorrei parlasse il mio cuore nel suo ritmo l’umano destino”). Considera la musica come strumento (e non
oggetto) di rappresentazione.
[Seconda poesia]
Mette sullo stesso piano l’individuo e l’universo. C’è una specie di tensione continua di Rebora nel
considerare il piano naturale come qualcosa di umano e viceversa. La novità è che questa umanizzazione viene
dando del tu alla natura, al paesaggio. Si rivolge molto spesso agli elementi naturali non singolarmente (non fa una
poesia su un albero solo o solo su un fiume), ma la fa come se dovesse comprendere l’universo. È una poesia
moralmente molto impegnativa, che scommette molto sul valore morale dello scrivere. Ci fa capire come lo slancio
creativo non sia qualcosa che richieda solo talento, ma la totalità di noi stessi.

“Melodiavi i battiti dei polsi, ma il ritmo dentro chiudevi fuor mandando l’inerzia”. È come se questo contatto con la
musica non fosse destinato per forza (come sarebbe stato in D’Annunzio) a un’esplosione totale.

Il contatto con la trascendenza, che è frequentissimo anche nelle prime poesie. È un poeta trascendente che però
cerca di rimanere sempre con i piedi per terra.
[Terza poesia]
È uno dei testi che meglio rappresenta il timbro linguistico di Rebora. Rispetto alla tecnica pascoliana che
richiamava un aspetto popolare, qui Rebora mette un carico molto forte dal punto di vista sonoro. Per qui questi
versi sono scorrevoli, eppure rimangono densi, duri da leggere. Nell’inizio parla di una tempesta, “piomba il turbine e
scorrazza”.

Analogia tra un paesaggio e un corpo umano. Un turbine che quando arriva in città si inombra, e diventa angoscia, si
proietta nell’individuo. Questa cosa ha avuto una definizione nella critica: espressionismo letterario, che Contini
scrisse per l’enciclopedia Treccani (*disponibile nelle risorse online). Contini lo definisce in tre modi:
- Dissoluzione dell’uomo
- Prolungamento dell’io nel mondo
- Assorbimento del reale nell’umano
L’espressionismo è il modo di sentirsi all’interno dell’universo e al contempo l’angoscia di non poterlo fare. Rebora
è uno dei pochi poeti che possiamo definire espressionista. Per tre filoni: ricerca della totalità; angoscia interiore;
ricerca di questa angoscia. Nella poesia di Rebora, la voce umana è importantissima: l’io poetico di Rebora è ritratto
nell’atto di parlare o nel voler parlare. È un tratto comune ai primi poeti del Novecento. Rebora la rende come una
situazione ideale. La sua poesia è come un urlo strozzato.

Al contempo di Contini, esce (di Luigi Rognoni: “La scuola musicale di Vienna”) quello che lui chiama la seconda
scuola di Vienna (ovvero l’espressionismo musicale). In Schönberg lo slancio creativo è nient’altro che un
suggerimento dello strumento stesso: è musica che si fa da sola. La musica sembra realizzare il sogno di Rebora: la
compenetrazione tra io e tutto. Perché la musica e gli accordi sono l’espressione di ciò che io ho dentro. Cita un
articolo di Thomas von Hartmann in cui dice che la musica non procede per leggi esterne, non ha un copione da
seguire. Questo istinto che viene dall’interno viene chiamato grido primordiale. I cinque pezzi dell’orchestra di
Schönberg sono la rappresentazione di come può suonare questa angoscia di cui ne parla Rebora. È il primo pezzo in
cui il metodo dodecafonico viene applicato quasi integralmente. Klangfarbenmelodie significa “Suono, colore e
melodia”: qualcosa che percepisco come una melodia ma non lo è

Dodecafonia.

Dodecafonia (cioè dodici suoni ognuno indipendente dall’altro): abolisco tutti i rapporti tradizionali tra i suoni e
riscrivo ogni volta la logica tra i rapporti

C’è un saggio importante sulla dodecafonia scritto da Theodor W. Adorno (erede dell’aforisma di Nietzsche
trapiantato nella filosofia e sociologia del 900). Adorno entra nella musica dei cinque pezzi di Schonberg e ci offre
degli spunti. Appartenenza della dodecafonia a un ordine di idee più grande. Ha inteso questo fenomeno all’interno
della storia globale della musica (*vedere nelle risorse virtuali). Nella sostanza ci dice una cosa semplice: se io sono un
compositore tradizionale che vuole fare una composizione in una certa nota, so che il mio pezzo finirà con quella
nota. Nel momento in cui sono Schönberg, questi dodici suoni gli organizzo come mi pare, scatta quindi un altro tipo
di logica. Adorno dice che in fondo la tonalità è un tentativo di dare una logica universale a ciò che non ce l’ha.

Adorno mette uno spartiacque definitivo nella musica: o sei con Schonberg o con Stravinsky. Il primo che riuscirà a
liberarsi di questa dicotomia è Luciano Berio. Adorno definitiva la musica di Stravisky “musica al quadrato”. Per lui
Stravinsky mette a distanza la musica, la tratta come qualcosa che può essere maltrattata dall'esterno. Per Adorno,
Schonberg unisce due fattori: quello del contrappunto, tante cose sovrapposte uno all’altra, e quello di una voce
dominante che fa un percorso all’interno della struttura. Per Adorno, Strabinsky fa una musica che non ha presa
sull’uomo, rimane al di fuori della percezione.

Popular music. Molte canzoni nascono dal folklore, e molte dal fatto che il folklore rielabora dei materiali che
vengono dall’opera e dalle sue variazioni (come l’operetta). Nell’estetica della popular music non è importante
cambiare il paradigma esistente ogni volta (cioè che una canzone, per avere successo, deve cambiare i paradigmi e/o
migliorarli) come succede per la musica colta. Per Adorno, la popular music sviluppa dei dettagli musicali che
diventano la caricatura delle proprie stesse potenzialità.

*La nostra tradizione musicale è frutto della razionalizzazione.

*“Pierrot lunaire” sono poesie scritte in francese e tradotte in tedesco; sono poesie con atmosfere decadenti ma al
contempo torbide, perverse.

*Sprechstimme, cioè la voce che canta ma parlata (ovvero canto parlato). È la tecnica che verrà usata da qui in poi in
tutta la musica che deriva dalla dodecafonia.

* Per capire a fondo un testo, come diceva Gramsci, occorre dividere ciò che è unito e unire ciò che è diviso.
Dobbiamo capire il testo dai suoi tratti di movimento, non da quelli statici.

*Il verso italiano è un verso ritmico-sillabico: ha un numero di sillabe più o meno ricorrente e una certa posizione
degli accenti interni. Gli accenti sono segni che ci permettono di distinguere una parola dall’altra. Il verso è un
segmento nel quale io capisco che c’è un’identità ritmica. Un verso è identificabile anche a livello visivo, dallo spazio
scritto e quello bianco.
*L’identità ritmica si forma nel centro del verso, non all’inizio né alla fine. Se tu vuoi identificare un verso, devi per
prima cosa vedere dove cade l’accento (che è un surplus di identità). In italiano, di solito, siccome noi abbiamo molte
parole piane (accentate sulla penultima sillaba), l’accento è sulla penultima sillaba del verso.

Rebora e la musica.

È un uomo di grande cultura musicale, solida, vera. Si forma nel contesto de “La voce” (rivista letteraria), il cui primo
numero esce nel 1908. “La voce” era un grande collettore della cultura italiana. Diventò subito il punto di riferimento
per tanti intellettuali. È la prima rivista letteraria a diventare rivista di cultura. Su “La voce” scrive Gianmarco
Bastianelli, il quale si occupa di fenomeni musicali contemporanei (dell’epoca). Bastianelli usa i poeti paragonati ai
musicisti: per lui viaggiano sullo stesso piano, inquadra musica e letteratura sullo stesso piano culturale. Il suo primo
editoriale è su Romain Rolland. Il secondo è su Riccardo Strauss (autore di grandi composizioni sinfoniche ed
operistiche; dà grande attenzione alla timbrica degli ottoni).

Bastianelli sta parlando nel periodo nel quale lo strumento sul quale si impara la musica, almeno dagli anni Ottanta
dell’800, è il pianoforte. Secondo Bastianelli, Riccardo Strauss è il Wagner redivivo, perché ci son scelte stilistiche, di
metodo (…) che ricordano Wagner (“Strauss è un epigono di Wagner”). Per lui Strauss non è originale, ma tutto ciò
che scrive è derivante da Wagner. Parla anche di Claude Debussy, un nome che sta modificando la musica del
periodo. Debussy usa parecchio la forma di schizzi sinfonici. Autore di “La Mer” (il mare), imita, riproduce in musica
le sensazioni acustiche date dal mare. Utilizza una scala che anziché farla normale (Do Re Mi Fa Sol…) non ha
alterazioni in chiave, cioè non ha semitoni tra le note. Si chiama scala esatonica.

La poetica di Rebora.

Per quanto sembri parlare per concetti astratti, Rebora è un poeta fisico. Vita, tempo e spazio sono i grandi temi che
troveremo sempre presenti nelle poesie di Rebora. In Rebora abbiamo la sensazione di un continuo ritmo,
movimento: urta ostacoli, ne supera alcuni (…). Quando Rebora usa la metafora, non lo fa in modo univoco, ma in
modo stratificato: la metafora ha sempre più angoli, più lati (è una specie di poligono). Rebora è un poeta anche del
lavoro, della fatica, della dignità del singolo e dell’uomo comune. Non è uno che cerca una super-umanità: per lui
l’uomo così com’è è sufficiente.

Riassunto della poetica di Rebora:

 Ha uno schema ossimorico, per cui molto spesso ci sono aspetti contraddittori che Rebora fa agire all’interno
dello stesso testo, quasi un tentativo di coincidenza degli opposti
 Unanimità di questi testi, il tentativo di essere un tutt’uno con la natura. La differenza tra Rebora e
D’Annunzio è che Rebora è consapevole che l’io, il soggetto poetico all’interno della poesia, per raggiungere
questa unità deve fare uno sforzo immane, qualcosa che è al di sopra delle sue possibilità; quindi la poesia è
una sorta di urlo, e nell’urlo si invoca la natura
 I testi, specialmente quelli lunghi, sono divisi in due parti (da una volta, da un ma, da un punto a capo) che
spezza la continuità delle cose. Questo indica che è una poesia che è in continuo processo, si muove
continuamente, non è solo la descrizione di un paesaggio
 La presenza della musica. Rebora si sofferma non tanto sulla musica in sé, come entità astratta, ma su come
la melodia, ritmo, armonia e voce (quindi parti della musica) possano avere influenza
 Rebora è un poeta della natura ma è anche un poeta della civiltà urbana. È uno dei primi che si accorge
dell’ineluttabilità (inevitabilità) del paesaggio urbano. Le città nelle quali ci si muove questa unità con la
natura non è possibile, viene ostacolata; Rebora lo sa, lo scrive, ce lo fa sentire
 Passa anche dalla musica perché la musica è ciò che per noi tenta di farne una totalità

Gustav Mahler. Nel 1889 a Budapest viene eseguita per la prima volta la prima sinfonia di Gustav Mahler (boemo).
Alla prima sinfonia c’erano tutti i più grandi intellettuali austriaci del primo Novecento.

L’indicazione di tempo che Mahler ha dato alla partitura. Ha messo un’indicazione in tedesco (i cui termini tradotti
sono: lento; che si trascina; come un suono di natura). Ha portato nella musica europea il senso della perdita di
connessione tra gli elementi che eppure dovevano essere connessi.
Georg Simmel. Georg Simmel era a Budapest alla prima sinfonia di Mahler. Simmel è stato uno dei più importanti
sociologi del Novecento, uno dei padri fondatori della sociologia. Ha scritto un libricino “Le metropoli e la vita
spirituale” (*disponibile nelle risorse online) dove per la prima volta viene affrontato in termini scientifici il nuovo paesaggio
metropolitano. Parla della preponderanza del paesaggio urbano che ha caratterizzato la fine dell’800 e l’inizio del
‘900.

Confronto d’Annunzio-Rebora.

D’Annunzio aveva davanti il grande modello wagneriano sul quale fare una sorta di variazione, ed elesse la poesia
come mezzo di appropriazione della totalità; Rebora si trova invece in un tempo dove il mito wagneriano sta
declinando, e la musica gli offre nuove frontiere. Quello che Rebora ottiene è una sorta di simbiosi tra io e mondo,
come se alla natura si potesse dare del tu.

Fenoglio

“Una questione privata” non è propriamente un romanzo, ma un racconto lungo (o un romanzo breve). Non è finito,
nel senso che l’autore, venuto a mancare prima, non ha dato “l’ultima mano”. Anche “Il partigiano Johnny” non è un
romanzo, ma una costellazione di narrazioni.

La popular music ha una sua presenza, un suo valore nel romanzo “Una questione privata”:

“Osservazioni sulla filosofia della psicologia” (di Ludwig Wittgenstein). Fino ad Adorno, noi siamo arrivati a spiegare o
a tentare di spiegare certe funzioni della musica (perché utilizzano certe risorse dell’armonia, della melodia, del
timbro…). Ma la musica può avere una funzione anche quando non viene spiegata. “Un amore di Swann”, capitolo
nel primo romanzo de “La ricerca del tempo perduto” di Proust, è un modello della musica. Swann dice che la musica
lo porta in un mondo per cui l’uomo non è fatto. Come nel romanzo di Fenoglio succede a Milton quando sente o
ripensa a “Over the rainbow”.

La differenza della musica in Fenoglio e d’Annunzio: qui la musica è rievocativa, evoca vecchie situazioni; in
d’Annunzio invece è “presente”, la vede in ciò che ha intorno

Abbiamo un personaggio centrale, Milton; la prospettiva di Milton, di vedere le cose, di analizzare la realtà, sono
sempre centrali alla storia; però sembra che, mentre Milton si perde nella realtà, finendo per non capirla più, noi
invece di questa realtà impariamo sempre di più: diventa più sfaccettata, più multi-sensoriale, ci parla attraverso
diversi canali. Man mano che Milton percorre il paesaggio (alla ricerca di Giorgio Clerici), il paesaggio è come se
perdesse di contorno.

(Quando un compagno partigiano racconta a Milton l’ultima notte che ha passato con Giorgio Clerici) Vediamo qui il
trasformarsi della narrazione in suono, in un’eco. Quando Fenoglio dilata la narrazione, la fa diventare un “racconto
epico”, vuole dirci di più: sul paesaggio sonoro e visivo del paesaggio. Due elementi: il suono (il risuonare delle
parole) e il cantore (la funzione del cantore epico, appunto il partigiano che racconta a Milton).

*Nancy è famoso per aver scritto la teoria della percezione. Ha dedicato un libro all’ascolto (e si chiama All’ascolto).
Dice Nancy: “Il senso e il suono condividono, come minimo, lo spazio di un rinvio (nel quale, contemporaneamente,
si rinviano l’uno all’altro” (è la stessa cosa che diceva Rilke: lo spazio acustico si svolge in uno spazio condiviso; la
musica riempie lo spazio). “Questo spazio, in modo del tutto generico, può essere definito come quello di un sé, o di
un soggetto” (idea di soggetto per Nancy è lo spazio che ci circonda, nel quale il suono e il senso si rinviano l’uno
all’altro)

*Più sostantivi che aggettivi, più denotazioni che connotazioni (il contrario di d’Annunzio)

*Lessico

Accordo: emissione simultanea di più suoni.

Leitmotiv: tema musicale ricorrente associato ad un personaggio, un sentimento, un luogo, un'idea, un oggetto. (*il
plurale è. Leitmotive)
Ekphrasis: trasposizione in parole di immagini.

*Finzione non è solo “fare finta” ma anche costruire. Quando Leopardi dice: “Io nel pensier mi fingo”, intende anche
dire che nel pensiero lui stesso si costruisce.

C’è un modo di osservare il linguaggio che è simbolico. Il fonosimbolismo, cioè attribuzione di una qualità simbolica
ai suoni articolari (per intenderci, l’onomatopea).

Poema sinfonico: movimento di sinfonia dedicato a una particolare situazione, a differenza di una sinfonia racchiude
in una sola compagine musicale un certo stato d’animo o una certa situazione

*Libri per tesi

Peter Brooks – “Trame”

Potrebbero piacerti anche