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GEMMA DOBROWOLSKI - SIMONA CANALE

Lezione 7 - 22.03.2021
Ritornando al discorso della lezione precedente, possiamo dire che Goethe fa una sorta di
sperimentazione, cerca una strada nuova in chiave sturmeriana, “tempestosa”, nel timbro anche
di una programmatica volontà d'innovazione e di sovvertimento dei canoni della sua
contemporaneità.

(in questa lezione ci occuperemo di leggere alcune delle teorizzazioni importanti di quest’epoca, il tentativo
di definire questa radicale trasformazione che la modernità comporta sul piano della riflessione poetica)

L’arco cronologico dei tre testi analizzati è estremamente breve. Questo giovane artista avrà
uno sviluppo tumultuoso, per quanto riguarda la passione che riversa nella sua vocazione
artistica ma anche una rapida evoluzione in termini di ricerca stilistica e di progressive
sperimentazioni che lo portano a coniare un proprio stile; anche nello scrivere un romanzo in cui
incontriamo una forte energia ribelle, di rinnovamento, di enfasi nella volontà di rivoluzionare i
codici costituiti: codici consegnati dalla tradizione tardo settecentesca, come ad esempio il
Rococò, una sorta di manierismo, abbellimento. Con elementi estetici puramente ornamentali,
cantava la natura in una posizione subordinata e rivolta alla celebrazione del creato. Ciò
significava riconoscere la presenza di un io superiore, maestà del divino. Si verifica così
un’accettazione dell’ordine costituito. In Ganymed, nel giro di questi pochissimi anni, Goethe è
già sospinto sulla soglia, cantando sempre lo stesso tema che è un leitmotiv, un topos, quello del
cantare alla natura, intrinseco alla cultura poetica occidentale che inizia con la tradizione antica
greca e attraversa i secoli sino al tardo Settecento.
Vediamo però che in questa cornice, Goethe attua una potente inversione prospettica perché si
proietta in questo protagonismo quasi violento, esuberante anche prepotente nella misura in cui
rivendica questa speciale corrispondenza con la natura e in questa invocazione del mondo
naturale, c’è in realtà una sorta di appropriazione molto energica della forza del cosmo e in un
certo senso anche la costruzione architettonica di una circolarità, di una simmetria, di una
compenetrazione con una forte cifra erotica, questo richiamo forte alla matrice tendenzialmente
amorale dei sensi, un modo di uscire da un governo religioso, morale, repressivo. C’è tutta una
volontà giovanile, l’impeto, il furore, la foga che in maniera teorica si possono associare allo
Sturm und Drang.
Questo sovvertimento prospettico è in un certo senso anche la rivendicazione forte, audace del
protagonismo dell’io che diventa misura di tutte le cose e rivendica a sé una nuova modalità
dell’esperienza del mondo e non riconosce autorità sovrastanti che sia il divino o sia l’Ancien
Regime, l’autorità feudale contro quella soggettività borghese che non vuole riconoscere vincoli
ma vuole affermarsi nella propria incondizionata pienezza con una voglia di emanciparsi che fa
perno sulla centralità dell’individuo e sulle sue singole libertà. Questa stessa scia ci conduce
attraverso la traccia del Maggio si nota che anche Werther è lo stesso tipo di spirito, impeto
sturmeriano che celebra questo momento di gaudio imperturbato almeno nella prima fase di
questa sua esperienza trasposta nel romanzo epistolare, in cui egli racconta la sua vicenda di
giovane ragazzo che è andato in campagna perché è saturo dell’atmosfera artificiale della città e
cerca una comunione con la natura.
Natura vuol dire antagonismo rispetto a un certo modello di società, recupero di autenticità,
genialità nella misura in cui genio è sinonimo di artista, quindi natura come squisita
interlocutrice dell’individuo geniale, creativo e creatore, rivendica a se la stessa capacità creativa
della autorità divina. Forte pathos in questa rivendicazione e anche per certi versi un gesto di
sfida che in controluce ci fa notare la traccia di questa atmosfera complessiva, di questa
generazione simbolo di un’epoca che sta cambiando, in cui di li a poco siamo vicini alle
temperie che preparano il furore della classe borghese.

Le date sono importanti perché noi possiamo riconoscere che questa civiltà, questa società tardo
settecentesca tedesca, sta vivendo una spinta molto forte che fa perno sull’io che è l’epicentro di
un nuovo sentire. C’è l’influsso della forte matrice illuministica della rivendicazione della
ragione come perno di questa messa in discussione delle autorità precostituite.
Immanuel Kant suggella il manifesto dell’Illuminismo tedesco che sancisce il fondamento
dell’emancipazione dell’individuo, forte spinta dell’illuminismo come presa di possesso della
consapevolezza delle facoltà che risiedono in ogni individuo. Rivendicare, così, il diritto alla
felicità che in questo processo di realizzazione risiede in ciascun individuo: eguaglianza,
potenziale democrazia, per la quale ci vorrà l’intero ottocento fino al novecento per consolidare i
presupposti estremamente rivoluzionari. Lo strumento della ragione porta a un’emancipazione
democratica, come facoltà, dono, talento presente in ogni individuo.
Romanticismo e Illuminismo sono elementi complementari di un discorso congiunto, nel
tentativo di pervenire a questa nuova definizione del soggetto, che non vuole essere
predeterminato dalla genealogia/discendenza.
Il Manifesto dell’Illuminismo di Kant viene percepito come una cesura, un attacco alle autorità
religiose. L’Illuminismo è la legittimazione della capacità del singolo di autodeterminarsi.
Il sistema feudale è fondato sula legittimazione religiosa, congiunzione tra il potere spirituale e
temporale. Dal punto di vista dell’organizzazione sociale è fondata sul possesso dei servi della
gleba: il signore possiede la vita intera, la proprietà fisica dei corpi. Questa situazione, che in
Germania faticherà a essere rivoluzionata, comincia a essere messa in discussione da tutta questa
congiunta coalizione di spiriti che si sta muovendo in Europa dando voce e figura (iniziano a
viaggiare nella mente dei contemporanei) dal punto di vista dell’immaginario letterario in nuove
storie, come quella di Werther, vittima eroe di una coercizione dei suoi sentimenti che da parte
di Goethe sembra una denuncia della strettoia angusta del sistema di predeterminazione sancito
dal potere aristocratico e feudale.
Anche il Werther come altre opere del tardo settecento, può essere letto da tanti punti di vista:
la tragedia del cuore che pulsa (come elemento del microcosmo che rimanda al macrocosmo); la
semplice giornata trascorsa in uno stato di letizia appagante è di per sé una sorta di guanto di
sfida lanciato a una sensibilità del tempo che non riconosce al singolo il diritto alla
determinazione dei propri sentimenti anzi ne inquadra la morale in schemi molto rigidi.

De ‘I dolori del giovane Werther’ inquadreremo il legame con la natura come esperienza
letteraria. Dalla felicità di queste eruttiva fantasia di passione e compenetrazione con la natura di
cui anche l’amata, Lotte, ne farà parte, ha un rovesciamento progressivo e crepuscolare,
malinconico nel segno della perdita di un amore che ha tutte le caratteristiche dell’impossibilità
dunque dell’infelicità.
Quando Werther si suiciderà e verrà trovato il suo cadavere, ci sarà un non casuale libricino sul
suo comodino, l’ Emilia Galotti di Lessing. Questo riferimento è importante, non tanto come
erudizione intertestuale ma proprio come rimando a questa compenetrazione tra componenti
illuministiche e romantiche di questa complessiva soggettività moderna borghese che va
delineandosi.
La “tragedia” raccontata nell’opera di Lessing tratta di una fanciulla, Emilia, la quale è una
sorta di promessa sposa secondo canoni di moralità e virtù, come lo è la Lucia de
I promessi sposi di Manzoni. Il principe di Gonzaga si innamora di lei e attenta alla sua virtù.
Emilia, nella sua enfasi, anche nella sua bontà, nell’effusione del suo sentimento e del pathos di
questa tragedia, rivendica la propria innocenza e si dichiara pronta a morire pur di salvare la sua
virtù, dove per quest’ultima si intende verginità. Ma prima ancora che lei possa in questa quasi
esasperazione sentimentale che la conduce a immaginare a vagheggiare la morte pur di potersi
sottrarre alla seduzione in qualche modo prepotente di questo duca, è il padre che mette mano al
pugnale e la uccide. L’essere doppiamente vittima caratterizza il destino di Emilia, questo
venire trucidata per venire salvata quando in realtà è vittima sia del padre che dell’altro
pretendente. Ed è in questa scia che è evidente che Werther riconosca un moto di empatia: sta
sul suo comodino perché Werther si identifica con questa vittima, vittima di una scala di valori
decisa da altri che infliggono a Emilia la tragedia del sacrificio.
Lessing è appunto autore illuminista, promotore in modo militante della questione della
necessità della tolleranza religiosa, dei valori di emancipazione dell’Illuminismo intesi come
rispetto della libertà e anzi sostegno alla libertà della legittima aspirazione
all’autodeterminazione. In questo connubio dal punto di vista delle “etichette letterarie” ma
anche delle effettive predilezioni stilistiche e tematiche da parte di questi autori vediamo un
congiungimento tra il Goethe sturmeriano e il Lessing illuminista. Il punto di contatto è questa
comune sensibilità nei confronti della virtù e libertà confiscata, dell’impossibilità di esprimere in
modo libero i propri sentimenti.

La gerarchia dei generi poneva al di sopra di tutto la tragedia e la commedia in un gradino più in
basso. La tragedia è il genere per eccellenza della ambientazione mitologica e soprattutto il
genere fruito tradizionalmente dalla aristocrazia. Con questo snodo degli ultimi decenni del
Settecento, inizia a cambiare la vocazione del teatro, il quale cerca di essere strumento di
comunicazione con un pubblico nuovo, borghese che cerca in questa nuova letteratura
un’occasione di riconoscimento del proprio immaginario, dei propri conflitti. Dunque, Lessing è
colui che opera una sorta di commissione ibrida tra la tragedia e il dramma nel senso proprio di
una progressiva sostituzione di vicende che non hanno più per protagonisti gli dei, la mitologia
ma al contrario vicende con personaggi borghesi riconducibili a una riconoscibile
contemporaneità, accaduta già in Inghilterra.Viene rappresentato in scena il dramma
dell’umanità che lo osserva. Abbiamo spesso protagoniste, eroine femminili, protagoniste di
questo cambiamento, donne rinnovate anche nel ruolo di vittime, segnate da un principio di
autodeterminazione e quindi anche di aspirazione a una felicità e a una propria indipendenza che
fa parte di uno scenario movimentato.
Questo incontro intertestuale tra Werther e l’Emilia Galotti rappresenta un incontro in cui le
teorizzazioni dell’Illuminismo e del sentimento, più in generale della poesia romantica,
coesistono.

Abbiamo tre autori, tre prospettive da analizzare:


- Immanuel Kant con “Cos’è l’illuminismo?”, un intervento che Kant destina a una rivista
- Friedrich Schiller con la poesia ingenua e sentimentale. Schiller mostra perché è importante
nell’economia dell’immaginario sturmeriano e in particolare nel Goethe di questa fase, la
figura di Omero, a quale tipo di antichità fa capo questa nostalgia del tempo andato,
vagheggiamento dell’età dell’oro, idea che la modernità ha perso l’armonia che era propria
di una civiltà più antica. L’idea di Grecia inizia a frastagliarsi, non più una Grecia evocata
come misura di classicità, quindi idea di perfezione, armonica simmetria delle forme,
modello da ammirare e a cui bisogna chinarsi, come funziona con la tragedia del
classicismo francese e del Rinascimento in cui le opere teatrali dovevano rispettare la
poetica di Aristotele, prescrivendo che chiunque facesse teatro doveva rispettare le unità di
tempo, di luogo e di azione e poi configurare l’opera in 5 atti. L’Emilia Galotti obbedisce
ancora a questi parametri che vengono considerati assoluti
- Schlegel con una rivista molto importante sul piano della formulazione teorica e
programmatica - cosa vuole essere la poesia romantica. Nella avvicendarsi terminologico
riconosciamo una disposizione di accenti (come l’aggettivo ingenuo, sentimentale). Si
esaltano così elementi in contrapposizione con la tradizione e nel contempo una volontà di
fondazione di una misura inedita di un canone che si contrappone a quello convenzionale,
propone quindi un rovesciamento, una sovversione, una rivoluzione.

Dal punto di vista cronologico dobbiamo pensare che ci troviamo 10 anni dopo la stesura del
Werther e per questo motivo che lo si tende spesso a considerare preromantico. Il romantico
vero e proprio viene dopo, quando ci sarà una sorta di consolidamento di una serie di premesse
che faranno capo a una serie di manifesti. Nella gioventù sturmeriana, Goethe già era
consapevolmente proiettato, insieme ad altri giovani intellettuali, filosofi e scrittori, sulla
filosofia della natura, quale la posizione della nuova soggettività che viene chiamata proprio IO.
Io come nuovo arbitro di questo mondo filosofico che è principalmente identificato con la
natura. La natura diventa dialetticamente il polo opposto all’Io, una natura definita come nonio.

[Volevo chiederle se potesse ripetere la differenza tra Erlebnis ed Erfahrung]


Erlebnis ed Erfahrung in tedesco pongono una differenziazione che la nostra lingua non
consente, se non con attributi successivi, di caratterizzare cioè un’esperienza. L’esperienza è
tutto per noi, tanto quella che si sedimenta e diventa memoria e apprendimento, quanto
l’estemporanea magia di un momento che in qualche modo, anche nella sua dimensione
effimera, si spegne, non lascia una traccia. L’Erfahrung tende a essere il tipo di esperienza
che matura, in un certo senso, in un tempo maggiore, contiene etimologicamente l’idea del
viaggio e ha a che fare con questo sedimento consapevole che ci struttura anche sulla base di
quello che abbiamo vissuto, l’Erlebnis invece è qualcosa di più estemporaneo, più legato alla
percezione sensoriale, tendenzialmente è un qualcosa di vissuto anche consumato che al suo
termine non necessariamente lascia tracce e memoria. L’Erfahrung ci trasforma, l’Erlebnis
ci accompagna nello scorrere dei giorni ma non lascia traccia della sua presenza.
[Tornando al discorso del dramma e della tragedia, possiamo dire che la tragedia era
quella più antica, seguita poi da questa rivisitazione attraverso la pubblicazione di
nuove opere. E’ corretto dire che la pubblicazione di queste opere segna il passaggio
dalla tragedia greca alla nuova concezione di tragedia?]
No. L’aristocrazia andava a teatro per vedere a tragedia non la commedia dell’arte o la
tragedia popolare, che erano semmai generi destinati a un altro tipo di pubblico. Il teatro era
un teatro di corte, e in questo teatro erano presenti degli scrittori che su committenza
scrivevano soggetti che venivano poi rappresentato e che tendenzialmente erano soggetti
mitologici destinati alla fruizione per un pubblico aristocratico. Tutti e due sono fenomeni
complementari perché sono l’espressione del mutamento sociale che si sta attuando e che
comporta naturalmente una mutazione dei fruitori di questo nuovo teatro che non è più un
teatro soltanto destinato all’aristocrazia ma sta diventando un teatro borghese che si
preoccupa di raccontare storie nuove, vicende che non sono più sancite da un richiamo a una
mitologia astratta ma sono, anche se ancora lontane nel tempo, vicende reali e vicine ai
sentimenti del pubblico borghese.
Cos’è la AufklÄrung? Questo è un contributo su una rivista nella quale Kant viene chiamato
in causa per spiegare che cosa sia l’illuminismo:
“AUFKLÄRUNG ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten
Unmündigkeit. Unmündigkeit ist das Unvermögen, sich seines Verstandes ohne Leitung eines
anderen zu bedienen. Selbstverschuldet ist diese Unmündigkeit, wenn die Ursache derselben
nicht am Mangel des Verstandes, sondern der Entschließung und des Mutes liegt, sich seiner
ohne Leitung eines andern zu bedienen. Sapere aude! Habe Mut, dich deines eigenen
Verstandes zu bedienen! ist also der Wahlspruch der Aufklärung.“
L’illuminismo, che in tedesco dal un punto di vista etimologico è un rischiararsi, una sorta di
chiarificazione, è la fuoriuscita dell’essere umano, dell’umanità nel seno ampio del termine,
da questo stato di minorità imputabile a se stesso, poiché se l’uomo si trova in uno stato di
minorità non ha che da prendersela con se stesso, e questo principio di emancipazione
suggella questo momento in cui l’uomo fuoriesce da questa situazione, questo stato di
minorità l’incapacità di servirsi dell’intelletto senza il controllo di qualcun altro. La
Unmündigkeit è questa sorta di delega, l’incapacità di agire con il proprio intelletto di
servirsi dell’organo di emancipazione senza il controllo di qualcun altro. La Unmündigkeit è
una sorta di delega, l’incapacità di agire con il proprio intelletto e di servirsene senza la
capacità di delegare a qualcun altro ed è da imputare solo a se stessi, nel caso in cui la causa
di questa minorità non risiede nella penuria di intelletto ma nella penuria di capacità di
risoluzione e di coraggio e dunque ci si relega in una posizione d'incapacità. Questa
condizione Kant la stacca completamente da una condizione anagrafica, e la rende simbolica,
poiché per lui l’illuminismo è il momento in cui l’uomo fuoriesce da questa condizione
artificiosa in cui non si è arbitri del proprio destino, non si è maggiorenni nel senso simbolico
del governare la propria vita utilizzando il proprio intelletto anziché quello altrui. Il motto
della AufklÄrung è dunque: abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto. Questo
motto non è solo un imperativo ma anche uno sprone e anche una sorta di critica anche non
troppo velata.
“Faulheit und Feigheit sind die Ursachen, warum ein so großer Teil der Menschen, nachdem
sie die Natur längst von fremder Leitung freigesprochen (naturaliter maiorennes), dennoch
gerne zeitlebens unmündig bleiben;”
Dunque i difetti e le cause che determinano questa condizione a cui illuminismo si oppone
sono: Faulheit la pigrizia e Feigheit la viltà, ecco dove risiede la colpa del singolo soggetto
che anziché impadronirsi con coraggio della responsabilità del proprio intelletto.
“nachdem sie die Natur längst von fremder Leitung freigesprochen”
L’uomo tende ad attardarsi in una condizione di minorità a causa di pigrizia e vigliaccheria
nonostante la natura lo abbia già da tempo liberato dall’autorevolezza di qualcun altro. Nel
momento in cui rapporto tra uomo e natura è ormai moderno, la natura non ha più il
sopravvento sull’uomo ed egli è libero di autodeterminarsi, purtroppo persiste questa
situazione di minorità che però è imputabile ai singoli individui che delegano per una sorta di
passiva assuefazione. E’ proprio in questo caso che la AufklÄrung interviene ad essere un
moto di emancipazione ma soprattutto di esortazione ad opporsi ad autorità determinate
dall’esterno, estranee alla logica soggettiva dell’io.
(naturaliter maiorennes) maggiorenni per natura. Si può essere giuridicamente maggiorenni
e persistere comunque in una condizione di minorità.
Secondo Kant la permanenza, nonostante la maggiore età, in uno stato di minorità, è
imputabile alla colpa personale di accettare lo status quo e di non rivendicare la titolarità
piena dei propri sentimenti e del proprio intelletto.
C’è da una parte un impulso di emancipazione e dall’altra una sorta di tribunale implicito, in
cui c'è da dare anche conto del proprio agire poiché l’umanità non può essere liberata se non
attraverso una propria volontà, altrimenti permane una condizione di minorità. L’unico
strumento in grado di liberare l’umanità è proprio il sapere, utilizzato come una vera e propria
arma con il potere di contrastare il buio e l’oscurantismo.
“dennoch gerne zeitlebens unmündig bleiben;und warum es anderen so leicht wird, sich zu
deren Vormündern aufzuwerfen. Es ist so bequem, unmündig zu sein. Habe ich ein Buch, das
für mich Verstand hat, einen Seelsorger, der für mich Gewissen hat, einen Arzt, der für mich
die Diät beurteilt usw., so brauche ich mich ja nicht selbst zu bemühen. Ich habe nicht nötig
zu denken, wenn ich nur bezahlen kann; andere werden das verdrießliche Geschäft schon für
mich übernehmen.”
La dottrina Kantiana contiene una sorta di ammaestramento morale poiché pone anche
l’accento sulla potenzialità ma anche sul dovere etico di farsi carico del proprio Verstand e
farne uno strumento che sia capace di invertire le relazioni gerarchiche. Comunque la pigrizia
e la viltà sono le cause per le quali una grande parte dell’umanità, malgrado l’emancipazione
dalla natura, tende a permanere in condizione di minorità e, contemporaneamente, sviluppa
questa “necessità” di delegare a coloro che hanno la potestà. Questa condizione si crea perché
in realtà è comodo essere rintanati in questa condizione di assuefazione passiva. Gli esempi
che Kant fornisce a sostegno di questa affermazione sono quotidiani: se ho un libro che pensa
per me, un pastore di anime che ha coscienza al mio posto, se ho un medico che mi prescrive
una dieta non ho più bisogno di darmi pena e adoperarmi non ho bisogno di pensare se mi
basta pagare qualcuno. Questa galleria di esempi mostra l’intenzione di Kant di radicare
l’esplicitazione del suo manifesto in una teoria non elitaria e accessibile a tutti, una
rivoluzionaria questa “predicazione filosofica” che però non mira ad un convincimento o una
suggestione che sostituisce un autorità con un’altra, ma un’esortazione, affinché il soggetto,
nel pieno possesso delle proprie facoltà, erompa. L’immaginario artistico e poetico risponde a
questa nuova declinazione di una personalità che si sta formando e che sta reclamando il suo
posto nel mondo che si confronta con il mondo naturale.
Kant parla della natura come di un universo da cui l’uomo si è emancipato, è proprio questa
una delle differenze tra la cultura romantica e quella illuminista, poiché quella illuminista
crede profondamente nel progresso e nel dominio della natura e della propria
autodeterminazione dal momento in cui la natura non ha più il dominio, ma nel romanticismo
la natura è un elemento dentro il quale il soggetto sturmeriano rivendica un’appartenenza
naturale e originaria, autentica. Con questa oscillazione di propensioni teoriche vediamo
affacciarsi all’orizzonte anche il binomio “ingenuo e sentimentale”, perché dal punto di vista
della sensibilità romantica, anch’essa una sensibilità di autodeterminazione, c’è però anche la
natura, considerata come elemento da conoscere e da dominare, una visione appartenente
anche alla dottrina illuminista per cui adesso è l’uomo ad essere arbitro della natura, e questo
è identificato come progresso e avanzamento supportato e realizzato grazie alla scienza e alla
tecnica. Al contrario però la romanticità di questo scenario vede nel distacco dalla natura il
primo grande peccato originale che condanna la cultura romantica a quella condizione
definita sentimentale, quindi opposta, nella terminologia si Schiller, a questa connotazione
naïf ed ingenua. Nella lettura di Schiller il poeta moderno è un poeta consapevole di una
condizione irrimediabile di perdita. Da questo punto di vista ci sono due letture simili ma di
segno opposto, nella lettura dell’immaginario romantico c’è da riappropriarsi di una natura
sottratta dalla evoluzione raziocinante della società moderna che ha trovato culmine della
rivoluzione tecnica industriale di questa fase, e l’uomo deve riappropriarsi di un autenticità
smarrita.
In questa fase Goethe, nei suoi inni ispirati a personaggi mitologici, mostra l’esuberanza
dell’io che si riappropria di un rapporto diretto con la natura senza la mediazione di un
autorità, che in questo caso è il divino, creando un’interazione a tu per tu con la natura (in
particolare in Ganymed) dove non c’è gerarchia ma complementare comunione. Tuttavia da
una parte Goethe ripete il gesto del costume di derivazione classicista aristocratica, e
dall’altra il richiamo alla tradizione omerica è un richiamo ad uno stato antecedente della
storia che interessa la cultura sturmeriana, cioè un ideale età dell’oro, un ideale passato
anteriore alla storiografia letteraria dell’antichità classica, dove la cultura sturmeriana
immagina un legame inscindibile tra poeta e natura nella sua ingenuità, un’ingenuità che la
poesia moderna dal punto di vista sturmeriano ha tragicamente smarrito. La poesia moderna è
consapevolezza di una perdita, di una cesura e di una necessaria separazione dallo stato di
grazia che conoscevano gli antichi per un intrinseca vocazione, infatti i poeti antichi non
cercavano la natura, erano natura, idealmente come lo stesso Werther, che stendendosi sul
prato in questa meravigliosa giornata di Maggio non canta la bellezza della natura ma la vive
in totale immersione. Si tratta di una sovrapposizione tra la dimensione ingenua e una
dimensione sentimentale. Werther si immerge in questa ideale condizione di appartenenza e
non può uscirne per disegnare natura, lui ha bisogno di essere natura. Ma si tratta della
stilizzazione che ha a che fare con un processo che fa parte di questa dicotomia, il poeta
antico non vive nella cultura ma nella natura, in uno stato di ingenua adesione allo stato
circostante ed in questa giurisdizione simbolica di questo stato di grazia perduto dalla
prospettiva moderna del tardo settecento i poeti sturmeriani di cui fanno emblema la figura di
Omero. Omero espressione di un’anima popolare, naturale e non codificata dalla trasmissione
scritta tramandata, classica e veicolata da un certo costrutto di civiltà, anche egli collocato tra
la storia e il mito, cesura di questa possibilità\impossibilità che il poeta segue a ritroso:
tornare ad essere natura, struggimento, nostalgia e malinconia, la consapevolezza di un
infanzia dell’umanità di cui Omero viene investito come emblema, e questa proiezione in
avanti del poeta moderno romantico che, consapevole di quella condizione originaria, si
proietta in avanti per ripristinarla in questo slancio di ricerca inesauribile che trasferisce
l’accento del suo lavoro sul percorso, perché il traguardo è in realtà di per sé irraggiungibile.

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