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IL Mondo DEI Media

Culture digitali e della comunicazione (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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IL MONDO DEI MEDIA

Capitolo 1
1.1 L’avvento del Monolite: tecnica e specie umana

In una sequenza del 2001 “Odissea nello spazio” (film di Kubrick ispirato ad un racconto dell’astrofisico
Clarke) si assiste all’incontro tra un gruppo di primati e un misterioso artefatto: un parallelepipedo nero
comparso nella loro caverna. Entrati in contatto con il Monolite (l’oggetto), e dopo averne constatato la
natura artefatta fabbricata da un essere intelligente, gli ominidi sviluppano un nuovo modo di relazionarsi
con l’ambiente esterno. La sequenza successiva mostra il capo degli ominidi che prende in mano un osso e
lo percuote nel terreno, azione nata per catturare le prede; questo gesto si pone a capo di un arco
temporale che va dall’alba dell’uomo fino all’arrivo dell’uomo sulla base lunare 4 milioni di anni più tardi.
L’esempio fornito da questa sequenza cinematografica di Kubrick è utile per lo studio della comunicazione e
dei media, partendo dal rapporto tra uomo, linguaggio e tecnica. E’ infatti la tecnica, intesa come “saper
fare”, che rappresenta lo strumento umano atto a realizzare un prodotto, e rappresenta anche il punto
d’incontro tra uomo e adattamento all’ambiente. Tale percorso ha origine nel e dal corpo, prende nome di
Ominazione ed è il primo medium attraverso cui ci confrontiamo sul senso dell’esistenza. L’osso dell’ominide
si trasforma man mano in una clava, sempre per adattarsi all’ambiente esterno; in seguito l’arma diventa
oggetto di esperienza collettiva poiché si trasforma in oggetto di condivisione con altri homines. Bisogna
comunicare poiché, dove si dà comunicazione, esiste una forma di società. Prima dell’avvento dell’oralità e
della scrittura, il medium di condivisione di esperienza era la mano, che mostra agli altri ominidi l’uso del
nuovo oggetto.

1.2 Il mito, il rito e l’invenzione del segno

Il consolidarsi della specie umana va di pari passo con lo sviluppo di un sistema di condivisione
dell’esperienza. Si parla di invenzione del segno quando, durante il Paleolitico superiore, alcuni uomini
iniziano a decorare le pareti delle caverne di Lascaux (Francia sud-orientale) con delle scene di caccia. Qui è
dove avviene l’incontro tra tecnica e comunicazione: emerge l’impulso umano di codificare le cose del
mondo per controllarle, rappresentarle e dunque narrarle. Il punto di incontro tra pensiero e immagine è
quindi il segno, che rimanda a sistemi comunicativi più elaborati e linguistici. Il congelamento temporale,
avuto tramite rappresentazione sulle pareti, riguarda anche il mito, attraverso cui l’uomo amplia il concetto
di trasmissibilità verbalizzando i fenomeni di importanza collettiva. Il compito dei miti e dei riti è dunque
quello di plasmare i momenti di collettività dell’uomo tramite i “topoi” (norme), limitando l’esperienza sul
piano della conoscenza e della temporalità (codifica delle scene vissute e fissate sulle pareti). Secondo
Durand l’insieme di tutte le paure, speranze e frutti culturali rappresentano l’Immaginario, quel sapere
tacito di sfondo che determina l’appropriazione dell’identità dell’uomo.

1.3 Innovatio e repetitio

Miti e riti si fondano sul meccanismo della repetitio: così come i rituali riorganizzano il senso dell’esistenza
riproponendo la storia delle cose, allo stesso modo le credenze dei riti vengono tramandate dando vita a
tradizioni sulle identità dei popoli. Ogni tradizione interviene sul modello mitico, l’archetipo,
sottoponendolo ad un processo di innovatio, ovvero di modifica che rimanda al rapporto tra il mito stesso e
il contesto sociale. Anche in questo contesto, la tecnica è il principale medium di connessione, interazione e
dominazione dell’uomo nello spazio; tuttavia altro elemento fondamentale è il ritmo nell’innovatio e
repetitio, al fine di creare una vera e propria memoria collettiva dell’esperienze vissute precedentemente e
trascinate nella contemporaneità. Dunque l’innovatio e la repetitio servono a porre un limite
all’inspiegabile, inventando delle correlazioni tra uomo e divinità antropomorfe.

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1.4 Potere e comunicazione dai templi alle ferrovie I contenuti della tradizione orale diventano oggetto di
redazioni scritte, tuttavia anche la scrittura attraversa una fase di elaborazione complessa che vede nella
pratica della pittografia, una scrittura di segni (tavolette mesopotamiche di Uruk di beni agricoli e di
consumo da gestire). Esemplare è il caso della civiltà egizia, nel cui sistema di scrittura si sommano e
rimescolano le prime rappresentazioni grafico-fonetiche: la scrittura geroglifica. Ruolo fondamentale è
assunto dallo scriba, unico individuo a cui spetta la competenza tecnico-linguistica per amministrare i beni
collettivi; si passa dalle tavolette ai papiri. E’ il mare, culla dell’autocoscienza occidentale, a imprimere
l’accelerazione di selezione del linguaggio, indispensabile per le imprese commerciali e la comunicazione tra
popoli. Questa spinta tesa a nuove reti comunicative prelude anche alle ferrovie di 3 millenni più tardi;
saranno poi i Fenici a fornire alla cultura greca i fondamenti per un sistema di rappresentazione dei suoni:
l’alfabeto.

1.5 Sorvegliare e punire: la scrittura sul corpo Il filosofo Foucault interpreta la scrittura come un processo
eto-poietico, ovvero un processo di esteriorizzazione del sé che ha riscontri sia sul singolo soggetto,
immerso in uno spazio esterno ad esso, sia sul destinatario delle informazioni esteriorizzate. La scrittura è
un artefatto che consente di memorizzare e organizzare la propria conoscenza e il senso dell’esistenza
dell’uomo nell’ordine delle cose. Ne deriva che, senza un campo di conoscenza definito, non esisterebbe
nessuna relazione tra uomini. Lo stampo politico-religioso dell’uso della scrittura si contrappone al ruolo
divulgativo delle università del 1100, in cui la funzione di mediazione e conservazione del sapere era affidata
esclusivamente alla figura del frate amanuense. E’ in questa tensione tra chiusura e apertura, innovazione e
chiusura, che il corpo sociale agisce e riscrive le sue gerarchie.

1.6 Oralità e scrittura: una perenne convivenza dagli Accadi al web E’ possibile rilevare la complessità del
rapporto di convivenza tra oralità e scrittura, entrambi da intendere come media, processi di scambio. A
partire dalle prime forme di comunicazione segnica nelle grotte di Lascaux fino all’invenzione di un sistema
codificato di rappresentazione, la costruzione sociale della comunicazione si è sempre legata all’ominazione
della specie; il progresso delle protesi cognitive del corpo umano hanno portato a modificare la sua capacità
di pensiero influendo sulle strutture sociali. Dunque è indispensabile la necessità di linguaggio per
l’adattamento dell’uomo sulla terra e il modo in cui il suo sviluppo abbia creato nuovi ambiti comunicativi.
La comunicazione dell’uomo è dunque un misto di scritto e parlato, presupponendo in ogni caso la codifica
e de-codifica di un universo segnico complesso e ampio.

Capitolo 2

2.1 L’ambigua nozione di industria culturale

Il concetto di industria culturale nasce con Tocqueville e con la sua opera sul sistema socio-politico
americano redatta tra il 1835 e il 1840, ma acquisisce attualità solo con Theodor Adorno e Max Horkheimer,
quando nel secondo dopo guerra intitolano proprio così un saggio contenuto nel loro libro Dialettica
dell’illuminismo. Si trattava di due figure di spicco della Scuola di Francoforte, fuggiti in America con
l’avvento del nazismo, dove iniziarono a lavorare nell’ambito delle comunicazioni di massa. L’ambito in cui
lavoravano fu da essi definito come una forma psichiatrica del dominio, con accenni a Freud. La riflessione
dei due studiosi era un atto di accusa contro lo sviluppo della modernità capitalista, capace con meccanismi
di controllo di spersonalizzare le coscienze individuali per plasmarne una collettiva. Al centro di questa
riflessione troviamo il concetto di “massa”, evoluzione del termine “folla” che comincia a diffondersi nel 700
con la rivoluzione industriale e con quella francese. Adorno e Horkheimer descrivono la massa come un
corpo fagocitante e polimorfo di un consumo incontrollabile e privo di spirito critico, un esercito di fruitori
che insieme alla merce incamera anche il sistema di valori prodotto da tale merce, perdendo il senso della
propria umanità.

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Adorno e Horkheimer trattano come l’industrializzazione abbia portato l’umanità e la cultura alla
decadenza, in particolar modo nel mondo occidentale. C’è un accenno alla differenziazione della cultura di
massa e la cultura popolare delle tradizioni pre-industriali, chiaramente. In questa dimensione, i rapporti
consolidati perdono il proprio valore, schiacciati dalla prevalenza dell’importanza economica spinta dai
gruppi di potere in ambito economico. In questa visione così pessimistica l’immagine dipinta dai due
sociologi è che la massa è un insieme di ricettori passivi di tutto ciò che gli viene propinato dal mercato e dai
media, destinati a sottostare alla dittatura della comunicazione di massa dell’industria culturale. Questa
visione accomuna personalità dall’orientamento diverso, dai progressisti ai conservatori, come Ortega,
Croce e Spengler. La riflessione, infatti, tornò alla ribalta diverse volte durante il Novecento, più in Europa
che in America. Ciononostante, sarebbe riduttivo pensare che la riflessione dei due scienziati sia l’unico
punto di vista, infatti il dibattito sull’industrializzazione della cultura è rappresentato dalla dicotomia tra
apocalittici e integrati, che contrappone la visione pessimistica, critica, a quella più fiduciosa e ottimistica.

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il termine industria culturale inizia a diffondersi nella
lettura scientifico-sociale così come nelle pubblicazioni sul tema. Il termine comincia anche ad essere un
termine-ombrello per riassumere i diversi ambiti: industria editoriale, industria discografica, industria
cinematografica, anche se così si distanzia dalla concezione di Adorno e Horkheimer.

Spesso i concetti di industria culturale, cultura di massa, mass media, e comunicazioni di massa vengono
confusi poiché sono fatti delle stesse componenti, ma è importante ricordarne le differenze: l’industria
culturale è un sistema di relazioni, di flussi che sostengono lo sviluppo della società industriale poiché
capace di adattarsi alla complessa e mutevole condizione sociale di riferimento. Nonostante Adorno e
Horkheimer si siano occupati dell’industria culturale, essi si sono concentrati sulle dinamiche di controllo
sociale, senza definire bene i concetti di cui parlano: gli studi settoriali dell’industria, se da una parte sono
una ricchezza, dall’altro portano ad una frammentazione del concetto.

Diverso è invece l’approccio di Morin, che si pone una domanda fondamentale: “chi e perché consuma i
prodotti della cultura di massa?”, egli mette in discussione la neutralità dell’intellettuale che studia i rapporti
tra pubblico e industria culturale, partendo dal presupposto che ogni osservatore va contestualizzato grazie
ai suoi valori, conflitti, variabili biografiche. Morin si sofferma sulle dinamiche della cultura di massa, i
meccanismi di affermazione e negoziazione sociale e i media più incisivi, con particolare attenzione sul
cinema. Egli si occupa degli effetti sociali dei mass media, mentre sorvola sulla nascita dell’industria
culturale. Approssimativamente Morin e i francofortesi Adorno e Horkheimer si collocano ai poli nel
dibattito sull’industria culturale e sul concetto di modernità, ciononostante nel mezzo vi si collocano
tantissime posizioni eterogenee.

2.2 Tra ideologia del progresso e nostalgia del passato

Durante il XVIII secolo abbiamo una serie di eventi storici che porterà a delle modifiche importanti anche in
ambito socio-culturale. In ambito culturale abbiamo una rinascita dei principi illuministi, essenziali per la
modernizzazione del mondo, il progresso tecnologico, infatti, va di pari passo con la nascita della borghesia,
una nuova classe sociale che inaugura l’era delle comunicazioni a partire dal telegrafo. L’avvento della
rivoluzione industriale porta ad una vera e propria rivoluzione in ambito di organizzazione lavorativa, al
centro della rivoluzione abbiamo l’ambito della fabbrica, dove appunto si diffonde il taylorismo: una
corrente che porta all’alienazione dei lavoratori che non hanno più la possibilità di interferire in prima
persona con il progetto, in quanto meri esecutori di un compito ripetuto all’infinito, questo nuovo
paradigma verrà rappresentato nelle produzioni di Charlie Chaplin. Dunque, il lavoratore intellettuale
rinunciando al controllo sul processo creativo, sarà comunque tale? Su questo dissidio si basa la cosiddetta

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fabbrica dei sogni, Hollywood, dove la complessità della vita sociale moderna diventa un’immagine capace
di riflettere e di contenere i conflitti del presente, rappresentandoli in maniera innovativa.

Il tedesco Benjamin, spesso considerato un eretico della Scuola di Francoforte, si sofferma sull’importanza
delle masse, affermando che la loro presenza nella storia è vincolante per i processi culturali, in quanto
costituiscono il motore della società moderna. Infatti, anche nelle diverse rappresentazioni le masse sono
protagoniste, il cinema, i fumetti, i racconti, rispondono tutti all’esigenza di rappresentare le condizioni di
massificazione della società. Ciò si basa su due meccanismi: la duplicità delle masse che sono sia produttori
che consumatori delle merci, sviluppando un principio di riproducibilità, e la trasformazione dell’idea del
tempo con la divisione tra tempo di lavoro e tempo libero, quest’ultimo è la riappropriazione dell’individuo
della propria soggettività.

Allo stesso modo in cui le novità in ambito lavorativo si riscontrano nella fabbrica, quelle in ambito sociale si
rintracciano nella metropoli, quest’ultima è la dimensione che la città assume dopo la rivoluzione
industriale. Essa ospita gli edifici adibiti alla produzione delle merci, ai servizi, ma anche gli spazi dedicati
alla viabilità e all’incontro. Questo momento è solo un’anticipazione della globalizzazione, sia in ambito
economico che sociale comincia l’abbattimento dei confini locali per raggiungere dimensioni globali. Alla
base del progresso sociale non c’è altro che lo sviluppo delle reti informative, che è alla base dei mass
media. Ma non si tratta di un sistema sviluppato solamente per gli interessi finanziari, ma anche per
rispondere alle esigenze di coesione sociale delle masse metropolitane.

Tra Ottocento e Novecento il processo di massificazione nella società industriale riscrive i termini di
socializzazione tradizionali. Ciò porta allo scontro tra tradizioni e innovazioni: da una parte le istituzioni
legate alla stabilità vedono nella velocità dei processi di massificazione una minaccia contro i tradizionali
meccanismi di produzione e riconoscimento dei saperi, dei poteri e dei ruoli. I colti, in particolar modo in
Europa, vedono le masse come un ceto pericoloso, tra il 1830 e il 1848 Parigi vede la propria popolazione
moltiplicarsi, e cerca più e più volte, in alcuni casi in maniera catastrofica, di ricostruirsi adattandosi al boom
demografico, buttando giù e ricostruendo la mappa urbana della città molteplici volte. L’impatto visivo delle
masse nelle metropoli contribuisce a dare all’immagine dello sviluppo metropolitano un carattere violento:
in tutto ciò si vedeva la caduta dell’identità Occidentale. La borghesia vede nella massificazione la
spersonalizzazione, un tratto fortemente in contrasto con l’individualismo del proprio ceto. Baudelaire ne
“Lo Spleen di Parigi“ parla della contrapposizione tra solitudine e moltitudine come peculiarità
dell’esperienza della folla, questo concetto verrà ripreso anche da Benjamin. L’uomo nella massa riconosce
sé stesso come unico, ma egli è sé stesso solo nella relazione con l’ambiente in cui vive. L’industria culturale
permette il mantenimento dell’equilibrio tra le due dimensioni, quella individuale e collettiva, costruendo
canali di comunicazione e ridisegnando i confini tra pubblico e privato. La pubblicità ora non è più concepita
come una forma di persuasione con lo scopo di omologare le masse ma come la produzione simbolica della
merce, con l’avvento dei grandi magazzini con le vetrine che catturano l’attenzione delle masse abbiamo la
concretizzazione del linguaggio espressivo della merce. Edgar Allan Poe nelle sue opere si preoccupò di
costruire un ponte tra il passato, tradizionale, e la modernità, cercando di dare a questo passaggio un senso
di continuità, basandolo su un sentimento di perdita e di nostalgia sul passato e sulla fiducia nel progresso.

2.3 Dalla morte dell’arte allo spirito del tempo moderno

In un mondo caratterizzato dalla progressiva instaurazione di un modello di produzione e consumo, le forme


dell’arte e della cultura non possono rimanere invariate. L’arte assume forme in relazione alla funzione che
investe all’interno dell’organizzazione sociale del proprio tempo storico. Una novità dell’età moderna è
l’introduzione del tempo libero, opposto al tempo nella fabbrica, e per questo nascono dei segmenti della
giornata per soddisfare pratiche di socializzazione come uscire di casa, passeggiare, guardare le vetrine,

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frequentare piazze e caffè ma anche per le pratiche connesse ai media di massa come la lettura, i riti di
spettacolo, le mostre, il cinema, le lezioni di nuove tecnologie. Lo sviluppo della metropoli va di pari passo
con l’alfabetizzazione, che in un primo momento era strettamente legata al lavoro, per poi estendersi ad
altro. La lettura si introduce in questo contesto diventando uno dei pilastri della società industriale e
diventando anche vero e proprio consumo coinvolgendo anche il nuovo pubblico: i lavoratori, che a loro
volta avranno un ruolo primario nella scrittura dei testi, svolgendo il doppio lavoro di consumatore e
protagonista. In particolar modo fu la lettura d’appendice a guadagnarsi un certo successo, i racconti
venivano pubblicati sui periodici, mezzi d’informazione indispensabili per costruire una società moderna e
complessa, ed erano pensati per il pubblico in evoluzione e in fase di alfabetizzazione, per creare una
coesione sociale in una società troppo confusa: è questo ciò che spinge gli umani a comunicare, cercare dei
punti in comune. Se osserviamo la nascita dei dispositivi letterari come generi, supporti, formati, ci
rendiamo conto che costituiscono la sintesi tra esigenze di informazioni sulla contemporaneità e modalità di
rappresentazione del mito, forma narrativa in grado di dare un ordine all’attualità del mondo umano. Il
mito, infatti, è sempre legato alla specie e mantiene delle caratteristiche invariabili nel tempo, pur
adattandosi al contesto attuale, la sua continuità nel tempo garantisce una continuità di significati che rende
comprensibile il veloce andamento e cambiamento dei tempi. Basta guardare alle proposte televisive e
cinematografiche (Tarzan, I tre moschettieri) per capire che dietro l’apparenza attuale, c’è un mito senza
tempo che puo’ essere proposto e riproposto di tanto in tanto, poiché sempre attualizzabile. In una
riflessione sull’arte, vediamo un netto taglio con il passato nel confronto tra l’arte classicamente intesa e
l’arte moderna, in particolar modo i due modelli che vengono comparati sono l’arte classica e l’arte
moderna, l’arte classica aveva come protagonista il bello in quanto espressione armonica, inoltre esprimeva
un’unione assoluta tra forma e contenuto, sensibilità e rappresentazione e quindi artista e pubblico, ciò non
accade per l’arte moderna, che è invece considerata anche deviata in qualche modo, rappresentante di
forme mostruose e di divaricazione insanabile tra rappresentazione e sensibilità. Un esempio di questo è
Frankenstein di Mary Shelley, un racconto basato su un mostro fatto di pezzi di cadaveri, una figura e una
storia che ancora oggi ha una grande notorietà grazie alla sua adesione alle strutture del mito, cosa che
capiamo anche dal sottotitolo, “il moderno Prometeo” si tratta solo di una rivisitazione di un mito già
diffuso. Entrambe le rappresentazioni, infatti prevedevano la creazione artificiale (creta/cadavere) e la
ribellione e l’inquietudine che una figura in un contesto laico sperimenta nella difficoltà a relazionarsi con il
trascendentale. Paradossalmente, abbiamo un rovesciamento, dalla morte dell’arte all’arte della morte,
questo evidenzia l’estetica della modernità, fatta di tormenti, lacerazioni interiori, tutte cose estranee alla
tradizione, è in questo clima che il “Sublime” ideato da Burke nel 700 si sostituirà al “Bello” dell’epoca
classica, con Sublime si intende tutto ciò che puo’ destare idee di pericolo o dolore, l’orrendo che affascina.
L’orrido e il sublime sono molto più vicini alla sensibilità dell’uomo moderno, allo stravolgimento mentale
che li coinvolge. In quest’epoca le masse diventano il target dell’arte, ed è proprio in questo momento che si
diffonde un interesse che porterà alla nascita dei generi letterari, di cronaca e cinematografici che
conosciamo come cronaca nera, i romanzi criminali e i polizieschi: prima i resoconti dei delitti venivano
pubblicati per coloro che svolgevano professioni vicine a quest’ambito, ma pian piano le persone iniziarono
ad interessarsi, ad essere affascinati dall’orrore, dai delitti e dai crimini. I processi di industrializzazione delle
forme estetiche si orientano verso i diversi linguaggi tecnologici; il passaggio che collega lo sviluppo
industriale con le forme comunicative dà vita ad una nuova concezione: l’industria culturale diventa lo
spirito del tempo moderno.

2.4 L’industria culturale tra intellettuali e comunicazioni di massa

Cultura di massa non vuol dire cultura popolare ma CULTURA NELL’ETÀ DELLE MASSE, comprende quindi sia
le forme alte e avanzate che quelle basse e volgarizzate. L’industria culturale, quindi, non esclude le
espressioni colte ma tende ad integrarle e democratizzarle per declinarle in contesti più ampi e accessibili.
La complessità del sistema culturale fa sì che Morin lo interpreti come “lo spirito del tempo moderno” in

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un'accezione diversa rispetto ai pensieri apocalittici. Morin, toccando le questioni relative ai consumi
culturali ne trova un punto di vista non necessariamente negativo: in lui, l’idea dell’industria culturale si
riassume in una metafora illuminante, quella del “sistema nervoso” costituito dai media di massa che
collegano i sensi dell’uomo realizzando una “seconda industrializzazione” che si rivolge alle immagini e ai
sogni. Secondo Abruzzese, con l’avvento del digitale il consumo diventa tecnologia, e così si distacca
dall’immagine “industriale”, egli infatti afferma che ha più senso parlare di tecnologie culturali piuttosto che
di industria culturale.

2.5 La fine dell’industria culturale?

Nel secondo dopoguerra abbiamo il periodo del boom economico, e ciò porterà alla diffusione di una nuova
tecnologia, la televisione, che unirà il fenomeno del cinema con quello della radio, bypassando il confine tra
pubblico e privato, dando dunque inizio ad un fenomeno che era sì, collettivo, ma anche privato. Fino a quel
momento, infatti, l’industria culturale aveva mantenuto una divisione tra lo spazio pubblico e quello privato,
domestico, fin quando la televisione, il nuovo medium, sconvolge l’industria. La televisione ha un gran
successo perché si ritrova a rispondere alle esigenze di una società post-bellica, pronta a ridefinire la propria
quotidianità, e di un mondo pronto a ridefinire il proprio equilibrio, essa si pone inoltre come un nuovo
personaggio che riprende il processo culturale avviato anni prima da cinema e radio, e messo in pausa per la
guerra. L’avvento della televisione ha un grande impatto sulle vite, vengono ridefiniti i concetti di tempo e
spazio, e inoltre viene superata la centralità della fabbrica nei processi produttivi. La peculiarità della
televisione era la sua capacità di contenere le diverse tecniche e forme culturali del mondo dello spettacolo,
dall’intrattenimento all’istruzione. Un altro tratto fondamentale e rivoluzionario fu la contemporaneità, con
l’avvento della televisione tutto il mondo sembrava sincronizzato, veniva annullata la distanza tra i diversi
paesi nello stare al passo con le notizie globali, anche grazie al carattere rituale di determinate trasmissioni
sia di eventi collettivi come le Olimpiadi e le elezioni, sia gli eventi storici come il primo allunaggio o gli
attentati terroristici. Con l’avvento della tv, molto più piccola del cinema ma disseminata su tutto il
territorio, abbiamo la perdita di quei valori che avevano retto la società industriale e la società di massa.
Anche il concetto di industria culturale, che aveva il compito di riflettere le trasformazioni della società,
viene da un lato potenziato, dall’altro messo in crisi dalle prospettive della multimedialità e dell’innovazione
digitale. La crisi che la televisione attraversa negli ultimi anni è attribuibile al computer, che si presentano
come due opposte ideologie della comunicazione, e dunque della società.

Capitolo 3

3.1 L’era dell’uomo tipografico

L’organizzazione sociale si basa sui processi comunicativi, così come la vita, che è influenzata dall’uso delle
nostre conoscenze, la capacità di elaborare, decodificare, trasmettere e utilizzare le informazioni che
abbiamo. In passato, prima della scrittura, il corpo umano era il supporto essenziale della comunicazione, le
informazioni, i miti, le leggende, si tramandavano in maniera orale, per preservare la cultura e le tradizioni.
Nel 1982, Walter Ong chiarì le differenze tra la società orale e quella scritta: per noi sarebbe impossibile
immaginare un mondo dove le parole non hanno una presenza visiva, le comunità pre-scrittura erano molto
legate alla tradizione poiché le storie e in generale, la cultura di un popolo, veniva imparata a memoria per
tramandarla alle future generazioni, ciò portava a un maggior attaccamento e riduceva la possibilità che essi
si distaccassero dalle tradizioni, adesso invece, con la certezza che la conoscenza viene conservata grazie
alla scrittura, si è più aperti alle rivoluzioni o rivisitazioni.

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Il lavoro di Ong non sarebbe esistito senza un’opera come “Galassia Gutenberg: nascita dell’uomo
tipografico” di McLuhan, che si concentra sull’evoluzione dei media e della cultura umana, ponendo
l’accento sull’importanza dell’invenzione dell’alfabeto fonetico e della stampa. McLuhan afferma che grazie
all’alfabeto, i pensieri potevano essere oggettivati, esteriorizzati, attraverso l’uso della parola. Rivoluzionaria
fu anche l’invenzione della stampa a caratteri mobili, che ebbe un grande impatto sulla percezione del
mondo, l’uomo iniziò a organizzare il suo ambiente in maniera lineare, dando vita a concetti come
individualità e nazionalismo, questa situazione fu di nuovo ribaltata con l’introduzione dell’elettricità e
dell’elettronica: i nuovi strumenti sono capaci di costruire un villaggio globale che riduce la distanza tra gli
uomini. McLuhan fa riferimento ai concetti di tempo e spazio definiti nel 1950 da Harold Innis. Egli afferma
che GG mirava a spiegare i rapporti tra individuo e media, affermando che i media sono estensioni del corpo
umano di cui egli si serve quando ne ha bisogno, come degli strumenti, rimandando alle protesi simboliche.
Non importa se sono le persone a determinare i media o viceversa, ma capire che c’è un continuo dialogo
tra i due, una comunicazione ininterrotta. Nel “Paradigma Perduto” (1974) Morin risolve il conflitto
antropologico tra natura e cultura affermando che non si tratta di due opposti, ma di due facce di una stessa
moneta, la chiave della nostra natura è nella nostra cultura e viceversa, egli sottolinea l’importanza della
comunicazione tra uomo e cultura, concependoli come reciprocità funzionali in cui una parte provoca
mutamento nell’altra.

3.2 L’invenzione del quotidiano

Nella nostra lingua il termine Stampa ha diversi significati: indica la tecnologia inventata da Gutenberg, il
medium con tutte le sue dinamiche sociali e comunicative, e infine indica quello che è un diritto
fondamentale, quello della libertà di stampa, estensione della libertà di pensiero ed espressione.
L’invenzione di Gutenberge rende più veloce ed economica la pratica che precedentemente eseguivano gli
amanuensi, dando vita anche ad altri formati oltre il libro, quali i giornali, che venivano stampati a cadenza
temporale ristretta e regolare, dando spazio all’attualità anche grazie ad una rete di diffusione efficace.
Nasce la figura del giornalista, che si distingue dallo scrittore, insieme ad altre che prendono parte alla
stesura, alla revisione e alla distribuzione. McLuhan spiega la differenza tra libro e giornale affermando che
il libro è una forma di confessione personale che presenta un punto di vista, il giornale è l’esposizione alla
collettività di fatti d’attualità, il concetto di attualità, è in effetti, una novità, è di interesse comune e
soprattutto, riguarda ciò che è in atto in quel momento. È anche importante il fatto che il giornale da voce a
diverse persone, le cui opinioni vengono poste in una sorta di mosaico sul giornale. Nei decenni successivi
iniziarono a nascere nuove pubblicazioni, periodici in particolar modo, in Francia si diffusero gli
occasionnels, che pur mantenendo il formato dei libri raccoglievano notizie recenti. Nel XVII nacquero in
Europa le pubblicazioni con cadenza settimanale, che furono presto ostacolate e represse dal potere che le
vedeva come una minaccia, in quanto capaci di far veicolare informazioni e idee velocemente. A metà XIX
secolo furono introdotte diverse novità tecnologiche che cambiarono le cose: il torchio a vapore, la capacità
di riprodurre immagini fotografiche in serie, il telegrafo di Morse, queste innovazioni favorirono
un’abbreviazione degli step e rendevano più veloce il passaggio tra l’avvenimento e la diffusione di una
notizia. Dal punto di vista commerciale, la diffusione dei quotidiani fece fare alla pubblicità passi da gigante,
soprattutto con l’ampliamento della platea grazie all’introduzione della penny press.

3.3 Dalla penny press ai penny dreadful

Per penny press intendiamo la strategia commerciale di produrre giornali venduti a basso costo. Questa
novità nasce con Benjamin Day, che nel 1833 decise di vendere un foglio al costo di un centesimo,
destabilizzando un mercato solito a distribuire i quotidiani al costo di 6 cents. Questo causò una veloce
democratizzazione del mercato dell’informazione, allargando parecchio la platea. Questo fenomeno si lega
anche all’abbassamento dei costi della stampa dedicata all’intrattenimento, un nuovo mercato di prodotti
culturali che fu definito penny dreadful. Alla base di tale tecnologia c’è una decisiva innovazione

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tecnologica: il torchio da stampa, inventato nel 1814, che incrementò fino a 4 volte la produzione di fogli
rispetto alla tipografia artigianale. Queste novità portarono alla formazione di un pubblico di massa
interessato agli affari economici e politici, cosa che alimentò la domanda di informazione popolare come
strumento di partecipazione alla vita pubblica. Il costo di 6 centesimi rendeva i giornali poco accessibili,
soprattutto per gli operai, che anche se alfabetizzati non riuscivano a partecipare alla nuova cultura della
società di massa. Day, oltre che rendere i giornali più accessibili, portò anche altre novità: la figura dello
strillone, venditori ambulanti che anticipano le notizie vendendo i giornali in maniera capillare, ai cittadini
per strada, si tratta di una figura ricorrente nel film hollywoodiani, bypassando così anche l’edicola. I penny
press erano diversi anche per contenuto, c’era una prevalenza di notizie di cronaca a carattere
sensazionalistico, la libertà di stampa negli USA non era soggetta alle regole europee, tutti potevano
pubblicare quotidiani, senza licenze o autorizzazioni. Per ridurre i costi il NY Sun faceva ricorso alla
pubblicità, infatti Tocqueville evidenziò come, nei giornali europei, ci fossero pochissimi annunci
commerciali, poche notizie generiche e tante notizie riguardo la politica, in America invece, c’erano
tantissimi annunci, il resto lo prendevano notizie politiche e aneddoti. Per spiegare il passaggio da stampa
tradizionale a stampa di massa, Tocqueville fa un paragone tra la stampa europea e quella americana: la
stampa europea/francese, ha lo scopo di scatenare discussioni riguardo gli interessi dello stato, la stampa
americana consiste nello stimolare le passioni di coloro a cui si indirizza il giornale, verso, non i piani alti
dello stato, ma il popolo, nel privato, con i vizi e le debolezze. Ben presto il modello americano si diffuse
anche in Europa, in Francia nacque “La Presse” su modello del Sun, che superò grazie alla creazione di un
ufficio che gestiva gli annunci commerciali. Il nuovo modo di fare stampa allarmò coloro che vedevano nella
stampa una minaccia, poiché credevano che esso potesse infangare la politica rendendola banale e barbara,
ma ad ogni modo, l’informazione stava rendendo il dibattito politico molto più accessibile e comprensibile
alle folle.

3.4 Dalla stampa popolare alla letteratura popolare

Una volta razionalizzato il modello industriale e commerciale della stampa quotidiana, avviene una
progressiva riorganizzazione dei contenuti che arriva a coinvolgere anche la letteratura ponendo le basi per
quelle che saranno le attuali forme narrative: quelle seriali e post-seriali. La letteratura popolare, che indica
sia la letteratura creata dal popolo che quella indirizzata al popolo, è stata spesso accusata di inseguire
solamente le strategie di mercato, ma è proprio la letteratura popolare che ha dato vita a generi quali il
poliziesco, l’horror, la fantascienza. Nascono figure a metà strada tra imprenditore e intellettuali e tecniche
come la suspense, che spingono l’acquirente a non interrompere il discorso e quindi ad acquistare il
prossimo episodio. Brancato afferma che la serialità non è solamente la soluzione ad ottimizzare il rapporto
tra risorse produttive e pratiche di consumo, ma anche una modalità di narrazione immersiva che va a
ripescare dal passato ciò che la Modernità ha spazzato via dai discorsi: le esperienze comunitarie.

Tra la metà del XIX secolo e quella del XX si diffondono in Europa i “feuilleton” (romanzi d’appendice/penny
dreadful/dime novel) distribuzioni seriali che, nello spazio dedicato alle riflessioni sui fenomeni culturali e
artistici inizia ad interrogarsi a proposito di fenomeni sociali come la diversità etnica, la trasformazione dei
costumi e i conflitti della vita metropolitana. Con i feuilleton viene superato il reportage oggettivo per dare
spazio alle riflessioni, dando vita anche ad un processo di ridefinizione dei significati collettivi, questo
formato con la crescita del giornalismo e la diffusione dei giornali, raggiunge un’ampia popolarità
riformando le pratiche di lettura e di discussione dei contenuti. Dunque, non possiamo ridurre il feuilleton a
un genere letterario, esso ha dato il via al newstainment, è stato luogo di discussione di fenomeni sociali e
fornito ai lettori gli strumenti per fare delle riflessioni su di essi prima che nascessero le scienze sociali.

Umberto Eco, nel “Superuomo di massa: Retorica e ideologia del romanzo popolare” (1979) parla delle
origini del romanzo d’appendice, evidenziandone il successo che riscuote sin da subito. In questo caso il
termine popolare non vuol dire popolare o rozzo, ma aperto a tutti, basato su temi di vastissimo interesse,

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tra cui ricordiamo La Commedia Umana di Balzac. Il feuilleton nasce sulla scia dell’innovazione americana
che rese la stampa accessibile a tutti, narra le condizioni del proletariato e del sottoproletariato urbano, un
universo rigido a cui contrappone gli umili ai potenti, dove emerge la figura di un Superuomo che difende e
vendica i più deboli. Il feuilleton non si presenta come un formato dalle aspirazioni rivoluzionarie
impossibili, ma come un mediatore dei conflitti che caratterizzano la modernità. In questi racconti viene
posto l’accento sulle ingiustizie sociali che richiedono l’intervento di qualcuno dall’alto, qualcuno di nobile
come il Superuomo che si presenta come un nobile eroe del popolo, immagine della giustizia, nel Conte di
Montecristo di Dumas abbiamo Edmond Dantès che pur essendo un Superuomo rivela un conflitto interiore
dovuto alla complessità del contesto storico. Eco sottolinea la struttura di questi racconti che rispettano lo
schema della poetica aristotelica, inizio, tensione, climax, scioglimento e catarsi e il carattere mitico: le
trame dei feuilleton traggono aspirazione dai racconti dei miti, così come tanti dei romanzi popolari che
verranno dopo.

Anche se il tasso di analfabetismo in Europa è ancora molto alto nel XIX secolo, il romanzo popolare
coinvolge comunque il popolo, in particolar modo con il romanzo di appendice abbiamo un vero e proprio
fenomeno sociale, in cui alcuni rintracciano anche le origini dei moti socialisti che culminarono nel 48;
coloro che non sapevano leggere si riunivano in spazi comuni per ascoltare la lettura dei propri romanzi
popolari preferiti.

In contemporanea, negli USA si diffondono i cosiddetti “dime novels”, romanzi popolari ed economici
concepiti per un consumo di massa e che seguivano uno schema preciso, ciò li rendeva praticamente
replicabili all’infinito e in più, essendo pubblicati a cadenza regolare mantenevano sempre il pubblico
soddisfatto. Pochi anni prima di questa introduzione Tocqueville aveva descritto la società americana
definendola fortemente eterogenea, poco alfabetizzata ma comunque assetata di letteratura a basso costo,
comprensibile e dal forte impatto emotivo, spesso caratterizzati da contenuto sessuale o violento. Lo scopo
di questi romanzi non era consolare, compiacere, era stupire, questo evidenziava la sostanza traumatica del
mondo moderno. Questi testi mettevano in evidenza un tratto comune nella produzione e nella recezione:
la velocità, essi erano velocemente scritti, stampati e letti, questo perché oltre che essere semplici erano
anche praticamente già scritti, si trattava di romanzi che riprendevano i vecchi classici (di cui il popolo
appena alfabetizzato non era a conoscenza) con delle modifiche per adattarli all’attualità e che facevano
riferimento alla metropoli, alle nuove tecnologie ecc. Si trattava di romanzi di genere (dall’horror allo storico
al fantascientifico) diffusi soprattutto nei paesi anglosassoni e che venivano realizzati da lavoratori
intellettuali che non avevano alcuna voce in capitolo nella produzione e venivano pagati a cottimo.

3.5 L’importanza delle immagini nel giornalismo novecentesco

Il contenuto di una fotografia è storia, ciò vuol dire che è sempre rappresentante di un momento passato
rispetto a quando la si osserva. Benjamin nel 1930 afferma che la fotografia ha il potenziale di svelare la
storia, a partire dal XIX il fotogiornalismo ha plasmato il modo in cui vediamo il mondo, esso nasce
nell’ambito della guerra, in particolar modo durante la Guerra di Crimea, poi si espande a tutti gli eventi
degni di testimonianza, sport, politica, diventano una forma di storytelling a sé. La fotografia ci dimostra che
una cosa di cui prima dubitavamo, è vera. Chiaramente, come sempre, anche in questo caso il progresso va
di pari passo in ambito culturale e tecnologico, il fotogiornalismo è possibile solo grazie all’avanzamento
delle tecniche ad incisione, fu Illustrated London News il primo a farne uso. Negli Stati Uniti durante la
Guerra Civile Americana, il fotografo Brady fu autorizzato dal presidente Lincoln a seguire i soldati sul campo
di battaglia per fotografarli, iniziò dai ritratti prima della partenza, per poi fotografare agghiaccianti momenti
di guerra, anche se mai in movimento a causa delle tecnologie limitate. Egli era accompagnato da una
grande equipe di 20 persone, ma etichettò sempre le immagini come sue, per questo fu criticato, ma ebbe
comunque tanto successo sin dalla prima mostra rendendolo uno dei pionieri del fotogiornalismo.

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Ben presto il settore del fotogiornalismo andò oltre l’ambito bellico, in particolar modo si diffuse finalmente
l’opinione che anche il quotidiano era degno di essere fotografato e non solo l’evento straordinario. Ci
furono due importanti innovazioni che contribuirono all’espansione della cultura visuale nel giornalismo, la
stampa a mezzi toni che consentì di stampare l’intera gamma di ombreggiature accelerando il processo e il
flash, che consentì una fotografia di interni più nitida. Quest’ultima cosa si rivelò importante per un
fotografo come Jacob Riis che iniziò ad immortalare, negli USA, la vita degli immigrati nelle baraccopoli di
New York, per la sua opera How The Other Half Lives, dimostrando l’importanza del reportage in foto come
stimolo per il cambiamento. Nel 900, dagli anni 30 agli anni 70 c’è l’età d’oro del fotogiornalismo,
innovazioni come la lampadina a incandescenza e la fotocamera compatta resero la fotografia una cosa più
accessibile e normale. Si diffuse il photo-essay grazie a riviste come il NY Daily News e il Life, e diverse
donne emersero nel panorama della fotografia. Margaret Bourke-White prima reporter di guerra
americana, realizzò la prima copertina del Life, Dorothea Lange che documentò gli effetti della Grande
Depressione, la sua fotografia Migrant Mother è diventata una fotografia iconica di quell’epoca. Nel
secondo dopoguerra, fotogiornalisti come Capa, Seymour e Cartier-Bresson fondarono un gruppo che
realizzava immagini importanti e famose per la contemporaneità, che costituirono l’ultima vera esperienza
compiuta di fotogiornalismo. L’emergere delle tecnologie digitali ha imposto al fotogiornalismo
cambiamenti radicali; il digitale rende infatti semplice la possibilità di manipolare in post-produzione un
qualsiasi scatto: è questa la contraddizione della fotografia, un mezzo attraverso cui si ritrae senza filtri una
scena, ma al tempo stesso può essere falsificata dalle nuove tecnologie. Con il carattere di immediatezza, i
social media mettono in crisi il lavoro del fotoreporter, poiché grazie a grafiche sempre migliori è possibile
condividere il più velocemente possibile delle immagini ad alta qualità.

3.6 Il digitale tra contaminazioni, migrazioni e strategie multi-piattaforma

Nel passaggio al secolo attuale l’industria dell’editoria ha cominciato ad attraversare un periodo di crisi, le
nuove tecnologie, infatti, rappresentano una vera e propria minaccia per il cartaceo. Al giorno d’oggi, infatti,
non è impossibile pensare ad un consumo di comunicazione prettamente digitale e non-cartaceo,
nonostante quel formato cartaceo sia stato per anni e anni la colonna portante della comunicazione e una
sorta di diario della specie umana. La crescente diffusione di internet e le dinamiche sociali con i relativi
cambiamenti nei modelli di consumo operano una forte pressione sull’industria editoriale. Il declino della
diffusione dei supporti a stampa ha un impatto negativo sui ricavi degli editori, rispecchiando il
superamento del fisico/cartaceo da parte del digitale, per questo gli editori sono spinti a trovare soluzioni
strategiche per sopravvivere. Generalmente l’approccio che viene proposto è quello di una riprogettazione
multi-piattaforma, che da un lato è positivo perché ci si avvicina ad un pubblico che altrimenti non sarebbe
catturato, come i giovani, inoltre, offre opportunità di innovazione, ma dall’altro questi cambiamenti
rischiano di penalizzare le aziende che non si adattano al nuovo ambiente digitale. Le nuove tecnologie
offrono ai produttori un’opportunità di analizzare, monitorale e soddisfare i gusti e gli interessi dei fruitori.
Altri settori, tra cui la produzione cinematografica, musicale ed editoriale hanno incontrato difficoltà
nell’adeguare le proprie tecniche produttive alle nuove strategie di business nell’era digitale. È importante
sottolineare che essere un editore multi-piattaforma non è come essere un editore tradizionale, le
competenze sono infatti diverse, questo porterà, infatti, ad una riallocazione delle risorse in tutto il settore.
Anche il modo in cui le pubblicazioni vengono prodotte e pubblicate è cambiato, l’ibridizzazione della
produzione ha avuto un certo impatto sulla routine e i flussi di lavoro. I video, le immagini e la grafica hanno
una certa importanza nel successo e nell’apprezzabilità di un prodotto, da qui ritorniamo quindi alla teoria
di McLuhan secondo cui il medium è il messaggio e non il contenuto. L’immediatezza diventa un imperativo,
la stessa scrittura delle news è cambiata, con maggiore enfasi su formati digitali tipici come i blog, in cui si
fornisce immediatamente un resoconto della notizia principale da approfondire dopo, a differenza della
lunghezza standard dell’articolo classico. Grazie alle nuove tecnologie, che ridisegnano i rapporti tra media e
utenti, i produttori hanno l’opportunità di osservare le statistiche in tempo reale e ridisegnare, così, la

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propria produzione, in base al feedback e al pubblico formatosi, di conseguenza sarà più semplice
monitorare e soddisfare il pubblico. Se da un lato il digitale rende possibile la realizzazione di un quotidiano
fatto su misura, ciò non costituisce un vantaggio per l’industria editoriale, che ha ancora bisogno di
sostenere costi abbastanza alti per mandare avanti la produzione tradizionale, e di conseguenza, di vendere.
In sintesi, la personalizzazione dell’esperienza informativa è una minaccia per la produzione tradizionale,
che potrebbe scarseggiare di risorse e di conseguenza gli editori faticherebbero a restare all’interno delle
economie di scala. Ivar John Erdal analizza le sfide legate al passaggio da tradizionale a ibrido o digital first. Il
digitale, infatti, in costante crescita, tende a rubare anche il tempo e l’impegno da dedicare al tradizionale.
Per risolvere il problema fondi, è stato di recente introdotto un abbonamento periodico o una tantum per la
lettura di quotidiani online, il paywall, spesso considerata una mossa disperata. Una cosa è certa: per gli
editori, il nemico è il contenuto digitale gratis, per questo è comunemente accettato il paywall, di tre tipi:
hard (non ci sono contenuti gratis), soft (alcuni contenuti sono gratis) e metered (i contenuti gratis sono di
numero limitato per utente). Certo, pur essendo una scelta commercialmente intelligente, ha molti lati
negativi: compromettono l’apertura del web, l’informazione viene privatizzata, non è accessibile a tutti, si
restringono le voci e i punti di vista della stampa = conseguenze sull’opinione pubblica. Ad ogni modo, la
stampa sta attraversando una crisi senza precedenti, i ricavi del cartaceo continuano a precipitare e i
paywall non sono abbastanza per sostenere la produzione ibrida, tuttavia, Tocqueville penserebbe che
questa sfida non sarà la morte del giornalismo, anche se il cartaceo dovesse scomparire, perché è troppo
importante per la società e per la democrazia, di conseguenza la soluzione è nella sperimentazione delle
nuove tecniche e dei nuovi modelli giornalistici, in grado di bypassare la crisi momentanea.

Capitolo 4

4.1 L’arte tra unicità e ripetizione

Gli effetti della Rivoluzione Industriale ebbero un grande impatto sull’800, le novità in ambito tecnologico
avevano modificato il concetto di società e di città, così come avevano plasmato i bisogni degli individui, che
ora erano molti di più. Il luogo per eccellenza era la metropoli, una grande città urbana che fa da sfondo alle
vicende della folla, e poi massa, e all’attività lavorativa, che richiedeva sempre più manodopera. La
cosiddetta massa era costituita da un agglomerato di persone eterogenee ma allo stesso tempo
apparentemente indistinte nella folla. Al processo di modernizzazione si deve anche la diffusione della
stampa, che consentiva alle informazioni di circolare velocemente; ciononostante, l’analfabetismo era
ancora un ostacolo, e per questo furono introdotte le immagini, al fine di rendere le notizie comprensibili
anche agli analfabeti. Francisco Goya è considerato da molti uno dei primi reporter grafici della storia,
testimone delle guerre napoleoniche. Dall’800 in poi grazie ai processi di riproducibilità anche delle
immagini, queste ultime assunsero nuovi significati con nuovi formati nella pubblicità, nell’editoria e nel
fumetto.

4.2 Illustrazione popolare e moltiplicazione dello sguardo

La storia del segno comincia con le pitture rupestri, passa per la separazione tra pittura e scrittura e arriva
fino all’immagine riprodotta e alla stampa. È proprio la stampa, infatti, ad aver dato inizio alle nuove
generazioni di culture della comunicazione, aprendo il campo alla sensibilità collettiva dei media moderni.
L’etimo della parola illustrazione rimanda alla pratica di abbellire i libri con lustri, ovvero abbellimenti che
rendevano l’impatto visivo più piacevole. Grazie alla stampa e alla riproduzione l’informazione diventa alla
portata di tutti, della classe elitaria che è sempre il primo target delle innovazioni, ma anche delle più
imprevedibili folle che sviluppano a partire da quest’epoca il desiderio di far parte della vita pubblica.

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Inizialmente le illustrazioni diventarono protagoniste dei giornali di satira politica, che prediligevano le
illustrazioni come medium, questo fenomeno fu causato dall’emergere della classe borghese e di
conseguenza dalla formazione dell’opinione pubblica. Il successo della satira favorì la diffusione del
periodico e del quotidiano, il medium metropolitano per eccellenza. Pioniere dell’illustrazione è Doré, che
ricordiamo anche per le sue celebri immagini sulla Divina Commedia di Dante. Con Doré l’illustrazione aveva
una vocazione prettamente narrativa, con lo scopo di accompagnare con le immagini la letteratura, infatti,
se gli altri si concentrarono su periodici e gazzette, lui si focalizzò sui libri, inconsciamente anticipando
quella che sarebbe stata la svolta audiovisiva, questa novità coinvolse un pubblico sempre più ampio e
dinamico.

4.3 Un rutilante mondo di carta: le riviste popolari

L’800 puo’ essere considerato l’epoca del romanzo illustrato, dai Promessi Sposi a Pinocchio. Anche
all’interno delle dime novels/penny dreadful le illustrazioni svolgevano un ruolo chiave, come sappiamo si
trattava di romanzi d’appendice dal forte impatto emotivo, caratterizzati da temi intensi e irruenti, che di
conseguenza si trasformavano in immagini altrettanto d’impatto, sia per quanto riguarda la copertina, con
colori accesi e coreografie visive anche controverse, sia le illustrazioni interne solitamente in bianco e nero.
Il fenomeno fu ancora più accentuato con l’avvento dei Pulp Magazine, contenitore editoriale a basso costo
per un pubblico di massa sempre più ampio ed alfabetizzato, individualizzato ed autonomo rispetto alle
pulsioni dell’immaginario collettivo ma che comunque ricercava nelle immagini la condivisione di pulsioni e
inquietudini collettive. Ad aiutare la diffusione dei libri fu l’invenzione dei paperback, dei libri in brossura
molto più economici.

4.4 Il manifesto come arredo metropolitano

La disponibilità a stampare immagini disegnate permette di sperimentare nuovi spazi della comunicazione
visiva. Ben presto l’illustrazione troverà del potenziale virale nella pubblicità, ovvero la dinamica mediale
che veicola informazioni con lo scopo condurre la merce al consumo. Nel contesto della metropoli la
pubblicità iniziò a svolgere un ruolo importante, l’immagine diventa essa stessa merce e permette al
pubblico di orientarsi tra i diversi prodotti del consumo, nell’800 infatti le strade sono arredate dai
manifesti, illustrazioni che narrativizzano i prodotti allo scopo di sottolinearne il valore, l’utilità, il significato
simbolico, la straordinarietà che la rende spettacolo della vita quotidiana attraverso le vetrine, i grandi
magazzini ma anche eventi più grandi come le Grandi Esposizioni Universali, che introducono le suggestioni
dell’”altrove”. Pioniere di questo settore fu Toulouse-Lautrec, che divideva il suo lavoro in due parti: egli
realizzava opere serie e acclamate dalla critica, ma si prestava anche a realizzare manifesti e illustrazioni
pubblicitarie per eventi o per la stampa in generale, anche di spettacoli controversi come quelli del Moulin
Rouge, questo perché conduceva uno stile di vita dispendioso che doveva quindi sostenere con impieghi
ben pagati.

4.5 Il fumetto: origini e trasformazioni di un linguaggio ambiguo

Il fumetto è un medium dotato di propri apparati di produzione e distribuzione, basato su un contratto che
esso stabilisce con il pubblico, un pubblico particolare poiché ha a disposizione gli strumenti di decodifica
per comprenderlo. Erroneamente viene spesso considerato un genere, ma ciò non è perché il fumetto puo’
rappresentare tutti i generi, dunque non puo’ esserne uno. Esso non puo’ neanche essere definito un
apparato espressivo perché così si escluderebbe la fruizione concentrandosi troppo sulla produzione.

La storia del fumetto comincia alla fine dell’800, quando in un luogo conosciuto come la metropoli,
l’illustrazione invade ogni ambito della comunicazione e del visuale: carta da parati stampata, manifesti,
riproduzioni di opere d’arte, letteratura con immagini, pubblicità, tutto include le immagini grazie alla
riproducibilità in serie dei disegni. Il fumetto nasce come una risposta alla crescente domanda di
comunicazione, è infatti uno dei dispositivi linguistici e una delle pratiche collettive che rimodellarono la
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percezione del mondo in quel periodo. Il fumetto nasce in concomitanza con il cinema e la radio,
convenzionalmente, nel 1895 quando i fratelli Lumière presentano il cinematografo, Tesla cominciò la
sperimentazione per la radio ed esordì sul New York World un personaggio illustrato che diventerà poi
celebre come il bambino giallo, l’autore era Outcault. Il bambino era calvo, con grosse orecchie e indossava
un camicione giallo, viveva in un quartiere del sottoproletariato e le sue vicende narravano le interazioni con
i cittadini, degli immigrati che storpiavano l’inglese, si trattava quindi di un genere prettamente comico, agli
inizi. Le vignette erano accompagnate da didascalie, cartelli e scritte sulle immagini che spiegavano la trama,
e alla fine un singolo balloon, tipico del fumetto. Nonostante convenzionalmente questo evento segni
l’inizio del fumetto, diverse rappresentazioni simili erano già comparse all’inizio del secolo. Tuttavia, il
bambino giallo offre delle innovazioni dal punto di vista comunicativo. La radio, il cinema e il fumetto sono
tutti e tre media audiovisivi, proprio ciò su cui ci si concentrava da quel momento, mentre il cinema ha una
propria tecnologia che consente il movimento delle immagini e il suono, il fumetto si fonda
sull’immaginazione e sulla decodifica del lettore, che immaginerà il movimento e l’audio. Il fumetto sulla
pagina della domenica prese il posto di un’iniziativa che si era rivelata un fallimento, e che era anche
fortemente esplicativa: l’arte classica su cui gli editori avevano puntato non interessava i lettori, che erano,
ormai, la massa, e non l’élite. Ciò che interessava alla massa era la vita quotidiana, infatti i primi fumetti si
focalizzarono sulla vita metropolitana, coi suoi conflitti e rapporti sociali, nonostante ciò, il linguaggio
rimaneva indietro, e spesso il testo si limitava a commentare piuttosto che a narrare; inoltre, nonostante il
grande successo, i fumetti non potevano essere proposti per interoquotidianamente sia perché era
impossibile produrre così tanti disegni a mano, sia perché economicamente non si trattava di un costo
sostenibile, per questo delle piccole vignette, solitamente due o quattro, in bianco e nero furono introdotte
nelle pagine quotidiane per rimandare all’appuntamento domenicale. Per dare più impatto al racconto si
introdusse il gag, ovvero la tecnica di terminare la vignetta con il culmine della comicità, successivamente,
con il climax. Gli episodi della settimana generalmente culminavano con quelli della domenica. Il pubblico
era fortemente coinvolto nella realizzazione dei fumetti, partecipando alle scelte comunicative e mettendo
finalmente da parte la tradizione ottocentesca, col fine di ammodernare la comunicazione, così nacque,
dunque, il fumetto come oggi lo conosciamo, un’arte sequenziale (Will Eisner). L’uso della nuvoletta/balloon
non fu accolto con facilità, per molti era inadeguata e inferiore al testo scritto, infatti, in Italia veniva
sostituita da una didascalia in basso. Ma ben presto le cose cambiarono: il testo scritto nei fumetti
ostacolava il rapporto tra lettore e fumetto, le nuvolette, invece, erano capaci di conferire alle illustrazioni
una certa indipendenza e la capacità di costruire discorsi e narrazioni senza l’aiuto di testi, oltre che
contribuire a creare una comunicazione diretta e coinvolgente con il lettore. Il fumetto raggiunge un livello
superiore negli anni 20-30, quando cessa di essere un medium basato solo sulla comicità per abbracciare gli
altri generi, allo stesso tempo si slega dal quotidiano e fonda un formato indipendente, il comic book. Con
questi nuovi traguardi, il fumetto raggiunge il suo apice e con il cinema e la radio definisce le modalità
novecentesche dell’industrializzazione dei processi culturali. Il rapporto che si instaura tra i media vede il
fumetto in una posizione ambigua, poiché è il linguaggio dai costi più bassi e allo stesso tempo è il medium
più produttivo nella creazione di nuovi immaginari, infatti, da sempre e ancora oggi il cinema trae
ispirazione dai fumetti, è il caso dei film hollywoodiani degli anni 80 basati sui fumetti francesi degli anni 70,
così come i blockbuster cinematografici basati sui fumetti dei super eroi.

Il pubblico, grazie al successo dei diversi media, è capace non solo di comprendere e decodificare i linguaggi
presenti nei diversi spazi, ma anche di passare da un linguaggio all’altro con facilità, giungendo a possedere
una padronanza comunicativa e recettiva senza precedenti. Comprendere il fumetto, quindi, era tutt’altro
che semplice, questo perché non solo bisognava comprendere due codici, quello delle immagini e quello del
testo, ma anche farlo contemporaneamente, visto che rimandano l’un l’altro e vanno interpretati allo stesso
momento, se si vuole realizzare al 100% un’adeguata esperienza di lettura di comics.

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Con la diffusione dei comics book il fumetto raggiunge un nuovo apice, migliorando la qualità del racconto e
della produzione, ma anche la distribuzione e il rapporto con il pubblico, tenendo conto delle reazioni.
L’apertura a nuovi generi portò ad un ampliamento del pubblico, che divenne molto più variegato. Furono
introdotti i personaggi iconici di Topolino e Superman, inizialmente le narrazioni erano stereotipate e
ripetitive, col tempo sempre più elementi furono introdotti, con cenni storici e generazionali.

Il declino del fumetto comincia con la competizione da parte della televisione e poi dell’informatica,
cosicché il medium passa dall’essere un formato del consumo di massa all’essere un fenomeno di nicchia,
diffuso in alcuni gruppi di giovani e sostenuto solo da coloro che pensano di utilizzare gli immaginari
prodotti dai fumetti per produzioni cinematografiche o televisive. Il fenomeno più rilevante di fine 900 è il
manga, giapponese o coreano, che conserva una rilevanza abbastanza ampia anche oggi.

Per far fronte alle novità e al declino, il fumetto ha introdotto il formato del graphic novel/romanzo a
fumetti, distaccandosi dall’edicola, un settore in forte crisi. Ad oggi il consumatore di fumetti è perlopiù
l’adolescente lettore avventizio ed esponente di nuove generazioni.

Il continuo rinnovo delle strategie di marketing delle case editrici non deve suggerire che il fumetto, come il
cinema, sia in declino: esso muta nella fase di ri-mediazione digitale dei mezzi di comunicazione. Vi sono,
per esempio, numerosi siti web sui comics, che danno ulteriore supporto ai tradizionali fumetti rinnovando i
vecchi linguaggi analogici.

Capitolo 5

5.1 I meccanismi della visione

Gli storici del cinema tendono a collocare la nascita di questo medium alla fine del XIX secolo, nel 1895,
anno in cui i fratelli Lumière brevettarono il cinematografo, che in realtà costituiva il miglioramento di una
lunga serie di precedenti invenzioni come: la camera oscura che nacque nel Rinascimento (essa consiste in
un ambiente chiuso e senza luce alla cui estremità è praticato un piccolo foro, la luce esterna bene tra da
quest’ultimo e proietta sulla parete opposta l’immagine di ciò che sta al di fuori della camera), la lanterna
magica di Kircher, il fenachistiscopio, il praxinoscopio (teatro ottico), il kinetoscopio e infine il cinematografo
dei fratelli Lumière.

5.2 Nascita della fotografia

Parallelamente alle ricerche per il movimento delle immagini, in USA ed Europa numerosi scienziati ed
inventori erano alle prese con la fotografia, riprendendo i principi della camera oscura. Il francese Nicéphore
Niépce inventò un primo processo di fissazione delle immagini basato sull’azione chimica della luce. Il suo
insegnamento fu accolto e perfezionato da Daguerre che inventò il dagherrotipo, riuscendo a immortalare
paesaggi su lastre di rame argentato, diversi sperimentatori ripresero lo strumento cercando di
perfezionarlo e renderlo più efficace, in modo da realizzare immagini di qualità superiore. Daguerre sin da
subito comprese la caratteristica che avrebbe reso celebre il suo strumento: la possibilità di immortalare nel
tempo le persone e le immagini, così da conservare i momenti e i propri cari, anche dopo la loro morte.
Negli USA, George Eastman procedeva verso una semplificazione della fotografia, al fine di consentirne
l’utilizzo di massa, anche per fare delle copie delle immagini già fotografate. Il formato che ebbe subito
tanto successo fu quello del ritratto: farsi immortalare dagli artisti era tipico dei nobili, la fotografia rese
presto accessibile a più classi questa pratica, visto che era economicamente più accessibile.

5.3 Tecnologia e modelli di consumo

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Nell’800 la conservazione della memoria faceva da spinta alla creazione e al perfezionamento di strumenti
audio-visivi, si trattava di una sorta di risarcimento nei confronti della brevità della vita e di una ricerca
dell’immortalità. In questo campo, la fonofissazione sembrava risultare più interessante rispetto alle
immagini, in quanto la conservazione di voci e momenti sembrava colpire più nel profondo gli individui, per
alcuni studiosi, la voce rimanda a un potere arcaico della comunicazione umana. Tuttavia, ben presto ci fu
uno spostamento del fine di tali strumenti, con l’introduzione del divertimento. Pur essendo la fabbrica
ancora centrale nella città e nelle vite, le persone iniziarono a cercare modi per svagarsi nei momenti del
tempo libero, per questo nelle case iniziarono a comparire pianoforti, fonografi, la pianola, dando vita
anche a nuovi fenomeni collettivi. Da questo momento abbiamo un fenomeno che si ripresenterà più volte
durante la storia delle innovazioni: strumenti che erano stati creati per uno scopo utilitaristico, vengono
utilizzati a scopo ludico, è quello che accade con il telefono e con la radio, oggetti creati per interessi militari
o commerciali, diffusisi poi per fini personali.

5.4 Cinematografo e cinema

Prima di arrivare al cinema come lo conosciamo noi oggi, esso ha dovuto attraversare diverse fasi a partire
dallo zooprassinoscopio di Edward Muybridge e dal cronofotografo di Etienne J. Marey, entrambi provarono
a fotografare animali in movimento, catturando con gli strumenti sequenze di fotogrammi che messe
assieme davano vita a quello che sembrerebbe un video a tutti gli effetti. Sulla base di ciò cominciarono
diverse sperimentazioni, che avevano due problemi: quello dell’entrata e dell’uscita, ovvero lo strumento di
ripresa e quello di proiezione. Il primo a risolvere il caso fu Edison, utilizzando la pellicola inventata da
Eastman che consentiva di conservare le immagini riprese. Inizialmente la proiezione era individuale, Edison
in particolare non comprendeva i benefici della visione pubblica, poiché credeva di guadagnare di più
vendendo più attrezzi per la visione singolare. Quando successivamente ci fu la prima visione pubblica a
Parigi, l’accoglienza fu altamente positiva e iniziarono a diffondersi schermi su tutto il territorio e Edison si
arrese alla cosa. Morin opera una distinzione tra cinematografo e cinema: il cinematografo è la tecnologia,
l’attrezzo per riprodurre immagini realistiche, il cinema invece è un medium, socialmente condiviso da un
pubblico che ne fa mutare costantemente le forme e le caratteristiche.

5.5 Lo spettatore

Nel libro viene fatto un paragone tra l’esperienza della visione di un film e quella del sogno. Prima di tutto,
la situazione e l’atmosfera in cui si è immersi richiama fortemente quella onirica: il buio, l’isolamento
apparente, lo schermo illuminato, le proporzioni giganti assunte dagli attori con il focus su diversi punti, il
cinema diventa sempre più immersivo e lo spettatore rimane sospeso tra incredulità e coinvolgimento. Il
cinema ad un certo punto inizia ad assumere un ruolo di venditore, potremmo dire, poiché con i film è
capace di far desiderare al pubblico determinate cose, ma anche di vendere l’immaginario e le figure degli
attori, considerati divi. Si tratta di un fenomeno che nasce a Hollywood per poi diffondersi tra le major di
tutto il mondo. Chiaramente a determinare il successo di produzioni ed attori c’è il pubblico, per questo pian
piano diventa sempre più importante capire quali sono i gusti e i desideri del pubblico per soddisfarlo, il che
non è sempre facile poiché le tendenze, le correnti e le emozioni collettive sono in continuo cambiamento e
spesso molto effimere.

5.6 Per una sociologia del cinema

Negli anni 40 non si comprendeva ancora il valore del cinema, infatti, la sociologia non gli attribuiva un
valore che andava oltre gli altri campi d’indagine, non capendo che si trattava di un fenomeno di massa che
poteva essere utile dal punto di vista sociologico. Infatti, solo con un approccio storiografico si è giunti alla
conclusione che i film sono paragonabili a reperti utili a ricostruire eventi o processi storici, e quindi per
osservare anche dinamiche antropologiche e sociologiche. L’apice di questa osservazione viene raggiunto
negli anni 1930s, quando l’industria culturale e il sistema dei media di massa producono forme simboliche

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capaci di rappresentare le modalità dell’esistenza moderna. Dal punto di vista delle comunicazioni di massa,
il focus va sul fatto che il cinema è capace di indirizzare ed influenzare il consumo degli spettatori.

5.7 Spettacolo, corpo e territorio

Il cinema delle origini si rifà alla tradizione teatrale, alla cultura del romanzo borghese, alle Esposizioni
Universali, ai viaggi in ferrovia, all’elettrificazione del territorio, alle scoperte scientifiche, alla telefonia e agli
spazi metropolitani, i cartelloni pubblicitari svolgevano un importante ruolo nelle strade. Se non
considerassimo l’estensione dell’influenza del mondo dello spettacolo, di cui il cinema è la tecnologia e la
fase più avanzata, il cinema sarebbe un oggetto sostanzialmente oscuro, così come se ignorassimo le
tendenze del moderno verso il fantasmagorico.

A proposito dei contenuti offerti dal cinema c’è stato un dibattito sociologico che ha messo in evidenza le
contraddizioni e le evoluzioni della produzione di alcuni creatori, Edison passò dalle rappresentazioni
popolari americane con ballerini e acrobati circensi a documentari storici, i Lumière passarono dai
documentari alle commedie, ben presto comparvero anche i film pornografici che ebbero successo in un
momento in cui, a cavallo tra i due secoli, ci fu una riconsiderazione del sesso dopo un periodo di
repressione alla fine del XVIII secolo. Nei primi anni dell’industria cinematografica i meccanismi strategici
venivano visti con accezione negativa, come svendersi ad un pubblico rozzo e popolare, attratto dalla novità
e dal prezzo basso, ma che allontanava il cinema dal concetto di arte. Il giudizio di queste letture non tiene
conto della ricchezza che il cinematografo contribuiva a dare al pubblico metropolitano: pratiche multiple e
complesse che rimandano al mito e a conoscenze non linguistiche.

5.8 Apparati e pubblico

Negli anni 30, grazie al cinema le comunicazioni di massa portano a compimento un processo di rivisitazione
dei rapporti tra l’individuo e la società. La teoria critica della società vede negli eventi di quel periodo il
massimo grado di alienazione del soggetto nella civiltà industriale. Nel corso del decennio avviene la crisi
del testo scritto, messo in dubbio dai nuovi sistemi multimediali e in particolar modo dallo spettacolo, che
cerca di simulare la realtà, rappresentandola al pubblico ed entrando sempre più nella sfera privata. In
ambito cinematografico, a Hollywood nasce lo studio system, un modello organizzativo di produzione che
ha contribuito ad un sistema di generi ben distinti. Hollywood è infatti ribattezzata come la fabbrica dei
sogni. Dopo essersi arreso alla proiezione pubblica, Edison combatte una guerra legale per il controllo sugli
standard dei proiettori, ma senza successo: dopo che la tecnologia aveva raggiunto una certa stabilità e
praticità, un gruppo di imprenditori fuggì dall’area di Edison per stabilirsi ad Hollywood, dove sarebbe nata
l’industria cinematografica più celebre al mondo, la cosiddetta fabbrica dei sogni, dove registi come Porter e
Griffith iniziarono ad usare il montaggio a fini narrativi.

5.9 Il montaggio

Si parla di montaggio cinematografico a partire da Meliès, le cui sperimentazioni visive, volte a suscitare
stupore, producono il passaggio da un’unica inquadratura (dunque uno spazio-tempo limitato) a
un’inquadratura molteplice caratterizzata da differenti ambiti spazio-temporali, l’introduzione del
montaggio diede spazio agli effetti speciali: salti nel tempo, apparizioni, trasformazioni, cose che stupivano
lo spettatore. Nel cinema l’inquadratura seleziona il campo dell’immagine che si vuole mostrare allo
spettatore, ritagliando una cornice dal totale, se in passato si aspirava ad una rappresentazione realistica
della vita, con le nuove introduzioni si aspira più a sottolineare la narrazione e il valore emotivo, che avrà
impatto sullo spettatore. Grande contributo lo diede Porter, il quale escogitò un montaggio parallelo, in cui
la macchina da presa segue il progredire di più eventi, ricostruendoli in modo alternativo sullo schermo;
l’obbiettivo è quello di coinvolgere all’interno della narrativa attraverso più piani di ripresa differenti tra loro.
La tecnica diventa un elemento fondamentale per una narrazione funzionale all’ideologia dell’industria
culturale. Si evince una differenza tra cinema americano e cinema sovietico: il primo privilegia l’uso del
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primo piano per sottolineare la carica emotiva e la trama, il secondo sottolinea la tecnica e l’importanza del
dettaglio che assume forte valenza simbolica. L’esperienza percettiva del cinema muta negli anni 20 e 30 con
l’introduzione del sonoro: il cinema che precede questa innovazione viene definito muto.

5.10 Il sonoro

Gli storici individuano in “The jazz singer” il primo film sonoro, anche se c’erano già stati in passato degli
esperimenti con il sonoro, il 1927 diventa l’anno di questo salto tecnologico che trasforma profondamente
l’attività dello spettatore cinematografico. Sul finire del secondo decennio del 900 il pubblico individua nel
cinema sonoro il compimento tecnico e linguistico delle strategie audiovisive. La risposta fu indubbiamente
positiva, poiché il sonoro ampliava il desiderio di consumo e stimolava più sensi contemporaneamente, ma
la novità incontrò anche delle resistenze, in particolar modo da Charlie Chaplin e Ejzenstejn, ma essi non
poterono nulla, anche perché la necessità del suono era spesso evidente nei film “muti”, che spesso
facevano leva sull’immaginario del pubblico per l’audio. Anche i generi subiscono una notevole
trasformazione grazie ai nuovi repertori sonori: l’immaginario criminale viene animato da suoni di sirene
della polizia, dalle urla di dolore e dai frastuoni degli spari. La tecnologia del sonoro corona, dunque un
processo di consumo multimediale; inoltre, il sonoro cambia il rapporto tra spettatore e schermo, mutando i
codici e le forme della partecipazione.

5.11 Tra finzione e realtà

Il cinematografo conquista uno statuto linguistico riconosciuto e conquista il posto di settima arte nel
momento in cui si integra con le pratiche del consumo, ovvero quando tecnologia e spettacolo raggiungono
un equilibrio. Con la diffusione delle sale sul territorio il cinema diventa un’esperienza collettiva dal
carattere rituale, dando vita al fenomeno di massa e al medium come lo conosciamo oggi, passando da
cinematografo a cinema. Le discussioni riguardo al cinema sono sempre state numerose, prima sulla tecnica
e poi sull’estetica e sull’arte, ci si iniziò ad interrogare sulla strada che il medium doveva intraprendere, se
prima era diffusa l’idea che il film doveva avere un carattere utile dal punto di vista della documentazione,
ora emerge l’idea che il cinema sia più un medium per lo spettacolo e l’immaginazione, sottolineandone la
vocazione artistica. Ad ogni modo, al di là delle dispute, si andavano a formare sempre più i diversi generi
narrativi, Hollywood ebbe molto successo poiché seppe utilizzare un format che si ispirava a tutto ciò che
c’era stato in passato, dai miti alle fiabe, rendendolo comunque attuale e propenso a soddisfare le logiche di
consumo.

5.12 Il cinema nella cultura del 900

Nel 900 il nuovo mezzo di comunicazione di massa conquista un proprio statuto di legittimità, diffondendosi
in tutti i paesi occidentali e altrove. Il cinema spiega il mondo alle masse metropolitane, raccontandolo
attraverso una grande gamma di tematiche espressive. Tuttavia, anche la cinematografia risentì dell’esito
della Grande Guerra: gli equilibri politici europei e le identità culturali vacillarono fortemente. Negli anni
successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale si crearono le condizioni per spostare il polo magnetico del
cinema ad Hollywood, dove emigrarono tanti produttori. Questo era il segnale che qualcosa stava
cambiando a livello economico, politico e culturale in occidente.

5.13 L’arte della fabbrica

Fin dalle origini del cinema, era chiaro che dietro le aspirazioni artistiche ci fosse una fabbrica, in particolar
modo ad Hollywood fu molto evidente, veniva chiamato la fabbrica dei sogni, ed era palese che la
produzione fosse dettata da criteri industriali. Il ruolo del regista era soggetto alle logiche di mercato, vi era
una vera e propria catena di montaggio nelle major hollywoodiane, con dipartimenti altamente specializzati.
Tra il 1918 e la fine degli anni Venti gli americani investirono tanto nella produzione cinematografica, ma
anche nella distribuzione delle sale e nel loro esercizio. L’impronta industriale del cinema hollywoodiano e
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la sua ambizione verso il consumo di massa portarono all’espansione del prodotto “made in Hollywood” in
tutto il mondo, facendo concorrenza alla produzione locale, che negli anni 70 fu addirittura surclassata dal
cinema hollywoodiano. Esso si basava su tre coordinate essenziali:

- Lo studio-system: un metodo di produzione e distribuzione cinematografica dominato da un piccolo


numero di case cinematografiche "principali" di Hollywood, aveva lo scopo di massimizzare i
risultati ottimizzando le risorse, le case cinematografiche dominavano il settore controllando la
distribuzione e la proiezione, anche vendendo ai cinema pacchetti che contenevano grandi successi
ma anche i flop, in modo da non perdere i costi di produzione
- Lo star-system: basato sulle figure dei divi hollywoodiani, anche a teatro i divi erano idolatrati, ma
questo fenomeno raggiunse dimensioni epocali ad hollywood, sia per le tecniche cinematografiche
come i primi piani e in generale, la grandezza delle figure che li rendeva “grandi” agli occhi del
pubblico, sia perché le major pilotavano il lancio e il successo dei divi, che vedevano in loro una
fonte di guadagno sicura e trasversale ai generi. Spesso i film venivano prodotti con in testa degli
attori, oppure erano strumentalizzati per far vendere film creati appositamente.
- Il sistema dei generi: aderiva al criterio di massima specializzazione della manodopera e del lavoro
industriale, alcune figure professionali acquisivano sempre più importanza nella produzione dei
film: make up artist o tecnici degli effetti speciali, i generi inoltre consentivano di riutilizzare i set, i
costumi e le macchine di scena, questo fenomeno fu particolarmente visibile ad Hollywood.

5.14 Centralità della sceneggiatura e strategie dell’emozione

Il critico teatrale Georges Polti elaborò nel 1885 la cosiddetta “sociologia delle emozioni”, sintetizzava in 36
situazioni basilari lo sviluppo di ogni intreccio narrativo, per farla breve egli legava ad ogni situazione
drammatica una serie di emozioni che potevano essere scatenate nel pubblico. Questo schema sarà alla
base delle sceneggiature, fondamentali per il linguaggio cinematografico, lo scopo era quello di immaginare
il pubblico con il fine di comprendere quale la reazione sarebbe stata. L’acquisizione del modello industriale
ha consentito al cinema americano di conservare un’egemonia che dura ancora oggi. Nonostante lo star-
system sia cambiato, emigrato verso la moda e la musica, la produzione statunitense è stata capace di
utilizzare sempre a proprio favore l’innovazione tecnologica, anche grazie alla posizione sempre dominante
sul mercato cinematografico. Il cinema americano sin dall’introduzione del suono, e quindi dalle origini di
Hollywood, è sempre stato capace di rispondere alla domanda di maggior coinvolgimento sensoriale del
pubblico, ma anche di produrre idee e atteggiamenti che successivamente avrebbero penetrato la vita
personale degli spettatori.

5.15 Cinema e televisione

L’avvento della televisione avrà sulla storia del cinema un effetto indissolubile, sin da subito fu vista come il
medium che avrebbe distrutto il cinema, ma è interessante analizzarne il processo di competizione da
diversi punti di vista. Sicuramente, possiamo affermare che la TV ha messo una fine all’età d’oro di
Hollywood e del cinema americano, in un primo momento, infatti, non ci fu alcuna competizione, anzi, le
major statunitensi in particolare cercarono di integrarsi nel nuovo sistema. Nacque il theater television,
ovvero le sale proiettavano la programmazione televisiva per coloro che non avevano un apparecchio, ebbe
successo soprattutto per la proiezione di eventi di interesse comune, come quelli sportivi, ma questo
sistema andò in crisi molto presto, quando dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il boom economico, tutti
poterono permettersi un televisore, e così l’intrattenimento passò dall’essere comunitario a individuale,
tornando nelle case delle persone. Inoltre, possedere un televisore era uno status symbol. C’era un’altra
ragione per cui le major non riuscirono a garantirsi un posto nell’industria televisiva: il governo preferì che
fossero i magnati radiofonici ad avere il controllo delle reti televisive, al posto delle major cinematografiche.
Hollywood rispose a questo affronto con una doppia strategia, da alcuni considerata incoerente: da un lato
sviluppò produzioni cinematografica così all’avanguardia che non potevano essere riprodotte in TV,
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utilizzando il 3D o il Dolby Surround, dall’altro lato iniziò a vendere i film già proiettati alle case di
distribuzione televisive, per assicurarsi dei guadagni. Ad ogni modo era chiaro che la TV aveva avuto la
meglio, presto le produzioni iniziarono ad essere realizzate sui criteri della TV: scandite dai ritmi della
pubblicità, dalle dimensioni dello schermo, diverse major tradizionali furono addirittura inglobate dalle
imprese televisive. Questo conflitto sembra essere cessato a partire dalle dinamiche della globalizzazione,
che investono il sistema dei media eliminando le differenze tra tv e cinema.

5.16 Nuovi luoghi per il cinema

La televisione rispose alle esigenze di un pubblico ancora scosso dagli esiti della Seconda Guerra Mondiale.
Al tempo stesso, tuttavia, la tv permise la creazione di nuovi luoghi per il cinema: nascono nuovi formati per
la distribuzione di video. Questo scambio professionale tra cinema e tv è del tutto programmatico: molti tra
i registi cinematografici provengono da esperienze televisive (Tarantino, Ridley Scott), e al contrario grandi
produttori del cinema si avvicinano alla tv. È il caso di Rossellini, il quale fece televisione con la Rai per
sottrarsi alla logica mercantile del cinema.

5.17 Il cinema come effetto speciale

I media digitali ridefiniscono le modalità di utilizzo del cinema, a partire dal rapporto tra campo e
fuoricampo; tra le attuali potenzialità del computer, per esempio, troviamo tecnologie che permettono allo
spettatore di calarsi nel mondo digitale e interagire direttamente con esso. Il computer non è più solo uno
strumento con cui si fa cinema, ma diventa uno strumento e un habitat attraverso e in cui si consuma il
cinema.

Capitolo 6

6.1 Elettricità e istantaneità

Il sociologo McLuhan per dare una definizione di “età elettrica” parte da ciò che secondo lui separa l’epoca
che caratterizza la società preindustriale rispetto allo sconvolgimento prodotto dalla scoperta dell’elettricità
e dall’avvento della fabbrica. Fino a quel momento, al centro della cultura vi era la scrittura (cultura
alfabetica), che teneva la conoscenza ben separata dall’azione e dava ai processi sociali e comunicativi una
linearità che portò a stigmatizzare i ruoli e le funzioni dell’uomo della società. Questo sistema viene
sconvolto con la Rivoluzione Industriale, i progressi scientifici e tecnologici del XVIII e XIX secolo portano ad
un nuovo paradigma, dove conoscenza e azione si ritrovano in una forma unificata, poiché l’elettricità ha la
forza di estendere il sistema nervoso dell’uomo al mondo intero e di individuare il punto d’incontro tra i suoi
presupposti biologici e il divenire dei processi sociali. Dunque, l’individuo è coinvolto nella crescente
produzione di informazioni che viaggiano ad una velocità pari a quella degli impulsi celebrali. Davanti al
passaggio da un’era all’altra, McLuhan afferma che l’individuo è paragonabile ad un nomade alla ricerca
della conoscenza, che l’elettricità aiuta a stabilire una connessione con le cose. Mentre nell’era alfabetica
spiccano i parametri della linearità della scrittura e della lettura, nell’era elettrica si diffonde un modello
esperienziale basato sull’istantaneità e circolarità, dove all’occhio si sostituisce l’orecchio. Ciò che viene
modificato è il corpus sociale, che immerge gli individui in un flusso di informazioni che accorcia le distanze
in termini spaziali e temporali, arrivando a realizzare un “villaggio globale”. Nel XIX secolo, infatti, si assiste
alla “crisi di controllo” definita da Beninger come un bisogno di coprire le distanze materiali in tempi più
brevi, puntando alla simultaneità e all’istantaneità, partendo da nuove tecnologie dei trasporti. Lo scopo è
dunque quello di rendere prossimo ciò che è lontano, sfruttando la velocità dell’energia elettrica. Si parte
dal telegrafo elettrico di Morse culminata nell’invenzione del telefono del 1876.

6.2 Nascita della radio e intrattenimento wireless

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La percezione dell’hic et nunc diventa esso stesso un atto comunicativo. La particolarità della tecnologia
telefonica è che il telefono non solo si presta ad un uso privato, ma non richiede neanche una qualificazione
professionale per l’utilizzo, adattandosi perfettamente alla quotidianità e alla dimensione domestica delle
persone. Altra tecnologia che accorcia le distanze spaziotemporali è la radio senza fili di Marconi, essa viene
concepita a partire dai principi del telefono e del telegrafo, e sfrutta la capacità di propagazione delle onde
hertziane attraverso l’aria, abbattendo qualsiasi limite temporale e geografico nel mondo. L’impatto della
radio fu chiaro sin da subito, quando utilizzata per comunicare rischi e necessità di soccorso, evitò diverse
tragedie e perdite. Ci troviamo a pochi anni di distanza dalla prima proiezione pubblica del cinematografo;
l’imput del mezzo radiofonico innesca dunque un’ulteriore serie di trasformazioni.

6.3 La radio fra totalitarismo e democrazia

La radio crea una rete di comunicazione collettiva che ben presto imprese e politici inizieranno a piegare per
scopi propri, le aziende degli USA videro nella radio un modo per raggiungere un ampio numero di possibili
clienti, in opposizione al telegrafo e al telefono che erano strategie singole, ben presto la radio fu anche
coinvolta nell’ambito bellico. Durante la I Guerra Mondiale attraverso la radio le persone venivano informate
delle notizie dal fronte, questo secondo McLuhan portò ad una ritribalizzazione della società, visto che si
tornò alle forme arcaiche di condivisione nel nuovo villaggio globale. Un decennio più tardi la radio fu
impiegata dai regimi totalitari a scopo propagandistico. Cinema e radio si affiancarono ed influenzarono a
vicenda, nella collaborazione con i governi dittatoriali, attraverso questi media le loro parole avevano
risonanza internazionale. Inizialmente non tutti possedevano la radio in casa, in Italia fino al 1939 erano in
pochi ad averla, fin quando Mussolini non ne promosse l’acquisto in quella che Menduini definì la “seconda
nascita della radio”, abbassando i costi e migliorando il design. Egli la percepì come un mezzo da utilizzare
per parlare alle masse. La radio ebbe incidenze anche sull’ambiente familiare, diventando un mezzo di
sfondo durante le conversazioni: un vero e proprio focolaio attorno a cui intrattenere discorsi, esso era un
mezzo di aggiornamento e di intrattenimento allo stesso tempo. Si promuove infatti un vero e proprio
immaginario della famiglia che siede attorno alla radio per ascoltare le notizie o i programmi, anche
Roosevelt se ne fece promotore, definendo i suoi discordi fireside chats.

6.4 Dalle valvole ai transitor: la radio come protesi

Dopo la II Guerra Mondiale il mondo si prepara al boom economico, ed è in questo periodo che trova
campo fertile l’innovazione in campo radiofonico, ovvero una piccola radio portatile basata sul transistor. A
partire da questa invenzione egli diventò più piccola, pratica, economica e trasportabile ovunque,
fomentando il fenomeno dei cosiddetti “Radio Days”. Un’ulteriore spinta fu data dalla popolarizzazione della
musica tra gli adolescenti, che trasportavano in giro le mini-radio in macchina o per strada, ma anche in
casa, per ascoltare la musica. Sempre più si realizza l’immagine dell’uomo di McLuhan che estende il proprio
controllo sull’ambiente grazie alle protesi tecnologiche.

6.5 Nascita della televisione: il broadcasting

L’estensione delle protesi tecnologiche in un contesto storico come l’età post-industriale, rendono il mercato
delle comunicazioni sempre alla ricerca di nuove tecnologie. Ben presto si iniziò a pensare a come realizzare
un prodotto che avesse l’istantaneità del mezzo radiofonico e la comunicazione visiva del cinema, allo scopo
di rompere la distanza tra il cinema e il proprio salotto.

La televisione, dunque, si pone l’obbiettivo di continuare il processo di rendere istantanei i media, che aveva
cominciato la radio. Nel 1954 esordisce la TV in Italia, e le radio portatili sul mercato globale. Alla radio
mancava l’immagine, al cinema l’istantaneità, la televisione, soddisfacendo entrambe queste richieste riesce
ad affermarsi subito come il medium principale, esso combina intrattenimento di vario genere e da agli
individui la possibilità di vedere il mondo senza muoversi dalla propria casa. Il paragone tra TV e radio
sussiste anche sulla loro diffusione: come dice McLuhan, il medium è il messaggio, infatti, entrambi i media
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diventano pionieri di movimenti come la massificazione e l’individualizzazione/personalizzazione che


diventano le due facce della stessa medaglia per i media. La TV è una vera e propria forma culturale, e
presto diventerà, così com’era stata la radio, uno status symbol, in seguito all’abbassamento dei prezzi e a
una conseguente maggiore diffusione.

6.6 La televisione in Italia

Nel secondo dopo guerra in Italia abbiamo il boom economico, e di conseguenza, la diffusione dei televisori.
Durante la guerra la BBC si era affermata come radio superiore grazie alla sua neutralità e grazie ai suoi
contenuti, che presto diventarono il modello anche per la TV in tutta Europa, John Reith basava il palinsesto
su educazione, informazione e intrattenimento. In Italia visto che l’analfabetismo era un problema ancora
molto rilevante, fu lanciato un programma chiamato Non è mai troppo tardi, che insegnava a leggere e
scrivere, un altro format popolare fu quello del quiz a premi come Lascia o Raddoppia. Si da inizio ad un
processo di revisione del palinsesto televisivo, più fluido, che rispecchiasse un’Italia pronta a ritornare alla
normalità dopo la Guerra. La televisione era basata fondamentalmente sulla Rai, divisa a sua volta tra i
partiti, dunque c’era una forte impronta politica, almeno fino all’introduzione della Mediaset. Alla fine degli
anni 60 abbiamo i celebri moti sociali del 68, che sconvolsero anche la produzione televisiva, non bastava
più l’intrattenimento uno a molti o l’impronta pedagogica, si cercava di più. Tale crisi viene risolta
dall’introduzione della serialità televisiva (le serie tv) tra gli anni 70 e 80, che porta la televisione verso il
nuovo modello generalista. Tale cambiamento strutturale del medium viene definito da Umberto Eco come
“Neotelevisione” (1983).

6.7 Radio e televisione verso il digitale

La tecnologia della radio si trova ad implementare un dispositivo che la connette ad una nuova concezione
di istantaneità: il GPS. Si tratta di uno strumento che sfrutta l’immaterialità delle onde radio per effettuare
una precisa misurazione delle coordinate spaziali sul territorio fisico. Attraverso l’uso di sistemi satellitari, le
informazioni divulgate prendono forma di una grande rete di comunicazione del mondo. Anche la
televisione sfrutta i nuovi principi della digitazione del mondo. In Italia, a partire dagli anni 80, entra in
vigore il sistema nazione del duopolio RAI-MEDIASET che sfrutta la pratica dello “Zapping”: la
moltiplicazione dei canali grazie alle trasmissioni via satellite. E’ l’alba della “Post-televisione” : una modalità
di orientamento degli spazi della virtualità sempre più improntata sull’interattività e protagonismo dello
spettatore. Ne derivano infinità testuali propri della serialità, ciascuno caratterizzato dal proprio brand che
orizzonte di tutto: il passe-partout con cui leggere e interpretare il mondo. Ogni tecnologia viene
miniaturizzata, usata e abitata ogni giorno oltre il senso del luogo (oltre il posto in cui ci si trova, viaggiando
nello spazio-tempo tramite le nuove tecnologie). La narrazione della società è ora immersa completamente
nel cyberspace.

Capitolo 7

7.1 Interfacce e media, una storia di fantasmi

La quotidianità dell’uomo è caratterizzata dalla disponibilità di strumenti informatici con cui interagire
ininterrottamente. La miniaturizzazione di questi apparecchi ha permesso di rendere disponibili molti
gadget (device) di differenti funzionalità. Tuttavia, il progresso di interazione umana non si limita ai soli
dispositivi tecnologici: l’hardware biologico è la prima tecnologia umana, si parte dalla nostra interazione
con esso per estendere le proprie capacità e creare nuovi oggetti. Dall’attività di caccia, alla scoperta del
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fuoco e invenzione della ruota, la capacità di interagire con il mondo attraverso la tecnica ha esteso le
potenzialità di dominio dell’uomo sull’ambiente. Come sostiene Pierre Lèvy, si tratta di un lungo processo di
ominazione che ha portato l’uomo a staccarsi dallo stato di natura (bestiale) per giungere alla condizione di
essere civilizzato. In questa ottica, le tecnologie culturali diventano estensioni sensoriali con cui l’essere
umano controlla l’habitat della sua esistenza. L’interattività digitale è il frutto del rapporto tra uomo e
tecnologia, che inizia con le prime macchine per giungere alla creazione di computer digitali, con cui
migliorare i dispositivi digitali tramite un linguaggio binario. Il carattere macchinoso delle prime tecnologie è
stato semplificato dall’introduzione delle GUI (Graphical user interface=interfacce) che utilizzano supporti
grafici come estensioni dei sensi umani. Per esempio, il mouse diventa estensione della mano sullo
schermo, all’interno dello spazio digitale simulato dal desktop: la scrivania digitale.

7.2 La parabola dell’orologio

La storia delle interfacce è fatta di innovazioni più o meno graduali; molti media, con le relative interfacce,
sono stati integrati in altri media. E’ il caso dell’orologio, le cui prime forme erano esclusivamente pubbliche
e annunciavano il tempo alla comunità. Lo strumento utilizzato per calcolare il tempo era la meridiana,
un’asta posta nel terreno che segnava il passaggio delle fasi del giorno mediante la proiezione della sua
ombra. Il primo orologio meccanico venne introdotto in Francia nel XII secolo: cambia l’interfaccia con l’uso
di due lancette che indicano ore e minuti. L’orologio da piazza si trasforma in orologio a pendolo,
rimpicciolito per un uso domestico; a ciò segue l’orologio da taschino e infine l’orologio da polso.
Quest’ultimo si lega al corpo umano, diventando una vera e propria estensione. Il passo successivo è
l’orologio digitale, i cui meccanismi in quarzo vengono sostituiti da un display che segna ore e minuti. Una
volta digitalizzato, il medium orologio e la sua interfaccia possono integrarsi, diventando dei software da
includere in altre piattaforme: quella del pc o dello smartphone. La parabola dell’orologio esplicita le
modalità di trasformazione dei media e delle loro interfacce: evolvendosi fino a integrarsi tra loro, i media
estendono i nostri sensi congiungendosi sempre più al corpo biologico.

7.3 Breve storia della musica portatile

Prima dell’invenzione del Walkman Sony (1979) un riproduttore musicale portatile e personale non esisteva.
La possibilità di portare con noi la nostra musica è frutto di una tecnologia recente; prima esistevano solo
radio portatili, mangiadischi e stereo domestici che hanno spinto l’uomo a voler ascoltare la propria musica
anche in spazi pubblici. Secondo una concezione negativa della vita metropolitana, la bolla uditiva entro cui
rifugiarsi era un modo per sottrarsi alle esperienze negative: una metropoli alienante e pericolosa, o poco
interessante. Altra concezione più positivista di Benjamin vede, con l’uso di lettori musicali, la nascita del
flaneur: il passeggiatore metropolitano che esplora la città senza meta né fretta. Altre teorie vedono
l’esperienza musicale per le strade come un modo per fare di un’azione quotidiana ed ordinaria
un’esperienza estetica superiore oppure come un modo per ridefinire l’esperienza nella metropoli. L’unico
dispositivo personal in grado di decretare la fine del walkman è stato l’iPod di Apple.

7.4 L’avvento della musica digitale

Il walkman consentiva agli utenti di costruire il proprio ambiente sonoro, tuttavia, l’uomo sviluppa sempre
più il bisogno di sincronizzare la musica con il proprio umore. A tale necessità, della Sony, si affianca quello
di gestire il menù musicale a seconda della scena della vita quotidiana. L’avvento della tecnologia mp3
consente la trasformazione della musica in file di dimensioni ridotte, rispondendo a tali nuove esigenze. Gli
sviluppi tecnologici che hanno portato alla nascita di questo nuovo medium rappresentano una
combinazione di funzionalismo tecnologico e senso di magia: l’iPod è una creazione rappresentativa di
un’epoca specifica, il XXI secolo, come lo erano state in passato la cattedrale gotica e l’auto e tesa alla
privatizzazione e personalizzazione dell’ambiente. Lo spazio pubblico si riduce fino a scomparire nella sfera
uditiva dell’individuo.

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7.5 La virtualizzazione dei gadget

Le funzionalità dell’iPod vengono riprese in una piattaforma più ampia: lo smartphone rappresenta un
importante punto di arrivo per i dispositivi tecnologici portatili: esso è un meta-medium grazie alla capacità
di includere in un dispositivo tascabile la potenzialità di un pc e un’interfaccia touch screen. Ad oggi i
dispositivi che utilizziamo quotidianamente non solo comprendono le tecnologie precedenti alla loro
nascita, ma se ne possono sviluppare delle altre, nel software, senza determinare un cambio di hardware.
Manovich afferma che siamo in un’epoca in cui ogni il software plasma ogni agente, strumento e oggetto
della cultura. Lo scheumorfismo (dal greco contenitore) è l’utilizzo di ornamenti grafici che rimandano a
supporti o elementi fisici già esistenti; è il caso del block notes dell’iPhone, che richiama quello cartaceo
tramite la grafica a righe gialle e nere. Imitare vecchie tecnologie, dunque, è una fase graduale necessaria
per non creare traumi nei consumatori. Il destino di tutte le tecnologie è di essere trasformate in forme più
attuali tramite software su piattaforme hardware comuni. Ne è un esempio l’iPod, che ora presenta anche
connettività ad alta velocità per la riproduzione di musica su piattaforme conosciute: Apple music, Spotify
ecc. superando la necessità di scaricare precedentemente all’ascolto la musica desiderata.

7.6 Sesso, soldi e sport

I creatori e i consumatori di contenuti a sfondo sessuale hanno sempre rappresentato una forza nello
sviluppo di forme di comunicazione, dalla fotografia allo streaming di video su internet. Il motivo principale
del legame tra pornografia e tecnologia è la privacy nell’usufruire dei prodotti a disposizione in forma
anonima. A ciò segue una motivazione finanziaria: i consumatori sono disposti a pagare per determinati
servizi, costituendo un vero e proprio modello di business che viene utilizzato come banco di prova per
prevedere il successo di un nuovo medium, prima che esso debutti sul mercato vero e proprio.

7.7 La globalizzazione dello sport entertainment

L’attività sportiva costituisce uno degli elementi principali dell’industria culturale moderna. Il mondo dello
sport e quello dell’intrattenimento condividono lo stesso spazio vitale, influenzandosi a vicenda; basti
pensare alla spettacolarizzazione delle Olimpiadi o della Uefa Champions League, una competizione ad
eliminazione tra le squadre che oggi è riconoscibile anche solo dalla sigla come brand. Altro esempio di
importanza mediatica è la finale dei mondiali di calcio del 2006, che vedeva protagonisti l’Italia e la Francia.
Un episodio che ha ricevuto un impatto mediatico notevole è stata la testa del francese Zidane all’italiano
Materazzi. L’evento ha suscitato grande scalpore, anche a causa del comportamento razzista dell’italiano;
dunque, questo episodio è uscito dalla sfera dello sport, per rientrare in quella dell’intrattenimento.
Wenner istituì il termine “Mediasport” proprio per far intendere come il confine tra sport e intrattenimento
mediatico sia sempre meno evidente, e come le logiche finanziarie abbiano sempre più influenza sulle
dinamiche sportive.

7.8 Lo sport come medium totale

Considerando lo sport come un medium, esso presenta un pubblico con una composizione ambivalente:
quella che assiste dal vivo e quella che prende parte alle competizioni tramite i mezzi di comunicazione. A
ciò si aggiungono fasce di tifosi impegnati in attività di tifo e i così detti tifosi occasionali; in particolare, molti
tifosi rivendicano il privilegio di poter tifare per la squadra del proprio luogo di nascita. Sebbene gli
spettatori paganti tramite vecchi e nuovi media (televisione o siti streaming) costituiscono la maggior parte
dei veri appassionati, i campionati più importanti prevedono anche di ampliare il proprio pubblico al fine di
implementare l’industria sportiva globale. Questo rapporto tra spettatori ed economia ci mostra il
fenomeno del “disembedding” definito da Giddens come la doppia mobilità, fisica e simbolica, con cui le
squadre si spostano dai territori natali alla ricerca di nuovo pubblico, e allo stesso tempo con cui i nuovi
pubblici si allontanano da casa per seguire le squadre del cuore. Il rapporto tra media e sport contribuisce
dunque alla produzione culturale contemporanea allo stesso modo di musica, spettacolo etc.
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7.9 Il videogame: nuovi linguaggi della rappresentazione nell’età digitale

Nell’attuale panorama mediale, il videogame rappresenta un fenomeno sociale complesso che mette in crisi
il sistema dei media di massa. L’industria relativa a questa forma di intrattenimento, sia per dimensioni che
per velocità di espansione, rappresenta un settore d’avanguardia nell’era digitale. Per le sue caratteristiche il
videogame deve essere analizzato come un medium a sé stante, un apparato socio-tecnico che funge da
mediatore nella comunicazione tra soggetti, che unisce l’esperienza dei media precedenti insieme alla
novità dell’interazione. L’esperienza del videogame aggiunge ai vecchi linguaggi una partecipazione
interattiva completa, risucchiando completamente lo spettatore nelle dinamiche del gioco come mai era
avvenuto prima con altri media. Anche la platea di videogiocatori si è trasformata: le nuove piattaforme
interattive (social network) estendono la portata dei videogiochi ad un pubblico più ampio ed eterogeneo,
allentando un uso compulsivo con i dispositivi di gioco.

7.10 L’industria Tripla-A, la scena indie e i casual game

La sezione più in vista dell’industria dei videogiochi è la Tripla-A, formata dagli studios che investono nello
sviluppo e nella commercializzazione di franchise per lle macchine di gioco domestico, realizzando console
di diverse generazioni che logicamente sorpassano la precedente in avanguardia. Viene sottolineato che
questi sviluppatori lavorano spesso per un editore che commissiona i progetti, e dunque devono sottostare
alle volontà degli editori. L’obiettivo del fotorealismo, ottenuto tramite l’avanzamento tecnologico, rimane
una delle utopie di sviluppatori e del pubblico. Parallelamente all’industria Tripla-A, nel corso degli anni
2000 emerge la scena indie, caratterizzata da piccoli team indipendenti, liberi di operare in termini di
creazioni e lontani da vincoli di investimenti. Non più dipendenti da negozi fisici per la diffusione di giochi,
gli sviluppatori indie sfruttano appieno internet per offrire giochi più economici, poiché creati in 2D,
direttamente accessibili agli utenti. Inoltre, i giochi indie si trovano sulle piattaforme di distribuzione digitale
più note, come Apple Store. I giochi indie cercano anche di ritornare ad una golden age del gioco,
utilizzando uno scorrimento orizzontale, musica low-fi e la Pixel art. La legittimazione dei videogame ha
portato alla creazione dei casual game, i quali riprendono caratteristiche grafiche di social media e di
smartphone, al fine di introdurre i giochi nella pratica quotidiana. Il casual game (traducibile "gioco
occasionale, superficiale") è un tipo di videogiochi caratterizzati da un regolamento molto semplice e dal
minore impegno richiesto per il loro utilizzo. Non richiedono particolari abilità o concentrazione, e grazie
alla loro natura sono spesso produzioni dotate di un basso budget di investimento da parte dei produttori.
Generalmente questo tipo di videogioco è destinato a un pubblico differente dal tipico videogiocatore.
Queste continue innovazioni e il nuovo pubblico ampio ed eterogeneo a cui i videogame sono indirizzati,
rendono il medium un oggetto di ricerca e di apprendimento.

7.11 I social media nella società delle reti

L’idea di società dell’informazione può essere ricondotta a Bell, il quale utilizzò tale definizione per riferirsi
agli esiti dello sviluppo sociale, nella sua opera La società post-industriale egli descrive tre trasformazioni
inerenti l’economia, la tecnologia e la sociologia: nel primo settore, si verifica il passaggio da industria
manifatturiera ai servizi, nella tecnologia è la centralità delle nuove scoperte scientifiche, e in sociologia è
l’ascesa di nuove élite tecniche e l’avvento di un nuovo principio di stratificazione. Questo studio è
fondamentale per coloro che hanno ripreso l’argomento della società dell’informazione come Toffler e
Castells.

In questa prospettiva di continuo cambiamento, è fondamentale la suddivisione lineare della storia in 3


periodi: - Era pre-industriale, caratterizzata dall’agricoltura. - Era industriale, caratterizzata dalla produzione
meccanica. - Era post-industriale, caratterizzata dai servizi e dall’industria dell’informazioni. Questo schema
corrisponde ai settori industriali primari, secondari e terziari.

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Il discorso viene in seguito ripreso da Castelles, il quale parla di sviluppo informazionale, basato sulla
capacità umana di elaborazione delle informazioni, possibile grazie alle rivoluzioni della microelettronica,
del software e dell’ingegneria genetica. Inoltre, egli afferma che le società sono sempre più strutturate
attorno all’opposizione della Rete e del Sé. Per Rete egli intende una metafora che fa riferimento a tutti i tipi
di social network, tra persone, organizzazioni e simboli mediati o meno di cui Internet è l’ultima
incarnazione. Castells afferma che la rete è uno dei tre modi fondamentali di organizzazione sociale, insieme
allo stato e al mercato: le persone si sono sempre organizzate in reti ma solo con il progresso tecnologico la
rete ha prevalso su stato e mercato, producendo lo stato di rete e l’impresa di rete. Questo cambiamento
non solo modifica le dinamiche del mercato, ma anche la percezione della storia e dei cicli di vita degli
individui, la società della rete del XXI secolo stabilisce un “tempo senza tempo” grazie alle informazioni che
si distribuiscono quasi istantaneamente, ma che permangono in rete.

È complicato delineare la storia del social network, cosa li distingue dalla creazione di contenuti online e in
generale dagli altri format del web, così come scandirne la storia. Nel 1979 Truscott ed Ellis della Duke
University crearono Usenet, un sistema di discussione su scala mondiale che permetteva agli utenti di
internet di pubblicare messaggi pubblici. Tuttavia, per l’idea di social network che intendiamo oggi
dobbiamo aspettare l’Open Diary idealizzato dagli Abelson, un primo sito di social networking che riuniva gli
autori di diari online in una comunità, diffuso dieci anni dopo. Il successo di questi diari portò alla diffusione
del blog e in seguito alla creazione di Facebook nel 2004, più tardi di Instagram, Snapchat ec.

È importante spiegare il Web 2.0 e lo User Generated Content, si fa riferimento al web dove non è più
necessario che siano i professionisti a creare contenuti e applicazioni, poiché ad oggi anche gli utenti
comuni contribuiscono a farlo. Il Web 2.0 e lo UGC sono alla base dei social media.

Tuttavia, i media non sono semplici tecnologie, ma sistemi tecno-sociali (presentano sia un sistema
tecnologico che un sistema sociale). Si può individuare una prima base tecnica, su cui si appoggia un piano
culturale di attività umane che producono e condividono conoscenza.

7.12 Le reti e lo scambio: dalle comunità alle communities

Il concetto di influenza sociale è stato affrontato da numerose discipline (sociologia, scienze politiche,
economia ecc) al fine di rispondere ad alcuni dubbi: chi esercita influenza, in che modo e con quali
conseguenze. I primi approcci di ricerca sull’influenza sociale hanno ipotizzato che le informazioni
passassero da comunicazioni di massa fino a raggiungere comunità locali tramite passaparola. Tuttavia,
prima dell’avvento di internet, i media che hanno amplificato l’influenza sociale erano treni, telefoni, auto.
L’avvento dei social media ha cambiato il modo di interagire, che può avvenire in anonimato e che risulta
essere più veloce e senza vincoli di tempo e spazio. Tuttavia, questa democratizzazione dell’accesso alle
informazioni, non le rende sempre disponibili a tutti: un blogger ha la consapevolezza che, nonostante un
suo post sia online come altre notizie, non verrà letto da tutta la comunità digitale. A questo problema
rispondono i motori di ricerca, che favoriscono i contenuti più popolari rispetto a quelli sconosciuti.

7.13 L’intelligenza delle web communities

Con il termine “web communities” si intende un gruppo di persone che condividono alcune
caratteristiche/interessi culturali e che vengono riflesse tramite il web. Con il sostegno delle tecnologie della
comunicazione (ICT) le comunità online presentano un’intelligenza collettiva”, definita da Pierre Lèvy come:
la capacità di operare in comune in un progetto al fine di riconoscersi e arricchirsi reciprocamente. Inoltre,
una web community è definita tale se: - Presenta un sistema di memoria in grado di conservare le
informazioni e le conoscenze condivise. - Possiede la capacità di problem-solving mediante un lavoro
collettivo, ottenuto tramite l’intelligenza dei singoli. Le comunità online, infatti, sono paragonate alle reti
neuronali, che permettono la conservazione delle informazioni nel cervello umano. Sullo spunto della tesi di
Levy, Derrick elabora una teoria sull’intelligenza connettiva: internet è il simbolo del nuovo secolo, che
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rende qualsiasi cosa più interessante; emerge dunque un valore superiore rispetto alle singole parti.
Raggruppando le capacità di più personal computer, si raggiunge un valore aggiunto, allo stesso modo più
menti umane messe insieme costituiscono un’intelligenza connettiva.

7.14 P2P e le nuove modalità digitali di distribuzione

Nel libro “La grande scimmia” Abruzzese identifica l’influenza principale sulla produzione nelle scelte dei
consumatori: la crescita industriale degli apparati dello spettacolo è intervenuta a modificare la natura del
lavoro dello spettatore. Nell’età industriale, con l’attività di consumo, si esprimono opinioni e posizioni che
orientano le scelte della produzione. Nell’età digitale tale influenza si rafforza, e il progetto di distribuzione
digitale nasce dal conflitto tra il mercato di reti di distribuzioni illegali e industrie dotate dei diritti d’autore
sulle opere. La logica capitalista è stata dunque applicata alle tecnologie, nel momento in cui gli strumenti
digitali sono diventati accessibili a tutti. Per sopperire a tale pirateria, sono state create piattaforme sul
modello di siti illegali formate dal basso (dagli utenti), disponibili tramite abbonamenti o acquisti. Ne sono
esempi: Spotify, Itunes, Netflix che, grazie a tale logica di produzione e distribuzione dei contenuti,
detengono gran parte del controllo dei prodotti. L’industria culturale e l’industria digitale dunque
coesistono, influenzandosi a vicenda.

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