Sei sulla pagina 1di 25

PREMESSA

Nel 1981 Ted Nelson, inventore degli ipertesti, annuncia le trasformazioni che la
digitalizzazione dei media avrebbe comportato.
McLuhan capì invece che ogni tecnologia della scrittura investe la forma di
trasmissione, ma anche il sistema culturale in sé.

Bolter ha parlato di “tecnologie caratterizzanti” che possono modificare il rapporto


tra la natura e l’uomo e quindi il suo modo di percepire, interpretare e
rappresentare la realtà.

L’avvento dell’elettronica ha segnato una rivoluzione pari a quella dell’avvento


della stampa o addirittura della scrittura e si cerca di illustrare i suoi effetti su
concetti fondanti nella nostra cultura, quali quello di COMUNITA’ e INDIVIDUO.
Basti pensare al concetto di “comunità virtuale”, che ha ridefinito il concetto di
aggregazione e comunicazione.

Anche le nozioni di individuo e identità vengono trasformate in un processo di


frantumazione del soggetto nella molteplicità delle sue rappresentazioni
multimediali.

La rete diventa metafora di uno spazio non corporeo ed extraterritoriale dove la


stessa identità soggettiva si frammenta e si annulla.

Il dibattito riguardo questi argomenti è vivo in Inghilterra, in Canada e


soprattutto negli Stati Uniti, mentre è ancora abbastanza tiepido in Italia.
Ci sono diverse prospettive:

 -  Quella nichilistica di Jean Baudrillard, il quale pensa che la rivoluzione


digitale sia solo la tappa conclusiva di un processo di annientamento del
soggetto in un mondo sempre più inumano.

 -  Quella di Donna Haraway che vede nel cyborg, quindi nella fusione tra
individuo e macchina, una nuova nozione di “soggetto”, capace di superare
il dualismo.

 -  Pierre Lévy vede nei media una possibile via d’uscita dalla condizione di
audience passiva a cui è stato condannato lo spettatore, soprattutto dalla
televisione.

Sullo sfondo di queste considerazioni si staglia il dibattito sulle


trasformazioni che l’avvento dell’elettronica abbia provocato sulla
SCRITTURA.
Le illimitate possibilità di accesso a fonti del sapere ne stanno ridefinendo
le forme di trasmissione ed è vero che la rivoluzione digitale offre una
nozione di identità culturale più aperta e democratica, ma con tale
“apertura” c’è il rischio di andare incontro a una “manipolazione” delle
informazioni.
Cade il confine tra scrittura pubblica e privata e si ridefiniscono i rapporti
tra l’autore e il lettore.
1
Per quanto riguarda l’ambito artistico-letterario viene annullata ogni
barriera tra i media e ci si spinge ben oltre il processo di contaminazione
postmoderno tra forme espressive differenti. Infatti, questo è il caso degli
IPERTESTI, che si configurando come “ipermedia”, giochi di sovrapposizioni
e incroci tra parole, suoni e immagini.

Dunque, va ripensata radicalmente la relazione tra la realtà e le sue


rappresentazioni.

Nello spazio virtuale, qual è il rapporto che intercorre tra rappresentante e


rappresentato?

L’effetto di realtà deve permettere di conservare la piena consapevolezza


dell’illusione, per non far dimenticare a chi legge di avere davanti una finzione
studiata con delle strategie.

Dobbiamo ridefinire le modalità di attuazione dell’intento mimetico dell’arte,


“mettendoci una cuffia oculare (eye-phon), infilandoci un guanto intelligente
(data-glove) e indossando una tuta intelligente (data-suit), siamo in grado di
entrare in una realtà illusoria e di viverla come se fosse reale.

Cambiano i meccanismi della comunicazione letteraria, ma soprattutto cambia il


ruolo del lettore davanti a questa struttura aperta e reticolare che caratterizza
l’hyperfiction, che impone di svincolarsi dalle aspettative insite nella struttura
lineare del libro stampato. Vengono messi in crisi i principi cardine della
tradizione retorica da Aristotele in poi, quali la trama, l’intreccio, la fabula, il
tempo, lo spazio ecc, e il concetto stesso di scrittura e testualità.

Nel 1987 nasce il primo romanzo ipertestuale, Afternoon, a Story, scritto da


Michael Joyce e si tiene la prima conferenza internazionale sugli ipertesti, negli
Stati Uniti.
Studiosi importantissimi in questo ambito sono Jay David Bolter e George
Landow, teorico della “convergenza” tra la forma ipertestuale e la nozione post-
strutturalista di testualità.

Patchwork Girl, or a Modern Monster (1995) di Shelley Jackson è un ottimo


modello per la riflessione sull’ipertesto: in essa vediamo, oltre che un esempio di
ipertesto, anche una “brillante parabola sulla scrittura e sull’identità”, poiché
affronta questioni culturali ed epistemologiche connesse alla rivoluzione digitale.

Vediamo innanzitutto un’esplorazione di un nuovo concetto di testualità,


condotta sul piano teorico in una sezione metanarrativa piuttosto ampia, “Body of
Text”.
Il lettore traccia un percorso sempre diverso e ogni volta corrisponde ad un
diverso genere letterario mischiando il saggio critico al racconto o il diario al
frammento ecc., ridefinendo i confini tra le varie forme espressive.
La riflessione sul nuovo spazio della scrittura è in relazione metaforica con la
riconfigurazione dell’identità nell’era digitale: scegliere tra i vari links vuol dire
tentare di tenere insieme i frammenti di un corpo che può essere riassemblato in
vari modi.
2
Questa questione viene affrontata da Shelley Jackson seguendo due prospettive
differenti, quella di Sherry Turkle, Jean Baudrillard e Kenneth Gergen, profeti
della frantumazione dell’individuo nello spazio virtuale, e quella della
cyberfemminista Donna Haraway, che ci vede una possibilità di affrancazione
dalla dimensione “corporea” e “sessuale” che è da sempre fonte di emarginazione
per le donne.
Va inoltre tenuto presente che questo processo viene fatto dalla Jackson
seguendo anche un processo di “riscrittura” del romanzo di Mary Shelley,
Frankenstein, or the Modern Prometheus (1818), il che consente di collegarci
anche al rapporto con il canone letterario inglese e statunitense.
Secondo Diane Greco e Carolyn Guyer la forma ipertestuale sarebbe quella più
adatta per dar voce alla scrittura femminile, in quanto intuitiva, intricata e non
lineare.

1. RICONFIGURARE LA SCRITTURA: VECCHIE E NUOVE


TECNOLOGIE

1.1 Ipertesti e ipermedia

Nel 1945 sulla rivista americana “The Atlantic Monthly” comparve l’articolo
intitolato “As We May Think”, scritto da Vannevar Bush, consigliere scientifico del
presidente Roosevelt: nell’articolo veniva presentato il progetto MEMEX, che
proponeva nuovi metodi di indicizzazione per la quantità sempre più crescente di
dati e informazioni, che stavano diventando sempre più difficili da gestire. Questi
sistemi di indicizzazione erano basatati sul modello dei processi associativi con i
quali opera la mente umana, anche se non trovarono mai una reale applicazione.
Tuttavia, le intuizioni di Bush sono importanti poiché sono da molti considerate
come la prima formulazione intuitiva della logica ipertestuale e il parallelismo che
lui ha evidenziato con l’attività cognitiva ha avuto diverse ricadute nei dibattiti
successivi.

Il moderno concetto di “IPERTESTO”, presentato da Nelson nel 1965, è


l’espressione più consona della rete di plurime associazioni che facciamo nella
nostra mente ed è la più valida alternativa alla forzata e innaturale sequenzialità
a cui siamo abituati, imposta dal supporto cartaceo.

Nell’accezione oggi utilizzata, per ipertesto si intende un insieme di blocchi


testuali, visualizzabili sullo schermo di un dispositivo elettronico come unità
discrete e collegabili attraverso una rete di connessioni plurime, che consentono
di accedere in modo rapido e diretto ad una particolare informazione.

3
Dunque, il lettore è svincolato dal compito di passiva decodifica del messaggio,
permettendo invece di avere una FRUIZIONE INTERATTIVA del testo, che spesso
viene anche definito come “ipermedia”, dal momento che combina immagini,
suoni, parole.
Il rapido sviluppo di tecnologie informatiche ha permesso lo sviluppo negli ultimi
anni di sistemi ipertestuali. Si tratta di una svolta più radicale di quella causata
dall’avvento della scrittura elettronica, la quale costituisce in fondo la semplice
trasposizione in formato elettronico della sequenza lineare delle pagine del libro
stampato.

Il prefisso “iper” indica una nuova dimensione “spaziale” fluida, reticolare,


dinamica e interattiva. Infatti, difficilmente colmabile è lo scarto tra il tempo
“lento” della narrazione sequenziale e quello “rapidissimo” dell’ipertesto, in cui
tutto sembra avere il carattere della transitorietà e della breve durata.

Ma al di là delle nuove coordinate spaziotemporali, è soprattutto la nuova logica


organizzativa del testo che minaccia i paradigmi consolidati della retorica.
Secondo Landow, sono proprio le implicazioni epistemologiche la principale causa
dello scetticismo nei confronti dell’ipertesto, che sarebbe la più recente
espressione del timore dei letterati nei confronti dell’impatto culturale delle nuove
tecnologie.

Possiamo citare come esempio il cardinale John Henry Newton, che nell’Ottocento
si proclamò contrario alla stampa, che consentiva la diffusione di testi più
economici e reperibili, denunciandone gli effetti devastanti per la mente, la quale
sarebbe stata illuminata passivamente e avrebbe iniziando ad agire in modo
meccanico.

Landow afferma che l’ipertesto minaccia davvero la letteratura e le sue istituzioni


come noi le conosciamo.
Egli afferma anche che tale circospezione non tiene conto del fatto che anche i
libri sono considerabili come “PRODOTTI TECNOLOGICI”: anche se i libri
venissero sostituiti dai

computer, non si tratterebbe di uno spostamento da qualcosa di naturale a


qualcosa di innaturale, perché anche la scrittura, la stampa e i libri sono prodotti
tecnologici.

Qualsiasi tentativo di tradurre i pensieri in segni grafici entro uno spazio visivo
presuppone di per sé competenze e abilità che Bolter definisce “tecnologiche”.

1.2 Il futuro del libro: analisi testuale e critica letteraria

Bolter negli anni Novanta, in Writing Space, evidenziò come ciascuno “spazio”
della scrittura sia il risultato di una diversa tecnologia, dalla quale dipendono la
logica organizzativa delle informazioni e la percezione del contenuto testuale.
Sostiene anche che la nostra sia la “tarda età della stampa”, in cui i paradigmi di
Gutenberg sono stati interiorizzati al punto di essere percepiti come naturali.

4
I documenti online sono per definizione “transitori”, sottoposti a frequenti
revisioni e aggiornamenti e l’organizzazione in forma non sequenziale e interattiva
delle informazioni ridefinisce i confini tra scrittura, lettura e interpretazione, il
concetto di autorialità e le modalità di fruizione.

La metafora della “navigazione” viene adoperata da praticamente tutte le lingue


per indicare la fruizione del testo in formato digitale, suggerendo elementi di
continuità con la tradizione medievale, dal momento che si tratta di una metafora
che viene usata sin dall’antichità per indicare qualcosa che ha a che fare con il
mondo della scrittura. Addirittura, Richard Lanham rinviene elementi di
continuità con i sofisti.
Non manca però anche chi sostiene che il concetto di “testo” è inapplicabile alla
scrittura elettronica.
Il critico-lettore protagonista dell’età dell’ipertesto non condivide nulla con il
critico lettore della tradizione, che basava la propria attività sull’intuizione
personale, sull’emozione e sull’impressione ricavata in interiore homine, invece il
lettore dell’ipertesto si richiama alal casualità del percorso che sceglie, attivato da
tracce più o meno evidenti.
L’avvento dell’ipertesto comporta anche una revisione del CANONE LETTERARIO
che, secondo Bolter, è inscindibile da coordinate culturali direttamente o
indirettamente connesse alla STAMPA. Il canone letterario, come ogni tipo di
“canonizzazione”, dipende da coordinate economico-politiche ed è esso stesso una
“categoria di potere”, quindi assume confini meno rigidi e definiti in un contesto
culturale più dinamico, aperto e democratico come quello della rete.

1.3 Autorialità e testi multipli

Tra le tante implicazioni, si ridefinisce anche il concetto stesso di autorialità e le


dinamiche di comunicazione testuale, dal momento che assumono particolare
importanza le varie forme di collaborazione autoriale che l’ipertesto incoraggia,
avendo quindi una tendenza alla scrittura collaborativa, in cui ogni persona che
ha contribuito anche in minima parte al prodotto finale viene citato tra gli autori,
come accade nel campo scientifico.

Nanni Balestrini afferma che la scrittura collaborativi si limita nella maggior parte
dei casi ad un gioco senza alcuna pretesa artistica, dal momento che l’aspetto
creativo deve essere più intenzionale.

Con l’opera ipertestuale dobbiamo ripensare radicalmente i confini tra scrittura


pubblica e privata, oltre che il concetto stesso di “proprietà intellettuale”,
introducendo (secondo Landow) concezioni più allargare e inclusive di identità
autoriale.

Il copyright, ad esempio, è la perfetta espressione delle contraddizioni odierne sul


concetto di identità autoriale, dal momento che ci sono tantissimi meccanismi
complessi di protezione della proprietà intellettuale, ma allo stesso tempo ce ne
sono altrettanti per poter riprodurre illegalmente un numero indefinito di copie di
un opera su supporto elettronico.

1.4 “Wreader”: il rapporto autore/lettore


5
Nella concezione tradizione l’autorità dell’autore è inscindibile dalla percezione
della stabilità e dell’autorevolezza del testo scritto, che derivano dalla stampa.
Il lettore è il semplice RICEVENTE del messaggio contenuto nell’opera.
Con l’avvento dell’ipertesto si è da più parti parlato di “morte dell’autore”,
soppiantato da un lettore sempre più attivo e centrale, chiamato da Landow
WREADER, né writer né reader, per segnalare l’inadeguatezza della vecchia
terminologia.

Infatti, con la sua struttura reticolare e modulare e soprattutto con la sua


interattività, l’ipertesto ha imposto una riconfigurazione del ruolo del lettore, dal
cui arbitrio dipendono le modalità di assemblaggio dei frammenti dell’opera.
Si tratta di una “rivoluzione della lettura”, la cui novità sta nel fatto che è
concesso a chi legge di “scrivere”, non solo ai margini del testo ma anche “dentro”
di esso.
Secondo Bolter verrebbe a crearsi una sorta di conflitto tra l’autore e il lettore,
perché l’ipertesto sfida il lettore a lottare con l’autore per il controllo dello spazio
di scrittura.
Italo Calvino affermò che a sparire sarebbe stata la figura di autore, autore come
espositore della propria anima e come personaggio anacronistico, direttore di
coscienze.

1.5 I figli di Gutenberg e la rivoluzione digitale

Due posizioni contrapposte dominano il dibattito:

 Apocalittici: segnano il ritratto di una generazione “perduta” ormai sorda


davanti alle seduzioni del testo stampato.

 Integrati: convinti che i libri elettronici prima o poi domineranno il mercato.

Alcuni associano alla tecnologia elettronica la perdita di precisione e raffinatezza


che caratterizza la scrittura manuale e stampata, e chi invece ne evidenzia gli
aspetti positivi come il potenziamento dei processi mentali e la velocizzazione
delle competenze percettive, attraverso il coinvolgimento di più sensi (vista e
udito), in una nuova sintesi chiamata “riorganizzazione del sensorio”.

È difficile fare previsioni, dal momento che si potrebbe commettere lo stesso


errore commesso da Platone nel Fedro: infatti, in esso egli demonizza la scrittura
come lo strumento che avrebbe distrutto la memoria, riducendone l’esercizio e
affidando a cose morte come i segni scritti la “parola vivente”, che può alimentarsi
solo nella mente dell’uomo. Ad oggi, ovviamente, nessuno sospetta che la
scrittura possa distruggere la memoria, semmai -come spiega Umberto Eco- ne
favorisce il potenziamento. L’evoluzione delle tecniche di trasmissione della
cultura non è quasi mai segnata da un superamento netto delle tecniche
precedenti, ma si tratta sempre di un “superamento-conservazione”, quindi
sarebbe fuorviante contrapporre in linea generale il libro al computer.

Umberto Eco è convinto della sopravvivenza dei libri proprio grazie alla
peculiarità della loro fruizione rispetto alla lettura nell’ambiente digitale, che è

6
invece difficilmente conciliabile con le esigenze della riflessione e della
meditazione.

La disposizione reticolare delle informazioni e la loro visualizzazione sinottica


potrebbero facilitare la consultazione di enciclopedie e manuali, offrendo una
valida alternativa alla disposizione sequenziale, mentre per la saggistica l’ordine
di presentazione delle informazioni è da sempre percepito come inscindibile.

Far cadere la distinzione tra “lettura” e “consultazione” solleva degli interrogativi


più complessi: ciò che si ridefinisce non è solo l’idea di fabula, intreccio, spazio-
tempo, gradi di focalizzazione o modalità di caratterizzazione dei personaggi, ma
l’idea stessa di testo che non esiste se non come insieme virtuale di innumerevoli
letture, come “costruzione sempre in fieri” per effetto delle scelte ogni volta diverse
fatte dal lettore.

2. HYPERFICTION:AI CONFINI DEL RACCONTO

2.1 Nascita di un nuovo genere narrativo

Hyperfiction è la definizione usata per indicare opere narrative in formato digitale,


i cui blocchi o lessie sono organizzati secondo una struttura reticolare che
consente di accedere a collegamenti multipli e percorsi plurisequenziali.
La difficoltà nel definire tale produzione nasce dall’eterogeneità delle opere che
comprende, le quali variano in base alla logica di strutturazione dello spazio
testuale, all’impronta autoriale, ai margini più o meno restrittivi di autonomia
concessi al lettore, ai temi affrontati e all’articolazione del contenuto.

Anche lo scenario editoriale è estremamente caotico e vi regna totale anarchia.

Ipertesti come Afternoon, a Story o Twilight a Symphony di Michael Joyce o


Patchwork Girl di Shelley Jackson, inaugurano una nuova scena narrativa,
ridefinendo la sintassi del racconto e i principi stessi della narratologia.
Il primo esempio di ipertesto narrativo è Afternoon, a Story di Michael Joyce,
pubblicato nel 1987, lo stesso anno in cui negli Stati Uniti si è tenuta la prima
conferenza internazionale sugli ipertesti.
Coover già nel 1988 intravede le potenzialità di questa forma espressiva,
rivelandosi profetico.

2.2 Il racconto “rizomatico” femminista”: contaminazioni narrative multiple

Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, il dibattito si è
arricchito e con il celebre articolo di Coover, The End of Book, gli ipertesti vengono
posti per la prima volta all’attenzione del dibattito internazionale. Nel 1993 esce
Quibbling di Carolyn Guyer, un “racconto rizomatico femminista”, per usare la
definizione di Landow: si tratta di un’opera che va a sostituire il principio
aristotelico di “trama” con i principi del pensiero “nomadico” e che incarna l’idea
dell’ipertesto come forma di scrittura femminista.

Nel 1995 questo tema viene proposto nuovamente, ma in una prospettiva diversa,
in Patchwork Girl di Shelley Jackson, che inaugura (secondo Michael Joyce) una
7
nuova stagione narrativa ipertestuale, fondendo teoria e pratica narrativa e
sperimentando nuovi percorsi della scrittura digitale. Torna quindi all’attenzione
del dibattito internazionale il problema del rapporto tra la forma ipertestuale e la
scrittura femminile.

Secondo la Guyer, l’ipertesto è l’incarnazione della écriture femenine, poiché si


avvicina al procedere intuitivo, irregolare e caotico delle associazioni non lineari
del pensiero femminile.

La comparsa degli ipertesti narrativi sulla scena letteraria è stata accompagnata


da una riflessione che ha coinvolto sempre più direttamente gli autori stessi e il
dibattito continua ad arricchirsi. Tra le voci più importanti della scena italiana
ricordiamo Umberto Eco, Giuseppe Gigliozzi, Paolo Ferri, Mario Ricciardi.

George Landow ricorda che nonostante sia una produzione recentissima, “ci sono
già tanti tipi di narrazioni ipertestuali quanti di narrazioni a stampa”.
Tuttavia, è innegabile che ci siano alcuni tratti comuni, legati all’impiego del
supporto digitale, come la rottura della linearità, l’organizzazione reticolare delle
unità narrative, la ridefinizione del rapporto tra autore e lettore, la
contaminazione multimediale tra testo, suoni, immagini ecc.

Il dibattito si è spesso soffermato sul precario equilibrio tra tradizione e


innovazione che caratterizza l’hyperfiction. Si tratta sicuramente di una svolta
radicale, legata all’automazione del testo, ma allo stesso tempo possiamo
inscriverla nel solco della “letteratura sperimentale” e in continuità con la
letteratura postmoderna, come la tendenza ludica, il gusto per il collage o la
contaminazione tra forme espressive diverse.

2.3 Anticipazioni della multilinearità ipertestuale: Sterne, Joyce, Borges e oltre

Se David Bolter parla di “tradizione dell’esperimento”, menzionando come casi di


parziale ipertestualità Sterne, Joyce, Borges, Cortàzar e Saporta, Landow include
nelle “anticipazioni tipografiche della narrativa multilineare” anche testi narrativi
che non seguono una logica sequenziale.

Per esempio, in Composition no. 1 (1962) di Marc Saporta, il superamento della


sequenzialità nel formato cartaceo è stato raggiunto attraverso la strutturazione
del testo in cento cinquanta pagine grandi all’incirca come carte da gioco, prive di
numerazione, che dovevano essere mescolate dal lettore, il quale ogni volta
riusciva ad ottenere una storia diversa.
Aldilà della componente ludica, Umberto Eco trova in questo tipo di composizione
una vera e propria filosofia: far emerge l’artificio che tiene insieme le varie parti
dell’opera e le precise regole che, a dispetto dell’apparente casualità, ne
consentono la costruzione. Secondo Calvino, al centro di questo gioco
combinatorio ci sarebbe l’equilibrio tra la libertà e il vincolo che costituisce
ancora oggi l’aspetto più controverso della produzione ipertestuale e di cui ha egli
stesso offerto un esempio in Il castello dei destini incrociati.

È proprio la rottura con la linearità a costruire elementi di continuità con la


storia letteraria. A molti è parso che il supporto digitale abbia permesso il
8
superamento dei concetti di “inizio” e “fine” del racconto, poiché nel libro
stampato non è mai realmente possibile nascondere al lettore quanto manchi alla
fine del racconto. Nell’ipertesto la responsabilità della chiusura è affidata
interamente al lettore.

Emblematico è il caso di Ulysses di James Joyce, la cui complicatissima


architettura è, secondo Bolter, un’adatta prefigurazione della logica ipertestuale,
molto più adatta alle strategie narrative adottate, piuttosto che il libro stampato.
Vi è un continuo gioco di simmetrie e parallelismi e nei 19 capitoletti che
corrispondono a 19 prospettive contemporanee di 19 personaggi, temporalmente
compresenti e spazialmente paralleli. Bolter afferma che il formato digitale
potrebbe far emergere con più chiarezza la struttura a “palinsesto” e le
sovrapposizioni tra fasi successive che Joyce vuole che siano note al lettore.

2.4 Percorsi del labirinto ipertestuale

La ricerca di punti di contatto con le varie prefigurazioni letterarie talvolta può


rischiare di ridimensionare la radicalità della svolta. Ovviamente non può essere
ignorato il rapporto tra tradizione e innovazione ma, anche quando ha termini di
continuità, nasconde equilibri instabili e sempre precari.

La distanza che separa gli ipertesti dagli esperimenti cartacei emerge nei testi
cosiddetti “labirintici”, che hanno sacrificato l’ordine lineare delle pagine per
rendere possibili letture multiple e incarnare quella che Calvino definisce come
“l’antica ambizione la molteplicità delle relazioni, in atto e potenziali”.

Ogni minimo oggetto è visto come il centro di una rete di relazioni che lo scrittore
non può non seguire e che tocca orizzonti sempre più vasti.

Altrettanto emblematico è Se in una notte d’inverno un viaggiatore, un iper-


romanzo: Se una notte d'inverno un viaggiatore è un romanzo di Italo Calvino
pubblicato nel 1979. In esso Calvino narra la storia di un Lettore che, nel
tentativo di leggere un romanzo è, per ragioni sempre differenti, costretto a
interrompere la lettura del libro che sta leggendo e intraprendere la lettura di un
altro. L'opera, narrata per la maggior parte in seconda persona, diventa quindi
una riflessione sulle molteplici possibilità offerte dalla letteratura e sulla
impossibilità di giungere a una conoscenza della realtà.
Il romanzo ha avuto un notevole successo in Italia e all'estero, specialmente negli
Stati Uniti, dove è stato letto immediatamente come esempio di letteratura
postmoderna. Appartiene quindi al genere del metaromanzo, un romanzo che si
interroga sulla sua stessa natura.

Nella “logica dei labirinti” i lettori sono invitati a proporre, usando un apposito
modulo interattivo, nuovi “rami” per le storie che via via diventano come alberi
sempre più articolati.
In altri ipertesti la struttura spaziale del testo narrativa o è diversa e segue una
logica reticolare o “ciclomatica”, come nel caso di Afternoon, a Story, caratterizzata
dalla reale destrutturazione di ogni impianto narrativo e da personaggi traversali
da un ramo all’altro, che determina la formazione di isole intorno alle quali si può
girare all’infinito (i cicli).
9
Si tratta di una logica di strutturazione dello spazio ovviamente incompatibile con
il formato cartaceo.

2.5 Realtà e finzione negli ipertesti narrativi

Anche le coordinate temporali, oltre quelle spaziali, trovano spiegazione


attraverso Calvino in Giardino dei sentieri che si biforcano, che Calvino definiva
come “meditazione filosofica sul tempo”. Quello dell’ipertesto è un tempo
pluridirezionale e continuamente riconfigurabile, espressione di una realtà in cui
tutto è possibile e non esiste nessuna certezza, in cui vengono meno i paradigmi
epistemologici e ontologici di comprensione e comunicazione. Il dibattito critico
ormai evidenzia la necessità di riconsiderare, alla luce delle nuove tecnologie, le
implicazioni epistemologiche connesse alle nuove modalità di “riproduzione” del
reale e quindi di distinguere tra fiction e simulation. David Bolter ha affermato che
questo problema assume ancora maggiore rilevanza sui nuovi media digitali, che
hanno una più evidente inclinazione alla remediation, cioè alla “iterazione
mediatica”, un’inclinazione ad avere come contenuto un altro media.

Il Patchworl Girl di Shelley Jackson si basa principalmente sulla confusione tra


fiction e realtà, a partire già dall’ipotesi iniziale secondo cui sarebbe stata Mary
Shelley a creare il mostro e non Victor Frankenstein, o meglio, un secondo mostro
in versione femminile, che si innamora della sua creatrice e fugge in America.

La ricerca di una relazione “mediata” con il reale è alla base della letteratura
postmoderna: lo sguardo non si posa sulla realtà in sé, ma sulle rappresentazioni
che ne sono state fatte, accentuando il carattere di inautenticità della realtà
contemporanea ed il senso di derealizzazione e distacco di chi scrive da ciò che
scrive. In questa chiave è da leggere la tendenza della narrativa ipertestuale alla
riscrittura.

3. LA SINTASSI NARRATIVA DEGLI IPERTESTI: IL DIBATTITO IN


CORSO

1.1 L’universo del racconto nella hyperfiction

L’ipertesto mette in discussione le idee di azione narrativa e trama stabilite da


Aristotele in poi.
George Landow afferma che tra i vari ambiti di applicazione dell’ipertesto, quello
della narrativa sia il terreno di osservazione privilegiato, dal momento che la
narrativa è un METACODICE, un universale umano con cui si possono
trasmettere messaggi culturali sulla natura di una realtà condivisa.

Tuttavia, non mancano coloro che si proclamano contrari alle potenzialità


applicative dell’ipertesto: Umberto Eco, ad esempio, ritiene che il tipo di libertà
concessa al lettore finisca poi per annoiarlo e che sia comunque incompatibile
con il piacere stesso della lettura.

In realtà, la produzione ipertestuale è talmente eterogenea che ogni opera


potrebbe farci porre interrogativi differenti. Alcuni interrogativi sollevati dalla

10
hyperfiction si incrociano con aree più vaste del dibattito sulla rivoluzione
digitale. David Bolter e George Landow hanno cercato di dare luce alle ricadute in
ambito narrativo della “riconfigurazione” della logica testuale connessa all’avvento
della tecnologia digitale. L’obiettivo è verificare in che misura l’universo del
racconto prodotto dagli ipertesti possegga delle caratteristiche specifiche legate al
nuovo “spazio della scrittura”.

In Writing Space, Bolter afferma che “la narrativa appartiene a questa nuova
tecnologia, almeno quella moderna, perché per natura aperta all’esperimento”.
George Landow individua un esempio interessante nella LOGICA “PARATATTICA”,
che consente di introdurre variazione sul tema come principi di costruzione del
racconto, analizzando più prospettive dei personaggi e scambiando le unità
narrative per rendere dinamico il testo, aperto ad interventi esterni.

Il problema fondamentale è però che questa scrittura paratattica non può in sé
determinare un punto conclusivo e nell’affermarlo, George Landow si rifà alle
affermazioni di Barabara Herrnstein Smith sulla “chiusura” del testo che
garantisce coesione e stabilità. E di Hayden White sulle implicazioni ideologiche
connesse all’atto narrativo che incarna coerenza, integrità e pienezza attraverso la
rappresentazione lineare degli eventi, mettendo in relazione TRAMA e MORALITA’.

La ridefinizione dello statuto classico di testualità richiederebbe nuove “regole di


scrittura”, che però non vanno cercare nella narratologia tradizionale, dal
momento che mettere a confronto la hyperfiction con altre sperimentazioni è
un’operazione fuorviante, perché la stampa si avvale di categorie che non
funzionano se applicate all’ipertesto.

Mario Gineprini afferma che per far sì che la narrativa ipertestuale assuma
rilevanza, bisogna allontanarla dalle categorie della narratologia tradizione ed
esplorare le varie possibilità che il computer offre per le varie forme di
affabulazione.
Massima Riva dichiara che le analogie non vadano cercate nelle nostre categorie
letterarie, ma nei GRANDI PASSAGGI, come quello dell’oralità alla scrittura o
quello dal manoscritto alla stampa.

Gian Paolo Renello suggerisce di cercare nuovi parametri per la narrazione


ipertestuale in un modello comunicativo che condivida la prevalenza del carattere
iconico su quello verbale.

3.2 La narrativa ipertestuale e la risposta del lettore

Altri campi di analisi sono l’analisi della riconfigurazione del ruolo del lettore e
degli spazi testuali attraverso gli strumenti offerti dalle teorie letterarie recenti:
reader-response criticism, poststrutturalismo e decostruzionismo.
David Bolter è tra i primi ad individuare nell’ipertesto la concreta attuazione della
teoria della ricezione, dal momento che il lettore prende parte alla costruzione del
testo come sequenza di parole. Inoltre, ritiene che l’ipertesto faccia emergere la
distanza tra il testo e la sua comprensione, evidenziando la necessità di collocare
l’opera letteraria a metà strada tra l’uno e l’altra. Per Bolter l’accento è
soprattutto sul ruolo sempre più “attivo” del lettore, che interpreta il testo. Un
11
ipertesto richiede un lettore più attivo che non solo sceglie i percorsi di lettura,
ma che ha anche la possibilità di leggere il testo come “autore”, creando
collegamenti al testo che sta leggendo.

Landow ritiene che lo smarrimento cognitivo e il sovraccarico cognitivo del lettore


possano assumere un preciso significato estetico e il fatto che il lettore possa
scegliere tra numerosi sentieri assume un valore positivo, a patto che si rinunci
alla pretesa di coerenza e chiusura. La centralità e la libertà del lettore assumono
un significato diverso e hanno effetti differenti e Douglas ha evidenziato come le
consuetudini di lettura acquisite dai testi lineari e le aspettative di coerenza e
coesione interna orientino anche la FRUIZIONE della hyperfiction, poiché alcuni
parametri di chiusura e stabilità provenienti dalla lettura dei testi a stampa
veicola le nostre scelte di percorsi durante la lettura di un ipertesto.

3.3 La teoria della convergenza: Bachtin, Derrida e Barthes

La terza e più ricca area del dibattito si articola intorno alla TEORIA DELLA
CONVERGENZA tra scrittura ipertestuale e poststrutturalismo, un assunto
teorico che guida tutta la riflessione di George Landow.
È soprattutto la narrativa ad offrire una prospettiva interessante: la teoria critica
promette di teorizzare l’ipertesto e l’ipertesto promette di dar corpo a diversi suoi
aspetti, soprattutto quello concernenti la testualità, la narrativa e i ruoli o le
funzioni del lettore e dello scrittore. Landow evidenzia come la convergenza tra la
teoria letteraria e l’ipertesto sia evidente già sul piano lessicale: Barthes,
Foucault, Bachtin, Derrida usano abitualmente termini come tela, rete e
collegamento che chiamano in causa l’ipertestualità.
L’apertura intrinseca della logica ipertestuale e la sua struttura parcellizzata e
molploce si avvicinano al testo descritto da Barthes come “rete a mille ingressi [...]
il cui punto di fuga è continuamente arretrato.
Un testo è fatto di strutture molteplicità, provenienti da culture diverse, ma esiste
un luogo in cui la molteplicità si riunisce ed è il LETTORE, che diviene però un
lettore senza storia né biografia, che ha lo scopo di tenere unite in un unico
campo le tracce di cui uno scritto è costruito.
Landow accosta al concetto derriddiano di “decentramento” la struttura dispersa
dell’ipertesto che non ha non è un centro ne una “periferia” dal momento che si
tratta di concetti costantemente in cambiamento in base alle scelte compiute di
volta in volta dal lettore che costruisce il percorso narrativo.
La parte più interessante dei suoi studi è la convergenza che Landow evidenzia
tra l’ipertesto e le osservazioni di Bachtin sul carattere dialogico e polifonico del
romanzo, che è l’unica forma letteraria capace di presentare la parola diretta
(attribuibile all’autore) e la parola oggettuale (attribuibile al personaggio), ma
anche una parola ambivalente, che è ricontestualizzata e reinterpretata, il cui
senso viene costantemente rinegoziato in un gioco

di prospettive. Interessante per l’osservazione di questi aspetti è sicuramente la


sezione Graveyard dell’ipertesto Patchworl Girl, in cui viene data voce a ogni
personaggio che ha costituito una delle “porzioni” usate per costruire il corpo del
mostro e ne viene tracciato un brevissimo profilo psicologico.

3.4 Banalità digitali o rinascita del romanzo?


12
Blonsky è tra coloro che sostengono che la convergenza tra hyperfiction e
poststrutturalismo sia stata troppo ostentata e che sia in realtà segno di
mancanza di contenuti da parte di questa nuova forma narrativa; ha infatti
affermato che ci troviamo davanti a una misitificazione, un inganno che viene
spacciato per sperimentazione narrativa, caratterizzato da un inspiegabile odio
per la parola scritta.
Coover ha suggerito che più che minacciare il romanzo, l’hyperfiction minaccia la
logica borghese che per secoli lo ha caratterizzato.
Bisogna dunque ridefinire gli equilibri tra intentio auctoris, intentio lectoric e
intentio operis.

4. INTENTIO LECTORIS: NUOVE STRATEGIE DI COOPERAZIONE


INTERPRETATIVA

Genette ha evidenziato l’ambiguità del termine racconto, adoperato solitamente


con tre significati: il primo senso è quello di enunciato narrativo, quindi il
discorso orale o scritto che assume valore di avvenimento, il secondo è quello di
successione di avvenimenti reali o fittizi che formano l’oggetto di questo discorso,
il terzo è l’atto di narrare in sé stesso. Evidenzia inoltre la dicotomia tra la fabula
e l’intreccio, quindi l’opposizione tra ordine cronologico degli avvenimenti e quello
delle sequenze narrative come vengono presentate. Genette focalizza l’attenzione
sulle “distorsioni temporali” in termini di “ordine”, “durata” e “frequenza”, che la
disposizione degli eventi produce con lo scopo di creare relazioni di
concatenazione, alternanza

A Sklovskij di deve la conclusione che la fabula è il materiale per la formazione


dell’intreccio. Quindi, ciò che conta non è mai il materiale in sé stesso, ma la
struttura attraverso la quale si articola e quindi la logica che viene data alla
materia e che sottende l’intera costruzione. L’opera letteraria sarebbe “pura
forma”, un rapporto tra materiali che l’autore organizza attraverso specifiche
strategie e per scopi precisi. Questo diventa particolarmente importante nel
romanzo novecentesco, in cui le dimensioni temporali acquistano anche valenza
epistemologica, oltre che tecnica, e non sono più una strategia per una maggiore
partecipazione emotiva da parte del lettore. A partire dall’inizio del secolo, il
tempo sembra essere “il soggetto del romanzo”, basti pensare alle forme di
sperimentazione postmoderna in cui l’ordine temporale caotico obbedisce a criteri
rigidissimi.

Una delle prime obiezioni mosse alla hyperfiction e che sostiene la tesi
dell’inconciliabilità con la logica narrativa, è il fatto che essa metta
apparentemente in discussione la dinamica stessa di “costruzione” su cui si regge
il racconto, intesa come disposizione sintattico-funzionale delle unità testuali.
Nell’ipertesto non esiste alcuna composizione rigida delle informazioni narrative,
poiché il testo si mostra come un insieme virtuale di frammenti disseminati in
uno spazio pluridimensionale. Bisogna ipotizzare una modalità narrativa che
prescinda dalla fabula e dall’intreccio, quindi da qualsiasi tentativo di dare ordine
alla materia, seguendo i principi che, secondo Sklovskij,sono la forma stessa
dell’arte. Egli sostiene inoltre che la favola, la novella e il romanzo siano
combinazioni di motivi e che, dal punto di vista dell’intreccio, non c’è da

13
comprendere il contenuto, ma solo la forma, come legge della costruzione
dell’oggetto.

4.2 l'ipertesto e il lettore “abile”

La narratologia considera il racconto come qualcosa di intrinsecamente lineare e


che tale linearità svolta un ruolo fondamentale nel nostro pensiero. Chatman
afferma infatti che “una narrativa senza intreccio è un'impossibilità logica”. In
realtà, nell’ipertesto non c’è affatto una negazione totale della linearità, quanto
semmai, l'istituzione di una sorta di multilinearità potenziale nel quale è il lettore
a doversi orientare. Non esiste alcuna “storia” o “trama”, esistono però
“innumerevoli letture”, ciascuna delle quali costituisce un percorso sequenziale. È
il lettore a dare ordine e forma alla materia narrata, a preservare il testo
dall’entropia. La hyperfiction quindi va a collocarsi al polo opposto rispetto alla
letteratura colta, basta proprio sulla subordinazione del lettore.

Michael Joyce evidenzia come aspetto più rilevante questo ruolo così centrale del
lettore, poiché è lui a stabilire l'ordine di presentazione della materiale narrativo e
quindi l'intreccio, selezionandoli lessie e disponendole in ordini sempre diversi. A
chi va dunque attribuito il valore artistico di un ipertesto narrativo? Gigliozzi
sostiene che il lettore sia il vero responsabile della costruzione del racconto, e che
la sua “dimensione autoriale” sia direttamente proporzionale ai margini di
autonomia che gli sono concessi nel testo. Il tentativo di applicare coordinate
spazio-temporali (quindi criteri narratologici per formati cartacei) conduce
sicuramente a deduzioni fuorvianti. In realtà, anche la presunta autorialità del
lettore è solo un “inganno”, un tentativo di applicare principi narratologici
inadatto alla pluridimensionalità dell’ipertesto.

4.3 spazio e tempo nella hyperfiction: riconfigurare l’atto di scrittura

nello spazio ipertestuale cadono i concetti di “inizio” e “fine”, poiché si tratta di


uno spazio incompatibile con la logica della delimitazione che, secondo Lotman, è
una condizione indispensabile del testo narrativo. Per illustrare le modalità di
navigazione di Afternoon, a Story Bolter usa proprio la metáfora del viaggio
interplanetario e delle leggi gravitazionali: i lettori si muovono lungo orbite
inerziali, sperimentando nel contempo anche l’attrazione di altre parti della
costruzione del racconto; i lettori si ritrovano ogni volta negli stessi episodi e
tentano di dare risposte differenti e di scegliere così diversi percorsi e se la
strategia ha successo, potrebbe ritrovarsi sospinto in un’altra orbita.

Sarebbe quindi un errore cercare di trovare le strategie narrative della


hyperfiction nella disposizione lineare della fabula in intreccio o nella alternanza
tra motivi legati e liberi. Queste strategie hanno senso rispetto alla sequenzialità e
unidirezionalità imposta dal formato cartaceo, ma sono inapplicabili alla
pluridimensionalità dell’ipertesto. In questo caso il vero atto di scrittura va a
collocarsi nella logica che sottende la progettazione di tutte le potenziali
disposizioni dei frammenti testuali, dal momento che il progetto autoriale della
hyperfiction è in qualche modo una “sovrastruttura” o una struttura di struttura,
l’architettura concettuale che tiene insieme le connessioni reticolari.

14
Al lettore è delegato il compito di costruire l’intreccio, ma questo non implica
nessun “incarico autoriale”, perché il vero atto di scrittura è altrove, nella logica
di organizzazione più profonda che risponde a delle precise intenzionalità
comunicative che sono del tutto indipendenti dal processo di costruzione di cui
legge. Il grado di articolazione del testo costituisce una prima manifestazione del
progetto autoriale. Inoltre, è sempre l’autore stabilire la lunghezza delle lessie,
cioè i blocchi di lettura, corrispondenti alle singole schermate, che costituiscono
le unità minime di informazione narrativa. I criteri che impongono una minima
linearità sono espressione di una scelta arbitraria, calibrata in funzione
dell’effetto di maggiore o minore frammentazione che l’autore vuole produrre. È
l’autore a decidere il tipo di connettività tra i frammenti del testo e a farne una
selezione e una gerarchizzazione.

La “RETORICA DELL’IPERTESTO”, come la definisce Landow, viene meglio


rappresentata dai collegamenti plurimi che si irradiano da ogni lessia. La vera
marca stilistica della scrittura ipertestuale sta proprio nella logica che viene usata
per la disposizione e la reciproca accessibilità dei frammenti, che si manifesta
attraverso la strutturazione dei “livelli”, cioè dei piani virtuali, ed è l’autore a
stabilire quali lessie appartengono allo stesso livello.

La riconfigurazione dello spazio testuale ridefinisce anche le strategie di


rappresentazione del TEMPO. Umberto Eco ci ricorda che il tempo in un racconto
appare tre volte: tempo della fabula, del discorso, della lettura. L’autore calibra le
accelerazioni e i rallentamenti per creare degli effetti prestabiliti. Infatti, talvolta
l’abbondanza di descrizioni non vuole tanto rappresentare, quanto piuttosto
rallentare il tempo di lettura affinché il lettore acquisisca il ritmo che l’autore
giudica appropriato. Ora, in un testo formato da frammenti interattivi che hanno
innumerevoli potenziali ordini di presentazione, non è ipotizzabile alcun controllo
del tempo della lettura. La possibilità di disporre le lessie in ordine sempre
diverso annulla ogni distinzione tra “prima” e “dopo”. Perissinotto osserva,
riguardo l’ipertestualizzazione di testo nati in formato cartaceo, che la non
linearità della lettura ipertestuale rischia di vanificare le strategie di
temporizzazione usate dall’autore.

Invece, per i testi nati in forma ipertestuale, le strategie di temporizzazione sono


differenti e la “temporalità” tende a tradursi in “spazialità” e trovano espressione i
particolari giochi di equilibrio tra la dimensione temporale e quella spaziale. Si
portano alle estreme conseguenze quelle strategie di “spazializzazione del
racconto”, che si manifestano con particolare chiarezza nella logica paratattica,
con la quale un evento è giustapposto a un altro. La sintassi narrativa
dell’ipertesto pone l’accento non tanto sull’evoluzione degli eventi, quanto sui
diversi significati che lo stesso episodio assume, in base a dove si trova all’interno
della narrazione e in base al percorso che il lettore ha compiuto prima di esso.

4.4 libertà vigilata: nuovi equilibri tra intentio auctoris e intentio lectoris

Nell’ipertesto vengono concesse al lettore amore possibilità di movimento, ma allo


stesso tempo si mettono in atto forme di controllo della fruizione meno esplicite.
Infatti, da un lato si rischia di perdere il senso della testualità, in
un’interpretazione illimitata che rischia di annichilire l’intento dell’autore,
15
dall’altro abbiamo il configurarsi di un autore despota che fine di lasciare libero
chi legge, più stringerlo in una rete di foto rimandi. Il lettore è chiamato a fare
non solo un senso al testo, ma anche a dargli vita, percorrendo ogni volta
percorso diversi.

Iser introduce la nozione di Lettore Implicito, che ha solide radici nel testo,
nozione recuperata da Umberto Eco nella definizione di Lettore Modello, che è in
grado di cooperare all’attuazione testuale come l’autore voleva. Un testo non si
limita a presumere una competenza, ma contribuisce concentramento a produrla.
Il Lettore Modello va costantemente ridefinito, in corso di lettura, sulla base della
continua acquisizione di competenze e di informazioni progressivamente fornite
dal testo stesso. La nozione di a lettore Modello viene messa alla prova sapere
innumerevoli combinazioni, poiché ogni blocco dovrebbe avere tanti lettori
modello diverso tra loro quanti sono i percorsi di lettura possibili. Bisogna
considerare quindi le dinamiche di comunicazione testuale e le strategie di
controllo della fruizione. È stato sottolineato che la strutturazione dello spazio
testuale costituisce già di per sé uno strumento di orientamento della fruizione,
configurandosi come una dimensione profondamente strutturante e non come un
semplice contenitore. Lo “spazio logico” si traduce in “spazio visibile” e “spazio
agito”: Si tratta di due livelli simultanei di espressione che conferiscono visibilità
all'organizzazione logica del materiale narrativo e predispongono gli strumenti
stessi di interazione con il testo. Anche la scelta del tipo di software rientra tra le
strategie di orientamento della fruizione. Nel caso di Patchwork Girl di Shelley
Jackson, Il gioco di riscrittura di Frankenstein e le associazioni metaforiche tra il
testo e il corpo sono legate alla possibilità di visualizzazione del materiale
narrativo consentite da StorySpace che, associando blocchi testuali a parte del
corpo della donna, funziona come suggerimento per il lettore. secondo Marco
lobietti, l’interfaccia grafica sarebbe l’espressione più emblematica della voce
dell’autore nell’ipertesto, nonché il segno tangibile del suo controllo nella
orchestrazione dei percorsi di lettura. L’interfaccia, infatti, può diventare la voce
dell’autore nel ipertesto, organizzando la forma dei contenuti e portando in letture
verso la costruzione di un determinato percorso. in altri termini, l'interfaccia
grafica mostra che il lettore è libero di spostarsi, ma sempre comunque all'interno
di una rete tracciata è collaudata dall'autore, e la cui percorribilità è stata in
precedenza verificata scrupolosamente. Si ridefinisce il precario gioco di equilibri
tra libertà e costrizione che sarebbe poi alla base del rapporto tra autore e
destinatario di qualsiasi opera creativa, come spiega gigliozzi, attraverso la
metafora della pittura 2 punti così come il pittore fa un passo indietro per
valutare la riuscita del ritratto, osservandolo dal lato dell’osservatore, così solo
apparentemente il lettore/spettatore sarà libero in quanto inevitabilmente andrà
sedersi in un posto progettato per lui e addirittura collaudato. Il lettore sceglie,
ma lo fa all’interno di percorsi costruiti, predisposti da un autore punto potrebbe
quindi esserci in realtà una riduzione della libertà del lettore, al quale viene
negata la possibilità di attivare i percorsi ipertestuali non elettronici che la sua
soggettività ed emotività potrebbe determinare.

4.5 principi di cooperazione interpretativa

con il cambiare delle strategie testuali per orientare la fruizione, cambia anche il
tipo di cooperazione richiesta al lettore. Cesare Segre osserva che nessun
16
percorso di lettura è lineare, nemmeno nel romanzo tradizionale, dal momento
che quando si legge di volta in volta una frase, tue le precedenti costituiscono
una sintesi memoriale, mentre quelle che dovuta ancora leggere formano un’area
di possibilità linguistiche e narrative. Nonostante la sequenzialità di questo
processo, non dobbiamo dimenticare che la sintesi memoriale è un processo
molto più complesso della semplice somma algebrica di tutte le parti del testo:
leggendo noi stacchiamo le informazioni dalla pagina ed esse producono una
trasformazione nel nostro sistema di conoscenze e riorganizziamo il nostro
sapere.

Ogni attraversamento di un testo, secondo Umberto Eco, conosce rallentamenti e


accelerazioni nonché richiami e collegamenti, con sospensioni di significato e
ipotesi interpretative che rispondono alla naturale tendenza della mente umana a
trovare un ordine casuale e temporale tra gli eventi. La forte influenza delle va
modalità percettive della mente e dell’occhio nel creare un’illusione di continuità,
movimento e coerenza narrativa gioca in questo un ruolo determinante. Tuttavia,
bisogna anche sottolineare che collegamenti, deviazioni e indugi non sono mai
casuali, ma rispondono sempre a strategie autoriali precise. Umberto Eco parla ci
anche di tecniche di rallentamento che l'autore mette in atto per guidare le
passeggiate inferenziali del lettore, che esce dal testo per azzardare previsioni che
possano soddisfare la storia. Tutte le volte che il lettore si trova davanti a
qualcosa che comporta un cambiamento nella narrazione, è automatica indotto a
prevedere quale sarà il cambiamento prodotto. Un testo narrativo introduce dei
segnali di vario tipo, segnali di suspence, dati dalla divisione in capitoli.

Il lettore è sì chiamato a contribuire allo sviluppo della fabula, però il testo alla
fine legittima solo una delle ipotesi interpretative a lui formulate: gli Stati della
fabula, infatti, confermano o disattivano la porzione di fabula anticipata dal
lettore. La cooperazione interpretativa richiesta al lettore impone ci riconoscere
come legittimo solo il percorso

convalidato dall’autore. Ciò non esclude che le ipotesi avanzate dal lettore non
fossero altrettanto valido e, secondo il modello proposto da Eco, la cooperazione
di configurerebbe come un incontro/scontro tra due progettualità.

4.6 Disgiunzioni di probabilità nella hyperfiction

Queste dinamiche comunicative non sono applicabili all’ipertesto narrativo. Vale


anche per l’ipertesto la “sospensione di incredulità” che costruisce uno dei pilastri
della narrativa in formato cartaceo. Ad essere minata è la cooperazione
interpretativa che si manifesta nella rinuncia a porsi interrogativi non rilevanti ai
fini del racconto. Al lettore della hyperfiction non è dato sapere se si trova davanti
a nuclei fondamentali per la narrazione o a informanti, dettagli che sarebbe ozioso
approfondire. Inoltre, alcuni particolari che risultano insignificanti in un percorso
potrebbero essere fondamentali in un altro. Il lettore vive nella costante e
frustrante sensazione di aver sbagliato strada.

Si inaugura quindi una nuova cooperazione interpretativa che impone al lettore di


considerare ugualmente legittimi ed equivalenti tutti i percorsi consentiti dalla
logica testuale. Questo assunto costituisce un patto funzionale vincolante e resta
17
valida la distinzione tra “interpretazione” e “uso” libero del testo perché i percorsi
narrativi sono limitati e resi attuabili da una precisa strategia testuale.

La ricerca di una nuova forma espressiva è sintomatica di una nuova


PERCEZIONE DELLA REALTÀ. Michael Joyce evidenzia la positività del
disorientamento prodotto dalla hyperfiction, mentre Stuart Moulthrop ritiene che
la possibilità di scegliere tra tanti percorsi è liberatoria rispetto ai paradigmi del
sistema politico e culturale che mira a orientare la conoscenza verso ordini unici
ed egemonici. Sul piano teorico, Landow ritiene che l’esperienza di smarrimento
derivi dalla messa in discussione di paradigmi epistemologici condiviso, che la
rivoluzione digitale ha mostrato come ormai obsoleti. La contemporanea
coesistenza di più percorsi incarna la crisi delle rassicuranti certezze incarnate
dal libro cartaceo. È il segno della CONDIZIONE POSTMODERNA, tipica di una
cultura caratterizzata dal dominio della scienza e della tecnologia.

Secondo Umberto Eco, la libertà concessa al lettore finisce alla lunga per
annoiare, poiché incompatibile con il piacere stesso della lettura, inteso come
scontro con le immodificabile leggi del fato. L’assunto immodificabile per cui tutti
i percorsi sono ugualmente legittimi impedisce al lettore l’ebbrezza di vedere le
proprie ipotesi contraddette dall’autore. Viene inoltre meno quel gioco di allusioni
e ambiguità tipico della narrativa tradizionale.

Bisogna però dire che anche le obiezioni più ragionevoli mosse alla hyperfiction
derivano da un tentativo di applicare le dinamiche di comunicazione testuale e i
principi di evoluzione dell’intreccio che sono proprio della narrativa tradizione ad
una forma testuale a cui non possono essere applicate. In realtà, nell’ipertesto
narrativo i livelli di significato hanno poco a che vedere con l’evoluzione degli
eventi ed emergono attraverso accostamenti e sovrapposizioni tra porzioni diverse
del testo, come in Patchwork Girl, in cui infatti la trama è ridotta praticamente a
zero e i percorsi di lettura creano complesse simmetrie interne e giochi di
corrispondenze metaforiche. L’ipertesto, dunque cancella il piacere della lettura,
ma lo ridefinisce. Esplora una dimensione nuova della scrittura, più vicina al
mondo interiore, in bilico tra realtà e immaginazione.

5. NEL“CORPO”DEL“TESTO”: PATCHWORK GIRL DI SHELLEY


JACKSON

5.1 Dal testo all’ipertesto: il percorso di una riscrittura Già a partire dal titolo,
l’opera propone la riscrittura di un classico, cioè Frankenstein, or the Modern
Prometheus (1818), e di un testo meno noto, The Patchwork Girl of Oz (1913) di
Frank Baum, a cui si incrociano comunque molti altri riferimenti letterari,
direttamente o no legati al tema del “mostro”. È innegabile il riferimento alla
letteratura cinematografica che ruota intorno al concetto di “corpo smembrato”:
Body Parts di Eric Red (1991) o The Patchwork Girl di Larry Niven.
Tuttavia, il riferimento principale rimane quello all’opera di Mary Shelley, come si
intuisce già dalla schermata iniziale, intitola “HER”, che presenta l’immagine in
bianco e nero di una donna frammentata e ricucita attraverso linee tratteggiate.
Consente un solo collegamento alla title page, che presenta sei percorsi
corrispondenti alla sei sezioni che compongono la struttura dell’opera:

18
 -  Story

 -  Body of text

 -  Graveyard

 -  Journal

 -  Crazy quilt

 -  Sources

Ogni sezione ha delle caratteristiche e dei contenuti differenti, ma non


costituiscono unità differenti nella logica di strutturazione dello spazio
testuale, piuttosto piani paralleli e sovrapponibili attraverso i quali si passa
seguendo percorsi trasversali, per esplorare i significati nuovi che ogni
lessia assume a seconda della sua collocazione spaziale.

Solo “Sources” contiene l’elenco dettagliato dei numerosi testi a cui fa


riferimento, mentre le altre sezioni sono costituite da un certo numero di
blocchi testuali, collegati in vario modo da una fitta rete di links. La lessia
“Dotted Line”, nella sezione Body of Text, che fa ripensare alla schermata
iniziale e alle linee tratteggiate del corpo femminile, è un chiaro esempio di
lessia che contribuisce al gioco di richiami e di simmetrie interne e delle
modalità di lettura che l’ipertesto richiede, svincolata dalla sequenzialità del
testo scritto. La metafora della linea punteggiata indica, nell’arte degli
origami, le parti del foglio da piegare per superare la bidimensionalità e
ottenere una figura da un semplice foglio di carta. A facilitare questa logica
di “attraversamento” trasversale contribuiscono anche le ampie possibilità
di visualizzazione dello spazio testuale: c’è la MAP VIEW, con icone
rettangolari, la OUTLINE VIEW, ad elenco, la TREE MAP, struttura ad
albero, e la CHART VIEW, schema gerarchico.

Ma la singolarità di questa riscrittura emerge dall’analisi di “Story” e


“Journal”, cioè le due sezioni narrative e nelle quali la Jackson intende
raccontare la storia della compagna che il mostro del romanzo del 1818
chiede a Frankenstein di creare, suscitando in lui indignazione e rabbia.

La Patchwork Girl è una “donna-mostro” giunta ormai a 175 anni, che


racconta la propria vita, fino al viaggio nel nuovo continente nella sezione
Story.
Nella sezione Journal a parlare è Mary Shelley stessa, attraverso frammenti
di un diario apocrifo, nel quale è offerta la trascrizione della sua vita con il
mostro.

La voce della protagonista e quella di Mary Shelley si alternano in un gioco di


incroci sempre diversi. L’ipotesi della Jackson è che una creatura, se affidata alle
amorevoli cure di una madre, può avere una sorte diversa rispetto a quella del
mostro del romanzo di Mary Shelley, che ha lei stessa creato la donna-mostro,
verso cui prova un “materno” istinto di protezione nonostante l’aspetto. Mary
19
prova sentimenti mutevoli nei confronti di questa creatura, dal momento che
dinanzi al ripugnante assemblaggio di frammenti lei è affascinata, sedotta e
incantata. Si delinea un rapporto genitore-figlio dal legame particolarmente
complicato, segnato da un desiderio di “comunione” intesa sempre più
esplicitamente come “fusione”, tanto che Mary arriva a voler togliere una parte del
suo corpo per cucirla addosso al mostro. Questa comunione non esclude
casualmente il maschio, per assumere una esplicita connotazione sessuale
nell’ambigua scena della camera da letto, nella quale si assiste ad un vero e
proprio incesto.

Per alcuni versi, Patchwork Girl può essere letto come ennesimo esempio nel
panorama postmoderno di RISCRITTURE FEMMINISTE, il cui scopo è quello di
riportare in superficie paradigmi legati al patriarcato e sovvertirli. Questo scopo è
evidente già nella scelta del romanzo da riscrivere, il Frankenstein, che già dagli
anni Settanta era considerato come base della scrittura femminile.

Le tribolazioni della creatura di Mary Shelley vengono identificate con la lotta


delle “voci femminili” per il riconoscimento della propria identità e la smania di
controllo di Victor viene vista come la brama di essere il primo uomo in controllo
della vita, prerogativa femminile. In Patchwork Girl, invece, sia il “testo” che il
“corpo” sono creati dalla donna e questo provoca una totale estromissione del
maschio dal racconto.

Nel frontespizio scrive: Patchwork Girl by Mary/Shelley & herself.


Questo titolo apre il problema dell’autorialità, che nel testo possiamo trovare nella
protagonista, che scrive alcune sezioni, in Mary Shelley, in quanto autrice del
romanzo ottocentesco e fittiziamente anche di alcune sezioni narrative, poi il
lettore, che contribuisce alla costruzione di un percorso preciso.
La perplessità riguardo la paternità esclusiva di un testo viene amplificata
attraverso il confronto con il contesto culturale del XVIII secolo e, soprattutto, con
la filosofia di Locke riguardo i principi di diritto d’autore e proprietà intellettuale.
Abbiamo qui un miscuglio tra fiction e reality, una vera e propria contaminazione,
che però non esaurisce il senso ultimo e più profondo di questo “collage narrativo
digitale”.

   Graveyard: brevi profili biografici degli essi che hanno fornito le varie
parti del corpo del mostro, ponendo immediatamente il problema
dell’IDENTITA’ MULTIPLA

   Crazy Quilt: interamente costituita da citazioni provenienti da una


grande varietà di fonti

   Body of Text: considerazioni di varia natura sulla trasformazione della


logica testuale e sulle implicazioni epistemologiche.

È inevitabile la sensazione di disorientamento del lettore che compie


articolati percorsi trasversali tra le sezioni narrative e quelle di contenuto
“filosofico-metatestuale”, che permettono di cogliere la molteplicità di
significati.

20
Il racconto della nascita del mostro va qui inteso come una sorta di
archetipo letterario del tema della CREAZIONE, un espediente per creare
una relazione tra la “costruzione” del corpo “rappezzato” e la
frammentarietà dell’ipertesto.

Esplorare i nuovi spazi ipertestuali significa anche analizzare un nuovo


modello di identità, composta, multipla e virtuale, una nuova soggettività
resa possibile dall’elettronica.

Il mostro si fa quindi metafora di un processo che scardina il modello lineare


della narrazione, partendo dalla nozione di “identità” che, insieme a quella di
“realtà”, non ha più senso nella misura in cui non esiste una versione definitiva e
finale di un ipertesto.
Come affermava Bolter, lo spazio di scrittura diventa metafora della mente
umana, poiché la “mutata concezione dello spazio dello scrivere porta con sé
modificazioni nell’immagine che abbiamo di noi come soggetti che scrivono e
leggono”.

5.2 Metafore dello spazio testuale

Shelley Jackson intende la scrittura come qualcosa di tangibile e “corporeo”.


La relazione metaforica tra la concezione letteraria e la composizione del corpo
umano fa parte di un immaginario consolidato ormai nella tradizione ed è ribadito
in Patchwork Girl: il confronto tra la composizione letteraria e l’assemblaggio delle
varie parti di un corpo risale alla retorica classica, in cui “membro” o “arto”
indicavano anche una “unità sintattica”. L’associazione tra il testo e il corpo
smembrato della protagonista, quindi, non è un elemento originale; lo è, invece,
l’intuizione che il corpo della compagna di Frankenstein possa funzionare non
solo come metafora della scrittura, ma anche come visualizzazione della logica
organizzativa del testo elettronico.
Infatti, il corpo scomposto e ricomposto si fa immagine di “SPAZIO TESTUALE”,
introdotto dalla tecnologia digitale, nella sua accezione di “spazio logico, visibile e
agito”.
Si tratta, in sostanza, di metafore e metonimie che rimandano alla struttura
logica/labirintica dell’ipertesto.

L’associazione metaforica con un corpo da riassemblare funziona come guida per


il lettore, senza che corra il rischio di smarrirsi tra le numerose lessie.
Il corpo della protagonista diventa anche metafora dello “spazio agito”,
declinazione della spazialità dell’ipertesto a livello pragmatico, offrendo al lettore
gli strumenti per agire concretamente con esso.
In Journal ci sono due lessie “sovrapponibili” che identificano l’atto di SCRITTURA
del testo con quello di RICUCITURA delle varie porzioni del corpo.
Il lettore è un nuovo Victor Frankenstein, poiché detiene il potere di cucire
insieme frammenti eterogenei, espressione della tendenza postmoderna al
patchwork e al pastiche. Dunque, prende parte attivamente alla costruzione del
testo, attivando collegamenti tra i vari blocchi testuali e riassemblando il corpo
della protagonista. L’iscrizione sulla pietra tombale, che dice “I am buried here.
You can resurrect me, but only piecemeal. If you want to see the whole, you will
have to sew me together yourself.”, consente ben 14 collegamenti con le varie
21
porzioni del corpo, costruendo diversi percorsi nel disseppellimento dei vari
organi e parallelamente nella costruzione del testo.
Il lettore accede alle brevissime biografie delle varie parti che compongono il corpo
della protagonista (Graveyard), oppure al diario “apocrifo” di Mary Shelley
(Journal), alla cronaca del viaggio in America (Story), o ad un elenco di fonti
(Sources) o di commenti critici (Crazy Quilt).

L’associazione tra scrittura e corpo non è solamente una modalità di


visualizzazione dello spazio testuale o una traccia da seguire, ma è anche e
soprattutto uno STRUMENTO METATESTUALE.
Katherine Hayles sottolinea che l’equivalenza tra “sewing” e “writing” è da
interpretare come tentativo di connotare l’atto creativo come intrinsecamente
femminile, facendo emerge gli aspetti della scrittura ipertestuale che sono
particolarmente conformi alla

sensibilità e al pensiero femminile.


La simmetria “corpo/testo” è funzionale soprattutto a far emergere il senso e la
portata della rivoluzione introdotta logica ipertestuale, intendendo sia il corpo che
il testo come due costruzioni sempre in fieri, incompiute e instabili. L’immagine di
un corpo formato attraverso un assemblaggio ripugnante di vari organi messi
insieme provvisoriamente, rende l’idea di una testualità aperta e parcellizzata.

Ogni parte che compone il corpo serberà un giorno memoria del mostruoso
mosaico di cui è stata parte, seppur ognuna abbia mantenuto chiari i segni della
sua “vita” precedente e della persona a cui è appartenuta (ad esempio, la lingua
“instancabile” di Susannah o del cuore impavido di Agatah).

L’organizzazione reticolare dei blocchi testuali permette ad ogni singola lessia di


essere una “unità concreta” che contiene un’esistenza narrativa autonoma, pur
intessendo collegamenti con altre e assumendo significati sempre nuovi.
Il frammento costituisce l’unità costitutiva del testo, mentre l’apertura è la
condizione imprescindibile per la sopravvivenza delle più piccole unità di lettura.
Questo concetto trova espressione nella LOGICA DELLA CICATRICE: il link è
l’unica impalcatura, per quanto pericolante sia, che tiene insieme il testo.

La protagonista stessa trova la sua identità nelle cicatrici e identifica il suo corpo
con le linee di sutura tra i pezzi ricuciti: “La mia vera essenza è negli spazi vuoti
tra le varie parti.”

Allo stesso modo, anche il testo è un assemblaggio di frammenti che,


componendosi, formano uno spazio “virtuale” sempre dinamico. Il testo è una
“tela” fitta e incrociata di collegamenti plurimi, da cui viene come risultato una
struttura reticolare a sviluppo policentrico, che spezza la logica unidirezionale e
gerarchica della narrazione ad “albero”, contrapposta a quella testualità aperta
del rizoma.

Tutta l’opera è basata su una serie di percorsi divergenti la cui ARBITRARIETA’ è


l’unico criterio di scelta.
I links conservano una duplice natura: mentre svolgono una funzione di unione,
collegando le lessie, mostrano anche la natura scomposta e incoerente
22
dell’insieme. Sono dei veri e propri “traumi testuali”, che destabilizzano il testo e
ne mostrano la natura permeabile e precaria. Non indicano solo una possibile
congiunzione, ma anche una fessura, uno spiraglio.

Come spiega Michael Joyce, Patchwork Girl è una riscrittura intesa soprattutto
come ESPLORAZIONE DELLA PERMEABILITA’: tutta l’opera si costruisce nelle
fessure del romanzo di Mary Shelley, ma allo stesso tempo intrattiene un
rapporto di filiazione con innumerevoli altri testi, tutti citati dall’autrice stessa in
Crazy Quilt, le cui lessie sono interamente costituite da citazioni messe insieme
in modo singolare.

5.3 identità plurime

il testo viene inteso come palinsesto, groviglio di voci, immagini e generi diversi,
incarnando il nuovo spazio della scrittura introdotto dalla logica ipertestuale.
Allo stesso modo, il corpo “rattoppato” della protagonista si fa immagine della
radicale riconfigurazione del concetto di IDENTITA’ nell’età postmoderna: il corpo
ibrido e grottesco è da sempre celebrato dalla cultura rock e punk come risposta
spiritosa, ma anche politica, al conformismo sociale della borghesia post-
industriale.

Le fattezze mostruose impongono di ripensare lo stereotipo di individuo perfetto,


di sesso maschile e di razza bianca, imposto dalle culture dominanti sin
dall’antichità.

La Patchwork Girl demolisce i paradigmi fondanti della nozione di identità


ereditata da secolari paradigmi appartenenti a culture maschiliste.
Questo “cyborg” elimina ogni opposizione dualistica, mettendo in discussione le
nozioni di genere, razza, classe, sesso, ed incarna un nuovo modello di identità,
capace di superare le dicotomie e di promuovere la diversità come valore,
affrancando tutte le minoranze discriminate, in primis le donne.

La “mostruosità” si esplica anche nel tentativo di tenere insieme personaggi


eterogenei, che hanno fornito le varie parti anatomiche: “I am a monster, because
I am multiple, and because I am a mixture”.
Il mostro incarna un compromesso continuo tra unità e pluralità che caratterizza
la concezione postmoderna di individuo e che trova anche un riscontro nella
BIOLOGIA (leggi pag. 219-220).

Viene messa in discussione la nozione di identità intesa come entità in sé, stabile
e unitaria, a cui la cultura postmoderna, soprattutto dopo l’avvento della
rivoluzione digitale, contrappone dei paradigmi di frammentazione e molteplicità.
In questo contesto culturale, la vecchia concezione unitaria dell’io non è più
sostenibile e la “patchwork girl” incarna quel sé “proteiforme” che assume
sembianze differenti ma mantiene integra la propria identità.
Katherine Hayles evidenzia che la ricerca di coerenza e stabilità nell’individuo è
inattuabile, assurda e costantemente frustrata e viene associata al contesto

23
filosofico- letterario del Settecento e alle disquisizioni teologiche medievali sulla
ricostituzione dell’integrità fisica del corpo.

La Jackson propone:

 -  una contrapposizione ironica agli stereotipi della cultura borghese


conformista e chiusa al “diverso”;

 -  un’espressione della visione frammentata dell’io;

 -  messa in discussione del paradigma fondante del concetto di identità,


cioè quello di

“individuo” inteso come entità distinta dall’esterno e la cui superficie


corporea segna un confine invalicabile. Il suo perimetro è permeabile e non
c’è un reale confine netto dentro/fuori. Anche la biologia conferma che la
superficie corporea è porosa e aperta a “invasori” quali virus e batteri
contro i quali veglia il sistema immunitario, che non è mai a riposo e in
stato passivo, ma è sempre dinamico e in funzionamento.

5.4 costruire/decostruire significati

il corpo e il testo restano fragili quanto arbitrari, assemblaggio di frammenti


dispersi in uno spazio virtuale e multidimensionale, espressioni della
rivoluzione elettronica. Sono entrambi costruzioni del lettore, la cui
operazione è smaterializzata, perché recupera le metafore del “raccogliere” e
“legare” presenti nell’etimologia latina, ma si muove secondo una linea
immaginaria che può essere solamente pensata. Il lettore sceglie se
chiudere il testo oppure mantenerlo in vita virgola in un gioco
potenzialmente infinito. Dal lettore dipende anche la vita o la morte del
testo, ma anche quella della protagonista. A ulteriore conferma della
centralità dell’elettore ed a leggere il costante senso di disorientamento

che accompagna il lettore di patchwork girl, che non sa mai con precisione dove si
trova, né in che direzione si sta muovendo. È obbligato a procedere a tentoni,
affetto da una sorta di miopia. Si tratta di una condizione molto diversa da quella
molto più rassicurante del lettore di un testo cartaceo. Lo SMARRIMENTO
diventa non solo un’importante esperienza estetica, ma anche cognitiva, in un
momento in cui compito dell’arte non è imitare l’ordine della realtà, ma fare
sperimentare il caos. Tanto il lettore quanto l’autore come attori del processo
comunicativo passano in secondo piano, poiché al centro dell’attenzione e il
processo semiotico di generazione del significato, il testo nel suo farsi e disfarsi,
secondo una logica che ricorda il gioco combinatorio. Sia una “semiotizzazione
delle lessie”, ogni schermata apre percorsi molteplici e divergenti, in cui ogni
significato è a sua volta anche significante. Al centro dell’opera resta il conflitto
tra pienezza e frammentazione, tra l’aspirazione alla piena integrazione del corpo
e del testo in una forma stabile unitaria, e la consapevolezza che quell’unità è
comunque precaria. Se è vero che a tutti i percorsi di lettura consentiti da un
ipertesto hanno la stessa legittimità sul piano narrativo, tutto viene quindi
rimesso in gioco e dipende di volta in volta dalle decisioni del lettore. La tensione
24
tra pienezza e frammentazione è un gioco che rimane irrisolto alla base del testo e
che costringe il lettore, frustrato, a reprimere l’impulso di cercare di dare un
senso stabile e unico agli eventi. L’enorme sforzo non rende ragione dell’enorme
sforzo che la lettura ipertestuale richiede, dal momento che (come afferma Bolter)
dobbiamo abituarci a scrivere e leggere in modo multiplo. In quest’opera non è in
discussione tanto la possibilità di un’interpretazione condivisibile della realtà,
quanto l’idea che quella realtà sia l’unica possibile. Offre una rappresentazione
del mondo contemporaneo nella molteplicità della sua natura plurima, che
solleva quesiti ma non dà soluzioni.

25

Potrebbero piacerti anche