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Nel teatro spagnolo del Siglo de Oro, e in particolare in quello di Lope de Vega e
Calderón de la Barca, il dramma per lo più non è costruito ed orientato in base al
criterio di una progressiva intensità psicologica, ma è guidato piuttosto dall’isola-
mento di alcuni momenti topici che simboleggiano e declinano i motivi fondamen-
tali dell’opera, i valori “forti” del testo. In questo senso, La vida es sueño costituisce
senza dubbio il caso più strutturato dell’esemplarità costitutiva di alcune scene, del-
l’icasticità di alcuni “momenti” della peripezia, che fanno dei dialoghi tra i perso-
naggi e soprattutto dei monologhi dei protagonisti il luogo privilegiato della verifica
del quadro assiologico e del sistema etico e filosofico che di questi ultimi sorregge
la vita sulla scena – del teatro e del mondo – tanto quanto il significato profondo
dell’opera. Il dramma calderoniano, per altro, risulta probabilmente il modello più
compiuto di questa attitudine semiotica e scenica, con cui l’autore mette in piedi un
orizzonte spirituale, con cui disegna un peculiare percorso di senso; e a ciò si
aggiunga, come ha sottolineato Ciriaco Morón, forse il più attento studioso dell’ope-
ra negli anni a noi più vicini, che tale costruzione, tale progettazione strutturale e
morale si fonda il più delle volte sull’incontro-scontro tra il protagonista e gli altri
personaggi, che in un retablo predeterminato dall’autore tende comunque a riassu-
mere il portato spirituale, lo status contingente e quello atemporale dell’esistenza di
questi ultimi, nonché del dramma nella sua interezza:
Tanto en Lope como en Calderón, la acción suele introducirse a base de varios grupos
distintos de personajes cuyo encuentro produce el conflicto. En la segunda época sencilla-
*
Il lavoro è frutto di un progetto comune elaborato dagli autori, ma la parte 1 si deve a
Matteo Lefèvre e la parte 2 a Giorgia Proietti Pannunzi.
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Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
mente no se produce el encuentro sino solamente el cuadro. Para entender nuestro clásico
debemos abandonar la idea de intensidad progresiva en la estructura y sustituirla por la
estructura del retablo: de la yuxtaposición de acciones parciales que se esclarecen en el todo1.
Nel caso della “storia” di Segismundo, ad esempio, fin dalla prima «jornada» e
dai primi versi del testo, il sistema di valori che l’opera porta con sé si costruisce
in nome della dialettica tra prigionia – del corpo e dello spirito, nella sua sostanza
scenica e oggettiva e nella sua dimensione metaforica – e libertà dei personaggi –
intesa nella sua accezione materiale così come in quella metempirica –, i quali
compiono il difficile cammino dalla violenza iniziale, di cui l’ippogrifo dell’inci-
pit è simbolo preminente e archetipico, alla razionalità e alla prudenza finale:
E proprio il rapporto tra passione e ragione, tra violenza – intesa come con-
dizione e affermazione di un principio antinaturale – e prudenza – vista come
ricomposizione razionale e presupposto di stabilità e moralità –, rientrano piena-
mente nell’universo etico e filosofico del Barocco spagnolo ed europeo. Quella
proposta dalla Vida es sueño è pertanto una casistica, e un’esigenza, particolare
ed universale insieme, una via all’indagine dei limiti e delle potenzialità del
libero arbitrio in anni in cui sulla scena del Vecchio Continente si confrontano,
nel dibattito sull’uomo e sul suo destino terreno ed ultraterreno, da un lato l’an-
tico regime della teleologia religiosa e politica, dall’altro i nuovi argomenti e
l’incipiente stagione della libertà di coscienza. Tra Cinque e Seicento, di fatto, si
definisce il discorso sulla libertà così come essa poteva essere intesa in
un’Europa che appunto tra i due secoli, tra riforme, controriforme e guerre di
religione, cominciava comunque a compiere, con modi e tempi diversi, i primi
passi di un itinerario verso una visione del libero arbitrio sempre più moderna e
1
C. M. ARROYO, Calderón. Pensamiento y teatro, Santander, Sociedad Menéndez
Pelayo, 1982, p. 21. E inoltre, a proposito del dramma in generale e del personaggio di
Segismundo in particolare, precisa ancora Morón: «[…] el teatro asumió la representación no
de acciones, como sugería la Poética de Aristóteles, sino de vidas totales: La vida es sueño es
la historia de un hombre en tres edades: nacimiento y estado de naturaleza (primer acto),
juventud pasional (segundo acto), madurez discreta y prudente (acto final)», ivi, pp. 20-21.
2
Ivi, p. 73.
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sempre meno vincolata alla Scolastica. È una questione che coinvolge sia il
fronte privato, personale che quello pubblico dell’uomo, sia il piano morale e
religioso che quello civile; da un discorso puramente soggettivo, dovuto all’in-
dipendenza e all’insofferenza del singolo, il problema della libertà inizia a farsi
urgente per l’intera società, e ciò tanto nei confronti dello status quo teologico
quanto di quello politico:
Quand bien même restreinte au domaine étroit de la subjectivité, cette liberté est originel-
lement grosse d’un élan irrésistible vers la conquête de sphères de plus en plus larges. A partir
d’elle une impulsion s’exerce spontanément dans le sens de la liberté extérieure. La liberté de
culte, puis la liberté civile en découlent à plus ou moins longue échéance. […] La distinction
entre le privé et le public, la dissociation corollaire entre le sacré et le profane, l’Eglise et
l’Etat, sont contenues en germe dans la révolution en apparence minuscule, qui consiste à
proclamer les droits de la libre conscience face à la toute-puissance de l’institution établie,
qu’elle soit ecclésiastique ou laïque3.
L’aspetto peculiare della conflittualità barocca, infatti, non è tanto il contrasto tra soggetti
diversi quanto invece la presenza di atteggiamenti apparentemente incompatibili o evidente-
mente contraddittori all’interno dello stesso soggetto. La convivenza di tradizionalismo e
ricerca del nuovo, di conservatorismo e ribellione, di amore della verità e culto della dissimu-
lazione, di saggezza e follia, di sensualità e misticismo, di superstizione e razionalità, di
austerità e «consumismo», dell’affermazione del diritto naturale e dell’esaltazione del potere
assoluto, è fenomeno di cui si possono trovare esempi innumerrevoli nella cultura e nella
realtà del mondo barocco4.
3
H. R. GUGGISBERG – F. LESTRINGANT – J.-C. MARGOLIN, Préface, in La liberté de con-
science (XVI-XVII siècles). Actes du Colloque de Mulhouse et Bâle (1989), Genève, Librairie
Droz, 1991, p. 10.
4
R. VILLARI, Introduzione, in Id., a cura di, L’uomo barocco, Roma-Bari, Laterza, 1991,
pp. IX-X.
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[…] mentre si generalizza quella metafora di «confusione», avulsa da ogni ricordo lette-
rario, si fa strada un uso ben diverso, che è attento alle implicazioni del mito, e simboleggia,
nell’idea dell’edificio tortuoso e insondabile, una condizione umana di cecità, di perdita della
ragione e del buon governo della vita, di ricerca affannosa d’una smarrita conoscenza. Qui è
il suo incontro coll’idea cristiana del disordine della coscienza fuori della fede, ed è a questa
tradizione che Calderón si riallaccia nella sua allegoria: lo capiamo dal rapporto che egli isti-
tuisce fra l’immagine e il suo contesto5.
Hipógrifo violento,
que corriste parejas con el viento,
¿ dónde, rayo sin llama,
pájaro sin matiz, pez sin escama,
y bruto sin instinto
natural, al confuso laberinto
destas desnudas peñas
te desbocas, arrastras y despeñas?
5
C. SAMONÀ, Ippogrifo violento. Studi su Calderón, Lope e Tirso, Milano, Garzanti,
1990, p. 81.
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6
Ivi, p. 82.
7
Ha scritto ancora Samonà, «il labirinto della Vida es sueño è immagine di confusione
nell’ambito di un chiaro finalismo cristiano; perciò si avvia al proprio scioglimento nella con-
quista della virtù – o di una libertà che è possesso della virtù – e nella prospettiva di valori
oltremondani», ivi, p. 107.
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della vita come sogno, che senza dubbio sottende a tutta l’opera, nel capolavoro cal-
deroniano è possibile rinvenire tanto un «sentido teológico» quanto uno morale e
politico. Nel primo caso, tutto è giocato sul problema della predestinazione e del
libero arbitrio: «se cumple la profecía fundada en las estrellas, pero con la coopera-
ción culpable de quien pretendía evitar su cumplimiento. En esa sutil dramatización
de las tesis escolásticas brilla la ironía calderoniana»8. Ma accanto all’ermeneuti-
ca teologica e cristiana, è poi possibile individuare anche un percorso di senso e
un’interpretazione legati all’etica dell’uomo:
En el breve marco de una comedia, Calderón resume la comedia de la vida humana: naci-
miento al salir Segismundo de la torre, juventud pasional en palacio, lucha por la conversión
en la reflexión sobre el sueño y conversión final cuando vence a la lascivia en la persona de
Rosaura y se postra ante su padre después de la batalla9.
Infine, secondo un costume che ricorre di frequente nel teatro del Seicento,
sopra e sotto la superficie del dramma umano si delinea anche un profondo mes-
saggio ideologico, per cui, al di là della dialettica “spirituale” che si instaura tra
le sofferenze personali e le ingiustizie inflitte e patite dai personaggi, «la obra
plantea un problema de teoría política: tiranía de un rey contra su hijo y su pue-
blo por deseo de hacer el bien; reacción frente a la tiranía del rey bueno, licitud
del levantamiento contra ese tipo de tirano y conducta final de Segismundo con
el soldado sedicioso»10.
8
ARROYO, Calderón…, cit., p. 80.
9
Ibidem.
10
Ibidem. In generale, comunque, occorre rilevare che più che un discorso politico nella
Vida es sueño sembra prevalere la riflessione sulla condizione umana dal punto di vista etico.
Una delle caratteristiche principali e ineludibili della figura di Segismundo è infatti la com-
presenza dei due stati di «hombre» e «fiera», in pratica «arte», intesa come prudentia, e
«natura», intesa qui come istinto e brutalità, mancanza di razionalità ed “educazione civica”.
Si legga ancora quanto sostenuto da Ciriaco Morón: «Las contradicciones de Segismundo son
reales, pero no podemos entenderlas como dos estadios opuestos en su carrera. Cuando apare-
ce como «fiera» en la cueva, es un príncipe magnánimo, dotado de alta inteligencia natural,
capaz de estudiar política en la convivencia de los animales y descubrir al Creador en el
orden y belleza; pero es naturaleza sin arte, príncipe sin educar; la falta de educación le hace
fiera en el sentido más técnico, ya que, según los escolásticos, el hombre, animal racional, es
bestia si vive según la inclinación de los sentidos que tiene comunes con los animales y no
según los dictados de la razón y ley. Ese sentido de fiera prerracional es contrario a la zorra
sabia de Machiavelli», ivi, pp. 85-86.
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Cfr. BROMBERT, La prigione romantica, cit., p. 7. Riportiamo le parole dello scrittore
francese: «L’homme n’a pas cessé de se dénaturer / dans le tragique orgueil de condamner
son frère» (V. Hugo, Oeuvres complètes, Paris, Le Club Français du Livre, 1969, vol. X, p.
1718). Inoltre, come ha scritto Brombert nella sua splendida introduzione al volume, che si
intitola emblematicamente La prigione, il sogno, se da una parte il carcere snatura l’uomo,
dall’altra la cattività forzata lo obbliga altresì alla speculazione filosofica e mistica e alla pro-
duzione letteraria ed onirica: la prigione richiama infatti anche l’idea del sogno, forse l’unica
possibilità, l’unica libertà concessa all’uomo all’interno delle pareti che lo contengono. Il pri-
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gioniero in cattività, così come il monaco nella solitudine della sua cella o il poeta chiuso
nella sua stanza, appaiono dunque degli archetipi filosofici e morali, si propongono come
fonti inesauribili ed eterne di sogno e riflessione, una riflessione la cui essenza consiste
nella tensione costante tra oppressione e sogno di libertà, tra fatalità e volontà, tra la
coscienza dei limiti e il desiderio d’infinito. Tra i temi della letteratura carceraria messi in
luce da Brombert, quello della presenza dell’Altro – inteso nell’accezione più ampia possi-
bile, da un interlocutore, il più delle volte una donna, privilegiato a un luogo inaccessibile,
a una condizione personale che si desidera riacquistare poiché negata o che si vuole con-
quistare per la prima volta come atto di libertà ed emancipazione – è un motivo, un’idea e
una possibilità che si affaccia costituzionalmente nella storia e nella coscienza del protago-
nista della Vida es sueño.
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metafórico de esta prisión. Ese símbolo va acompañado de una profecía, una adivinación, un
presagio o un horóscopo12.
[…] la repetición del motivo de Prisión-Horóscopo tuvo una profunda significación emo-
cional e intelectual para Calderón, y que ésta se nos comunica por medio de una forma no
realista porque se universaliza. […] la torre de Segismundo es arquetípica: expresa el concep-
12
A. A. PARKER, La imaginación y el arte de Calderón. Ensayos sobre las comedias,
Madrid, Cátedra, 1991, pp. 47-48. Inoltre, sempre all’interno di una dimensione simbolica,
sul piano strutturale e funzionale, ma anche dal punto di vista scenografico, la presenza della
torre/prigione è rigorosamente simmetrica: essa delimita l’azione scenica ed ideologica della
rappresentazione, comparendo nei luoghi e nei momenti più significativi del dramma: «La
torre significa evidentemente mucho más que un recurso para la presentación de un héroe
misterioso. […] Las imágenes poéticas que la circundan, llamándola cuna y sepulcro del
inquilino, nos alejan de una prisión ordinaria y nos acercan al misterio de la vida y la muerte,
del sino y el destino humano», ivi, p. 123.
13
Ivi, p. 57. Poco più avanti lo stesso autore mette altresì in relazione tale simbolo della
prigione con il peccato originale: «Es un concepto análogo, hasta cierto punto, al concepto
teológico del pecado original. El pecado original, como parte inseparable de la naturaleza
humana, es una imperfección o debilidad de la voluntad, que provoca una tendencia hacia el
mal, de modo que hace que el pecado parezca algo natural sin ser de ningún modo inevitable
o invencible. El símbolo calderoniano de la Prisión no significa una tendencia hacia el mal en
este sentido, sino más bien una propensión bien a sufrir infelicidad, bien a causarla. […]
Calderón lo concibe como un rasgo innato de la vida humana: la humanidad en conjunto está
condenada a una vida de dolor, o es prisionera en la Prisión». Ivi, pp. 57-58.
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to de un encarcelamiento que va más allá del mero castigo por haber infringido una ley social
ordinaria. Comunica la idea y la emoción de la culpa de una forma mucho más profunda de la
que comunica un caso contemplado en la sala de un tribunal14.
14
Ivi, pp. 121-122.
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P. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, ed. de Ciriaco Morón, Madrid, Cátedra,
1994, pp. 90-92. Citiamo sempre da questa edizione. La metrica del passo, dopo l’endecasil-
labo iniziale, è la décima (abba-ac-cddc), che Calderón utilizza spesso nei dolenti monologhi
del testo, anche in ossequio a quanto indicato da Lope nell’Arte nuevo («las décimas son bue-
nas para quejas»).
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ARROYO, Calderón. Pensamiento y teatro, cit., p. 81.
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V. BODINI, Segni e simboli nella “Vida es sueño”, Bari, Adriatica Editrice, 1968, pp.
72-73. L’approccio di Bodini è rigorosamente strutturalista, perciò in parte datato, tuttavia è
impossibile non ricordare e non sottolineare la «selva di strutture, di geometrie, di simboli»
che contraddistingue il linguaggio e in generale il testo calderoniano. Egli, del resto, nel suo
saggio vuole proprio dimostrare come nel dramma: «la semantica si faccia funzione, cioè
autentica struttura finalistica, strappando al puro mondo dei tropi metafore e altri segni poli-
morfi, sagaci, mobilissimi e smascherandone la profonda solidarietà anche là dove si presen-
tano come contraddittori. Si tratta di immagini e di sequenze plurime, e estremamente com-
plesse, di una identificazione emozionale in un oggetto, anzi in una serie di oggetti simbolici
sensibilissimi, che a volte vivono di una propria autosufficienza semantica, a volte invece
subiscono fin le più piccole perturbazioni ambientali, che non possono seguirsi se non attra-
verso la verifica caso per caso dei rapporti, positivi o no, fra simboli e realtà circostanziale»,
ivi, p. 9.
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Tono ansioso e rabbioso, dunque, che si ripete nella décima seguente, quan-
do le domande di Segismundo si susseguono, mentre ricerca angosciato una
ragione per cui, al contrario degli altri esseri e al di là del delitto di nascere, egli
è stato altresì condannato a una vita di prigione e privazione:
18
Ivi, p. 83.
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19
Ibidem.
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ed empio – che ad un uomo sia negata quella libertà, quel «privilegio tan
süave», che Dio ha invece naturaliter concesso al resto del creato. Il tutto con
l’aggravante aristotelico-scolastica che tanto il «cristal», cioè il corso d’acqua,
quanto il «pez», il «bruto» e l’«ave» rappresentano creature di natura inferiore
rispetto all’essere umano.
L’intero affresco iconografico e linguistico tratteggiato dal monologo si
arricchisce per altro non solo degli esseri che simboleggiano gli elementi della
natura, ma soprattutto delle caratteristiche e appunto dei “privilegi” che diffe-
renziano e allontanano questi ultimi dal protagonista; e la distanza, lo scarto
sono marcati proprio sul piano della libertà, come conferma la struttura anafori-
ca dell’explicit delle décimas centrali in cui si articola la riflessione di Segi-
smundo 20:
¿y teniendo yo más alma ¿y yo, con mejor distinto, ¿y yo, con más albedrío, ¿y teniendo yo más vida
tengo menos libertad? tengo menos libertad? tengo menos libertad? tengo menos libertad?
(vv. 131-132) (vv. 141-142) (vv. 151-152) (vv. 161-162)
L’uomo ha per natura «más alma», «más albedrío» e «más vida» di questi
ultimi, eppure egli sente e sa di essere iniquamente meno libero.
Già a partire dal primo esempio tramite il quale il principe percepisce e
lamenta la propria mancanza di libertà, l’ingiustizia da lui sofferta fin dalla
nascita, è proprio il peculiare repertorio terminologico a stabilire i confini lin-
guistici, simbolici ed “ideologici” di tale stato di privazione:
Termini come «alas» e «velocidad», solo per citare i più evidenti, se da una
parte sottolineano la differenza “fisiologica” che intercorre secondo natura tra
20
Sul piano strutturale, in effetti, indipendentemente dal termine di paragone scelto “per
eccesso”, ogni stanza è organizzata in maniera tale da riservare ai primi otto versi la compara-
zione tra l’uomo e i simboli naturali, mentre negli ultimi due si concentra il bilancio di tale
confronto «in termini quantitativi e qualitativi», ivi, p. 86.
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l’uomo e l’uccello, che nasce con l’istinto e la propensione a librarsi per le «eté-
reas salas» del cielo, dall’altra mettono altresì in rilievo la distanza tra il princi-
pe e il volatile sul piano simbolico. Nell’orizzonte della riflessione secentesca
sulla libertà, infatti, come svelano i due versi conclusivi di questa décima, la
possibilità che un essere umano sia meno libero di un animale è immediatamen-
te percepita e rigorosamente canonizzata come un evento contro natura, come
un’ipotesi inaudita, in questo caso una situazione iniqua ed arbitraria. Nel
mondo dei simboli e delle idee del dramma, il ricorso ad immagini ed elementi
linguistici è senz’altro più efficace dell’esposizione filosofica diretta: i versi
appena citati “raccontano” e insieme rappresentano un discorso complesso sulla
tirannia, l’ingiustizia e la libertà che non ha uguali in fatto di sintesi ed efficacia
– si noti, ad esempio, a livello di metafora del rapporto padre-figlio, monarca-
erede, il riferimento all’abbandono della «piedad / del nido» –, ma soprattutto
permettono un’indagine approfondita su come la lingua e il lessico calderoniani
introducano e veicolino il messaggio, l’assiologia che risiede dietro la struttura
del dramma nella sua totalità. Se ci richiamiamo ancora una volta alle parole di
Ciriaco Morón,
la lengua en la obra literaria no transmite solamente ideas, sino que transmite las actitu-
des y sentimientos del hablante y sensaciones de color y sonido: la lengua literaria se caracte-
riza por fundir la idea en emociones y sensaciones. Si ahora comparamos la décima de
Segismundo con nuestra hipotética reflexión sobre la tiranía, en la décima sentimos la queja
de un hombre que puede ser cualquiera que ha llorado la represión y la crueldad a través de la
historia; esa queja está engastada en un lenguaje rítmico (la estrofa llamada décima en la
métrica castellana) y la situación del hombre resalta en la comparación con el ave que corta el
firmamento llenándolo de color. Como epifonema de la emoción y las imágenes surge la pre-
gunta: ¿y teniendo yo más alma / tengo menos libertad? En esta interrogación falta la sensa-
ción pictórica, pero está presente el estímulo de sensación musical: la sonoridad de los ver-
sos, la emoción que expresa seguridad, impotencia y queja, y la idea clarísima de que un
hombre no debe ser privado de su libertad21.
21
MORÓN, Calderón, cit., p. 88.
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Nace el bruto, y con la piel Nace el pez, que no respira, Nace el arroyo, culebra
que dibujan manchas bellas, aborto de ovas y lamas, que entre flores se desata,
apenas signo es de estrellas, y apenas, bajel de escamas, y apenas, sierpe de plata,
gracias al docto pincel, sobre las ondas se mira, entre las flores se quiebra,
cuando atrevida y cruel cuando a todas partes gira, cuando músico celebra
la humana necesidad midiendo la inmensidad de los cielos la piedad,
le enseña a tener crueldad, de tanta capacidad que le dan la majestad
monstruo de su laberinto; como le da el centro frío; del campo abierto a su ida;
¿y yo, con mejor distinto, ¿y yo, con más albedrío, ¿y teniendo yo más vida
tengo menos libertad? tengo menos libertad? tengo menos libertad?
(vv. 133-142) (vv. 143-152) (vv. 153-162)
22
Ivi, p. 125. Tra l’altro, il discorso sulla dimensione linguistica della personalità umana,
si estende dalla lingua in sé alla scrittura letteraria vera e propria: «Esta ocupa el lugar inter-
medio en el hallazgo de la verdad por el hombre: la vida es una comedia; pero en el escenario
se gana o pierde la verdadera vida; la vida es sueño, pero hay sueños que son verdades», ivi,
p. 127.
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L’elemento igneo, unito alla disperazione delle domande ultime del principe
in catene, è espressamente arricchito di senso, dal momento che diviene raffigu-
razione simbolica e chiave interpretativa privilegiata dell’appassionato conflitto
interiore del protagonista: egli paragona se stesso all’«Etna», a un vulcano,
quasi esplodesse da dentro il suo petto tutta la passione («quisiera sacar del
pecho / pedazos de corazón»), tutta la rabies della sua natura ferina e umana
insieme. Il suo è un grido infuocato e irrefrenabile che invoca legge («ley») e
giustizia («justicia»), che pretende ragione e nei versi incalzanti dell’interrogati-
vo conclusivo, con l’allusione a Dio, affronta il dubbio, il buio spirituale, rasen-
ta la bestemmia23. Il fuoco completa dunque l’universo elementale, il quadro
23
A proposito di questo sfogo conclusivo Bodini ha parlato addirittura di un «titanismo»
di Segismundo: «La provocazione di Clotaldo [l’invito a rinchiudersi nel carcere materiale e
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spirituale (vv. 319-329)] ha il potere di rilevare con una perfetta sincronia quella doppia natu-
ra, congiuntamente umana, anzi superumana ed elementare, di Segismundo. La violenza del
suo animo […] scaglia la propria sfida ai cieli in termini per i quali non tardiamo a riconosce-
re in lui quella natura titanica che tutto, le montagne e l’attesa, ci avevano annunziato e prefi-
gurato», BODINI, Segni e simboli…, cit., p. 95. Dopo questo passo, ovviamente, Bodini ricor-
da anche i versi 329-336, dove la dialettica terra-cielo è evidentissima e il paragone mitologi-
co con i giganti allude e invita soprattutto ad un linguaggio e ad un’ermeneutica della ribel-
lione. Sentiamo ancora Bodini: «Lo scontro pietra-cielo raggiunge qui la violenza dell’esplo-
sione. È così forte il contrasto da far quasi sentire il fragore dei cieli infranti in pezzi e scheg-
ge. La forza di queste immagini cosmiche distoglie la nostra attenzione da un antecedente
mitologico qui interamente riassorbito nella vicenda di Segismundo e nella sua biforcazione
segnica: quello dei Giganti e dei Titani. Segismundo, proclamandosi espressamente un gigan-
te, fa scattare in noi un nuovo motivo di solidarietà con la sua ribellione. Si ricorderà che i
Giganti erano mortali, ma feroci e indomabili, e figli della Terra, che li aveva creati per ven-
dicarsi dello sterminio che il Cielo aveva compiuto dei Titani» (p. 96). Lungo questa falsari-
ga, quindi, anche l’aquila del discorso di Clotaldo, che offre al principe la pozione narcotica,
è un simbolo, una variante del titanismo di Segismundo. L’aquila contiene in sé due volti:
quello della ferinità e della superbia e quello della grandezza imperiale, ed entrambe le visio-
ni sono «segni contrari impliciti nella struttura del monarca potenziale» (p. 117). Il protagoni-
sta appare così oggetto di una «duplice zoomorfizzazione»: «da una parte quella, a lui sgradi-
ta, della “fiera” o “nacido entre las fieras” o “vecino de las fieras”, dall’altra quella, a lui
grata, dell’“águila”. La prima attinente alla sua realtà, e al suo duplice carcere di pietra, il car-
cere vero e proprio e il petroso paesaggio di cui è prigioniero, l’altra un modello a cui ade-
guare il suo sogno di altezza e di potere» (ibidem).
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Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
è il più importante e noto tra gli imitatori del coevo teatro spagnolo nell’Italia del ’600: il
capofila di un nutrito gruppo di drammaturghi che si ispirarono, per le loro commedie, a temi
e motivi tratti da opere di Lope de Vega, Calderón de la Barca o Tirso de Molina, quando non
si limitarono a tradurle24.
24
F. ANTONUCCI, Spunti tematici e rielaborazione di modelli spagnoli nel «Don Gastone
di Moncada» di Giacinto Andrea Cicognini, in Tradurre riscrivere mettere in scena, a cura di
M. G. Profeti, Firenze, Alinea, 1996, p. 66. Per un profilo storico e biografico di Andrea
Giacinto Cicognini, cfr. A. LISONI, Gli imitatori del teatro spagnolo in Italia, Parma, Tip.
Ferrari e Pellegrini, 1895, in particolare, si vedano le pp. 13-23; la voce sull’autore, redatta da
M. VIGILANTE, nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXV, Roma, Istituto della Enci-
clopedia italiana, 1981, pp. 428-431; A. M. CRINÒ, Documenti inediti sulla vita e l’opera di
Jacopo e di Giacinto Andrea Cicognini, in «Studi secenteschi», II, 1961, pp. 254-286. Alcune
notizie utili su Andrea Giacinto Cicognini si trovano, inoltre, in M. STERZI, Jacopo Cicognini,
La Spezia, Tipografia di F. Zappa, 1903. Uno studio recente su Cicognini è stato curato da F.
CANCEDDA e S. CASTELLI: Per una bibliografia di Giacinto Andrea Cicognini. Successo tea-
trale e fortuna editoriale di un drammaturgo del Seicento, Firenze, Alinea, 2001. Sulle fonti
spagnole del teatro di Cicognini, v. A. BELLONI, Per la storia del teatro italo-spagnuolo nel
sec. XVII, in «La Biblioteca delle scuole italiane», X, n. 5, 1904, pp. 1-3; n. 11, pp. 1-3; R.
V ERDE , Studi sull’imitazione spagnola nel teatro italiano del ’600: Giacinto Andrea
Cicognini, Catania, Giannotta, 1912; A. CANTELLA, Calderón de la Barca in Italia nel sec.
XVII, Roma, Ausonia, 1923, pp. 33-67.
25
LISONI, Gli imitatori del teatro spagnolo in Italia, cit., p. 23.
140
Lessico e ideologia della prigione
allinearsi, prendendo i soggetti dal teatro spagnolo per adattarli all’indole italia-
na e al gusto dell’epoca. Il pubblico di allora, come ribadisce Lisoni:
s’era man mano venuto entusiasmando per tutto ciò che fosse spettacoloso, straordinario,
inverosimile: la semplice commedia a imitazione classica mancava degli elementi necessari
per avere l’appoggio del popolo: presero quindi facilmente il sopravvento le commedia a imi-
tazione spagnola, la commedia dell’arte, il melodramma. […] Fu allora che cominciarono a
tradursi Lope, Calderón, Moreto, Solís e gli altri grandi comici di Spagna 26.
gli imitatori […] attentissimi agli umori del pubblico, allora diventato particolarmente
indolente, ignoravano o non si curavano affatto dei motivi ispiratori e dei significati più
profondi delle opere originali e ricorsero a tutti i mezzi – soprattutto a quelli non consentiti da
Aristotele – per attingere a piene mani dalle commedie di Calderón, Lope, Tirso ecc. solo le
forme più decorative, i lazzi dei graciosos, gli intrecci più inverosimili, e li infarcirono di
scurrilità nostrane, di battute le più strampalate ed estemporanee, di filosofia spicciola, per
offrire il tutto, così variamente composito, all’attenzione e al gusto niente affatto sottile di
una platea smaniosa quasi solo di ridere 27.
26
Ivi, pp. 6 e sgg.
27
G. SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», in «Studi
di letteratura spagnola», 1968-70, p. 60.
28
G. MANCINI, Calderón in Italia. Studi e ricerche, Pisa, Goliardica, 1955, p. 24.
29
Sulla fortuna di Calderón in Italia si vedano inoltre: M. G. PROFETI, La recepción del teatro
áureo en Italia. Apéndice: el teatro áureo en Italia. Traducciones modernas, in Calderón en Italia.
La Biblioteca Marucelliana, Firenze, Alinea, 2002, pp. 11-42. Un recente lavoro di Marchante
propone, inoltre, un’utilissima rassegna di tutte le traduzioni italiane, nel periodo che va dalla fine
del XVII secolo all’inizio del XVIII, delle opere di Calderón de la Barca: cfr. C. MARCHANTE, Cal-
derón en Italia: traducciones, adaptaciones, falsa atribuciones y scenari, in Tradurre riscrivere
mettere in scena, cit., pp. 17-63; poi anche in Calderón en Italia. La Biblioteca Marucelliana, cit.,
pp. 43-93.
141
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
Fuor di Spagna, sin dal Seicento, si contano varie traduzioni o per meglio dire riduzioni
de La vita è un sogno […]. Per limitarmi alle italiane citerò quella perduta del napolitano
Marco Napolione, quella attribuita a Giacinto Andrea Cicognini, quella composta dal bitonti-
no Raffaele Tauro col titolo La falsa astrologia, ovvero il sognar vegghiando (av. 1669),
quella onde fu ispirato un racconto accolto nell’anonimo Passatempo civile (Venezia, 1759),
quella infine che ancor si rappresenta a Napoli negli ultimi anni del Settecento col titolo
L’uomo condannato prima di nascere. Alle quali vanno forse aggiunti due o tre Sigismondi,
per musica. Ma La vita è un sogno stampata primamente col nome del Cicognini nel 1663 fu
di gran lunga la più celebre, benché il dramma calderoniano vi sia indegnamente travestito e
svisato […]. Nell’Ottocento, rinato in Europa il culto calderoniano, La vita è un sogno è tra-
dotta due volte in prosa italiana, con diversa cura ma con simile mediocrità, da Pietro Monti e
da Giovanni La Cecilia. Più numerose e spesso migliori le traduzioni tedesche, francesi ed
inglesi; ma non v’è quasi lingua d’Europa che non si sia piegata a narrare, a genti anche
remote, i casi di Sigismondo30.
Le opere di Giacinto Andrea furono edite quasi tutte postume, a partire dagli anni ’50 del
Seicento […], come se in vita una sorta di terribile censura ne avesse impedita la pubblicazio-
ne o come se stampare la propria opera fosse stato del tutto irrilevante agli occhi dell’autore,
30
Drammi di Pedro Calderón de la Barca, tradotti da A. Monteverdi, vol. I, La Vita è un
Sogno, Il Mago Prodigioso, Firenze, Luigi Battistelli, 1920, pp. 58 e sgg. Oltre alle traduzioni
menzionate da Monteverdi, sono registrate da Allacci alcune opere che, sulla base del titolo,
fanno pensare a possibili rifacimenti della Vida es sueño. Tra queste: La viva sepoltura, ovve-
ro, la Stellidatura, in Bologna, per il Longhi, 1687, in 12, di Giovanni di Benedetto;
Sigismondo, dramma, in Belluno, per il Tissi, 1751, in 12, nel tomo III de’ Drammi
dell’Autore, di Gio. Carlo Paganicesa, Bellunese. Cfr. L. ALLACCI, Drammaturgia, accresciu-
ta e continuata fino all’anno MDCCLV, in Venetia, presso Giambattista Pasquali.
31
Si rinvia alla traduzione, già citata, di Monteverdi, p. 34.
142
Lessico e ideologia della prigione
impegnato a riadattare ed allestire drammi per pubbliche rappresentazioni più che a promuo-
vere la successiva stampa32.
32
S. CASTELLI, Giacinto Andrea Cicognini: un figlio d’arte nella Firenze secentesca, in
CANCEDDA, CASTELLI, Per una bibliografia di Giacinto Andrea Cicognini. Successo teatrale e
fortuna editoriale di un drammaturgo del Seicento, cit., pp. 58-59.
33
C RINÒ , Documenti inediti sulla vita e l’opera di Jacopo e di Giacinto Andrea
Cicognini, cit., pp. 254-286.
34
Uno studio recente mette a confronto il testo di Tirso de Molina e il rifacimento di
Cicognini: cfr. L. DOLFI, Tirso e Cicognini: due Don Giovanni a confronto, in La festa teatra-
le ispanica, atti del Convegno di Studi (Napoli 1-3 dicembre 1994), a cura di G. B. De
Cesare, Napoli, Dipartimento di Studi Letterari e Linguistici dell’Occidente, Istituto universi-
tario Orientale, 1995, pp. 129-162.
35
C RINÒ , Documenti inediti sulla vita e l’opera di Jacopo e di Giacinto Andrea
Cicognini, cit., p. 282.
36
In ALLACCI, Drammaturgia, cit., è catalogata un’edizione dell’opera di Cicognini che
porta la data del 1664: La vita è un sogno, opera scenica, in Venezia, per Niccolò Perrana,
1664 in 12, del Dott. Giacinto Andrea Cicognini, Fiorentino. In S. FRANCHI, Drammaturgia ro-
mana. Repertorio bibliografico cronologico dei testi drammatici pubblicati a Roma e nel La-
zio, secolo XVII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1988, è annotata la seguente edizione,
con alcune righe di commento: La vita è un sogno, opera scenica, del Sig. Dott. Giacinto
143
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
chigiana dell’opera e al fine di questo discorso si sono raffrontati i due testi tout
court, ricavandone alcune considerazioni di carattere generale; si è messo quin-
di a confronto il primo monologo di Sigismondo (quello in cui maggiormente si
respira la tematica carceraria) nei due testi presi in esame. Da una prima analisi
generale si possono fare alcune considerazioni preliminari: Cicognini, come ci
si aspettava, traduce in prosa; cambia il numero, il nome e le caratteristiche di
alcuni personaggi; modifica il numero delle scene. Lascia però intatto l’impian-
to scenico fondamentale dell’opera, evidenziato anche nella ripresa letterale del
titolo. Il materiale diegetico è comune ai due testi, ma i cambiamenti formali e
nel carattere dei personaggi, conducono la traduzione di Cicognini a un diverso
significato, a un diverso “messaggio”. In generale il testo italiano, come nel
caso distinto, ma affine indagato da Diego Símini, «tende a chiarire, a semplifi-
care, a rendere concrete le questioni»37. Al di là del modo specifico in cui il
dramma è interpretato dai due autori, bisogna riflettere sull’ambiente culturale
in cui si trovano a operare. Come spiega Diego Sìmini, infatti, «gli autori (e il
pubblico) spagnoli erano abituati a un alto grado di elaborazione drammaturgi-
ca, a una discreta raffinatezza nei ritratti psicologici dei personaggi e all’arguzia
e ingegnosità delle battute (non solo quelle comiche). Il traduttore (o secondo
autore) Cicognini e, forse, il pubblico a cui si rivolgeva era più propenso alla
rappresentazione, magari energetica e movimentata, di sentimenti astratti, incar-
nati o simboleggiati dai vari personaggi, che sono più rigidi […] in quanto rap-
presentano concetti morali più che esempi umani. […] Oltre al valore spettaco-
lare, di intrattenimento, questi testi avevano il compito di trasmettere un conte-
nuto morale, un insegnamento: un teatro ideologico, didattico»38. A conferma di
queste considerazioni un recente articolo di Silvia Castelli dimostra che alla
morte di Jacopo Cicognini fu il figlio a sostituirlo come autore di rappresenta-
zioni teatrali per la confraternita dell’Arcangelo Raffaello e per altre accademie:
«Parallelamente all’opera di divulgazione, post mortem, dei drammi di Cicogni-
ni padre, la confraternita dell’Arcangelo Raffaello ospita dunque i lavori del
figlio, ormai affermato drammaturgo [...] Così è ancora viva la memoria pater-
na, quando, nel 1644, la stessa confraternita si fa portavoce e realizzatrice di
un’opera del giovane Giacinto Andrea, diversa, ma egualmente ricca di quelle
Andrea Cicognini. Dedicata al Molt’Illustr. e Molto Rev. Sig. e Padron mio Osservandiss. il
Sig. D. Oratio Caldario da Cagli, in Venetia (edizione databile alla fine del 1662 o al 1663,
anno in cui l’opera fu stampata anche in Macerata […] e a Bologna […]. Seguirono altre
ristampe).
37
D. SÌMINI, «Casarse por vengarse» di Rojas Zorrilla nella traduzione di Giacinto An-
drea Cicognini: «Maritarsi per vendetta», in Tradurre riscrivere mettere in scena, cit.,
p. 105.
38
Ivi, pp. 94 e sgg.
144
Lessico e ideologia della prigione
S’apre la torre, e si vede Sigismondo incatenato per i piedi in mezo à molti libri à giacere
studiando, butta un libro da parte e si leva in piedi 40.
39
S. CASTELLI, Il teatro e la sua memoria: la Compagnia dell’Arcangelo Raffaello e il
«Don Gastone di Moncada» di Giacinto Andrea Cicognini, in Tradurre riscrivere mettere in
scena, cit, p. 93.
40
La vita è un sogno, opera scenica del signor G. A. Cicognini, Macerata, Michele
Stanchi, 1663, p. 11.
41
P. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, edición de Ciriaco Morón, cit., p. 90.
145
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
Qual miseria puossi trovare, che superi, ò agguagli, quella che di presente provo? che mi
giova ne’ studij trovar, ch’ogni cosa creata, ogni vivente goda il benefitio della natura con la
libertà, se solo à me tocca esserne privo, e che mi vale trovare, ch’ogni huomo dopo la seria
applicatione de’ studij goda il rimanente di sua vita la quiete, e il riposo, se solo à Sigismondo
ne è tolta non solo la speranza, mà lo scoprire la cognitione della mia origine 42.
Attraverso gli esempi di libertà appresi dai suoi libri, Sigismondo prende
atto dello stato di prigionia al quale è sottoposto («solo à me tocca esserne
privo»): la «quiete» e il «riposo», conquistati dopo «la seria applicatione de’
studij», sono i beni a cui l’uomo, posto in cattività, ambisce. Queste prime bat-
tute ribadiscono l’impressione per il lettore di trovarsi di fronte a un prigioniero
“atipico”, i cui oggetti del desiderio non sono riconducibili alla sfera dell’azione
e del movimento, come ci si aspetterebbe, ma a quelli opposti della quiete e del
riposo.
I ripetuti interrogativi del prigioniero calderoniano sono mantenuti nel testo
tradotto, ma come attenuati, privati di quel «senso fortemente inquisitivo» di cui
ha parlato Bodini a proposito del monologo di Segismundo43. Nella traduzione
sono spariti, infatti, i verbi di significato fortemente inquisitorio («apurar»,
«pretendo», «quisiera saber») da cui traspare la violenza e la ribellione del pro-
tagonista. Il Sigismondo di Cicognini si rivolge ai Cieli con parole che, abban-
donando il piglio rabbioso di chi pretende una spiegazione, assumono l’intona-
zione elegiaca di un uomo rassegnato al suo stato:
Oh Cieli à che crearmi? A che darmi alla luce, se privo di cose tanto care, e gradite, devo
menar la vita tanto penosa in quest’antro, in questa caverna incatenato, e stretto. Oh Cieli in
che v’offesi? In che errai44?
42
CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 11.
43
BODINI, Segni e simboli nella «Vida es sueño», cit., p. 83.
44
CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 11.
146
Lessico e ideologia della prigione
Sigismondo solo è privo di quel tesoro, che chi lo gode tal volta non lo prezza, e chi né
privo lo brama. Solo Sigismondo vive sepolto, muore vivendo, e vivendo alla morte pena
avvinto, e incatenato in quel occàso di miserie. Solo à me, che né huomo, né fiera posso
appellarmi, non sapendo né come, né di dove mi sia l’origine, mi vien tolto fin il conversar
con le creature humane. Solo la crudeltà di Grottardo mi vien concessa praticare […] 47.
45
C. MORÓN ARROYO, Calderón. Pensamiento y teatro, cit., p. 88.
46
Cfr. CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, cit., pp. 90-91, vv. 123-132: «Nace el
ave, y con las galas / que le dan belleza suma, / apenas es flor de pluma / o ramillete con alas,
/ cuando las etéreas salas / corta con velocidad, / negándose a la piedad / del nido que deja en
calma; / ¿y teniendo yo más alma, / tengo menos libertad?».
47
CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 11.
147
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
48
Vedi le parole di Rosaura durante il primo colloquio nella torre con Segismundo, in
CALDERÓN DE LA BARCA, La vida es sueño, cit., p. 95, vv. 247-252: «Sólo diré que a esta parte
/ hoy el cielo me ha guiado / para haberme consolado, / si consuelo puede ser / del que es
desdichado, ver / a otro que es más desdichado».
49
P. FASANO, Il sogno del prigioniero, in Arcipelago malinconia. Scenari e parole del-
l’interiorità, a cura di B. Frabotta, Roma, Donzelli, 2001, p. 198.
50
CICOGNINI, La vita è un sogno, cit., p. 12.
148
Lessico e ideologia della prigione
Così vivo a’ sepolchri, cadavere animato, ombra de’ cavi sassi, e sasso vivo de l’ombre?
A che me diè natura humane membra, e spirto, e vita, se per me nulla vagliono, & ad altrui
non giovano? Perché non nacqui un bruto, che godrei libertà sotto del Cielo? H’anno l’ali gli
augelli, e per lo gran campo dell’aria godono libertà; ed’io che de’ bruti, e de gli augelli ho
vantaggio maggiore, perché nulla ho di libertà55?
51
SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», cit., p. 61.
52
Che la presenza di Gismondo sulla scena fosse diminuita rispetto al testo spagnolo è
un dato già appurato da Gianni Spallone. Secondo quest’ultimo il diverso numero degli atti e
delle scene nella Falsa astrologia non è solo motivo di un capovolgimento strutturale della
trama, ma implica inoltre un mutato rapporto tra i personaggi, che nel testo napoletano risulta
più dinamico e movimentato; cfr. SPALLONE, op. cit., pp. 103 e sgg.
53
SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», cit., p. 105.
54
Ibidem.
55
La falsa astrologia Overo Il sognar vegghiando, commedia del Sig. Rafaele Tauro,
Gentil’huomo, & Accademico degli Infiammati della Città di Bitonto, all’illustriss. Sig. D.
Stefano Cartiglio de Salcedo, regente del regio collaterale Consiglio nel Regno di Napoli, in
Napoli, per Novello de Bonis, MDCLXIX, p. 7.
149
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
56
SPALLONE, La «Falsa astrologia» di Raffaele Tauro e la «Vida es sueño», cit., p. 72.
150
Lessico e ideologia della prigione
Ditemi voi, Cieli infidi, in che v’offesi, e come, se nato appena m’havete quì sepolto?
Ditemi, fors’è delitto il nascere? Ma s’egli è colpa, non è mia questa colpa, e se pur fusse
mia, perché non la puniste col castigo dovuto? Pena del nascere, e ‘l morire, e fussi morto,
che libertà dell’alma è il morire. […] Mà se la vita d’un infelice move à sdegno le stelle, sarò
frà tanti viventi io solo il più infelice? S’io nacqui come gli altri, qual’affronto vi fe’ la mia
nascita, se mi fate di tutti gli altri il peggiore? Che privilegio, che favore, che ventura trovano
nel vostro aspetto gli altri huomini, che riportandone da voi il bene, restò per me solo il male?
(Si leva in piedi) E fatto ormai impaziente al male divenga pure l’infuriato petto un’Etna di
sdegno, un Mongibello di fuoco, e mandi in mille pezzi l’addolorato cuore al tribunal delle
sfere, e rompi, ò trattenga la ruota dell’infausta mia fortuna57.
Il grido rivolto al Cielo dal protagonista, nelle cui domande reiterate si legge
il bisogno urgente di avere risposte della ingiusta sorte subita, ricalca le moven-
ze e i significati espressi dal monologo del Sigismondo di Calderón: «Ditemi
voi, Cieli infidi, in che v’offesi, e come, se nato appena m’havete quì sepolto?»
/ «Apurar, cielos, pretendo, / ya que me tratáis así».
L’asserzione, perentoria in Calderón, che il peccato originale, rende l’uomo
colpevole, in ogni condizione e in ogni stato sociale, («Aunque si nací, ya
entiendo / qué delito he cometido»), diventa nella traduzione di Tauro una
domanda, di cui il protagonista forse già intuisce la terribile risposta («Ditemi,
fors’è delitto il nascere?»). Del testo originale è mantenuta la coscienza da parte
del prigioniero di vivere una condizione eccezionale rispetto al resto dell’uma-
nità: «S’io nacqui come gli altri, qual’affronto vi fe’ la mia nascita, se mi fate di
tutti gli altri il peggiore? Che privilegio, che favore, che ventura trovano nel
vostro aspetto gli altri huomini, che riportandone da voi il bene, restò per me
solo il male?» / «Pues si los demás nacieron, / ¿qué privilegios tuvieron / que yo
no gocé jamás?». Il paragone tra la prigionia del protagonista e la libertà goduta
dal resto del creato è contenuto nel duplice riferimento alla specie «degli augel-
li» che «per lo gran campo dell’aria godono libertà», e a quella non meglio defi-
nita dei «bruti». Cadono i riferimenti al pez e al arrojo del testo spagnolo.
Rimane saldo e pressoché invariato invece il richiamo finale al vulcano, impo-
nente simbolo di ribellione: «E fatto ormai impaziente al male divenga pure
l’infuriato petto un’Etna di sdegno, un Mongibello di fuoco, e mandi in mille
pezzi l’addolorato cuore al tribunal delle sfere» / «En llegando a esta pasión, /
un volcán, un Etna hecho, / quisiera arrancar del pecho / pedazos del corazón».
57
TAURO, La falsa astrologia, cit., pp. 8-11.
151
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
58
P. P. PASOLINI, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, con
un saggio di C. Segre; cronologia a cura di N. Naldini, vol. II, Milano, Mondadori, 1990,
p. 1932.
59
P. P. PASOLINI, Lettere 1940-1954, con una cronologia della vita e delle opere a cura di
N. Naldini, Torino, Einaudi, 1988, p. 5.
60
S. CASI, I teatri di Pasolini, introduzione di L. Ronconi, Milano, Ubulibri, p. 179.
61
Un teatro borghese, intervista a L. Ronconi, in P. P. PASOLINI, Teatro, a cura di W. Siti
e S. De Laude, con due interviste a L. Ronconi e S. Nordey; cronologia a cura di N. Naldini,
152
Lessico e ideologia della prigione
respira nel testo è una metafora della prigione di classe: il Calderón, come è
stato detto, è soprattutto «una cupa, scabra parabola sull’impossibilità di evade-
re dall’universo concentrazionario della propria condizione sociale»62.
Come era prevedibile, non troviamo nel Calderón di Pasolini la traduzione
del famoso monologo di Sigismondo; incontriamo però un personaggio che
prende in prestito il nome dal protagonista della Vida es sueño, e che, guarda
caso, assume il ruolo di un particolare tipo di prigioniero: il “prigioniero politi-
co”, l’esule. Protagonista della Guerra Civile spagnola e antifranchista,
Sigismondo ha trascorso gli ultimi anni della sua vita da esule. Basilio, marito
aristocratico di Doña Lupe, donna un tempo legata a Sigismondo, ne parla con
parole che, accanto al disprezzo per il rivale, fanno emergere la vera fisionomia
del personaggio:
Sigismondo […]
è un antifascista, vissuto in esilio, schedato,
sorvegliato a domicilio, un essere contaminato
dalla povertà, ch’egli difende tradendo la ricchezza […]
e le autorità dello Stato farebbero bene a mettere al muro63.
Milano, Mondadori, 2001, p. XXII. Le citazioni del testo Calderón sono tratte da questa edi-
zione.
62
P. P. PASOLINI, Teatro, prefazione di G. D. Bonino, Milano, Garzanti, 1988, p. 11.
63
PASOLINI, Teatro, a cura di W. Siti e S. De Laude, cit., p. 680.
153
Matteo Lefèvre – Giorgia Proietti Pannunzi
Sigismondo che nella storia è l’unico vero prigioniero è anche il più libero
tra tutti i personaggi del dramma. L’unico che fuggendo i lacci della condizione
sociale, assegnatagli dalla nascita, (una nascita borghese), ha deciso di evaderla
per trovare nell’esilio e nell’opposizione la libertà. Rosaura, che nel terzo sogno
interpreta una donna borghese intrappolata nella gabbia di classe, va incontro a
una sorte che si prefigura opposta a quella di Sigismondo. Al contrario di que-
st’ultimo, che ha il coraggio di gridare in faccia alla borghesia le sue scelte
libertarie, Rosaura è colpita da un’inesorabile afasia che la pone in una condi-
zione di incomunicabilità rispetto alla società in cui vive. Manuel, il medico che
ha in cura la donna in un manicomio, dice di lei: «la sua afasia è una scusa per
non raccontare i suoi sogni. Finge di non distinguere i nomi delle cose, sempli-
cemente perché le cose erano troppo cattive: vivere tra esse era come vivere in
un lager»65. Doppia prigionia, dunque, quella di Rosaura: le sbarre della classe
sociale sono duplicate dalle sbarre del manicomio. La donna doppiamente inca-
tenata, nell’ultimo sogno concessole dalla trama, immagina di trovarsi in un
lager. La possibilità di fuga a questo punto non è più possibile, neppure attraver-
so il sogno. L’ultima scena si immagina come svolta, spiega lo speaker, «all’in-
terno di un documento: e precisamente di una fotografia rappresentante il dor-
mitorio di un lager»66. Rosaura al risveglio riferisce di aver visto se stessa come
«uno scheletro bianco quasi senza più capelli, nella cuccia»67. In quello “schele-
tro bianco senza più capelli” è possibile leggere una spia linguistica che ci ripor-
ta al testo di Calderón: l’espressione «esqueleto vivo» con cui si autodefinisce
Sigismondo nella Vida es sueño diventa, terribilmente trasfigurato, lo scheletro
vivente di una vittima delle SS naziste. E benché Rosaura abbia sognato un
ingresso salvifico degli operai nello spazio del lager, Basilio le pone di fronte la
tragica realtà dell’esistenza:
64
Ivi, pp. 673-674.
65
Ivi, p. 737.
66
Ivi, p. 751.
67
Ivi, p. 756.
154
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68
Ivi, p. 758.
155