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Recensione

“Parolepotere. Il nuovo linguaggio del conflitto sociale”


di Pietro Barcellona, Roma, Castelvecchi, 2013.

L'ultimo sforzo del profondo pensiero di Pietro Barcellona si interroga con mirabile delicatezza ed
efficacia su uno snodo tematico di centrale importanza per la riflessione contemporanea delle c. d.
scienze sociali (e non solo). Colpisce al cuore il fulcro di tutta la speculazione del XX secolo e ne
pone in luce le criticità di certe linee di sviluppo odierne: il ruolo del linguaggio e lo straordinario,
spesso taciuto, potere delle parole.
La disarmante urgenza di riflessioni siffatte permette, inoltre, all'Autore, di muoversi agevolmente,
e in parallelo, proponendo una lucida analisi degli annis horribiles che l'Occidente si trova ad
affrontare sotto il segno della Crisi globale.
“Parolepotere” è un titolo evocativo, epifanico, già dopo la lettura delle prime pagine, capace di
gettare illuminanti ponti di senso: “il potere delle parole non è secondario rispetto al potere delle
armi, anzi spesso accade che la vittoria militare abbia coinciso con l'affermazione della lingua del
vincitore; poiché nel susseguirsi dei linguaggi e dei discorsi umani si manifesta un aspetto più
profondo del potere che riguarda la capacità di nominare le cose”. Il potere delle parole e di
disposizione di esse è un potere enorme; chi ha la capacità di nominare il reale è in possesso
dell'immaginario dell'uditorio, può plasmarlo, alienarlo, in maniera molto più incisiva di una
sottomissione violenta e forzata.
L'analisi riesce, con mirabile chiarezza, a mettere in luce il collegamento che corre, attraverso il
medium della “parola”, tra potere (politico) e realtà contingente, degli uomini e del loro vissuto,
svelando ogni falsa e ingannatoria pretesa di neutralità oggettiva della natura e del ruolo del
linguaggio. “Il problema del controllo della creazione e dell'impiego delle parole è dunque il vero
centro del conflitto politico.”
Ciò che rende urgente una rinnovata riflessione umanistica sul potere costitutivo del reale da parte
del linguaggio è il tendenziale successo, in molti campi del sapere, del pensiero scientista-realista
che oggettivando l'uomo nei processi funzionali di un sistema meccanicamente spiegabile come
risultante di sinapsi ed elettroni, lo consegna a una post-umanità innocente semplice luogo di
transito di informazioni e dati funzionali al “senso di sistema” che è la funzione del sistema stesso.
Le conseguenze sono di tutto valore sol che si ponga attenzione alla sorte del concetto di
responsabilità personale che ne scaturisce: stretto nella spiegazione tecno-scientifica l'uomo perde la
sua libera potestà di scegliere le direttrici del suo agire, in quanto ogni sua possibile determinazione
non sarà altro che il risultato di una qualche innocente combinazione di molecole, impulsi elettrici
oppure ormoni. Questa la premessa, ne seguono modalità di trattamento e valutazione dei
comportamenti altrettanto irresponsabili sul piano umano e politico: un'ingegneria giuridica
funzionale alla biopolitica dei corpi appare come il necessitato epilogo.
L'occultata politicità del dominio linguistico è il tratto caratterizzante il “moderno totalitarismo”,
parafrasando la Arendt, che si estrinseca, da un lato, privando le persone della capacità creativa di
produrre autonomamente immagini, rappresentazioni e parole, condannandole a un appiattimento
supino ed alienato della propria condizione reale e, dall'altro, proponendosi come “naturale” e
neutrale “Accadere” del linguaggio, impedendo l'individuazione di un “chi” responsabile. Come già
una parte del più fine pensiero filosofico-giuridico italiano ha annunciato, il risultato è un continuo
stato di “torto” lyotardiano in cui la realizzata assenza di regimi di discorso critici, ulteriori rispetto
a quello imperante del potere, condanna l'individuo a subire l'impossibilità del “rispondere” e la
necessità del “corrispondere” all'Accadere sistemico del linguaggio tecno-economico decretandone
lo smarrimento esistenziale nel post-soggetto.
Barcellona non nasconde “l'emergenza antropologica”, il timore della cancellazione
dell'irriducibilità umana risolta nella spiegazione oggettiva, tecno-scientifica, della domanda di
senso esistenziale dei soggetti parlanti.
Proprio il recupero della formazione costante del senso nella pratica comunicativa dei soggetti
parlanti è indicata come appiglio per evitare naufragio nella liquidità contemporanea: “quest'epoca
ruba agli esseri umani i simboli, la parola, l'autorappresentazione come soggetti pensanti, la
possibilità della memoria, e la dimensione storica.” (…) “L'unica via d'uscita è tornare allo spazio
mentale della creazione di significati, contro ogni visione riduttiva.”
Ridar vigore alla progettualità dei significati oltre la finitezza dei significanti.

Ludovico Ercole

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