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Esame letteratura inglese III Peghinelli

L'età moderna inizia quando vengono messe in crisi alcune convinzioni e sicurezze e si sente di
conseguenza il bisogno di cambiare e di cercare una nuova modalità di rappresentare il mondo. Abbiamo
una nuova e diversa percezione delle cose. La letteratura ha sempre avuto un ruolo di opposizione rispetto
alle autorità religiose perché mette in discussione l’ordine. Si pensa di avere la stessa prerogativa di Dio, il
quale viene messo in discussione perché la cornice teologica non dà più risposte congruenti alle esigenze
di quel periodo. Cambia anche la concezione sulla fertilità: per esempio The Waste Land è una terra
desolata a causa della sterilità: è impossibile portare avanti una rigenerazione. Al centro del teatro
moderno abbiamo l’uomo e non più un dio o dei; c’è la consapevolezza di non essere più a contatto con la
religiosità e questo provoca sofferenza. Il modernismo è quel periodo del primo dopoguerra. È un
movimento che anche se prende nomi diversi coinvolge tutta l’Europa.
Nel 900 il grottesco diventa assurdità: nel grottesco l’eroe tragico si trova in una posizione di lotta e scontro
con l’assoluto nel quale prova a vincere in maniera eroica e gloriosa ma viene deriso e privato della sua
sacralità in quanto perde inevitabilmente. Questo diverso atteggiamento dell’uomo evidenzia l’assurdo della
sua produzione e capisce all’assoluto non ci si può sottrarre. È un meccanismo che va avanti
indipendentemente dall’individuo. Qualsiasi mossa contro l’assoluto è destinata a fallire perché è superiore
a tutto. Bisogna ricordare che il grottesco è caratterizzato dalle incongruenze e dalla percezione di esse.
Assurdo e grottesco però sono difficili da contraddistinguere: nelle “Metamorfosi” di Kafka per esempio il
protagonista sa di essere mostruoso ma non si identifica come tale. C'è l’ironia dell’assurdo e del grottesco.
Con l’avvento del realismo e del neoclassicismo le cose si complicano perché non si possono più
mescolare i generi; di conseguenza verranno riscritti molti testi. Nasce quindi l’esigenza di creare nuove
etichette come il teatro dell’assurdo: il teatro dei buffoni, di chi ride, deride e ribalta l’ordine nel quale i
sacerdoti operano chiamandosi fuori da quell’ordine.
T. S. Eliot
Viene dagli Stati Uniti d’America da una famiglia puritana che non appartiene al cosmopolitismo europeo. È
il primo a muoversi in Europa, si trasferisce a Londra con l’idea di diventare scrittore. Capisce che per
essere uno scrittore come dice lui deve restare a Londra. È in contatto con le figure intellettuali del periodo
come Joyce che gli manda parti dell’Ulyesses. I testi di Eliot hanno tutti un forte legame con il passato. Eliot
sente l'esigenza di trovare altre fondamenta per la scrittura: vuole rifondare la letteratura e quindi
l’espressione della cultura occidentale. Attribuisce alla scrittura la stessa importanza di scoperte
rivoluzionarie. Si fa portavoce di un rovesciamento degli automatismi del Romanticismo. Secondo Eliot
bisogna distinguere tra patriottismo, che è quello del Risorgimento che tende a unificare sotto un’autorità
un popolo, e nazionalismo, che tende ad imporre una finta ideologia costruita per interessi economici e
territoriali per il mantenimento del potere.
È considerato il più grande poeta del modernismo. È il creatore del correlativo oggettivo: una tecnica
attraverso la quale si può esprimere un’emozione, bisogna trovare una serie di oggetti o concatenazione di
eventi che possano trasmettere una particolare emozione. Non viene nominato quel sentimento ma ci si
limita a descrivere qualcosa in modo oggettivo in modo da forzare il lettore a percepire quello che lui
intende come emozione. C'è il monologo interiore di Joyce che viene perfezionato e gli dà una portata più
ampia; abbiamo l’esplorazione dell’attimo che viene tempo-dilatato e che apre voragini nella coscienza: è
una memoria più emotiva. L'autore tende a non isolarsi dal mondo ma anzi ci vive dentro e ci interagisce
con una certa sensibilità dell’artista; c’è un percorso di maturazione e consapevolezza.
Eliot dopo aver letto l’Ulysses scrive una lettera ad Ezra Pound in cui dice che non vuole più scrivere nulla
perché Joyce aveva già scritto tutto. Lui lo dissuade perché c’è una sfida: bisogna fare in poesia ciò che
Joyce ha fatto nella narrativa. Pound revisiona l’opera e taglia tutta la prima parte che parla di un naufragio
sul New England di un personaggio ispirato all’Ulysses. Pound sistema le parti del testo riferite alla
tradizione orientale e culturale occidentale; gli boccia anche l’epigrafe di Conrad perché non lo ritiene
all’altezza della situazione e gli dice di usare una citazione del “Satyricon” di Petronio. L'epigrafe viene dal
“Satyricon” di Petronio con la storia della Sibilla: personaggio mitologico chiuso in un’ampolla dopo che
Apollo le chiese di esprimere un desiderio; lei rispose di volere l’immortalità ma non specificando di
chiedere anche l’eterna giovinezza. Così negli anni diventa sempre più un essere minuscolo, chiuso poi in
un’ampolla (è la vendetta di Apollo perché la Sibilla non cede al suo corteggiamento). Chiederà di morire e
questa è un’importante chiave di lettura per The waste land.
Eliot scardina la tradizione attraverso due strategie. La prima consiste nell’impersonalità lirica:
nell’impersonalità il personaggio non deve esprimere sé stesso, non conta l’intensità del sentimento ma
l’intensità del processo di azione di quel sentimento; forma e contenuto non sono quasi la stessa cosa. Non
c’è un io che rivendica le parole, non ci dice niente della sua visione del mondo. La seconda strategia
riguarda i monologhi drammatici ripresi da autori come Robert Browing (la cui poesia famosa è “l’ultima
duchessa”) e il modello di lui è Shakespeare con i momenti in cui il personaggio si rivolge al pubblico. Altro
modello è Dante, infatti sono molto importanti i monologhi danteschi.
The waste land
Eliot comincia a lavorarci nel 1919 e la concluse nel gennaio 1921 ma pubblicata nel 1922. È divisa in 5
sezioni e si svolge nell’arco di 12 ore:

1. “the burial of the deaths”, la sepoltura dei morti nella liturgia inglese. Lo stile è alto. Abbiamo il
rovesciamento di aprile come mese crudele perché è il momento in cui avviene lo scongelamento
della terra dall’inverno e ricomincia il ciclo vegetativo della natura. È il mese più crudele perché non
è più possibile riprendere il ciclo di rinascita; c’è la difficoltà delle radici di portare nutrimento, linfa
vitale. Il topos di aprile visto come mese dolce perché associato alla Pasqua e alla primavera, è
rovesciato. Il mese è accusato di tentare ogni anno di riavviare il ciclo vegetativo, di rinascita di una
terra felice di essere morta, assente a sé stessa. Mescola la memoria, che affonda le sue radici nel
passato, e il desiderio, che è una spinta verso il futuro. Memoria-radice/desiderio-pioggia
primaverile. Questo crea un movimento unitario, tenta di unire i vari frammenti e cerca di
congiungere la tensione su vari piani della natura secondo i rituali della fertilità e i culti della
vegetazione. C'è un contrasto ironico della modernità: i cicli che non si ravvivano sono una
riflessione non dolo sociale ma anche letteraria sul ruolo della letteratura che sembra diventare
futile perché non riesce a risvegliare la coscienza sociale e intellettuale; e c’è un rovesciamento dei
versi di Chaucer. C'è un registro molto importante quello biblico e scritturale. “Un mucchio di
immagini rotte, disfatte” è un verso molto importante che indica che la realtà non è come la si vede,
abbiamo l’immagine della guerra dei morti. È presente una chiave metapoetica, il verso ha un
valore formale e contenutistico perché racconta la condizione dell’uomo contemporaneo. C'è anche
una versione decaduta e commerciale delle figure poetiche. C'è madame Sosostris che fa il
monologo drammatico in cui nomina il marinao fenicio della quarta sezione; abbiamo una citazione
della Tempesta di Shakespeare e di Baudelaire abbiamo “unreal city”. City in inglese è città ma
anche toponimo che indica il distretto finanziario di Londra che ha una giurisdizione a parte. In quel
periodo Eliot si sta occupando dei debiti della Germania e ne è preoccupato perché il trattato di
Versailles la penalizza molto. Eliot diventa una sorta di profeta e percepisce in maniera apocalittica i
pericoli che l’Europa sta correndo dopo la guerra. Nell'ultima parte della sezione si parla dello
sciamare dei pendolari verso la city. (Citazione Francese). Questi pendolari sono figure tra la vita e
la morte che vengono associati ai dannati dell’inferno dantesco, sono automi privi di umanità
(l’inferno dantesco qui è la metropoli contemporanea). C'è un dialogo con il quale ci spostiamo a
Milazzo durante la battaglia che serve a Eliot per evocare le battaglie tra romani e Cartaginesi
quando in seguito alla guerra con i romani, i cartaginesi non ebbero la possibilità di negoziare a
causa delle condizioni detta duramente dai romani che sparsero del sale per rendere Cartagine
inabitabile. Dal punto di vista storico c’è un riferimento alla battaglia di Gallipoli in cui perse la vita
uno dei cari amici di Eliot che morì in acqua.
2. “A game of chesse”; lo stile è sontuoso contrapposto allo sterile contesto di riferimento. È parte
piena di personaggi femminili tra cui Filomela (la donna è il primo motore del ciclo vitale, è lei che
partorisce la vita). Tereo sposa Procne la quale chiede di poter veder la sorella Filomela, quindi
Tereo parte e la va a prendere. Lui se innamora e la violenta in un casolare dove la rinchiude.
Filomela minaccia Tereo di raccontare l’accaduto e lui le taglia la lingua. Filomela decide quindi di
tessere una tela sulla quale racconterà la storia e che fa ricevere alla sorella Procne. Procne la
salva e si vendica uccidendo il figlio e dandolo in pasto al padre. È curioso come le due sorelle si
trasformino in una rondine e un usignolo, mentre Tereo in un'upupa. Eliot costruisce una figura della
donna come lussuriosa, quindi l’atto dello stupro è quasi giustificato. Poi c’è un dialogo tra due
personaggi che fa intendere un rapporto di crisi con un interlocutore muto e pertanto ci troviamo
difronte alla vana ricerca di un contatto siglando l’impossibilità di uno scambio comunicativo. C’è sia
rimprovero che richiesta e c’è un riferimento alle trincee e quindi torna l’incubo della guerra. C'è
l’impossibilità di fare qualcosa; uno fa le domande ma l’altro non risponde e perciò c’è un incalzare
di domande. E c’è l’incapacità di oltrepassare la condizione traumatica che vive l’interlocutore che
risponde citando la Tempesta di Shakespeare. Anche qui abbiamo il tema della morte per acqua
con la figura di Cleopatra che appare sull’acqua e che si conclude con la donna vittima di
istigazione al suicidio.
3. “The fire sermon”; qui cambia atmosfera. C'è una descrizione della città di Londra senza
vegetazione e inascoltata. Non è un’immagine vitale. Il Tamigi, fiume pieno di rifiuti e con l’acqua
che non scorre più, è il fiume dal quale sono andate via le ninfe e porta il ricordo delle notti d’estate.
Le ninfe che non ci sono più rappresentano gli scarti della società del passato. È un’atmosfera
invernale. Entra prepotente l’immagine del pescatore che rimanda all’idea cristiana e religiosa della
pesca, è una figura che si è degradata nella società contemporanea. Questa degradazione
corrisponde ad una incapacità di procreare e riprodursi. Molto probabilmente è stato influenzato
dalla musica di Stravinskij, infatti qui troviamo il suono della corrente e lo scrocchiare delle ossa. La
dissonanza si crea a livello di contenuti. Tiresia è la parte centrale della sezione, è un indovino.
Colpì con un bastone due serpenti che si stavano accoppiando e per questo viene punito e
trasformato in donna. Anni dopo si trova in una situazione simile e picchia altri due serpenti e torna
uomo. Sull'Olimpo c’è una discussione tra Zeus e la moglie su chi prova più piacere, se l’uomo o la
donna, e chiedono a Tiresia perché ha vissuto come entrambi. Lui dà ragione e lei lo cieca, mentre
Zeus gli dona la veggenza e diventa indovino. Tiresia vede un accoppiamento del poemetto di Eliot,
tra una dattilografa e un agente immobiliare. Lui assale lei e dopo aver consumato un rapporto che
lei non voleva se ne va, e lei come se nulla fosse si sistema con mano automatica e accende il
grammofono, che rende sterile e arida l’esperienza dell’ascolto della musica dal vivo e per questo
motiva Eliot lo detesta perché secondo lui ci estingueremo per noia. L'indovino vede la sterilità dei
sentimenti contemporanei. La sterilità è materiale e spirituale allo stesso tempo: dopo la
devastazione della prima guerra mondiale non è solo la terra ad essere distrutta ma anche le
relazioni sociali sono ridotte a incontro animalesco e fugace.
4. “Death by water”; qui si fa riferimento a qualcuno che guida la nave, la porta avanti e guarda verso
il futuro. C’è il marinaio fenicio che è annegato in mare: “ricorda un morto” è un richiamo a
riconoscere ciò che è stato, è un invito a non dimenticare e a non guardare altrove, non si può far
finta di non vedere ciò che si sta sgretolando.
5. “What the thunder said”, dove c’è un ritmo incalzante, ossessivo e angoscioso, cambio stilistico.
Non c’è varietà di voci ma c’è solo la prima persona plurale. C'è un forte riferimento alle capitali
della storia occidentale. Il testo termina con un’invocazione finale alla pace, quasi come una sorta di
risoluzione che anticipa la conversione di Eliot all’anglicanesimo. C'è un riferimento alla leggenda
indiana del tuono. Ci sono tre temi: il viaggio dei discepoli verso Emmaus, avvicinamento alla
cappella perigliosa e la discesa verso la decadenza della civiltà europea centro-orientale. C'è un
viaggio angoscioso nel deserto che sembra ricordare la Bibbia con il vecchio testamento e inoltre il
sacrificio di cristo deve ridare forza vitale alla ripresa dell’umanità. La funzione dell’io non è più
multipla ma riguarda l’attore che fa una ricerca e con grande tensione si dirige verso la meta, passa
per il deserto simbolico e vede davanti a lui il panorama della storia contemporanea. Lo speaker ha
assunto varie maschere, si è identificato con vari personaggi, ma alla fine viene allo scoperto per
invocare la pace che va al di là fi qualsiasi forma di comprensione.
I temi ricorrenti sono l’alienazione sociale, urbana ed esistenziale; il personaggio si frantuma e con sé
l’ambiente in cui è inserito. Non sembra ci sia una struttura coerente a primo impatto: parla dell’io,
dell’esperienza, del tempo, della comunicazione stessa, in maniera frammentaria. Il metodo compositivo è
razionale e dialogico sia a livello intertestuale che intratestuale. Quello che più interessa Eliot è mettere in
rapporto soggetto/oggetto, presente/passato, realtà/mito.
È pubblicata quando Eliot ha già una buona reputazione di poeta; è un’opera scritta in un momento difficile
della sua vita in cui la moglie era sempre più malata e lui era in cura da uno psicologo per crolli emotivi. Il
suo testo avevo il fine di una cura personale, puntava a un fine terapeutico. Era alla ricerca di un antidoto
contro la disperazione. Era la dichiarata conversione alla fede dell’anglo-cattolicesimo.
Il titolo è un molteplice metafora perché è contemporaneamente una terra guasta, privo di vita, sterile e
mortale, come quelle dei poemi epici medievali che i cavalieri devono percorrere per arrivare al sacro Graal
(gli antichi miti e riti della fertilità costituiscono l’impalcatura dell’opera). La storia del Graal racconta di una
terra devastata da una maledizione poiché il suo re è malto e impotente. Per risanare entrambi è
necessario ritrovare il Graal in cui dovrebbe essere raccolto il sangue del Cristo morente. Solo il cavaliere
puro può raggiungere questa coppa e salvare la terra desolata (quello che colpì Eliot è l’analogia di miti
pagani e leggenda cristiana; ed è metafora del mondo moderno: contrassegnato dalla crisi e dalla sterilità
della civiltà occidentale. TWL è la terra invernale in cui sembra chiudersi il ciclo della vita, il cui arresto
devo essere esorcizzato ritualmente affinché torni la primavera fecondare la terra. La metafora può
riguardare più e varie epoche perché ogni epoca è diversa ma tutte seguono lo stesso schema di morte e
rinascita, decadenza e rinnovamento. L'opera racchiude tutte le fasi buie di una universale vicenda ciclica.
Ma rinascita e rinnovamento possono esserci solo se la terra non è completamente guasta.
Le prime tre sezioni ci presentano la rivisitazione della terra desolata in chiave ironica con il paradosso e la
parodia. L'ironia è data da una continua alternanza delle funzioni del linguaggio, contrasto a fine parodico
dei registri linguistici, contrappunto tra mito e storia e uso si simboli e schemi mitici. La quarta fa riferimento
ad un destino di morte e la quinta profila un’apocalisse collettiva in cui l’individuo deve mettersi in gioco alla
ricerca di un senso, di un messaggio.
La lingua usata è fatta di starti, non è facile. C'è una commistione dialogica, questo sottolinea che il tempo
non è più passato ma contemporaneo. Mancano delle transizioni logiche, non c’è un filo logico, cambia con
una combinazione che avviene tramite blocchi metrici o tra unità legate più al significato. La struttura è di
ordine sia strutturale che mitico-antropologico. C'è un’opposizione tra metodo mitico, che consegue una
forte entropia e fornisce allo scrittore uno strumento adatto a dare senso e forma al panorama di immensa
futilità e anarchia della storia contemporanea (Eliot vuole mettere in rapporto soggetto/oggetto,
presente/passato, realtà/mito), e metodo allegorico, che consegue un movimento di cui è attore lo speaker
dell’opera. A volte si parla in tedesco e in altre lingue; è un testo che mescola più tradizioni e culture e che
inserisce sempre più informazioni attraverso le citazioni e le note che dovrebbero semplificare il discorso
ma che invece non fanno altro che aggiungere informazioni che non hanno alcun legame tra loro perché
vengono citati personaggi come Shakespeare, Buddha, greci, autori barocchi ecc. È un nuovo modo di
scrivere perché Eliot sostenere la cultura occidentale.
Eliot introduce delle note al testo, sono delle note che dibattono sulla questione e ne dà una sua
interpretazione; sono lette come chiavi per scovare ellissi, aprono delle porte di interpretazione a questo
testo costruito su una contrapposizione di elementi. Sono indispensabili se servono a far comprendere
come i testi si costruiscono su altri testi in diversi contesti: è questa la complessità del testo e le note
svelano questa struttura. La questione è nell’uso che si fa di quelle che note. Inizialmente quando the
Waste land fu pubblicato come libretto era privo di note e quindi l’opera si presentò molto corta, perciò la
rivisitò aggiungendo delle note che acquisirono quasi più importanza rispetto all’opera iniziale. Le note
hanno stimolato l’interesse sbagliato da parte dei ricercatori; Eliot ci mette in guardia sull’andare a caccia di
cose sbagliate. È più importante entrare nel testo che nelle strutture di esso. Parla di una crisi quest’opera.
C'è questo inverno dal quale non si riesce ad uscire e nel quale sembra che il ciclo della vita non possa
ricominciare, non può rigenerarsi. La terra assume connotati diversi perché viene associata alla terra
moderna, è irreale e scollata dalla realtà dalle persone che non vedono perché non hanno nulla dentro.
Questo testo vuole fare di questa illustrazione una rappresentazione di vita e vuole arrivare al lettore e
mostrare come si può ritornare ad una vita in armonia nella quale ricomincia il ciclo vitale della natura.
Questo si collega alla sua idea letteratura moderna che non suscita più riflessioni, emozioni e azioni; è fine
a sé stessa. Non tutta l’arte deve essere militante. L'arte asservita alla politica diventa propaganda e non
c’è nulla di più fastidioso. È la ricerca, la tenzione verso la ricerca che crea il movimento e stimola il
pensiero.
Tiresia è la figura più importante del poema, è uno spettatore ed è colui che può punire tutto il resto. Vede
con l’occhio del profeta perché gli occhi di chi vede nel presente sono riempiti così tanto di materia e
sostanza che paradossalmente non vede; ci sono così tante cose che non si riesce ad individuare quella
vera. Tiresia ha già patito, è in una condizione che dovrebbe essere la consapevolezza di chi comprende la
sintesi oltre l’antitesi. Infatti il poemetto si costituisce di antitesi slegate da altre questioni ma che trovano
consapevolezza nel lettore attraverso un processo di sintesi. Tiresia sottolinea l’aspetto della vecchiaia
come una prova di aver vissuto il fondo dell’esperienza umana.
A Zanzotto viene chiesto come mai la poesia contemporanea è così difficile da capire. Dice che sia
l’articolo di giornale che la poesia usano lo stesso strumento (la lingua, anche se in modo diverso), mentre
per cose come l’arte e la musica si usano altri tipi di strumenti. La comprensibilità deve essere immediata
nell’articolo di giornale, per la poesia ci sono elementi ritmici e fonici. Usa la metafora della corrente che
attraversa il filo e non lascia traccia quando arriva alla lampadina e lascia un messaggio luminoso. I fili
grandi creano l’articolo di giornale, i fili piccoli fanno sì che la luce ci metta un po’ di più ad arrivare, quindi
la corrente di sforza e genera una luce che è la poesia; per capirla è necessario uno sforzo. Lo sforzo è ciò
che è importante per generare qualcosa di nuovo.
Nel saggio “Ulysses, order and myth” Eliot definisce l’Ulysses come la più importante espressione che ha
trovato l’età contemporanea, è un libro a cui tutti sono debitori e dal quale nessuno può sottrarsi.
Eliot parla di fasi di avvicinamento al testo, che sono tre: 1. è quella in cui si rimane in contemplazione di
fronte all’opera d’arte, è un momento di contatto emotivo; è una fase che viene prima che la poesia/opera
d’arte sia compresa, prima che possi sotto un’analisi intellettuale. Qui il critico assomiglia al poeta: il critico
non sta pensando e l’artista parte da una base emotiva, la vicinanza tra i due è legata dall’emotività. 2. è
quello che viene chiamato “recovery”, ci si riprende dal turbamento emotivo, qui c’è il momento epifanico
(momento fortemente emotivo, dominato dall’inconscio e che non passa per la riflessione intellettuale), ciò
che ci ha colpito si fissa nella mente. 3. è la fase della “speculation” in cui si cerca di fissare in leggi quella
che è l’esperienza personale e in cui c’è il commento e la sistematizzazione storia e teorica, è un momento
critico. Bisogna seguire ordinatamente queste fasi, è un movimento univoco. Per Eliot il metodo migliore è
essere molto intelligenti: è caratterizzato da uno snobismo, da un dogmatismo intellettuale.
Analizzando e leggendo TWL bisogna considerare anche la posizione di Eliot come critico. Nelle opere
critiche, secondo Eliot, nessuno ha saputo comprendere il significato e l’importanza del metodo usato da
Joyce né tantomeno di cogliere il parallelo che Joyce fa con l’Odissea, oppure l’uso di stili e simboli propri
di ogni sezione; ci si potrebbe aspettare che questo sia il principale motivo di attrazione, in realtà Eliot lo
definisce come una sorta di impalcatura per sostenere una storia realistica, che aldilà di questi elementi
narrativi, non sembra avere alcun interesse per questa struttura così completata. Parla di chi non aveva
apprezzato o chi aveva fatto delle osservazioni con cui Eliot non era d’accordo; Eliot espone le
osservazioni del critico, non generalizza, man mano riprende dei passaggi e cerca di mostrare come a suo
avviso il problema in queste persone sia che non hanno gli strumenti critici per capire e far loro e
commentare onestamente l’Ulysses di Joyce. Eliot spiega anche come Joyce tratta la classicità
dell’Odissea: la rende viva, inoltre afferma che non conta se non può essere più chiamato romanzo. Il
romanzo non è la forma ma l’espressione di un’età che non aveva sufficientemente perso ogni forma per
sentire la necessità di qualcosa di più rigoroso.
Uso che Joyce fa del mito, in questa manipolazione del continuo parallelismo tra antichità e
contemporaneità: Joyce sta perseguendo un metodo usato in senso artistico per costruire un testo, che
secondo Eliot altri debbono seguire dopo di lui (dovranno utilizzare questa scoperta, se vorranno fare un
avanzamento nella conoscenza).
Anche Eliot si confronta con una metodologia teorica (della critica). Rifarsi alla metodologia e alle scoperte
di altri permette di controllare, ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità, di
anarchia della storia contemporanea; ci dà degli indizi in merito alla visione dell’autore del mondo, un
mondo pieno di futilità e anarchia. Eliot parla della sostituzione del metodo narrativo con il metodo mitico;
anche la psicologia contribuisce.
La predilezione per il metodo mitico riguarda un modo di avanzare contro la modernità, è un modo per
permettere all’arte di attecchire nel mondo moderno, per raggiungere ordine e forma: Eliot ribadisce
l’importanza di questo metodo in sé, ma lo allarga verso l’umanità. È un metodo che permette di ordinare la
futilità e anarchia della storia contemporanea; si tratta di confrontare ogni rappresentazione su paradigmi
letterari, mitici e antropologici. Il testo si costruisce su altri testi.
Il penultimo verso tratto dalla Spanish Tragedy, una delle famose ‘revenge tragedy’, tragedia di vendetta,
smorzata dal richiamo alla pace e alla serenità, al controllo di sé stesso, pace che può essere interiore e
che rischia in ogni momento di essere interrotta, violentata, la pace è qualcosa che non si dà senza guerra
(le guerre sono indispensabili per ottenere la pace). La giustapposizione di frammenti su cui si basa il
poemetto dovrebbe fungere come monito, stimolare una volontà di fissare questo in una serenità, in una
pace, non solo letteraria-culturale, ma anche quella del periodo in cui Eliot vive. Il messaggio finale non è
positivo: non ha fiducia negli uomini, c’è una forte sensazione di vuoto e alienazione dovuto al
disorientamento dell’individuo stesso.
Cambridge companions to the waste land
McIntire sottolinea che l’opera fu classificata come “the greatest poem in English of the twentieth century”.
Roveeciò i vecchi canoni e propose un nuovo paradigma per la poetica cambiandone l’approccio. L'opera
chiede di vedere il mondo da un modo nuovo e moderno. Visto che è un’opera risalente al 1922 deve fare i
conti con la prima guerra mondiale.
Jean-.Michel Rabatè la considera come un’opera modernista del dopoguerra e non un’opera della guerra.
Eliot guarda al futuro. TWL sembra essere la risposta al drammatico periodo della guerra che ha
fortemente influito sulla vita delle persone. Le opere di Eliot si riferiscono alla difficoltà di ritornare ad una
vita normale dopo tutti i sacrifici fatti. Inoltre si sente dispiaciuto per non essere andato a combattere in
guerra.
Spencer Morrison dice che l’opera richiama l’attenzione nei processi di urbanizzazione e governamento.
L'opera illumina le sfaccettature dell’esperienza urbana influenzata dai processi governativi. E questo viene
svolto presentando un pervasivo senso di irrealtà generato dalle dinamiche dell’imperialismo e capitalismo
di massa. “Unreality” non solo contiene le rappresentazioni di urbanizzazione del poema ma è una forma
poetica, una strategia; questo crea tensione tra materialismo e astrazione.
Micheal Levenson nomina il saggio “The three voices of poetry” di Eliot in cui distingue appunto tre voci:
una del poeta che parla a sé stesso o a nessuno, una del poeta che si rivolge al pubblico, e una che è la
voce del poeta che cerca di creare un personaggio drammatico parlando in versi. Levenson però dice che
sarebbe meglio parlare di voicing piuttosto che di voci perché gli atti di parola passano troppo velocemente
per poter stabilire una personalità stabile. Le scene sfuggenti della TWL sono spesso descritte con termini
di montaggio (modello del cinema). L'atto centrale è la testimonianza. TWL rappresenta il discorso in più di
un livello, in linea con il pensiero di Eliot: la vita va su piani diversi.
Jewel Spears Brooker ci parla di una collaborazione dialettica che è avvenuta nella stesura dell’opera. Eliot
due settimane dopo la pubblicazione inviò al suo avvocato, John Quinn, tutti i manoscritti relativi alla
poesia. Il pacchetto fu diviso in due sezioni perché voleva che il materiale venisse visto in due modi diversi.
I manoscritti conservati testimoniano l’aiuto di Pound nella stesura del testo, così come la collaborazione
della prima moglie Vivien coinvolta nella genesi e nella forma del testo. TWL è il risultato di negoziazioni tra
vita e arte rappresentati dalla tensione tra Vivien e Pound con Eliot che completa il movimento dialettale.
Vivien viene vista come un avvocato di vita mentre Pound come avvocato di arte, c’è una differenza tra i
due che si capisce dal consiglio di Vivien “to be personal” e quello di Pound “to be impersonal”. Secondo
Pound bisogna escludere le remaining superfluities; il suo giudizio è fondamentale per Eliot, lo capiamo
quando gli manda per posta una nuova pagina contenente il titolo e l’epigrafe da “Heart of Darkness” di
Conrad che però lui disapprova.
Rachel Potter sottolinea che non c’è preoccupazione della differenza di genere nell’opera. Il personaggio di
Tiresia è fondamentale per la sostanza del poema. Eliot insiste sul fatto che la femminilità produce un’unità
significativa nel poema. Quindi Tiresia sarebbe l’unità del poema, ma alcuni vedono il potere del poema
risiedere nell’energia delle parti disordinate; nel legame tra unità e disordine. Il tema delle donne unite dalla
loro femminilità, dal loro genere, entra in crisi dalla diversità nella storia, nazionalità, classe, età. È stato
teorizzato che la femminilità secondo Eliot sia legata all’oscenità, una categoria che unisce estetica e forme
culturali di disordine. Perciò le femmine incarnano i conflitti culturali e politici.
Richard Badenhausen ci parla di quanto Eliot sia interessato a riportare gli effetti psicologici e i traumi
riportati dalla prima guerra mondiale. Eliot vuole esplorare il danno recato tra le relazioni uomo-donna
come un risultato della guerra, in particolar modo nell’assenza di intimità tra i due corpi che hanno subito gli
effetti della guerra in due modi diversi, così da sentirsi distanti. Eliot non ha combattuto perciò è difficile che
abbiamo inserito tanta violenza nel testo. Tiresia è come se inglobasse tutte le storie traumatiche, il fatto
che lei già sappia le ferite future non le permette di superare il trauma; la chiave per superarlo è distinguere
tra passato e presente, ma se lei sa già che soffrirà in futuro è difficile superare il presente. Questi momenti
emozionali vengono accompagnati da indifferenza. Questo impedisce al processo consolatorio di avviarsi,
quindi invece di una rilassante chiusura sembra esserci una sorta di paralisi melanconica in cui la perdita
non può essere trattata correttamente. Questo porta il poema ad essere definito come un’anti-elegia, una
rappresentazione di trauma che chiarisce la devastazione di essere bloccato emotivamente. Gli uomini
soldato che tornano dalla guerra traumatizzati non hanno la possibilità di superare il trauma perché il loro
ritorno a casa non è ospitante perché la loro famiglia non potrebbe capire l’orrore vissuto.
Gabrielle Mcintire dice ci dover guardare al titolo in maniera letterale: Eliot raffigura la città del dopoguerra,
macchiata da sostanze inquinanti, vulnerabili allo smog, disseminato di spazzatura e in un certo senso
morente. Natura e uomo sembrano essere collegati quindi TWL commenta le conseguenze culturali,
personali ed ecologiche dell’industrializzazione moderna di cui oggi risentiamo molto. Nella sua poesia la
natura, così come l’uomo, è malata.
Beckett
La sua conoscenza con Joyce risulta molto importante. Conosce questioni legate alla psicanalisi; in
particolare dopo aver assistito a una conferenza del dottor Jung rimane colpito da una questione legata a
un caso clinico che segna profondamente la sua scrittura e la visione dell’uomo e del mondo in generale:
leitmotive. Dopo la sua opera “waiting for Godot” Beckett assume molta fama: i suoi drammi saranno
sempre più corti e brevi e addirittura degli atti non avranno parole, ci saranno didascalie senza battute. Il
teatro seguirà le innovazioni apportate da Beckett dopo quest’opera. È un teatro in relazione tra la prima
modernità e in contrapposizione con il teatro dell’epoca classica.
È un personaggio molto particolare sulla scena letteraria della seconda parte del 900, scrive prima della
seconda guerra mondiale un romanzo che arriva addirittura a teatro nonostante non fosse un appassionato
della scena, lo fa per uscire dalla prosa. L'unico testo compiuto che sarà poi ripreso successivamente è
“Eleuteria”, un testo molto complicato da mettere in scena con 17 personaggi. Tra 48 e 49 abbiamo la
stesura di Waiting for Godot, in questo periodo si trova in Francia (lui è irlandese) dove studia la letteratura
e fa il lettore a Parigi e scrive i primi romanzi in francese. Abbandona la sua lingua madre perché vuole
trovare una modalità espressiva che non sia semplice, che vincoli l’autore a non appoggiarsi ad una
famigliarità di quella lingua lì; Beckett si autotraduce e facendolo cambia alcune parole e alcuni passaggi.
Usa anche parole di lingue straniere e usa parole inglesi che presentano un passaggio più difficoltoso che
ci impegnano nello sforzo di comprensione. Nella traduzione si riscopre, passa dall’inglese al francese. Ha
in comune con Eliot il grande amore per Dante che è una grande fonte per entrambi. Beckett apprezzava la
produzione poetica di Eliot ma non lo sopportava a livello umano, di persona, poiché avevano delle
ideologie diverse. Non si piacevano a vicenda ma è innegabile che vi siano dei punti di contatti come
appunto con Dante. La lingua diventa strumento da cui si forgia una realtà, e una lingua straniera è il
miglior modo per farlo. La lingua viene percepita come una maschera che deve essere tolta; questa
maschera linguistica sulla quale si creano stereotipi che non hanno poi riscontro sulla realtà deve essere
tolta e non è un caso che questo fatto sul teatro possa essere portato in modo molto più evidente.
L'intenzione è quella di distruggere delle sicurezze e degli appoggi linguistici. Vuole distorcerla, far sì che ci
sia uno scarto come c’è uno scarto tra la versione francese e inglese del testo nonostante si pensa siano
versione gemelle perché provengono dallo stesso autore.
Beckett racconta che quando ha incontrato per la prima volta Joyce non pensava che avrebbe fatto lo
scrittore, lo ha capito quando ha realizzato che non avrebbe potuto fare l’insegnante (lo capisce dopo che
si trova in estremo imbarazzo quando fa il lettore alla sorbona). Ma si ricorda che parlava dei successi
eroici di Joyce, aveva grande ammirazione per lui, era epico ciò che lui aveva ottenuto; ma si rese conto
che non avrebbe potuto seguire le sue stesse orme. Ci sono dei parallelismi tra il primo Beckett e Joyce
sulla questione della metodologia sulla ricerca continua e non solo in vista della stesura dell’opera, la
ricerca di leggere fonti primarie per trascrivere frasi, sunti, impressioni, riempiendo quaderni di appunti;
molto spesso queste riflessioni andavano dentro l’opera come fonte o come riferimento esterno. Tutto ciò
era stimolato da una curiosità e interesse intellettuale per scoprire questi testi che studiava. Questa
modalità è chiamata grafting technique (tecnica dell’innesto, dell’inserimento) da Dawson. Un'altra
caratteristica è quella di introdurre degli echi che possiamo definire come risonanze, come se fossero dei
motivi musicali che tornano in chiavi diverse, in note differenti: il tema della salvezza per esempio torna
sempre in modo diverso e questo ha a che fare con i toni della musica (ripreso da Joyce). Se da una parte
Beckett apprende molto da Joyce, Beckett crea comunque una sua qualità, delle proprie caratteristiche.
Bisogna ricordare che diventerà amico con Pinter e quest’ultimo gli manderà sempre le opere teatrali che
scrive per avere un’opinione. Si conoscono di persona nel 1960 quando Pinter mette in scena a Parigi “The
caretaker” ma lui già nel 1954 gli aveva mandato una lettera in cui definisce il mondo una “palla di letame”
come fa Krapp. Il suo mondo è coerente, non lo prende in giro e soprattutto gli dà tutto, non richiede uno
sforzo intellettuale nella lettura del testo e non vende una morale. In Pinter la memoria è importante perché
riduce la distanza mentre in Beckett no.
Dalle sue opere potrebbe sembrare un autore triste ma non lo è: cerca di mostrare senza filtri e maschere
l’esistenza, inserendo sempre un briciolo di speranza (Godot non arriva ma si resta sempre lì ad
aspettarlo).
Dal momento che l’Irlanda era un paese neutrale durante la guerra e Beckett era irlandese avrebbe potuto
evitarla ma decide di andare in Francia a guidare le ambulanze.
Aveva un legame con l’arte e in particolare con Krapp. Si riferisce all’arte fiamminga per avere degli effetti
di luce con il proiettore.
Waiting for Godot
L'opera ci fa pensare all’attesa di una persona. C’è qualcosa che ha che fare con la dimensione temporale
e la speranza di un incontro. Qui c’è già un paradosso: l’attesa è sempre riguardo a qualcosa o qualcuno,
ma se l’aspetto vuol dire che questa cosa o qualcuno non c’è. L'attesa è sempre vincolante per chi aspetta
perché non permette di vivere nel futuro perché bisogna aspettare e quindi allontana un passato da quale
si fa sempre riferimento per trovare un sostegno per un presente che sembra essere eterno. Questo è un
presente mitologico, ovvero un presente che sembra essere presente da sempre. Il presente mitologico è il
tempo in cui sono sospesi i personaggi di WFG. Ci sono elementi legati a Eliot e al purgatorio di Dante e lo
possiamo notare perché uno dei personaggi di Beckett riprende il purgatorio dantesco (e il purgatorio è il
luogo d’attesa delle anime che devono aspettare che i loro peccati vengano espiati).
È un testo scritto abbastanza rapidamente, tra 48 e 49, lo scrive in francese e senza stesure preliminari per
staccarsi dalla prosa di quel periodo in cui si sentiva incastrato. Viene messo in scena nel 52 in Francia ma
faticò molto a trovare qualcuno che lo mettesse in scena. Riesce a coinvolgere però l’importante attore e
regista Roger Blin.
WFG è un testo particolare, non ci sono descrizioni che aiutino a capire chi sono questi personaggi
(Vladimir ed Estragon), sa solo che indossano una bombetta. Non li vede ma li sente perché sono sospesi
in questo presente eterno e quindi l’unica cosa che possono fare è parlare in continuazione. Il lettore che si
trova a leggere WFG si trova spaesato perché non ci sono dettagli sull’ambientazione e nemmeno sul
tempo in cui ci si trova: sembra la terra di nessuno, desolata. Beckett però compensa questa mancanza di
dettagli ponendo molta attenzione alle pause, ripetizioni e a delle battute che rimandano ad una ricerca che
risiede nella musicalità e nel ritmo. È definita un’opera antiteatrale soprattutto a causa del titolo in cui Godot
è svalutato difronte all’attesa: i personaggi non sanno chi sia Godot e non conoscono nemmeno il motivo
per cui debbano aspettarlo.
Il sottotitolo nell’edizione inglese è “Waiting fo Godot, a tragicomedy in two acts”. La tragicommedia è
un’opera drammatica, un dramma che va verso la commedia o la tragedia a seconda di come si deve
concludere l’opera. Il primo a parlare di tragicommedia fu Plauto. L’opera è una commistione di generi, ci
dà l’idea di un qualche cosa che cerca di scardinare una tradizione, per evitare una ripetizione di una
tradizione letteraria.
In WFG la desolazione come in the waste land è l’unica risposta in quanto non c’è più la possibilità di
rinascita o rigenerazione. La terra desolata è l’esistenza tragicamente vuota in cui agiscono i personaggi
che mandano il messaggio che l’esistenza umana non ha più senso e si sfocia perciò nell’assurdo. I
personaggi faranno non a caso delle lunghe pause che rappresentano la desolazione, e non staranno mai
soli perché la solitudine si lega all'angoscia e alla desolazione. Dal momento che l’opera è una
tragicommedia, sarà proprio la risata a sottrarre i personaggi da questa condizione, e non il nichilismo o il
suicidio perché Beckett non crede sia un atto autentico per definire il destino proprio. Si parla di una storia
umana inevitabile.
I temi presenti non sono nuovi ma vengono solo rivisitati. Abbiamo: 1. il tema del passare del tempo che
viene affrontato in due perché da soli non ci si riuscirebbe e in questo modo il tempo passa più
velocemente. 2. tema del tempo, Estragon e Vladimir fanno riferimento ad eventi del passato che non
corrispondono al presente; questo tema rimanda ad un saggio che Beckett scrisse su Proust in cui
distingue un mostro a due teste, una è la dannazione e l’altra la salvezza; sono due possibilità
contrapposte e i personaggi sono intrappolati in questa condizione del tempo in quanto se ieri si aveva un
pensiero, oggi quel pensiero non è più lo stesso perché l’ego del passato non appartiene all’ego del
presente. Si cambia, quindi l’identificazione del soggetto con l’oggetto del suo desiderio non è più attuabile.
3. il tema della memoria volontaria, dove si distorce la realtà di ieri e la si ricorda immaginandola un po’. 4.
il tema della salvezza e della speranza di ritrovare la serenità al di fuori del tempo perché quello perduto
ormai è perduto e l’attesa diventa un atto di fede. 5.tema dell’abitudine che lega il genere umano alla
propria esistenza ed è qualcosa di prevedibile. 6., tema dei tic con i quali si cerca si sfuggire dall’oscurità
della realtà, si vuole controllare una realtà ansiogena che ci pone difronte a situazioni imprevedibili. Il
rimedio a questa vita che oscilla tra sofferenza e noia è la memoria involontaria. L'amicizia è fondamentale
per non annoiarsi ed è quindi una necessità.
I personaggi portano avanti discorsi frammentati, riproducendo l’assurdità e l’illogicità del mondo. Usano
gesti ripetitivi, eseguiti come una sorta di tic, è una ripetizione ossessivo compulsiva di una serie di gesti
compiuti in momenti di crisi e difficoltà. L’immagine di due vagabondi posti in un luogo isolato è ripreso da
un dipinto di Friedrich “Due uomini davanti la luna”, e di fatto la luna in WFG sarà importante con la sua
luce, ma lo sarà ancora di più in “Krapp’s last tape”.
Estragon (Gogo) è più evasivo nelle risposte ed è più legato alla terra (per il continuo rimando agli stivali e
ai piedi). È più intuitivo che intellettuale, non specula sulle cose ma le presenta.
Vladimir (Didi) ha tendenze intellettualoidi, è preoccupato sempre di essere e esistere. Il continuo rimando
al cappello è legato al pensiero.
Pozzo è un uomo di potere e sicuro di sé. È caratterizzato da un ottimismo miope e un potere illusorio. Ha
un rapporto servo-padrone con Lucky, dove Pozzo è il padrone. È presuntuoso. È il personaggio che
subisce di più la maledizione del passare del tempo.
Lucky: è come un cane tenuto al guinzaglio. Il rapporto che ha con Pozzo è come un rapporto mente-
corpo. Sembra la versione grottesca dell’intellettuale e accademico.
Godot potrebbe rappresentare la società, il mondo esterno e la libertà. Se Godot fosse arrivato avrebbe
significato per loro una delusione. Per Didi e Gogo rappresenta la salvezza.
Il primo atto è caratterizzato subito dall’impossibilità di uscire dal mondo e anche sull’aspetto metateatrale i
personaggi riflettono su sé stessi. La didascalia è molto semplice che ci racconta che cosa sta succedendo
sulla scena. Estragon cerca di togliersi una scarpa ma non ce la fa e c’è subito un’esclamazione di
sconfitta. Entra Vladimir, la cui camminata è un po’ clownesca, impacciata. Estragon si accorge solo dopo
che c’è Vladimir. C'è subito un qualcosa che si ripete e questo qualcosa si ripete molto spesso e in maniera
quasi uguale con poche variazioni. “Am I” apre una domanda ontologica, io esisto? C'è una crisi, c’è una
percezione della presenza di sé in quel momento lì ma mancano dei riferimenti. A livello di scambio
dialogico è come se si muovessero come se fossero legati ad un elastico, si allontano e si avvicinano come
una fisarmonica. Entrambi hanno bisogno della presenza dell’altro. Sono una coppia ma non una coppia
vera che rimane vera, sono una pseudo coppia perché stanno insieme solo perché ne hanno bisogno,
hanno bisogno di qualcuno che li risponda altrimenti sarebbero soli, in silenzio circondati dal vuoto.
Estragon ha a che fare con cose materiale come le scarpe, la terra, anche il suo nome ha a che fare con le
cose materiali. Vladimir è quello che pensa, ha una tendenza ad astrarsi, viene associato all’aria, al cielo.
Estragon cerca in continuo di togliersi le scarpe mentre Vladimir parla. Si fa riferimento ad un passato che
però ormai è perso; da una parte fa riferimento ad un passato in cui era meglio estinguersi insieme ai
dinosauri anziché vivere così. Non servirebbe a nulla perdersi d’animo adesso, lo avrebbero dovuto fare
anni fa. C'è un presente in cui non ci si riconosce più, adesso non li farebbero più salire sulla torre Eiffel,
questo sottolinea una decadenza che si è abbattuta su di loro. Ora sono dei senzatetto che però cercano di
darsi un contegno e cercano di portare avanti questa esistenza aggrappandosi ad un passato che è
accaduto ed è un ricordo di eventi davvero accaduti di un passato personale o di un passato storico,
ovvero un passato che riguarda tutti? Beckett non ci dà risposta. Bisogna sempre porsi le domande giuste
anche se poi le risposte non si hanno. La caratteristica di Beckett è che non è sua intenzione dare una
risposta univoca a questa condizione, ma di presentarla. Presentava la condizione stessa, non parla della
difficoltà di inserimento ecc, ma lo mette in atto, lo mostra. Siamo in una condizione umana, non metafisica;
il rapporto con la divinità è centrale, infatti Godot è spesso associato a Dio perché da GOD in inglese ma
Beckett ha sempre negato questa cosa, può essere qualcosa che si avvicini a lui ma sicuramente non
combacia: non è importante sapere chi è Godot se i personaggi non lo sanno perché non è quello il punto.
Utilizzano formule tipiche di una coppia che vive insieme da tanto tempo che da una parte non si
sopportano più ma che dall’altra non possono fare a meno di stare insieme. Si percepisce la cadenza della
commedia, si scambiano le battute, c’è lo scambio di ruoli che avviene soltanto nelle commedie, ma è uno
scambio rapido e serrato. Il loro dialogo è fatto di ripetizioni, di rituali e di routine. Le idee sono rese in
modo comico, quasi clownesco, perché ci viene offerta l’immagine delle idee congelate nel cappello.
Abbiamo l’azione speculare di Vladimir con il cappello, con lo stivale di Estragon. Tutto ruota intorno a
queste due polarità, c’è sempre un movimento attraverso il quale si avvicinano ma poi si respingono
immediatamente in modo continuo.
Da subito quindi si capisce che ci si deve concentrare su cosa c’è e non su quello che manca. C’è il tema
della memoria storica, si cerca il confronto col passato e con ciò che si vorrebbe essere. C'è subito un
rimando al passato, al sentimento di rassegnazione e all’empatia nel condividere questo passato insieme.
Vladimir cita la Bibbia attraverso un riferimento alla tradizione giudaico-cristiana: si parla di un albero
spoglio che non è tanto della vita ma della morte; l’albero è spoglio così come lo sono i dialoghi e le battute
in cui cogliamo un senso di sofferenza, amarezza, angoscia e rassegnazione. La riflessione sulla
condizione umana è uno dei principali temi di WFG e della vita in generale per Beckett.
I riferimenti biblici sono in relazione in modo disparato tra loro. Ci si chiede se ci si deve pentire di essere
nati perché l’uomo nasce già con il peccato originale e quindi deve essere battezzato per espiare il
peccato, quindi per il fatto di esistere ti devi pentire. Questo sottintende il fatto che dal momento della
nascita siamo condizionati dalla sofferenza per quanto questa condizione sia illogica e irrazionale. Dalla
Bibbia Vladimir indica il nuovo testamento, i vangeli. Il ricordo di Estragon della Bibbia è un po’ infantile
perché si ricorda le illustrazioni, le cartine della Terra Santa: è un ricordo legato ad un passato remoto che
poi si sposta verso una condizione in cui si sarebbe potuti essere felici, con quella speranza che rende
languido il desiderio. Abbiamo un albero sulla scena che assomiglia a tutto men che meno all’albero della
vita perché è un albero spoglio, esile, morto.
Il passato viene evocato di continuo perché soccombere al silenzio fa paura, ma anche alla paura del
presente si fanno riferimenti al passato per riempire quel silenzio. Ma non è detto che ciò che viene detto
sia vero, può essere un’immagine idealizzata di quello che si avrebbe voluto nella vita. È una memoria
transattiva, una memoria che si attiva e che si ricostruisce grazie all’aiuto dell’altro, si cerca la conferma e
la riprova anche di un tassello mancante e questo modo di procedere è importante in un duo. Le questioni
teologiche si mescolano con questioni assolutamente mondane, pratiche, quindi le domande di Gogo
aiutano ad andare avanti per non annoiarsi.
Dicono in continuazione che devono andare ma poi restano immobili. Il linguaggio ha un mero scopo
riempitivo in quanto non incide sulla realtà, però ha una funzione fatica, ovvero una modalità di
comunicazione nel quale non vi è una reale interazione ma viene svolta solo per affermare che non si è da
soli ma c’è qualcun’altro con cui si può dialogare. Il discorso non va oltre il primo contatto. Si parla tanto per
parlare perché li mette sicurezza. Al linguaggio senza scopo si aggiunge la circolarità che ritorna; è un
testo che non si chiude. Il fatto che il giorno dopo ritroviamo la stessa scena è un elemento metateatrale.
Ciò che ci fa capire che i personaggi sono sempre lì è lo scambio di battute, la ritmicità, l’assonanza e la
sticomitia. Il contatto tra di loro è più importante che cercare di capire chi sia Godot realmente.
Didi prega Gogo di continuare il discorso e di rispondere almeno una volta ogni tanto. C'è una riflessione di
Beckett su una frase di Sant’Agostino “non disperare uno dei ladroni fu salvato, non essere presuntuoso”,
si riflette sulla tensione tra salvezza e dannazione. Godot potrebbe essere la salvezza, ma di cosa?
Dell'inferno? Della morte? Non coincide con l’idea cristiana perché dopo la morte se sei stato un buon
cristiano andrai al paradiso. La chiusa di Gogo rispetto a Didi ci dice che la gente non è altro che una
massa di scimmioni ignoranti, questo riferimento ai primati ci fa venire in mente a Darwin con l’evoluzione
della specie. C'è questa situazione che in cui si può passare da un argomento all’altro senza un apparente
motivo. Si tiene questa tensione di divario tra un ladrone salvato e uno condannato. La questione diventa
una cosa statistica perché ci si chiede perché uno dei due ladroni è salvato e l’altro? Perché esiste la
questione di caino e Abele? Se ci fosse solo la dannazione o solo la salvezza sarebbe tutto più chiaro, ma
visto che entrambe coesistono la situazione diventa inesplicabile. La questione tra luce e ombra, buono e
cattivo, è una questione manichea. La statistica ci dice che 1 su 4 degli evangelisti parla dei due ladroni,
quindi la statistica si abbassa, gli altri lo accennano e basta; Vladimir esagera nel dire che due di loro non li
menzionano affatto, ma solo Luca parla di salvezza. Da questa percentuale che prima si pensava fosse del
50% (per la salvezza) si abbassa e quindi la questione della salvezza garantita dalla fede si indebolisce
molte. Non c’è più una equa possibilità tra bene e male, sembra prevalere la dannazione. Fa male solo un
piede perché forse Beckett porta ad un piano più basso questa questione: solo un piede verrà salvato
mentre l’altro verrà condannato. I ladroni non verranno citati di nuovo esplicitamente nel testo ma questo
elemento di avere una possibilità di grazia rimarrà un tema centrale. Questo crollo delle certezze su cui si
era fondata la civiltà occidentale vacilla a causa delle nuove scoperte scientifiche, lo scisma, ecc...
Vladimir si spinge verso il proscenio e gioca con la tradizione teatrale elisabettiana e dice a Estragon di
andare ma lui risponde che stanno aspettando Godot. Abbiamo un gioco linguistico e formale, c’è un rapido
scambio di battute per dare un ritmo alla narrazione per accelerare la scena, devono ribadire che stanno
aspettando Godot. L'avanzamento della conversazione avviene su un legato ad un’osservazione empirica
legato all’avanzamento dell’azione che si trova difronte a loro. Abbiamo la procrastinazione della speranza,
se Godot non arriva oggi loro torneranno domani nello stesso posto. Non ricordano cosa hanno fatto ieri,
hanno una percezione del tempo molto relativa. Abbiamo un riferimento metateatrale quando dicono che
anche ieri erano in quel posto a recitare un’opera di Beckett: abbiamo un riferimento reale al fatto che c’è la
replica dello spettacolo. La similitudine tra quello che avviene nel teatro e quello che avviene nella vita
reale è un topos molto utilizzato. Estragon poi si addormenta e Vladimir lo sveglia, non vuole nemmeno
ascoltare il sogno che lui ha fatto. I sogni avvengono nella memoria molto recente quindi per i personaggi è
facile mescolare il sogno con un desiderio. Il racconto del sogno non incontra il sostegno di Vladimir, ha
paura, è per questo che non vuole sentirlo. Non possono uscire entrambi di scena e per questo c’è un
limite invalicabile. L'attesa non è sufficiente e quindi bisogna ingannare l’attesa stessa; viene proposto di
impiccarsi perché è l’unico modo per interrompere questo meccanismo dell’assurdo, bisogna smettere di
sottostare al regolamento e all’esistenza della vita. Il momento del suicidio viene visto come un momento di
eccitazione, determinato dal soffocamento. Questa pantomima che segue per far passare la corda sul
ramo fallisce. C'è il dubbio sul fatto che ci si debba impiccare o meno perché se ce ne va uno è troppo
pesante e il ramo si spezza e quindi l’altro, se il ramo si spezza, si salva e non muore. Quindi è meglio che
non facciano niente. C'è un cortocircuito tra la volontà e la realizzazione. Viene ripreso il dialogo ciclo-
mitico, notiamo sempre di più la musicalità del testo. È un testo che si nutre di sé stesso e si riproduce
continuamente. Arrivano altri due personaggi: Pozzo e lucky.
Didi e Gogo pensano sia arrivato Godot ma lo aspettano con paura perché si tengono a vicenda. Entra
prima Lucky tenuto legato ad una corda da Pozzo, è un rapporto servo-padrone. Abbiamo la questione
dell’identità, del nome, del fatto che Pozzo sia scambiato per Godot; loro stessi però ammettono che non lo
conoscono e non lo potrebbero riconoscere se vedessero Godot. Pozzo ci dice che loro due sono fatti a
immagine e somiglianza di Dio e di lui (Pozzo). C'è un riconoscimento della presenza di Pozzo che
riconosce l’essere umano creato a immagine di Dio: è un’immagine razionalista. È un richiamo alla
religione, a Gesù, al Vangelo. Pozzo e Lucky non resteranno in scena, se ne andranno mentre Didi e Gogo
resteranno sulla scena e questa è una macro differenza tra i 4. Pozzo rivendica un diritto di proprietà sulla
terra e ci dà l’immagine di una persona autoritaria, che vuole comandare. Segue un monologo di azioni che
vengono compiute, è un misto di autorità e di contemplazione del mondo. Pozzo è colui che porta la
scansione del tempo, fa continuamente riferimento allo scorrere del tempo e all’orologio. È un misto di una
persona che sembra molto urbana nei modi e di estrema durezza nei confronti del suo servo. Didi e Gogo
si preoccupano delle condizioni del servo. C'è un'insistenza dell’inevitabilità ma poi prendono atto di queste
condizioni di Lucky e pensano che forse se lo merita e che quindi questa situazione sia inevitabile.
L'indignazione di Vladimir per le condizioni di Lucky è contro bilanciata da un’azione comica di Estragon
che lo appoggia mangiando intanto le ossa di Lucky. Estragon non ha nessuna percezione dell’età e non
capisce quale possa essere l’età. Pozzo non considera Lucky un essere umano e non coinvolge Didi e
Gogo, non li ascolta nemmeno; fa i suoi discorsi pre concepiti, va in automatico senza prestare attenzione
all’altro. Vladimir vorrebbe andare via per non ascoltare i discorsi di Pozzo ma poi non lo fa per mancanza
di moto e volontà. Pozzo ha un modo di fare sentenzioso di chi si presenta con una consapevolezza della
propria autorità, ha un atteggiamento incline a considerazioni pseudo filosofiche di critica estetica. Non c’è
un dialogo di ascolto, c’è solo un passaggio di battute. Questa spiegazione assurda, apparentemente
logica di Pozzo, è frutto di una volontà parodica di questa supposta autorità di cui lui è detentore. Pozzo lo
dice, vuole intrattenere e intrattenersi con questi due personaggi che ha incontrato come se volesse
mettere su uno spettacolo davanti a loro. La compassione che provano nei confronti di Lucky è intransitiva
anche se poteva essere transitiva e spostarsi verso Pozzo. L'autorità è imposta da chi la fa, è necessaria
da chi la impone. Lucky piange, Estragon prova a consolarlo e di tutta risposta Lucky gli dà un calcio sugli
stinchi e Pozzo dice “te l’avevo detto che non gli piacciono gli stranieri”. Pozzo si fa promotore della
pragmaticità come fine, ovvero accettare questa condizione, forse anche Lucky ha bisogno di un padrone?
Questa è un’ampia allegoria del rapporto del capitalista, dello sfruttatore in contrapposizione al proletario,
che subisce e si accontenta di questo ruolo. Con Pozzo e Lucky cambia anche il rapporto tra Estragon e
Vladimir: Estragon mentre sanguina per il calcio di Lucky, Pozzo dice che è un buon segno perché vuol
dire che è vivo; Estragon ha paura di rimanere zoppo e Vladimir gli dice che se è necessario lo porterà lui
in spalla. Vi è una pausa e poi si rimarca il loro rapporto di coppia.
Prima che arrivasse Pozzo, Didi ed Gogo sembravano certi della loro posizione di attesa, e il suo arrivo
porta confusione sull’identità di chi stanno aspettando, se sia utile davvero attenderlo; questa retorica si
contraddice da sola e mano a mano sottrae la domanda essenziale su chi è Godot, non è più il
protagonista di una narrazione realistica e nemmeno il centro di una allegoria coerente, esce un po’ fuori
da queste definizioni Godot, è sempre di più un’idea, un concetto, si astrae sempre di più questa identità, è
più una promessa che quel personaggio potenzialmente realistico che avevano in mente prima Vladimir ed
Estragon, e assume sempre più connotazioni di provvisorietà. Per questo più andiamo avanti e più non è la
necessaria apparizione di Godot in termini cristiani, non vi è più una finalità ma è sempre più curioso
vedere ciò che accade nel mentre. Quindi sono sempre meno legati a questa presenza.
C'è un rapporto di dipendenza in entrambe le coppie, il rapporto pozzo-Lucky va al di là del rapporto servo-
padrone, Lucky ha comunque una sua personalità. All'interno di questi due atti il riempimento del tempo
che scorre avviene su questioni che sollevano molte problematicità di questa esistenza, il senso di questa
assurdità è di mettere in rilievo questa assurdità dell’essere. La lentezza con il quale il tempo scorre è
accomunato dal tempo mitologico sempre presente nella Waste Land di Eliot; il passato esisterà solo nel
presente perché è nel presente che racconto ciò che è successo e quindi è lì che vivrà. Questo è molto
evidente nel personaggio di Lucky che riserva delle sorprese importanti. Questa percezione del tempo è
molto labile, lo notiamo dal modo in cui Pozzo controlla l’orologio. Vladimir compara Lucky a una buccia di
banana, elemento classico della commedia. Prima si avventano contro Pozzo, poi contro Lucky, quindi vige
un’interscambialità (bisogna far passare il tempo). Ritornano a svolgere le loro azioni abituali per avere più
sollievo. La frusta che si consuma è segno di un decadimento già nominato all’inizio dell’opera. Cercano di
collegare le azioni alle parole ma non riescono mai ad andarsene via. “Adam” dice Estragon e ci si riferisce
a tutta l’umanità. Un lungo silenzio è una grande angoscia che cresce. Nei momenti di crisi più evidente è
evidente di come ci sia bisogno di riempire questi passaggi di silenzio. C'è un’ambiguità perché non viene
chiesto come Pozzo appare ma com’è stato il passo con cui si presenta. Vladimir sottolinea la sua volontà
di non essere scambiato per un mendicante. Gogo preferirebbe vedere una danza. C'è un ordine naturale:
prima si balla e poi si pensa dice Pozzo. Lucky pensa di essere rinchiuso in una lettera con il suo ballo.
Segue un modo poi di riempire il vuoto con delle parole che parlano di niente. Vladimir successivamente
chiede che Lucky si metta a parlare e vuole che si metta un cappello ma Estragon non glielo vuole dare,
Didi dice che glielo dà ma non si muove; ricomincia la pantomima. C'è un richiamo alla comicità popolare,
bassa. Pozzo sistema Lucky sulla scena. Beckett ci dà le indicazioni sulla sistemazione dei personaggi.
Lucky inizia a pensare e Beckett definisce questo discorso un’insalata di parole, una ripetizione senza fine
per non arrivare ad una conclusione e lasciare il discorso in sospeso. Il dio che nomina può essere Godot e
modula l’esistenza; è’ una figura stereotipata. Questo personal god è un’implicazione teologica molto
importante su cui ci si è dibattuti molto: postulare questa esistenza vorrebbe dire dare un fine a questa
esistenza e uscire dal tempo di questa attesa. Questo dio ci ama con grande affetto però con alcune
eccezioni di origine non nota. Le domanda che pongono Vladimir e Estragon sono lì come parodia di una
discussione su un qualche cosa che sfugge ad una spiegazione logica e lo vediamo dalla mancanza di
logica con cui discutono questa questione. Pozzo perde i colpi quando questa sua imposta autorità nei
confronti di Lucky inizia a scemare perché Lucky si perde un po’ nelle sue azioni. Pozzo prima si lancia sul
discorso del giorno che volge al tramonto e poi presenta la sua attrazione che è Lucky.
Il lunghissimo monologo di Lucky è pieno di riferimento che sembra un misto di brontolio, parodie,
allegorismi senza fondo; viene pronunciata a rotto di collo perché non ci sono punteggiature (influenza di
Joyce). Si prende gioco di una dimostrazione teologica dell’esistenza di Dio e questo fluire di frammenti ci
porta all’idea dei frammenti della waste Land (parodia) e espone un pensiero meccanico nel collasso di
questa civiltà occidentale che sembra essere racchiusa e parodiata. Beckett fece iniziare le prove da
questa tirata perché la considera la parte più importante. Agli interpreti (attori) disse che il tema di questo
monologo è quello di ritirarsi, rimpicciolirsi, su una terra impossibile sotto un cielo (paradiso) indifferente.
Divide il monologo in tre parti: 1° della divinità indifferente che non interviene; 2° riguarda lo scemare
dell’esistenza umana; 3° riguarda l’indifferenza della natura. Queste cose coesistono nell’intelligibilità di
questo monologo di Lucky che viene proferito con grande veemenza che rompe il silenzio dentro il quale
Lucky è intrappolato, come se fosse rinchiuso nella sua stessa erudizione senza poterne uscire. Questo
discorso è pronunciato in modo empatico, è uno sfogo convulso. La mancanza di senso, questo
pessimismo, dà forza al suo discorso sembrano essere le stesse cose che mettono in difficoltà Vladimir e
Estragon nel loro svolgere le azioni (“andiamo” e non vanno). Questa strana comicità di Lucky diventa
toccante quando riflettiamo che questo suo sfogo ci mostra come Lucky non è solo colui che porta il
contorno di Pozzo, perché è anche qualcuno che porta un suo bagaglio culturale. È come se fosse
espressione di un tentativo estremo e disperato di uno studioso che ha già superato la fine, una fase di
decadenza che è volta ad esplodere come se fosse un tentativo di mettere insieme tutto quello abbia un
senso ma che evidentemente non riesce a trovare un riscontro in questa società. La disperazione di Lucky
continua ad aumentare in questo discorso, e si ripete un po’. L'esistenza umana viene cercata di essere
discesa da questi nomi che lui cita replicando un linguaggio accademico con il quale però non dice nulla;
l’esistenza umana si risolve con l’alimentazione e il defecare, è una condizione legata a esigenza corporali,
normalmente non tenute in considerazione ma sicuramente essenziali per l’esistenza.
Il monologo di Lucky è all’apparenza scomposto, è l’altro elemento delle due coppie ed è complementare di
pozzo il quale rappresenta il potere post coloniale. In Beckett l’autorità diventa una farsa, infatti lo stesso
pozzo è pieno di retorica, tratta male Lucky ma la complementarietà non manca mai (rapporto tra paese
colonizzato e paese colonizzatore). Lucky è presentato come una vittima che è in grado di ribellarsi, può
essere visto in questo discorso colonialistico come anche un personaggio che rappresenta questo
paradigma del padrone che prende senza chiedere dal suo sottoposto. La decadenza, anche linguistica,
sembra rappresentare, corrispondere, a quella parodia del discorso accademico che sembra atrofizzato e
che non ha più la capacità di comprendere la realtà; c’è anche il collasso della presenza di un dio
misericordioso; la natura invece è vista come portatrice di sciagure. Pozzo stesso è farsesco perché
inizialmente viene scambiato per Godot, sembra una sostituzione patetica e parodica di Godot, e questo
viene sottolineato dal suo schiavo. Pozzo parla attraverso la retorica di Lucky. Il linguaggio è fallimentare in
Beckett, nel riconoscere l’impossibilità del linguaggio di raccontare e scrivere il mondo c’è tutta la durezza e
crudezza della scrittura di Beckett.
Nel secondo atto Didi dice che la ripetizione è mortale, bisogna avere delle sicurezze e muoversi verso un
obiettivo. Il discorso di Lucky fa riferimento alla tempesta di Shakespeare, ma possiamo ritrovare dei
rimandi al King Lear. “Il mondo è un fiasco colossale” e questa consapevolezza della propria debolezza e
condizione non deve essere legata all’abitudine, al fermarsi sulla superficie di questa condizione, bisogna
andare a fondo, avere il coraggio per affrontare questa autentica infallibilità dell’essere perché qualsiasi
cosa si dice per raccontare quell’esperienza non renderà mai allo stesso modo di vivere e vedere
quell’esperienza: la retorica non è l’esperienza stessa, la racconta e basta. In questo senso abbiamo visto
come le pause e i silenzi sono importanti perché interrompono un’azione illustrativa di una condizione
anche quando improvvisano qualcosa, ogni tanto si aprono queste voragini (come quella di Lucky)
improvvise di confronto con quella condizione difficile da affrontare ma delle quali bisogna avere
consapevolezza per affrontarle. Se questo dio c’è è assente, è apatico, non interviene, c’è questa
consapevolezza. Se Godot esiste non si palesa, manda un emissario. La decadenza della condizione
umana non trovo sostegno nemmeno nella natura che viene vista come qualcosa di crudele che segna il
passare del tempo e quindi come qualcosa che porta all’avvizzimento.
Nel discorso di Lucky non vengono date informazioni, cita ma non si arriva ad una conclusione, si rimane in
sospeso. Prova a riassumere il discorso e ricominciarlo, è una ripetizione ossessiva come tutte le ripetizioni
dell’opera, cerca di riprendere il discorso continuamente; è un’abitudine, è a guarantee of dull inviolability
nel quale la noia del vivere è sostituita dalla sofferenza dell’essere. Il mondo diventa un mondo di pietra
fatto di rocce, il teschio rievoca l'Amleto di Shakespeare e una riflessione sull’esistenza che ci attende; il
posto del teschio come luogo sacro è riferito al Golgota, monte in cui Gesù Cristo fu crocifisso. Si
intersecano temi di alta cultura e temi della farsa. Vladimir poi va a cercare il cappello che ha dato a Lucky.
L'orologio di Pozzo non funziona più, pensano che sia il ticchettio dell’orologio a far rumore e invece è il
battito del cuore. Viene procrastinato il saluto, viene continuamente detto “addio” ma pozzo e Lucky non se
ne vanno; procrastinare un momento che non si vuole raggiungere (si procrastina una fine dell’umanità a
cui non si vuole arrivare). Abbiamo una componente metateatrale: loro non possono cambiare, solo gli altri
possono farlo. Viene ad un certo punto Albert che ha un messaggio da parte di Godot. Vladimir ha un
atteggiamento paternalistico mentre Estragon è più duro nei confronti di questo ragazzo Albert. Gli viene
chiesto cos’ha da dire e dice che è infelice. Godot non arriva dice Albert, ma arriverà domani; da una parte
abbiamo la delusione che Godot non arriva ma dall’altra c’è la speranza e la disillusione che verrà domani.
Vladimir sottolinea quindi che non c’è questo dio, che si volta dall’altra parte. La luna è pallida perché
guarda gli uomini e quindi è stanca. C'è un ricordo rievocato che fa male perché rievoca una condizione in
cui si stava meglio.
I personaggi fanno considerazioni sulla propria esistenza sul senso di rinuncia; sono avvolti da una fitta
nebbia. Quando arrivano sulla scena anche Pozzo e Lucky, Didi e Gogo pensano che Pozzo sia Godot e
riflettono sulla loro impressione e idea. Su chi sia realmente Godot pone in contraddizione i due
protagonisti perché prima dicono di sapere chi sia, lo descrivono a Pozzo e Lucky come un’entità che
decide il tempo e il luogo e dicono di attenderlo. Ma Estragon dopo dice che non la saprebbe riconoscere
nel caso se lo ritrovasse davanti. Questa illogicità mette in primo piano Godot sebbene non sia presente; è
più importante che loro lo aspettino e non sapere chi sia, è importante la riflessione piuttosto che
descrivere il risultato dell’attesa che non finirà mai.
Il secondo atto sembra la ripetizione del primo atto con alcune variazioni. Vladimir fischietta una filastrocca
e si muove sul palco in maniera bizzarra per il semplice gusto di muoversi. Il tempo è percepito in maniera
particolare. Ingannano l’attesa dicendo di essere felici e questa attesa è ancora più frustrante. Las felicità è
soltanto una questione di benessere mentale tanto che in questa totale sospensione nell'attesa basta dire
di essere felice per esserlo. C'è una struttura a spirale dove tutte le azioni svolte sono ripetute e questa
spirale assume un andamento asimmetrico. Si prende l’albero come riferimento del passaggio del tempo
sul quale prima non c’erano foglie ma che adesso ci sono. Estragon non ricorda Lucky, Pozzo e il luogo in
cui si trovano perché dice avere passato tutta la sua vita strisciando nel fango. Parla del suicidio come
miglior soluzione, è un riferimento biblico a Gesù che con la sua morte ha salvato tutta l’umanità ma anche
Caino e Abele. C'è un dialogo tra Didi e Gogo pieno di assonanze e allitterazioni e questo racconto dà
l’immortalità all’autore che è fermo nel tempo e nello spazio. Qui i due personaggi sembrano avere dei
segreti legati al fatto di vivere insieme e trovarsi lì, ma non c’è ambiguità o un momento comico: è un
passaggio diverso da quelli visti finora. “dead voices” sono le voci di chi non c’è più, sono voci del passato.
Ritornano i silenzi che esprimono il vuoto e il nulla e Vladimir vuole romperlo. Quanto deve durare il
silenzio? Fin quando resta insostenibile. C’è una differenza oggettiva tra pausa e silenzio: la pausa è un
momento di riflessione, mentre il silenzio è vuoto, sentiamo che c’è un vuoto da colmare altrimenti si
ricomincerebbe a pensare. È presente qui un gioco poetico e musicale, si usano le parole come se fossero
una coperta rassicurante, per dare conforto. È peggio avere il pensiero (come dice anche Amleto) anche se
è ciò che ci contraddistingue dagli animali: abbiamo la consapevolezza di noi, del mondo e del destino.
Successivamente abbiamo un tentativo di imitare Pozzo e Lucky ma è senza successo.
L'albero presente sulla scena può rappresentare molte cose: la croce di Gesù, l’albero a cui si impicca
Giuda, all’inferno di Dante che ha un albero all’ingresso. I due decidono di assumere la posizione
dell’albero ma non riescono a trovarlo, sembra un equilibrio tra esercizio fisico e spirituale. C'è una
contemplazione verso il trascendente. L’albero secondo loro è un salice piangente, che è l’unica cosa viva
sulla scena.
C'è una riflessione di Pozzo sul passaggio del tempo e l’azione della natura perché dice che un giorno ti
trovi in una condizione e il giorno dopo non sei più in quella condizione. Pozzo sembra essere arrabbiato
dalla consapevolezza di dover morire. È un discorso che viene portato avanti da Vladimir con più lucidità.
C’è uno scollamento tra l’intenzione e l’azione, la parola e il linguaggio dei personaggi non creano più
significato nella realtà. Si annoiano in scena e cercano come passare il tempo ma non se la passano male,
trovano sempre qualcosa che gli dia l’impressione di esistere. Il succo del testo è esattamente trovare
qualcosa che dia l’impressione di esistere, cercare di tirare fuori qualcosa da questo racconto ciclico nel
quale si procede in modo speculare rispetto al passato, dove la memoria si confonde rispetto
all’immaginazione. Si mette in posizione prenatale, quasi come se si volesse tornare in quel momento:
momento unico di cui abbiamo memoria come evento inconsapevole, si lascia il ventre materno, dove
siamo in una condizione di sospensione nel liquido amniotico e veniamo al mondo. Estragon e Vladimir
cercano di ripetere la scena vissuta, passano il tempo facendo gli attori e gli spettatori in sala fanno lo
stesso gioco dei personaggi, perché sono a teatro per divertimento. Le arti ci consentono di trascorrere dei
momenti in modo allegro. Decidono di insultarsi a vicenda.
Vediamo che rientra in scena Pozzo, che ora è cieco. Cosa comporta il fatto che Pozzo sia cieco? Che sia
più dipendente, lo era già prima da Lucky ma ora lo è in maniera aggiuntiva. Vediamo come Pozzo ha
bisogno di assistenza reale ma non se ne rende conto, non è quello il suo interesse, è semplicemente un
modo per chiacchierare, per riempire il vuoto con le parole. In questo momento, in questa scena e in
questo teatro i personaggi rappresentano la verità, che gli piaccia o meno. Affermano che sono uomini e
rappresentano gli esseri umani, non sono solo Vladimir ed Estragon nella tragicommedia di Beckett ma
sono la rappresentazione degli esseri umani. Finché Godot non arriva e c’è qualcuno che dice che arriverà,
l’attesa non è vana. È una questione di logica filosofica, l’attesa è sempre di qualcosa o di qualcuno. La
questione non è tanto l’attesa, ma è su come riempie la stessa.
Pozzo faceva costantemente riferimento al tempo e all’ora durante la sua prima apparizione all’interno del
testo, ma il tempo rendendo cieco Pozzo e muto Lucky è diventato un elemento orribile per lo stesso
Pozzo, non può udire parlare del tempo. Lo sfogo di Lucky nel primo atto, dimostra lo sfogo intellettuale di
una cultura che non riesce a creare un arricchimento per le persone a cui dovrebbe rivolgersi. Così Pozzo
lancia la sua accusa in modo molto più duro contro la condizione in cui sono ridotti e in cui siamo ridotti noi,
se effettivamente i personaggi sono la nostra rappresentazione. Tutta l’esistenza umana nelle parole di
Pozzo viene chiusa in quest’immagine davvero cupa ‘Partorisco a cavallo di una tomba’, come se il
peccato originale altro non fosse che una questione legata alla mortalità. Nel momento in cui nasciamo e
abbandoniamo la condizione di sospensione si aspetta poi la fine. Pozzo e Lucky se ne vanno. Vladimir
rifiuta costantemente la condizione del sogno, non vuole mai sentire il racconto dei sogni di Estragon. Il
confronto con la condizione onirica lo terrorizza. Estragon essendo quello più razionale tenta di separare le
due cose. Questo è uno dei momenti più alti, nel quale si racchiude tutto il senso della percezione dello
spettacolo e dell’assistere allo spettacolo: questa dimensione tra reale, memoria, immaginazione, desiderio
e sogno, diventa priva di confini, tutto sembra mescolarsi. È effettivamente una condizione per cui questo
qualcuno che ci osserva interviene? No, nonostante Pozzo chieda aiuto nessuno dei personaggi presenti lo
aiuta. Sembra essere un momento di verità rispetto alle possibilità che si hanno davanti. Mentre gli altri
soffrivano io stavo dormendo? O sto dormendo adesso? Riprende le parole dello sfogo di Pozzo. Hanno il
tempo di invecchiare ma appunto l’abitudine è un qualcosa che appiattisce tutto. Anche il secondo atto si
chiude con loro che dicono di muoversi ma non lo fanno.
Non vediamo il racconto di qualcun’altro, vediamo precisamente questa condizione umana della
sofferenza: è presente, non rappresentata. Qui il rapporto tra personaggio-autore è privo dal creare
situazioni illusionistiche, non c’è nemmeno la concezione della tradizione naturalistica perché nel teatro di
Beckett i personaggi devono rispondere in modo empatico alle sovversioni naturali. Non c’è la psicologia
del personaggio teatrale, c’è un attore presente sul palco che dà vita alle azioni di un personaggio; l’attore
scompare in quella immagine finzionale del personaggio. In questo senso vediamo che nel teatro di
Beckett, le condizioni del teatro naturalista non avvengo nel suo teatro perché richiama la sua essenza di
teatro di finzione in cui lo spettatore è consapevole di trovarsi davanti ad uno spettacolo, ad un artificio.
L'attore presenta, non rappresenta. Beckett partecipava sempre alle prove dei suoi spettacoli e poi diventa
anche regista delle sue opere perché ci teneva che alcune istanze fossero rispettate; non voleva che si
recitasse. Il contributo dell’attore nella finzione però è fondamentale, non deve essere una macchina, nel
senso che la sua produzione non deve ridursi solo all’intonazione e al ritmo, deve esserci una buona
interpretazione del testo e deve esserci anche un buon impegno fisico: devo credere, ad esempio, a quello
che dicono e fanno Vladimir e Estragon. Questo succede seguendo le indicazioni del testo ma senza
aggiungere delle sovrastrutture psicologiche aggiuntive dettate dall’interpretazione dell’attore.
Lord Chamberlain in WFG riconosce gli esseri umani come vagabondi e associa pozzo e Lucky a figure
allegoriche, afferma che loro due rappresentano il modo in cui gli esseri umani si trattano, quindi con quel
rapporto schiavo-padrone. Il mondo perciò si divide in chi assoggetta (padrone) e schiavo. Dice che questo
è un testo che rifiuta di offrirci la “rete di salvataggio”. Parla di un’allegoria oscura e misteriosa che forse
non è così ma sicuramente è molto ambigua.
Krapp’s last tape
Già dal titolo sentiamo un senso di fine, di conclusione: l’ultimo nastro di Krapp. Apriva il genere del “bill”,
locandina, e del “double bill” che è una doppia locandina ovvero un doppio spettacolo.
Il protagonista è uno scrittore alle prese con sé stesso e con la propria identità. È l’unico personaggio
presente sulla scena perciò la sua voce è l’unica cosa che si segue durante la narrazione: è un monologo
attraverso il quale Beckett farà sì che esso dialoghi con sé stesso con un sé del passato. È un’opera scritta
in inglese (dopo molti testi scritti in francese) nata dall’ascolto di una trasmissione di radiodrammi in cui un
attore irlandese Patrick Mcgee legge due brani. L'ispirazione è legata all’ascolto, all’oralità che lascia una
traccia molto profonda. Inizia a scriverlo in poche settimane nel 1958 e lo intitola “Mcgee Monologue” e poi
continua a ritoccarlo; è un testo molto breve. In Krapp’s last tape, Beckett con il lavoro sul tempo, sulla sua
fallibilità e sulla ricostruzione di un tempo che si pensa perduto, decostruisce l’estetica proustiana e di
distanzia dall’influenza di Joyce con il momento epifanico.
Il protagonista è Krapp (il suo nome ci fa pensare a “crap” una parola dispregiativa che significa schifezza,
quindi abbiamo una condizione negativa del personaggio), un uomo anziano di 69 anni che ogni anno per il
suo compleanno registra una bobina (sono gli anni delle prime registrazioni) con un magnetofono. In
queste bobine annota gli eventi e gli sviluppi della sua esistenza e poi le ripone in apposite scatole.
Abbiamo un anacronismo: come ha fatto Krapp a incidere 40 bobine se negli anni 50 questo tipo di
tecnologia è stata appena introdotta? Beckett si giustifica per questo nella didascalia in apertura scrivendo
“a late evening in the future”, avvisandoci che questa vicenda si svolge nel futuro, quindi abbiamo una
discrepanza tra il tempo degli avvenimenti e il tempo storico in cui viene scritta l’opera. C'è quindi una
complicazione temporale: il tempo, tema centrale del teso, e quindi lo scorrere del tempo e il cambiamento
che produce in noi (come in Godot). Non è un caso che venga scelto il compleanno: sottolinea lo scorrere
del tempo. L'identità di Krapp è come una trinità perché abbiamo il Krapp del presente, quello del passato,
e il krapp del passato di un altro passato (quest’ultimo ha circa 27 anni). Il 69enne Krapp ama prendere in
giro i Krapp più giovani, e di conseguenza il Krapp del passato del 69enne Krapp ama prendere in giro il
proprio Krapp del passato, quello 27enne. Prendono in giro sempre quello più giovane ma non giudicano
mai sé stessi. All'inizio c’è una pagina di didascalia molto lunga che ci racconta chi è Krapp e che ci dice
che ci troviamo nella sua tana. Abbiamo quindi un luogo ben preciso, un luogo angusto e piccolo in cui li
trova a suo agio come un animale. È un vecchio non proprio messo bene, anche dal suo abbigliamento
possiamo capire che è un po’ bizzarro e il suo vestiario è composto dal contrasto colore bianco/nero; è
descritto come un clown dalla voce graffiante.
Krapp condivide con Mcgee la “banana walk”. C'è una sola luce accesa sulla scrivania, tutto intorno è buio.
Ci sono molti tic e movimenti ripetuti come il tirare dal cassetto chiuso a chiave in continuazione delle
banane. La banana ha una connotazione comica e sessuale allo stesso tempo. È il Krapp di 39 anni a dire
che ha un vizio con le banane. C'è anche la scena in cui scivola sulla buccia di banana: slapstick, sketch
molto stereotipato, attraverso il quale si introduce la comicità e l’aspetto sessuale perché se la infila in
bocca davanti al pubblico. Krapp ha un’illuminazione: corre dietro le quinte, stappa una bottiglia e qui
notiamo l’importanza del bere (queste azioni sono scandite da tempi precisi: 10s, 15s ecc..). “spool” è una
parola che ripete di continuo ed è un gusto legato alla banana.
Mentre si sta rilassando, scivola sul registratore, lo spegne e ricomincia la registrazione. Si presenta come
monologo ma in realtà non lo è perché dopo la scena muta iniziale (pantomima) udiamo la voce registrata
del Krapp del passato. Il personaggio in scena ascolta sé stesso del passato. Poi nascerà un dialogo tra
questi due personaggi; hanno una trentina d’anni di differenza. Quando legge il contenuto della bobina in
cui compare la parola “spool” capiamo che cos’è successo in quell’occasione: alla fine la mamma se n’è
andata, la palla nera non viene ricordata (l’equinozio memorabile). Si preannuncia come qualcosa di
significativo. Dal testo capiamo che c’è una relazione con il tempo passato e ha delegato ad un mezzo
meccanico la sua memoria e ciò comporta che non perde i ricordi, il tempo viene registrato e ferma
determinati avvenimenti di quel tempo che lui nemmeno ricorda di quel periodo. Ciò sottolinea un
passaggio del tempo. Beckett crea un conflitto drammatico da una parte, dall’altra riesce a dare materialità
a una voce registrata, riesce ad incarnare una macchina e in questo modo mette a confronto con il sé
stesso del passato due psicologie, attitudini diverse. Beckett è sensibile a ciò che il passaggio del tempo
lascia e ciò viene visto come qualcosa di negativo. Non siamo noi che passiamo il tempo ma è il tempo che
passa su di noi.
Dell'individuo del passato sappiamo che compie 39 anni ed è in ottima forma tranne per una debolezza, il
compleanno lo ha festeggiato come gli ultimi anni in modo tranquillo, non c’era nessuno ma lui è contento
di essere da solo. È felice di essere nella sua vecchia tana con i suoi stracci addosso. Una nota positiva è
che ha cambiato la luce perché sembra dare sollievo a tutta quell’oscurità che lo circonda. Scrive delle
cose su una busta, ha buttato giù due appunti. Tutte queste cose le dice mentre si registra e non è una
cosa normale, consueta. C'è un silenzio straordinario quella sera, chiude gli occhi per concentrarsi e non
sente nemmeno un suono. Parla di un sé stesso di 10/12 anni prima quindi c’è un terzo personaggio, un
terzo sé stesso e ne parla in termini negativi, derisori. Aveva una relazione con una donna, si chiama
Bianca (contrapposizione luce-ombra bianco-nero). Sentendo parlare di questa donna e in particolare dei
suoi occhi, la rivede. Parla in termini negativi sempre di sé stesso perché aveva troppo aspirazioni e
aspettative. Tutto questo risentire fa venire voglia di bere e infatti beve 3 volte dietro le quinte e inizia a
canticchiare. Il krapp del passato parla di nuovo del suo presente, il krapp della scena presente ha la
possibilità di mandare avanti alcuni passaggi, di cambiare la scena, è un lavoro di editing, altera il racconto.
Il krapp 39enne usa una parola che il krapp 60enna non sa che vuol dire e prende il dizionario. Si fa
sempre più netta la differenza con il Krapp del passato, parlano ormai una lingua diversa, si delinea una
differenza sempre più evidente. Nell'ambiente non c’è praticamente nessuna differenza, cambiano giuste
alcune sue debolezze. Nel nastro ci sono diversi piani temporali e individuali del personaggio che ci
vengono presentate in simultanea. 39Krapp non prende coscienza dell’incapacità di controllare i propri
desideri, è pronto a deridere sé stesso (il 29/27Krapp) ma non è pronto a giudicarsi.
C'è un problema di appetiti di cibo, di sessualità, e lo vediamo nel modo in cui giudica Bianca, da una parte
è orgoglioso della scelta che ha fatto ma dall’altra gli ritornano in mente questi occhi imparagonabili. La
madre sta morendo e lui sta fuori ad aspettare ma lei è perduta. Ad un certo punto capisce tutto, arriva il
motivo per il quale registra, sta per spiegare ma il Krapp60 stoppa la registrazione con impazienza e
manda avanti veloce, salta un pezzo di questo passato e noi non lo conosceremo. Forse si sta annoiando a
risentire queste cose. Questo passato diventa incompleto come quello di una memoria labile, non ha fatto i
conti con questo passato. Riaccende e manda avanti. E poi volta pagina per l’amore in cui abbiamo
l’immagine di intimità con la donna, una posizione in cui sono rilassati, hanno consumato il loro amore.
Sotto di loro tutto si muoveva gentilmente come se fossero in una condizione diversa rispetto al resto del
mondo. Sono quei momenti di estrema conoscenza, sensibilità di percezione in cui la percezione è
massima (in Joyce questa massima percezione è l’epifania). Il silenzio in cui si trovano non lo avevano mai
sentito. Riavvolge il nastro e sentiamo un pezzo che non avevamo sentito prima. Krapp non ha tanta
nostalgia bensì rammarico e rimorso per quel che era. Si era ripromesso di dire addio ai piaceri della carne
per darsi ad una vita di rinunce per comporre questo Opus magnum, poi divenuto un fallimento ed è per
questo che si crea il contrasto con il Krapp più giovane.
Viene citata una prostituta. ‘Vesperi’, si riferisce forse alla religione? Cosa sta succedendo a Krapp? È
combattuto e stanco; interrompe e poi riprende queste registrazioni. Riappare per l’ennesima volta la parte
di registrazione che abbiamo già incontrato e che lui salta. Poi un silenzio, un vuoto, questa volta più
assordante ‘never knew such silence’. (tieni a mente il tema del silenzio e del vuoto presente anche in
Waiting for Godot). Sente ardere dentro di sé un fuoco per la creazione artistica. Il fuoco rappresenta la
speranza e le ambizioni che il Krapp del passato aveva nei confronti della carriera e la già nominata
creazione artistica. L’atto si conclude con il Krapp del presente che sta fermo ad ascoltare mentre il nastro
va avanti nel silenzio, come un vecchio che vede da lontano le aspirazioni di un giovane sciocco
ambizioso.
Beckett ha una 50ina di anni quando scrive Krapp: è uno sguardo alla vecchiaia del mondo, di come sia
invecchiato e di come si sia persa la speranza di un contatto col divino e del sostegno da parte della cultura
che solleva la violenza e le disgrazie del mondo. È presente l’analisi di sé stessi, come se Beckett stesso si
immergesse in questo processo di immersione psicanalitica senza far finta che il personaggio inizi a
riflettere e ad analizzarsi. Nel caso di Krapp è l’espediente del magnetofono: una trovata che ha una
direzione più naturale dell'introspezione analitica. Il confronto è tra il giovane che ha aspirazioni e sogni,
purezza e ingenuità di voler intraprendere una carriera, ed il vecchio che rimane sempre più alienato a
guardare, ascoltare, che non riconosce ciò che è stato e si maledice, rimproverandosi di aver avuto
ispirazioni. Cosa è andato storto: una condizione che sembra essere abbastanza comune: trovarsi a 40
anni a riguardare i 20 anni, facendo i conti con quello che si aveva e che si ha. Krapp non ha la percezione
del presente -del sé- e questo è il problema. Non ha più le aspirazioni e quel fuoco che lo smuove, quel suo
sé che noi sentiamo presente -quando la voce registrata parla- ma sembra un abitante di un altro universo,
non c’è connessione tra loro.
Krapp è caratterizzato da appetito sessuale (sessualità autoreferenziale/masturbatoria); da appetito verso
la banana e dal piacere di bere; e ha detto addio all’amore e quindi si trova da solo. Sottolinea il suo
fallimento perché non è riuscito ad ottenere i cambiamenti che sperava nel passato: continua a mangiare
troppe banane e a bere troppo. I buoni propositi del passato falliscono come ha fallito l’intento di Krapp
scrittore. Ha perso lo slancio eroico che aveva all’inizio ed è per questo che sente bobine tristi. Il suo
fallimento è il controllo del desiderio sessuale e quello di ascoltare sé stesso, finendo di rimanere chiuso in
un mondo sterile. La sua manchevolezza è quella di essere intrappolato dal basso, cioè dal desiderio
carnale, e dalla tensione verso lo spirituale e il trascendente: concezione manichea.
Il manicheismo ha una visione dell’universo che è retto dalle tenebre (il lato oscuro) e dalla luce (lo spirito);
queste due si mescolano e qui la materia tenta di innalzarsi a livello della luce; nasce così l’uomo
primordiale prigioniero del mondo visibile caratterizzato dalla compresenza dei principi opposti che sono la
fonte dei mali che ci affliggono; quindi il compito dell’uomo è separare questa mescolanza di principi perché
è dannosa, e separandoli si ritornerebbe ad uno stadio iniziale in cui il bene, la luce dello spirito è pura. È
l’illusione che si possa separare il corpo dallo spirito, la luce dall’ombra. Il Krapp 69enne sembra essere
inconsapevole dell’impossibilità e dell’inutilità di compiere questa operazione. Il krapp scrittore, perciò, si è
dato delle regole per seguire un percorso: soddisfa le sue aspirazioni attraverso i contrasti di luce e ombra,
bianco e nero. Secondo lui bisogna separare il male dal bene e per questo vuole rinunciare a bere, alla
carne e si dedica al piacere spirituale. Lo fa per liberare la luce dentro di sé.
Cascetta a tal proposito dice che è un’illusione l’idea di poter separare il corpo dallo spirito. Krapp sembra
esserne consapevole. McMillan a proposito del contrasto luce/ombra riconosce che durante la morte della
madre di Krapp, il contrasto luce/ombra fosse separato ed inizia la mescolanza con il cane bianco e la palla
nera. Quando invece dice addio all’amore sembra trovare una riconciliazione tra spirito e carne (compiendo
il manicheismo). Beckett sembra aver voluto approfondire questo aspetto del dualismo tra corpo e spirito
del manicheismo. Krapp si salva dalla materia (corpo) attraverso l’intelletto (spirito) che si identifica con la
scrittura e questo è un grande errore perché cerca di recuperare l’animo mescolandola con la materia, e
anche se riascolta i nastri non ha la percezione di sé del presente, perciò è pronto a denigrare il Krapp
giovane senza saperlo fare con il sé del presente.
I krapp del passato hanno una “strong voice” rispetto a quello del presente. Le bobine permettono una
memoria visiva perché la forza delle parole fa rivedere certe situazioni: come quella in cui si parla di Bianca
e il krapp più giovane riascoltando le bobine degli anni precedenti la rivede. Il krapp del presente la rivede
con un’emotività e visione diversa. Le registrazioni solo il meccanismo attraverso il quale Krapp vuole
ricordare ed è lui a decidere di farle parlare, fermarle, andare avanti o rallentare i ricordi. Servono per
mettere ordine per ricordare in quanto scorda molte cose. I ricordi quindi si sovrappongono. Tra le bobine
riappare anche il momento della morte della madre e del cane che vuole giocare con la palla e usa tanti
aggettivi per far sì che noi sentiamo la sensazione della palla sulla mano e dice che la sentirà per sempre
perché questa palla è legata ad un momento molto forte da un punto di vista emotivo e indica anche il
passare del tempo. Altro momento importante è quello che lui nomina “memorable equinox” e dice “non
sarà mai dimenticato”. Ascolta la bobina ma quando sta per rivelarci il segreto la interrompe e non va
avanti, non indaga nel proprio inconscio. Quello che fa Krapp può essere definito editing, montaggio.
Beckett mette in moto i nuclei del racconto per poterli interrompere meglio non dovendosi affidare alla
capacità del personaggio di ricordare, di tornare indietro a una memoria che non è certa o immaginata. In
questo modo fallisce la possibilità del racconto di completarsi sul piano narrativo; i discorsi falliscono
perché non sono sostenuti dalla fede e fiducia del linguaggio che perde la sua efficacia e diventa
impraticabile. Rallentando e stoppando le registrazioni è come se utilizzasse la metafora delle onde sul
mare: dilunga i momenti lasciandoli in una condizione a metà, i ricordi giacciono sul bagnasciuga,
stoppando e mandando avanti si rende conto di aver fatto un errore e se ne pente.
Con l’ultimo nastro udiamo le parole di Krapp che non vuole tornare indietro nel tempo e non rivorrebbe
quegli anni passati anche se sono stati i migliori. Il passato interviene sul presente certificando il
cambiamento: le aspirazioni passate non sono più le stesse. Il passato giudica il presente in maniera forte:
il sacrificio non ha portato a nulla, l’epifania avrebbe dovuto far nascere un nuovo Krapp, ma non ha fatto
altro che togliere quella possibilità di felicità che avrebbe potuto essere.
Autori critici
Cascetta
Cascetta dice che Beckett rappresenta l’esistenza che si manifesta nella pena; l’esistenza è una
condizione che si riconduce al tragico. I suoi personaggi, per lo più anziani, si interrogano sul senso della
vita. Rappresenta l’esistenza al confine tra l’esserci e il non esserci. Parla del linguaggio del teatro di
Beckett (verbale, gestuale e musicale) come capace di riconvocare un’intera civiltà nella tensione fra due
impulsi contrastanti: accumulare e conservare, cancellare e levare. Alla riconvocazione di Beckett si
applica poi la lente dello humor.
Lo humor della drammaturgia di Beckett colpisce ogni parola, sbriciola la saturazione della parola. Perché
Beckett ride?
1. Per scaricare la tensione in cui l’uomo è cosciente della situazione tragica.
2. Per demolire le illusioni, maschere, veli che gravano nella testa dell’uomo, per non far affiorare quei
pensieri imbarazzanti.
3. Per sgombrare il campo ed assumere un diverso punto di vista. Ride per ‘’smascherare’’ la tragedia
come parola ingannevole. Ride per ‘’smascherare’’ l’azione dell’uomo, vuole che l’uomo accetti il
suo limite senza farne una tragedia su cui accanirsi.
Cascetta ci dice che inizialmente lo humor di Beckett attraversa la sua prima fase per poi smorzarsi,
cambia atteggiamento: ora ha sgombrato il campo e si è aperto alla via negativa, ad un mistico
annullamento, senza più resistenze si fa largo ad una progressiva espansione del silenzio. Il percorso
beckettiano prepara l’approdo alla verità del silenzio e dell’ascolto. Cascetta condivide il pensiero di
Kierkegaard: lo humor apre la via, può essere lo stadio pre-religioso. Dice che le esistenze che Beckett
mette in scena sono in un’attesa di risalita.
Beckett era molto attento a gesti, suoni e parole che erano tutti orchestrati con precisi ritmi, toni. Questo fa
la sceneggiatura, non il contenuto dell’opera. Continua dicendo: Beckett, pianista, è in grado di percepire e
tradurre nella sua forma drammatica quel che Shopenhauer aveva teorizzato: la musica è il suono
dell’espressione senza mediazioni dell’essenza del vivente, è un’immagine non di idee, ma della volontà di
esistere, principio ontologico della esistenza che si accende e dilegua.
“I want to bring poetry in drama”, citazione di Beckett che Cascetta riporta.
Lei critica la visione di Beckett nella sigla dell’assurdo e della tragedia. Dice che questa prospettiva va
corretta. Si trova d’accordo con la visione di Gontarski: la sempre maggior attenzione di Beckett al
linguaggio specifico della scena, lo ha indotto ad un sempre più diretto coinvolgimento nel processo di
creazione teatrale, e ha provocato una trasformazione-evoluzione della sua scrittura per la scena e una
rilettura-ripensamento che ha prodotto una finale riscrittura delle opere precedenti.
In merito a WFG Cascetta dice che emerge in questo testo la discontinuità rispetto alla tradizione
drammaturgica e la portata inaugurale. È un testo pronto a rompere col passato e a prepararci per il futuro
con la sua multidimensionalità e pluricodicità. Un teatro non come divagazione ma esperienza intensa e
ricca di humor.
Ne fa poi un’analisi drammaturgica: definisce l’attesa l’immagine-guida, un’attesa più particolare che ha i
connotati dello stallo e non quelli della tensione che fa convergere gli sforzi. È un’attesa che inghiotte ogni
discorso ed azione, la chiama: attesa del salvatore secondo Cascetta essa non si può non affermare
poiché ha un riferimento soprattutto religioso. Nella Genesi viene annunciata un’attesa che si collega alla
speranza di salvezza, e un ‘’dio che ha nascosto il suo volto’’ romperà il silenzio liberandoci totalmente.
È nell’attesa che si consumano le giornate di Vladimir e Estragon. L’immagine dell’attesa domina la scena
e si traduce in uno spazio-tempo caratterizzati dalla sospensione. Il luogo è fisso: nuda strada di
campagna, sagoma di un albero spoglio ma nel secondo atto compare qualche foglia, una pietra per
sedersi e la luna che si alzerà. C’è una sospensione dello spazio che può esser fisico o mentale. Ma è il
tempo, elemento drammaturgico di grande importanza, che costituisce in WFG l’elemento fondamentale in
cui la figura dell’attesa si declina. Il tempo quando si fa sera è monotono ed uniforme, è un presente
immobile e sospeso ed infatti quando Pozzo perde l’orologio non è una gag, ma un lapsus rivelatore che dà
la sensazione che il tempo si sia fermato. È un tempo illusorio. “Passer le temps” è ciò che si deve fare, è il
loro scopo: passare il tempo ma anche protendersi oltre il tempo, ossia superarlo, anche questo è lo scopo.
Cascetta ci dice che Beckett ce lo fa percepire col dosaggio delle pause, minuziosamente perfette nei punti
giusti, con soste di silenzio e di ascolto, ritmi delle battute ed intervalli.
Anche dalle battute dei personaggi capiamo che l’attesa di Godot è l’obiettivo fondamentale, presente
costantemente in Vladimir, meno in Estragon: quando Estragon dice ‘andiamo’ e Vladimiro ‘non possiamo,
aspettiamo godot’ ed Estragon ‘ah è vero’. Nell’attesa si lasciano andare a vari tic, quello del cappello, o
delle scarpe.
Cascetta riflette anche sull’identità dei personaggi, considerandola incerta. Li definisce individui fungibili e
dice che lo si può capire dai nomi che sono di varie nazionalità: Vladimir, Estragon, Pozzo, Lucky, Garçon.
E anche il fatto che vengano usati Gogo e Didi (diminutivi adatti alla scena comica) o che vengano confusi:
Pozzo e Bozzo. Anche l’oggetto dell’attesa ha un nome incerto: Godot, Godet, Godin.
In merito ai personaggi Cascetta nota che ognuno ha un doppio, con relazioni di dominio e di dipendenza,
simmetriche. Vladimir-Estragon, Pozzo-Lucky.
- Vladimir-Estragon: Estragon lascia all’altro il timone della situazione e della conversazione. Non
cerca riparo dal gelo della notte che scende, cioè dalla morte. Pensa alla teoria del suicidio,
vorrebbe andarsene. Vladimir invece è dinamico, combattivo, ragionatore, filosofeggia, domina la
situazione.
- Pozzo-Lucky: Pozzo è il surrogato di Godot, violento e arrogante, vigliacco, domina l’altro con
esibizionismo. Cerca solo applausi. Lucky, oggetto strano e misterioso, succube di Pozzo.
Tra loro non c’è progresso ma ripetizione, riduzione di dinamismo e analogia. L’andamento è in anticlimax,
in ordine decrescente.
Come passano il tempo i personaggi? Con la conversazione, ma non sarà mai un vero dialogo perché tra
Pozzo e Lucky ci sono solo comandi, e tra Didi e Gogo c’è solo la ripetizione di un formulario. Il dialogo è
minato in partenza dal soliloquio e dal silenzio.
Il linguaggio perde la sua forza illocutoria e perlocutoria, a prevalere è la funzione fàtica, minacciata dalla
smemoratezza, ed è qualcosa che riguarda il puro mantenimento di un labile contatto. Beckett negli anni 50
smaschera l’usura del linguaggio e l’inanità della parola. Ciò che è un atto linguistico fondamentale è
l’interrogazione: essa tiene viva la conversazione, fa passare il tempo.
La metà teatralità e i silenzi della parola: con le osservazioni sui silenzi entriamo nella sezione della
virtualità scenica della parola che è collegata con le abilità attoriali che la drammaturgia di Beckett richiede
in modo esplicito, quindi nel trattamento del gesto e della voce come una partitura ritmica, musicale. Silenzi
e pause evidenziano un tema chiave e impediscono di sorvolare sulla faccenda. Secondo Cascetta la
pausa segna una riflessione inquietante, un pensiero che si vorrebbe rimuovere e segnala un salto di
livello. Il silenzio invece potrebbe servire all’immaginazione dell’essere, all’affabulazione su Godot.
Gesti e parole non combaciano, si contraddicono (es: il fatto che dicono ‘andiamo’ ma non si muovono). E
spesso, afferma Cascetta, i gesti rivelano quello che le parole nascondono ed infatti la drammaturgia di
Beckett è esigente verso le possibilità dell’attore. L’attore deve avere un corpo virtuoso, addestrato non
solo alla recitazione della tradizione classica ma anche a quella del teatro cosiddetto “minore” cioè del
varietà, del mimo, del cinema muto. Un attore deve essere capace di governare la voce fra passaggi di
toni, timbri, volumi, mutamenti umorali, silenzi, gridi, canti.
Quindi la drammaturgia di Beckett mette in atto un dramma consolidatosi nell’età moderna, che mette in
scena un’azione che progredisce, ha un suo apice, delle complicazioni. Il teatro di Beckett è un teatro della
parola, ma che bandisce la dittatura della parola sulla scena. Cascetta definisce Beckett un drammaturgo
unico, che ingloba ogni dettaglio della messa in scena.
Cascetta ci spiega la storia di WFG: l’edizione francese fu composta tra 9 ottobre 1948 e 29 gennaio 1949
per “Les Editions de Minuit” nel 1952. Va in scena nel 3 gennaio 1953 al “Babylone”. La versione inglese
viene avviata nel 1953 e pubblicata dalla “Grove Press” di New York in pochi anni. Ci sono delle differenze
tra l’edizione francese ed inglese: l’edizione inglese si è vista protagonista di approfondimenti. Ci sono
alcune battute cancellate a penna in quella francese che invece ritroviamo in quella inglese, così appaiono
numerosi dettagli in più come battute, pause. Il testo si fa quindi più problematico, il gioco diventa più serio.
È dalla scena che Beckett capisce di dover aggiungere dettagli. Si segnala, ad esempio, l’aggiunta di insulti
tra Vladimir e Estragon per passare il tempo. È stato messo in scena per la prima volta dal regista Roger
Blin; la scena fu realizzata con materiali poveri.
A prepararsi alla morte è Estragon quando alla fine della giornata si toglie le scarpe. Ma questo sentimento
del tragico di Beckett non si traduce in tragedia, bensì in una nuova forma attraversata dallo humor. La
tragedia nel 900 entra in crisi.
- Qual è il primo topos a cadere? Quello dell’eroe e della sua azione. In WFG abbiamo una coppia
riconducibile a due clown, che tra l’altro si chiamano tra di loro con diminutivi Didi e Gogo. Pozzo
viene deformato in Bozzo. Lucky è un soprannome ironico. La loro azione non è eroica ma banale.
La loro lotta si limita ad un’azione di togliersi e mettersi una scarpa. Una “non azione”, l’attesa di
Godot domina sulle piccole azioni: togliere scarpa, cappello, controllarlo ecc.
- Il secondo perno a cadere è il conflitto ed il valore.
- La morte espiatrice o sacrificale, evento rimarcato, perde qui il suo rilievo drammatico per diventare
un atto mancato, rimosso, sottinteso, appiattito.
In questa nuova drammaturgia l’unica domanda che Beckett si pone è: esiste il fondamento del senso? È
una domanda alimentata dalla suggestione biblica del Dio che incontra l’uomo nella storia, interagisce con
il suo agire, lo insegue, si allea con lui, gli offre un porto nella sua casa. È un dio d’amore che ci libera e ci
salva. È la tensione religiosa che regge la lente dell’umorismo beckettiano. Godot è un’allusione umoristica,
si noti come Godot contiene God, quindi il riferimento alla Bibbia è chiaro. Fa parte dell’educazione di
Beckett. La Bibbia affiora anche in citazioni dirette o indirette disseminate nel testo, ad esempio Pozzo e
Lucky vengono chiamati Cain e Abel. Ma la Bibbia è contenuta nel discorso tra Estragon e Vladimir, ad un
certo punto Vladimir chiederà ad Estragon se ha letto la Bibbia. È Cristo però l’archetipo biblico riassuntivo
evocato nell’albero-croce quando Didi dice ‘non puoi andare a piedi nudi’ e Estragon risponde ‘ma Cristo lo
ha fatto’.
In Beckett la tragedia si svuota perché ha creduto nella potenza e nell’efficacia dell’azione e della parola
dell’uomo. Lo sguardo umoristico di Beckett si posa su un compatire benevolmente, è la pietà e la lucidità
dello humour. Lo humor viene utilizzato per l’inadeguatezza della parola. Quando scatta l’effetto comico?
Nei modi della corporeità, nella fissità o nel tic, nel gioco di parole, doppi sensi. In WFG Beckett inventa
paradossi la cui ab-normalità fa scattare il riso. Il testo è pieno di contrasti e sfasature ad effetto comico:
levarsi la scarpa e l’accanimento che ci mette Estragon. La deviazione umoristica sdrammatizza una
situazione che rischia di diventare patetica. Altre volte l’ironia rivela la verità. È con lo humor ed il riso che
Beckett apre al superamento della cultura della tragedia come sfida dell’assoluto, conflitto, accanimento del
limite in nome di un’adesione alla finitezza e dell’approdo a un silenzioso e immobile ascolto. Il comico
prevale sul tragico.
The cambrige introduction to Sameul Beckett
Ci viene detto che Beckett inserisce, specialmente nei suoi primi testi, molti riferimenti e corrispondenze
della sua vita. La sua immaginazione è diretta alle sue esperienze di vita. La chiave importante per capire
Beckett è il rapporto con la madre: una relazione di amore-odio, sentimenti di ansia e colpa. Lui non si
definisce religioso, mentre la madre lo era molto e da qui derivano tutte le allusioni bibliche nei suoi testi.
Lui è considerato tipo solitario che si interroga sul senso della vita.
WFG è un’opera iconica non solo del dramma ma di tutto il XX secolo perché con esso il mondo del
dramma non sarà più lo stesso. Non si tratta più di riprodurre la vita reale ma di dimostrare come le
ripetizioni del dramma sono il riflesso della vita reale. Si mostrano gli aspetti ripetitivi di ciò che noi
chiamiamo realtà.
Rappresenta un po’ la vita per 3 ragioni:
1. Sentimento di fraternità tra Estragon e Vladimir;
2. Estremamente divertente;
3. La forma precisa e accurata che spazza via il caos e le misere condizioni in cui vivono i protagonisti.
Chi è Godot? È Dio? Questa è la domanda che spesso ci chiediamo durante la lettura ma non lo sa
neanche Beckett che afferma ‘’se solo lo avessi saputo lo avrei scritto’’.
I personaggi: Estragon sente e Vladimir pensa. I personaggi sono in attesa, e non è essa stessa
un’azione? Cosa succede oltre all’arrivo di Pozzo e Lucky? Niente. Perché però hanno la necessità di
parlare? Per passare il tempo e bloccare le voci morte. È una distrazione. Si sottolinea anche la brutalità e
la dominazione che caratterizza le relazioni umane tra loro (dominio sull’altro). Si cerca di rappresentare la
condizione umana, su cosa vuol dire essere umani e si parla di peccato originale, cioè l’unica colpa è di
esser nati.
La struttura è circolare.
Ci sono elementi di parodia delle accademie, teologia e filosofia nel monologo di Lucky.
Krapp’s last tape è un’opera che rappresenta un’auto-analisi di un krapp che in occasione del suo 39 esimo
compleanno decide di riascoltare le tracce registrate 3 anni prima. Si ha 1 personaggio ma 2 situazioni
psicologiche, ovvero vedremo quanto diversi sembrano essere il Krapp giovane e il Krapp adulto.
Differenza tra i due Krapp sta nella differenza della voce, dei termini, della diversa situazione psicologica.
Basta pensare a quando il Krapp del presente cerca sul vocabolario la parola “viduity” utilizzata dal Krapp
del passato. Oppure non si ricorda a cosa si riferisce col memorabile equinozio dove riufiuta l’amore che
prima provava per ritirarsi nella sua solitudine.
La continuità sta nelle abitudini invece: mangiare la banana e bere alcol, sono tutte abitudini delle quali il
Krapp del passato non è riuscito a sbarazzarsi.
L’opera non parla di come passare il tempo, ma di come il tempo cambia noi. È un conflitto tra i due Krapp
senza però soluzione perché a Beckett piace non fornire soluzioni ai problemi dei suoi personaggi.
Originariamente il personaggio doveva chiamarsi “Magee monologue”, in onore di uno dei suoi attori
preferiti.
Nel gioco luce/ombra la luce rappresenta la razionalità e il ritorno di krapp in sé stesso, è una luce
protettiva; l’ombra è l’irrazionalità, l’oscurità nella quale non deve cadere (la mescolanza causerà caos e
quindi manicheismo, infatti Krapp viene punito per aver cercato di conciliarli). Il krapp del passato cerca di
lasciare la luce e avventurarsi nell’ombra così da avere soddisfazione quando torna nella protettiva luce,
appunto li mescola.
Esslin the theatre of the absurd
Esslin ci propone un’ulteriore teoria riguardo a chi è Godot. Dice che quando l’opera fu rappresentata in
carcere, ci fu un prigioniero che esclamò che Godot fosse la società. È un’interessante teoria dal momento
che i lavori di Beckett sembrino proprio essere lo specchio che riflette le preoccupazioni e le ansie della
società. Secondo Esslin WFG esplora una situazione statica perché non racconta una storia, non succede
nulla. Dice “è terribile”.
Personaggi: Vladimir è il più pratico, ricorda l’attesa di Godot e dice che il suo arrivo li salverà dalla
situazione e ricorda gli eventi passati; Estragon è più poetico, non ricorda nulla, nemmeno Godot; Pozzo è
ricco, potente e sicuro di sé, rappresenta il mondo degli uomini con il suo cieco ottimismo e l’illusione di
avere potere permanente, rappresenta il corpo e la parte materiale; Lucky rappresenta la mente, la parte
spirituale dell’uomo, la parte mancante in Pozzo.
Vladimir e Estragon sono superiori a Lucky e Pozzo perché loro aspettano Godot mentre gli ultimi due non
fanno nulla, questa è un’interpretazione cristiana.
Il tempo rappresenta un ruolo fondamentale in WFG. Il tempo ci cambia e lo vediamo nel secondo atto con
Pozzo e Lucky che diventano ciechi e sordi, quindi sono stati trasformati dall’azione del tempo.
Il soggetto dell’opera non è Godot ma l’attesa che viene vista come essenziale caratteristica umana. Godot
può essere un evento, persona, morte ecc.
Perché viene definito teatro dell’assurdo? Assurdo significava “fuori armonia”. Il teatro dell’assurdo cerca di
esprimere il senso di insensatezza delle condizioni umane e di inadeguatezza in cui si trova a vivere. Può
esser visto come il riflesso di quello che sembra essere l’atteggiamento più genuino e rappresentativo dei
nostri tempi. Il divorzio tra uomo e vita consiste nel sentimento dell’assurdo.
Gussow dice che Beckett era un discepolo di Joyce, un antianglofilo. Afferma che Didi e Gogo siano un
solo uomo nel quale uno rappresenta la parte animale e l’altro la parte razionale. Lo stesso pensiero lo
trasferisce a Pozzo e Lucky ma qui uno rappresenta l’Inghilterra e l’altro l’Irlanda.
Pinter
Pinter ha segnato la cultura inglese e con “senso di minaccia” si intende la capacità di entrare nelle stanze
chiuse del potere, un’atmosfera di miseria in cui si trova a vivere l’essere umano, egli ci insegna a fallire nel
miglior modo possibile. Nasce nel 1930 ed è più giovane di Beckett e vive la tragedia della seconda guerra
mondiale, vive il terrore del blitz, viene portato in Cornovaglia. L'attaccamento agli amici è fondamentale e
lo accompagneranno tutta la vita. Ognuno attinge a ciò che conosce e alle proprie esperienze di vita.
L'istruzione influenzata da Webster fu molto importante. Nel 49 lascia la scuola di teatro per diventare un
attore di repertorio, durante questi tour conosce la prima moglie che interpreta i suoi primi ruoli femminili
forse ispirati a lei, se ne separerà dopo alcuni anni. È presente la questione di appartenenza ad una
comunità o società, quando l’Inghilterra uscì vittoriosa dalla seconda guerra mondiale seppur
ridimensionata come impero, genera un sistema economico disastroso per il paese. Pinter rifiuta il servizio
militare in un momento in cui il patriottismo era molto forte: questo sottolinea molto la sua posizione di
pacifista, e non scende a compromessi per i suoi ideali e questo gli causa disonore. Peter Hall, grande
registra britannico del dopo guerra che ha messo in scena per prima Waiting for Godot e i testi di Pinter, ha
espresso dei commenti e delle osservazioni sul suo lavoro con Pinter, e quando gli chiesero se le sue
opere fossero hunted dal passato dice che c’è un continuo riferimento alla sua vita che crea un’atmosfera
quasi mistica intorno alle persone che fecero parte del suo passato. In questo senso, per quanto poi si
possano riconoscere e rintracciare questo tipo di legame con il suo passato e la sua vita privata, non
possono poi essere riconosciuti chiaramente all’interno dei testi; possono essere usati come spunti per
inquadrare meglio delle questioni. È un'immagine da cui sicuramente cattura molto l’autore ma che poi ne
fa altro. Da un lato Homecoming scaturisce da una serie di situazioni familiari ed è molto legato ad una
realtà quotidiana rispetto ai testi di Beckett. Pinter inserisce un contesto riconoscibile e localizzabile
(Londra); dall'altro lato dobbiamo prenderlo come frutto d’immaginazione di un autore. Homecoming arriva
in un momento della vita di scrittore di Pinter molto particolare intorno anni 60.
Le influenze principali sono Shakespeare, Beckett e Joyce. Era molto attivo nella vita politica e si schierava
con i più deboli, con coloro che erano vittime di un potere oppressivo. Ha sempre avuto un rapporto
conflittuale nei confronti del potere ed è sempre stato sospettoso nei confronti delle autorità. Entra a far
parte della compagnia di Mcmaster (come attore) in cui vengono messi in scena i testi di Shakespeare ed è
qui che si avvicina ai testi di Beckett. È un autore molto attento al sessuale politics, ovvero i rapporti di
potere tra genere maschile e femminile. Viene definito un autore pinteresco, ovvero qualcosa che
suggerisce un elemento misterioso, criptico e che nasconde una minaccia. Smaschera l’abisso che si
nasconde sotto le chiacchere quotidiane e ci obbliga a entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione, e
smaschera l’abisso baudelairiano che abbiamo visto coprire da un mare di chiacchere in Godot (infatti in
WFG i personaggi colmano il silenzio con le parole per non precipitare nell’abisso angosciante
dell’esistenza, in Homecoming nel silenzio ci sono più parole). I temi a cui è legato Pinter sono la terra
promessa, la speranza, il tema della memoria, del silenzio delle pause.
Art, truth and politics discorso per il premio Nobel per la letteratura.
Pinter parla di come incomincia i suoi plays, come Homecoming. Dice di scrivere senza sapere il finale,
come se lui autore dovesse scoprire il finale proprio come un lettore. Afferma di iniziare un play sempre
immaginando i personaggi come A, B e C, con i quali sembra voler quasi dire di star lottando contro. Il
rapporto tra personaggio e autore, afferma, non è di amicizia ma di nimicizia poiché i personaggi lottano
per l’affermazione di sé contro l’autore che vorrebbe dettare i loro comportamenti, ma anche di rispetto. I
personaggi gli resistono e dice che il linguaggio nell’arte rimane una transazione altamente ambigua, una
superficie che potrebbe cedere sotto l’autore in qualsiasi momento. Dice inoltre che i personaggi devono
essere lasciati liberi in modo da non costringerli ad assumere il comportamento che vuole l’autore. È difesa
l’autonomia del personaggio che possiede una propria identità. L'autore è paragonato ad uno scultore che
deve scoprire nel blocco di marmo ciò che è nascosto e così l'autore vede cosa è nascosto dietro le parole.
L'ambiguità della letteratura è il fatto che si usino le parole, uno strumento che usano tutti e quindi tutti
possono esseri autori. L'esercizio è ricercare in esso la stilistica, la retorica e affrontare i temi. Menziona la
verità che va sempre ricercata ma non è importante il risultato finale perché la verità non esiste, è la ricerca
di essa ciò che conta.
La verità è sfuggente e secondo Pinter non si riuscirà mai ad afferrarla ma la ricerca di essa è
fondamentale. È questa la differenza tra la buona e cattiva drammaturgia: non c’è un’unica verità, ce ne
sono molte. Ognuno esprime la propria verità, anche in Shakespeare i cattivi hanno una loro verità ed
hanno delle posizioni vere che mantengono.
Nelle sue opere ci sono molti riferimenti al passato storico e al ruolo dell’America nel suo monopolio
politico. Per quanto riguarda il teatro politico è importante l’oggettività poiché altrimenti si otterrebbe la
propaganda e la noia; e per evitare la noia è fondamentale la ricerca della verità. Il linguaggio politico non
si avventura nei territori non interessati dalla verità ma dal mantenimento e conservazione del potere,
quindi la gente deve rimanere nell’ignoranza. Non ci sono distinzioni tra ciò che è vero e non, una cosa può
essere entrambe. Lui crede in queste asserzioni e che l’arte possa esplorare la realtà attraverso esse, ma
poiché deve distinguere tra cittadino e autore dice che il cittadino è obbligato a domandarsi ciò che è vero e
ciò che è falso. “La verità della drammaturgia è sempre fuggente”, è il manifesto della sua scrittura. La
verità è elusiva perché si potrebbe non trovarla mai, ma essendo la ricerca della verità obbligatoria deve
essere elusiva. Per Pinter è importante il processo di ricerca, non il risultato.
In “writing for the theatre” fa delle considerazioni su sé stesso dicendo di non essere un teorico o
commentatore e affidabile sulla scena drammatica e sociale. Riflette anche sui silenzi dicendo che ce ne
sono due tipi: uno quando non viene pronunciata nessuna parola e l’altro quando c’è un fiume di lingue. Il
discorso al quale ci si riferisce può essere fatto anche di silenzi, è un’indicazione di ciò che non sentiamo. Il
discorso può essere anche uno stratagemma invitante per evitare di metterci a nudo, cosa che il silenzio
vero fa quando cade, mette a nudo l’anima.
Homecoming
Nel 1962 prima di scrivere Homecoming fa una dichiarazione di onestà intellettuale: non è un teologo e
nemmeno un commentatore esperto di drammi ma quando ci riesce scrive dei drammi ed è tutto lì. Pinter
afferma che per ogni possibile affermazione ci sono 24 possibili aspetti a seconda del punto di vista. Si
rifiuta di categorizzare a priori le possibilità di interpretazione.
Viene messo in scena nel 1965 dalla Royal Shakespeare Company ed è un esempio della sua battaglia
contro il potere e l’autorità. C'è un grande uso del silenzio che è molto più eloquente delle parole. È un
testo importante per la molteplicità dei temi che affronta e il modo in cui li affronta, apparentemente è un
testo naturalista.
Ci troviamo in contesto urbano quindi in un contesto realistico, ma dire che ha a che fare con il realismo è
sbagliato poiché è più un misto tra reale e surreale: riesce a mette in evidenza quello che c’è nella nostra
esistenza realistica e quotidiana e quello che rimane inosservato. Quello che connota il linguaggio di Pinter
è l’incomunicabilità tra i personaggi dovuta molto spesso al fatto che essi non rispondono e se rispondono
non ha nulla a che vedere con il discorso iniziale; ciò è dovuto ad una non conseguenzialità logica dei
dialoghi. Le motivazioni non sono mai precise e non ci si può fidare di essi poiché provengono da un
passato incerto che non li concede credibilità. I personaggi sono universali e complessi, irrisolti e ciò li
rende interessanti e li sottopone a maggiori letture.
L'opera si apre con la questione delle forbici e su chi le abbia prese: Max accusa Lenny (il figlio) di averle
prese perché è convinto sia stato lui a prenderle e di conseguenza che Lenny sappia dove trovarle e che
non gliele voglia dare. Ci sono subito due pause: Max ripete la domanda 3 volte per avere una risposta,
Lenny lo ignora e la risposta che dà è una risposta che tronca la richiesta dell’altro, non fa avanzare il
dialogo. È ovvio che Lenny lo senta e non gli voglia rispondere; Max si sta alterando e lo si nota dalle 3
frasi che sono un’interrogativa, un’esclamativa e un’altra interrogativa. C'è un’urgenza nel porre la
domanda e nell’aspettarsi una risposta. A Lenny non importa quello che gli dice Max e quindi gli dice di fare
silenzio, ma Max solleva il suo bastone e lo minaccia ma Lenny non è intimorito. Max cerca di instaurare un
dialogo che diventa un monologo perché capisce che non ottiene risposta. L'immagine di Max con un
bastone, seduto sulla poltrona ed è anziano ci offre la metafora di un re che ha paura di essere spodestato
perché è debole e se l’autorità è forte non ha paura di essere spodestata (rimandi al Re Lear). Quindi
vediamo che Max è una figura più debole rispetto a Lenny ma è solo apparentemente più forte. Max cerca
di ribadire la sua autorità di padre e di padrone di casa ma si contraddice e ricorda i vecchi tempi di quando
veniva rispettato ed era lui quello più forte. Allude al sangue attraverso un gergo da macellaio perché lui
era tale. Ricorda che lui e un suo amico MacGregor erano gli uomini più odiati di West End: zona dei teatri,
quartiere centrale ma libertino e zona di prostitute e di gangster; mostra le cicatrici per dimostrare che era
uno dei più odiati. Quando ricorda che quando entravano in una stanza dice che tutti scattavano in piedi e
stavano in silenzio, ma questo silenzio non scuote terrore ma solitudine e per questo motivo cerca di far
valere la sua forza su un passato mitico perché sa di essere debole ormai. Il fatto che Lenny non si lasci
intimorire dalle parole di Max si può ricondurre a re Lear.
Successivamente si passa al rapporto con la donna, con il sesso opposto. Max nel discorso sulla moglie
usa molte contraddizioni perché prima ne parla come una figura idolatrata come santa e poi la insulta come
una prostituta. La figura della donna verrà vista sempre con disprezzo perché Max ribadirà sempre di aver
cresciuto lui i figli; dice di aver rifiutato un lavora per il duca per loro.
Lenny si infastidisce e decide di fermare il padre dicendogli che cucina male e che il suo cibo andrebbe
bene ai cani. Arriva Sam che fa l’autista ed è appena rientrato dal lavoro e racconta i suoi aneddoti: dice di
stare in silenzio quando guida cosicché i clienti possano rilassarsi oppure racconta qualcosa per
chiacchierare; e quando dice di fiutare le puledre e di ipnotizzarle, Max con sarcasmo gli dice che è molto
strano che non si sia ancora sposato allora. Muove quindi delle accuse sessuali nei confronti di Sam, lo
crede omossessuale perché pulisce in casa (max è omofobo) ma Sam riesce a svincolarsi da questo
comportamento come se fosse in un ambiente predatorio. Entra poi Joey, un altro figlio. Con “I remember
my father” c’è un’allusione ad Amleto.
Max e Sam sono due fratelli che vivono nella stessa casa e di conseguenza dovrebbero avere la stessa
eredità ma Max si sente più potente perché ha una famiglia ed è il capo famiglia, inoltre si vanta di aver
fatto le veci della madre per i suoi figli. Si attribuisce un senso materno. Max tende a costruire teoricamente
quello che fisicamente nel presente non riesce a costruire.
Quando si riaccendono le luci sulla scena compaiono 2 nuovi personaggi: Teddy e Ruth.
Ruth è un personaggio poco loquace, studia l’ambiente, è molto precisa e puntigliosa, da un punto di vista
linguistico si presenta come un personaggio che tiene alla precisione. Teddy fa riferimento al fatto che sono
obbligati a rimanere mentre Ruth non ha nessuna voglia di fermarsi e fa riferimento anche ai suoi figli e che
potrebbero sentire la loro mancanza. Al contrario di Ruth, teddy è molto loquace ma traspare una grande
insicurezza in generale: si preoccupa se c’è ancora la stanza, se c’è il letto... (è stato via di casa per molto
tempo), Ruth invece dice poco ma con quel poco dice tanto rispetto al marito che parla moltissimo. Tra i
due c’è un po’ una crisi e questo si capisce dal dialogo tra i due perché lei risponde in maniera molto
distaccata e fredda mentre lui cerca di interpretare tutto quello che dice per cercare di compiacerla. Oltre a
questa difficoltà tra loro due si aggiunge il fatto che Teddy la deve presentare alla famiglia e questo è una
situazione di agitazione. La scena si ribalta perché inizialmente dice che esce e Ruth va a letto mentre
adesso Ruth esce a prendere aria e Teddy va a letto, il sottotesto ci riserva delle riflessioni che si possono
fare su questa relazione tra i personaggi e sulle loro caratteristiche e sulla loro valenza. Ruth ha una
grande abilità di evidenziare le debolezze dell’altro attraverso il linguaggio. Sono 6 anni che è stato via ed è
un dottore di filosofia. Teddy non apprezza la professione da macellaio del padre e non si sente apprezzato
da Max per aver scelto la strada dello studio. Non hanno mai fatti i conti tra loro, in particolare Teddy con la
figura paterna.
Teddy rimane da solo e incontra Lenny, parlano del più o del meno come se si fossero visti qualche giorno
fa anche se invece sono passati anni. L'incontro è un po’ ambiguo perché Teddy rimane un po’ sulle sue, è
un po’ freddo, non ci sono scambi di affetto tra i due. Ci sono due grandi tensioni in atto: una conservativa
e una progressista (aggressiva, si vuole ribaltare la situazione, si vuole togliere max dalla sua posizione).
L'outsider è teddy che sembra minacciare l’istinto di controllo di Lenny; da questo prima incontro però non
sembra volersi insidiare, non sembra circospetto.
Ruth rientra a casa, fa movimenti lenti, occupa lo spazio, non ha ansie. Dalla sua precisione lei crea una
strategia, cerca di avere il controllo. Lenny usa un approccio un po’ cordiale. Lenny non riusciva a dormire
perché era disturbato da un ticchettio e chiede un consiglio a Ruth attraverso un discorso filosofico in cui
dice che durante la notte con l’atmosfera silenziosa e rarefatta quel ticchettio diventa sempre più forte.
Cerca di impressionarla. Poi parlano di Teddy e del loro rapporto. Sono andati a Venezia, in Italia, e questa
città è simbolo di romanticismo, è il luogo della vacanza romantica dove volevano stare da soli senza
bambini, probabilmente per chiarire delle questioni. Ma evidentemente quella vacanza non è andata come
si aspettavano, lo capiamo dai dialoghi tra i due. Lenny cerca continuamente di impressionarla, le dice che
si è sempre immaginato che sarebbe andato a Venezia durante la campagna militare della seconda guerra
mondiale (ma lui non poteva farlo, probabilmente era un po’ goffo). Vuole toccarle la mano e lei gli chiede
perché e lui comincia un lungo discorso e racconto per cercare di sedurla: è una modalità per esercitare un
potere su quella persona. Una notte era da solo sotto un arco ed ebbe un incontro con questa donna che lo
ha cercato e che lui rifiuta perché lei cadeva a pezzi, era distrutta dalla sifilide. Ma lei insisteva, venne
portata lì da un autista (e questo si collega al discorso di sam all’abitudine di prostituirsi). Ha anche pensato
di ucciderla ma poi ci ripensa perché ci sarebbero state troppe grane, quindi la picchia e basta e la lascia lì.
Lenny non capisce Ruth perché non sa come prenderla. Ruth si chiede come facesse a sapere che quella
donna fosse malata e lui risponde che lo aveva deciso lui. L'abilità di Ruth deriva dal controllo che ha lei
della lingua. La donna malata del racconto di Lenny è lo stereotipo di debolezza, facilmente sottomessa
Quando Lenny chiede a Ruth se può togliere il posacenere lei risponde che non la intralcia, forse Lenny si
è concentrato più sul posacenere che su di lei oppure vuole dare un ordine nella sua casa. Inizia a
ragionare in logico modo-causale Lenny, c’è uno scontro tra questi oggetti che se cadono possono rovinare
il tappetto del padre. Ruth lo chiama Leonard durante la conversazione tra posacenere e bicchiere, ma il
problema ovviamente non è quello, è il fatto che Ruth non ceda e anzi lo stucchi e sappia che se lo chiama
Leonard crea qualche reazione e significa che se lo sta giocando. Solo la madre lo chiamava Leonard.
Ruth ha ascoltato Lenny e ascoltando ha elaborato il pensiero di Lenny e ha capito che se fosse stato
davvero un predatore non avrebbe fatto davvero quei racconti e non avrebbe traslato un’autorità paterna su
degli oggetti e quindi lo stuzzica. L'arma che Ruth usa è la seduzione e lui resta imbarazzato e questo ci
dice che Ruth non è una sprovveduta e ci sa fare. Ruth non si lascia distrarre dalle accuse di Lenny che lei
non ha fatto sapere nulla del matrimonio con loro fratello. Ruth economizza le parole, i gesti, le azioni,
quindi quando parla è tutto estremamente significativo. Quando si alza crea un’azione che crea una
reazione forte in Lenny e negli spettatori. Lui dice che deve allontanare il bicchiere, ma non lei. Lei è
implacabile. Lenny sente un senso di impotenza che si consuma anche a livello sessuale, e ciò si capisce
anche dai due racconti in cui picchia le donne e non si comporta da capo branco, uomo alfa che può
essere attivo sessualmente. Max si sveglia per i rumori e se la va a prendere con Lenny che si giustifica
dicendo che stava parlando da solo, vuole ricondurre il fatto ad una riflessione da solo. Dice che stava
camminando nel sonno ma il padre insiste e vuole sapere con chi parlava e con chi stava parlando.
Lenny a questo punto con il padre utilizza un’altra strategia. Cerca di tornare alle origini, evoca il momento
del concepimento e solleva da una parte il desiderio di tornare al momento in cui era solo “a glint in your
eye”, di tornare alla sicurezza del ventre materno. Al luccichio, un bagliore negli occhi, evoca la figura della
madre come qualcosa legato al piacere dei sensi. Si chiede se è nato per caso o se era intenzione farlo
nascere. Vuole conoscere i fatti reali sul suo concepimento; è comprensibile visto che ha subito questa
sconfitta con Ruth. Abbiamo un desiderio sessuale nei confronti della madre che si sovrappone alla figura
di Ruth. Lei non spiega le motivazioni delle sue azioni, sta noi ricercarle nel testo. Max a tutto questo gli
risponde che affogherà nel suo stesso sangue, non l’ha presa molto bene e gli sputa dopo che Lenny ha
evocato la figura della madre perché avrebbe dovuto chiederlo a lei ma è passata a miglior vita. Lenny
quando max sputa guarda il tappetto e dice che il giorno dopo dovrà passare l’aspirapolvere, questo
sottolinea una mansione domestica generalmente fatta da donna che in questo caso è fatta da Lenny. Si
sottolinea una certa omosessualità di Lenny.
Quando si fa giorno si ritrovano max e Joey nel soggiorno e max apre la scena dicendo che odia il
soggiorno. A lui piace la cucina perché è il luogo in cui Sam cucina e si trova lì, max vorrebbe controllare
tutto. Max si sente investito dalle parole che il padre prima di morire gli ha detto, ovvero quello di prendersi
cura dei fratelli. Lui se la prende con Sam dicendo che nella macelleria non era in grado di fare nulla, e che
non è stato in grado di fare nulla di buono. Dice che lui ha dato alla luce a 3 uomini adulti. Si fondo
elemento maschile con quello femminile. “Tit” è un insulto omofobo che Max usa per chiedere a Sam che
cosa ha fatto di buono. Il linguaggio di Max e le sue invettive riempiono il testo, lo saturano con le immagini
tipiche del teatro Giacomiano. La voce non è che una delle componenti, un organo vitale in queste
questioni, la violenza verbale è molto frequente e forte. Questa carnalità e forte anche nella seduzione di
Ruth: Lenny la trasferisce negli oggetti mentre Ruth trasferisce la seduzione dagli oggetti al suo corpo
fisico. Quella di Ruth è una sensualità primordiale, animale, c’è visceralità. La figura materna viene cercata
da Lenny, Max dice che lui è stato sia padre che madre. La struttura della famiglia è stata intaccata come
con la struttura della famiglia quando la madre è venuta a mancare.
Il confronto tra Lenny e Ruth conferma l’ipotesi che nel momento in cui Ruth lo provoca (non solo
attraverso la seduzione, ma anche attraverso la figura della madre) Lenny va in crisi perché lui tratta le
donne tutte un po’ come un oggetto di una transazione commerciale, una prostituta, per tenersi lontano da
un coinvolgimento sentimentale qualsiasi.
Nella casa tra i personaggi si avverte un’esigenza di voler conservare il proprio status quo. C'è una forte
tendenza conservatrice che sarà spezzata dalla presenza di Ruth che rappresenta l’intruso che porta il
cambiamento. Tiene testa a tutti, è molto abile, parla poco e ascolta molto. È riflessiva e manipola gli altri.
-Durante l’episodio del bicchiere e quando Ruth chiama Lenny con il nome intero, Leonard, come faceva la
madre, questo è secondo Billington il punto di maggiore intensità, ciò che stravolge l’ordine, una forza
distruttiva. Secondo lui, Ruth sta spogliando Lenny della sua potenza, lui che si era descritto come un
uomo brutale verso le donne, non avrebbe lasciato spazio al gioco di lei con un bicchiere. I racconti di
Lenny non sono in linea con il rapporto tra i due. Quei racconti gli fa per caricarsi ma Ruth ha la meglio
grazie alla seduzione. Simon Trussler cerca invece di analizzare l’episodio secondo un ragionamento
causa/effetto e afferma che non c’è alcuna giustificazione di questo trionfo di Ruth, pensa che questo ci sia
stato solo perché Pinter non sia più in grado di rinnovare la sua scrittura ormai automatica. Secondo
Trussler, Pinter sta applicando una formula ad una forma. Poi c’è Esslin e la teoria del sogno infantile che
fa una lettura psicanalitica dell’opera, quasi edipica (Freud); lo analizza riconoscendo un tentativo infantile
di Lenny. Sostiene che Ruth e Jessy (la madre) sono sia madri che prostitute e che l’uomo sogna questo
tipo di donne perché è incapace di salvaguardare sé stesso; la donna (Ruth) è l’elemento passivo.
Secondo Katerine Burkman invece Ruth è assetata ed è come se bevesse Lenny mentre gioca a fare la
vittima e allo stesso tempo sfida Lenny. Burkman sottolinea questo aspetto rituale dell’acqua e del fatto che
per prenderlo dentro di sé porta con sé questa interpretazione che continuerà per il resto del dramma
mostrando questa sete; non a caso descrive l’America come una terra deserta, quindi mancanza d’acqua.
Bisogna ricordare che non c’è un’interpretazione vera e una finta, ci possono essere interpretazioni che più
ci aiutano a capire qualcosa del testo.
Max insulta Ruth credendo che fosse una prostituta e a lui non importa chi sia lei perché può benissimo
essere una raccattata per strada che Teddy si è spostato. Max ha detto che non c’è stata mai una puttana
in casa, almeno finché la madre era in vita. La definisce “disease”, come se il copro femminile fosse solo
capace di portare malattie. Joey dice di non dargli troppo ascolto perché è vecchio e dice molte
sciocchezze. L'incapacità della lingua di trasformarsi in azione l’abbiamo già trovata in Beckett: Max dice a
Joey di buttarli fuori casa ma lui non lo fa. La parola di Max è quella che incide di più: è questo uomo
anziano che inveisce contro di tutti e tutti stanno a guardarlo. Le sue maledizioni hanno un certo effetto su
tutti. Ruth non dice una parola e non si muove. Per lei non rappresenta una minaccia, non lo considera
come tale. Lo osserva e lo valuta. Riflette, medita e capisce. Improvvisamente Max reagisce a questa
situazione e colpisce Joey allo stomaco, questo sforzo però sottolinea la debolezza di Max perché dopo il
colpo si accascia: è uno scontro tra deboli, uno scontro tra persone che non hanno forza. Sono momenti in
cui si accumula consapevolezza dei personaggi. Dalle parole si passa ai fatti, è una scena grottesca, ci fa
quasi sorridere. È stata una necessità inutile questo colpo. C'è un confronto di silenzio tra Max e Joey e va
verso Ruth e le chiede se fosse madre e se tutti i figli fossero di Teddy. Dopo questo sfogo, anche fisico,
Max cambia atteggiamento e va ad abbracciare e baciare il figlio Teddy (ma non lo fanno, lo dicono solo e
basta) (poco affettuosi). Max ha una vittoria parziale perché dice che Teddy è tornato e che ama ancora il
padre; sarebbe un po’ il ritorno del figliol prodigo. Si chiude il primo atto.
Il secondo atto si apre con la famiglia riunita in un momento conviviale, stanno prendendo il the/caffè.
Adesso sono tutti dolci e smielati. Fanno i complimenti a Ruth per la sua cucina. C'è un cambiamento
radicale. Max si deresponsabilizza dal comportamento dei figli o è davvero un elogio alla madre per come
sono stai cresciuti? Costruisce un’immagine, tessendo le lodi della moglie, ma è lui che va a caccia e va in
giro per tutto il paese a procurarsi la carne; è lui il capo branco che lascia la moglie nella tana con i cuccioli.
Max sembra un marito affettuoso: fa fare il bagnetto ai figli e poi si occupa della moglie. È una visione un
po’ contrastante dell’immagine che fino ad ora ci è stata descritta di Max. La famiglia è descritta come una
famiglia perfetta; è una proiezione del passato che max astrae o è un fatto realmente accaduto? Ruth con
una semplice domanda manda in crisi Max perché si sofferma sul dettaglio più oggettivo che possa esserci
“che cos’è successo al gruppo dei macellai?”.
Abbiamo avuto l’immagine del natale a casa loro e poi si ritorna alla reale cupezza della loro vita. Supplisce
al ruolo materno, come quando accudisce i bambini e la moglie, quando dice che lui ha sofferto le pene dei
dolori del parto; non è un’affermazione da poco, si è sostituito completamente al ruolo della moglie. C'è
un’ambiguità di genere di Max, è come se prendesse il ruolo fondamentale, sacro della nascita, il ruolo più
importante della donna. È un discorso iperbolico che porta al parossismo perché porta ad una sorta di
disprezzo verso la moglie perché lei non ha fatto nulla, non ha nemmeno dato alla luce i figli, lo ha fatto
Max. All'inizio Jessie era lo specchio della moralità mentre adesso è solo “la sporca troia di mia moglie”.
Questa casa priva di elementi femminili, presenta posizioni estreme di idealizzazioni per il disprezzo nei
confronti della figura femminile. Le stesse cose che dice della moglie poi le dice anche a Ruth. Prima la
insulta, poi la elogia, poi la ri insulta. C'è un costante riferimento alle donne come oggetto per
soddisfacimento sessuale o come elemento ideale di vestale. Pinter esplora come possono coesistere
nella stessa donna questi estremi, ciò mette in crisi le idee convenzionali maschili sul ruolo della donna e
sulla sua concezione nella società; la donna o è troia o è una donna che sta sempre a casa devota. Ci
mostra la complessità perché non c’è un personaggio che ci fa una lezione su questo argomento, lo
vediamo, lo percepiamo. La più grande prerogativa del genere femminile è quello di procreare.
Max fa un’allusione omosessuale a Sam dicendo che svende il suo corpo per qualche spiccio e fa
riferimento anche allo stereotipo maschile che va a caccia (guerra) e uccide. Max parla un po’ con Teddy e
poi si rivolge di nuovo a Ruth dopo che Sam se ne va. La definisce come una ragazza femminile con le
carte in regola. Ammette di non essere la stessa donna che era quando ha incontrato Teddy per la prima
volta. “Who can afford to live in the past?” è molto ironico detto proprio da Max visto checerca in
continuazione di riportare al presente la sua autorità passata, cerca di fare il filosofo. Teddy ci sta dicendo
invece che lui è soddisfatto da Ruth e dalla sua famiglia, dice che le è di grande aiuto a casa sua e che è
molto popolare e ha molti amici. Poi parla che all’università si sta benissimo e che hanno tutto. È un
ambiente molto stimolante quello dell’uni. Poi subentra Lenny. Sta cercando di provocare Teddy, il
confronto è serrato. Max cerca di ribadire continuamente il proprio ruolo e la sua autorità, ma tra gli altri
membri della famiglia non è più visto come funzionante, è un simulacro di qualcosa che c’era e che ora non
c’è più. Teddy e Lenny ora sono quelli che sembrano essere in posizione adesso. Lenny si sostituisce a
Sam come capo famiglia adesso. Si scontra con Teddy dopo che Max lo ha elogiato e quindi vuole reagire
e dire la sua. Lo sfida sul suo campo, sulla filosofia. Lenny incarna la figura di Amleto. Parla Ruth, e dice
cose con qualche riferimento sessuale e Teddy comincia a preoccuparsi.
C'è una strana similitudine tra le gambe del tavolo e le gambe di Ruth. Si associa al tavolo per dire che è
come un oggetto; non ci si sofferma sulla semplice superficie dell’involucro, ma bisogna guardare in fondo.
Ruth dice questo, di non fermarsi all’apparenza. Ruth si confessa. (il fatto che Teddy sposa Ruth e non
dice nulla alla famiglia è riconducibile alle radici di Pinter che, proveniente da una famiglia ebrea, sposa
una ragazza non ebrea e non dice nulla). Teddy torna in un momento di crisi a casa. Ruth dice che era una
modella per il corpo (prostituta). Diventa sempre più centrale per tutti, sta catalizzando le attenzioni di tutti
probabilmente anche nella coscienza. Capiamo la sua disperazione quando Teddy la porta in America che
è questo posto di desolazione, per Ruth l’America è roccia, arida, sterile come quella di una terra desolata.
Teddy descrive casa sua come un luogo in cui ci sono piscine, sole ed è più pulito. Teddy pensa al lavoro.
Ruth si concentra sul fatto che lo consideri un posto sporco lì; teddy fa tutto un passaggio sull’acqua, sulla
purificazione perché lì in America si fa riferimento ai puritani. Ruth dà una risposta molto strana, dice che
se fosse stata un’infermiera nella campagna d'Italia sarebbe stata prima in Italia, è una ripresa della frase
di Lenny, lei la riprende e la gioca a suo vantaggio.
Teddy va a fare le valigie e lei si riposa ma entra Lenny e iniziano a parlare, il loro rapporto è cambiato. Gli
dice che era una fotomodella per il corpo prima che abbia avuto i suoi figli. Ruth descrive un luogo fuori
Londra, in campagna, in luogo molto bello e tranquillo, veniva offerto pranzo e cena e poi faceva il suo
ruolo di modella. Teddy poi scende con le valige e pensa che sia Lenny ad aver parlato con lei mentre
invece ha iniziato Ruth il discorso. Lenny mette un disco jazz e chiede a Ruth di ballare, Teddy non vuole
ma Ruth se ne frega. Iniziano a ballare e si baciano. Entrano Max e Joey, lui non riconosce Ruth e dice che
Lenny si è portato una puttana a casa. Joey la bacia mentre Lenny le accarezza i capelli. È un’immagine di
seduzione e sensualità ma anche di affetto materno. Max capisce perché Teddy non ha detto di essersi
sposato, perché si vergognava di lei, gli dice che però lui è aperto di mente e le fa molti complimenti. Ruth
ad un certo punto si mette a dare ordini senza lasciare un margine di decisione o disapprovazione. Si
muove con grande padronanza. Teddy risponde facendo capire che ce l’ha con tutti, famiglia e moglie
compresi. Teddy si apre, dice che loro non sarebbero in grado di capire i suoi lavori e i suoi scritti e non
perché non sono intelligenti ma per una visione diversa del mondo. Il bilanciamento di cui lui parla è un
equilibrio intellettuale, un bilanciamento tra due poli opposti. Sembra che il figliol prodigo che doveva
tornare sembra un capo espiatorio per tutte le motivazioni e immoralità della sua famiglia, non è servito
perché ha perso, è diventato troppo isolato, troppo distante. Anche il mondo di max e Lenny è costruito su
cliché, su immagini e stereotipi, ma quello che vediamo che succede nella casa è che la presenza di Ruth
in casa funge da elemento rigenerante. Si spengono le luci, si passa direttamente alla sera.
Lenny specifica che loro, a Londra, sono ancora un branco.
Joey si ritira in camera con Ruth. Joey ha questo momento di intimità affettiva ma non sessuale in quanto
non viene consumato. Il consumo è importante e riemerge nel confronto con Teddy e Lenny quando Lenny
ruba il formaggio a Teddy. Poi c’è il lungo monologo di Lenny che va in contrapposizione allo stile di vita
degli stati Uniti. Inizia una progressiva e lenta esamina di quello che effettivamente Ruth può andare a
ricoprire in questa nuova dimensione che poi per lei non è molto nuova; faceva anche prima questo
mestiere perché viveva poco lontano di lì. Ne parla in prima persona, esclude Teddy, lui ne è lontano come
è escluso dal discorso del destino della moglie, viene interpellato dalla famiglia tanto per. È sempre più
evidente la frattura tra Teddy e la sua famiglia, una frattura che non è di questo momento ma che risale a
molto prima quando dice che non potrebbero mai capire i suoi scritti. Teddy sembra aver perso le
caratteristiche di quella famiglia ma che invece Ruth sembra riscoprire e interpretare al meglio.
Questo testo è popolato quasi esclusivamente da uomini, eccezione fatta per Ruth. Lei è una figura molto
contraddittoria e ambigua. Loro danno una possibilità a Ruth di inserirsi nell’ambiente offrendole un lavoro
e guadagnare del denaro per farle mantenere un certo stile di vita e una certa “dignità”. L’unica cosa contro
la quale Teddy non protesta è quella del fatto che potrebbe invecchiare molto presto Ruth e che quindi
potrebbe stancare. Il ruolo di Ruth in quel mondo sembra accessorio, non ha un ruolo da protagonista, non
ha un ruolo proprio come ce l’aveva a Londra, almeno lì aveva una propria identità anche ricoprendo un
ruolo minore. Ruth quando inizia a parlare chiede un drink in modo perentorio, mantiene la sua
puntigliosità, insegna anche a stare al mondo. Gestisce e ha un controllo sulle persone e dell’ambiente
circostante che invece agli altri invece sfugge, manca. Quando Ruth scende dimostra grande sicurezza di
sé, sorride e si siede. Teddy in modo vigliacco non la mette difronte ad una scelta, le dice che può restare
per un po’ e poi tornare a casa. Max dice che si è creata questa immagine impareggiabile di Jessie che
tutte le altre donne sono sfigurate, è per questo che non c’è mai stata un’altra donna in casa. Teddy si
preoccupa di questioni economiche, non dei figli e che lo lascia da solo; Teddy forse ha accettato il
fallimento di cercare di recuperare questo rapporto fortemente in crisi. “or you can come home with me” fa
più riferimento ad uno stile di vita che può avere Ruth in America con teddy anziché di un rapporto affettivo;
e infatti Lenny rilancia dicendo che le faranno avere un appartamento in centro dove andare a lavorare e
stare lì da loro per stare in famiglia. Non viene mai detto esplicitamente che deve fare la prostituta ma è
molto chiaro.
Ruth sta stabilendo gli articoli del contratto che andrà a firmare (ha un gergo da notaio, molto formale). Alle
allusioni della proposta lei rilancia e risponde con una lista di cose di tutto quelle che le spetta per accettare
questa proposta per finalizzare il contratto. Sam esplode ad un certo punto e dice che MacGregor si faceva
Jessie nel suo taxi quando li portava in giro; è un momento molto forte per Sam perché è una rivelazione
che lo fa così soffrire che sviene. Max dice che Sam non è nemmeno morto e che quindi non è bravo
nemmeno a fare quello; dice che è bravo solo ad avere un’immaginazione malata. Ruth ignora il fatto e
continua con il suo accordo. Tutti guardano Sam dall’alto in basso, solo Joey si è abbassato. Teddy torna
in America senza moglie e con una foto del padre da far vedere ai suoi figli. Lui va verso la porta e saluta
tutti tranne Sam e Ruth; adesso è lei che lo chiama “Eddie”, lui si gira e lei gli dici di non diventare un
estraneo, di farsi sentire ogni tanto: questo forse significa che abbia paura che lui la dimentichi o “non
diventare uno straniero alla famiglia” perché lei ormai si sente parte integrante mentre lui no. Lui se ne va.
È successo qualcosa di molto forte e l’epilogo descrive un’azione che porta verso un quadro finale. Lei si
siede rilassata sulla sua sedia e Joey si mette in ginocchio accanto alla sua sedia; lei accarezza la sua
testa e lui mette la testa sul suo grembo (gesto materno). Max comincia a fare indietro con loro e si chiede
se sia troppo vecchio, cerca di ribadire la sua autorità. Max si fa prendere dal panico: non l’abbiamo mai
visto così preoccupato e ansioso. Ruth in tutto ciò è impassibile. Ritorniamo al tema dell’inizio quando Max
dice di avere un “gift”, lo sente al fiuto se vale la pena di scommettere sulle cavalle e dice che qui fa la
stessa cosa Ruth: si prenderà gioco di loro. Max si irrigidisce, da patetico diventa grottesco questo suo
atteggiamento; è capo chino. Le chiede di baciarlo ma lei continua ad accarezzare Joey mentre Lenny
resta fermo a guardare e Sam è svenuto a terra. Sipario.
Ruth ha un atteggiamento di comando al centro della stanza. La critica si è spesso divisa su questo finale
un po’ traumatico e scioccante rispetto a questa scelta di Ruth di abbandonare la famiglia che ha costruito
in America per accettare questa richiesta di prostituzione da parte della famiglia del marito. Pinter è stato
accusato di presentare una soluzione così scioccante solo per il gusto di turbare le coscienze della
borghesia: scandalizzare solo per il gusto di scandalizzare. È una trama molto simbolica e a volte quasi
allegorica che però sembrò non reggere allo scrutinio di una critica che andava alla ricerca di una certa
credibilità di questa storia. Ma Pinter non vuole essere realistico in senso naturalistico; cerca di essere
reale ma non di osservare una verosimiglianza del naturalismo. Quello che non ritorna in Homecoming è
un’osservanza convenzionale, di motivazioni di personaggi che devono rientrare in un sistema di valori
riconosciuti dalla società. È più un giudizio storico-sociale che letterario quello della critica, perché si
basano su ciò che è contemplato in quella determinata società in quel determinato periodo. L’elemento che
più infastidisce la critica è ciò che si nasconde dietro il comportamento di Teddy: manca il giudizio morale.
Rispetto a Sam ci viene il dubbio che la stessa organizzazione che c’è per Ruth è la stessa che forse c’è
stata anche con Jessie. Ruth dal punto di vista metaforico sembra essersi sbaragliata del re pescatore e di
un suddetto (max e Sam) e chi sale al comando non è un altro uomo ma è proprio Ruth, che si siede sul
trono del re (poltrona di Max). Lenny si tiene a distanza. Il rapporto con teddy sembra essere quello del
cortigiano, un sottoposto che esegue gli ordini. Anche in questo senso la differenza sta in questo con
Jessie: che non c’è più Max (anche se non sappiamo cos’era Max per Jessie). Max dice che i suoi figli
hanno imparato la morale dalla madre in un contesto di stupratori, gangster e prostituzione. Qui tutto
sommato non c’è posto per Teddy in questa situazione perché non approva quello stile di vita e quindi se
ne va; forse non vuole riportare quell’ambiente famigliare in cui è cresciuto alla sua famiglia in America. Ha
avuto una certa mobilità sociale: è un professore universitario rispettabile e lui cerca di usare questa
condizione di vita agiata per tenerla a sé, ma a lei non interessa evidentemente. Da un punto di vista di
narrazione e drammaturgia non ci sono molte incoerenze nello sviluppo della trama rispetto alle
caratteristiche dei personaggi. Ha una componente realistica ma è più legata al valore metaforico a cui
sono legati i desideri umani.
C'è un rapporto importante in Homecoming con la città, con il contesto urbano. Sembrano tutti avere un
proprio territorio. Joey si muove tra la palestra e il sito di demolizione, Max con la sua macelleria, Lenny è
più versatile perché spala la neve nei suoi quartieri e poi arriva all’area portuale. Ognuno è segnato da un
profondo attaccamento territoriale, geografico. Ruth riscopre le proprie radici londinesi, di appartenenza.
Teddy ha perduto la sua identità in America ma ne ha ritrovata una nuova. Ruth quando fa quel racconto a
Lenny sulle sue pose come modella è un modo subliminale per far notare come fosse indipendente prima,
sta mandando un segnale e adesso può tornare ad essere indipendente da Teddy. È Teddy che ritorna in
quella terra fatta di rocce, deserti e insetti mentre Ruth resta nella città. Nella città il linguaggio è più mobile
perché ci si sposta in varie parti. Il contrasto tra America e Londra per come lo vedo Ruth è che a Londra
bisogna lottare contro le difficoltà e Ruth in questo caso si sente viva, e se queste difficoltà devono essere
risolte attraverso la sua sensualità lei non si tira indietro. Il finale non ci precipita verso una catastrofe, al
punto di non ritorno. Vediamo Ruth che sottolinea la sua posizione di potere.
Ci sono state diverse accuse e critiche negative relative al fatto di questa mistificazione che ricopre certi
personaggi in Homecoming, ma è comunque plausibile da un punto di vista del contesto realistico. Il fatto
che l’autore non ci comunichi dei dettagli del mistero non vuol dire che lo fa espressamente per mantenere
un’aura di indecifrabilità soltanto per il gusto di rappresentarla, lo fa e basta; questo è estremamente
realistico. È molto più realistico un dialogo come quello di Homecoming rispetto ad una tradizionale
drammaturgia in cui i personaggi si confessano e dicono tutto; in generale si cerca di nascondere qualcosa
rispetto alla persona che si trova di fronte. Ruth è una delle poche volte in cui Pinter sente il bisogno di
plasmare alcune particolarità avendo in mente un modello non esclusivo (si ispira alla prima moglie). È
interpretata male di proposito e viene deliberatamente usata dalla famiglia ma alla fine lei si rivolta contro di
loro con una frusta (metafora sadomaso di sensualità e seduzione). Non diventa una prostituta, alla fine del
dramma possiede un certo tipo di libertà, può fare quello che vuole e non è per nulla sicuro che andrà a
stare nell’appartamento in cui avrebbe dovuto esercitare il suo ruolo; ma anche se ci andasse lei nella sua
mente non sarebbe mai una prostituta. Questo è molto importante proprio perché si frappone con forza alla
costante imposizione maschile in particolare di uomini che mostrano debolezza e impotenza che cercano di
imporre sulle donne l’identificazione di donne sottomesse e obbedienti. La trattano come se fosse un
oggetto ma da quando entra in scena lei questa immagine si ribalta.
Cosa significano le pause e i silenzi?
Quando i personaggi sono in silenzio si nascondono ed è proprio in quel momento che sono più visibili e
vulnerabili. Ci sono due tipi di silenzio: 1. quando non viene detta nemmeno una parola (momento di
riflessione e raccoglimento; momento di passaggio); 2. quando un fiume di parole viene dislocato, i discorsi
che udiamo sono l’indicazione di quello che non udiamo. In questo senso nel momento in cui Lenny sfida
Teddy sul discorso filosofico e Ruth indica la gamba del tavolo e dice “look at me”, dice delle cose ma sotto
scorre un altro discorso, questo avviene anche nei silenzi soprattutto quando i silenzi sono accompagnati
dai gesti. I personaggi non comunicano perché non c’è connessione logica tra una risposta e l’altra. Nel
silenzio non si fa che comunicare molto bene. Nel non detto c’è di tutto. È una continua evasione e un
tentativo di tenere loro stessi dentro loro stessi: cercano di difendersi. Ci sono varie motivazioni che
spingono a non essere così facilmente protagonisti di un discorso cosi aperto perché la conversazione è
allarmante: aprirsi agli altri e mostrare agli altri la povertà che abbiamo dentro è una soluzione spaventosa.
Costantemente succede che arriva il momento in cui dicono davvero quello che vogliono dire e quando
questo succede non si può più tornare indietro, è irrevocabile. Nel finale infatti quando Max implora Ruth di
considerarlo e dice “kiss me” mette a nudo tutta la sua debolezza e povertà.
Questa scena finale è messa in discussione da Billington che dice che la mano appoggiata equivale ad
avere dominio, cosa che Lenny non ha ma che Ruth ha; non capisce il finale. Nella scena finale l’attrice
chiede a Pinter se lui fosse il protettore ma risponde dicendo che Lenny lo vorrebbe ma non lo è; è Ruth a
dominarlo. Inoltre lei è un personaggio molto attivo nel testo poiché in lei si manifesta una trasformazione
graduale, lo abbiamo visto con il linguaggio. Questa idea di una donna con una grande forza scenica è
ripresa di Webster. Tressler critica e giudica i testi di Pinter come fini a sé stessi, senza uno scopo e che
non portano da nessuna parte. Non c’è un rapporto causa/effetto. Critica Homecoming come un
melodramma intellettualizzato che segue un po’ la moda e dice che è un lavoro pornografico sul quale non
si può provare partecipazione. A contrastare quanto dice Tressler, c’è un personaggio che ci fornisce la
giusta chiave di lettura per i testi di Pinter: l’autore non vuole farci arrivare ad una morale perché altrimenti
il lettore capirebbe già dove si sta arrivando e Pinter lo fa per non condurre alla noia. Elson ci fornisce una
buona chiave di interpretazione del titolo. Ci dice che Ruth è diventata un’ape regina; è in questo senso
che si capisce la figura di Joey come il maschio-ape che sta attorno alla regina ma che non può
accoppiarsi con lei. Con la sua presenza Max non deve ricoprire sia il ruolo di madre che di padre, quindi
con il suo arrivo Ruth completa l’ambiente famigliare. Si sente in vantaggio a stare lì perché si sente
desiderata e quindi è felice, e questo sentimento di essere desiderata è più forte dell’istinto materno.
Homecoming perché lei torna a casa; home è il nucleo famigliare. Elson afferma che l’originalità di Pinter
sta nel modo in cui presenta questa questione, ovvero nel fatto che non ci offre la spiegazione, il modo di
interpretarlo. Non si hanno risposte definitive alle domande sul perché Teddy se ne va senza dire nulla o
perché Sam è lasciato svenuto a terra.
Peter Hall ci spiega sia i silenzi di Beckett che quelli di Pinter. Segnano una precisa notazione musicale. Il
silenzio è un’interruzione più lunga nella quale avviene un cambiamento del personaggio, ne esce fuori il
personaggio cambiato. La pausa è più breve e corrisponde al non detto. L'attore non vuole dire ciò che
pensa ma se volesse potrebbe farlo, ma non vuole. È una sorta di momento di crisi in cui emerge il non
detto e dobbiamo percepirlo.
Ahest to ashes
Inizia scrivere quest’opera da una suggestione, da una visione di una donna nel mare della quale si vede
solo la mano che esce fuori dall’acqua e che cerca di afferrarsi a qualcuno, e non a qualcosa, ad un
sostegno morale. Ma è tutto morto, non c’è nessuno e anche lei dovrà morire. È una donna incapace di
sfuggire il suo destino. Si entra quindi nella menta di questa figura che pensava che questo destino fosse
solo per gli altri e non per lei. Pinter prende una donna per investigare la sensibilità e la capacità di
conoscenza più profonda che ha una donna rispetto ad un uomo, una conoscenza anche più misteriosa. In
poche righe abbiamo già un movimento con un punto di riflessione esterno, uno interno e una conclusione
rassegnata.
Il titolo rimanda un funerale. “Ashes to ashes” fa parte di una formula “earth to earth, ashes to ashes, dust
to dust” che riguarda il seppellimento. Si parla di un passaggio dalla vita terrena a quella celeste.
Billington ci dice che Pinter scrive quest’opera dopo essere stato in vacanza alle Barbados e dove si era
portato una lettura del secondo di Hitler, un nazista architetto del Reich. Rimane colpito dal bipolarismo di
quest’uomo, istruito ma allo stesso tempo nazista. Pinter scriverà di Devlin e Rebecca.
Veniamo introdotti in una ambiente calmo e tranquillo. La scena è quella di una casa in campagna al piano
terra con una grande vetrata che affaccia sul giardino, due poltrone, due lampade ed è un tardo pomeriggio
d’estate; quindi sta scendendo la sera e la luce delle lampade si intensifica. L'equilibrio tra esterno ed
interno si adegua ma non si ha la stessa luce brillante all’interno della casa come la si ha all’esterno. C'è
una certa simmetria. Devlin appare in una posizione di dominio e sta in piedi che guarda il bicchiere
d’acqua (come Homecoming) mentre lei è seduta. C'è un silenzio che pesa.
Rebecca parla per prima e risponde alle domande di Devlin e dalle sue risposte rinveniamo un’immagine
piuttosto violenta e maschilista. Inizia con un’immagine in un’ambientazione alto borghese con una coppia
in un momento di rilassatezza. Inizia con un discorso già iniziato. Rebecca nei suoi racconti passiamo da
un’immagine generale ad una focalizzazione precisa, ci sono immagini vivide che vengono create: abbiamo
l’immagine di un uomo che le mette un pugno davanti alla faccia, con l’altra mano le spingeva la testa
contro il pungo e quest’uomo le imponeva di baciare il pugno. Abbiamo un’immagine di brutalità e violenza.
Devlin le chiede se l’ha fatto e lei risponde che gli ha baciato le nocche. Abbiamo una grande sensorialità di
Rebecca. Gli chiede poi cos’ha detto. Abbiamo una simmetria del silenzio, abbiamo uno stacco più forte.
Rebecca è molto compiacente, non sembra che sia la prima volta che fa questa cosa. Quest'immagine di
violenza non è ridimensionata ma possiamo ricollocarla all’interno di una relazione che aveva con
quest’uomo (forse è un gioco erotico). Rebecca ha un passato di cui Devlin non sa. C'è una grande intimità
con quest'uomo perché lei parla attraverso il palmo della sua mano e lui la capisce. Lei aggiunge ulteriori
dettagli che lei compiva con lui, sembra che Rebecca nel ricostruire il racconto focalizza l’immagine in
modo vivido. Si intende ad associare alla figura di Devlin con quello di uno psichiatra che sembra essere
geloso dai racconti di Rebecca che invece non sembra essere toccata da questa gelosia. C'è di sicuro
intimità tra i due ed è evidente che lui abbia necessità di sapere chi fosse questa persona anche in modo
ossessivo; vuole sapere com’è fisicamente. Devlin insiste nel sapere le vicende fisiche e questo può
essere visto come una gelosia nei confronti del corpo di Rebecca. Lui sta scoprendo che questa donna si
lasciava andare a queste pratiche e si lasciava sottomettere da questo uomo. Ha bisogno di visualizzare, si
concentra sull’aspetto esteriore perché forse sente una competizione con quest’altro, si innesca un
meccanismo inconsapevole di fare un paragone.
È ossessionato dal passato di lei. Si spazientisce perché più lui fa domande più lei entra nel dettaglio con
rivelazioni forti. Rebecca dà un nome all’altro: amante (lover). Viene utilizzata la parola “baby” che venne
usata da Ruth. Abbiamo una situazione subalterna della donna in cui lei racconta una brutalità che ha
vissuto anche con piacere. Anche per Rebecca questa cosa non è semplice da tirar fuori, preferisce infatti
concentrarsi sul dettaglio mentre Devlin cerca di visualizzare tutto l’insieme. Lui la chiama “darling” e lei gli
dici che nessuno l’ha mai chiamata così tranne il suo amante. Rebecca smentisce Devlin così come Ruth
smentiva Teddy e Lenny. Rebecca ricorda sempre più cose ma non sa nemmeno lei che lavoro facesse il
suo amante. Devlin continua a chiedere cose fisiche ma lei taglia corto e si contraddice molte volte nel
racconto perché ad un certo punto va per conto suo nel ricostruire con la memoria (il rapporto con la
memoria è molto complesso in Pinter). Sembra come se Rebecca ripetesse un discorso imparato a
memoria, come se lo avesse già ripetuto altre volte ma si spinge troppo oltre e tocca scene, argomenti,
ricordi che aveva omesso e che non voleva riaffiorassero. Sembra quasi un percorso terapeutico o un
interrogatorio.
Devlin è ossessivo e possessivo nei confronti del passato e della memoria di Rebecca. Il fatto che lei faccia
riferimento a quest’uomo come suo amante e il modo in cui fa riferimento all’essere “darling” di quest’uomo
ma non di Devlin fa pensare che lei possa essere ancora influenzata da questa presenza violenta e
seducente. I ricordi di lei sono confusi e anche la loro riproposizione. Si sta delineando che l’autorità di
quest’uomo era in relazione alle persone che lavoravano in questa fabbrica, le persone si inchinavano e
toglievano il cappello in segno di rispetto; glielo ha detto lui dopo, non glielo aveva chiesto lei. Più che della
condotta morale, Devlin, è interessato agli aspetti esteriori (insignificanti) e a voler sapere perché Rebecca
fa quelle cose. Come spesso succede in Pinter nulla è quello che sembra, è sempre sfuggente la verità, il
ricordo di Rebecca è “mesmerized” (ipnotizzato, affascinato, confuso), lei scivola sempre via dalle sue
domande perché il ricordo è sempre più disturbante. Il rapporto che c’è tra i due rispecchia un po’
l’ambiguità di Ruth e Lenny. C'è una cosa che è chiara rispetto alle dinamiche nei rapporti che stiamo
vedendo tra Devlin e Rebecca, Rebecca e quest’uomo, e tra Devlin e quest’uomo: la psiche di una donna è
sottomessa da due personalità maschili che cercano di intrufolarsi in essa mentre lei cerca di recuperare
cose che erano state rimosse. Pinter cerca di recuperare un’immagine da una foschia per creare
un’immagine forte. C'è sempre una personalità maschile che cerca di subentrare violentemente e questi
atteggiamenti sono molto spessi confusi con gesti d’amore e affettuosi. Dal riemergere di questi ricordi che
stanno riaffiorando dall’iceberg abbiamo una metafora visivamente molto utile per capire come da un
rimosso che Rebecca pensava di aver messo a tacere, se non è risolto, tornerà sempre a galla. C'è rispetto
in quest’uomo ma anche terrore perché gli uomini che lavoravano per lui scattavano subito per lui e
sarebbero stati disposti anche a buttarsi da una scogliera. Quello che colpisce Rebecca è che il posto dove
lavorano era molto umido (presenza acqua). Devlin le dice che aveva detto lavorasse in un’agenzia ma lei
svia la domanda dicendo che non ha mai trovato il bagno in questo posto.
Da questa stanza della campagna inglese si apre una voragine di storia: si parla di eventi legati al nazismo
e fascismo (sono riferimenti, non viene mai detto nulla di preciso). Questo emerge piano piano ma non
lascia traccia nella coscienza. Entrambi cambiano argomento, lei dice di essere infastidita. Da questa
discussione siamo passati dalla sfera personale, ad elementi di storia contemporanei ad essi, alla sfera
pubblica (sempre nel contesto della brutalità ovviamente). Rebecca sembra assumere un livello di
maggiore consapevolezza mentre Devlin fa trasparire la sua insicurezza di base e la sua ossessione
sempre di più e la sua debolezza. Rebecca cerca di distogliere la propria attenzione da questa situazione.
Ad un certo punto sente una sirena che ha un significato diverso per i due. Per lei è un allarme, qualcosa di
brutto che sta per succedere e la infastidisce molto. Per lui è un senso di tranquillità e serenità, fa una
rassicurazione a Rebecca che risulta invece inquietante. A mano a mano che si affievolisce per lei il suono
di questa sirena che passa, aumenta per qualcun’altro: ciò che lei dimentica diventa importante per altri.
Riconosce di essersi invischiata in questa storia, c’è questa lacerazione con l’eco che viene ma che poi si
allontana. Da una parte c’è il desiderio di possedere l’amante, dall’altra c’è l’ambiguità che rimane che
questa seduzione comportava il chiudere gli occhi su una seria di questioni che però non sono state messe
a tacere ma rimangono lì. Devlin interpreta in modo molto diverso questa questione della sirena che per
Rebecca da una parte è la volontà di riprendere il passato per fare i conti con quella persona, lui si fa
sempre più minaccioso e le dice che arriverà un’altra sirena, come se fosse perseguitata e quindi non sarà
mai più sola. È una cosa sulla quale Devlin cerca di farsi forte attraverso un potere autoritario che agisce
attraverso la polizia. Sminuisce un po’ la questione. Parte da una posizione di sicurezze e autorità ma poi si
perde nella sua insicurezza.
“By the way” in Rebecca ci dà l’idea di come lei sia focalizzata sul suo ricordo e nel cercare di riportare
questi sfuggevoli episodi. Arrivano a discutere se la penna è innocente o colpevole. Devlin cerca solo di
essere puntiglioso? Insistono entrambi su una precisione semantica, tanto precisa che è spinta oltre un
normale uso della lingua o siamo difronte ad un tentativo di imposizione di un pensiero, di manipolare? Se
io decido di manipolare la mente di una persona dicendo che 2+2 fa 5 è così e basta (tematica che
compare anche in Homecoming e in 1984 di Orwell). È un tentativo di affermazione della propria autorità e
del proprio potere. Sta perdendo il controllo e quindi ha bisogno di ristabilire la gerarchia, bisogna fare
riferimento a dei capisaldi altrimenti il rischio è di essere in “quicksand”, nelle sabbie mobili, dove si affonda
e non si trova nessuno. Il passaggio da “quicksand” a Dio è inquietante, come se Dio fosse incapace di
essere presente e qui Devlin non è d’accordo. Dio nelle sabbie mobili significa che mancano i punti di
riferimento e quel Dio potrebbe essere per Rebecca quell’amante per il quale lei ha una fede totale e
quando questa fede non ha più terreno solido si mette in discussione l’autorità che accompagna questa
figura. Devlin la ammonisce e le dice di fare attenzione a come parla di Dio perché lui è l’ultima garanzia e
se la perdiamo non c’è più nulla; questo perché la fede è potere, è autorità sulle azioni degli uomini. Se la
si perde succederebbe il caos. Rebecca si sta a mano a mano svincolando e Devlin cerca di recuperare il
suo potere. Devlin utilizza un’immagine piuttosto bizzarra: è come se l’Inghilterra giocasse contro il Brasile
e allo stadio non ci fosse nessuno; questa similitudine con il richiamo agli stadi di calcio così vuoti in cui si
radunano i dissidenti fa pensare a quanto successo in Sud America, in Cile e Argentina con le dittature. In
particolare quello che lo infastidisce è un mondo senza vincitore. Devlin le fa un discorso sull’autorità e
Rebecca è travolta e ritratta come se fosse sottoposta ad un interrogatorio. Ora Devlin sembra aver
riconquistato il suo potere in modo autoritario e con imposizione e questo comporta sicurezza. Da questo
momento in poi lei sarà sempre più focalizzata su sé stessa e sul recupero emotivo del suo passato. Devlin
dice che stava cercando di ucciderla e lei risponde che lui l’adorava. Abbiamo un riferimento alla religione
nelle domande incalzanti che lui le fa successivamente. Cerca di ritagliarsi, di creare una sua immagine ai
suoi occhi, perché non riesce ad averla come quest’uomo l’ha avuta. La dottrina di Devlin è che quando ci
si sposa non si pensa più ai problemi perché c’è la moglie che adesso deve occuparsene. C'è
un’adorazione dei vincenti in questo discorso. È una dottrina che si contraddice anche, sembra un enigma:
un uomo a cui non frega niente è un uomo rigido che è attento a molte cose. Lui vuole essere un vincente
a tutti i costi perché solo i più forti sopravvivono (Darwin e mentalità americana). Siamo in una peripezia:
momento in cui avviene un cambio repentino degli aventi da cui non si torna più indietro. Nel discorso di
Rebecca, Devlin viene escluso; emerge con forza il ricordo legato alla regione Dorset, parla di tutto quello
che si ricorda: vede delle persone che spingono le valige e la marea ricopre le persone e le valige
riemergono dalle onde; è un’immagine molto forte. La domanda di Devlin va fuori il discorso di Rebecca.
Questo ricorda che sembrava essere relegato al passato di Rebecca si lega ad un luogo preciso.
Questo ricordo di Rebecca è forse un ricordo onirico, indotto; siamo su quel terreno delle sabbie mobili, la
memoria del poeta è una memoria collettiva, letteraria, che si compone di tante parti. Ricordare, portare e
riprendere dei ricordi e delle memorie, conferisce a quei ricordi una vitalità perché rivivono nel presente ma
si mischiano nel vissuto perché per quanto si tendi ad un’oggettività il ricordo viene poi reinterpretato; è una
revisione soggetta al taglio, censura, cose aggiunte, commento e cose che non sono accadute ma
potevano accadere.
Devlin sembra essere riuscito a stabilire la sua autorità anche attraverso discorsi assurdi: l’autoritarismo si
sovrappone ad una concezione neocapitalista dove il mondo è fatto di individui che si sovrappongono l’uno
sull’altro. Comunicano su piani diversi, non sono in sintonia: lei parla di una cosa lui di un’altra: è una
coppia teatrale. Devlin si focalizza sempre su qualcosa, cerca di entrare all’interno della mente di Rebecca
con le domande sbagliate. Sono vicini fisicamente ma a livello di empatia e comunicazione sono
lontanissimi. L'elefantiasi mentale, è un termine usato da Rebecca, che evoca uno stato d’animo ed è una
condizione, una patologia, con la quale c’è un ingrossamento dei vasi linfatici e creano problemi seri al
corpo. Rebecca nomina “gravy”, una salsa densa e viscosa servita con l’arrosto in Inghilterra. “Sea of
gravy” Lei utilizza questa parola per soffermarsi sulle cose e capire che in questo mare di gravy ci si rende
conto di essere da soli quando ormai è troppo tardi e che quel mare lo si è creato da solo; quindi non si è
vittima ma la causa perché non si è fatto nulla per impedirlo. Anche se non si è stato vittima
accondiscendente forse si ha girato la testa altrove non si è impedita questa situazione. Man mano che
racconta Rebecca sembra liberarsi di questo sea of gravy. Il silenzio che segue dopo le sue rivelazioni
pesa, e deve pesare. Questo spaventa Devlin.
“The bundle” (fagotto), quando lei parla di questa persona che strappava i bambini dalle madri li definisce
“bundle”. Devlin ne fa una questione nazionalista. Si pone come un partito e fa continui discorsi sul modello
di società. Chiede se preferisce occuparsi di questi problemucci o di andare a morire per la sua nazione.
Lui chiede subito dopo se vuole andare al cinema, è un sintomo del fatto che lui non sa su quale questione
appoggiarsi per controllare Rebecca; cerca di appoggiarsi su qualsiasi cosa perché lui ha bisogno di
questo strumento per portare avanti la propria esistenza senza rendersi conto che potrebbe trovare la sua
controparte. Non ci si fida fino in fondo dell’altra persona e quindi si cambia continuamente il discorso. Lei
dice che già qualcuno l’ha chiamata “sweetheart” ma non capisce se era in un sogno o nella realtà, questo
la riporta in un mondo di apparenza e superficialità. E in questo mondo tra sogno e realtà evoca
un’immagine di una città di ghiaccio (unreal city di the waste land), è un ricordo freddo non solo dal punto di
vista climatico, riaffiora questo bagliore di una neve che non era bianca ma era venata di altri colori. Questo
uomo lo definisce come migliore amico, la persona a cui ha donato il suo cuore non appena l’ha visto
quando strappava i bambini dalle madri. È un’immagine cruda e dura e non è un caso che è accompagnata
dall’immagine di questa città ghiacciata. Devlin forse ha paura di affrontare questo discorso e gli chiede tre
volte se ha fatto visita Kim e ai bambini. Kim è la sorella ed è separata e il marito continua a telefonarle
dicendo che gli mancano i bambini, non la moglie perché per lui era solo sesso. Forse nella storia della
sorella vede la sua storia, quindi quando dice che Kim non condividerà mai e poi il suo letto forse pensa a
sé stessa. Questo momento è di grande intensità emotiva, le indicazioni sono tutte nel testo. Dopo aver
preso il tè con la sorella è andata al cinema da sola a vedere una commedia che però non le ha fatto
ridere. Difronte al cinema a lei c’era un uomo che non si è mai mosso per tutto il film e non ha riso mai, per
questo motivo si allontana da lui il più possibile perché la spaventava. Devlin tenta di riportare di nuovo
Rebecca ad una situazione reale. Cerca di ricostruirle un’esistenza nel presente però decidendo tutto lui.
C'è la tendenza maschile a voler creare la narrazione dell’esistenza della donna, si ripete lo stesso schema
che usa Pinter. Cerca di convincere lei e di convincere sé stesso. Devlin si racconta questo per crederci
perché forse gli fa comodo avere questa sicurezza. Vediamo il modo in cui il personaggio femminile
attraverso l’uso del linguaggio e la precisione semantica possono riprendere il controllo in quello scambio
linguistico e nella gestione delle cose. Non si può ri iniziare perché hanno iniziato tanto tempo fa, ma si può
finire di nuovo, si può trovare un nuovo finale. Devlin cade in questa trappola linguistica. In un rapporto non
c’è un tempo finale di chiusura stabilito, c’è il momento dell’inizio ma poi si arriva ad una conclusione che
può trovare un altro finale. Chi controlla l’uso del linguaggio controlla l’uso del potere; chi impone la lingua
controlla la realtà. Rebecca intona un motivetto. Devlin dice che ha sempre saputo che lei l’amava.
Rebecca sta compiendo una sorta di esorcismo per poter uccidere il ricordo, raccontando questa storia
dolorosa attraverso l’arrivo di alcuni flash di grande portata. Vede per strada un uomo anziano e bambino
con delle valigie, in una notte luminosa e stellata, che si tenevano la mano. Si disinteressa da quella
situazione, ma vede una donna con un bambino tra le braccia. Torna l’ambiente ‘icy’, freddo e gelato. Dice
che la bambina è femmina, inizia un processo nel quale lei da lontano vede questa signora, come se la
scena fosse ristretta a quel momento. Ad un certo punto Rebecca passa dalla terza persona alla prima: c’è
un transfer immaginativo, una personificazione empatica di Rebecca con la donna di cui parla. L'eco della
sirena ritorna fortissimo ed è anche quello della TWL. L'eco è l’espediente per dare il ritmo, enfasi, per
creare un dialogo con le due Rebecca: quella del passato e quella di ora che sembra aver concluso il suo
percorso della memoria e sembra aver capito che non può procedere in quella violenza domestica che
Devlin cerca di imporre di nuovo dopo che lei l’ha già vissuta con quell’amante. Il finale è un passaggio
molto importante perché sembra che Pinter voglia farci capire che tutti abbiamo delle responsabilità: la
storia è il risultato delle azioni che tutti noi compiamo. Lei ha affrontato il suo passato e ora non intende
ricominciare ma finire in modo diverso. Sembra essere arrivata ad una resistenza tramite l’empatia. C'è una
trasformazione. Ma chi è questa donna che lei conosce e incontra alla fine? Abbiamo un richiamo
ossessivo della parola baby. Attraverso l’ammissione della propria colpa, della sua responsabilità e di aver
nascosto la verità, c’è il momento del riconoscimento: riconosce quello che è stato e che ha fatto scattare
tutto. C'è uno sdoppiamento di questa esperienza attraverso l’eco e il rimando sonoro. Lei è la causa, non
la vittima. Se si vede il punto di vista di Rebecca, con il pugno, lei non vede cosa ci sia intorno e si trova in
una posizione debole è difficile scansare la mano, bisognerebbe essere più forti. Il tutto è portato alla luce
con una persona come Devin, insicuro e curioso, che tenta in modo ansiogeno e allontana l’attenzione di
questo passaggio con luce sempre più sinistra.
Un particolare al centro del testo è che le due sfere, privata e pubblica, si fondono e sono in dialogo l’una
con l’altra. Il testo è simile a Krapp’s last tape per quanto riguarda il reale e l’onirico che si fondono, ma
parlare di realismo è complicato. Pinter non scrive direttamente del nazismo ma di rapporti di oppressione
e violenza descritti non solo nella sfera pubblica ma anche privata. Il testo è incentrato sul rapporto tra
violenza privata e prevaricazione sul piano pubblico. Siamo a metà strada tra sogno e realtà.
Un elemento da notare è che storia è scritto con “S” e con “s”. “s”toria riguarda le storie personali, private e
delle relazioni individuali. “S”toria riguarda la storia collettiva, quella del genere umano nella sua definizione
più ampia. Ciò che unisce queste due sfere è che entrambe hanno come situazioni di fondo una questione
legata alla prevaricazione di una persona autoritaria e violenta sotto la quale si sottoposti e che lascia una
ferita che non si rimargina finché non si fanno i conti con una questa situazione per arrivare a una
emancipazione da questa oppressione, che viene rievocata sul piano pubblico con questioni storiche ben
note, ma evocate in maniera non esplicita.
Webster: la forza del personaggio femminile. Si immedesima nella situazione, avviene un transfer
immaginativo. Non sappiamo se lei abbia visto la situazione veramente, ma è qualcosa che le torna in
mente, non vuole più essere complice e così ne prende parte, perché mettendosi nei suoi panni magari
morirebbe il ricordo. Devlin non capisce la situazione e prova a ripetere quella scena dell’inizio, si
immedesima in quella figura autoritaria della quale Rebecca ci aveva parlato. Rebecca non si muove
perché lei è cambiata, non commette più gli errori del passato e si adatta alla situazione che nel passato
non era riuscita a superare. Resistenza muta e irremovibile, non più succube dell’inizio. Ha imparato dai
suoi ricordi e da quello che ha riportato in vita. Lei parla, c’è un eco e la presa si allenta. Il pianto della
bambina richiama l’attenzione di quest’uomo e lei le dà il fagotto. Lei glielo consegna. C'è una specularità
incontrando questa donna che conosceva che le chiede della bambina e la ripetizione dell’eco.
L'espediente di Webster, da un punto di vista funzionale del testo, rappresenta questo sdoppiamento che
sta attraversando, come fosse una coscienza che lei sta affrontando. Questo ritornello lirico che sottolinea
il fatto che lei nega di aver mai avuto una bambina. È il momento ultimo, estremo, di riconoscimento della
propria negazione, azione, di essere stata cieca nel passato. La tenda la lascia aperta e vede, prende
coscienza della situazione. Segue quella donna fino a che non decide di essere quella donna, sente il
cuore della bambina. Riconosce questo dialogo con eco e riconosce la negazione fino a quel momento.
Eco da una voce fuori campo, ripete parole più significative: baby. Rimane questa ambiguità, questa
portata emotiva che ci lascia forse senza una propria risoluzione. Rebecca che ha percorso dei passi
importanti, disintossicata da questo racconto tossico poiché dà dipendenza e si approfitta di una
debolezza.
“Daddy” di Sylvia path
È una poesia scritta dopo la separazione con il marito e 4 mesi prima del suo suicidio. Billington analizza
delle affinità con Pinter: la figura femminile che è dominata da quella maschile e che cerca di seguire un
percorso di emancipazione e liberazione. Il titolo fa riferimento ad una figura patriarcale. Ci sono forti
riferimenti anche alla seconda guerra mondiale e ai suoi orrori. Sylvia Plath è morta suicida molto presto, a
30 anni. Nella sua poesia abbiamo parallelismi con l’opera di Pinter. Il tema della poesia “Daddy” è quello
del rapporto autoritario con questo uomo dal quale vorrebbe allontanarsi ma dall’altro lato è difficile
separarsene; è una similitudine con l’amante di Rebecca dal quale cerca di staccarsi ma non ce la fa del
tutto. È inevitabile che utilizzando dei topos letterari la donna è vista come il sesso più debole nel rapporto
di uomo-donna anche dal punto di vista fisico.
La figura del padre “daddy” raffigura tutti gli uomini e questo nome “daddy” fa capire il rapporto di intimità e
rispetto che la poetessa provi per lui. Vuole uccidere metaforicamente i suoi genitori: è un’emancipazione.
È rimasta schiacciata dalla memoria. È una cosa in comune con Rebecca che non si rendeva conto di
quello che stava vivendo e poi quindi deve riesumare il ricordo per metterlo a tacere. Ci vengono
presentate immagini forti del nazismo. Con “black shoe” si intende una scarpa nera in cui lei viveva dentro
e dalla quale è riuscita ad uscire; si sentiva intrappolata in quella scarpa nera. Il rapporto con il padre
rappresenta anche il rapporto tra Germania e Polonia e cioè quella dell’incapacità di comunicare. Il padre
era polacco ma lei raffigura la Polonia invasa e distrutta dal nazismo, ovvero il padre. “Ich ich ich” è forse
un balbettamento; c’è un tentativo di comunicare ma di non riuscirci. La poetessa si identifica con gli ebrei,
gli zingari e con le vittime. Paragona i campi di concentramento e il padre al nazismo, distruttore di ogni
cosa. Il paragone con gli ebrei è simbolo di oppressione. Menziona anche i tarocchi molto importanti
perché sembrano quasi prevedere il futuro e saranno importanti anche nella TWL. La svastica
originariamente era il simbolo del sole ma poi viene tragicamente preso come simbolo del nazismo che ha
oscurato il cielo; quindi ha una valenza religiosa e simbolica forte.
Si arriva al punto che è per lo più in relazione con Pinter, ovvero che ogni donna adora il fascista e lo
stivale in faccia che rimanda al pugno che deviamo in ATA con la stessa brutalità e violenza dell’uomo che
vuole la compiacenza delle donne. Quando leggiamo “come ho ucciso te ne ho ucciso un altro” significa
che probabilmente ci si è liberati di quell’autorità, non dà più l’autorizzazione di esercitare quel potere su di
lui. Forse morire significa togliersi da quella posizione di sottomissione, essere artefice delle proprie scelte.
L'affermazione dell’autorità con la forza genera insicurezza in chi lo fa, è un segno di insicurezza. La
citazione del vampiro ci dice che ha piantato un paletto nel cuore così che non possa più tornare.
Celebration
È l’ultimo testo scritto da Pinter, composto nel 2000, rappresenta l’ultimo play vero e proprio. Venne
presentato in un doppio programma, in un teatro londinese, insieme al primo testo di Pinter, ‘The Room’. La
seconda moglie di Pinter insistette su questa scelta, la rappresentazione in questa modalità era secondo lei
molto significativo. Quello che lo differenzia dai testi antecedenti è l’ambientazione. È ambientato in un
luogo chiuso ma non è un ambiente privato, è un ristorante. Ci spostiamo dal privato al pubblico. Voler far
coincidere l’ambientazione con un luogo preciso, però non è così importante, potrebbe essere un posto
come un altro. È una commedia sulle cattive maniere. Si differenzia dalla commedia. Fa riferimento alla
realtà contingente e fa sarcasmo delle questioni d’attualità. In Pinter come sempre il titolo non rappresenta
mai quello che succede nell’opera, non si capisce cosa stanno festeggiando. Il punto di partenza di
“Celebration” non è stato un’immagine o una parola ma una serie di ricordi ed esperienze accumulate nel
tempo.
Al primo tavolo ci sono le due coppie che sono riunite per festeggiare il matrimonio tra Lambert e Julie. C’è
un clima di risate e umorismo, ma non un umorismo normale ma il Cockney Humorism, ovvero uno spinto e
rude; ci sono battute volgari e doppi sensi. Dalla lettura si capisce anche che Pinter è esperto di cibo e
vino. Al secondo tavolo ci sono Russell, un politico che amministra il potere, e Suki, la segretaria che vuole
avvicinarsi a potere. Si parla di una promozione ma forse c’è in gioco un tradimento. Vedremo che la
capacità di linguaggio di Suki riesce a lasciare con la sua seduzione Russell interdetto, lo mette in difficoltà.
Questi due tavoli verranno uniti dal personale di questo ristorante che sono un direttore, la maitresse di
sala e un cameriere. Hanno tutti un nome tranne questo cameriere che è la figura enigmatica che aprirà e
chiuderà il testo, è un personaggio che sostiene di essere rimasto nell’utero materno forse per sottrarsi dal
destino. Sarà il più vincolante per il tema della memoria, in particolare alla memoria del passato. Il
cameriere al di fuori del ristorante si sente perso perché per lui quella è la sua casa dove si sente al sicuro
e protetto. È una figura retorica lui, rappresenta l’incapacità d vivere nel presente del mondo. Il fatto di
rifugiarsi in un luogo è ricorrente in Pinter: per esempio Rebecca si rifugia in posto non fisico che lei
considera pain-free ma che invece non è sicuro per nulla e si libererà da dolore solo quando si assumerà le
sue responsabilità. Secondo Billington la figura del cameriere rappresenta la vita di Pinter che ha lavorato
appunto come cameriere e che è stato licenziato per essersi intruso nel discorso di alcuni clienti che
avevano sbagliato a pronunciare la data del processo di Kafka (anche in Celebration il cameriere si
intromette nei discorsi).
Russel ha tradito la sua ragazza con una segretaria, lei ribatte dicendo che anche lei era una segreteria
quando era giovane. Lei qui lascia intendere che anche lei è pratica di rapporti sessuali sul luogo di lavoro.
Lei porta tutto il discorso al parossismo, sta sovraccaricando il discorso e lo sta esagerando. Lo capiamo
anche dall’uso sproporzionato degli aggettivi. Lo scopo della donna è di far intendere a Russel che non può
scaricare la colpa sulla segretaria, lo fa giocando con l’ironia ed il sarcasmo. Nella conversazione del tavolo
delle coppie, vediamo che il tasso alcolico è molto alto ed agevola l’inibizione.
Si fa riferimento ad una memoria del passato come Prue che mischia elementi personali con provocazioni
che lancia al gestore del personale, Richard, che è un campione di diplomazia; si instaura un rapporto tra
una realtà del passato e una descrizione discorsiva di un qualcosa che non è stato richiesto. Si tiene in
considerazione che i freni inibitori si sono allentati grazie al vino e continua quindi questa provocazione dei
rispettivi mariti, sia Prue che Julie vogliono baciare Richard sulla bocca; il discorso si arricchisce di allusioni
sessuali. Provocano in modo molto goffo, è una provocazione non molto riuscita. Richard riesce a metterle
a tacere. Questo atteggiamento ci dice che le due donne non sono abituate a questo comportamento al
contrario dei loro mariti, in particolare Lambert che è più diretto. Si apre una finestra sul passato di Prue in
cui abbiamo una rivelazione (un racconto della sua infanzia, molto turbolenta e segnata da violenza: la
madre di Prue picchiava il padre, in una famiglia decisamente benestante visto che ci viene raccontato
della servitù e della baby-sitter) che però viene interrotto dallo squillo di telefono. Lambert ha delle affinità
con Devlin a proposito dell’ordine e del rispetto delle regole, c’è un’assonanza con queste regole, sono
personaggi che si mostrano sicuri e autoritari, ma anche arroganti, e lo fanno invadendo i loro standard,
uscendo dalla loro cornice. C’è un rigore estremo, i livelli standard sono posizionati su livelli standard
massimi. Il distaccarsi da un realismo inteso come forma teatrale non significa non parlare della realtà, ma
raccontare dei tipi di realtà perché portano la riflessione al linguaggio poetico e teatrale.
Al tavolo due troviamo Suki e Russell in cui capiamo quello che vuole Suki: ovvero il rispetto, vuole essere
rispettata, è stufa di accontentarsi di ricevere delle misere attenzioni e di godere di quel rispetto in modo
indiretto. C’è una riflessione sugli stereotipi della condizione femminile che ha rispetto e potere solo perché
sono affiancate da un uomo potente e autoritario. È sempre una posizione parassitaria che si nutre della
rispettabilità. Non è il piano della tragedia questo, ma della farsa-grottesco. Dopo al tavolo arriva Sonia, la
maitresse (caposala), che chiede se sono andati a teatro (sono chiacchere di circostanza, per riempire il
vuoto). Russell è curioso di sapere qualcosa, vuole sapere come Sonia sia arrivata ad una posizione tanto
alta e si fa riferimento al suo passato con una posizione geografica specifica: una parte di Londra non
proprio centrale. Sonia dice che tutte le fanno quella domanda, ovvero qual è il suo background (upbringing
fa riferimento a questioni personali come l’apprendimento quindi sarebbe più opportuno chiedere
l’upbringing anziché il background); Russell sta giudicando e non si fida del tutto del sarcasmo con cui Suki
lo tratta, ha un po’ di sospetto e non resiste nell fare una confessione del passato legato ai suoi genitori:
voleva essere un poeta ma il padre non l’ha mai incoraggiato. Le madri vogliono andare a letto con i figli
(complessi di Edipo), discorso fatto anche al tavolo 1. Quindi il padre di Russell era geloso del figlio. Questi
uomini sono fragili. Arriva poi il cameriere che versa il vino e chiede se può intromettersi nel discorso (è
molto improbabile che Suki e Russell stessero parlando di Eliot) ma per non mostrarsi ignoranti dicono di sì
e inizia un lungo monologo in cui fa una lista dei maggiori autori del modernismo e premodernista.
Questo luogo è creato per accoglierli, lo staff è lì per fargli sentire a proprio agio e assecondare le loro
sciocchezze. L’unico che esce da questi schemi in modo iperbolico è il cameriere: apre e chiude il testo, e
lui non ha un nome proprio rispetto agli altri. La caratteristica che accomuna i personaggi è il confessional
memory, c’è un ricordo molto intimo e privato, come il ricordo di Lambert sull’unica donna che ha mai
amato davvero, e non è la moglie. Julie e Lambert si conobbero su un autobus e lo ricorda fragile e
imbarazzato. Ci interessa vedere questo momento del passato che riemerge quando Lambert sostiene di
aver perso l’amore. I personaggi non sono più vittime delle loro frustrazioni e delle loro psicosi come Krapp,
il fatto di non confessare più a sé stesso nell’intimità è sostituito dal condividere i ricordi in un luogo
pubblico anche con persone non intimamente legate. Si ha l’illusione di essere in un luogo intimo e che
anche il cameriere descrive come utero materno; i clienti si sento coccolati ma è una cosa finta perché non
è che lo staff è loro amico, si comportano così con tutti i clienti. Si sentono accuditi e condividono le loro
emozioni. Quando Richard va da Russell e Suki lei lo accoglie chiedendo perché sono tutti felici, sia donne
che uomini, gli chiede come faccia a renderli tutti felici. Russell è un uomo della finanza, un banchiere, è
qualcuno che si muove in ambito di lotta in cui bisogna prevalere e prevaricare su tutti, infatti dice che
ammazzerebbe tutti quelli che vede, dice di essere uno psicopatico; in questo luogo però cambia
atteggiamento, è più rilassato. Questa felicità è una questione di apparenza, è l’ambiente creato in modo
fittizio che dà l’idea di essere felici. Si scopre tra Russell e Richard un’appartenenza comune, entrambi
sono cresciuti in un paesino, hanno un retroterra comune: da un paesino sono arrivati in città, parlano di
valori e tradizioni legate al centro rurale. Il riferimento d Richard è il bar del paesino, probabilmente l’unico
che c’era. L’algoritmo di quel bar Richard l’ha riprodotto nel suo ristorante e la testimonianza di quel bar si
trova in un cetriolino. Il concetto su cui si plasma il ristorante è basato su quello che rimane di questo pub
della sua infanzia. Era un’immagine stereotipa della felicità che lui ha concretizzato nel ristorante con quel
cetriolino.
Al tavolo 1 Julie fa una considerazione dicendo che è strano che i loro figli non sono con loro, è una
considerazione che risuona di un eco inquietante; i loro figli non sono lì perché non ricordano, sono
bambini e non ricordano nulla. Dicono che “erano madri”. C’è un tono un po’ malinconico, mesto. È come
se il ricordo fosse una prerogativa loro o comunque di un’età avanzata, è come se non avessero la
condivisone del ricordo, non fossero accomunati di questo. Si perde il senso di appartenenza. C’è una
condizione razzista e discriminatoria quando viene detto che non c’è bisogno di essere inglesi per
apprezzare il sesso; c’è una diffidenza e un’immotivata superiorità autoreferenziale e chiusa su sé stessa.
Anche Sonia si lascia ad andare ad un ricordo preciso e emotivo riguardo ad un uomo del Marocco. Viene
mostrata un certo tipo di mentalità. C’è in Sonia un rammarico di aver perso un uomo che è morto tra le
braccia di un’altra donna. A questo punto il cameriere che va al secondo tavolo e cambia argomento della
sua interjection: si lascia andare a questo lungo catalogo di personalità pubblici in cui fa un miscuglio di
questi personaggi. Il protagonista è il nonno.
Billington rintraccia il senso come se stesse facendo riferimento ad un certo tipo di realtà in cui si muovono
Russell e Lambert di affari poco leciti. È interessante vedere come improvvisamente Lambert riconosce
Suki e dice di averla scopata a 18 anni. Si uniscono i due tavoli e Suki fa una domanda, chiede a Lambert
se fosse ancora ossessionato dal giardinaggio e dai fiori (allusioni sessuale, linguaggio gergale tra Lambert
e Suki per ricordare le loro scappatelle d’amore); Julie dice che non sapeva fosse ossessionato dal
giardinaggio ma dai sederi delle donne. C’è ancora la questione del passato e del ricordo, e il ritrovare
Lambert mentre Suki parla con il marito le fa pensare che il passato non sia passato e che fosse tutto
successo ieri. Ma Julie dice che non è possibile ricominciare, si può cambiare il presente per quello che
sarai, ma non puoi cambiare quello che sei stato, ma se non c’è questa volontà si è schiavi delle condizioni
del passato. Prue e Julie si occupano di carità, di opere buone. Lambert e il fratello sono consulenti per la
pace, vanno in giro per mantenere la pace. Russell vuole fare un discorso alla pari come Lambert e Matt
ma il discorso di Suki non gli è andato giù e non è contento che conosca Lambert. C’è uno scambio
sarcastico tra Suki e Russell.
Pinter presenta i due fratelli in un mondo che raffigura un mondo marcato da elementi personali di quei
personaggi: Lambert e Matt sono la personificazione del linguaggio politico; le loro azioni hanno tutte
l’obiettivo di fare soldi. Dallo stretto angusto ambito famigliare si apre un ambito pubblico in cui vanno ad
operare questi signori: la loro arroganza e strafottenza e il loro modo di porsi rispetto a questioni di genere
e sociali che emergono dai loro dialoghi ci danno la loro visione al di fuori di questo rango. Russell stesso è
un banchiere, auspica di collaborare in modo più stretto con questi uomini. È un mondo prettamente
maschile, fatto di prevaricazione. C’è la compiacenza servile di questo staff che raffigura un’idea
conservatrice tradizionalista molto vaga e lontana da effettivi riscontri. Il fatto che siano loro a mantenere la
pace mondiale sembra una pace armata delle loro posizioni di dominio non solo culturale ma anche
ideologico. L’autorità morale è garantita da una forza militare. I personaggi si muovono liberamente per
questo motivo: si vantano del loro potere o si accontentano di essere nell’ombra di questo potere, come
Suki.
L’unico personaggio che non ha un nome e che sfugge a questa classificazione è il cameriere che ha uno
stile iperbolico; fa lunghi monologhi sconnessi da un punto di vista logico che fa contrasto con quel mondo
per farci vedere qualcos’altro. Se fa una critica la porta al parossismo, ribalta quello che potrebbe essere
un sentire degli altri personaggi, per esempio lo stesso Russell usa gli stessi argomenti degli uomini ricchi e
benestanti e mette in atto le stesse strategie aggressive da predatori che vanno continuamente a caccia. Il
cameriere è come un traghettatore tra un mondo e l’altro, tra la cucina e la sala. Anche lui ha una sorta di
memoria confessionale, si apre in maniera opposta rispetto agli altri. È straniante la sua esperienza. Nella
sua figura possiamo trovare una chiave di interpretazione di lettura: quello di un monologo interiore che lui
condivide con i propri interlocutori, evoca funzioni di vario tipo. Quando i tavoli si uniscono e si mettono a
parlare quasi di solidarietà. Lambert si riferisce con un suo discorso ad altro, cerca di capire chi è l’altro con
un discorso sugli altri, non sembra intendere “altro” come qualcuno che viene da un altro paese, si riferisce
di più ad un suo simile. Abbiamo l’ultima intromissione del cameriere: sta mettendo in imbarazzo tutti
perché fa un catalogo di parti del corpo, solo lui non avverte questo imbarazzo. Alla scena finale escono
tutti e resta solo il cameriere che parla al pubblico, sembra parlare da solo, è un monologo, è diverso il
modo in cui parla del nonno che non è più qualcuno fuori di qualsiasi sistema, è un uomo con il quale c’è
un rapporto umano e sentimentale.
L’espediente drammaturgico di Pinter è che i gruppi parlino contemporaneamente, sentiamo i personaggi
che cantano la propria battuta allo stesso tempo, ma lo spettatore riesce a comprendere tutto: è un
espediente tipico del teatro lirico soprattutto nel finale di atto e lo si fa per tentare di riprodurre in maniera
più naturale possibile quanto succede nella vita reale. Pinter sembra mettere in scena dei personaggi di
classe medio-alta, di una determinata parte della società pur sapendo che il pubblico fa parte dello stesso
rango sociale: perciò fa attenzione con i suoi personaggi, c’è sempre un po’ di pudore.
La memoria è sempre evocata sia per raccontare eventi passati legati all’infanzia sia per definire il rapporto
genitori-figli quando ci viene detto che i figli non hanno memoria. C’è una contrapposizione tra mondo
esterno e mondo interno.
I personaggi sono tutti accumunati dal fatto di ricordare cose passate. L’unico che riflette su sé stesso è il
cameriere; lo staff non vede il prodotto ma assistenza. I clienti si riconoscono perché sono simili e vanno
nel ristorante per confessarsi.
Il tema del tempo si sviluppa su sé stesso, è circolare. “One is more than enough” manda il messaggio che
è impossibile ricominciare, bisogna dare un altro finale, non si può tornare sugli stessi passi.
È presente il myhtical method di Joyce.
Autori critici
Billington: con Homecomin Billington ci dice che Pinter si avvicina al titolo di drammaturgo più famoso nel
Regno Unito.
La considera un’opera femminista, di emancipazione femminile, la cui protagonista Ruth si batte contro una
visione maschilista che guarda alla donna come madre o prostituta. Il ritratto di Pinter ci offre una famiglia
di maschi, con una madre defunta che è Jessie, e una figura femminile vista come prostituta che sarà la
moglie di Teddy, cioè Ruth. L’opera è una sorta di trionfo di Ruth la quale rappresenta l’agente del
cambiamento in una famiglia ossessionata dal potere che però perderanno poiché Ruth ogni volta avanza
e prende sempre di più posizione in casa (lo vediamo quando prende la sedia di Max). Nel testo ci sono
piccoli gesti che fanno vedere chi ha il potere e la padronanza del territorio. Lei domina non solo con la sua
seduzione, arma fatale per questi maschi che falliscono sessualmente, ma anche con i silenzi (quando Max
la chiama prostituta e lei non risponde).
La scena più significativa è quella del bicchiere in cui Ruth fa spogliare Lenny della sua potenza, gli chiede
di sedersi sulle sue gambe e lo sfida su due fronti: materno e sessuale. Questi uomini falliscono
sessualmente e lo notiamo quando Ruth si reca di sopra con Lenny ma non compie nessun atto sessuale
perché lei ha padronanza di tutto. Anche Teddy fallisce, soprattutto sul piano semantico nonostante lui sia
professore di filosofia.
L’opera sciocca per l’assenza di contesto. C’è un insieme di uomini che lotta per aggiudicarsi la
padronanza dell’unica donna in casa.
L’opera si svolge contemporaneamente su due piani: realistico con lo studio accurato di un gruppo di
disperati di Hackeny che è un borgo di Londra; e metaforico, in cui vediamo il fallimento del complesso di
Edipo.
Troviamo anche dei collegamenti con la vita di Pinter, infatti lui si ispira alla sua vita e alla sua
immaginazione, e collegamenti con la vita di Morris Wernick che sposò una donna ed in seguito emigrò in
Canada senza far mai sapere alla sua famiglia del matrimonio. Il ritorno a casa di quest’uomo coincide con
la scrittura dell’opera. Troviamo anche un collegamento con l’insegnante d’inglese di Pinter, vista come
un’intrusa in una famiglia di maschi.
Per quanto Ashes to ashes, anche qui troviamo riferimenti al potere brutale che domina il mondo. Pinter
non ci parla del nazismo in modo diretto ma della connessione della vita privata con un mondo dominato da
questo brutale potere mascolino. Devlin, uno dei personaggi, ci parla di un mondo senza vincitori per
ricordarci della vittoria del capitalismo. Cosa emerge? Emerge che potenza e fragilità sono relativi e
possono passare da una parte all’altra. In ashes to ashes ci sono anche collegamenti con l’opera di Sylvia
Plath “Daddy” che afferma ‘’Ogni donna adora l’uomo fascista’’ e qui Pinter si chiede come sia possibile.
L’uomo desidera di possedere il passato della donna ma anche qui la donna, Rebecca, in realtà grazie al
suo linguaggio ha il controllo della situazione e sfugge a Devlin attraverso la sua flessibilità, libertà e
immaginazione.
Martin Esslin parla di Ruth come la figura che reincarna Jessie, la madre morta. Anche lei come Jessie ha
3 figli maschi. L’immagine violenta di Max quando la incontra per la prima volta può essere vista come il
ritorno della moglie defunta. Ruth rappresenta il sogno di Lenny e Joey in quel periodo delle loro vite. Nel
finale la loro madre diventa finalmente disponibile come oggetto sessuale, infatti Homecoming è visto come
il fallimento del complesso di Edipo. Il racconto delle due storie di Lenny sembra fatto per impressionare e
convincere sé stesso che è forte abbastanza per conquistare ed impressionare una donna adulta, come
sua madre. D’altra parte Ruth non ha difficoltà nel dimostrargli la sua superiorità nell’episodio del bicchiere.
Esslin afferma essere un’opera che ha scioccato il pubblico per essere così illogica per alcuni tratti: perché
una mamma di 3 figli dovrebbe accettare di lasciarli e restare in casa con quegli uomini a fare la prostituta?
Perché il marito sembra non interessarsi alla vicenda? È un’assurdità. Definisce The Homecoming
un’immagine poetica di una situazione umana, ma soprattutto è realistico, è la perfetta fusione tra realismo
estremo con la qualità di un’immagine archetipica del sogno. Ogni tipo di informazione è data nel modo più
naturale possibile nel corso dell’opera.
Teorizza che Jessie fosse una prostituta per i dubbi di Lenny sul suo concepimento e per il fatto che tempo
fa Sam era il tassista di prostitute e viene ricordato che Jessie veniva accompagnata da lui nel West End.
In più la sua assenza pervade tutta l’opera e Ruth in qualche modo la rimpiazza. Anche Esslin afferma che
il ritorno è della madre nelle vesti di Ruth, di una ‘whore’. Ruth è sia madre che puttana ed è il personaggio
passivo che è oggetto dei desideri maschili e sbadiglia a questi desideri senza porre resistenza. Sta in Ruth
il successo di Pinter con Homecoming. Ruth probabilmente posava come modella nuda nei servizi
fotografici, poi ha cambiato vita dopo aver incontrato Teddy, è per quello che forse preferisce essere una
prostituta, rimpiange la sua vita passata. Per quanto assurdo Esslin riconosce The Homecoming come
l’opera più realistica, come metafora di aspirazioni e desideri umani. La definisce un ‘archetypal image’ e
un ‘wish-fulfilment dream’.
Cambridge companions to Pinter
Peter Raby scrive su “The room” e “Celebration”, dice che entrambi si riverberano a vicenda. Paragona il
cameriere di Celebration a Riley di The Room. Ammira il modo in cui lui introduce luoghi, persone, tempi,
voci attraverso la memoria, attraverso le storie che i personaggi raccontano, o inventano. Lo definisce il
drammaturgo della città di Londra. Afferma che i plays di Pinter hanno luogo in ogni parte della città, ma
particolarmente in “Rooms”. Ci dice che in The Homecoming il paesaggio urbano che Pinter è solito
rappresentare viene riempito con un dettaglio che corrisponde al senso accuratamente designato della
storia. Pinter definisce una serie di luoghi e distretti che trasmettono vividamente l’idea della città. L’unico a
non definire mai un posto con il suo nome è Teddy, che dice ‘university’, ‘home’, tutto qui. Definisce il
mondo urbano di The Homecoming come overpoweringly, unnaturally, male (maschile, innaturale,
prepotente schiacciante). Dice che Pinter fa sembrare le decisioni di Ruth come normali; già solo il fatto
che lei sia pronta ad abbandonare i suoi 3 figli per rimanere lì a Londra perché si sente a casa mentre in
America non si sente libera.
Quando Homecoming uscì sorprese tutti per sembrar meno musicale rispetto agli altri lavori di Pinter, ma
secondo Wardle questo lo differenzia dagli altri suoi lavori, per aver rimosso la maschera convenzionale e
aver mostrato l’uomo nella sua nudità. Dice che la maggior parte del dialogo in The Homecoming è
dedicato alle battaglie di status. Definisce Teddy “a complete outsider”. Teddy parla per sé stesso e
progetta le sue paure su Ruth che viene definita “the play’s pivot” ovvero il perno del gioco. Il titolo
dell’opera è riferito a lei, non a Teddy: è il ritorno a casa di Ruth sebbene sia più logico che fosse di Teddy,
ma Ruth guadagna sempre più potere e possesso del territorio. Definisce il rapporto tra Teddy e Ruth
come un’immagine contrastante tra pulizia e sporcizia. Wardle chiama Ruth “queen bee”. The Homecoming
viene visto come ironic play.
Trussler definisce The Homecoming come “a kind of sexual mime with accompanying word-music" ma
dice che le parole non sono musica e il loro significato, o il loro mancare di significato, modificano l’azione.
Ruth usa parole per negare la rilevanza delle parole. Secondo Trussler il movimento delle sue labbra è
molto più significante di cosa sta dicendo. Definisce le azioni e il comportamento di Ruth immotivati,
commenta la scena del bicchiere dicendo che “their effect comes before their cause”. Definisce The
Homecoming come un melodramma modisticamente intellettualizzato con la sua violenza modulata dalla
sua vaghezza, il suo stereotipo emotivo mascherato da stranezze di giustapposizione accuratamente
piantate. Lui disprezza The Homecoming, dice che Pinter ha già scritto bad plays ma questo lo ha reso
sporcato e diminuito. Dice che potrebbe addirittura essere considerato un lavoro pornografico.
Joyce
L’Ulysses di Joyce: già dal titolo si vede che riprende le vicende dell’eroe dell’odissea Omero inserendolo
in un contesto moderno e facendolo diventare un antieroe. Joyce sta rinnovando il romanzo, scardina le
convenzioni del romanzo ottocentesco creando Ulysses che racconta di un individuo a Dublino: c’è una
doppia paralisi che sovrasta i personaggi. Joyce rompe la tradizione del racconto lineare basato sulla
successione logica e cronologica, aderendo alla forma del romanzo del “flusso di coscienza” (vero e
proprio genere; per coscienza si intende l’intera area della composizione mentale), in inglese stream of
consciousness novel, basato sulla immediata trasmissione damelle sensazioni più profonde dell’io
attraverso procedimenti illogici propri dell’inconscio e senza l’uso di interpunzioni. Joyce insieme alla
tecnica del flusso di coscienza combina diversi metodi per presentare una gran varietà di situazioni: la
tecnica cinematografica, flashback, sospensione del discorso, ecc., creando la cosiddetta "tecnica del
collage".
Joyce utilizza il monologo interiore, che è un vero e proprio procedimento tecnico, e ci sono due livelli di
narrazione: uno esterno alla mente del personaggio; l'altro interno con i pensieri del personaggio che
scorrono liberamente senza alcuna interruzione provenienti dal mondo esterno. Il monologo interiore
consente al lettore di scoprire i personaggi senza essere accompagnato dall’autore.
Il linguaggio è ricco di immagini, contrasti, paradossi, simboli ecc. Si utilizzano anche lo slang, soprannomi,
parole straniere, neologismi, citazioni letterarie e allusioni ad altri testi.
Ulysses
È considerato il capolavoro della produzione letteraria di James Joyce. È un romanzo psicologico e
rappresenta uno dei romanzi più importanti della letteratura del XX secolo. È l’esempio paradigmatico della
scrittura modernista. Questa scrittura modernista cerca attraverso modalità espressive sempre più
sofisticate di superare il rapporto di referenzialità che il linguaggio ha con la realtà. Questo superamento
della referenzialità del linguaggio è più evidente nella pittura nella quale questa modalità di
rappresentazione è ormai sdoganata. Potremmo definire l'Ulisse un’enorme epifania. L'intento di Joyce è
raccontare una giornata della vita di questi personaggi all’interno di Dublino che viene più volte definita
“ombelico”.
L'inizio di Ulysses lo troviamo in “Dubliners” in cui inizia questa modalità di racconti caratterizzati da una
paralisi della città, una paralisi culturale in cui tutto si confonde. Da questa condizione nasce la figura
dell’intellettuale incompiuto che per tentare di realizzarsi deve fuggire dalla città paralizzata in cui vive.
Ulysse nasce come racconto da inserire nei Dubliners.
Joyce utilizza una strategia narrativa, una sorta di autobiografismo estetico. Da una parte la figura
personale, l’io viene sublimato, il personaggio diventa protagonista del testo, dall’altra c’è un’operazione di
straniamento, di allontanamento in questa autorappresentazione del soggetto che viene allontanato in una
dimensione artistica. Ciò consente all’autore di distribuire tra il protagonista e gli altri personaggi verità
autobiografiche, ognuno portatore di un significato.
La necessità dell’esilio: Joyce lascia Dublino. Per poter parlare di Dublino e per poter farne questo ritratto
morale deve lasciarla. È un ambiente paludoso che impedisce la vista. Allontanandosi si ha un dinamismo,
una fluidità che consentono di poter parlare.
La figura dell’artista, dell’intellettuale che cerca un’affermazione per sé stesso nella vita è un po’ il racconto
dell’esperienza di Joyce. Inizialmente il testo è una serie di resoconti, sembra un documentario che viene
poi rielaborato. The portrait of the artsìist as a young man inizialmente si chiamava Stephen Hero che altri
non è che Stephen Dedalus: è il racconto dell’iniziazione di Stephen alla vita artistica. Il suo nome ha una
doppia matrice: una matrice pagana che si rifà al mito di Dedalo che costruisce il labirinto dal quale riesce a
fuggire dopo essere stato rinchiuso da Minosse, quindi ha una matrice greca, classica, di un personaggio
che cerca di spingersi oltre i limiti della conoscenza; e ha anche una matrice religiosa perché il nome
Stephen (stefano) si rifà al primo martire. Egli è il personaggio che rappresenterebbe il primo alter ego in
cui si assommano molte caratteristiche, sarà un po’ il santo, martire, della letteratura; è un personaggio che
lascia tutto per dedicarsi all’arte.
Un altro elemento molto importante è quello delle epifanie: momenti di rivelazioni, sono momenti che
trasformano un episodio banale in qualcosa di speciale e memorabile. L’epifania ha una matrice religiosa
che deriva dal greco “vi mostro” e fa riferimento a quando il bambino Gesù viene mostrato ai re Magi. È
una sorta di trasfigurazione dove i sensi sono più attivi e si manifesta qualcosa a livello sensoriale: Stephen
è come se fosse il nuovo Cristo perché pone nell’arte la stessa dedizione che un sacerdote pone nella
religiosità. Joyce scrive molte epifanie e solo dopo si rende conte di doverle integrare in una narrazione che
viene influenzata da momenti di chiarezza (spots of time) in cui vi sono dei picchi in profondità nella
percezione personale. Le epifanie sono delle improvvise percezioni in un tempo ristretto, in un momento di
una totalità del carattere di un personaggio, di una scena, e non possono essere espresse in un linguaggio
piano ma necessitano di un linguaggio che sia in grado di estrarre da ogni parola un significato più pieno;
un linguaggio in cui l’intensità dell’esperienza corrisponda un’eguale intensità verbale (Pinter diceva: più
estrema l’esperienza, più difficile da raccontarla).
L’Epifania riconosce l’oggetto in quanto tale, in quanto essenza e anima, come se si schiudesse per
rivelare qualcosa di interiore, l’oggetto assume significato per come viene rivestito dall’osservatore, un
bicchiere non sarà più solo un bicchiere, esso ci appare come qualcos’altro, questa intensità nel romanzo
può essere diversamente espressa nell’intensità verbale, nel teatro può essere sublimata da altri
espedienti: il corpo, i gesti, la visualizzazione delle azioni. Nel romanzo il silenzio lo si percepisce perché è
ricreato dall’autore, nel teatro si sente la mancanza delle parole. Ciò è in relazione alla temporalità poiché il
monologo interiore nonostante fosse lungo è riassunto in pochi istanti.
Il personaggio centrale dell’Ulisse è Leopold Bloom e rappresenta l'uomo comune. È un agente
pubblicitario che girovaga per Dublino e durante le sue peregrinazioni, che ricordano il vagare del
protagonista dell’Odissea, Ulisse, lungo le rotte del Mediterraneo, incontra il giovane scrittore indigente
Stephen Dedalus (considerato l’alter ego di Joyce). I due si incontrano (molto avanti nel romanzo, verso la
fine della parte centrale) per caso, dopo essersi sfiorati in varie occasioni. Stephen coinvolto in una zuffa
viene soccorso da Bloom che lo porta a casa propria offrendogli ospitalità anche per il futuro. Stephen
diventa momentaneamente il figlio adottivo di Bloom. Il tema principale è la simmetrica ricerca affettiva
del padre verso il figlio e del figlio verso il padre. Sono angosciati dalle proprie esperienze personali:
Bloom assillato dai tradimenti della moglie, frustrato dal lavoro e oppresso dal ricordo del figlioletto morto,
su cui aveva riposto grandi speranze di riscatto; Stephen perseguitato dal senso di colpa per non aver
compiuto gli atti di devozione cattolica sul letto di morte della madre e tormentato dall’inadeguatezza della
figura paterna. A casa c'è Molly, la moglie di Bloom, un cantante voluttuosa. L’ultimo episodio è incentrato
sulla figura di Molly, dopo che Stephen se ne va e Bloom si addormenta, la donna fa un monologo interiore
in cui rievoca il rapporto con il marito e insegue le sue fantasticherie progettando un pomeriggio di adulterio
con il suo direttore musicale. Il finale del romanzo rimane aperto.
L'opera è ambientata a Dublino (realismo, ambiente che lui conosce bene), la vicenda del romanzo si
svolge in un giorno solo, il 16 giugno 1904 (data del primo appuntamento di James Joyce con Nora, la
donna che diventerà sua moglie). Vivono una sorta di Odissea personale, si svegliano, hanno vari incontri,
e vanno a dormire diciotto ore più tardi.
I personaggi sono:
1.Stephen Dedalus (nome ripreso dal protagonista del romanzo giovanile di Joyce “A Portrait of the artist
as a young man”): giovane letterato, insegnante nelle scuole, sognatore e ribelle, tornato in città dopo un
breve esilio parigino;
2. Leopold Bloom: trentottenne dublinese di origine ebraica, stravagante, inconcludente, gran bevitore,
agente pubblicitario (professione del padre dello scrittore e di Joyce stesso per alcuni periodi della sua
vita);
3. Molly Bloom: moglie infedele di Bloom, cantante.
Legame con l’Odissea: Joyce utilizza l'Odissea come un quadro di riferimento per il suo libro, organizzando
i suoi personaggi e gli eventi in riferimento al modello eroico di Omero: Bloom rappresenta Ulisse, Stephen
il figlio Telemaco, Molly la fedele Penelope.
Anche l’Ulisse di Joyce, come l’Odissea è diviso in tre parti. I primi tre episodi rappresentano la
Telemachia, il blocco centrale, la vera e propria Odissea e i capitoli finali il Nostos, ritorno in greco, cioè il
rientro di Bloom a casa, dalla moglie. Joyce stesso definisce la sua opera “un’Odissea moderna” e “l’epica
del corpo umano”. La struttura non prevede titoli interni, e ci sono dimensioni irregolari perché la parte
centrale è molto più estesa rispetto alle altre due. Le parti sono ripartite in episodi non numerati: 3 nella
prima e nella terza parte, 12 nella parte centrale.
Per comprendere l’Ulisse è fondamentale non solo il rinvio all’opera omerica ma è necessario
riferirsi anche al mito antico.
Legame con il mito: l’Ulisse è una nuova forma di prosa, basata sul "metodo mitico" che permette all'autore
di fare un parallelo continuo con l'Odissea. Joyce scrive una "prosa epica moderna", un’epica attualizzata
in cui il mito viene rovesciato e ironizzato secondo i tempi moderni e affermato in chiave anti-eroica e anti-
sublime.
Tematiche: il testo è gremito di temi, sottotemi e motivi perché vuole tendere alla rappresentazione unitaria
e simultanea di tutto il materiale umano. Il tema principale è la simmetrica ricerca affettiva del padre verso il
figlio e del figlio verso il padre. Ma c’è anche il tema del viaggio che metaforicamente rappresenta il viaggio
interiore dei protagonisti. L’autore vuole inoltre mettere in rilievo l’oppressione dell’educazione cattolica e la
difficoltà a superare il senso di colpa (attraverso il rimorso di Stephen nei confronti della madre morta). E
poi ancora: l’eros, il cibo, la gelosia, la morte, il mutare delle cose, Dublino.
Pubblicazione travagliata: il contenuto scandaloso dell’opera ne rende la pubblicazione difficoltosa. La
situazione si sblocca grazie a Silvia Beach, editrice e libraia che in collaborazione con un’altra libraia,
Adrienne Monnier, sua compagna nella vita, decide di stampare “Ulisse” per la propria libreria parigina
“Shakespeare and Company”. Silvia Beach incontra numerose difficoltà, sia economiche che pratiche, ma
infine il giorno del quarantesimo compleanno di James Joyce, il 2 febbraio 1922, a Parigi l’opera appare
per la prima volta nella vetrina della libreria “Shakespeare and Company”. Nel 1929, Adrienne Monnier
pubblicò la prima traduzione in francese del romanzo.
The Cambridge Companion to Ulysses
Sean Latham dice che leggere l’Ulysses è un’impresa significativa che richiede molto tempo, attenzione e
pazienza che può portare ad un forte senso di delusione. Infatti anche il romanzo stesso viene definito
“deluso” in cui il tentativo estetico di collegare menti, costruire un mondo o risolvere una trama
matrimoniale elementare finiscono per fallire. Non si sa se il matrimonio dei Bloom ha un futuro e
nonostante le allusioni all’Odissea, Stephen finisce il libro come lo ha iniziato: solo, alla deriva e senza una
casa. Viene definito come un libro non difficile da iniziare ma impegnativo da finire. Gli episodi iniziali
mescolano il flusso di coscienza con la narrazione in terza persona per portarci nei mondi e nelle menti
sovrapposte dei personaggi. Queste sezioni sono dense di trama e profondamente strutturate da una serie
di paralleli mitici con l'Odissea di Omero. Ulisse diventa un libro non più solo su un giorno di Dublino nel
1904, ma sul processo stesso di lettura e interpretazione. Inoltre, forse più di qualsiasi altro testo, l'Ulisse
conferisce peso e significato a oggetti, emozioni ed esperienze consumate dall'abitudine. Mistifica e
addirittura rende sacro il mondo profano che ci circonda. Aiutandoci a vedere la vita quotidiana come
un'avventura epica, Ulisse solleva anche una complessa serie di questioni etiche e politiche.
Micheal Gorden sottolinea il fatto che la scrittura punti al futuro ma che la lettura punti al passato. Sulla
base di questa dichiarazione nascono due domande: come ha fatto l’opera a raggiungere la forma in cui la
incotriamo? E cos’è andato bene o male quando l’opera è passata dalla mente dell’autore alla penna, alla
macchina da scrivere o all’elaboratore di testi e poi alla stampa? Su queste domande specula susan
Sontang che specula sull’attrativa dei diari degli scrittori: anche se spessono forniscono poca
comprensione dei libri pubblicati offrono accesso alla vita quotidiana degli scrittori, spesso in forma molto
meno lucida o autocosciente di qualsiasi opera finita. La forma del diario piuttosto che l’essere umano nel
processo di vita espone lo scrittore nel processo di scrittura. Il testo pubblicato non può mostrare l’intera
gamma di possibilità che erano in gioco in momenti particolari del suo passato. Il testo pubblicato è l’ultimo
di una serie di testi possibili. Menttre Joyce lavorava sul suo testo faceva annotazioni che avevano senso
per lui stesso per indicare che aveva usato una nota, inserito un’aggiunta. Joyce non ha scritto i suoi
appunti e le bozze per i critici genetici, ma i documenti sopravvivono per parlare degli stati precedenti di
Ulisse, dell'infanzia che ha goduto e sofferto prima che Joyce gli desse un volto pubblico e lo rilasciasse nel
mondo. L'oggetto di studio dei critici genetici è chiamato l'avant-texte, un concetto che coinvolge i
documenti che precedono un testo pubblicato e implica che questi documenti possono essere trattati essi
stessi come un testo. Proprio per questi motivi la stesura dell’Ulysses può essere fatta risalire sia a “A
portait of the artists as a young man” e “Dubliners”.
Joseph Brooker ci parla invece della storia della ricezione. Sottolinea che l’opera è stata pubblicata per la
prima volta in forma seriale su due riviste: “Thee little review” che lo pubblicò in modo irregolare in 22
numeri; mentre la rivista londinese “Egoist” pubblicò solo 4 episodi iniziali perchè i tipografi si rifiutarono di
mostrare alcuni episodi a macchina. In entrambi i casi, la pubblicazione fu permessa e incoraggiata dal
poeta e impresario letterario americano Ezra Pound, il più grande promotore di Joyce negli anni della
composizione del libro. E in entrambe le riviste, il testo di Joyce si trovava accanto a opere notevoli che
sono diventate parte del canone del modernismo, così come le lettere e il dibattito. L'Ulisse è stato quindi
incontrato per la prima volta in modo frammentario in mezzo a una serie di testi che hanno confermato
l'uno il posto dell'altro nella letteratura e nel pensiero avanzati dell'epoca. Le prime edizioni invece
apparvere a Parigi in numeri molto limitati. Ulysses divenne noto a molti indirettamente sotto forma di
commenti su di esso. Sono due le cose molto credute su di esso: che sia difficile e osceno. L'oscenità
metta in pericolo la disponibilità del libro. i processi all'Ulisse sollevarono numerose idee sulla relazione
dell'arte con l'erotico. Una linea di argomentazione era semplicemente che la letteratura e la pornografia si
escludevano a vicenda, e se l'Ulisse era arte non poteva essere vietato come osceno. Questo punto di
vista alla fine vinse per l'Ulisse nel 1933 ma all'epoca se la stampa tradizionale, il mondo letterario e il
sistema legale avevano difficoltà ad apprezzare l'Ulisse, questo confermava solo il disprezzo di Ezra Pound
per loro: Pound stesso celebrò l'Ulisse come una vasta satira della società contemporanea. Solo negli anni
30 divenne più comprensibile e divenne il soggetto di saggi e capitoli interi di libri. Leggere Joyce era
diventato imperativo e bisognava spiegarlo nei minimi dettagli.
Jonathan Goldman sottolinea come l’Ulysses sia stato riadattato in vari modi e queste versioni riproducono
l’eredità del romanzo. L’opera è solitamente il materiale di partenza per altre opere narrative. Il cinema fa
fatica ad adattarlo perchè il romanzo è pieno di monologhi interiori. Il metodo migliore sarebbe di produrlo
su fumetto: un genere che incorpora bolle di pensiero nelle immagini e il suo formato suggerisce
movimento e tempo. L’atto di leggere l’Ulysses non ha lo stesso significato che ha per altri testi poichè
possiamo leggere e persino condividere la reputazione del romanzo senza aprire il libro. Le manifestazioni
della cultura del mercato nell'Ulisse aiutano a rendere leggibile la fama di Joyce come prodotto della cultura
della celebrità del primo Novecento. Questa nuova forma di fama - trasformando le identità in merci che
sono simultaneamente distinte e riproducibili - mantiene l'idea dell'individuo per una società tecnologica di
massa.
Scarlett Baron dice che per gli scrittori e i lettori gli inizi del romanzo sono punti di partenza da cui un testo
si sviluppa e costruisce velocità e intensità viaggiando verso i potenziali climax di metà e fine. L'Ulisse è
riconosciuto come una rivoluzione nella cultura, un’irruzione di novità; viene vissuto dai contemporanei
come una rottura, differenza e singolarità. Resiste tuttavia alle aspettative dei lettori di ordine e unità
sconvolgendo I presupposti della normale sequenza romanzesca. Karen Lawrence osserva che il concetto
di sviluppo nella maggior parte dei romanzi assicura che le prime parti dell’opera preparino in qualche
modo il lettore per ciò che avverrà, ma per i lettori di Ulisse ciò non avviene. Per Lawrence questo è un
libro che cambia idea poco alla volta che procede e ciò costringe un cambiamento nella mente del lettore.
Del resto anche Joyce stesso cambiò spesso idea durante la composizione dell’opera e questo è segno di
discontinuità. È della scelta di ricominciare in ogni episodio che si deve l’originalità del romanzo, e ogni
avventura doveva creare una propria tecnica. L'Ulisse è quindi più accuratamente descritto come un
continuum organico di inizi, piuttosto che come una concatenazione di sezioni discrete, con un punto di
arrivo. Per mostrare la complessità del libro stesso possiamo guardare al suo titolo: "Ulisse" segnala un
ritorno tanto quanto un inizio: il ritorno a lungo rimandato del suo eroe al suo punto di origine. Eppure
"Ulisse" è anche, in un altro senso, l'ultima parola: la parola che dà senso al libro nel suo insieme. ciò che
differenzia Ulysses da A Portrait e Dubliners è la presenza del monologo interiore che rende la
caratterizzazione interna piuttosto che esterna. i personaggi di Joyce non solo parlano la loro lingua ma
pensano la loro lingua come notò Pound. Virginia Woolf invece riconobbe che Joyce stava scrivendo la
narrativa psicologicamente realistica che lei sosteneva.
Margot Norris sostiene che i lettori hanno sempre fatto fatica a comprendere I personaggi e la trama
dell’Ulisse; è stato il tempo con l’erudizione a venire in soccorso per offrire spiegazioni e illuminazioni. In
particolare Stuart Gilbert ha incluso nel suo libro una versione dello schema che Joyce aveva inviato a
Carlo Linati e che mostrava come ognuno dei 18 capitoli corrispondano a un’avventura, a un personaggio o
una figura dell’epica classica di Omero e questo mette in evidenza la complessa relazione tra l’Ulisse e
l’Odissea, a cominciare dal fatto che la loro connessione è implicita piuttosto che esplicita. Solo il titolo
rimanda direttamente all’Odissea. L'Ulisse rivisita l’Odissea per mostrarci le loro somiglianze o si chiede
come potrebbe apparire il testo di Omero se I suoi eventi fossero andati diversamente? Bisogna osservare
ciò che fanno i personaggi che sono affetti da una varietà di conflitti che li spingono ad intraprendere azioni
che possono avere successo o meno nella risoluzione dei conflitti (che sono spesso intrecciati e correlati).
Stephen Dedalus è mostrato nel primo episodio ("Telemachus") come la vittima di una relazione abusiva
con un amico e compagno di stanza che lo prende in giro, lo deride e lo umilia. Mentre Odisseo è in ritardo
nel suo viaggio di ritorno al suo regno e alla sua famiglia a Itaca, suo figlio Telemaco ha dovuto vedere i
pretendenti di sua madre saccheggiare il palazzo e usurpare le sue prerogative. La sua risposta a questa
crisi è la ricerca di suo padre con l'appoggio discutibile di surrogati lungo la strada. Stefano affronta i propri
usurpatori in modo più o meno diretto. Come Telemaco, li affronta. Stefano differisce più significativamente
da Telemaco nel rapporto con i suoi genitori. Telemaco è devoto e protettivo nei confronti di sua madre e
dipende da suo padre per ripristinare i diritti della famiglia a Itaca. Stephen Dedalus, invece, è in conflitto
con sua madre ed evita piuttosto che cercare un padre sul quale ha imparato a non contare per la
protezione o il sostegno. Come Stephen, Bloom soffre una serie di conflitti, alcuni dei quali hanno una
sorprendente somiglianza con quelli di Stephen. Anche lui ha subito devastanti perdite familiari nel suo
passato - non solo un padre che si è suicidato nella disperazione della vedovanza, ma anche un figlio
neonato che è morto a pochi giorni dalla sua nascita undici anni prima degli eventi del romanzo. E proprio
come Stephen si sente in colpa in relazione alla morte di sua madre, Bloom si sente in colpa e angosciato
per la morte del bambino, anche se la sua fonte è totalmente diversa. Entrambi gli uomini si sentono
ombreggiati dagli usurpatori in questo giorno. Stephen vede Mulligan e Haines godere dello status di
insider tra i letterati e gli intellettuali irlandesi di Dublino, mentre lui stesso rischia di essere sempre più
messo da parte. Bloom si sente in pericolo di essere sostituito nell'affetto di Molly da un amante, Hugh
Boylan, che minaccia la comoda vita domestica di cui gode con sua moglie. Per entrambi gli uomini, la
nazionalità e la razza sono un'altra potenziale fonte di conflitto, dato che Stephen lotta per posizionarsi
come un artista specificamente irlandese, mentre lo sfondo ebraico di Bloom può essere responsabile
dell'aumento dei conflitti correlati, che creano le condizioni per una potenziale simpatia e amicizia JOYCE
tra Stephen e Bloom, anche se i loro incontri nei diversi luoghi dei loro soggiorni notturni non costituiscono
ancora un legame di comunione. Come può dunque Bloom essere una controparte di Ulisse? Non è certo
un Odisseo quando si tratta di governare una nave. Molly giurò che non sarebbe mai più salita su una
barca con lui dopo che lui aveva quasi rovesciato una barca a remi quando l'acqua era diventata agitata.
Tuttavia le sfide di Bloom sono spesso psicologiche, e il suo meccanismo di risposta è una passività
deliberata che spiega almeno in parte l'effetto senza trama del romanzo. Allo stesso tempo, Bloom, come
Odisseo, incontra una serie di eventi accidentali che, a differenza delle azioni, non sono prodotti dai
personaggi ma possono comunque avere effetti importanti sulla trama.
Enda Duffy si concentra molto sull’ambientazione dell’opera e sottolinea che la data è il giorno in cui è
ambientato il libro: 16 Giugno 1904, la durata sono i 7 anni che ci sono voluti per scrivere il libro.
Concentrare l’intera opera in un solo giorno può significare un tentativo di ignorare del tutto la storia, ma
questa strategia accorda ad ogni giorno l’enorme rispetto della sua rappresentatività storica. I sette anni di
composizione possono essere indice di promemoria del fatto che il libro è stato scritto negli anni più
tumultuosi della storia mondiale. Ambientando l’opera in un anno relativamente tranquillo mentre lo scrive
in tempi violenti, Ulisse può conoscere il futuro senza ammettere tale conoscenza anche se permette al
lettore di capire la situazione politica, economica, sociale e culturale irlandese nel 1904. Il romanzo è
ambientato nel cuore di quella che si rivelerebbe essere la fase finale del dominio coloniale britannico in
Irlanda. La Dublino di quel periodo poteva vantare una magra prosperità ma qui era una città borghese
emergente sul modello europeo. La Dublino di Ulisse è in gran parte una città di uomini di classe
medio-.bassa, occupati in modo precario. Ulisse è un documento da un punto di vista prettamente
borghese; il romanzo come genere può essere detto un’invenzione della classe media e un veicolo per il
suo punto di vista. I personaggi però provengono da un gradino più basso di quella classe. Per cogliere la
natura della loro bravura di fronte alla disperazione bisogna considerare l’influenza della chiesa cattolica (il
cui prestigio cresceva sempre più), l’attrazione del nuovo celtic revival e il potere della nuova cultura
popolare internazionale. Joyce scrisse l’Ulisse non solo su un singolo paese, l’Irlanda, e una singola città,
Dublino, ma anche su una singola classe in quella città: la sua nuova classe media cattolica. Sono i
contesti in cui questa classe è emersa a fornire il vero contesto storico, sociale, economico e culturale per
comprendere il romanzo.
Maud Ellman si occupa del finale, e dice che è difficile immaginare un finale più soddisfacente di un ritorno
a casa in cui la narrazione compie un giro completo, riportando l’eroe alle sue origini. Non è chiaro se però
Bloom torna nella stessa casa che ha lasciato. Mentre il romanzo tradizionale termina con il matrimonio,
l’Ulisse termina con l’incontro fugace di Bloom e Stephen che viene interrotto e seguito poi dall’incontro
celibe di Bloom e Molly nel letto coniugale. Entrambi gli incontri non hanno alcun tema.
Micheal Rubenstein si occupa di “Aeolus” e “Wandering rocks” e sostiene che una delle tecniche formali
introdotti in esse modella la voce narrativa su alcune delle moderne strutture tecnologiche che ridefiniscono
la vita quotidiana sia nella Dublino di fine secolo che nelle metropoli europee in generale. Le due tecnologie
centrali per gli esperimenti formali di Joyce sono il giornale, e perciò in “Aeolus” sintetizza il lavoro culturale
del giornale e le opere pubbliche dell’infrastruttura civica di Dublino, e il sistema fognario di Dublino in
“Wandering rocks” che è l’unico episodio dell’Ulysses che non ha un parallelo omerico (il narratore di
questo capitolo è soggettivo ma senza oggetto, che non rappresenta la prospettiva di nessuno; la
prospettiva è quella dell’infrastruttura sotterranea di Dublino, perciò il narratore è infrastrutturale). Questi
esperimenti tentano di dare un taglio ontologico ed epistemologico all’idea che la città stessa possa essere
un personaggio, è qualcosa di più di semplice ambientazione.
Marjorie Howes si occupa del capitolo “Sirene” che inizia ricordando eventi che non sono ancora accaduti e
offre ai lettori un passaggio che non si può comprendere, si può capire solo una volta letto l’intero episodio.
Questo trucco narrativo incoraggia i lettori a rivalutare un passaggio alla luce di momenti testuali
successivi, illustra ciò che Hugh Kenner chiama l’estetica del ritardo nell’Ulisse che spinge il lettore a
rivisitare passaggi e a risolvere enigmi alla luce di informazioni successivi, mentre l’estetica della parallasse
crea momenti testuali che sono comprensibili solo in relazione a ciò che è stato detto prima. Un particolare
passaggio richiede di essere interpretato in relazione ad altri passaggi: sia passaggi successivi (ritardo), sia
passaggi precedenti (parallasse). Presi insieme, suggeriscono un modello di lettura dell'Ulisse che è non
lineare e sempre in processo. E così, la narrazione va di pari passo con la rilettura. Molte cose che
accadono in Ulisse sono narrate più di una volta. L'estetica del ritardo guarda indietro, usando nuovi
passaggi per rispondere a domande passate. L'estetica della parallasse, invece, guarda avanti, nel senso
che genera nuovi misteri che il lettore deve chiarire ricordando ciò che è stato fatto prima.

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