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Büchner privilegia dei sostantivi di tipo collettivo, in italiano non abbiamo una
corrispondenza adatta. È interessante individuare il paradigma della follia che Büchner, con
grandissima arte, riesce a ritrarre attraverso le immagini di un paesaggio così immobile,
così instabile che è sia interiore che esteriore. Nel confronto con la lettera del 10 maggio,
c'è uno stesso processo di avvolgimento, l'io si sente altrettanto avvolto e pienamente
compartecipe del cosmo, ma nel segno di questo gaudio, estasi e appagamento dei sensi che
è legata alla cifra della primavera. Qui abbiamo invece un paesaggio invernale, siamo a
gennaio, che è l'unica datazione cronologica vagamente oggettiva di questo percorso e in
questo paesaggio fatto di sostantivi vagamene generici che appunto si traducono sotto
forma di masse: masse di nuvole, masse di pietre. Ci restituiscono lo sguardo offuscato di
Lenz, che non si sofferma sui dettagli ma piuttosto coglie questi elementi del paesaggio in
una sorta di sintesi, che è indistinta, che è fatta di forme in movimento. Anche il suo
cammino, egli ripercorre questo saliscendi lungo le valli e
montagne; questi avverbi che non sono solo della discesa, ma anche della risalita. È un
continuo dinamico avvicendarsi, che riflette la sua interiorità scossa, lacerata dalla
sofferenza e dalla follia che però non c'è restituita direttamente sotto orma di malessere o
consapevolezza della follia. Büchner ci fa adottare direttamente la prospettiva soggettiva di
Lenz nel suo registrare. Il non camminare a testa in giù e un paradosso, ed è un espediente
per sorprendere i lettori. A conclusione dell'estratto analizzato, il gioco sottile a cui l'autore
ci sta pian piano iniziando è collegato ad una alterazione prospettica. In realtà questa
dilatazione della percezione, tutti i dettagli raccontati nella vita interiore di Lenz sono puri
attimi ed è invece al primo piano a cui è affidato tutto questa avventura, peripezia, che è in
fondo angosciosa. Il gioco delle proporzioni non è affatto armonico o logico, ma viene dato
estremo rilievo a questo tumulto interiore ed ogni tanto è come se ci fosse un riprendere la
prospettiva dell'io, questa sorta di momento sovraordinato in cui Lenz dice di sé, sono
soltanto degli attimi. C'è un contrasto tra questa dilatazione di momenti in cui il paesaggio
prende un dominante protagonismo e in un certo senso c'è un ribattere sul pronome Es, sorta
di energia che promana dalla natura ma che allo stesso tempo dalla psiche sconvolta di Lenz.
Solo a tratti l'autore riprende la prospettiva dell'io
di Lenz, parlando in terza persona con il pronome Er. Ci restituisce, nella provvisoria
conclusione dell'estratto letto, questo distanziamento in cui tutto quanto è avvenuto viene
virtualmente ridimensionato come di effimera durata di qualche istante. Sono proprio
questi istanti che hanno, in realtà, rilievo centrale perché sono questi istanti di
sconvolgimento della sua psiche che ce lo avvicinano molto. Büchner racconta quella che
oggi si direbbe patografia, diagramma di una malattia. Lo fa però, non con la distanza del
raziocino e tanto meno della prospettiva di un'analisi a distanza oggettiva, scientifica; al
contrario si immerge nella verità, nell'autenticità di queste percezioni trascinando così il
lettore, attraverso tutti gli espedienti formali osservati, dalla parte di Lenz. Esprime in
questo modo la nobiltà della sua sofferenza e l'intensità della sua anima.
In questo senso ritroviamo il filo con quanto dicevamo all'inizio, cioè questa
contrapposizione
di intenti che separa la tradizione della cultura romantica dalla posizione di Goethe. È come
se Goethe rappresentasse in questa epoca il centro di gravità unanimemente riconosciuto
nella sua autorevolezza e tuttavia, in qualche modo, dalla prospettiva romantica, con la
necessità di relativizzare il suo punto di vista e di contrapporre una verità più alta che i
romantici sentono. La prospettiva che sta loro a cuore esplorare, nobilitare e soprattutto
affermare come progetto antagonista alla normalità borghese, a questo progressivo
adattamento alle regole del mondo
che Goethe pratica, una volta che divorzia simbolicamente dalla parabola di Werther,
contrapporre invece questo universo dettato dai parametri classicistici. Come il rapporto
viscerale con la natura che significa anche una disponibilità a travalicare l'orizzonte del
mondo, questa postazione del Wanderer è simbolica oltre che concretamente radicata
nell'universo naturale, proprio perché significa un rifiuto delle regole della realtà, della
società, del consorzio umano sentite come con grande insofferenza soprattutto perché
artificiose.
Il decennio della Weimar Klassik, coincide con il periodo in cui Goethe si trasferisce alla
corte di Weimar e insieme a Schiller, in questo connubio di gigantesche personalità di
artisti, si dedica non soltanto a scrivere delle opere che sono concepite in ossequio al canone
classico e quindi alle idee di ordine, metri e forme che discendono per una linea
virtualmente diretta dall'antichità greco-latina. Il classicismo weimariano, il progetto
culturale ed estetico di Goethe e di Schiller, celebrato come uno dei vertici dell'arte e della
cultura tedesca, si connota però
pregiudizialmente come una volontà di lasciare tra parentesi ila storia, il presente e le
sollecitazioni, inquietudini che appartengono alla modernità. La cultura romantica raccoglie
la sfida di rappresentare e esplorare questo stravolgimento delle coordinate spazio temporali
in cui la cultura moderna si trova catapultata dalla rivoluzione francese e dalla simultanea
trasformazione strutturale delle società europee che è conseguenza immediata della
rivoluzione industriale. La cultura romantica contrappone alla modernità la natura, nella
quale si immerge per cercare di salvare una serie di valori. La natura è
contemporaneamente paesaggio interiore ed esteriore. parlare di natura significa
sostanzialmente parlare di soggettività, di come l'io si rapporta ad una realtà esterna
radicalmente mutata e soprattutto di come questo viaggio, questa esplorazione diventa
progressivamente nel bene e nel male, nell'accezione della follia e nell'utopico slancio, in
qualche modo diventa conoscenza di un mondo interiore, di una coscienza che
progressivamente prende consapevolezza di sé e soprattutto afferma la legittimità del
proprio sguardo sul mondo in chiave di corrispondenza, di sintonia. La natura diventa un
sistema di riferimento alternativo a quello della realtà della concreta organizzazione sociale,
regno dell'artificio.
La cultura romantica imprime un segno indelebile nella coscienza non solo tedesca, ma
anche europea. La sua capacità di sporgersi con tanto ardire nel ribadire un sistema di
valori radicalmente alternativo a quello che la cultura borghese di quella fase sta
realizzando. Questo rovesciamento prospettico, questa contrapposizione di un mondo
utopico, ideale sicuramente
astratto ma non per questo meno carico di significato e degno di essere idealmente
vissuto. Il senso di appartenenza ad una scala di valori antitetica a quella miseramente,
prosaicamente reale. La poesia è universo sconfinato di valori nobili e spirituali e si
contrappone alla prosa, intesa come meschina e ottusa realtà del mondo.
Il percorso di Werther viene da Goethe abbandonato. Il suicidio finale simbolicamente
rappresenta la direzione che Goethe intende intraprendere da quel momento in poi. È
molto importante tenere presente come riferimento polemico la figura di Goethe, proprio
perché rappresenta il modello a partire dal quale la generazione romantica definisce la
propria postazione.
La borghesia è questa classe che si contrappone, in modo rivoluzionario al predominio
aristocratico e all'assetto generale del mondo. Questa nuova classe sta costruendo un'altra
realtà, che è formalmente, strutturalmente antitetico al sistema feudale; non è più il latifondo
l'epicentro dell'organizzazione economica, ma la fabbrica, la macchina, la meccanizzazione
della produzione. La borghesia si pone come classe imprenditoriale e la fabbrica diventa un
nuovo luogo di lavoro. L'aristocrazia è questa classe che per definizione si connota, si
autodefinisce attraverso una legge, anch'essa culturalmente simbolica, cioè quella del
sangue. L'ethos aristocratico è una maschera sociale di misura, contegno che è agli antipodi
della figura del romantico che vuole esprimere la propria anima.
Quello che viene dibattuto in questo snodo storico è il tentativo di affermare un altro sistema
di valori e di porre al centro l'individuo nella piena effusione di tutta la totalità della singola
persona che è fatta di tante contraddittorie caratteristiche; c'è la ragione, ci sono i sensi, c'è
l'anima. Effettivamente questa esplorazione dell'Io, implica un'enorme gamma di
percorsi e quindi anche di esiti, sia sul piano estetico, sia sul piano più generale morale
e politico.
C'è bisogno di sottolineare sin dal principio che la narrazione contemporanea, dal punto di
vista dell'educazione scolastica, della storiografia letteraria, della prospettiva culturale che ci
viene suggerita dagli studi scolastici e universitari, è che in fondo viviamo in un mondo
molto diverso ormai. Però ancora oggi viviamo le influenze dell'illuminismo e del
romanticismo, anche se adesso ci troviamo in un mondo migliore. Invece la prospettiva che
io vi invito ad adottare è quella di osservare nella loro genesi i conflitti che ancora oggi
attraversano la cultura borghese di cui noi stessi siamo esponenti, abitanti di una tarda-
modernità, che in qualche modo continua a vivere le stesse contraddizioni con, in alcuni
casi, ulteriori aggravanti che sono all'ordine del
giorno. Libertà, uguaglianza e fratellanza sono un traino utopico che ancora oggi
sommuove e inquieta la nostra società, ma la realizzazione è molto più complessa. Ecco che
la cultura è un ingrediente fondamentale dello scenario perché si pone come possibilità di
scavare dentro le contraddizioni e affermare dei valori. La cultura è un sistema
profondamente antitetico, per sua stessa vocazione, al mondo reale della politica, alla
concretezza. Dobbiamo vedere la borghesia stessa, innanzitutto come una classe, ma anche
come un sistema di valori a sua volta inquietamente mosso da spinte diverse. All'interno
della classe borghese esiste un'anima conservatrice, un'anima rivoluzionaria, un'anima
utopica e un'anima convenzionale.
Il romanticismo e l'illuminismo sono così spinte concomitanti che partono dalla stessa
vocazione emancipatoria che è il traino politico di questa classe borghese che vuole
affermare se stessa, in contrapposizione con la nobiltà.
C'è un libro molto bello che si chiama Il Borghese, uscito nel 2017, scritto da un grande
teorico della letteratura, Franco Moretti. Moretti ha insegnato nelle grandi università
americane,
come Harvard, infatti la prima versione del suo testo è in inglese. È un interessantissimo
affresco della figura del borghese. Il borghese è tutti e nessuno, è un individuo
metamorfico, è difficile compendiare in modo statico e definitivo i suoi vizi e le sue virtù.
È un'interessante ricognizione, fatta attraverso la letteratura.
La nascente borghesia tedesca non può, non riesce storicamente ad affermarsi come classe
dominante, percepisce però, qualcuno ha detto con un po' di retorica profetica veggenza,
sicuramente tutta una serie di elementi che fanno parte della identità borghese. È come se si
trattasse di una capacità di proiezione, intuitiva immedesimazione in questa costellazione
storica che rende i tedeschi particolarmente lucidi rispetto a questa rivoluzionaria
coesistenza di conflittualità, di contraddizioni. Quello che è il traino storico-culturale di
questa emancipazione da parte della cultura borghese è questa affermazione rivoluzionaria
dell'Io. L'Io però non è un'entità data; la cultura aristocratica si definisce per essere, non nel
senso del divenire, ma nell'essere immobile. La struttura aristocratica dipende dai beni
immobili, dal latifondo.
Dipende dunque dalla conservazione e dalla possibilità di tramandare, attraverso
l'ereditarietà
del sangue. L'io (borghese) è un'entità che deve conoscere se stessa, deve provare le
proprie potenzialità, deve diventare qualche cosa. Perché di suo, non è nulla, non ha una
tradizione come quella aristocratica. Il borghese è per definizione un nuovo arrivato,
socialmente e culturalmente, perché deve inventarsi. L'aggettivo immobile, che anche
oggi, non a caso, è
sinonimo di proprietà, è contrapposto all'universo borghese che, invece, si costituisce su
un'idea di dinamismo, di divenire. Dal punto di vista di una lettura più vasta, che non
trascenda soltanto l'orizzonte tedesco e inglobi la costellazione più vasta del mondo europeo,
ad esempio Moretti individua il primo grande borghese, cioè Robinson Crusoe. Egli, che si
trova in un'isola deserta, in qualche modo sfrutta le risorse di questa realtà piuttosto ostile e
crea dal nulla, grazie alla sua intelligenza e capacità di ottimizzare il contesto nel quale si
trova. Riesce così ad affermare il suo Io, la sua capacità imprenditoriale che diventa
strumento di affermazione positiva del suo essere. Si tratta dell'individualismo di un uomo
comune che è stato capace di sopravvivere a varie peripezie, perché ha il coraggio di non
obbedire al padre e quindi anche questo ci riporta a tutta una serie di caratteristiche che
appartengono a Prometeus, o anche in Werther. Cioè la volontà di fuoriuscire da un
tracciato già segnato.
Domanda: In Inghilterra, il concetto di self made man è collegato al puritanesimo. In
Ger mania si avvertiva questo tipo di influenza religiosa?
C'è una componente religiosa, nel caso tedesco si parla di protestantesimo. Il protestantesimo
è
anche quella una rivoluzione; la volontà di contrapporsi all'autorità indiscussa della
Chiesa ufficiale, soprattutto nei suoi aspetti di corruzione e, ancora una volta la volontà
di porre al centro della fede il rapporto dell'individuo, della singola anima, senza il filtro
della gerarchia ecclesiastica, con Dio. Il modo in cui la religione si sposa con questo
disegno di
autoaffermazione, nell'ambito della cultura tedesca passa per due elementi (n.b non ha mai
detto il secondo elemento :\ ): il protestantesimo; questo protagonismo in qualche modo
coraggioso del singolo; prima di tutto di Lutero che afferma altri valori e fa piazza pulita
dall'ingombrante ipoteca del clero in questo momento di emancipazione, che passa anche
per la sua personale traduzione della Bibbia in tedesco.
A fine 1700 si assiste alla presenza dell'Empfindsamkeit e del pietismo. Certamente la
rivoluzione romantica è stata preparata dalla rivoluzione pietista. L'aspetto religioso ha una
incidenza importante nella misura in cui anche il protestantesimo, a fine 1700, viene sentito
come una sorta di Chiesa di pietra, viene sentita come uno svilimento dell'aspetto
sentimentale, della partecipazione individuale; del sentimento profondo di tutto ciò che è
fede, nel rapporto con Dio. La cultura pietista, che è una cultura che parte anche dall'idea del
triangolo filadelfico, cioè dal fatto che l'amicizia, i rapporti umani, questa coesione delle
anime sia la vera cellula germinale della fede, che non deve essere imprigionata, violata o in
qualche modo sopraffatta dall'ingerenza dell'autorità della chiesa protestante. Volontà di
rigenerare il sentimento religioso come compartecipazione di anime, come rinascita del
sentimento. Ecco che vediamo l'analogia con quanto la cultura romantica farà sia dentro che
fuori dell'orizzonte religioso e laico. Ad esempio l'universo di Novalis è profondamente
cristiano e intriso di questa intensità che viene dal mondo religioso, inteso però non come
rapporto gerarchico con una divinità lontana, autorevole, ma al contrario come
compartecipazione, circolarità rigenerante che fa del divino un elemento che impregna. La
prospettiva è dal basso, profondamente umana.
Empfindsamkeit vuol dire sensibilità, tecnicamente quetso sostantivo ha questo significato, e
diventa il vettore della rivoluzione pietista; la rivendicazione di questa interiore e
individuale modalità di vivere e di avere fede, cioè di nutritla dei propri individuali
sentimenti. Questi sentimenti sono legati, anche, all'idea dell'amicizia che è in qualche
modo il paradigma del Werther. Wetrher vive l'ambiguità del sentimento verso Lotte che è
prorpio il fatto di possedere tutta la nobiltà di un sentimento spirituale, che però è in qualche
modo anche profondamente erotico; il desiderio di Werther poi travalica i limiti imposti
dalla morale borghese e tenta questa seduzione che poi, in questa ambivalenza che Goethe
riversa nel personaggio di Lotte, sembra apparentemente venire corrisposto, anche se si
rivelerà un'illusione. Qui vi è il trionfo della ragione del mondo che contrasta con la legge
del cuore. Il cuore è l'epicentro della sensibilità pietista, di questa Empfindamskeit, la
religione del cuore è quasi il manifesto della ensibilità e della spiritualità pietista,
contrapposta al cuore di pietra, che sarebbe questa autorevolezza lontana della Chiesa,
intesa come istituzione.
Per quanto riguarda Schiller; l'importante germanista Arata Takeda, ha scritto un libro
molto interessante che legge, alla luce dell'oggi, il gesto di Karl Moor come una sorta di
ribellione terrorista. Il termine terrorismo dobbiamo leggerlo attraverso la lente del terrore
della rivoluzione francese e cioè, questa sorta di volontà di rovesciamento dell'ordine
costituito che non arretra di fronte all'evenienza della violenza. I Räuber sono convinti di
affermare una scala di valori superiore; Schiller, nella sua fase stürmeriana, è dalla loro
parte. Lo Stürm è un impeto rivoluzionario, di sovvertimento, di rovesciamento, che tiene
dentro di sé tutte e due le valenze: da una parte questa emancipazione edificante e dall'altra
questa possibilità, anche storicamente reale, di bagno di sangue, di soppressione della vita
umana in nome di un valore superiore.
Cosa simboleggia il cuore? È la sede del sentire, il centro propulsore della vita. Il fulcro dei
sentimenti. Cuore non è un organe casuale, è l'organo per eccellenza più importante,
accanto ai polmoni, è associato da sempre al sentimento, sin dall'antichità greco-latina. Nel
bene e nel male, essendo il cuore sia la sede della gioia che del dolore. Dal punto di vista
concreto, come materia organica, è una metafora non casuale. La poesia poggia tutta sulla
nostra sostanza
antropologica; il cuore è certamente una delle metafore più archetipiche, cioè fa parte
dell'alfabeto culturale con cui noi parliamo di noi stessi. È concretamente l'organo in cui
l'emozione ha sede, dentro cui l'emozione diventa fisicità. Il cuore pulsa e il suo stesso ritmo
è modificato dai sentimenti. Se batte più veloce, vuol dire che siamo emozionati; se si
''ferma'', significa che siamo spaventati etc. Diventano letteratura perchè sono inanzitutto
concretamente umane. Goethe parla letteralmente della sistole e della diastole.
L'origine della poesia sta nel canto, l'origine del canto confina con la musica, cioè con tutte
quelle attività che hanno a che fare con il ritmo e il cuore è anche profondamente la sede
del ritmo della vita. L'alito diventa emanazione di vita; è molto importante questa
simbologia perchè è sia religiosa nel cristianesimo, sia più estesamente in questa cultura
romantica.