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Un panino alla cultura
«Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla
cultura e comincio dalla Divina Commedia». Dell’ormai celebre
battuta dell’effettivo leader del paese, Giulio Tremonti, nei giorni
in cui affossava la funesta legge Gelmini sull’Università (solo per il
momento, e comunque per le ragioni più sbagliate), prima delle
parole colpisce la mimica: lo sguardo ammiccante e insieme sprez-
zante, il voltare di scatto le spalle all’interlocutore, l’incamminarsi
risoluto per la propria strada. Inequivoco il linguaggio del corpo:
abbiamo ben altro a cui pensare, noi.
L’offensiva, del resto, è in corso da un pezzo. Già durante l’agoniz-
zare del secondo governo Prodi era stata notevole una frase del
portavoce di Tremonti, Silvio Berlusconi: «Dal governo di centro-
sinistra vogliamo azioni, fatti concreti, tutto il resto è poesia». Dal-
la quale si poteva dedurre come, per chi la pronunciava, «poesia»
significasse più o meno «spazzatura». Quella stessa cioè che, per
alfabeta2
dell’offensiva cui viene sottoposta: proprio dal potere che sul suo
sfruttamento fa leva.
Andrea Cortellessa
Gianfranco Baruchello nel 1974 tra alcuni suoi oggetti. Foto Arturo Schwarz.
Slavoj Žižek
Slavoj Žižek
L’effetto Berlusconi
Lei sostiene che sia stata recisa ogni connessione fra democrazia e
capitalismo. Com’è accaduto? E cosa sostituisce oggi quel legame?
Sì, nella mia interpretazione questo accade soprattutto in
Cina, anche se non solo lì. Qualche tempo fa il mio amico
Peter Sloterdijk mi confessò che dovendo immaginare in
Slavoj Žižek
Lei allude agli scandali sessuali che hanno pesato sulla figura del
premier?
Sì. Ma occorre capire perché quando c’è uno scandalo ses-
suale, tutti si occupano di quello, ma in maniera completa-
mente dissociata da ciò che veramente accade. Berlusconi –
non dovremmo dimenticarlo – non è solo un clown: ci sono
cose che accadono davvero, decisioni politiche gravi che
vengono realmente prese. Questo gap caratterizza la politi-
ca oggi.
Non dimentichiamo però che uno dei contenziosi più aspri riguar-
da le leggi ad personam.
Slavoj Žižek
Si potrebbe dire che non c’è niente di più generale del per-
sonale e che il corpo del Re va salvato a ogni costo, contro
ogni decenza e a prescindere da ciò che la democrazia
richiederebbe.
E com’è?
Si pensi a Obama. Anche lui si è avvalso di questo cambia-
mento, in modi molto diversi. Anche lui non recita più la
parte del nobile e dignitoso capo di Stato. La prima reazione
di molti alla candidatura di Obama fu: è un bravo ragazzo,
ma lo prenderanno sul serio? Ha abbastanza autorevolezza?
Nel conflitto fra Obama e McCain, era questi a giocare il
ruolo dell’autorità classica. Se dai dibattiti politici togliamo
la fuffa, il punto base di McCain era: «Io sono un capo, io ho
l’autorità, Obama no». Ma oggi l’essere capi è dissociato
dall’essere autorevoli e austeri; e Obama ha potuto vincere.
Certo, si può fare un’analisi psicologica di Berlusconi, ma
non penso che questo sia interessante. È preferibile doman-
darsi a quali bisogni sociali, a volte arcaici, la figura di Ber-
lusconi fa riferimento. Con quali bisogni la figura di Berlu-
sconi entra in risonanza? In definitiva, io sono un collettivi-
sta vecchio stile. Gli individui non sono interessanti: odio la
psicologia individuale. Mi interessano i bisogni collettivi
che essi rispecchiano.
Lei sostiene che ciò che accade in Italia succede anche altrove. Ma
in quale altro grande paese il suo avere a che fare con escort,
Slavoj Žižek
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
Slavoj Žižek
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
Torna al menù
Le macerie del riformismo
G.B. Zorzoli
P
arafrasando Woody Allen, il comunismo è morto ma
la sinistra riformista s’è presa ben più di un raffred-
dore. Alcuni (maligni?) addirittura la diagnosticano
in coma irreversibile.
Il morbo non è solo italico, anche se da noi è più virulen-
to che altrove (quanto lontano il tempo in cui con orgoglio
declinavamo l’ingraiana «diversità» del nostro paese!).
Prendiamo la Svezia, per decenni emblema e rassicura-
zione delle magnifiche sorti e progressive della socialdemo-
crazia. Elezioni del 19 settembre 2010: 30,9% dei suffragi, il
peggiore risultato elettorale dal 1914. A partire dal 1932 i
socialdemocratici sono stati al governo del paese per l’80%
del tempo ed è la prima volta da allora che un partito di
Le macerie del riformismo
tendenze in atto, oltre a non avere idee agli occhi della gen-
te non ha nemmeno le carte in regola per proporsi come
alternativa.
Comprendere i fenomeni che hanno ridotto in macerie il
vecchio insediamento delle sinistre, sulla loro interpreta-
zione elaborare proposte politiche credibili, riuscire infine
a trasformarle in senso comune, è processo che, anche se
riesce, richiede tempi lunghi. Difficilmente s’addice a grup-
pi dirigenti che per la loro età hanno orizzonti temporali li-
mitati. L’unico con i requisiti anagrafici adatti è il giovane
Milliband, ma dalle prime dichiarazioni rese dopo la sua
elezione sembra avere solo quelli.
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
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Il male maggiore
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Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
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The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
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Sottocultura e nuovo fascismo
Sottocultura e nuovo
fascismo
I
l nostro scenario è attraversato ormai da parte a parte
da una sottocultura che, al di là della lingua adoperata
dai politici, si estende all’esperienza quotidiana di cia-
scuno, cioè alla comunicazione comune. È una lingua d’uso
generalizzata che fagocita tutto e che potremmo chiamare,
per comodità, «televisiva». Le stesse formule «anomalia ita-
liana» e «nuovo fascismo», che vorrebbero stigmatizzare
una simile omologazione, sono a loro volta esposte agli ef-
fetti tossici che si producono nel nostro parlare e nella no-
stra esperienza proprio a partire da essa. L’unico tentativo
che possiamo fare è allora quello di cercare di affrancarle
Sottocultura e nuovo fascismo
A
me sembra sufficiente, intanto, tenere ben presente
che l’anomalia italiana ha una faccia, diciamo così,
«popolare», condivisa, e che dunque caratterizza
un’esperienza diffusa, apparentemente al di là o al di qua di
specifici dispositivi politici ed economici. Perché Berlusconi
ha potuto diventare un modello di vita? Il filosofo Peter Slo-
terdijk ha adoperato il termine «psicopolitica» per indicare
l’impasto tra privato e pubblico e l’invaginamento recipro-
co di tali dimensioni nella cosiddetta società della globaliz-
zazione. È utile tenerne conto poiché questo termine di
«psicopolitica» ci aiuta a focalizzare quanto sta accadendo
nella nostra sfera individuale, in cui coabitano ormai egoi-
smo e stress, e come tale sfera stia diventando la vera posta
politica.
Forse, però, ci aiutano di più le premonizioni di un ereti-
co come Pier Paolo Pasolini, quando, addirittura all’inizio
degli anni Settanta, cioè quasi quaranta anni fa, percepì con
chiarezza che stava accadendo, in Italia, una «mutazione
antropologica» causata dall’avvento incontrastato del con-
sumismo. È curioso osservare che le sue «percezioni», spes-
so criticate come sociologismo schematico, diventino col
tempo sempre più vere e incisive. Pasolini guardava soprat-
tutto alle trasformazioni dei giovani con toni anche dram-
matici: omologazione nei comportamenti e perfino nelle fi-
sionomie, vuoto e violenza, cinismo, osservati con occhio
Sottocultura e nuovo fascismo
L’
anomalia italiana si caratterizza allora come uno
stile di vita compiutamente nichilistico e cinico, o,
se si preferisce, compiutamente piccolo-borghese.
Tutti si augurano che i propri figli facciano prestigiosi studi
all’estero e abbiano successo professionale, istillando in lo-
ro competitività e invidia, e non hanno infine niente da dir-
gli né voglia di farlo. Trasmettono l’esempio muto di
un’astuzia sociale, più o meno riuscita, che contiene una
dose cospicua di spirito di adattamento e un’abitudine non
tanto nascosta a prostituirsi nei confronti del potere. Perfi-
no il bisogno di creatività, che tutti lodano, è già preconfe-
zionato, cioè rivolto al consumo.
Sottocultura e nuovo fascismo
N
on c’è dubbio che «nuovo fascismo» funzioni oggi
come un’espressione ancora molto pregnante e al
tempo stesso corra tuttavia il rischio di una certa
vaghezza. Pregnante perché resta un appello emotivamente
forte per chi conserva memoria storica o addirittura espe-
rienza vissuta, e crede di riconoscerne il volto minaccioso
nell’attuale anomalia, considerata come imbarbarimento
della democrazia parlamentare. Se, però, resta un potente
segnale di allarme, comunque non può implicare alcun ri-
torno indietro, poiché non è rivolgendo lo sguardo al fami-
gerato ventennio che riusciamo a entrare nella «novità»
della situazione di oggi (e neppure, aggiungo, appellandoci
a un supposto carattere dell’italianità). Perciò credo che
dobbiamo, piuttosto, evidenziare l’insufficienza di una pa-
rola (fascismo, appunto) cui non possiamo affidare un com-
pito esplicativo che non è più in grado di svolgere.
L’anomalia italiana è una particolare variante del capita-
lismo mondiale e del predominio a livello globale delle
Sottocultura e nuovo fascismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Sottocultura e nuovo fascismo
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
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The roaring x-ties
Sottocultura e nuovo fascismo
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
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La lobby vaticana
La lobby vaticana
Franco Buffoni
L
o scorso 3 luglio 2010, mentre nella ormai completa-
mente laicizzata Londra un milione di persone sfilava
in festa commemorando il primo Gay Pride di qua-
rant’anni fa, a Roma alcune migliaia di persone erano co-
strette a sfilare accanto a uno striscione affisso da una asso-
ciazione cattolica – fortemente protetta dalle gerarchie va-
ticane e sovvenzionata coi proventi dell’8 per mille – che
definiva i diritti civili reclamati dagli omosessuali come «di-
ritti alla perversione». Nulla di nuovo, mi si può replicare.
Gli autori dello striscione sono in linea col Parlamento ita-
liano che boccia la proposta di legge Concia contro l’omofo-
bia. Ovvio che – se l’Italia si comportasse da paese civile e la
legge contro l’omofobia fosse approvata – gli appartenenti a
La lobby vaticana
U
na svolta parve giungere nel 1984, con la cancella-
zione del cattolicesimo come religione di Stato. Ma
tale raggiungimento fu pagato con la mela avvele-
nata dell’8 per mille. In sintesi, quindi, se il 20 settembre
portò a naturale conclusione il Risorgimento, aprì anche le
porte dell’Italia tutta alle ingerenze vaticane. Perduto il po-
tere temporale in un’area ristretta del paese, i clericali lo
recuperarono di fatto e con ben maggiore efficacia in tutto
il paese, spacciandolo per potere spirituale, grazie all’igna-
via e all’opportunismo dei governanti italiani. Simbolica-
mente quest’anno il comune di Roma e il governo italiano
La lobby vaticana
O
vvio che oggi occorrerebbe un grande atto di corag-
gio resistenziale e risorgimentale: nel nome della
Repubblica romana del 1949 personalmente io sogno
un leader giovane, sinceramente laico, in grado di imposta-
re un serio programma di abolizione dei privilegi. Un leader
capace di ricordare sempre che – quando si afferma che il
Vaticano fa il suo mestiere difendendo la sua concezione
della vita personale e sociale – questo diritto deve valere,
con pari opportunità, anche per le altre confessioni e religio-
ni, nonché per gli agnostici e gli atei. E che a nessuna lobby
deve essere riconosciuta dall’ordinamento giuridico una
posizione di privilegio che neghi agli altri di poter vivere
secondo i propri valori e le proprie convinzioni. Un leader
capace soprattutto di tenere presente che la funzione pub-
blica – esercitata in piena libertà da lobby religiose, ideolo-
giche e morali – pertiene solo all’ambito della società civile:
qui le varie lobby e associazioni possono – attraverso un
dialogo alla pari – cercare di convincere i cittadini sulla bon-
tà delle loro proposte. Ma così come non è ammissibile che
un partito politico, per quanto maggioritario, possa
La lobby vaticana
Être in avec mentre, 1963, media diversi su carta intelata, cm 230 x 140.
Foto Claudio Abate.
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
La lobby vaticana
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Manuela Manfredini
Messe nere sulla Riviera
Pippo Delbono
Una ferita profonda e un bisogno di verità
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Un paese misogino
Un paese misogino
Letizia Paolozzi
I
l manifesto campeggia sui muri italiani. Appartiene alla
campagna Be stupid della Diesel, filone spiritoso-demen-
ziale. Nel manifesto il giovanotto stringe con una mano
la natica femminile fasciata dai jeans mentre dell’altra nati-
ca fa un grande boccone: «You’ll eat better».
Niente moralismi, per favore. Non ci scandalizziamo. Na-
turale che lei venga sussunta e riassunta nel suo didietro
mentre lui si comporta in modo vorace, addirittura bestiale.
Somiglia al lupo di Cappuccetto rosso che apriva le fauci
«per mangiarti meglio».
Vabbè. Siamo gente di mondo. Sappiamo che il corpo
femminile fa vendere automobili, mele e sofà «Beato chi se
lo fa». È la pubblicità, bellezza.
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Un paese misogino
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La pazienza degli italiani
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
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Il male maggiore
Il male maggiore
Saviano e i letterati
Andrea Inglese
C’
è un grande compiacimento quando due o più ita-
liani, siano essi di destra o di sinistra, si trovano a
parlare del proprio paese. «È tutto una merda» è
divenuta una formula senza colore e altrettanto proverbiale
di «governo ladro». Da sinistra viene detta in modo apoca-
littico, da destra in modo cinico.
La catena del vizio, naturalmente, non compie salti: essa
lega in una stessa vischiosa fratellanza chi ha eluso qualche
fattura sino al rapinatore in armi, passando per corruttori e
frodatori dal colletto bianco. Questo atteggiamento fornisce
una straordinaria narrazione corale, compiutamente
Il male maggiore
O
ra, se c’è una cosa che distingue le piaghe dell’Italia
da quelle di altri paesi europei, nonostante il comu-
ne male degli attacchi allo Stato sociale e della re-
crudescenza xenofoba e razzista, è senza dubbio la sua di-
sponibilità a ospitare sul proprio territorio quattro delle
maggiori organizzazioni criminali di tipo mafioso del piane-
ta: Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona. Vale
la pena di ricordare che, in fatto di crimine, non tutto il
mondo è paese. Scrive Ugo Di Girolamo, in uno studio del
2009 sull’argomento: «Ciò che sappiamo è che il crimine or-
ganizzato è presente in tutte le moderne società industria-
lizzate e non, ma il crimine mafioso, quello che si intreccia
simbioticamente con i poteri pubblici, no! Nell’Europa occi-
dentale è presente solo in Italia»[1]. Distinzione cruciale, in
Il male maggiore
S
e qualcosa di simile è accaduto, o sta accadendo nel
nostro paese, allora la vicenda di Roberto Saviano è,
attualmente, la più significativa. Molti sono gli studio-
si della criminalità mafiosa, molti sono gli artisti, gli scritto-
ri, i giornalisti, anche giovani, che si occupano con coraggio
e intelligenza di criminalità mafiosa. Alcuni di essi, come
Saviano, vivono sotto scorta. Ma una cosa è certa: Saviano
ha realizzato un exploit senza precedenti. Ha destato un’at-
tenzione nei confronti del crimine mafioso pari al livello di
importanza e pericolosità che esso costituisce per il nostro
Il male maggiore
E
ppure proprio il caso di Saviano ha finito per costitui-
re un rilevatore prezioso del diverso grado di consa-
pevolezza che il paese ha del suo male maggiore. Mi
limito qui a considerare le reazioni di due gruppi sociali ben
distinti, quello dei politici e quello dei letterati. La classe
politica di governo, attraverso il suo maggiore rappresen-
tante, ossia il Presidente del Consiglio, si è espressa in modo
inequivocabile sulla popolarità della campagna antimafia di
Saviano. Nel corso di una conferenza stampa il 16 aprile
2010, Berlusconi accusò fiction televisive come la Piovra e
Il male maggiore
L’
altro caso significativo è costituito dalla reazione
dei letterati[3]. Che in un paese di lettori riluttanti
come il nostro, esistano ancora dei letterati, è in un
certo senso merito di Saviano avercelo ricordato. Gomorra e
il lavoro giornalistico successivo restituiscono centralità,
nel dibattito pubblico, al fatto che milioni di cittadini italia-
ni non siano ancora passati, nel XXI secolo, dall’arcaico Sta-
to dei favori al moderno Stato di diritto. Questa circostanza,
agli occhi dei letterati, è del tutto secondaria, in quanto i
problemi importanti sono tutti e sempre di ordine esclusi-
vamente letterario. Un letterato, d’altra parte, si distingue
Il male maggiore
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
Il male maggiore
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
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«Quelli che da lontano sembrano mosche»
Nel bene e nel male, e con i dovuti distinguo, c’è stato il caso di Go-
morra di Roberto Saviano, che ci porta però a una delle polemica
più infuocate degli ultimi mesi, quella riguardante l’opportunità o
meno, da parte di autori impegnati, di pubblicare per le case edi-
trici o di scrivere sui quotidiani riconducibili alla famiglia Berlu-
sconi. Lei quale crede dovrebbe essere l’atteggiamento degli autori
da questo punto di vista?
«Quelli che da lontano sembrano mosche»
molto strana per chi viene dagli Stati Uniti. E poi il basso li-
vello dei programmi d’intrattenimento. Anche qui il mono-
polio di Berlusconi non ha aiutato: la qualità è bassa, e non
c’è molta concorrenza, tanto che nel momento che se n’è
creata un po’, con i canali Sky di Murdoch, per esempio, gli
altri canali cominciano a perdere terreno.
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
«Quelli che da lontano sembrano mosche»
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
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Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
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Giovani senza lavoro
Valerio Magrelli
Condannati ad accettare
un regalo fatato
sprofondate nel sonno
mortale dell’età,
la vostra giovinezza,
la Bella Addormentata,
langue nel sortilegio
di una vita a metà.
II
Sono convalescenti
curano questo gran male
che li fa stare svegli
senza mai lavorare.
Giovani senza lavoro
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Giovani senza lavoro
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Giovani senza lavoro
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
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Fenomenologia di Magic Italy
Fenomenologia di Magic
Italy
7 luglio 2010
Daniele Salerno
I
l 7 luglio 2010 i terremotati dell’Aquila protestano a Ro-
ma contro il governo per i ritardi della ricostruzione. I
manifestanti vengono caricati dalle forze dell’ordine e
alcuni vengono feriti. È passato quasi un anno dal G8
dell’Aquila, l’evento che, proponendo un epilogo mitico alla
narrazione della catastrofe, segna la fase discendente della
parabola narrativa e mediatica del terremoto abruzzese.
Il 7 luglio 2010 il ministro del Turismo e la Presidenza del
Consiglio diffondono, a poche ore dalla manifestazione
Fenomenologia di Magic Italy
L'
Italia è la terra dei poeti, dei santi e dei navigatori,
tre categorie collocate, in un’ideale topologia cul-
turale, ai limiti o oltre l’umano e che del miracolo
o della fortuna fanno professione. E gli italiani negli ultimi
sessant’anni si sono appunto resi protagonisti di gesta ma-
giche o miracolose, a conferma della loro natura e di quella
della loro terra. A cominciare dalla retorica del «miracolo
italiano» del dopoguerra che puntella quella del «nuovo mi-
racolo italiano» negli anni della «discesa in campo».
La narrazione berlusconiana è dunque solo l’ultima va-
riazione sul tema rispetto a un complesso narrativo affatto
innocuo. Infatti le modalità in cui si narrano le identità na-
zionali e i problemi sociali aprono o restringono le linee di
iniziativa e di intervento percorribili nel contesto più gene-
rale dell’agire sociale.
Fenomenologia di Magic Italy
B
erlusconi porta i potenti della Terra – e per delega i
popoli del mondo – nell’epicentro della catastrofe e li
rende testimoni della ricostruzione: un nuovo mira-
colo italiano si realizza davanti a una platea mondiale. La
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Fenomenologia di Magic Italy
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The roaring x-ties
Fenomenologia di Magic Italy
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La pazienza degli italiani
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Il male maggiore
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The roaring x-ties:
Antonio Loreto
4
0 anni esatti sono passati da Lotte in Italia, film realiz-
zato dal gruppo Dziga Vertov (Godard nel suo periodo
cinese con Gorin) su commissione, all’ultimo ritirata,
del Servizio sperimentale della Rai: vengono ripetutamente
e a lungo inquadrate una studentessa della borghesia tori-
nese (Paola Taviani) e l’attrice sua interprete (Cristiana Tul-
lio Altan) mentre si misurano con il potere (l’università, la
famiglia, la televisione, la fabbrica – «accordo per i metal-
meccanici, si spera ora un inverno temperato», legge Paola
The roaring x-ties:
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
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Le macerie del riformismo
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Giovani senza lavoro
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The roaring x-ties:
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La pazienza degli italiani
Enrico Donaggio
I
l treno da Milano a Torino, seconda classe in una sera
qualsiasi d’inizio autunno. Individui a fine turno – uffi-
cio, fabbrica, università, negozio, shopping – rientrano
alla base, con l’ultimo caldo che appiccica volti, pensieri e
telefonini. In piedi, stipati, caracollano a millimetrica di-
stanza da pareti luride e corpi altrui. Non si alza un ciglio
né una voce, toccante compostezza di una moltitudine di
fachiri. In un paese che ha privatizzato da tempo la cogni-
zione del dolore sociale, tutti scandiscono il mantra che la
protesta comune non paga e avvelena il sangue. Ci si salva
da soli, offrendo al mondo la superficie minima: squali tra-
vestiti da pesci in barile. Provo a liquidare così, con malin-
conia, quelle solitudini pazienti, un sintomo dello stato
La pazienza degli italiani
A
sinistra, invece, un silenzio per bene, elegantemente
allineato al senso comune di un ceto sempre più re-
siduale. Che lascia soli, nel senso più letterale del
termine. Incapace di mettere a fuoco pratiche, concetti,
racconti che consentano di sciogliere un risentimento che
La pazienza degli italiani
Laboratorio αβ Torino
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
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Un paese misogino
La pazienza degli italiani
Andrea Inglese
Il male maggiore
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
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The roaring x-ties
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Israele-Palestina, uno Stato unico
Ghada Karmi
V
iviamo in un’epoca curiosa, come recita il detto ci-
nese. Come altro descrivereste il paradosso di un
processo di pace israelo-palestinese che non porte-
rà pace alcuna? I colloqui iniziati a Washington il 2 settem-
bre sono l’ultimo capitolo di una lunga storia che va avanti
da così tanto tempo che la maggior parte della gente ha di-
menticato di cosa si tratta. Il «processo di pace» è diventato
parte del paesaggio politico, un tratto familiare del
conflitto israelo-palestinese, perseguito come un fine in se
stesso. Fino a quando le due parti «dialogavano», sebbene
senza risultato, questo ha sollevato gli uomini politici dalla
Israele-Palestina, uno Stato unico
I
n questi ridicoli scampoli di Palestina, dov’è lo spazio
per uno Stato? La soluzione dei due Stati in questo con-
testo può realizzarsi solo a spese dei palestinesi. Ciò non
può che significare uno Stato composto da enclave in Ci-
sgiordania collegate da ponti e tunnel per garantire la
«contiguità», dipendenti da Israele e dalla Giordania per la
sopravvivenza, mentre Gaza, che non è collegata, dipende-
rebbe dall’Egitto. Un’intesa per cedere ai palestinesi piccole
porzioni di Gerusalemme è possibile, ma non ci sarà diritto
di ritorno per i rifugiati, alcuni dei quali saranno probabil-
mente assorbiti con difficoltà nelle enclave in Cisgiordania.
La negoziazione su questo inutile accordo è solo all’inizio
e sarà interminabile. Si ricorrerà a piccole concessioni e mi-
nacce per spingere i due schieramenti a una soluzione en-
tro questi schemi viziati, che non potrà mai realizzarsi. Ep-
pure la soluzione appropriata è sotto gli occhi di tutti. Uno
Stato unitario in Israele-Palestina non richiederebbe alcuna
divisione della terra, alcuna ingiusta ripartizione delle ri-
sorse, alcuno sfratto di una delle due parti dalle proprie abi-
tazioni, e consentirebbe un ritorno dei rifugiati e dei loro
discendenti. Soprattutto, significherebbe mettere fine al
sionismo, un’ideologia superata basata sull’esclusivismo
Israele-Palestina, uno Stato unico
Ilan Pappé
L’occupante e l’invasore
Israele-Palestina, uno Stato unico
Alessandro Raveggi
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Paolo Do
Arricchirsi è glorioso!
Fabrizio Tonello
Cronaca di una sconfitta annunciata
Torna al menù
L’occupante e l’invasore
L’occupante e l’invasore
Ilan Pappé
I
l sionismo ha avuto origine da due spinte sinergiche lo-
giche e giustificate. La prima è stata il desiderio di tro-
vare un porto sicuro per gli ebrei dell’Europa orientale e
centrale, dopo decenni di persecuzioni antisemite – e vero-
similmente anche il presentimento che il peggio dovesse
ancora venire. La seconda spinta è stata la ridefinizione del-
la religione ebraica come movimento nazionale, sotto l’in-
fluenza della «Primavera dei popoli» alla metà del XIX
secolo.
Quando i leader del movimento decisero, per ragioni che
qui non si possono spiegare nel dettaglio, che l’unico terri-
torio in cui queste due spinte potevano trovare risposta era
L’occupante e l’invasore
C’
è chi, dal 1967 e ancora adesso, continua a credere
che sia possibile soddisfare questa smania di colo-
nizzare e creare insediamenti, di espropriare e go-
vernare e restare democratici con la creazione di uno Stato
palestinese nel 20% del territorio. Per un breve momento
storico, nei primi anni dell’occupazione, forse sarebbe stato
possibile. Ma già negli anni Settanta, la situazione è diven-
tata più complessa e sono sorti di fatto insediamenti ebraici
che non hanno reso praticabile il contenimento auspicato.
Un decennio più tardi, negli anni Ottanta, il mantra dei
due Stati ha subìto anch’esso una metamorfosi dinnanzi al
mutamento della realtà. L’ala pacifista sionista ha cercato di
aumentare il numero di sostenitori dell’idea del conteni-
mento e contemporaneamente di assimilare gli insedia-
menti che di fatto erano sorti, e dunque ha deliberatamente
ridotto il territorio dello Stato destinato ai palestinesi. Più il
territorio si restringeva, più andava scomparendo il nesso
tra la formula dei due Stati e l’idea di una soluzione equa,
piena e sostenibile del conflitto. Nel secolo attuale, più la
soluzione dei due Stati è diventata una moneta di scambio
L’occupante e l’invasore
vogliono essere parte del futuro del paese che un tempo gli
apparteneva. Non ci sarà alcuna riconciliazione, né giustizia
qui, se questi palestinesi non parteciperanno alla definizio-
ne della sovranità, dell’identità e del futuro dell’intero pae-
se. La riconciliazione sarà estesa riconoscendo anche agli
ebrei che si sono insediati qui con la forza il diritto di parte-
cipare ugualmente alla definizione del futuro.
Diamo ai rifugiati la loro parte e rispettiamo le loro aspi-
razioni a essere parte insieme a noi di un unico Stato. Veri-
fichiamo la praticabilità di questa idea e del percorso per la
sua realizzazione – perché abbiamo già sperimentato per
sessant’anni l’idea dei due Stati e il risultato è chiaro: per-
petuazione dell’esilio, dell’occupazione, della discrimina-
zione e dell’espropriazione.
È sbagliato proporre costituzioni democratiche per Beit
Safafa ovest, per Bak’ah Al-Garbiya e per la parte Est di Ara-
beh, e allo stesso tempo scrollarsi di dosso ogni responsabi-
lità per Beit Safafa Est, per Bak’ah Al-Sharkiya e per la parte
Ovest di Arabeh, e dire: resteranno lì, dietro il Muro, op-
pressi, senza accesso alla terra, senza diritti né risorse. Co-
me cittadini ebrei e palestinesi in questo Stato abbiamo le-
gami di sangue, di comune destino e comune sventura che
non possono essere «spartiti». Una simile divisione non è
né onesta né sensata.
L’occupante e l’invasore
Alessandro Raveggi
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
L’occupante e l’invasore
Paolo Do
Arricchirsi è glorioso!
Fabrizio Tonello
Cronaca di una sconfitta annunciata
Ghada Karmi
Israele-Palestina, uno Stato unico
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«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Alessandro Raveggi
P
rendo spunto dal lemma che campeggia nell’emble-
ma dell’università dove adesso lavoro, l’Università
nazionale Autonoma del Messico, isola intellettuale
pulsante di un paese affaticato, trivellato dai colpi del nar-
cotraffico e dai buchi dell’economia, ombra spenta di quella
dei gringos. Il lemma in questione recita stentoreamente:
«Por mi raza hablará el espíritu». «Per la mia razza parlerà
lo spirito», dictum di José Vasconcelos, intellettuale umani-
sta, filantropo e rettore dell’Università, fondatore e
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
D
i fronte ai cliché del violento e fraudolento messica-
no, dell’inspiegabile malvagità immotivata alla Quién
sabe? – sul quale mi sono trovato a riflettere ultima-
mente con un sorpreso Moresco ospite a Città del Messico –
o del messicano Joaquín Murieta alter ego del maestro
Aspri in Corporale di Volponi, quanto di più liberatorio, che
un richiamo ai libri e alla cultura! Non c’è da immaginarsi,
ciononostante, che il messicano possa essere rappresentato
da Carlos Monsiváis, come prototipo della raza. Né che il
messaggio di Vasconcelos non sia stato inquinato in origine
da un tipo di retorica postrivoluzionaria che ha spesso le-
gittimato, anche per via «intellettuale», lo status quo. Seb-
bene il Messico sia terra di eccellenti scrittori e artisti, e di
grande fascino per chi scrive – fra molti esempi: il quasi-ac-
quisito Bolaño e i suoi due colossi, Los detectives selvajes e
2666, ambientati in Messico, oppure l’incoronamento della
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
U
na raza, per quanto cosmica (se ti trovi di fronte uno
dei manoscritti preispanici, ti figuri il concetto) an-
cora travagliata, dunque, quella messicana, che si
trascina pesantemente dietro un cordone ombelicale mezzo
spezzato dalla conquista. Per questo, una raza in perenne
sviluppo, ma allo stesso tempo immobile, che cerca nella
sua cultura una ragione di sviluppo. La società messicana
coi suoi sforzi immani per diffondere la cultura, la passione
per il libro e per la ricerca, fa così quel che può di fronte a
una granitica immobilità egizia, come la definì Samuel Ra-
mos. Ovvero lotta contro l’immobilità di se stessa.
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Paolo Do
Arricchirsi è glorioso!
Fabrizio Tonello
Cronaca di una sconfitta annunciata
Ghada Karmi
Israele-Palestina, uno Stato unico
Ilan Pappé
L’occupante e l’invasore
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
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La lunga vita del replicante
Daniela Tagliafico
«
Non sa di esserlo?», chiede il cacciatore di replicanti
Deckard allo scienziato Tyrell dopo aver sottoposto
Rachael al test di Voight-Kampff, che consente di di-
stinguere un umano da un replicante in base alle sue rispo-
ste emotive. Rachael in effetti non sa di essere una replican-
te: proprio come gli esseri umani, anche lei ricorda di avere
avuto un’infanzia e ne mostra orgogliosamente la prova –
una foto – a Deckard: come potrebbe essere «nata» soltanto
un paio di anni prima? In realtà, ai replicanti, programmati
per vivere solo quattro anni, sono stati impiantati nel cer-
vello i ricordi di altre persone, così da renderli molto simili
a esseri umani, a tal punto che essi stessi non sono in grado
di riconoscere la loro vera natura. Questa ignoranza, d’altra
La lunga vita del replicante
Laboratorio αβ Torino
Giovanna Cosenza
Il corpo degli uomini
Francesco Galofaro
Bioetica e biopolitica
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Il fascismo e i silenzi di Moravia
Il fascismo e i silenzi di
Moravia
Angelo Guglielmi
I
l giudizio storico politico sui comportamenti di Moravia
nei confronti del fascismo e soprattutto della famiglia
Rosselli al tempo dell’uccisione dei cugini Nello e Carlo
è tema in cui altri più propriamente si cimenteranno: io
quel tema mi sforzerò di scrutare per i riflessi diretti e indi-
retti che vi si scorgono nella narrativa di Moravia che forse
se non la giustificazione possono offrire qualche ragione del
colpevole silenzio con cui il cugino Alberto assistette al de-
litto di Bagnoles-de-l’Orne. Occasione di questa mia rifles-
sione è il volume Alberto Moravia. Lettere ad Amelia Rosselli
appena pubblicato da Bompiani a cura di Simone Casini.
Il fascismo e i silenzi di Moravia
L
a zia Amelia è anche la madre di Carlo e Nello Rosselli,
un po’ più grandi d’età del cugino Alberto, che tutta-
via anche con loro intrattiene un buon rapporto epi-
stolare (se pur più episodico) che si risolve essenzialmente
in uno scambio di sinceri (e parentali) affetti. Carlo e Nello
sono due giovani intelligenti e brillanti più portati all’azio-
ne che alla meditazione, o comunque convinti che pensiero
e azione, come nota nell’introduzione Simone Casini, rap-
presentino un binomio inscindibile, si applicano con grande
dedizione agli studi storico-politici, ricavandone risultati e
successi ancor oggi degni di attenzione, ma non rinunciano,
anzi ne fanno il cuore della loro attività, all’azione, diven-
tando militanti coraggiosi e creativi contro il fascismo or-
mai dilagante. Il cugino Alberto ha affetto per loro, li ammi-
ra ma possiamo dire che non li ama? Non ancora per ora;
possiamo dire che non ne condivide le scelte, gli entusiasmi
patriottici che gli paiono superati, di matrice ancora
risorgimentale.
Il fascismo e i silenzi di Moravia
C
omunque ne apprezza gli straordinari risultati, il
gran filo da torcere che danno ai fascisti, la buona
riuscita della fuga da Lipari, la partecipazione alla Ri-
voluzione liberale di Gobetti (cui a un certo punto anche Mo-
ravia collaborerà), l’idea e la pubblicazione di Non mollare,
gli arresti e i saccheggi patiti, la fondazione a Parigi di Giu-
stizia e Libertà in contrapposizione alla concentrazione dei
democratici liberali in esilio nella capitale francese. Li ap-
prezza perché sono al momento dei vincenti e partecipa al
loro orgoglio soddisfatto: ciò basta al cugino Alberto per so-
lidarizzare con loro e accantonare per il momento il giudi-
zio (di non condivisione) sulla loro attività. E vincente è an-
che lui: è appena uscito Gli indifferenti e la risposta di succes-
so e di ammirazione diventa sempre più incontenibile.
In realtà il successo di Alberto e di Carlo e Nello, pur con-
quistato in campi assolutamente diversi (l’uno nel lavoro
letterario, gli altri nell’azione politica) presentano caratte-
ristiche che hanno qualche punto in comune: sono entram-
be azioni e opere di rottura nei riguardi della tradizione.
Carlo e Nello, dando vita a Giustizia e libertà inaugurano,
come scrive Simone Casini ripetendo un’affermazione dello
storico Nicola Tranfaglia, modalità di lotta politica del tutto
originali rispetto a quelle in atto nell’Italia prefascista cui
socialisti e repubblicani si richiamavano e «di netto contra-
sto con il bolscevismo leninista e poi staliniano che era alla
Il fascismo e i silenzi di Moravia
M
a Alberto Moravia aveva veramente letto, come
sembrerebbe possibile, l’Ulisse e Il processo? È da
loro che aveva ricavato la rivoluzionaria novità
che Gli indifferenti impertinentemente esibiscono? O quella
novità, quella distanza dal realismo sociale (che era stata la
Il fascismo e i silenzi di Moravia
P
oi molti anni dopo, a tragedia conclusa e guerra fini-
ta, Moravia decide di elaborare il lutto, il senso di col-
pa ancora presente in lui e scrive Il conformista che la
sola e straordinaria zia Amelia (con la quale non comunica-
va da oltre vent’anni) riconosce essere, contrariamente
all’interpretazione autogiustificazionista e moralmente so-
spetta della più parte dei critici (e forse dei lettori), come
un omaggio certo amaro a Carlo e Nello.
Moravia con Il conformista non cerca una giustificazione
al suo silenzio, obiettivamente inaccettabile, ma elabora la
sua colpa tuttavia privandola della commozione – da
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
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Diritto di parola
Diritto di parola
Fausto Curi
C’
è chi gode di una costante, permanente possibilità
di parola, e chi a questa possibilità inutilmente
aspira. Non è soltanto dalla ricchezza materiale
che sono tenuti lontani molti cittadini. Non è soltanto il li-
bero e pieno esercizio dei diritti che si cerca di sottrarre
agli operai. È anche la libertà, la ricchezza della parola che a
loro viene negata. I potenti sanno da sempre che la parola
è, o può essere, un potere, una forza liberatrice efficacissi-
ma. Per questo ne hanno espropriato quelli che potenti non
sono. Li hanno ridotti al silenzio, ammutoliti. Se tacciono,
resteranno ai margini, non intralceranno il potere dei po-
chi. Che è anche, se non soprattutto, potere di disporre
Diritto di parola
Giovanni Curtis
La politica nella società del gossip
Diritto di parola
Aldo Bonomi
La palude dei populismi
Lapo Berti
Un’insostenibile distonia
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Postcritica
Postcritica
L’
arte e la critica partecipano alla produzione mate-
riale del pensiero. L’arte mediante una sua messa
in opera, visiva quanto lampante, la critica attra-
verso la traduzione in pensiero riflesso, mediato dalla scrit-
tura. Ma sia l’arte sia la critica elaborano una visione che
non punta più sulla totalità, bensì sul frammento e sulla de-
riva. Consapevoli che ogni totalità, ogni aspirazione di co-
noscenza totale significa pur sempre fondazione di un siste-
ma totalitario del pensiero che esclude l’irruzione della
realtà, che spesso non si lascia guardare ma ci assale e ci sa-
le da dietro le spalle. L’arte e la critica si precludono ormai
la possibilità di una bella frontalità. Ci invitano piuttosto al
Postcritica
L
a tolleranza della critica consiste nel socializzare la
rottura dell’equilibrio tettonico perpetrato dal lin-
guaggio dell’arte, nell’assicurare all’artista una inco-
lumità morale che nasce dalla pratica della tolleranza. Ma
Postcritica
A
me sembra che gli artisti che fanno delle opere ad
arte siano tra quelli che hanno scelto l’avventura
creativa invece dei giochi di corridoio, le strategie
da tavolino, le domestiche maledizioni notturne del bar. Il
tempio è fatto a regola d’arte quando riesce a sintonizzarsi
su questa lunghezza d’onda, quando riesce a rendere parte-
cipi quegli artisti che credono l’opera la parola attraverso
cui parlare e il tempio il luogo esemplare per ogni confron-
to e ogni rapporto.
Non bisogna avere pregiudizi idealistici e pensare all’arte
come a una realtà intoccabile da lasciare incontaminata, pe-
na la sua caduta a merce culturale ed economica. La critica
oggi non deve mediare un bel niente, deve (se vi riesce) la-
sciarsi andare e lasciarsi trafiggere dalle frecce dell’arte co-
me san Sebastiano. La velocità non ha nulla di opportunisti-
co ma nasce direttamente da un’attitudine, quella di sapere
inciampare, sbattere la faccia sopra le improvvise appari-
zioni dell’arte, che notoriamente non sono molte.
Quindi la velocità non è furto con destrezza dei tesori
dell’arte, ma al contrario capacità di sapersi spogliare dello
sguardo per indossare una vista più lunga e roteante, che
non guarda soltanto in avanti, ai fasti dell’attualità, ma an-
che alle rovine del passato, alla storia dell’arte senza un
particolare diritto di prelazione ma con il diritto di un sac-
cheggio che non si ferma davanti a nulla.
Postcritica
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Postcritica
Mario Gamba
Tvfobia
Torna al menù
Università: fare passato
Maurizio Ferraris
L’
autocoscienza è alla nostra portata, è a costo zero
come certi corsi di laurea di qualche anno fa, ma
diversamente da quelli non è inutile. Perché a mio
avviso il punto è proprio questo. Al di là della contingenza
attuale, l’università ha sofferto negli ultimi quindici anni
per un grave errore culturale: l’idea che le Facoltà umani-
stiche dovessero essere professionalizzanti, e che dovessero
riferirsi immediatamente al presente. Ma il senso della cul-
tura umanistica, quello che la rende importante, e
Università: fare passato
della storia, non è una nebbiolina che vaga per l’aria e si in-
trufola nelle case e nella testa delle persone. Per creare la
barbarie basta una legge o una riforma, come è avvenuto da
noi quindici anni fa. Se è così, però, possiamo in qualunque
momento lasciar spazio alla barbarie, e in ogni momento
(questa è la buona notizia) possiamo cercare di reagire. Fe-
dele al tema del «fare passato», faccio un esempio sui bar-
bari veri, i barbari storici, e poi torno a noi.
Dunque, i barbari veri. I cosiddetti «secoli bui», quelli in
cui l’Europa regredisce all’analfabetismo, non sono opera
diretta dei barbari, di un’irruzione che viene dal di fuori. È
solo a un certo punto che, nei regni romano-barbarici, le
grandi famiglie decidono che non vale più la pena affronta-
re i costi di un’educazione letterata e letteraria per i figli,
che tutto sommato possono anche piazzarsi come soldati.
Primo e insigne esempio, se vogliamo, di scelta professiona-
lizzante, e anche in questo caso una scelta che è stata fatta
dai colti, che hanno deciso di non esserlo più, per mille mo-
tivi, magari soggettivamente comprensibili, ma oggettiva-
mente distruttivi. Reciprocamente, quando, un paio di seco-
li dopo, i barbari hanno deciso che servivano delle cancelle-
rie, c’è stata la rinascenza carolingia. In breve, la barbarie si
crea e si distrugge con semplici decisioni, non c’è una cupa
filosofia della storia che obblighi al peggio.
Università: fare passato
La didattica
Come ricordavo un momento fa, si è parlato molto di eccel-
lenza, riferendosi ai professori e magari alle istituzioni, ma
si è dimenticato che il vero punto è l’eccellenza degli stu-
denti, mortificata dall’insistenza sulla didattica, che è umi-
liante e che li tratta da poveri di spirito. Da questo punto di
Università: fare passato
La ricerca
Se uno scrive po’ con l’accento, un uomo con l’apostrofo, se
crede che il sole giri intorno alla terra e ignora la sintassi,
non è compito dell’università porvi rimedio. Non ci riusci-
rebbe, e toglierebbe tempo e cultura ai capaci e ai meritevo-
li. Non servono centinaia di ore di lezioni frontali ripetitive
per studenti-massa, a cui viene tolto il gusto della lettura e
della cultura come conquista individuale. Occorrono corsi
creativi e di livello, di docenti che hanno tempo per la ri-
cerca (e ovviamente sono in grado di dimostrare di farla, at-
traverso pubblicazioni), e seminari concepiti come avvia-
mento alla ricerca e educazione alla dialettica scientifica.
La cultura
La triade inglese, internet e impresa, o il richiamo al servi-
zio del lavoro, del sapere e delle armi del discorso di
Università: fare passato
Approfondimenti in rete:
Collegati a www.alfabeta2.it
Università: fare passato
Claudia Bernardi
Riprendiamoci il futuro!
Torna al menù
Riprendiamoci il futuro!
Riprendiamoci il futuro!
Claudia Bernardi
D
i fronte ai tagli che il mondo della formazione sta
subendo ormai da anni, le misure di austerità piani-
ficate dall’Unione europea durante l’Ecofin di fine
settembre non costituiscono il segnale di un’eccezione o, al
meglio, un momentaneo e negativo cambio di rotta. Do-
vremmo piuttosto chiederci in quale contesto si collocano i
tagli alla formazione e qual è la rotta tracciata dalle mobili-
tazioni che divampano in Europa.
Le misure di austerità sono state giustificate dai vari go-
verni europei come una politica economica necessaria per
frenare la crisi globale o, secondo altri, sono state una rea-
zione dovuta per porre rimedio agli errori della finanza glo-
bale. Senz’altro quest’ultima non è scevra da responsabilità,
Riprendiamoci il futuro!
S
enza fondi non c’è possibilità di riforma, e questo è
ormai evidente a tutti, ma che attraverso i finanzia-
menti ci sia libertà di ricerca è ancora un punto su cui
le figure della formazione interne alle università devono
Riprendiamoci il futuro!
S
embra ormai esserci una differente temporalità dei
conflitti nel mondo della formazione, non solo legati
alla contingenza della legiferazione, ma piuttosto
connessi maggiormente a quei processi di soggettivazione
che c’hanno mostrato una composizione più matura e con-
sapevole della posta in palio, ricercatori meno vincolati ai
loro interessi corporativi e più inclini a costruire alleanze
differenziate con quegli studenti che, durante l’Onda, ave-
vano troppo spesso snobbato. Prima ancora di uno sciopero
generale si sta dando una condivisione di pratiche e obietti-
vi comuni, sembra tratteggiarsi la necessità di rispondere in
modo collettivo all’attacco feroce sferrato contro la libertà
di ricerca e il sapere, laddove la parola sciopero va oltre le
vertenze specifiche di ogni singola figura lavorativa. In que-
sto tentativo di reinventare le forme di lotta, le indisponibi-
lità sono state minacciate di sostituzione attraverso la lun-
ga fila dei precari in attesa: disertare i bandi di concorso e
non accettare i corsi lasciati vuoti dagli indisponibili costi-
tuisce un primo banco di prova per comprendere la tenuta
Riprendiamoci il futuro!
A
l contempo, dentro l’Università, continua il paziente
sforzo per costruire un processo comune, avviare un
percorso di «autoriforma» per utilizzare le parole
dal movimento universitario dell’Onda: esso descrive un
progetto ampio, il disegno di un paesaggio a venire che non
si arrende alla solitudine della frammentazione e all’impos-
sibilità del cambiamento. Un congegno che apre spazi col-
lettivi di ricerca spiazzando le gerarchie interne, contro le
forme di privatizzazione del sapere che troppo spesso ci im-
pediscono di parlare nuovi linguaggi e affrontare temi
inesplorati.
Riprendiamoci il futuro!
[1] Sulle diverse letture che sono state date a riguardo, gli
articoli della sezione Sullo sfondo della rivista «Common»
analizzano la gestione del ciclo lungo della crisi nei termini
di una transizione al capitalismo cognitivo come processo
in torsione continua all’interno del quale si definiscono va-
rie controtendenze. Alcune di esse sono centrali per com-
prendere le mobilitazioni e la conflittualità diffusa che si
sta dando oggi in Italia. «Common. Resistenza, Indipenden-
za, Esodo», n. 0, settembre 2010, Roma.
[2] Cfr. l’articolo di Isabella Pinto e Tania Rispoli, Chi valu-
ta chi? Merito e innovazione cooperative, in www.alfabeta2.it.
Riprendiamoci il futuro!
Maurizio Ferraris
Università: fare passato
Torna al menù
Arricchirsi è glorioso!
Arricchirsi è glorioso!
Paolo Do
I
l prestigioso magazine statunitense «Time» ha conferi-
to, lo scorso dicembre, il titolo di persona dell’anno
all’anonimo lavoratore cinese. Accanto a figure influen-
ti come Nancy Pelosi e l’atleta olimpico Usain Bolt è com-
parso anche quell’infaticabile lavoratore che starebbe fa-
cendo uscire dalla crisi gli indebitati Usa e la vecchia Euro-
pa. La crescita impetuosa della «fabbrica del mondo», come
viene ormai identificato questo paese, è infatti interamente
sostenuta da una vera e propria moltitudine di lavoratori
migranti che in Cina si chiamano liudong renkou, ovvero po-
polazione fluttuante. Sono decine di milioni coloro che dal-
le zone remote delle campagne saltano sul primo treno per
mettersi in viaggio. Se fluttuare può richiamare alla mente
Arricchirsi è glorioso!
G
li studenti cinesi spendono in fabbrica sempre più
tempo del loro percorso formativo, lavorando a tem-
po pieno ma pagati come stagisti. I programmi di
stage, infatti, non sono regolati dalla recente legge naziona-
le sul lavoro (entrata in vigore nel 2008), ma attraverso un
complesso insieme di disposizioni locali e nazionali tra loro
separate e molto vaghe. Questo «cono d’ombra», terreno
non regolamentato nemmeno dal ministero
dell’Educazione, rende di fatto lo stagista la nuova figura
dello sfruttamento, senza alcuna garanzia. Assumere stagi-
sti è diventato, nell’Impero Celeste, quel sistema che
Arricchirsi è glorioso!
A
nche la stessa produzione di automobili in Cina non
solo è connessa alla ricerca sulle energie rinnovabili,
ma è un settore che sempre più occupa forza lavoro
con alto e medio skill: tecnici professionali, manodopera di
«alta qualità», gao suzhi. Se quindi da un lato la formazione
è usata per abbassare il costo del lavoro, allo stesso tempo
essa ci indica come la produzione sia basata su una mano-
dopera non più generica, ma sempre più specializzata.
In questa sorta di upgrade generale della «fabbrica del
mondo», gli studenti si combinano alla classica figura del
lavoratore migrante, modificandone profondamente attitu-
dini e comportamenti. Questi scioperi ne sono stati un chia-
ro esempio: rivendicazioni fino all’80% in più di salario,
un’ottima ed efficiente organizzazione tanto dei picchetti
che della contrattazione (molto differente dalle caotiche
proteste degli ultimi anni), richieste di rappresentanza sin-
dacale autonoma e democratica sono solo alcune delle ca-
ratteristiche di questa originale soggettività in divenire,
nuova generazione di migranti, descritta da alcuni media
come i nuovi «pionieri» dello sciopero. Questi si trasferisco-
no nelle regioni costiere più ricche laddove sfida e deside-
rio di vita metropolitana spingono milioni di giovani a
Arricchirsi è glorioso!
S
e il sogno della prima generazione era quello di anda-
re in città per arricchirsi e tornare in campagna, oggi
la generazione nata con i tragici fatti di Tienanmen è
costituita da veri e propri «animali metropolitani» che vo-
gliono arricchirsi sì, ma per comprarsi un appartamento in
città.
«Arricchirsi è glorioso!». Forse una delle più famose frasi
pronunciata da Deng Xiaoping, indirizzata contro quelle
lotte sociali che sono divampate mentre le sue riforme tra-
volgevano il settore delle industrie di Stato facendone chiu-
dere molte (perché non competitive sul mercato), questa
frase è oggi sulla bocca degli operai in lotta.
Questo motto sembra infatti essere diventato la parola
d’ordine di una moltitudine che, praticando conflitti e
Arricchirsi è glorioso!
Fabrizio Tonello
Cronaca di una sconfitta annunciata
Ghada Karmi
Israele-Palestina, uno Stato unico
Ilan Pappé
L’occupante e l’invasore
Alessandro Raveggi
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Torna al menù
Gianfranco Baruchello
Gianfranco Baruchello
Una creatività di confine
L’hai seppellito?
Gianfranco Baruchello
Anche Kant.
Sì, quando sono andato a trovare Lyotard a Fillerval, in una
campagna vicino Parigi stava leggendo Kant: aveva davanti
un unico libro aperto su uno spesso tavolo di vetro traspa-
rente nel gelo di una soffitta; c’erano soltanto lui, il libro e il
freddo. Era il suo modo di leggere Kant.
Piloti incerti sulla natura del guasto, 2009, cm 25 x 10 x 6. Foto Ezio Gosti
Gianfranco Baruchello
One man billboard, 1968, azione, Roma, Bologna, Milano. (Affissione, da parte
dei servizi comunali, di manifesti in carta che riproducono un’opera di Baru-
chello realizzata per questo evento)
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Gianfranco Baruchello
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Mario Gamba
Tvfobia
Torna al menù
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Gilbert Lascault
Beduini
Certuni al giorno d’oggi non sopportano i modi in cui la no-
stra società vuole organizzarli, inquadrarli, determinarli. E
fuggono. Scelgono gli smarrimenti del cuore e dello spirito.
Rifiutano caserme e autostrade e preferiscono i cammini
che prepongono direzioni alternative, i sentieri che biforca-
no, i lieti errori. In modo almeno provvisorio hanno cessato
di coltivare, di costruire, d’abitare. Lottano contro ogni in-
stallazione, contro tutte le istituzioni. Errano, vagabondi in-
solenti, stregoni avidi. Baruchello, (nel suo lavoro d’arte) è
loro fratello. […]
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Quattro dromedari
Ciascuna delle opere di Baruchello ci offre i quattro drome-
dari di Don Pedro. A meno che non si preferiscano degli al-
tri mezzi di trasporto, perché Baruchello è (tra le altre cose)
un fanatico dei trasporti e delle comunicazioni. Vi troviamo
vetture (After the Witdrawal of the Imperial Guard at Waterloo,
1968), siringhe-missili (Non si passa, ostacolo, fermatevi, 1968),
cavalli (Cavalli marini che guardano altrove, 1974), barche (The
Walrus and the Carpenter, 1974), aerei, a volte protetti da gar-
ze (Jacques Lacan International-Inter-personal Airport, 1974), a
volte fatti a pezzi (Campo base della spedizione aerea Duchamp
alle sorgenti del Nilo, 1974). E innumerevoli altri veicoli, ben
più sorprendenti, ci si offrono: cappelli che volano, delle
specie di sandwiches a reazione… Le frecce si moltiplicano
negli spazi creati dall’artista. Vi si preparano Odissee. Ci so-
no, proposte avventure dell’occhio e della sensibilità. Il va-
gabondaggio è privilegiato. Ciascun opera diviene l’occasio-
ne per un apprendistato dell’esser nomadi. Non v’è un cen-
tro, non vi sono dei margini, né una strada maestra.
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Politeismo
Oggetti, personaggi si moltiplicano senza che si provi il de-
siderio di disporli in un ordine, secondo una gerarchia. Non
c’è lotta per il potere negli spazi inventati da Baruchello.
Poiché tutto vi è disperso, instabile. Fuori d’ogni gerarchia.
Vi si narrano fiabe che è possibile interpretare in ogni sen-
so, al dritto, al rovescio, a chiocciola, in diagonale. Cappuc-
cetto Rosso incontra Marcel Duchamp. Little Orphan Anphetamine
s’invola nell’aria in compagnia di Charles – Lutwig Dodgson
(che nasconde lo pseudonimo di Lewis Carroll). Uno strano
complotto raggruppa Capitan Sirloin, Monsieur Teste, Jac-
ques Lacan e Loplop il Superiore degli uccelli.
Ci accorgiamo allora che uno dei modi più sicuri di essere
atei consiste nell’accettare il politeismo, nel moltiplicare le
divinità senza gerarchizzarle.
Sono divinità sovversive. Come ha scritto Baruchello nel
1975: «Nuove fiabe sono state sul punto di nascere nel
’68-’69, stavano per essere tessute e ritessute nella trama
Baruchello ovvero del divenire nomadi
1977
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Mario Gamba
Tvfobia
Torna al menù
Un paese che fugge
Furio Colombo
L’
amore in 41 modi, l’ultima rivoluzione del sesso in Ame-
rica è il titolo di un giornale («la Repubblica» del 5
ottobre) che attrae l’attenzione in modo rovesciato
rispetto a un passato non tanto lontano. Non parlo
dell’amore, parlo dell’America. La seconda parte del titolo
(rivoluzione… in America) non conta. Ricordate il rapporto
Kinsey che dall’America esplose sul mondo al punto da
cambiarne usi e costumi? In quel tempo l’America era la va-
sta astronave che avanzava nello spazio molto più avanti di
noi, di tutti, e dove molte cose accadevano prima. Si poteva
andare a vederle là, ma non farle accadere altrove.
Ripensate a quel titolo cambiato nel modo seguente
L’amore in 41 modi. L’ultima rivoluzione del sesso in Danimarca.
Un paese che fugge
M
entre seguiamo sullo schermo la lunga attesa
dell’Americano George Clooney, non si può non
pensare che in questo momento l’America ha il
più grande Presidente della sua storia che però appare im-
mobile. È come se nella formula che compone un paese, la
sua gente, il suo governo, la sua missione, fossero cambiate
le parti. O si fosse alterata la proporzione fra le parti, senza
che il fatto sia stato notato. Se la vicenda fosse la linea sinu-
soide che registra i battiti vitali su un monitor, si vedrebbe
una linea alterata (più veloce? più lenta?) ma regolare, nel
senso che tutto è routine, come era routine Abu Grahib, co-
me è routine Guantanamo, e tutto si svolge in un’anormali-
tà normale in cui sfugge, a chi osserva la sequenza, il punto
di inizio e di arrivo, dunque la ragione di tutto. Ma il film, a
suo modo, è una metafora. La guerra in Afghanistan,
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Un paese che fugge
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Un paese che fugge
Torna al menù
Il contrasto Usa-Cina
Il contrasto Usa-Cina
Chu Zhaogen
N
on molto tempo fa, il segretario di Stato americano
Hilary Clinton al summit Asean in Vietnam, ha af-
fermato che risolvere le controversie circa la sovra-
nità nel Sud-Est asiatico è la chiave per assicurare la stabili-
tà di tutta l’area, dichiarando che la questione «per l’Ameri-
ca è di interesse nazionale» e ha consigliato alla Cina di non
trattare unilateralmente il problema della sovranità sul Mar
Cinese meridionale. Dopo quindici giorni, l’8 agosto, in oc-
casione della prima visita dopo i trentacinque anni dalla fi-
ne della guerra in Vietnam, l’America ha consegnato al
Vietnam un aeromobile nucleare Washington; i due paesi
hanno poi condotto esercitazioni proprio sul Mar Cinese. Le
relazioni tra America e Vietnam stanno rapidamente
Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Il contrasto Usa-Cina
Kenneth Fearing
Poesia
Furio Colombo
Un paese che fugge
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Una voce da Pechino
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Una voce da Pechino
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Furio Colombo
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Una voce da Pechino
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Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Danilo Zolo
O
ggi più che mai l’insicurezza e la paura sono il pane
quotidiano della grande maggioranza degli uomini,
non solo di quelli che penosamente sopravvivono
nelle aree più povere del mondo, e non solo di quelli che
premono alle frontiere dei paesi ricchi alla ricerca di una
vita migliore e che molto spesso trovano il disprezzo, la
schiavitù, la morte. Anche nelle democrazie del benessere
oggi regnano per molti – non certo per tutti – l’insicurezza
e la paura. Anche in Occidente la globalizzazione erode le
strutture della protezione e della solidarietà sociale, espo-
nendo la vita dei soggetti più deboli ai rischi di un mondo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
N
egli ultimi due decenni gli eccidi hanno colpito qua-
si esclusivamente civili indifesi. Si è trattato di
guerre di aggressione «ineguali»[3], nelle quali l’uso
di armi di distruzione di massa ha reso irresistibile il potere
degli aggressori e senza speranza la difesa degli aggrediti.
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
A
d analoghe motivazioni sono ricorsi gli Stati Uniti e i
loro più stretti alleati per giustificare una serie di in-
terventi militari «preventivi», non autorizzati dal
Consiglio di Sicurezza: fra questi la guerra contro l’Afghani-
stan del 2001 e la guerra contro l’Iraq del 2003. Si è trattato
anche in questi casi di conflitti asimmetrici, nei quali gli
strumenti di distruzione di massa sono stati usati dalle po-
tenze occidentali per fare strage di civili inermi, per diffon-
dere il terrore, per distruggere le strutture civili e indu-
striali di intere città e di interi paesi.
Per quanto riguarda la guerra contro l’Afghanistan è do-
veroso ricordare che l’effetto terroristico a carico della po-
polazione civile è stato ottenuto dagli aggressori grazie
all’uso di armi potentissime: le devastanti cluster bomb, le
bombe «taglia-margherite» (daisy-cutter) di sette tonnellate
di peso e il micidiale Predator, drone fornito di missili Hell-
fire. E occorre ricordare che il territorio afghano è tuttora
infestato da circa otto milioni di mine antiuomo, in parte di
produzione italiana.
A proposito della guerra «preventiva» scatenata dagli
Stati Uniti e dalla Gran Bretagna contro l’Iraq nel 2003 non
si possono non ricordare le falsificazioni che l’hanno moti-
vata, l’uso massiccio di mezzi di distruzione di massa, le
stragi di decine di migliaia di militari e di civili, il saccheg-
gio delle risorse energetiche, la frammentazione del
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
È
altrettanto noto che i possibili avversari al quale il
documento programmatico fa implicito riferimento
sono sia la Russia sia, e soprattutto, la Cina, la grande
potenza emergente che ha dato prova di essere in grado di
individuare e distruggere le centinaia di satelliti statuniten-
si, dai quali dipende gran parte della forza militare degli
Stati Uniti, dalla navigazione in mare a quella aerea, dal
puntamento delle artiglierie alle comunicazioni fra unità
combattenti e alla guida a lunghissima distanza dei droni,
aerei senza piloti provvisti di missili. La stessa aviazione
militare lavora da tempo alla costruzione di centinaia di
«minisatelliti killer», oltre che di un aereo ipersonico – il
progetto Falcon – capace di liberarsi dall’attrazione terre-
stre, di orbitare e di piombare sull’obiettivo in un’ora di vo-
lo partendo da qualsiasi punto della terra. E nello spazio ci
sarebbe posto anche per veicoli senza uomini a bordo, de-
stinati a orbitare a lungo sopra obiettivi e zone di operazio-
ne. Si tratta insomma di una vera e propria «guerra spazia-
le» che l’impero statunitense si prepara a vincere cosi come
l’impero romano si era preparato a vincere la guerra sul
mare.
Un progetto di pacificazione del mondo richiederebbe la
costruzione di un regionalismo policentrico e multipolare e
un rilancio della negoziazione multilaterale fra gli Stati co-
me fonte normativa e legittimazione dei processi di
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
N
onostante lo stile accattivante del nuovo Presidente
e l’autentico entusiasmo che la sua apertura al
mondo islamico aveva suscitato – il suo discorso te-
nuto al Cairo nel giugno dello scorso anno aveva infiamma-
to mezzo mondo – resta il fatto che egli continua a dichia-
rarsi convinto che sarà una vittoria militare a restituire la
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Publishing Inc., New York & London 1973), [trad. it. La pace
attraverso il diritto, a cura di L. Ciaurro, Giappichelli, Torino
1990].
[6] Rinvio a D. Zolo, La giustizia dei vincitori, Laterza,
Roma-Bari 2006, pp. 140-67.
[7] Cfr. R.B. Pal, «The Dissenting Opinion of the Member
for India», in The Tokyo War Crimes Trial: The Comprehensive
Index and Guide to the Proceedings of the International Military
Tribunal for the Far East, R.J. Pritchard, S. Magbanua Zaide, a
cura di, Garlard Publishing Inc., New York & London 1987,
XXI, p. 128.
[8] Si veda U.S. National Space Policy, in National Security
Presidential Directives, http://www.fas.org/irp/offdocs/
nspd/ space.html.
[9] G. Strada, Crimini di guerra in Afghanistan, in http://
it.peacereporter.net/stampa/20563, del 03/03/2010.
[10] Per una severa critica della sostanziale inerzia del
Presidente Obama di fronte alla tragedia palestinese si veda
l’intervento di G. Levy, L’America di Obama non mantiene le
promesse, in http://www.haaretz.com/print-edition/
opinion/obama-s-america-is-not-delivering-the-good-
s-1.282017.
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Kenneth Fearing
Poesia
Furio Colombo
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
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«Eat what you kill»
Manuela Gandini
A
lla fine degli anni Cinquanta, Virginia ballava nel De
Basil Baletts Russes a Le Folies Bergères a Parigi.
Jean, ribelle, discuteva d’arte e di politica col suo
amico Marcel Broodthaers. La mattina Jean e Virginia face-
vano colazione con champagne e marmellata. La domanda
che girava nelle loro bocche era sempre la stessa: che ruolo
potessero più avere l’arte e l’artista in un mondo stritolato
dalle istanze di potere e come opporvisi? Le risposte fluiva-
no e si trasformavano col sapore del vino e della zuppa di
cipolle.
«Eat what you kill»
C
on l’11 settembre, l’artista torna sulle barricate, co-
mincia un martellante lavoro di mail art. Scrive una
cinquantina di cartoline ogni giorno agli amici arti-
sti, scrittori, teorici sparsi in tutto il mondo. Per anni spedi-
rà immagini di sé in tutte le pose con commenti sulla politi-
ca imperialista americana, intersecando così la propria vita,
minuscola e domestica, con i grandi eventi internazionali. Il
titolo di ogni opera è la data nella quale viene editata.
Barba bianca e sorriso mite, si fotografa imbavagliato, so-
litario, in simbiosi col gatto, sulla tazza del cesso, smateria-
lizzato, in giardino, col viso allungato rosso o metallizzato
oppure mentre, parafrasando Duchamp, scende le scale nu-
do. Le cartoline portano pesanti e lucide osservazioni
sull’incongruenza della guerra in Iraq, in Afganistan, sulla
pelosa retorica catto-busciana, sulle violenze e le torture di
Abu Ghraib, su Guantanamo, l’omofobia, i talebani, Dick
Cheney, Tony Blear, Donald Rumsfeld. Ogni notizia di rilie-
vo, riportata dagli organi di stampa americani, veniva (e
viene) letta, filtrata, interpretata e ri-raccontata da Toche,
il quale, in poche righe, sintetizza il senso dell’accaduto.
Tutto ciò si svolge nella totale gratuità, poiché l’artista non
espone mai in gallerie private e non vende i propri pezzi
ma li regala.
«Jean Toche» – ha scritto Achille Bonito Oliva – «con la
sua opera traccia un affresco a episodi che attraversa la
«Eat what you kill»
Approfondimenti in rete:
Immagini su www.alfabeta2.it
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Furio Colombo
Un paese che fugge
«Eat what you kill»
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
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Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robusta d’America?
Luigi Ballerini
N
el 1961 Nelson Algren, l’autore del romanzo L’uomo
dal braccio d’oro (da cui Otto Preminger trasse un
buon film, contribuendo a sfatare la leggenda che i
buoni film sono sempre adattamenti di brutti libri), pubbli-
cò presso un editore indipendente (Contact Editions 1961)
Chicago: City on the make (Città che si dà da fare, ma anche, e
soprattutto, città che approfitta di ogni occasione per farsi
avanti, a umma umma, città col pelo sullo stomaco eccetera)
un lungo poema in prosa, oggi ignorato, o ripubblicato
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robusta d’America?
C
uriosamente, contro una triade di questo genere, dei
nemici della letteratura e della poesia in particolare,
cioè di quel complesso di attività in cui il linguaggio
(in tutti i suoi aspetti e ingredienti) è usato con il massimo
di consapevolezza, si era scagliato, negli anni Venti anche
Ezra Pound, nel XIV e nel XV degli Hell Cantos, cosiddetti
perché, a monte della loro redazione, ci sono brani e strate-
gie tipiche dell’Inferno di Dante. In Pound, per dire meglio,
una triade si profila con particolare evidenza, all’interno di
una più vasta compagnia di traditori, di pervertitori del lin-
guaggio, ed è formata dai politician, dagli ecclesiastici e, ap-
punto, dalla press gang, usurai della mente, laudatores tempo-
ris acti che «oscurano il testo con la filologia», che «strillano
come galline in tipografia», condannati tutti insieme nella
bolgia dei perfidi, degli insopportabili, dei noiosi, dei mora-
listi da strapazzo, insomma di tutti coloro che, parafrasan-
do lo stesso Pound, antepongono la lussuria del guadagno
alla conoscenza sensuosa del mondo e dell’umanità.
Le indicazioni estraibili dall’opuscolo di Algren e dalle in-
vettive poundiane ricche, in entrambi i casi, di una forte
dose di sarcasmo – sarcasmo che proporrei di chiamare
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robusta d’America?
C
he la scrittura del romanzo poliziesco si amalgami fe-
licemente con le componenti delle tematiche urbani-
stiche, dell’invettiva, dell’epica frammentaria e
dell’assemblage di espressioni corrive nonché di proverbi
stravolti con maliziose paronomasie, è sicuramente merito
di autori per i quali scrivere un romanzo, narrare, significa-
va prima di tutto indagare nei recessi di una società di
sconfitti. Scoprire chi è l’assassino è solo l’occasione (sicu-
ramente appetitosa) per mostrare l’aspetto feroce di ogni
menzogna razionalizzata. Sam Spade, l’investigatore priva-
to del Falcone maltese che non si lascia gabbare da nessuno,
si serve delle proprie attitudini «decostruttiviste» non per
accumulare potere o denaro, o per fare bella figura, ma solo
per andare fino in fondo al caso, e assicurare alla giustizia,
non un (una, nel nostro caso) colpevole qualsiasi, non una
vittima sociale, ma chi ha consapevolmente tradito, e finto,
nell’interlocuzione tra essere umani. Gli ipertrofici ed ec-
centrici manigoldi che lo avevano assoldato, avventurieri
pronti a sacrificare anche vite umane, pur di ritrovare il lo-
ro presunto oggetto di desiderio, restano invece liberi, alla
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robusta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robusta d’America?
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Furio Colombo
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robusta d’America?
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Torna al menù
Kenneth Irby
Kenneth Irby
Sapore di morte o sapore televisivo di morte
intorno a non di o dentro sentire facendo qualcos’altro
quella trasmissione che è meglio scordarsela notte e giorno tutti e
due
dovunque si vada
e anni addietro si andava a casa di chi possedeva un apparecchio
quando c’era
in programma qualcosa di speciale, una partita, uno show, qua-
lunque cosa un’abitudine,
regolarmente, e se a casa invece dei padroni c’erano i loro ospiti
venuti da fuori bisognava spiegarglielo a questa gente non proprio
contenta di vederci che si nutre di vari e velati
antagonismi e irritazioni, o anche soltanto del fatto che il po-
sto adesso l’avevano loro
perso lo spettacolo con la tv accesa ma non è possibile seguire, an-
che se il cane si mostra
contento di vederci
Kenneth Irby
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
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Il fascismo e i silenzi di Moravia
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Furio Colombo
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
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Kenneth Fearing
Kenneth Fearing
…
La fila per il pane
La salvezza davanti a un caffè e a una michetta.
«Ieri sera, molti di lor signori, hanno mangiato all’impazzata
per precipitare alla missione qui accanto e agguantare
un’altra fetta di pane».
Che gratitudine è mai questa? Che modo di fare? Rogna ga-
rantita? Morte di fame
per tutti, o è meglio la Tbc?
Lello Voce
Politiche culturali
Kenneth Fearing
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Kenneth Fearing
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
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Kenneth Irby
Poesia
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Un paese che fugge
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Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Kenneth Fearing
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
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La politica nella società del gossip
Giovanni Curtis
A
ppaiono lontani i tempi in cui i vecchi leader demo-
cristiani e comunisti tenevano ben separate le que-
stioni private da quelle pubbliche. E se gli odierni
esponenti di destra si muovono fin troppo a loro agio tra i
cambiamenti occorsi nella comunicazione politica, la sini-
stra ha rappresentato malgrado tutto un importante indica-
tore di tali tendenze. Si pensi ai mutamenti comunicativi –
accompagnati da quelli politici – che hanno portato il se-
gretario della transizione dal Pci al Pds, Occhetto, a farsi fo-
tografare nel 1988 mentre bacia la moglie Aureliana, bacio
che, a detta di Indro Montanelli, muta definitivamente il
La politica nella società del gossip
P
erfino la valorizzazione e la riabilitazione di un per-
sonaggio inquisito può passare per la cronaca rosa
della tv e ciò si evince nel momento stesso in cui leg-
giamo, poco dopo il terremoto tangenti di alcuni mesi fa,
che la conduttrice Simona Ventura afferma: «Anemone? Lo
porterei sull’Isola dei famosi». Del resto il settimanale «Chi»
della Mondadori di alcune settimane fa ha proposto ai suoi
lettori un servizio riguardante la vita quotidiana del co-
struttore inquisito, trattato al pari di un qualsiasi personag-
gio di reality show. Si è dunque perfettamente in linea con
quanto dichiarato da Carlo Freccero sul «Fatto Quotidiano»
del 5 marzo 2010, «le intercettazioni hanno trasformato i
corrotti nei personaggi di un reality». Figure che sfruttano
l’ipertestualità di questi mezzi e che divengono essi stessi
ipertesti, costruzioni complesse. Il gossip dei settimanali si
può leggere infatti anche come l’evoluzione del fotoroman-
zo, in quanto i nomi e cognomi dei personaggi sono veri e le
storie più o meno verosimili. Tutto questo in una nazione in
La politica nella società del gossip
N
aturalmente tutto ciò riguarda anche il tema della
sessualità e del potere. E in particolare l’identità
femminile filtrata attraverso gli occhi del potere, la
videocrazia (per evocare il documentario di Erik Gandini)
che passa attraverso il corpo femminile. Così come non si
La politica nella società del gossip
L
a sessualità è dunque ormai, in linea con quanto affer-
mato da Foucault, tutt’altro che una forza ribelle in
ragione della sua natura difficile da controllare anche
da parte del potere. Sembra invece che si sia istituita una
nuova scientia, ma oltre che sexualis anche sentimentale,
grazie a mezzi come il gossip tout court. È il caso di pro-
grammi tv quali Grande Fratello e Uomini e donne, che vanno
di pari passo con un nuovo concetto del fare politica. Si
pensi alla sessualità e alla sensualità espressa da una molti-
tudine di personaggi, quasi esclusivamente femminili, al
confine tra spettacolo e politica, come le ministre Brambilla
e Carfagna o da figure politiche «minori», come Luxuria e la
La politica nella società del gossip
Laboratorio αβ Roma
Aldo Bonomi
La palude dei populismi
Lapo Berti
Un’insostenibile distonia
Fausto Curi
Diritto di parola
Torna al menù
Cinerimozione
Cinerimozione
Censura e autocensura nel cinema
italiano di oggi
Angelo Pasquini
R
ivedendo vecchi film degli anni Sessanta o Settanta,
si resta colpiti da come gli autori avessero una visio-
ne satirica della realtà italiana. Le istituzioni, la poli-
tica, la gerarchia ecclesiastica, il mondo dell’imprenditoria
e della finanza, il perbenismo imperante nella famiglia e
nella scuola, la corruzione, la mafia, il mondo della cultura
e della televisione, magistrati, poliziotti e carabinieri, erano
tutti indistintamente bersagli di una satira feroce. L’Italia e
Cinerimozione
N
on solo la politica, ma anche il sesso è poco fre-
quentato dal nostro cinema. Eppure abbiamo alle
spalle una tradizione consolidata sull’argomento: il
cinema italiano, sia d’autore che di genere, almeno fino agli
anni Ottanta, era universalmente noto anche per la tra-
sgressività delle sue storie e la disinibizione delle sue messe
in scena. Un cinema poco politico e poco sensuale, troppo
timido e sorvegliato, non seduce e non conquista, non col-
pisce al cuore e non scandalizza. «L’amore – scriveva Truf-
faut – è il soggetto dei soggetti, particolarmente al cinema,
dove l’aspetto carnale è indissociabile dai sentimenti».
Anche se le cifre riferite agli incassi e al numero degli
spettatori del cinema italiano sono abbastanza confortanti,
la stagione produttiva che si apre vede una drastica riduzio-
ne dei film in lavorazione. La scelta del governo di far paga-
re al cinema, oltre che alle altre forme di spettacolo e di
cultura, il peso della crisi finanziaria si rispecchia
Cinerimozione
C
erto, non è solo né tanto questione di contenuti. Il ci-
nema è punto di vista, è sguardo, a patto che sia l’au-
tore a scegliere la porzione di mondo, di luce, di cor-
pi, che finiscono nell’inquadratura. Però certi vuoti di me-
moria vanno riempiti, certi fili vanno riannodati, altrimenti
si rischia la decrepitezza, l’Alzheimer del nostro cinema. In-
somma, se non vogliamo finire per ambientare le nostre
storie in un’Ungheria immaginaria, come succedeva per il
film dei Telefoni bianchi, in epoca fascista, dobbiamo conqui-
starci, noi tutti, autori, produttori, attori, la libertà di pun-
tare di nuovo la macchina da presa nel cuore della realtà di
oggi, in quella «zona rossa» dove il cinema italiano non ha
più l’autorizzazione a entrare (e per alcuni forse neanche
l’autorevolezza).
Cinerimozione
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Mario Gamba
Tvfobia
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Torna al menù
Politiche culturali
Politiche culturali
Lello Voce
D
opo cinque anni, Absolute Poetry, il festival di poesia e
musica che dirigo a Monfalcone, chiude. Se ne parlo,
però, è soltanto perché credo che nella storia di que-
sta sua fine ci sia qualcosa di paradigmatico, che è comune
alla sorte che tanti eventi simili stanno subendo in questa
Ytaglia della crisi e che a partire dalla sua storia sia possibile
sviluppare alcune riflessioni di ordine generale.
Il Festival chiude non solo perché i tagli di budget dovuti
alla celeberrima «crisi» sono stati insostenibili, ma anche
perché intorno gli è stato fatto il vuoto: la regione Friuli-
Venezia Giulia e la sua maggioranza di centro-destra hanno
decurtato di circa l’80% i già scarsi fondi, ma anche parte
della giunta di centro-sinistra che governa la città ha
Politiche culturali
www.absolutepoetry.org
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sta d’America?
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«Secolo-Cane-Lupo»
«Secolo-Cane-Lupo»
Storia di un film impossibile
Ci sono ancora nervi scoperti che i vostri film toccano. Forse è an-
che per questo che qui nessuno si è dimostrato interessato a finan-
ziare il vostro film sul fascismo. È un argomento tabù.
Gianikian: In Francia invece l’hanno considerato un film
necessario e assolutamente da fare. Dentro ci sono gli zin-
gari fatti sparire nei campi di sterminio nazisti. Come ti di-
cevo c’è la Guerra civile spagnola. C’è la Germania. È la sto-
ria dell’Europa in questa crisi dell’euro. Un’Europa che sta
«Secolo-Cane-Lupo»
Ilaria De Pascalis
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Televisione italiana e produzione culturale
Televisione italiana e
produzione culturale
Conversazione con Pino Corrias, Re-
nato Parascandolo e Angelo
Guglielmi
Ilaria De Pascalis
L
a questione della «televisione di qualità» viene posta
con una certa regolarità fin dalla nascita del medium,
ormai molti anni fa. Il problema nasce dalla tecnolo-
gia stessa dell’apparecchio televisivo, che, veicolando pro-
grammi proposti come autorevoli in un flusso costante e in
un ambiente sempre più privato e familiare, rischia di
Televisione italiana e produzione culturale
I
l problema nel caso della produzione televisiva italiana
nasce dal fatto che, come ha sottolineato sempre Cor-
rias, è in atto una sorta di processo di dissoluzione cul-
turale, «un diffuso spavento per il racconto delle cose rea-
li», per cui i programmi televisivi (e in particolare la fic-
tion) non cercano più di essere un luogo problematico e
«stimolare un racconto inaspettato». Nonostante in Italia la
narrazione televisiva sia stata talvolta un mezzo per creare
un racconto condiviso che non fosse rassicurante e consola-
torio (sia Corrias che l’ex direttore di Rai Tre Angelo Gu-
glielmi hanno fatto in questo senso riferimento alla Piovra,
la famosa serie andata in onda dal 1984 al 2001), la produ-
zione attuale mostra una «totale assenza di coraggio
narrativo».
Guglielmi, riprendendo le idee espresse in una recente
intervista televisiva, ha quindi sottolineato come «il disfaci-
mento culturale sia tale che per porre un argine è necessa-
rio usare le armi più elementari, il discorso dichiarativo,
per recuperare quel minimo di solidità culturale da cui par-
tire per avventurarsi solo in seguito in terreni più speri-
mentali». In questo senso, è ancora valido il discorso di Eco
per cui nonostante il «paternalismo» insito nella società
dell’immagine è ancora possibile produrre e diffondere una
forma profondamente democratica di cultura. Questo non
vuol dire ovviamente che una «televisione di qualità» sia
Televisione italiana e produzione culturale
S
econdo Parascandolo, infatti, radio e televisione, in
quanto mezzi di diffusione da uno a molti, si prestano
bene per l’informazione diretta e per l’intrattenimen-
to, mentre sono molto meno efficaci nel momento in cui
volessero istruire, diffondere saperi e conoscenze; ciò non
toglie che siano mezzi fondamentali per l’educazione, dal
momento che configurano gli stili di vita dominanti in for-
me sempre diverse e contemporaneamente li diffondono in
modo capillare. Parascandolo ritiene quindi che sia possibi-
le sul piano teorico instaurare con il pubblico un rapporto
che vada al di là del servizio dell’informazione immediata e
dell’intrattenimento più spensierato. In particolare, è possi-
bile unire il potenziale di interazione, approfondimento e
diffusione del sapere del web con la popolarità della televi-
sione, attuando forme di intermedialità attraverso la
Televisione italiana e produzione culturale
U
n’azienda che voglia davvero mettere in pratica le
forme della rimediazione, e che quindi sia più inte-
ressata a produrre opere complesse, problematiche,
in grado di affrontare la molteplicità del mondo contempo-
raneo in tutte le sue sfaccettature, deve anche rinunciare,
come hanno sottolineato soprattutto Corrias e Guglielmi,
allo sfruttamento indiscriminato dei format. Infatti, per
Televisione italiana e produzione culturale
Mario Gamba
Tvfobia
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Televisione italiana e produzione culturale
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Torna al menù
Tvfobia
Tvfobia
Mario Gamba
I
l morbo si diffonde con rapidità. Siamo alla fase dei casi
numerosi, si teme il passaggio all’epidemia. È una ma-
lattia arcaica. Come altre che tornano a manifestarsi per
varie cause (il rachitismo per colpa di Facebook, la sifilide
per colpa dei migranti clandestini, la tbc per concorso di
colpa tra clandestini stranieri e Facebook fin troppo dome-
stica, ma sarà tutto vero?), la tvfobia riappare e colpisce i
gruppi sociali già colpiti in passato: i clan della sinistra.
Soggetti con i tratti psicologici che concorrono a delineare
la tipologia detta «dell’apocalittico», contrapposta a quella
detta «dell’integrato», secondo una fortunata classificazio-
ne che risale all’anno 1964, esibiscono i loro sintomi con
sempre maggiore acutezza. Non soffrono, apparentemente.
Tvfobia
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Torna al menù
Il corpo degli uomini
Giovanna Cosenza
I
l documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo e
Marco Malfi Chindemi ha stimolato, da quando è uscito
nella primavera del 2009, un numero crescente di dibat-
titi televisivi, conferenze pubbliche, lezioni nelle scuole e
università, commenti nei social network. Grazie a questa
diffusione, oggi siamo tutti più consapevoli – in Italia e in
Europa, visto che il documentario è stato tradotto in cinque
lingue – di quanto la televisione nostrana stia abusando, da
vent’anni a questa parte, del corpo femminile. A fianco di
uomini vestiti di tutto punto, spesso attempati e fisicamen-
te bruttini o comunque ordinari, ma soprattutto valorizzati
per ciò che dicono e sanno e non per il loro corpo, la televi-
sione italiana propone una massa indifferenziata di veline,
Il corpo degli uomini
Bello e impossibile
Dal 2007 appare in estate la campagna del profumo maschi-
le D&G Light Blue. Lo spot è ambientato su un gommone nel
mare di Capri: sole a picco e mare blu per un bellissimo lui
che si china a baciare una bellissima lei, sulle note di Parla-
mi d’amore Mariù. Lui è il modello David Gandy: moro, mu-
scoloso, depilato, ha persino «il sapor mediorientale» della
canzone di Gianna Nannini. Troppo bello per essere vero, e
infatti non lo è: all’improvviso la scena si interrompe e il
ciak rende esplicito che siamo in uno spot. Se poi conside-
riamo che l’annuncio stampa mette in primo piano gli attri-
buti sessuali di David Gandy, ne abbiamo abbastanza per di-
re che a questo corpo tocca la stessa sorte di quelli femmi-
nili del documentario di Zanardo: ipersessualizzazione, pla-
stificazione, atrofia cerebrale. Con un esplicito ammicca-
mento al mondo gay, come accade a tutti i corpi maschili
Il corpo degli uomini
Superman
Per rappresentare quest’uomo prendiamo la recente cam-
pagna di L’Oréal per la linea di cosmetici «Men Expert».
L’uomo L’Oréal è «expert» in un senso che toglie il sonno:
sempre al massimo delle prestazioni fisiche, combatte a tut-
te le ore la fatica e il tempo che passa. Ai più giovani L’Oréal
propone come testimonial il campione mondiale di skate
Taïg Khris, perché – dice lo spot – ha uno stile «indistrutti-
bile»: ne fa di tutti i colori, ma i suoi capelli sono sempre a
posto. Ai quarantenni spetta l’attore Matthew Fox (il Dr.
Jack Shephard della serie televisiva Lost); nello spot dice di
amare il suo lavoro, il movimento e le feste, ma in ogni caso
ha un unico obiettivo: vincere la stanchezza. Ai signori più
maturi tocca Pierce Brosnan (noto per le interpretazioni di
James Bond), che è categorico: «Lasciarsi andare è fuori di-
scussione» dice, il che vale non solo al lavoro, ma nel relax
con gli amici. Unico conforto per tutti: la solidarietà con
una squadra d’uomini che aspirino a essere tutti instancabi-
li, come nell’ultimo spot italiano, in cui apparivano i
Il corpo degli uomini
Laboratorio αβ Bologna
Approfondimenti in rete:
Il corpo degli uomini su www.alfabeta2.it
Il corpo degli uomini
Francesco Galofaro
Bioetica e biopolitica
Daniela Tagliafico
La lunga vita del replicante
Torna al menù
Bioetica e biopolitica
Bioetica e biopolitica
Una riflessione sul testamento biolo-
gico e sul dolore cronico
Francesco Galofaro
N
egli ultimi dieci anni in Italia il dibattito bioetico è
stato centrale. Si è concentrato su casi come quello
di Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro;
ciclicamente è divenuto politico, come nel caso della legge
sulla fecondazione assistita, del referendum che l’ha seguita
e delle sentenze giuridiche che ne hanno smontato l’im-
pianto attuativo. È d’attualità la battaglia sul testamento
biologico: solo le contraddizioni della maggioranza di go-
verno hanno finora impedito che divenisse legge una
Bioetica e biopolitica
C
ome vedremo, l’esclusione di fasce della popolazione
dal novero dei tutelati è una caratteristica struttura-
le della moderna biopolitica. Nel caso delle persone
che soffrono di dolore cronico, l’esclusione deriva da un
complesso di cause: occorre scoprire l’origine del dolore e
cure efficaci, ma si taglia la ricerca; occorre formare i medi-
ci sul dolore cronico ed esentare dai farmaci questi malati,
Bioetica e biopolitica
I
l concetto di biopolitica che si incarna nella herrenfolk
democracy aiuta a riflettere sull’attualità e sull’immedia-
to futuro. Il progresso della tecnica è stato e continua a
essere socialmente destabilizzante: esso minaccia l’ordine
imposto dal Potere sul corpo dell’individuo, ma costituisce
anche un’occasione per rinsaldarlo o per imporne uno nuo-
vo. Così possiamo interpretare la battaglia sull’aborto, o
sulla fecondazione assistita, o per il diritto a morire con di-
gnità; ritornando al testamento biologico, il conflitto si
Bioetica e biopolitica
M
a non è solo una questione di scarsa utilità: il Po-
tere ordina la vita ponendo una opposizione tra
ciò che è «naturale» e ciò che non lo è, e classifi-
cando i comportamenti di conseguenza; così facendo, il Po-
tere sancisce surrettiziamente la propria «naturalità» e si
autoidentifica con l’ordine necessario e legittimo delle cose.
Ma il dolore cronico sfugge e si sottrae a ogni buon ordina-
mento per la propria pervasività e molteplicità di manife-
stazione. Così finisce per dimostrare che non c’è niente di
naturale in queste classificazioni sociopolitiche. Dal punto
di vista del potere, il dolore cronico è una bestemmia: non
perché nega un punto di vista religioso sulla vita – anzi,
molti pazienti trovano nella religiosità la forza per affron-
tare il male – ma perché dimostra l’assoluta alterità di quel
divino che l’ordine del Potere vorrebbe incarnare. Costitui-
sce così il segno del fallimento del Potere stesso nel creare e
garantire la società perfetta e ideale. Ecco perché il potere
ignora questa tematica: nasconde sotto lo zerbino la polve-
re della propria evidente imperfezione.
Bioetica e biopolitica
Daniela Tagliafico
La lunga vita del replicante
Giovanna Cosenza
Il corpo degli uomini
Torna al menù
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
U
n articolo di Vania Lucia Gaito apparso su «Micro-
mega» dell’aprile scorso si apriva constatando co-
me l’Italia sia stata apparentemente solo sfiorata
dal fenomeno dell’abuso su minorenni in ambito clericale
che così grande spazio ha ricevuto sui mass media
internazionali.
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
N
egli Stati Uniti, in Irlanda, nelle altre nazioni coin-
volte nessun esponente governativo ha preso le di-
fese della Chiesa agitando il fantasma di oscure mi-
nacce alla cristianità, ma il Presidente del Consiglio italiano,
un mese dopo le manganellate del caso Boffo, in occasione
della lettera pastorale ai cattolici irlandesi, si è premurato
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
L
a posizione della Chiesa sul tema della famiglia,
dell’eutanasia, della pillola RU486, delle unioni omo-
sessuali sarebbe quindi all’origine dello scandalo or-
chestrato «da lobby più o meno massoniche» – rieccole –
che «manifestano il sinistro potere della tecnocrazia». Va
da sé che il tema massonico e tecnocratico appaia al dottor
Introvigne di minor momento quando si riferisca invece a
Silvio Berlusconi, promotore della Fondazione Res publica
del cui comitato scientifico, presieduto di Giulio Tremonti,
egli è membro. Egli pure non ci rivela se i gym teachers, che
hanno tra l’altro il difetto di non arrogarsi uno status simile
a quello dei sacerdoti cattolici – non amministrano sacra-
menti, non svolgono alcuna funzione di mediazione tra il
piano umano e quello divino – e che possiamo pure consi-
derare, a questo punto, un’autentica bomba sociale fino a
oggi ingiustamente trascurata, siano riusciti a mantenere
nell’ombra le loro nefandezze grazie all’influenza delle or-
ganizzazioni di categoria che li rappresentano, capaci di
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
L
a classe dirigente liberale formatasi in età risorgimen-
tale, i cui membri erano in non trascurabile parte affi-
liati alla massoneria, nutriva sentimenti di diffidenza,
quando non di ostilità, ampiamente ricambiati, nei confron-
ti del Vaticano. Si presentava tuttavia a essa, sempre più
pressante, il problema del confronto con il socialismo in
ascesa e col mondo cattolico, ancora trattenuto dal non ex-
pedit in parte consistente nell’area dell’astensionismo, nella
prospettiva anche di un allargamento del suffragio
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
Q
esta vecchia storia italiana di scandali e clamori le-
gati al tema della pedofilia clericale presenta, fatta
la tara, tutte le componenti che hanno definito simi-
li casi ai giorni nostri: tentativo di coprire l’abuso, prima
che la denuncia arrivi a un giudice, trasferendo il prete col-
pevole e occultandolo alla giustizia civile; aggressione alla
credibilità di chi denuncia il sacerdote – quando si scoprì
che Alessandro era un trovatello i fogli cattolici lo definiro-
no un «bastardo isterico», ma non si mancò di insinuare
che la famiglia adottiva avesse origini ebraiche e che la ma-
dre fosse una «mopsa», un’affiliata alla massoneria –; mobi-
litazione della comunità locale, che arrivò ai limiti del lin-
ciaggio; spregiudicatezza di politici inclini a una doppia
morale: quella che di giorno gli fa difendere l’etica cristiana
e di notte li porta in partibus infidelium.
Tutto ciò dimostra come da noi certe pratiche, cui Ra-
tzinger assicura oggi di porre rimedio, si fossero assai per
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
Manuela Manfredini
Messe nere sulla Riviera
Il Papa, gli zuavi e l’epidemia nera
Pippo Delbono
Una ferita profonda e un bisogno di verità
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Torna al menù
Messe nere sulla Riviera
Manuela Manfredini
U
n prete condannato in contumacia a trent’anni di
reclusione per abusi su minori, un quattordicenne e
la madre denigrati dalla stampa filoclericale, deliri
di messe nere e agghiaccianti descrizioni giudiziarie di abu-
si consumati su giovinetti accompagnati sulla spiaggia: que-
sti in estrema sintesi i contenuti dello scandalo Besson,
scoppiato gli ultimi giorni di luglio del 1907 in una delle più
belle cittadine della riviera ligure di Ponente e rimbalzato
fino a Roma, nelle stanze dei ministeri, dopo aver acceso
violente manifestazioni di piazza e tumulti in tutta la
penisola.
Teatro dello scandalo è la Varazze dei primi del Novecen-
to, in piena trasformazione da fiorente borgo piscatorio a
Messe nere sulla Riviera
Pippo Delbono
Una ferita profonda e un bisogno di verità
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Torna al menù
Una ferita profonda e un bisogno di verità
Pippo Delbono
«V
arazze: un piccolo e incantevole angolo del
mondo dove la natura ha voluto riunire gran
parte delle sue bellezze…». Così ricordo la
presentazione della mia cittadina nell’opuscolo dell’Azien-
da autonoma di soggiorno. Io sono cresciuto lì, all’ultimo
piano di un palazzo circondato dal lato sinistro dalla par-
rocchia di Sant’Ambrogio, dove facevo il chierichetto, con
vicino l’oratorio di San Giuseppe; poi, risalendo in senso
orario, in ordine: il collegio delle suore, dove ho fatto asilo,
catechismo ed elementari; la canonica e il suo campo di
football dove si giocava a calcio con i preti, con annesso il
Una ferita profonda e un bisogno di verità
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Manuela Manfredini
Messe nere sulla Riviera
Torna al menù
La palude dei populismi
Aldo Bonomi
D
alla crisi irrisolta delle forme politico-istituzionali
del Novecento consumatasi nel ventennio a cavallo
del nuovo secolo, territorio e comunità, ciò che resta
sotto la pelle dello Stato, sono emerse come base per una
nuova fenomenologia politica fatta di rancore, rinserra-
mento nello spazio di posizione territoriale, comunitarismo
di chi abita in contrapposizione a chi appare straniero. Il
tutto saldato alle logiche liberiste dell’individualismo pro-
prietario. Così in Italia sono nati e si sono saldati in un bloc-
co sociale il leghismo e il berlusconismo. Il libro che ho
scritto è anche un po’ un tentativo di andare oltre la palude
ammorbante dei populismi, cercando il delinearsi di forme
della politica che vanno oltre. Segnali deboli, che messi
La palude dei populismi
assieme a ciò che resta sotto la pelle dello Stato, sono tracce
di speranza per continuare a cercare. Per farlo occorre pri-
ma entrare dentro la palude, capirne i contorni, cercarne le
vie d’uscita.
Molto spesso noi studiamo, teorizziamo, raccontiamo ciò
che prende corpo nella società, poi quando vediamo il rac-
conto sociale quotato al mercato della politica, ci rifiutiamo
di riconoscerlo. A ben vedere è andata così anche per quello
che oggi tutti citano come il nuovo fantasma che si aggira
per l’Europa ad agitare i sonni delle élite e delle opinioni
pubbliche liberali: il populismo. Di cui in Italia sembra im-
perare l’egemonia rispetto alle culture politiche ereditate
dal Novecento; o meglio rispetto a ciò che ne resta. Oggi il
populismo è cosa diversa da ciò a cui eravamo abituati nel
secolo scorso. Non è più soltanto l’indicatore di una fami-
glia politica o di un gruppo di partiti o leader, ma esprime
la trasformazione del politico in generale. Dentro la crisi
della rappresentanza il populismo è forma di una nuova vo-
lontà generale che non è più il monolite rousseiano, ma mo-
saico di soggetti e figure scomposte dalla modernizzazione
che tali rimangono anche quando ricostruiscano un qual-
che tipo di connessione sentimentale con l’imprenditore
politico di turno. E come tale il populismo è fenomeno in-
trinsecamente plurale, trasversale alla geometria politica a
cui eravamo abituati. L’Italia, nel bene e nel male, è oggi
La palude dei populismi
Il populismo dolce
Nella transizione in senso populista della sinistra non sono
cresciuti soltanto giustizialismo o ideologie della decrescita
più o meno felice. Esiste un’altra corrente, o meglio espe-
rienza politica, che definisco di populismo dolce che credo
prefiguri una possibile via d’uscita della sinistra dal cupio
dissolvi in cui sembra essersi infilata ormai da tempo. Come
ebbi modo di discutere in un dialogo di qualche anno fa con
Fausto Bertinotti riguardo all’opportunità per la sinistra di
«ricordare il proprio futuro» guardando alle esperienze co-
munitariste e territoriali che l’avevano caratterizzata prima
che il modello leninista e il fordismo ne schiacciassero
La palude dei populismi
Lapo Berti
Un’insostenibile distonia
La palude dei populismi
Fausto Curi
Diritto di parola
Giovanni Curtis
La politica nella società del gossip
Torna al menù
Un’insostenibile distonia
Un’insostenibile distonia
Lapo Berti
I
l percorso di ricerca di Sotto la pelle dello Stato racconta il
disfacimento di un mondo di cui la terra padana è stato
il principale teatro ed è oggi il principale attore. È cam-
biato il modo di produrre e sono cambiati, quindi, i produt-
tori, i loro comportamenti, i loro skill. La società e le cultu-
re che in essa circolano non hanno saputo venirne a capo.
Ci sono state lacerazioni. Il grande capitalismo che, pur nel-
la sua fragilità italica produceva grandi aggregazioni, ha ce-
duto il passo a un capitalismo che «ha fatto coriandoli della
classe operaia».
C’è un capitalismo che vince nell’economia ma non sa
vincere nella società, la quale lasciata a se stessa dal deperi-
mento delle nervature economiche cerca la sua salvezza
Un’insostenibile distonia
Fausto Curi
Diritto di parola
Giovanni Curtis
La politica nella società del gossip
Aldo Bonomi
La palude dei populismi
Torna al menù
Eros ed elaborazione delle informazioni
Gherardo Bortolotti
U
no dei tratti caratteristici della fantascienza cosid-
detta cyberpunk, e uno dei motori del suo fascino,
almeno per quel che mi riguarda, sembra essere la
sovrapposizione ricorrente di eros ed elaborazione delle in-
formazioni. In William Gibson, per esempio, il cyberspazio
diventa il luogo di malinconici fantasmi amorosi; allo stesso
modo, un oggetto virtuale come l’aidoru diventa passibile di
nozze. Neal Stephenson, nella figura dei tamburini dell’Era
del diamante, esplicita la cosa al punto da mettere in gioco la
nanotecnologia per permettere al coito di diventare elabo-
razione di dati tout court. In Fairyland, Paul J. McAuley
Eros ed elaborazione delle informazioni
Cronache da www.alfabeta2.it
Eros ed elaborazione delle informazioni
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Eros ed elaborazione delle informazioni
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Torna al menù
Inseguimenti e forme
Inseguimenti e forme
«alfabeta», n. 84, maggio 1986
Antonio Porta
H
o scelto di parlare dell’ultimo libro, che è scritto so-
pratutti gli altri miei di poesia, con una sezione di
inediti sottolineati come tappa fondamentale del
mio lavoro: non un suggello o il bacio dell’addio ma un rag-
giunto «punto di vista» in grado, forse, di dare unità all’af-
fresco, se qualcuno ne sentisse il bisogno. Oppure: a dimo-
strazione che un’unità è impossibile. Gli inediti di Essenze
segnano comunque un passaggio della mia ricerca dentro le
possibilità del linguaggio poetico immerso nella lingua di
tutti.
Inseguimenti e forme
Destinato a sputare negli occhi del sultano turco in persona, 1974, assemblaggio
in scatola di plexiglass, cm 31,5 x 22 x 20. Foto Claudio Abate.
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Inseguimenti e forme
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Torna al menù
La vitalità che continua ad accadere
Niva Lorenzini
L
a figura di Antonio Porta resta per me legata in un bi-
nomio indissolubile alla rivista «alfabeta», di cui il
poeta è stato fin dal primo numero (maggio 1979)
membro del comitato di redazione e poi direttore. Se penso
a lui, lo rivedo nei locali milanesi della Cooperativa Intra-
presa di via Caposile, tra la sua scrivania colma di fogli, li-
bri, appunti, e le stanzette attigue in cui Carlo Formenti e
Maurizio Ferraris svolgevano tra gli altri, nei primi anni Ot-
tanta, la loro attività di redattori. Antonio/Leo portava la
sua carica vitale nell’organizzazione della rivista, credendo
in un progetto che gli consentiva di immergere la parola,
La vitalità che continua ad accadere
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
La vitalità che continua ad accadere
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
La vitalità che continua ad accadere
Torna al menù
Libri/Le classifiche di qualità
Libri/Le classifiche di
qualità
Pordenonelegge-Stephen Dedalus: i
risultati di ottobre 2010
Narrativa Punti
1. Helena Janeczek,
Le rondini di Montecassino, Guanda 83
2. Michele Mari,
Rosso Floyd, Einaudi 52
3. Franco Cordelli,
La marea umana, Rizzoli 49
4. Paolo Zanotti,
Bambini bonsai, Ponte alle Grazie 36
5. Emanuele Trevi,
Libri/Le classifiche di qualità
Poesia Punti
1. Fabio Pusterla,
Corpo stellare, Marcos y Marcos 85
2. Mariangela Gualtieri,
Bestia di gioia, Einaudi 71
3. Gian Maria Annovi,
Kamikaze (e altre persone), Transeuropa 41
4. Mario Benedetti,
Materiali di un’identità, Transeuropa 33
5. Maria Grazia Calandrone,
Libri/Le classifiche di qualità
Saggi Punti
1. Marco Belpoliti,
Senza vergogna, Guanda 64
2. Valerio Magrelli,
Nero sonetto solubile, Laterza 42
2. Antonio Tricomi,
La repubblica delle lettere, Quodlibet 42
4. Giorgio Agamben,
Categorie italiane, Laterza 29
4. Domenico Scarpa,
Libri/Le classifiche di qualità
5. Vitaliano Trevisan,
Tristissimi giardini, Laterza 33
6. Valerio Magrelli,
Il violino di Frankenstein, Le Lettere 29
7. Antonio Pascale,
Questo è il paese che non amo, minimum fax 20
8. Valerio Magrelli,
Addio al calcio, Einaudi 19
9. Francesco Cataluccio,
Vado a vedere se di là è meglio, Sellerio 18
10. Lietta Manganelli,
Album fotografico di Giorgio Manganelli, Quodlibet 15
10. Claudio Giunta,
Il paese più stupido del mondo, il Mulino 15
Libri/Le classifiche di qualità
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Libri/Le classifiche di qualità
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Lello Voce
Politiche culturali
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Libri/Le classifiche di qualità
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Torna al menù
Cronaca di una sconfitta annunciata
Fabrizio Tonello
L’
inettitudine ha un prezzo e quello pagato dal Parti-
to democratico il 2 novembre scorso è stato altissi-
mo. Il partito di Barack Obama, che dal 2008 in poi
controllava la presidenza, la Camera e il Senato, ha subìto
una secca sconfitta, perdendo oltre sessanta seggi alla Ca-
mera, che sarà quindi a maggioranza repubblicana, e otto
seggi al Senato, che rimane controllato dai democratici ma
con una maggioranza ristretta, che dipende da due senato-
ri, Ben Nelson e Joseph Lieberman che potrebbero passare
ai repubblicani (mentre scriviamo, i risultati di venti seggi
alla Camera e due al Senato dove sono in corso nuovi
Cronaca di una sconfitta annunciata
Ghada Karmi
Israele-Palestina, uno Stato unico
Ilan Pappé
L’occupante e l’invasore
Alessandro Raveggi
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Cronaca di una sconfitta annunciata
Paolo Do
Arricchirsi è glorioso!
Furio Colombo
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Cronaca di una sconfitta annunciata
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Torna al menù
Sommario
Sommario
Andrea Cortellessa
Un panino alla cultura
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Andrea Inglese
Il male maggiore
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Sommario
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
Ghada Karmi
Israele-Palestina, uno Stato unico
Ilan Pappé
L’occupante e l’invasore
Alessandro Raveggi
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Daniela Tagliafico
La lunga vita del replicante
Sommario
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Fausto Curi
Diritto di parola
Maurizio Ferraris
Università: fare passato
Claudia Bernardi
Riprendiamoci il futuro!
Paolo Do
Arricchirsi è glorioso!
Sommario
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Furio Colombo
Un paese che fugge
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
Sommario
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Kenneth Irby
Poesia
Kenneth Fearing
Poesia
Giovanni Curtis
La politica nella società del gossip
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Sommario
Lello Voce
Politiche culturali
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Mario Gamba
Tvfobia
Giovanna Cosenza
Il corpo degli uomini
Francesco Galofaro
Bioetica e biopolitica
Sommario
Manuela Manfredini
Messe nere sulla Riviera
Pippo Delbono
Una ferita profonda e un bisogno di verità
Aldo Bonomi
La palude dei populismi
Lapo Berti
Un’insostenibile distonia
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Sommario
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Fabrizio Tonello
Cronaca di una sconfitta annunciata
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Autori
Autori
Luigi Ballerini
Si scrive a Chicago e nel Midwest la poesia più robu-
sta d’America?
Gianfranco Baruchello
Gianfranco Baruchello
Claudia Bernardi
Riprendiamoci il futuro!
Autori
Lapo Berti
Un’insostenibile distonia
Aldo Bonomi
La palude dei populismi
Gherardo Bortolotti
Eros ed elaborazione delle informazioni
Franco Buffoni
La lobby vaticana
Rinaldo Censi
«Secolo-Cane-Lupo»
Autori
Furio Colombo
Un paese che fugge
Andrea Cortellessa
Un panino alla cultura
Giovanna Cosenza
Il corpo degli uomini
Fausto Curi
Diritto di parola
Giovanni Curtis
La politica nella società del gossip
Pippo Delbono
Una ferita profonda e un bisogno di verità
Autori
Ilaria De Pascalis
Televisione italiana e produzione culturale
Tania Di Muzio
Una voce da Pechino
Paolo Do
Arricchirsi è glorioso!
Antonio Gnoli
L'effetto Berlusconi
Enrico Donaggio
La pazienza degli italiani
Kenneth Fearing
Poesia
Autori
Maurizio Ferraris
Università: fare passato
Francesco Galofaro
Bioetica e biopolitica
Mario Gamba
Tvfobia
Manuela Gandini
«Eat what you kill»
Yervant Gianikian
«Secolo-Cane-Lupo»
Autori
Angelo Guglielmi
Il fascismo e i silenzi di Moravia
Andrea Inglese
Il male maggiore
Kenneth Irby
Poesia
Ghada Karmi
Israele-Palestina, uno Stato unico
Gilbert Lascault
Baruchello ovvero del divenire nomadi
Niva Lorenzini
La vitalità che continua ad accadere
Autori
Antonio Loreto
The roaring x-ties
Valerio Magrelli
Giovani senza lavoro
Manuela Manfredini
Messe nere sulla Riviera
Letizia Paolozzi
Un paese misogino
Ilan Pappé
L’occupante e l’invasore
Autori
Angelo Pasquini
Cinerimozione
Simone Pieranni
Una voce da Pechino
Antonio Porta
Inseguimenti e forme
Alessandro Raveggi
«Per la mia gente parlerà lo spirito»
Daniele Salerno
Fenomenologia di Magic Italy
Autori
Beppe Sebaste
Gianfranco Baruchello
Alexander Stille
«Quelli che da lontano sembrano mosche»
Daniela Tagliafico
La lunga vita del replicante
Fabrizio Tonello
Cronaca di una sconfitta annunciata
Lello Voce
Politiche culturali
Chu Zhaogen
Il contrasto Usa-Cina
Autori
Slavoj Žižek
L'effetto Berlusconi
Danilo Zolo
Dalla guerra moderna alla guerra terroristica globale
G.B. Zorzoli
Le macerie del riformismo
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La scomparsa dell'america
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www.alfabeta2.it
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Alfabeta2 è anche un sito, in quanto ci pare difficile, oggi,
concepire un laboratorio d’idee, analisi e scritture in forma
puramente cartacea, senza godere dell’orizzontalità, della
velocità e dell’apertura consentite dalla rete. Il sito di Alfa-
beta2 non è la semplice replica elettronica degli articoli del-
la rivista, ma costituisce un polo complementare di discus-
sione, ricerca e condivisione, ambendo a porsi come uno
spazio di raccordo tra diverse esperienze e soggettività.
Sono consultabili articoli della rivista e loro materiali ag-
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anche rubriche e testi destinati esclusivamente al sito. Se la
rete, in quanto universo debolmente istituzionalizzato, per-
mette la circolazione di energie vive e spregiudicate, allora
una rivista a vocazione critica non può non confrontarsi
con essa. Per questo motivo Alfabeta2 assume fin da subito
una duplice prospettiva: quella sintetica e formalizzante
della rivista mensile, capace di focalizzare l’attenzione su
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mensile di intervento culturale
Comitato storico: Omar Calabrese, Umberto Eco, Maurizio Ferraris, Carlo
Formenti, Pier Aldo Rovatti
Redazione: Nanni Balestrini, Ilaria Bussoni, Andrea Cortellessa, Andrea
Inglese
Segreteria: Erica Lese
Coordinamento editoriale: Sergio Bianchi
Progetto grafico: Fayçal Zaouali
Indirizzo redazione: piazza Regina Margherita 27 – 00198 Roma - in-
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Editore: Edizioni Mudima, Via Tadino 26, 20124 Milano
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Direttore responsabile: Gino Di Maggio
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 446 del 21 settembre 2010
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