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Sbobina lezione 4 (10/03/21) Rossella Cammarata- Katia Iorio

Precedentemente parlavamo della peculiare congiuntura della cultura tedesca di questa tarda fase
del 18 esimo secolo , nel quale convergono simultaneamente una serie di rivendicazioni proprie di
questa gioventù che si identifica con queste nuove spinte culturali, che vengono da queste due
grandi rivoluzioni , la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese. Sono sostanzialmente i
portavoce di una nuova classe sociale e rivendicano il proprio spazio espressivo, sia artistico che
culturale sulla scena del mondo. Ciò si contrappone fortemente al potere dell’aristocrazi, al quale in
qualche modo ha dichiarato una guerra formale, già in questo testo concreto conosciamo questo
impeto, questa energia, di contrapposizione che anima profondamente lo spirito e quindi anche
l’orientamento culturale dell’arte che si produce in questo periodo.
Bisogna ricordare che Werther quando scrisse la sua lettera di congedo dalla vita, nel momento in
cui ha maturato questo intento così autodistruttivo, ma soggettivamente vissuto come un atto di
estrema liberazione, poiché Werther si sente superiore alla schiera di comuni mortali che questa sua
sensibilità così acutizzata dal dolore. Sta compiendo un gesto con il quale enuncia la sua distanza
dalla mediocrità del mondo, ma anche la salvaguardia intatta dei suoi valori.
Evocare Ossian è importantissimo, poiché è il contrappunto, non solo alla figura, ma anche
all’opera di Omero. Sappiamo che questo romanzo epistolare è scandito da due momenti, con
grande perizia da parte di Goethe, costruiti da un sistema di simboli tendenzialmente rovesciati, per
cui nella prima fase del romanzo, quando Werther ha abbandonato la città, è in questa dimensione
idilliaca del piccolo centro, che in fondo è una campagna, dove l’umanità gli appare genuina, poiché
distante dai pervertimenti della vita urbana. Sta costruendo nella sua descrizione del contesto, anche
lo scenario dentro il quale apparirà la figura di Lotte, la quale appare per la prima volta a questo
giovane, già predisposto a questa enfasi sentimentale, dedita a dare da mangiare ai suoi fratellini.
Quindi Lotte è in qualche modo una figura attraente, studiata come incarnazione di una serie di
simboli, e non è accidentale che la prossimità con l’infanzia la caratterizzi sin dall’inizio. L’infanzia
è una delle concatenate declinazioni di questa idea di autenticità di natura, che caratterizza l’enfasi e
la ricerca di questa generazione che intende contrapporsi a questa artificiale costruzione della
modernità che si sta via via configurando intorno. In questa fase Werther è ancora molto felice
poiché la natura gli risponde in questo suo empito, che è scandito da una serie di stazioni
compositive, cioè Goethe si sta esercitando come poeta a trovare la sua cifra estetica, a raffinare gli
strumenti espressivi, a cercare la propria direzione di autore in base ai propri rendimenti, assumendo
dalla tradizione quello che può essere utile al suo discorso e scartando quello che è in contrasto con
le sue scelte. Quindi abbiamo, da una parte sicuramente Omero e dall’altra Ossian, quindi una
natura ridente, l’idea di una compartecipazione appagante, e dall’altra Ossian come sottolineatura di
questo incupirsi, di questo offuscarsi contemporaneamente della natura e dello stato d’animo di
Werther che ha, in qualche modo, intrapreso il cammino verso la fine della vita. Quindi anche
questa malinconia, questo struggimento, questa cupezza, si riflettono nelle immagini che vengono
restituite, e quindi anche della sintonia letteraria che, non è più Omero, ma è appunto questa sorta di
bardo.
Il libro che ha sul comodino di Werther quando troveranno il suo cadavere, dopo che lui si sarà
sparato, non è un indizio casuale. Potremmo definirla come una citazione letteraria che riconduce al
nome di Lessing, cioè “l’Emilia Galotti”. Entrambi sono accomunati dalla stessa tragica fine,
poiché anche la protagonista del dramma decide di porre fine alla sua vita.
Emilia Galotti vuole morire poiché in qualche modo vi è stato un attentato alla sua virtù, intesa
secondo i parametri dell’epoca, quindi la verginità, ma soprattutto è in gioco un movimento di
passioni, di sentimenti, che in qualche modo Werther sente parente del proprio scombussolamento
interiore. Quindi questa fanciulla, in un contesto diverso, rimanda a tutta una serie di sintonie.
Siamo in una fase in cui la donna soprattutto è protagonista di una narrativa di una drammaturgia ,
una costellazione letteraria, in cui da una parte è sempre la donna angelicata custode della virtù,
però è anche depositaria di questa capacità di sentimento che sta cominciando a creare una
contraddizione all’interno di questo sistema ordinato di valori, e anche di quella compostezza
emotiva che è tradizionalmente appannaggio e retaggio culturale del codice aristocratico, basato sul
non tradire l’emozione, sul custodire una sorta di ritegno rispetto a cui il disordine della passione è
in qualche modo considerato un taboo. In tal proposito possiamo citare: Pamela di Richardson, e la
nouvelle Heloise. Emilia Galotti è in un certo senso parente di queste eroine che abbiamo citato,
cioè queste giovani donne che sono alla ricerca di una legittima realizzazione dei propri sentimenti
e dei propri desideri e ancor più degli uomini, incontrano ostacoli. Vi è una sorta di solidarietà tra
queste eroine e i propri autori, uomini che proiettano in loro questa simpatia, un’alleanza implicita,
che viene suggerita da queste opere. Emilia Galotti sceglie di morire per salvaguardare un valore
più alto, che è la sua virtù, ma anche il punto di contatto tra la virtù e la sua individuale aspirazione
a sentimenti più alti e più nobili.
L’autore di quest’opera, Lessing, è comunemente considerato da Mittner , autore di una celebre
storia della cultura tedesca (composta da 12 volumi), come il grande campione dell’illuminismo, il
quale viene tratteggiato con i suoi caratteri individuali . Lessing rappresenta questa sorta di
paradigma della poetica illuministica. Il suo nome è legato in particolare a un dramma, che si
chiama: “ Nathan der veiser” che vuol dire “Nathan il saggio” (Der Veiser è un aggettivo
sostantivato) , è un dramma molto importante nelle compagine dell’illuminismo, non solo tedesco
ma anche europeo, poiché è il dramma della tolleranza religiosa, dove il tema principale , è affidato
a questa figura di uomo saggio , dunque uomo eletto a paradigma a uno dei valori principali che
l’illuminismo europeo sta propugnando in questo scorcio di fine 700 , attraverso la rivoluzione
francese, attraverso questa rivoluzione dell’immaginario collettivo che si sta compiendo
nell’Europa che via via è investita da questa ondata di modernizzazione, non soltanto delle forme di
vita, ma anche, appunto, dei valori che le sostengono. Quindi la tolleranza, questa legittimità
dell’essere ciascuno portatore di istanze diverse, avendo uguale legittimità. Ad esistere è ad
esempio un dramma sulle tre religioni principali, che sono: islamismo, ebraismo e cristianesimo,
quindi Nathan è colui che mette d’accordo i tre rappresentanti di queste tre religioni.
Emilia Galotti è stato pubblicato nel 1772 , due anni prima della prima stesura del Werther , che
viene pubblicato nel 1774. Il Werther è considerato come il romanzo epistolare per eccellenza di
questa nuova sensibilità sturmeriana, grazie a cui, non solo Goethe si afferma come protagonista
della scena letteraria tedesca, ma anche l’Europa recepisce collettivamente questa nuova opera nella
quale si identifica in questa figura del giovane ribelle, che si era innamorato perdutamente della
donna che non lo ama. Questa vicenda, antica quanto la storia dell’umanità, raccontata in quel
momento , condita di tutti questi elementi sentimentali, queste precise coloriture che rimandando a
una vicenda ambientata, paradigmaticamente in una riconoscibile contemporaneità, diventa il
precipitato emotivo , ma anche culturale, di un intera epoca.
Quindi vediamo che di fatto, esiste un denominatore comune, tra la cultura illuministica, che fa
capo a questi valori orientati alla ragione, come strumento di educazione alla tolleranza, ai valori
costitutivi del programma della rivoluzione francese (uguaglianza, fratellanza e libertà).
Contemporaneamente questa libertà ,questo protagonismo individuale, l’inclinazione sentimentale,
sono in qualche modo due sfumature, due tendenze , due complementari inclinazioni, di un
elemento principale, che è il fondamento di questa nuova classe ,che è rappresentata da
“l’individuo”. Questo nuovo soggetto che si impone ,che è questo “io”, questa soggettività , le cui
sfumature sono accentuate, ma anche indagate, perlustrate, in base a una serie di momenti
differenziati.
Lessing si colloca sulla scia di un altro importante filosofo. I filosofi francesi, sono tra gli animatori
di questo dibattito culturale che prepara la rivoluzione politica in Francia , abbiamo citato Voltaire,
Rousseau. Rousseau è una figura interessante, poiché rivela nella sua complessa teoria la
coesistenza di una componente illuministica del suo pensiero, insieme a una sentimentale, poiché
egli valorizza costantemente questa cultura del sentimento , ciò ci fa vedere con minore
schematismo la coesistenza di queste due valenze. Parlando invece del contesto culturale tedesco ,
facciamo capo al già noto filosofo dell’illuminismo tedesco: Immanuel Kant , personaggio
interessante da delineare come una figura di un provincialismo tedesco che è proprio questa epoca,
ovvero il binomio tra provincialismo e cosmopolitismo, che è peculiare della condizione degli
intellettuali tedeschi di questa epoca. Ha rielaborato la teoria del sublime di Edmund Burke, cioè di
questo rapporto panico, di questa interezza della natura che suscita quell’emozione ambivalente, ma
anche straordinariamente pregnante che è quella che ciascuno di noi ha provato di fronte
all’immensità della natura. Viene solitamente chiamato “astonishment”, che è lo stupore, ciascuna
cultura declina con dei termini chiave che , in qualche modo, rivelano una codificazione , che parte
dall’antichità greco-latina, in particolare da un trattato della tradizione greca. Ogni epoca ha cercato
di organizzare, catalogare il proprio sapere, inteso come riflessione sulla propria esperienza , sul
mutare, non solo delle forme dell’arte, intese come riflesso di un mutamento della percezione del
vivere. Questo incontro con la natura genera o riattiva la memoria del sublime, questo trovarsi in
sintonia con un universo considerato partecipe della propria interiore natura.
In quest’epoca precipitano orientamenti dissimili, ma anche complementari , il cui denominatore
comune è sostanzialmente questa ricerca di un nuovo epicentro dell’esperienza del mondo che è l’io
singolare , individuale, che in qualche modo è una scoperta, poiché la cultura aristocratica, è una
cultura organizzata su questo ideale cavalleresco, però con una non casuale impostazione molto
gerarchica in cui non c’è l’individuo che dal basso vuole liberarsi e vuole sovvertire l’autorità di
questa aristocrazia , che nel sistema feudale è un’alleanza tra potere temporale e potere religioso ,
dunque è anche un ipoteca complessiva sulla rivendicazione individuale del diritto alla esistenza,
alla libertà.
Empfindsamkeit si tratta di un sentimento attenuato , di questo pathos che renderà Werther così
eccessivo nella sua esuberanza, che ha programmaticamente, in una certa fase della sua vita,
congedato. Quando Goethe sceglierà la strada del classicismo, o del neo-classicismo , come si
chiama secondo il canone tedesco, abbandonerà questa esuberanza. Goethe è come se lo guardasse
come un esuberante , fanatico, che deve superare quella maniera per raggiungere una compostezza
classica, alla costruzione di forme dentro cui tutto ha una sua ragion d’essere, tutto ha un equilibrio,
non c’è dismisura. Significa “sensibilità”, che ha a che fare con qualcosa di epidermico, è parente
della suscettibilità , di quella estenuata capacità di provare sentimento ma in fondo non ancora
osare e rivendicarlo con prepotente intensità. L’empfindsamkeit è soprattutto retaggio della cultura
religiosa tedesca del tardo 700 che è il pietismo.
Il pietismo è quel tentativo di rinnovare la cultura religiosa nella sua specifica declinazione
Luterana, quindi la religione protestante (declinazione del cristianesimo) , è stata una riforma che si
è contrapposta frontalmente alla chiesa cattolica , all’autorità , fino ad allora indiscussa, della chiesa
cattolica, rivendicando non solo una moralizzazione (vendita delle indulgenze), ma anche un
diverso rapporto con l’autorità divina, il quale non aveva più bisogno della mediazione del clero ,
ma al contrario doveva riavvicinare il fedele alla vitale relazione ideologica con il divino.
Questo ha una serie di implicazioni culturali che sono, non soltanto confessionali, cioè direttamente
implicanti al modo in cui i credenti si sono relazionati. C’è un’analogia tra il puritanesimo e il
pietismo. Dal punto di vista della cultura pietista siamo di fronte ad un tentativo di rinnovare
dall’interno il protestantesimo, o meglio, di porre al centro la figura, l’intensità emotiva della fede
religiosa del singolo, e quindi di mettere al centro, secondo la codificazione figurale del linguaggio
di questa riforma religiosa, contrapporre il cuore alla chiesa, all’istituzione ormai codificata come la
chiesa protestante, in un certo senso distante dalla vibrazione sentimentale, da questa suscettibilità a
fior di pelle, da questa genuina vitalità dell’anima e del cuore, abbiamo la volontà di riformare,
rinnovare, revitalizzare il sentimento religioso a partire dall’energia “empfindsam”, sensibile del
cuore. Naturalmente siamo dentro i parametri della moralità religiosa, si tratta quindi di esaltare il
sentimento come apporto individuale di ciascuno dei fedeli e quindi anche di revitalizzare un senso
di comunione fra anime cosiddette belle che, dato che si è invocato questo schema, è esattamente
quello che Werther infrange consapevolmente; il pietismo prescrive anche nel senso del precetto
morale questo ringiovanimento della fede attraverso l’esuberanza mitigata dell’Empfindsamkeit del
cuore, quindi il trasporto verso la divinità. Prescrive anche il contenimento di questi sentimenti, non
solo nel perimetro rigido della morale, ma anche nella precisissima geometria del cosiddetto
“triangolo filadelfico”. Il triangolo filadelfico è una sorta di sublimazione, una sorta di traiettoria
dentro cui le passioni hanno legittimità di esprimersi; questa Empfindsamkeit trova quindi il suo
massimo punto di espressione, di morale affermazione nella compresenza di amicizia e di amore. Il
triangolo filadelfico è propriamente quello di una coppia con l’amico. Ci accorgiamo che siamo
esattamente nel triangolo fra Lotte, Werther e Albert. Quello che Werther farà sarà infrangere
l’armonia di questi sentimenti, che in qualche modo sono prescritti come misura dell’armonia, come
coesistenza del tutto sillogistica, non c’è disarmonia, non c’è contraddizione, c’è, anzi, transitiva
collaborazione tra sentimenti che hanno sede nel cuore: l’amore e l’amicizia. Potremmo dire quindi
che nei precetti, nel catechismo del pietismo questa costellazione viene codificata e rappresenta in
un certo senso un tassello del disegno che stiamo elaborando: rappresenta quell’itinerario che
conduce dalla sfera religiosa a quella laica e che in qualche modo si innerva di questa rinascita
religiosa.
Il puritanesimo inglese è una variante molto più rigidamente moraleggiante di quanto non sia il
pietismo, però entrambe muovono questo spirito di rinnovamento della fede religiosa, cioè del
modo in cui dentro il Cristianesimo è opportuno, giusto, doveroso vivere il sentimento religioso,
quindi anche estrinsecarlo, socialmente manifestarlo. Il puritanesimo nella sua genesi terminologica
ancora una volta parla della sua ambizione moralizzatrice e nella sua estrinsecazione sociale sarà
più che liberatoria, un irrigidimento moraleggiante molto forte. Sarà naturalmente un modo in cui la
chiesa anglicana a suo modo rivendica un’autonomia dalla ingerenza, dall’ipoteca, dallo strapotere
della chiesa cattolica romana. Ci si accorge che nella fase che è intrapasso da un sistema feudale a
quello borghese, l’ipoteca dei sentimenti religiosi è molto forte, perché il mondo feudale è un
mondo interconnesso, non solo con il potere temporale dei papi, ma anche con la presenza del
sistema religioso nel sistema sociale. Non a caso l’illuminismo sarà una spinta profondissimamente
laica: c’è il tentativo di emancipare l’individuo dall’apoteca della religione, intesa come
oscurantismo, intesa quindi come sottrazione all’individuo della sua autodeterminazione. A questo
si lega proprio al fatto che Kant è il filosofo dell’illuminismo tedesco; è colui che ha codificato
l’idea dell’illuminismo come emancipazione e, precisamente nello scritto che è un vero manifesto
programmatico, datato 1784, intitolato “risposta alla domanda che cos’è illuminismo”.
L’illuminismo secondo Kant rappresenta un paradigma, un verbo di questa nuova cultura borghese
che mira all’emancipazione, che mira alla autolegittimazione rispetto a un sistema di valori
antitetico a quello dominante. Per lui rappresenta la fuoriuscita dell’uomo dallo stato di minorità
che egli deve imputare a se stesso. La parola “minorità” è in tedesco Unmuendigkeit: muendig è
titolare della propria persona, arbitro del proprio destino. E se non lo è già aspira a diventarlo. Il
gioco di minorità si comprende meglio se capiamo che si tratta del contrario, di muendigkeit, che in
italiano corrisponde all’idea della “maggiore età”. Sostanzialmente si tratta di diventare
maggiorenni in senso simbolico, di diventare protagonisti titolari a tutto campo, a tutti gli effetti
delle proprie potenzialità. Si passa da una condizione di sottomissione che l’uomo deve imputare a
se stesso, cioè, se noi siamo sottomessi è perché non ci siamo ribellati: concetto innovativo,
rivoluzionario della filosofia illuminista kantiana. Ciascuno di noi è responsabile di costruire le
premesse della propria emancipazione, della propria libertà e della propria felicità. È un’esortazione
molto forte e, al tempo stesso, una condanna di chi si attarda nella unmuendigkeit, in questa
subalternità, perché non ha la grinta, non ha l’esuberanza, non ha l’energia, non ha l’ardire, il
coraggio. Nella unmuendigkeit risiede anche una dose di tendenziale inerzia, non già codardia e
viltò, ma certamente sentimenti di esitazione, che questa cultura vuole spazzare via con un sol
gesto. Ecco perché c’è del radicalismo nell’enfasi di questi filosofi, artisti di questa cultura che si
impegna a rimuovere gli ostacoli per questo trionfo del soggetto.
Altra fondamentale esortazione di Kant, che va di pari passo a muendigkeit, è sapere aude, che è
concetto trainante della filosofia illuminista francese. Significa “osa sapere”, il sapere è potere. Ci si
accorge che in questa temperie culturale in realtà risiede anche la genealogia dei valori della nostra
civiltà occidentale, che più e meno controversa sia l’idea di civiltà che l’occidente propugna, ovvero
questo accento sull’istruzione non soltanto come contenuti del sapere, ma anche come costruzione
di una personalità, della individualità preziosa e irripetibile di ciascun individuo.
I pietisti venivano chiamati Stillen im Lande. C’è un’ambientazione non solo culturale ma anche
fisica e paesaggistica. I pietisti celebrano la vicinanza con la natura. È un sistema di vasi
intercomunicanti. C’è la vocazione più preminentemente religiosa. Werther e Lotte condividono
un’amicizia che è in qualche modo insieme tutte e due le cose; la magistrale arte di Goethe consiste
proprio nell’ambientare questa vicenda un po’ sulla soglia. È un’amicizia, una comunione fra
anime, nel senso che loro leggono insieme, condividono insieme valori spirituali ed estetici, che
però in Werther scoppia la passione decisamente erotica, che non ha spazio, dal punto di vista della
prescrizione morale, nella precisa geometria. C’è un famoso saggio di un filosofo contemporaneo –
di cui è inserito un trattato nella bibliografia- Remo Bodei, filosofo di origine sarda, cittadino del
mondo, che ha insegnato negli stati uniti e che ha appunto scritto “Geometria delle passioni”.
“Geometria” come sorta di ossimoro, in quanto sappiamo delle passioni non essere riconducibili al
governo della ragione. Questo è il conflitto che la cultura elabora come esplosione della dissonanza,
ma che sappiamo risiedere nella antropologia delle passioni, nella comune esperienza dell’umano.
In questa cultura però le passioni si caricano di una valenza non solo esuberante, passionale,
sentimentale -ridondanza-, affettivo, ma addirittura di un empito rivoluzionario, perché è una
contravvenzione dal punto di vista della morale corrente, ed è il veicolo con cui i singoli individui
rivendicano il diritto alla felicità, costi quel che costi. Werther questo prezzo lo paga a testa alta,
richiamandosi all’eroina di una tragedia, cioè forzando il valore emblematico della propria
individuale tragedia di cui però, sublimando idealmente il valore, lui in qualche modo intende anche
tramandare la risonanza: oggi io mi ammazzo ma perché sono eroe di una costellazione di valori
molto più alta che il mondo intorno a me non comprende. È un gesto di spregio della restante
umanità, incapace di questa altezza di passioni. Non solo, quindi, i suoi contemporanei, ma tutta
l’umanità successiva vede la storia della recezione del Werther come la storia di questa complicità
dei lettori con il protagonista.
Quindi quando arriva questa suggestione, questo gusto letterario, l’interpretazione della vita cambia
verso l’emancipazione, si va contro il muendigkeit ecc.; il panorama cambia, potendo quasi dire che
i giovani di quell’epoca, soprattutto chi si occupava di politica, filosofia e letteratura, reagiscono
con lo Sturm un Drang, con la forte passione; mentre invece la comunità religiosa fa il contrario -
stillen significa cheti- , o meglio, al posto di reagire contro questa cosa, non si schierano come
unmundigkeit, ma comunque si ritirano in campagna e ricercano una fede originaria. Dobbiamo
però considerare che certamente l’autorità divina è riconosciuta in qualche modo come
indiscutibile, quindi il protagonismo dell’io ha sempre un grande confine, una limitazione, la quale
è però accettata nel riconoscimento dell’autorità divina. Nel caso di Kant, e nella filosofia
illuminista in generale, invece, non c’è autorità divina. La spinta dell’illuminismo è una spinta a
liberarsi dagli dei in senso lato: non c’è neanche più un dio, ma un deismo, ovvero circa l’idea che
qualsiasi autorità religiosa sia lesiva della visione rigorosamente laica. Non a caso l’illuminismo è
un’epoca che codifica il medioevo come un’epoca molto buia, dove il potere religioso è così
preponderante, dove, anzi, si gettano le basi per un sistema feudale che ratifica l’autorità -
ricordiamo che nel feudalesimo l’autorità dei sovrani è sancita dall’autorità religiosa-.
Il motivo di questa premessa è la lettura di Meifest, 1771, in una costellazione che idealmente a
titolo esemplificativo si è delineato per dire che coesistono molte sensibilità diverse, eppure
accomunante, per quanto riguarda la spinta che è quella di partenza, il vettore, cioè la modernità
borghese, come essa si afferma, in cosa consiste, in che senso spiana anche il cammino alle
questioni “post-moderne” della nostra contemporaneità. Accade in questo connubio tra una
questione più spintamente sentimentale e una questione più spintamente raziocinate o razionale,
perché per la ragione bisogna vedere come essa viene declinata. Per Werther, per esempio, la
ragione è un po’ vista stretta, in quanto a lui serve l’eccesso della ragione. La ragione vista da
Lessing o da Kant è invece uno strumento di emancipazione. Nell’uno come nell’altro caso esiste
questa grande, nuova istanza che è l’io, che anche in tedesco viene scritto con la lettera maiuscola.
Un Io che si pone a fondamento della percezione del reale, che non riconosce autorità superiore a se
stesso, che sia la monarchia feudale, che sia l’autorità religiosa. Questo è la conditio sine qua non
per l’affermazione della cultura borghese, l’individualismo come spinta trainante di una
rivisitazione dei codici morali ed estetici, ovvero dei valori che noi comunemente chiamiamo del
bello e del buono del la virtù e della bellezza, quest’ultima intesa non solo come criterio di gusto,
ma anche paradigma della teoria dell’arte. Anche il sublime, quindi trova il suo posto e proprio
questa cultura lo riscopre, perché è la cifra di una potente spinta oltre un limite. Il sublime lo si
percepisce di fronte a una maestosità incommensurabile della natura, quando questa va oltre la
nostra capacità di governarne anche la percezione di fronte all’infinito, di fronte al cielo, di fronte
all’orizzonte, laddove, come diceva Leopardi nell’Infinito, dopo la siepe c’è la vertigine, estetica ed
esistenziale, questo “naufragare così dolce” che è l’esperienza di avere trasceso i confini percettivi
della propria singolare persona.
La lettura di Meinfest in tedesco serve a comprendere come sono organizzate le strofe, come suona
il ritmo, a riconoscere le rime, il lessico tendenzialmente elementare, in quanto Goethe è ancora
molto giovane quando scrive la poesia, giovane sia come età anagrafica, sia come artista che sta
affinando i propri strumenti. Sceglie un vero e proprio topos, la festa di maggio, ovvero la
primavera, l’arrivo della primavera, che alle latitudini nordiche è prevalentemente spostata di alcuni
mesi, vista come risveglio della natura, che per noi ha un’altra collocazione cronologica nell’arco
dell’anno, a seconda delle latitudini nord-sud: in Sicilia la primavera magari si percepisce già a
gennaio; in Trentino bisogna aspettare una fase più avanzata di marzo.
Ecco che qui maggio significa risveglio, significa vita, nella organica ciclicità delle stagioni è vita.
Lettura in tedesco.
Wie herrlich leuchtet (superba, magnifica, maestosa)
Mir die Natur!
Wie glänzt die Sonne!
Wie lacht die Flur! (ricercata parola per dire distese di prati)
Es dringen Blüte
aus jedem Zweig
Und tausend Stimmen
Aus dem Gesträuch
Und Freud und Wonne
Aus jeder Brust.
O Erd', o Sonne
O Glück, o Lust
O Lieb', o Liebe
So golden schön (letteralmente „così doratamente bella”)
Wie Morgenwolken
Auf jenen Höhn
Du segnest herrlich
das frische Feld –
Im Blütendampfe
die volle Welt!
O Mädchen, Mädchen,
Wie lieb ich dich!
Wie blinkt dein Auge, (blinken, visto più come lampeggiare, non nel senso tecnico di un
macchinario, ma nella vitalità dello sguardo che si accende. È un ammiccare)
Wie liebst Du mich!
So liebt die Lerche
Gesang und Luft,
Und Morgenblumen
den Himmelsduft,
Wie ich Dich liebe
mit warmen Blut,
Die du mir Jugend
Und Freud und Mut
Zu neuen Liedern
und Tänzen giebst,
Sei ewig glücklich,
wie Du mich liebst.

Lettura in italiano.
Come radiosa risplende (la traduzione radiosa tenta di prelevare l’elemento semantico della luce e
per creare assonanze e allitterazione con r e d)
la natura per me! (qui Goethe attua un procedimento che troveremo preponderante nella sua fase
più propriamente sturmeriana, in cui non solo si impadronirà di un proprio stilema formale stilistico,
ma tenderà anche a mettere in primissimo piano, a usare mir, a me, come a sottolineare questo
impadronimento dell’energia che promana dal creato, come a dire quasi che la luce risplende in
relazione diretta con l’io)
Come scintilla il sole!
come ridono i campi!
Spuntano gemme
da ogni ramo,
e un infinito vociare
dai fitti cespugli (abitati dalla presenza di uccellini, immagine acustica)
E gioia e diletto
da ogni petto.
O Terra, o Sole! (circolarità delle evocazioni, che include la terra, il sole e poi direttamente i
sentimenti di questo Io che parla)
O gaudio, o ebbrezza!
O Amor, o Amore!
Dorata bellezza,
come nubi all'aurora
su quelle alture!
Tu sai benedire radiosa (Tu= o luce, o amore, o terra, o insieme di tutto questo concatenarsi di
immagini)
la frescura dei campi – (frescura del mattino, di questa rigenerazione dei campi, della natura
circostante)
con la fragranza di fiori
il mondo intero! (Nella festa di maggio, la natura è fatta dal sole, dalla terra, dalla luce e tutti questi
attributi convenzionali, antichi anche loro come la storia della lirica occidentale, sono alleati in
questa rinascita della vita intesa come natura; è intesa anche, nella transitività delle immagini, come
sentimento d’amore che è il risveglio del cuore del soggetto)
O fanciulla, fanciulla,
quanto ti amo!
Che luce i tuoi occhi,
Quanto mi ami! (C'è una non casuale ricerca di circolarità, cioè la corrispondenza di questi
amorosi sensi: un amore appagato. La festa di primavera è anche la festa del tripudio di un amore
corrisposti, perché come l'io ama il tu, il tu ama l'io.)
Come l’allodola ama
il canto e l'aria,
e i fiori al mattino amano
l'aroma del cielo, (Ricorre ancora il gioco dei paragoni, molto classico il principio generativo delle
immagini sulla base delle similitudini.)
così tanto io t'amo,
con il mio ardore, (con sangue caldo)
tu, colei che giovinezza
mi doni e gioia e
coraggio affinché io possa
comporre nuove canzoni e nuove danze.
Sii eternamente felice,
tu che tanto mi ami.
Nella poesia si trova un abbondante uso di allitterazione e un forte parallelismo con la natura.
Il titolo già fornisce indicazioni importanti: "MAIFEST" ci anticipa che il testo parla di primavera.
Nel testo la natura è datrice di vita, la vita è la rinascita delle gemme sui rami. È chiaro che la
poesia lavora anche con le metafore, quindi da un lato disegna degli eventi organici come appunto
lo spuntare delle gemme, da un altro sceglie anche un termine specifico. Goethe, infatti, non utilizza
il verbo "blühen (=fiorire)", ma il verbo "dringen", il quale contiene una forza, una spinta che è
un'energia propulsiva, non è una mera fioritura, ma è un'esuberanza vitale che fa sì che spuntino,
che esplodino le gemme su "ogni ramo". Il termine "jedem" suggerisce la totalità della visione che
si sta disegnando.
Nella strofa 8 troviamo due termini "Jugend (=giovinezza)" e "Freud (=gioia)" che possono essere
collegate alla natura come datrice di vita, perché come si vede nel verbo "dringen", non è la vita
intesa come qualcosa di statico, ma proprio come un impulso alla vita. Jugend e Freud potrebbero
essere intesi come sinonimi, anche se in maniera molto sottile, appartengono comunque alla stessa
sfera concettuale.
La natura non è un elemento statico, ma è un impulso alla vita, cioè c'è un principio di dinamismo,
riconosciamo in questa spinta tutta l'energia che Goethe riverserà poi nella rivoluzione formale,
spirituale ed epocale, la quale passa attraverso questa modificazione nella percezione della natura,
che non è semplicemente una contemplazione. Per alcuni versi lo è: questa poesia è il canto di
questa serena distesa di campi, in cui cinguettano gli uccelli, in cui l'amato ama l'amata; ci sono
però anche dei segnali che mostrano una percezione diversa della natura: il mir iniziale, la natura
come principio vitale, generativo.
Il senso musicale qui è ancora costretto in uno schema ordinato di ricorrenze, infatti la poesia è in
quartine, tutte organizzate su un principio di simmetria, assonanze e allitterazioni, spesso rime
baciate che si alternano, che confina abbastanza con un principio di ripetizione che quasi rischia la
monotonia.
Nelle strofe 8-9 Goethe afferma che l'amore che risveglia la giovinezza dell'amato, sintonia tra il
risveglio della natura e il risveglio dei sensi, è fatto da gioia e coraggio. Un coraggio per “nuovo
cantare e nuovo danzare": troviamo qui una rivalutazione dell'energia del corpo come elemento
capace di danza e di canto, cioè capace di una ritualità, di una gioia che diventa movimento.
In questa poesia Goethe è ancora agli inizi della sua carriera, sta scrivendo un Lied, un Gesang,
qualcosa che è simile alla canzone, più che alla ballata, e dal punto di vista della tradizione letteraria
il canto ha molto a che fare con l'estrinsecazione di un'anima, è un canto individuale; mentre la
ballata, proprio perché viene dalla tradizione popolare, tende ad essere un genere corale.
In questa poesia il canto della natura non è codificato né dal basso, ma neanche dall'alto, esso è in
una sorta di quota intermedia in cui non c'è però una grande invenzione. Troviamo un codice che
rispecchia la tradizione dell'epoca in cui scrive. Siamo di fronte ad una rudimentale esercitazione
con una serie di stilemi che lui non ha veramente innovato e persino il sentimento segue una
traiettoria tendenzialmente già percorsa. Goethe sta cantando l'amore ripetendo la parola "amore",
un amore nel contesto della natura, che in parte è una novità, non totale.
Nel verso 4 "Wie lacht die Flur", il verbo lachen (ridere) è attribuito all'essere umano e dunque è
come se ci fosse una simbiosi, un accostamento dell'uomo alla natura: un'azione puramente umana
viene dunque attribuita ad un soggetto della natura, ai campi.
(antropomorfizzazione/personificazione). Il "du" è quindi simultaneamente la natura, ma anche il
Mädchen.

Nel verso 17 "Du segnest herrlich" il verbo segnen (benedire) è una facoltà peculiare, distintiva di
Dio, ciò evidenzia la comunione del cosmo, l'armonia della natura attraverso la superiorità divina.

NATURA= è contemplazione, riconoscimento dell'istanza divina superiore perché la natura


benedice questa terra, in cui l'io è situato; è comunque un'autorità superiore che sancisce la
circolarità che fa dell'amore una proprietà transitiva, che dalla natura si trasferisce all'io, dall'io
all'amata e dall'amata all'interezza del mondo (volle Welt). La natura è contemporaneamente una
spina a vivere, a riappropriarsi della vita.
Nelle ripetizioni ci sono anche delle variazioni e in generale, nelle variazioni si annida
l'innovazione. Nell' inizio della lirica Goethe ripete un repertorio estremamente convenzionale, il
quale può essere collegato a Klopstock: il grande lirico della tradizione settecentesca. Egli canta la
natura sempre come creato, come data all'uomo per grazia ricevuta, non certo per protagonismo e
spinta all'azione, intesa come compartecipazione emotiva e sentimentale. Canta la natura come
restituzione dell'ordine del cosmo in cui l'uomo ama appagato in una serena quiete che non prevede
il tumulto della passione.
Nella strofa 3 Goethe inizia con Freud und Wonne, un sentimento che può essere avvicinato molto
alla religione, che non è assolutamente turbato da nessuna interferenza e promana dal petto inteso
come sede dell'anima.
Nella strofa 7 Freud si accorda con Mut ed è qui che si avverte l'innovazione. Mentre Wonne è una
forma di godimento spirituale, un diletto, Mut è una premessa molto più dinamica, c'è l'ardire messo
in primo piano.
Il lessico è abbastanza elementare; il linguaggio lirico, nella tradizione aulica settecentesca da cui
Goethe parte, è un linguaggio elevato perché preposto al canto di esperienze idealmente situate in
una sfera alta, non è colloquiale ed è collocato in una diversa età della lingua.

[DIGRESSIONE SULL’EROTISMO: Gli occhi fanno parte del corpo, ma sono confinati nel volto e
il volto, dallo stilnovo in poi, è un segmento separato del corpo, non a caso gli occhi nella lirica
tradizionale, da cui viene tutto l'alfabeto della tradizione occidentale, incluso lo stesso Goethe, sono
il veicolo per vedere l'anima, il veicolo spirituale; non si tratta infatti di una connotazione fisica fino
in fondo. Petto (Brust) e sangue (Blut) sono decisamente elementi corporei.
Nella poesia il ritmo richiama la musica, sia essa una ballata nordica, finnica o anche di altre
culture. Anche nell'etimologia la poesia è nata dal connubio con la musica. Oggi nella nostra
contemporaneità un po' si è persa questa tradizione, durante i secoli la poesia pian piano si è
allontanata dalla diretta connessione con la musica. Però in epoca tardo settecentesca geni come
Beethoven o Mozart hanno rivoluzionato la musica in chiave romantica.]

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