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MONTEVERDI E LA “SECONDA PRATTICA” 39-49

Il passaggio tra Cinque e Seicento rappresentò una svolta decisiva e sbocciarono


nuovi generi musicali o vennero modificati quelli già esistenti. Anche il madrigale
cambiò accantonando la sua natura polifonica per soddisfare le nuove esigenze
barocche (come la monodia con basso continuo). Questo stravolgimento totale della
sua natura non bastò ad evitargli l'estinzione nella metà del Seicento. Un
importantissimo compositore di madrigali fu Claudio Monteverdi. Egli nacque a
Cremona e pubblicò ben 8 libri di madrigali. I suoi madrigali giovanili seguono la
tradizione rinascimentale. Fu assunto come violista e successivamente come maestro
di cappella nella corte di Mantova e godeva di un'ottima fama. Alcuni suoi madrigali
vennero aspramente criticati da un teorico musicale, Artusi che condannava l'uso
delle dissonanze. Monteverdi rispose che Artusi sbagliava a considerare i suoi
madrigali solo dal punto di vista musicale perché era il rapporto con il testo a
determinare la forma musicale. Quindi nel suo pensiero si contrapponeva una “prima
prattica” (che considerava la musica signora del testo e si esprimeva attraverso la
polifonia contrappuntistica) e una “seconda prattica” (in cui il testo era padrone della
musica). Lo scopo di Monteverdi non era però una descrizione letterale del testo ma
rappresentare attraverso la musica il suo significato. Egli osservava globalmente il
testo cercando di capire quali affetti dovesse muovere in modo da intensificarli con la
musica e per tale scopo modificava anche i testi. Alla morte del duca di Mantova, il
successore lo licenziò e lui venne assunto come maestro della cappella di San Marco
e rimase a Venezia per il resto della sua vita.
Qui la sua produzione madrigalistica registrò un'evoluzione. Applicò al madrigale la
monodia col basso continuo (il madrigale non era quindi più polifonico) e inserì
anche parti strumentali autonome secondo lo stile concertante (voci e strumenti).
Alcune composizioni prevedevano un'esecuzione rappresentativa anche se non
venivano eseguite su un palco. Tra queste si ricorda il “combattimento di Tancredi e
Clorinda” il cui testo è tratto dalla Gerusalemme liberata di Tasso. Monteverdi voleva
ricreare in questa l'affetto dell'ira che secondo lui era stato troppo trascurato a favore
di due affetti in particolare: la temperanza e l'umiltà. Per ricreare questo affetto
utilizza una tecnica particolare: viene ripetuta velocemente e per molte volte
consecutivamente una stessa nota abbinata a parole esprimenti ira e sdegno.

APPROFONDIMENTO 51-59

Monteverdi compose L'Orfeo su testo di Striggio. Questa opera venne rappresentata


nel palazzo ducale di Mantova davanti ad un pubblico ristretto e colto. I 5 episodi
dell'Euridice qui sono dei veri e propri atti a conclusione dei quali rimane un coro con
funzione di commento. Il successo della prima ne sollecitò poi una replica davanti ad
un pubblico più vasto. I cambi di scena sono cambiati da intermezzi strumentali che
assumono una certa importanza perché condividono il clima espressivo dell'atto che
segue. Così nella partitura de L'Orfeo si specifica a quali strumenti affidare le diverse
parti e quali devono eseguire il basso continuo.
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L'OPERA ITALIANA DEL SEICENTO 61-72

A Firenze i primi esemplari di opera non differiscono dagli intermedi aulici: erano
spettacoli creati e realizzati dal personale della corte a cui un pubblico scelto poteva
accedere solo tramite invito e la loro magnificenza accresceva il prestigio del
principe.
A Roma la produzione operistica era legata all'aspetto cattolico della città e a fianco
delle trame tratte dalla mitologia classica si affermarono quelle riguardanti le vite dei
santi. Venne rappresentato ad esempio Sant'Alessio in cui veniva messa in scena la
vita di un uomo concreto, con i suoi problemi e drammi interiori in cui c'era anche un
elemento comico e quindi personaggi di cui si poteva ridere, da allora abbastanza
comuni nelle opere romane. Inoltre l'abitudine agli spettacoli operistici aveva fatto
accettare senza troppi problemi l'inverosimiglianza dei dialoghi cantati per cui non vi
era più bisogno di ambientare le vicende in età dell'oro o tra gli dei dell'Olimpo.
Quando l'opera approdò a Venezia entrò in contatto con una società molto diversa da
quella di Firenze, Mantova o Roma: a Venezia c'era un'insolita libertà di stampa e di
pensiero e le guerre e le pestilenze non erano riuscite a bloccare la circolazione di
capitali. Così giunta a Venezia, l'opera subì una trasformazione. Essa divenne una
vera e propria impresa commerciale e per assistervi bisognava pagare un biglietto. Il
fatto che chiunque potesse accedervi non significava che l'opera fosse diventata
popolare, infatti i costi del biglietto potevano essere sostenuti solo da nobili o alti
borghesi. Così l'opera da opera di corte divenne opera impresariale. Nacque così la
nuova figura dell'impresario che investiva il capitale pagando le spese
dell'allestimento. Affittava un teatro, spesso di proprietà nobiliare, retribuiva il
compositore e i cantanti. Il librettista invece non veniva pagato anche perché di solito
era nobile, sosteneva da solo i costi di stampa e poi gli spettava l'intero incasso della
vendita. La fonte di guadagno dell'impresario era dunque la vendita dei biglietti che
raramente riuscivano a pareggiare il bilancio (molto spesso si ricorreva al gioco
d'azzardo che permetteva all'impresario di continuare la sua gestione).
A Venezia si prediligevano temi mitologici e altri che riprendevano la tradizione
romana. Successivamente, prevalsero trame eroiche e imperiali, a seguito della guerra
contro i turchi.

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APPROFONDIMENTO 73-88

Con la nascita del teatro musicale e specialmente con il suo approdo a Venezia la
musica non doveva più soltanto ravvivare l'interesse del pubblico ma partecipava in
modo attivo. All'epoca delle opere di corte gli atti erano relativamente brevi e
presentavano prevalentemente situazioni statiche e drammatiche. Poi la trama
principale venne arricchita di azioni e personaggi secondari anche comici che
vivacizzavano il tutto e allungavano la durata degli atti. Così questi venivano divisi in
un numero di scene che andava grosso modo dalle 10 alle 20, talvolta anche di più. Il
dramma per musica veneziano accolse sin dall'inizio la suddivisione in scene, come si
può notare nel “Giasone” che Cavalli compose sul testo di Cicognini. Così come
nell'opera di corte, anche nell'opera veneziana si individuano tre tipi di versificazione:
versi sciolti (non rimati regolarmente) versi disposti in strofe, non ordinati in strofe
(intermedi tra i due). La scelta del verso non era casuale ma aveva una precisa
funzione drammaturgica. Il recitativo è una rapida recitazione intonata dei versi,
l'arioso è armonicamente più interessante del recitativo. Il testo strofico nelle opere
veneziane aumentò nel corso del secolo. Questo era reso in musica con una
canzonetta o “aria strofica” il cui canto assecondava le esigenze musicali. L'aria che
apre la scena è di solito “aria di sortita” in quanto il personaggio si presenta e serve a
stabilire la situazione. L'aria che la conclude è “aria di entrata” e il personaggio prima
di lasciare il palco commenta quando precedentemente accaduto. Per vivacizzare
l'attenzione nel teatro veneziano si affermarono una serie di convenzioni e tra i
numeri più frequenti ricordiamo: l'aria comica, il duetto amoroso, l'aria-lamento,la
scena-lamento, la scena di sonno, scene di invocazione o di incantamento, la follia.

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GIROLAMO FRESCOBALDI 89-96

Fu solo agli inizi del Seicento, soprattutto per merito del musicista ferrarese Girolamo
Frescobaldi, che la musica strumentale iniziò il lungo cammino che la condurrà dal
regno dell'oralità a quello della scrittura. La fama di Frescobaldi è legata alla sua
produzione quasi esclusivamente strumentale: egli infatti era un musicista di
strumenti a tasto e gli impieghi stabili che ricoprì lo videro sempre alla tastiera
dell'organo. Le sue prime musiche a stampa riguardavano madrigali polifonici dato
che aveva studiato presso uno dei maggiori madrigalisti del tardo Cinquecento. Il suo
primo libro di madrigali fu pubblicato nelle Fiandre. Egli lavorò come organista della
Cappella Giulia ma passò anche alle dipendenze di nobiluomini della sua stessa
regione. Lavorò anche presso il nipote del papa regnante svolgendo vari mansioni e
un ruolo da consulente. Questo alzò il suo status sociale tanto che dopo questo
impiego lavorò solo per personaggi di grande importanza. Il rapporto tra committente
e musicista era basato su uno scambio di vantaggi, infatti il committente attraverso il
musicista accresceva il suo prestigio, il musicista in cambio riceveva protezione
accrescendo il proprio status professionale e sociale ed era avvantaggiato anche dal
punto di vista economico. Frescobaldi voleva costruire uno “stile parlante” con la
musica strumentale e per fare questo si cimentò in due generi strumentali: la toccata
(composizione a pannelli che attraverso vari effetti suscitava affetti) e la partita
(sinonimo di variazione dove ogni variazione interpreta un sentimento. Prevedeva un
basso che si ripeteva e una melodia che variava). Toccata e partita sono generi
definiti idiomatici perché basati sulle esigente dello strumentista e non sull'imitazione
del contrappunto e discendevano dalla musica improvvisata in cui però il musicista
seguiva una specie di canovaccio che gli consentiva di non perdersi. La fama di
Frescobaldi dipende anche dall'aver conferito dignità ai generi musicali idiomatici. La
sua fama giunse anche alla corte di Vienna dove un compositore tedesco chiese il
permesso all'imperatore per poter studiare con lui e grazie a questo le novità
frescobaldiane si diffusero anche nel mondo germanico. E' grazie a Frescobaldi che la
musica strumentale entrò a pieno diritto nel flusso della tradizione scritta.

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APPROFONDIMENTO 97,101,102,104

Le variazioni strumentali nell'ultimo cinquantennio del Cinquecento e nel primo del


Seicento si basano su un principio formale semplicissimo: un modulo di poche
misure, costituito di solito da una linea di basso, veniva ripetuto un numero indefinito
di volte per fungere da canovaccio a una serie di variazioni. Queste sono dette
appunto variazioni su “basso ostinato” e i bassi ostinati riprendevano moduli
tradizionali o popolari. Le collane di variazioni servivano a volte per le danze di
società oppure nelle musiche strumentali destinate al semplice ascolto in cui la
variazione prendeva il nome di parte e l'impera composizione “partita” .
La parola toccata allude al gesto di toccare la tastiera dello strumento e quindi rinvia
alle pratiche improvvisate. Il primo e secondo libro di toccate di Frescobaldi furono
pubblicati in intavolatura e nel secondo sono raccolte toccate dedicate all'organo,
oppure al cembalo in stile libero e altre basate sull'uso di dissonanze. Alla base della
toccata ci sono brevi successioni cadenzanti alternate da passi (episodi composti da
frammenti di imitazione, trilli e vari ghirigori). Quindi ha una forma a pannelli. La
scrittura dei passi deriva dalle pratiche improvvisate del tempo. Con Frescobaldi
l'ornamentazione entrava a far parte integrante della composizione diventando il
motivo di interesse primario.
Frescobaldi pubblicò una raccolta contenente tutti i generi di musica tastieristica che
aveva composto durante la sua vita (toccata, canzone, capriccio) chiamata “Fiori
musicali”. Questa contiene musiche organistiche destinate all'uso liturgico distribuite
in tre messe e alcune parti cantate della messa vennero sostituite da musiche
strumentali.

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ORATORIO E ORATORIA 109-119

A seguito delle varie riforme protestanti e del Concilio di Trento il sacerdote


Francesco Neri decise di riunirsi insieme a vari religiosi e laici per discutere di
problemi spirituali. Il luogo delle riunioni era l'oratorio. Negli oratori la musica era
molto importante e i partecipanti eseguivano insieme canti religiosi. Filippo usò in
particolar modo le laudi in volgare che a Firenze tra Quattrocento e Cinquecento
erano diventate polifoniche a tre voci con andamento omoritmico e forma strofica.
Il genere “oratorio” indica il genere delle musiche eseguite nelle riunioni oratoriali.
Qui venivano eseguite composizioni simili a opere in miniatura in versi poetici ma
senza scenografie di argomento sacro che impiegavano cantanti solisti, un piccolo
coro e alcuni strumenti, in genere 2 violini e basso o solo basso. L'oratorio poteva
essere lungo e durare circa un'ora o potevano esserne eseguiti due da mezz'ora in cui
il primo trattava della storia dell'antico testamento e il secondo si riferiva al nuovo
testamento. Un famoso compositore di oratori fu Carissimi e le sue composizioni
venivano eseguite non solo negli oratori ma anche in alcuni palazzi nobiliari. Ne
scrisse in volgare ma anche in latino. Questi due sono simili anche se raramente
quelli in latino sono divisi in due parti. Il loro testo era una parafrasi della Bibbia e la
figura del narratore si alterna tra i vari solisti e il coro. La distinzione era
prevalentemente sociologica, perché quelli in volgare erano destinati a una élite
mentre quelli in latino a tutti.

APPROFONDIMENTO 121-132

Nei testi degli oratori musicali si utilizzavano spesso figurae (figure retoriche) ovvero
costrutti grammaticali che innalzavano il discorso al di sopra del normale livello di
comunicazione. Anche nel testo dello Jephe di Carissimi sono state utilizzate varie
figure retoriche. Il testo, di argomento biblico, racconta di un condottiero che giura a
Dio che avrebbe sacrificato la prima persona che avrebbe visto se fosse tornato dalla
guerra contro i nemici di Israele vincitore.
Così si ritrovò costretto a sacrificare sua figlia. Carissimi doppia attraverso figure
retorico-musicali quelle retoriche già presenti nel testo

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I LUOGHI DELLA MUSICA BAROCCA 135-138

Il luogo in cui la musica veniva eseguita ha da sempre influenzato lo stile di questa


ma nell'epoca barocca il luogo assunse un ruolo primario. Nel periodo barocco si
assiste infatti alla pluralità di stili paralleli perché il compositore doveva adattarsi alle
circostanze. Questo avviene perché non si riuscì a debellare la prima prattica e questa
continuava a persistere insieme alla seconda prattica e poi si cercava di definire i
generi musicali seguendo l'esempio della letteratura. I letterati del Rinascimento
infatti iniziavano a classificare i generi letterari cosicché a seconda di come un testo
veniva definito (tragedia, commedia...) si poteva capire da subito quali fossero le
caratteristiche principali. I generi musicali erano determinati dalla loro specifica
funzione che dettava le caratteristiche stilistiche. Così iniziò a distinguersi uno stile
da chiesa, uno stile da camera, uno stile teatrale e un linguaggio ereditato dalla prima
prattica (polifonico) o della seconda prattica (anche monodico). Ma lo stile e il
linguaggio dipendeva dalle esigenze della committenza.

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LA CANTATA DA CAMERA 139-147
Come già visto l'affermarsi della seconda prattica nella musica seicentesca provocò
profondi cambiamenti nella struttura del madrigale che divenne pian piano monodico.
I più celebri madrigali a voce sola sono quelli del Caccini che pubblicò una raccolta
di madrigali e arie (le arie sono composizioni strofiche in cui la parte del basso si
ripete inalterata ad ogni strofa mentre la parte vocale è libera). Dal 1620 circa diminuì
la pubblicazione di madrigali, anche quelli a voce sola con basso continuo. Il genere
di musica che sostituì il madrigale fu la cantata. Inizialmente per cantata si indicava
qualsiasi composizione cantata per una o due voci accompagnata dal basso continuo
o da alcuni strumenti. In questa troviamo le principali caratteristiche di tutta la
musica barocca, ovvero lo stile monodico con basso continuo, lo stile concertante
(nelle cantate con più strumenti), tendenza alla rappresentatività e soprattutto la
volontà a muovere gli affetti. Infatti si sviluppò un tipo di cantata in cui il basso si
ripeteva identico, mentre la melodia veniva variata ad ogni strofa. Questo tipo di
cantata viene definita “cantata su basso strofico”. Poi le cantate si articolarono in
strutture più complesse che comprendevano anche sezioni in stile recitativo, arioso o
arie. La cantata poteva durare pochi minuti o di più in base alle esigenze della
committenza. La cantata era eseguita da un cantate oppure da due, in questo caso
prende il nome di “duetto da camera” e i due cantanti venivano accompagnati dal
basso continuo e a volte anche da altri strumenti, quasi sempre due violini. Il testo era
generalmente di contenuto amoroso anche se c'erano cantate sacre. Nella seconda
metà del Seicento il testo assunse il carattere del monologo cantato da un vero
personaggio. In questa maniera la cantata assumeva un contenuto teatrale in cui la
musica aveva il compito di suscitare affetti.
La maggior parte delle cantate veniva prodotta a Roma. Questo perché qui dominava
la figura del papa che veniva eletto e le famiglie aristocratiche lottavano affinché
fosse un loro esponente e utilizzavano la musica per potersi affermare. Così
ospitavano nei loro palazzi un piccolo gruppo di musicisti che si ingrandiva in
occasioni particolari. Quindi la concorrenza tra le corti romane resero la città un
terreno fertile per la musica in generale ma anche per la sperimentazione di forme
nuove attraverso le quali il committente dimostrava la sua competenza (come cantate,
opere, sonate). Il compositore dell'epoca doveva essere quindi molto versatile per
produrre musiche per le destinazioni più diverse: ricreative, teatrali, liturgiche.... Tra i
compositori che si misero a disposizione delle corti romane ricordiamo ad esempio
Frescobaldi, Stradella e Scarlatti. La cantata era il genere più richiesto perché
richiedeva un ristretto organico (vantaggioso dal punto di vista economico), il suo
stile rispondeva pienamente alle esigenze e molto spesso i suoi testi erano composti
dai mecenati stessi. Nei primi decenni del Settecento però il patriziato romano perse
l'abitudine di assumere musicisti stabili preferendo piuttosto uscire per frequentare i
teatri d'opera e quindi si spostò l'attenzione dalla cantata al teatro d'opera e le cantate
venivano eseguite solo per scopo celebrativo.
APPROFONDIMENTO 158
Nelle cantate di Stradella le arie non sono di forma strofica e utilizza degli schemi
che non dipendono direttamente dallo stile musicale o dalla struttura del test
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LA SONATA BAROCCA 159-173

Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, nella stessa area di diffusione
della canzone (veneziana) iniziò ad essere utilizzato il termine “sonata”. Inizialmente
canzone da sonar e sonata venivano utilizzati quasi come sinonimi. Tuttavia tra il
1600 e il 1630 questi due generi assunsero caratteri che li distinguevano. Innanzitutto
i compositori di canzoni erano quasi sempre organisti, mentre quelli di sonate per di
più violinisti o di altri strumenti e avevano una diversa educazione perché l'organista
studiava in particolar modo l'aspetto polifonico mentre i violinisti si interessavano
poco di questo aspetto e cercavano di realizzare esecuzioni che mettessero in luce le
potenzialità del proprio strumento utilizzando vari abbellimenti. La sonata era libera
da un qualsiasi rapporto con le voci e divenne uno dei generi più praticati dell'epoca
barocca.
Nella prima fase veniva eseguita da tanti strumenti divisi in più cori ma poi l'organico
si ridusse. Si distingue la sonata a due e la sonata a tre. In quest'ultima le parti
strumentali impiegate sono tre, generalmente due strumenti monodici come 2 violini
e un basso continuo ma le tre parti potevano essere eseguite da più strumenti, non
necessariamente da tre. La sonata a due prevedeva due parti strumentali, una per lo
strumento monodico (violino) e una per il basso continuo. Molti compositori
produssero questo genere musicale, come Torelli, Corelli ma anche Vivaldi.
Corelli nacque in Emilia ma si trasferì a Roma diventando uno dei violinisti più
famosi della città e fu al servizio dei tre maggiori mecenati della Roma seicentesca.
Pubblicò sonate a tre da chiesa e da camera, sonate a due per violino e basso da
chiesa e da camera e concerti grossi da chiesa e da camera. Mentre nel Seicento era
maggiormente diffusa la sonata a due, nel Settecento era più praticata quella a tre. Sia
la sonata a due che quella a tre potevano essere definite “da camera” o “da chiesa”.
La sonata da chiesa era influenzata dalle caratteristiche contrappuntistiche della
prima prattica ed era divisa in 4 movimenti tutti nella stessa tonalità i cui andamenti
erano alternativamente lento, veloce, lento, veloce. La sonata da camera riprende
aspetti della musica per danza che generalmente non veniva trascritta. Le musiche per
danza nel seicento venivano riunite in “suites”, ovvero successioni di danze lente e
veloci unificate dall'uso della stessa tonalità. Queste non erano ballate ed erano
caratterizzate da parti contrappuntistiche e passaggi virtuosistici.
La sonata da camera riprendeva il ritmo e la forma della musica per danza e i
movimenti si alternavano senza una struttura fissa e venivano intitolati ad esempio
“sarabanda” “giga” “gavotta”..
Intorno al 1700 i due generi si fusero assorbendo l'uno le caratteristiche dell'altro. Ad
esempio la sonata da camera iniziava con un preludio lento tipico fino ad allora della
sonata da chiesa ed iniziava ad avere un carattere contrappuntistico, mentre i tempi
della sonata da chiesa assumono le caratteristiche di quelli della sonata da camera
come la giga o la sarabanda.

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APPROFONDIMENTO 175-188

Nelle sonate di Arcangelo Corelli si può considerare compiuta l'affermazione del linguaggio
tonale.
Nella musica barocca di utilizzava la tecnica che i tedeschi definiscono fortspinnung che
prevede come base della composizione una breve cellula melodico-ritmica che viene variata
e in questa maniera si evitano contrasti tematici e l'insieme risulta omogeneo. Veniva usata
anche la progressione che prevedeva la ripetizione di un breve modulo melodico detto
“modello” che ricompare ogni volta su un grado della scala superiore o inferiore.
Le dimensioni delle sonate subiscono nel corso del Seicento un costante incremento dovuto
probabilmente alle innovazioni compositive associate alla nascita del cosiddetto sistema
tonale che ebbe come effetto anche quello di dilatare la durata delle musiche.
Dalla modalità alla tonalità
Nella monodia gregoriana si utilizzavano i modi che indicavano una particolare scala di
suoni ma anche certe caratteristiche sotto il profilo melodico e suoni più importanti erano la
repercussio e la finalis che si trovavano a distanza di quinta. Durante l'ascolto di una
monodia gregoriana ci si imbatte talvolta in una modulazione quando si passava da un modo
all'altro. Con la polifonia si ottennero delle combinazioni verticali di suoni appartenenti
sempre a una determinata scala modale e al termine di ogni segmento c'era una cadenza in
prossimità della quale era necessario che tutte le parti fossero concordi. Si determinarono
così alcune formule standard di chiusa e in corrispondenza di queste si iniziarono ad
introdurre note estranee alla scala modale sotto forma di alterazioni della nota destinata poi
a risolvere scendendo di grado. Talvolta in prossimità delle cadenze su gradi diversi dalla
finalis la presenza di alterazioni è indizio di una modulazione. Nel Cinquecento in polifonia
era prevista una chiara cadenza finale e varie cadenze intermedie nelle quali non c'erano
particolari restrizioni riguardo alla successione di accordi. Gradualmente poi la linea del
basso assunse la funzione di sostegno e prevedeva salti di 4a e di 5a. Tra il Cinquecento e il
Seicento si notano varie novità come la maggiore presenza di note estranee alla modalità
nelle composizioni polifoniche, l'uso comune della monodia accompagnata e del basso
continuo e la presenza di composizioni basate su forme di danza più o meno stilizzate. Poi i
vari modi vennero classificati secondo un altro criterio che faceva riferimento agli accordi
formati sulla finalis, che potevano essere maggiori o minori.

Le caratteristiche delle scale tonali rispetto a quelle modali sono principalmente due:

1) i modi sono due e sono maggiore e minore.


2) qualunque nota può essere il punto di partenza di una scala maggiore o minore ma
così come la modalità, la tonalità era determinata da una scala.
Nel sistema modale le cadenze si costruivano in base alla tensione verso la finalis, nel
sistema tonale invece verso la tonica. Inoltre nella musica tonale non tutti gli accordi sono
considerati di uguale importanza ma alcuni sono più rilevanti come quelli sulla tonica,
sottodominante e dominante e nascono precise formule standard di cadenza che li
combinano. Il temporaneo spostamento dal centro tonale è detto modulazione e le tonalità
momentaneamente raggiunte hanno come tonica un accordo appartenente alla tonalità
principale e non si allontanano dunque molto dalla tonalità di partenza. Queste tonalità sono
dette vicine e tra queste si distinguono le tonalità relative tra una maggiore e la minore che
parte dal suo sesto grado
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L'OPERA FRANCESE DEL SEICENTO 189-198

Il Seicento è caratterizzato dalla presenza di regimi assolutistici e la musica svolgeva


un ruolo prettamente propagandistico celebrando le autorità e muovendo gli affetti
degli ascoltatori per persuaderli. Questo avvenne soprattutto in Francia dove si
affermano le idee platoniche sul potere della musica. Il letterato Antoine de Baif
sosteneva che per rivivere gli effetti della musica antica fosse necessaria una
completa fusione tra poesia e musica e dava molta importanza al ritmo che poteva
favorire la danza. Così si ottenne un tipo di musica chiamata “musique mesurée à
l'antique” in cui il ritmo riprendeva quello poetico traducendo sillabe brevi e lunghe
in rispettivi valori brevi e lunghi delle note. La struttura era a più voci con lo stesso
ritmo che evitavano imitazioni contrappuntistiche. Inoltre si svilupparono i “ballets
de cour” in cui gli spettatori erano collocati su alte tribune ai lati della sala al centro
della quale i ballerini realizzavano figure geometriche ideate per una visione dall'alto
e con probabile valore astrologico. Dopo il ballo vero e proprio spettatori e ballerini
si univano in una danza comune. Negli anni '30 del Seicento celebravano le vittorie
militari della monarchia francese.
Il cardinale italiano Mazarino fece allestire a corte alcune opere italiane che però
ebbero scarso successo, in parte perché l'opera italiana non era di gusto francese, in
parte il gruppo di opposizione al cardinale ostacolava ogni italianizzazione della vita
di corte. La Francia rimase l'unico paese in cui l'opera italiana non riuscì a
diffondersi, tanto che i musicisti italiani furono addirittura espulsi.
Jean Baptiste Lully fu un fiorentino condotto in Francia assunto bel presto a corte in
qualità di valletto da camera e nel frattempo studiava musica diventando strumentista,
compositore e ballerino. Successivamente venne nominato “compositore della musica
strumentale” del re componendo importanti ballets de cour e dirigendo un gruppo di
strumenti ad arco per intrattenere il re. Lully pretendeva una maggiore fedeltà al testo
musicale che andava eseguito fedelmente. Poi collaborò con il commediografo
Molière alla creazione di comédies-ballets, ovvero commedie recitate in cui erano
accostate poesia, musica e danza anche se non erano ancora totalmente integrate
perché questo avvenne invece con la tragédie lyrique. Queste erano vere tragedie in
versi in cui il testo era interamente musicato in un'alternanza di récits e di airs con un
prologo che precedeva 5 atti nei quali c'erano divertissement, ovvero momenti in cui
l'azione si fermava per dar luogo ad un balletto sontuoso. Il testo del prologo serviva
a glorificare la figura del re ed esaltare la nazione francese. Le sue tragédies lyriques
sono una sorta di chanson de geste del sovrano.

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APPROFONDIMENTO 199-210

La tragédie lyrique è un genere nato durante il periodo del Re Sole nel quale si
alternavano i momenti festivi dei divertissements a quelli severi di récits e airs e che
presentava caratteristiche di diversi generi di spettacolo come i ballets de cour e la
tragegia cantata. I ballets de cour erano solitamente inseriti in programmi di
festeggiamenti nei giardini di Versailles.
Un'opera di Lully è l'Armide nel cui prologo il Re Sole è simboleggiato dalla figura
del protagonista, Rinaldo. La trama è tratta da uno degli episodi della Gerusalemme
liberata di tasso in cui la maga Armida si rattrista perchè Rinaldo non condivide i suoi
stessi sentimenti. Poi avvengono varie avventure che porteranno Rinaldo ad essere
prigioniero del palazzo della maga ma presto verrà liberato da due suoi compagni,
così la maga invoca gli spiriti infernali che fanno sprofondare il palazzo mentre lei si
invola su un carro alato. In quest'opera vengono aggiunte delle scene adatte ai
divertissements e si nota, oltre alla suddivisione in 5 atti, il rispetto delle 3 unità
aristoteliche. A parte i divertissements gli atti della tragédie lyrique sono intessuti
anche di récits alternati da airs e vengono usati i versi alessandrini così come nelle
tragedie parlate. L'air è strettamente sillabico ed è accompagnato da un basso
continuo come nel récit ma rispetto a questo ha una melodia più autonoma.

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IL CONCERTO BAROCCO 231-239

Il compositore italiano Alessandro Stradella divideva i suoi musicisti in due gruppi


chiamati “concertino” e “concerto grosso”. Gli strumenti del concertino sono quelli
della sonata a tre, ovvero due violini e basso continuo, il concerto grosso ha una
struttura a quattro parti eseguite da violino, viola contralto, viola tenore e basso
continuo. La maggiore differenza tra i due è quindi di natura compositiva . Il
concertino era orientato principalmente verso il registro acuto, rappresentato dai due
violini mentre il grave era rappresentato dal baso, mentre il concerto grosso seguiva
la tradizionale struttura rinascimentale di soprano-contralto-tenore-basso.
Stradella impiegava il concertino nelle parti dei solisti e il concerto grosso in quelle
d'insieme. Se il cantante aveva una voce acuta nelle parti solistiche il concertino
svolgeva funzioni di accompagnamento, altrimenti se aveva una voce bassa i violini
eseguivano parti virtuosistiche. Nelle sonate a tre i musicisti più bravi suonavano
l'intera composizione, quelli dilettanti suonavano solo alcune parti semplici. Anche
Corelli distingue il concertino dal concerto grosso mutando però l'organico del
ripieno, non più violino, due viole e basso, ma due violini, una viola e basso le cui
parti potevano essere raddoppiate da strumenti a fiato e accentuava maggiormente il
carattere virtuosistico del concertino.
Il concerto a Venezia subì delle trasformazioni, innanzitutto il numero dei movimenti
venne ridotto a tre (allegro, adagio, allegro), venne applicata ai movimenti la forma-
ritornello e si accentuerà la dimensione solistica del concertino. Così si iniziò a
scrivere concerti con parti solistiche che mettessero in evidenza le capacità
dell'esecutore. Un importante compositore veneziano di concerti fu Antonio Vivaldi
che ne compose circa 500, 230 dei quali per violino.
Vivaldi fu maestro di violino e poi “maestro de' concerti” dell'ospedale della Pietà di
Venezia in cui venivano accolti bambini orfani o abbandonati ai quali veniva
impartita un'educazione anche musicale perché i provenienti dei concerti la
sostenevano. Oltre a lavorare in questo ospedale si dedicava al teatro dell'opera
(scrisse un centinaio di opere) e le sue prime opere furono rappresentate a Vicenza e a
Venezia nel teatro S.Angelo. Poi lasciò l'incarico presso l'ospedale per trasferirsi a
Mantova come maestro di cappella del governatore della città ma poi riprese il suo
incarico a Venezia. Negli ultimi anni rimase ai margini della vita musicale,
probabilmente perché erano cambiati i gusti musicali e lui si ritrovò in condizioni
precarie. Poi decise di partire a Vienna per motivi poco chiari e qui morì nel 1741.

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