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Capire il Medioevo

1.Il senso della storia


La storia riflette i cambiamenti e si interroga su ciò che muta e su ciò che è stabile. Non ha il compito di
incriminare e discolpare qualcuno, ma di offrire paradigmi interpretativi per conoscere e capire le
molteplici relazioni tra gli eventi. La storia dunque è impegnata a meditare di continuo su quel che è
accaduto in termini più o meno remoti. Questo perchè nella cultura di massa persiste, sia pure inconscia, la
necessità di avere come punto di riferimento un'immagine del passato, con il quale trovare un legame, per
trovare la nostra identità. In ognuno di noi c'è la curiosità di sapere come siamo diventati quello che siamo.
Se sul piano individuale il senso del passato è naturale, su quello collettivo deve essere ricostruito e
diventare storia: la storia si crea nell'atto stesso dell'interpretazione ed esposizione dei fatti, dal momento
che sono le testimonianze e non gli accadimenti che la storia recupera e interpreta, ponendosi alcuni
interrogativi politici ma anche esistenziali, culturali e scientifici. Su questo rapporto tra storia e politica,
interpretazione del passato e modo di essere e di pensare del presente si basa la storiografia che rende
possibile una migliore conoscenza di ciò che è accaduto e un orientamento di interessi e passioni nel
mondo presente. La storia ha senso in quanto è un testo e il significato della storia e la sua razionalità
stanno nelle vicende quali vengono trasmesse, attraverso un processo di selezione ed organizzazione. Dagli
storici non ci si aspetta perentorie affermazioni di verità, data la relatività delle cose e il mutare continuo
delle prospettive. L'unica cosa certa della ricerca storica è quella che Kundera chiama la "saggezza
dell'incertezza", l'unica oggettività possibile è quella di distinguere tra problemi del passato di cui lo storico
scrive e e quelli del tempo in cui lo storico scrive. Gli storici accorti più che teorie hanno cercato di
ricostruire ciò su cui le teorie si fondano.

Il primo ad usare il termine "storia" per registrare il ricordo delle cose accadute da parte degli uomini
affinchè col tempo non cadessero in oblio fu Erodoto che identificava il termine con l'esposizione dei
risultati di un progetto di ricerca, cioè col fare storia, con il lavoro di chi sa e conosce per testimonianza
diretta o indiretta i fatti raccontati, in un testo diverso da quello poetico perchè racconto del particolare e
privo della logica oggettiva di un testo poetico. Dunque gia dagli studiosi più antichi emerge la separazione
tra accadimenti e loro interpretazione, tra res gestae e historia rerum gestarum , tra storia e storiografia.
Isidoro di Siviglia in epoca medievale disse che la storia è racconto di ciò che è accaduto , nesso stretto tra
cose accadute e cose da ricordare, tra passato e presente in cui lo storico vive. Attraverso la ricerca. dice
Droysen, non sono le cose passate a diventare chiare ma quello che di esse non è ancora passato. Quindi,
l'oggetto storico si costruisce nel momento del suo farsi attraverso raccordo tra chi studia e ciò che è
studiato e la storia è continuo ripensamento del passato alla luce del presente. In storia i problemi
importano più delle risposte (Veyne).

L'intreccio tra passato e presente spinge a chiedersi quale sia la funzione della storia, se ne abbia una. Nel
contesto di una ricerca tesa alla conoscenza del passato in sè e per sè , la risposta non potrebbe che essere
negativa. Da una parte stanno quelli che finiscono per negare alla storia qualsiasi funzionalità pratica;
dall'altra quelli che convinti della continuità dialettica tra presente e passato, tra riflessione sul passato e
azione sul presente, ritengono necessario porre al passato domande utili alla comprensione della dinamica
del mondo presente. Se va respinta la tesi dei primi, è fuor di dubbio che siamo figli del nostro passato e
che la storia, anche se non può fornire soluzioni per il presente, aiuta a identificare le componenti che
hanno contribuito a rappresentare le varie situazioni del presente. La storia non è solo una disciplina
umanistica, ma anche economica e sociale, che contribuisce ad accrescere la conoscenza dell'ambiente e a
dominarlo, disciplina volta sia alla conoscenza di per sè sia alla comprensione dei problemi del presente. La
storia sarebbe scienza, oltre che disciplina umanistica. Quali sono i rapporti della storia con le scienze della
natura, tra ragione storica (con potere critico) e ragioni fisico-matematiche, espressioni del mondo della
natura e della necessità. C'è un legame stretto tra vita civile e suggestioni della scienza. Secondo Marc
Bloch sarebbe impossibile cogliere le peculiarità della storia senza tenere in considerazione le condizioni
fisiche e il modo di vivere degli uomini dell'epoca interessata. Non si possono ricostruire rapporti tra uomo
e mondo senza tenere conto delle dinamiche strutturali dell'uomo stesso. Vico annotava che gli uomini
organizzano la percezione del mondo e dei propri bisogni in modo adeguato alle tradizioni ambientali in cui
vivono. Fin dall'illuminismo, l'avanzamento della conoscenza scientifica è stato considerato in nesso
strettissimo con progresso civile, dunque anche la scienza non è un dogma assoluto , ma va considerata
nella dinamica che la produce, nel contesto di civiltà e cultura in cui ha trovato la sua condizione storica di
esistenza. Storia e scienza, discipline umanistiche e scientifiche hanno l'intento comune di dimostrare
l'unità del sapere che deriva dall'unità della natura. Le modalità e le conquiste della scienza non possono
non avere un posto centrale nell'insegnamento della storia. Per comprendere per esempio gli effetti
funesti della peste del 1348 e misurare la temperatura emotiva e culturale di un'epoca, non può essere
trascurato il ruolo che le condizioni igieniche, le conoscenze mediche e i pregiudizi esercitavano sui
comportamenti e sulla sensibilità della gente. La quale, ritenendo nel Medioevo che i gatti fossero animali
diabolici da sterminare, ha favorito la diffusione della peste. Quando infatti, trasportati nelle stive delle
navi che giungevano dall'Oriente, i ratti, sui quali le pulci avevano trasferito il bacillo della peste, arrivarono
in Europa, non c'erano gatti a dar loro la caccia e a impedire il rapido diffondersi della malattia. E' sul caso,
cioè sugli avvenimenti accidentali e sull'ironica e spesso atroce sproporzione dei loro effetti che storici,
artisti e uomini dotti si sono soffermati. Pirenne, al fortuito intreccio tra istanze religioso-politiche e il
grumo di attese e rabbie che spingevano i musulmani sul Mediterraneo, riconduce la frattura tra due civiltà
e il capovolgimento del mondo. Democrito diceva "che il mondo a caso pone". (forza massiccia e brutale
dell'imprevisto). Riguardo la narratività della storia e del suo quotidiano, è giusto soffermarsi su moduli e
tecniche espositive di un libro di storia, negli ultimi anni motivo di dibattiti tra quanti negano valenze
negative ai testi di storia e quanti invece sostengono l'uso programmatico di tecniche narrative. Lawrence
Stone, nel saggio del 1979, insiste sulla narratività della storia, ovvero sulla validità del racconto storico
come strumento espressivo della problematicità e della mentalità, dello sforzo di capire cosa passasse alla
mente della gente del passato e cosa volesse dire vivere nel passato. La storia nelle sue analisi talvolta è
così intellettuale da scordare le vicende quotidiane aderenti alle nozioni istintive di società primordiali, da
non tenere in conto che dietro numeri e statistiche, ci sono sempre gli uomini con i loro bisogni. Le
procedure di natura prevalentemente storica, attraverso un adeguato recupero delle parole e del
linguaggio delle fonti, riescono a conferire valenze appropriate al nesso tra comportamento e mentalità. La
storia quantitativa fornisce un consistente contributo al recupero di conoscenze altrimenti inattingibili della
ricerca. A proposito della peculiarità riguardo linguaggio storico e linguaggio letterario, Enzensberger, sulla
differenza tra romanziere che rende rappresentabile e comprensibile il senso e la realta di una data epoca
e lo storico, che lo rende rappresentabile ma non comprensibile, precisa che la storia viene esibita senza il
suo oggetto e che le persone di cui è storia compaiono solo come figure accessorie, laddove nel romanzo la
collettività si dissolve in una molteplicità di soggetti che vengono presi singolarmente e poi reinseriti
nell'insieme. Lo storico spesso scrive per gli storici, unici in grado di intenderlo. L'importante è sapere se lo
storico ricostruisce con il linguaggio adeguato al rigore stilitico e sorretto da chiara compiutezza espressiva.
Camus scriveva che tutte le disgrazie degli uomini derivano dal non tenere un linguaggio chiaro.

2. Il Medioevo è dappertutto
Oggi il Medioevo è dappertutto, afferma Fuhrmann nel volume del 1995: lo si coglie di continuo
nell'emergere della società di fronte allo Stato, nella privatizzazione della guerra, nel moltiplicarsi delle
polizie private, nel richiamo, pur in termini politici, alla dimensione misterica e magica dei celti.
L'onnipresenza del Medioevo comincia nella vita quotidiana dal "buongiorno", dal saluto che nel Medioevo
con l'espressione "Dio ti dia un buon giorno" si era sostituito al vale o ave dei romani. Ma si riscontra
nell'uso dei caratteri a stampa dei libri o dei giornali, nella persistenza del celibato del clero cattolico, in
un'istintiva paura verso la Germania ecc. L'immagine del Medioevo finisce per essere un fenomeno di
massa, un Medioevo dell'acculturazione, appiattito in una dimensionalità fantastica e fatto di "molti
castelli, pochi monasteri e nessuna città", di baroni, cavalieri, malvagi ma di pochi contadini, di molta magia
ma di poca scienza. Sciascia diceva che del Medioevo nelle menti dei bambini che con lui fecero le
elementari restavano un concetto e un nome, rispettivamente il concetto dell'invasione, il nome quello di
Alboino, re dei Longobardi. Oggi inoltre il termine Medioevo è utilizzato per intendere gli aspetti più retrivi
e incivili della nostra società. Un Medioevo triplice nella sua immagine:

- espressione del "non moderno", oscuro, apocalittico (fame, malattie, insicurezza)

- anticipatore di quanto si sarebbe compiuto nell'età moderna: città, università, banche.

- epoca in cui disfunzioni e ingiustizie venivano sanate dal cavaliere vitale e forte che usava le saette della
santa violenza per riportare la pace.

Il medioevo non a caso è considerato l'epoca della cavalleria, della tavola rotonda, della lotta tra Occidente
cristiano e Oriente islamico, sintesi di forze demoniache e magiche da rieducare e convertire. Ciò ha
portato a uno sconcerto esistenziale e a un recupero del mito, come nel caso de "Il Signore degli Anelli" di
Tolkien, che esprime l'inquietudine della società contemporanea per la propria crisi, ma in cui si coglie la
sensibilità del vinto, il recupero del passato, la ricerca di un'evasione. Ma la civiltà medievale non appare
una civiltà vinta: qui c'è l'equivoco che ha permesso il proliferare di una serie di medioevi immaginari. E
allora questo Medioevo non è solo il contenitore delle nostre angosce e i nostri dubbi, ma un periodo
storico in cui ricercare le radici della nostra identità culturale, un'epoca che ha avuto un suo inizio e una
sua fine.

3. Il concetto e l'immagine di Medioevo nei secoli XII-XVII


Il Medioevo , anzi la sua nozione storiografica è stata sempre oggetto di finalità pregiudiziali che si trasmettono come
ulteriori opzioni alle ricerche successive. Il mutare di prospettive rappresenta l'attività storica nella sua intima natura.
Dunque qual è il significato che concetto e immagine di Medioevo hanno avuto nelle diverse epoche? Bisogna poi
considerare il tentativo di ciascuna epoca di trasferire la propria cultura e le proprie esigenze nel Medioevo,
privandolo della sua identità, attraverso giudizi di condanna o riabilitazione. Il Medioevo potrebbe anche esprimere il
passaggio da civiltà classica del Mediterraneo a civiltà moderna d'Europa, da una dimensione geopolitica che aveva
come centro il Mediterraneo a uno spazio che si estendeva da Portogallo a Russia, dall'Artico al Mediterraneo e
all'Atlantico. Ma le popolazioni medievali non si accorsero di vivere in un'età e in uno spazio diversi da quelli
dell'impero. Non mancano però nelle fonti percezioni, sia pur vaghe, di un mutamento esistenziale avvenuto nella
geografia fisica e umana del mondo romano dopo la diffusione del cristianesimo e le invasioni germaniche. Ottone di
Frisinga, che pur avvertiva il lento processo di decadenza dell'impero romano, non riusciva ad andare al di là di
generiche considerazioni sul mutare dei tempi. Danteviveva nell'attesa del giudizio universale e Villani sentiva il
bisogno di giustificare quel nuovo avvio coi tempi di un percorso già segnato dalle tappe della creazione, ma di
collegare Firenze s Roma e alla sua valenza universale. Villani dunque evidenziò la città mercantile come soggetto di
storia, nella sua capacità e nella sua cultura, in cui Villani coglieva la forza di un processo di crescita, di una
prospettiva di mutamento. Dunque comprese che nelle forme organizzative della vita cittadina affondava le radici
quella inclinatio imperii come principio di un epoca nuova. Città come espressione di un modo di essere e di pensare
pervaso da una nuova inquietudine. Petrarca per esempio non prendeva atto di trovarsi tra due età, percependone
le contraddizioni e la forza dirompente come quel vulgo di illetterati di cui parlava, ma con Petrarca, ci si trova di
fronte alla convizione di vivere ancora in una continuità ininterrotta, in cui si colgono i segni della degenerazione e
della corruzione.

Solo più tardi, di fronte alla rinnovata cultura del secolo seguente si delineò l'idea di una stasi, di un ristagno tra
mondo classico e età successiva. Si andava formando la convinzione della spaccatura tra due epoche artistica ma
anche politica, perchè per l'Umanesimo italiano il processo storico non si esauriva nelle sole manifestazioni culturali.
Una tale caratterizzazione del recupero umanistico del patrimonio classico rispondeva a esigenze che emergevano
dalla dinamica cittadina. La riscoperta dell'antichità fu un prodotto della civiltà umanistica. Gli intellettuali, cortigiani,
non erano partecipi ma ornamento della vita politica e percepivano più i connotati culturali che quelli politici. Il
termine media tempestas usato da Giovanni Andrea Bussi soleva probabilmente indicare l'epoca successiva a quella
classica e più vicina ai suoi tempi che un'età intermedia racchiusa tra limiti cronologici precisi. Bruni considerava il
periodo successivo alla cadura dell'impero romano età di decadenza, ma necessario alla formazione delle città e alla
coscienza cittadina, così come Biondo Flavio che lo considerava un percorso necessario e preparatorio al risveglio
cittadino italiano. Lo stesso Machiavelli spiegava la decadenza con il concetto ciclico di ascesa e di declino, nella
convinzione dell'immutabilità della natura umana e quindi della necessità di acquisirne esperienza e farne oggetto di
scienza. Quel che emerge da umanisti italianinon è il concetto di un periodo chiuso all'avvenire e intermedio tra i due
mondi, ma la consapevolezza di un processo di decadenza artistica e culturale. Vasari stesso svalutava i secoli seguiti
al crollo dell'impero, spiegando che il declino dell'arte, incominciato da Costantino, proseguiva fino a toccare col
gotico, il più basso livello di sensibilità estetica. Verso la metà del XIII secolo ci manifestò il risveglio con Cimabue e
Michelangelo. Ne consegue un cattivo uso del termine Rinascimento, che in ambito diverso da quello artistico-
letterario genera fraintendimenti e falsi problemi. L'Umanesimo è l'espressione culturale del Rinascimento.

Più complesso il problema del rapporto tra Rinascimento ed epoca precedente in Francia, in Inghilterra e in
Germania, dove posizione centrale aveva la questione religiosa o meglio quella della Riforma protestante. Intorno
alla consapevolezza della mondanizzazione della Chiesa romana iniziata con Costantino si confrontavano quanti
riflettevano sui problemi politici e istituzionali suggeriti dal progressivo concretizzarsi dei sentimenti patriottici e
nazionali. In Germania l'Umanesimo era pervaso da un sentimento patriottico alimentato dal ricordo del Sacro
romano impero e dalla tradizionale fierezza germanica. Il patriottismo degli umanisti tedeschi si identificava con un
pangermanesimo più che con sentimenti nazionali (concetto di una popolazione germanica da considerare la più
antica e per "germanicam virtutem" la più pura d'Europa, capace di dominare il mondo. Anche la Riforma di Martin
Lutero, tesa alla rivalutazione delle origini cristiane, contribuiva a consolidare il sentimento nazionale tedesco e a
sottolineare la differenza con un'età caratterizzata dalla preminenza della dottrina e della pratica religiosa pontificia,
dal venir meno della Chiesa romana che si era allontanata dall'insegnamento di Cristo e aveva favorito la preminenza
papale. Dunque la consapevolezza, sul piano religioso, della conclusione di un'epoca. Quasi tutti gli storici miravano a
liberare il sentimento religioso dalla corruzione della Chiesa e tendevano a un rinnovamento radicale della coscienza
cristiana attraverso un ritorno alle fonti evangeliche, ai testi sacri, attraverso i queli Erasmo da Rotterdam si
aspettava una rinascita dell'uomo, in un movimento che considerava il periodo seguito ai primi secoli del
cristianesimo, epoca di decadenza culturale e religiosa, immersa nell'ignoranza barbarica, nella superstizione e
nell'inerzia spirituale.

A cogliere la dinamica di un mutamento che coinvolgeva la società fu lo stesso Erasmo da Rotterdam nel "De
civilitate morum puerorum", dal cui messaggio di urbanità emerge chiaro il senso del distacco col passato e il
presentimento di una nuova epoca. Manco al XVII secolo la forza propulsiva di un dibattito che avesse come punto di
riferimento una concezione della storia come ruolo sociale e come elemento unificatore della dinamica politica e
istituzionale di un paese. La rigida intransigenza delle monarchie contro dissenso interno non favorì il concretizzarsi
di una storiografia come espressione di ceti e istituzioni. C'era una dimensione erudita della ricerca e per storia,
precisava Cartesio, si intendeva in quel periodo ciò che era stato già trovato ed era contenuto nei libri. L'erudizione
non si limitava solo alla compilazione di opere prive di spessore critico ma anche nella raccolta di fonti la cui
interpretazione forniva strumenti utili per sollecitare una riflessione sul filo conduttore che portava alla storia come
scansione cronologica. Conoscere era allora classificare. Tutti i testi e le fonti di questo periodo erano in latino, un
nuovo latino, lingua barbarica che aveva perso il colorito antico romano, elemento di diversificazione delle due
epoche. La cultura erudita del XVII secolo considerava le trasformazione lessicali e linguistiche del latino avvenute
dopo il crollo dell'impero romano con criteri diversi da quelli degli umanisti , come forme espressive che
rispondevano a esigenze diverse. Du Cange pubblicava a Parigi, nel 1678, un vocabolario in tre volumi ("Glossarium
ad scriptores mediae et infimae latinitatis"), dove attraverso l'elencazione di lemmi recuperati da carte d'archivio,
veniva testimoniata l'originalità e l'autonomia della lingua ufficiale usata nell'Europa occidentale. Mabillon nel 1681
pubblicava il "DE RE DIPLOMATICA" , con il quale l'autore, nel fissare le norme della corretta stesura materiale e
formale dei documenti, offriva gli strumenti per verificarne l'autenticità.

Le fonti e il loro recupero diventarono nel XVII secolo strumento di conoscenza e valutazione del passato. Dalla
consapevolezza che la caduta di Costantinopoli, le esplorazioni geografiche, l'invenzione della stampa, la diffusione di
un sistema di Stati in Europa avevano provocato uno stacco con il passato, si indicava questo passato col termine
Medioevo. Il termine "media tempestas" di Bussi, veniva ripreso da "media aetas", "media tempora" che si riferivano
a spazi letterari coi quali si indicavano culturali periodizzazioni. Col lemma Medioevo si esprimeva invece uno stadio
di civiltà distinto e autonomo, considerato nelle sue riflessioni sul rapporto con Dio e nelle sue norme giuridiche, nei
suoi assetti istituzionali e amministrativi. Nell'"Arca Noae", pubblicata nel 1666, da George Horn, si ricorreva al
termine medioevo per indicare uno dei tre periodi in cui didatticamente si soleva dividere la storia. Un periodo
collocato tra l'aevum vetus (conclusosi con il 476, caduta impero romano d'Occidente) e l'aevum recentior (che
iniziava dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453). Christopher Keller o Cellarius, professore di storia, nel 1675
pubblicò un manuale di storia antica a uso nelle scuole e con il quale preannunciava l'introduzione, nel sistema
dell'insegnamento accademico tedesco, della storia divisa in tre periodi: antichità, medioevo e tempi moderni. Il
Medioevo, così, veniva racchiuso tra Costantino che cristianizzava l'impero (313) e il crollo dell'impero cristiano ad
opera degli infedeli (1453), nell'ambito di una periodizzazione arbitraria, ma efficace nella sua valenza didattica.

4. Il Medioevo dopo il Medioevo


Doveva toccare alla cultura del XVIII secolo, dell'Illuminismo, il compito di una più attenta riflessione sulla
storiae sulla sua periodizzazione, con definizione e valutazione del Medioevo. Muratori , nel saggio "Buon
gusto", annotava che nella ricostruzione e valutazione del passato debbano avere preminenza erudizione e
filosofia, concetto già evidenziato da Leibniz nelle "Accessiones historiae", dove si dice che le fonti sono
fondamentali per la conoscenza del passato, ma la retta interpretazione degli accadimenti deve venire da
un saper giudicare proprio non dell'erudito, ma del filosofo.

Nel Medioevo, definito storia di barbari fattisi cristiani ma non per questo divenuti migliori, gli illuministi
vedevano la negazione della ragione, il baratro e la follia in cui era precipitata l'umanità dopo il tramonto
della civiltà antica. L'illuminismo rappresentava l'esigenza di una ricerca critica tesa all'eliminazione di
dogmi e pregiudizi. In tal senso l'opera di Voltaire "Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni" è un'opera
nella quale venivano precisari contenuti materiali, psicologici e culturali della ricerca e tracciate le linee
metodologiche della moderna storiografia. Nel saggio c'è una condanna del Medioevo, visto come trionfo
della barbarie, ma una condanna conseguita attraverso un'accurata analisi che suggerisce una metodologia
sensibile alla conoscenza dello spirito, dei costumi, degli usi delle genti, tale da offrire la saldatura tra due
epoche come risultato di una ricerca in cui il Medioevo, in quanto momento negativo ma necessario,
veniva legato al processo di sviluppo verso un'epoca destinata a segnare il trionfo della ragione. Dalla
cristiana repubblica si sarebbero formati gli Stati moderni e le istituzioni rappresentative. Condorcet nella
sua opera pubblicata postuma nel 1798, vede il Medioevo come espressione di una crisi politico-religiosa ,
che segnava un trapasso e un percorso verso l'avvenire, esprimeva non la staticità di un'epoca, ma lo
svolgimento dello spirito nel cui processo vanno colti i germi della rinascita. La stessa idea si ritrova in
Robertson e Gibbon (razionalismo delle interdipendenze). Nei "Progressi della società europea" e nella
"Storia del regno di Carlo V" Robertson si rifà al disordine del medioevo come momento in cui negli Stati
europei aveva cominciato ad allargarsi l'ordinamento delle leggi. R. corredava le sue opere con puntuali
riferimenti documentari e bibliografici. Entrambi riprendono Muratori, ma se per Gibbon scopo della
ricerca era conciliare ragione e rivelazione perchè i problemi non erano solo politici e religiosi, ma di
convivenza umana, per Muratori, il problema era superare i limiti tra storia sacra e storia profana,
stimolare un maggior impegno civile.

Muratori è il primo rappresentante dello studio critico del Medioevo. Nelle sue opere ("Antiquitates medii
aevi", "Rerum Italicarum Scriptores", "Annali d'Italia") rivalutava il Medioevo, ma in termini polemici col
seicentesco romanesimo classicheggiante, con la storiografia della Controriforma. La storia d'Italia, egli
diceva, affonda le sue radici nell'età di mezzo, epoca certo barbarica, ma colta nel continuo processo di
civilizzazione, nella cultura e nei comportamenti di rinascita, specie dopo il Mille. Muratori teneva in
considerazione il quadro di vita e costume della società, cioè i comportamenti degli uomini e le loro
mutazioni. I costumi erano condizionati più dall'istinto, dal sentimento più che dagli ordinamenti della
legge.

Romanticismo in Germania e concezione di un Medioevo che turbava le coscienze: la coscienza riflessa di


questo contesto storico e di questo atteggiamento anche verso il medioevo è da ricondurre al
Romanticismo (Europa fine XVIII secolo, inizio successivo), movimento che prendeva le mosse
dall'Illuminismo e ne accettava l'eredità. Dalle opere di autori vissuti in questo periodo in Germania emerge
il comune richiamo alla valutazione dei comportamenti e delle identità dei popoli, al Medioevo come epoca
fondante della nazione germanica. Basti pensare alla rivista del 1799 "Athenaum" fondata da letterati e
filologi sensibili a forme poetiche manifestatesi nel Medioevo e portatrici di rievocazioni cristiane o
cavalleresche o all'opera di Schlegel nella quale, nel ricondurre il processo storico al principio divino innato
nell'uomo, il filosofo considerava il medioevo punto di convergenza tra mondo classico e mondo cristiano,
ritrovamento di sentimenti religiosi ed elaborazione di ordine e armonia. Muller definiva la società
medievale come una comunità organica in cui ciascuna classe aveva una funzione fissata da dio e
necessaria al bene di tutti.

Romanticismo in Francia e richiamo al medioevo come stile di vita e potere: analogo tra fine XVIII secolo
e inizio XIX, il recupero culturale del Medioevo in Francia, dove più radicale era stato lo scardinamento
dell'antico regime. Dato il disastro seguito alla rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche, il Medioevo
acquisì una valenza di continuità e ammonimento delle tradizioni. Non erano le opere di storiografia a
offrire l'immagine e gli umori della nuova civiltà europea, ma a far comprendere la dinamica di un'epoca
nella sua interezza sono le opere poetiche, artistiche e letterarie e romanzi come quelli di Walter Scott in
cui si dilatava il mito del Medioevo, di una civiltà recuperata come espressione dei sentimenti, come stile di
potere con tutti gli aspetti marginali della società, dei modi di vestire e di comportarsi, di portare i capelli
ecc.

Romanticismo in Italia e Medioevo come recupero del sentimento nazionale: In Italia, dove non si era
ancora costituito stato unitario, la riflessione sul Medioevo ebbe valenza soprattutto politica e di recupero
del sentimento nazionale, soffermandosi sul problema della religiosità e della cristianità. Manzoni (Adelchi
e Discorso su alcuni punti della storia longobardica in Italia, 1822) si soffermò sul problema longobardo
giustificando l'alleanza franco-papale come necessaria per difendere le popolazioni italiche ma anche sul
piano dei rapporti tra oppressori e oppressi. Anche Leo sottolineò sottolineò le dure condizioni imposte dai
longobardi alle popolazioni italiche,mentre Troya, nella "Storia d'Italia del Medioevo", parlò di un nesso tra
la conversione dei longobardi e la loro assimilazione alle popolazioni della penisola e 500 anni dopo tra
comuni e papato in funzione antiimperiale.

Lettura filologica del Medioevo: da Ranke al positivismo: Negli anni del Romanticismo si diffondevano,
anche fuori dall'Italia, le istanze e i progetti di riportare alla luce le fonti storiche, per il loro recupero e la
loro critica. Nel 1824 in Germania veniva definito il progetto dei "Monumenta" (Pertz) e nel 1844 veniva
pubblicato a Parigi il primo dei volumi del Patrologiae cursus completus di Paul Migne. Leopold Ranke
testimonia un impegno storiografico attento ai documenti e alla loro lettura filologica, a un metodo che, se
non era quello positivista, esprime la teorizzazione di un modo di fare storia opposto a quello di Hegel.
Ranke non era positivista ma nella sua storiografia c'erano le istanze della ricerca positivista, del
positivismo come metodo e non come sistema, un metodo concorde a quello delle scienze umane e ben
sostenuto dall'intreccio tra storia e natura, sensibile a problemi biologici, psicologici e sociologici del ritmo
evolutivo delle scienze e che utilizzava molte fonti, basato sulla razionalità dei fatti colti nel loro
svolgimento, come dati naturali di fronte ai quali lo storico non può che prenderne atto e trascriverli.
Anche il metodo di Darwin era basato su queste caratteristiche. Particolare impulso (XIX secolo) delle
ricerche erudite, delle trascrizioni di fonti, delle critiche attente dei testi, dell'insistenza sui risvolti sociali
connessi alle pratiche agrarie, dunque non solo alle azioni dei singoli ma a quelle delle masse. Per il
positivismo ciò che contava era la dinamica dei fatti come concreto punto di riferimento di ogni teoria che
deve essere abbandonata se priva di conferma nella verifica empirica, cioè nelle fonti.

Nuovo sistema di valori nel Medioevo dei positivisti e della scuola economico-giuridica: in questo
contesto il medioevo viene esaminato nel suo impianto agrario-feudale, nel suo assetto collettivo e nel suo
ordinamento istituzionale. Gli studi giuridici in particolare insistevano sugli ordinamenti istituzionali presso
gli antichi germani, sulla valenza delle persone in termini di libertà, semilibertà e schiavitù,
sull'organizzazione del lavoro tra germani e romani, sull'organizzazione di spazi, città, corporazioni,
produzione e consumo. Al centro degli studi di Marx ed Engels, c'è l'attenta analisi di un modo di
produzione che dalla città romana e dalla sua piccola cerchia passava alle dimensioni e alle asprezze del
medioevo e la riflessione sulla convivenza umana, sugli scontri di classe (MATERIALISMO STORICO). In Italia
accanto a un accentuarsi della ricerca erudita (1883 fondazione Istituto storico italiano), prendevano
impulso le ricerche di storia economica e di istituzioni giuridiche. Preminente rimaneva in quegli anni
l'aspetto erudito della ricerca improntata sulla medievistica e sulla ricerca continua di fonti e inediti da
pubblicare. Le due correnti di ricerca, quella erudita e quella impegnata nello studio di nessi con società e
economia, unite dal positivismo e maturate nel grande prodotto medievale delle università, dove proprio
in quel periodo venne introdotta la cattedra di storia, comportavano che al centro dell'indagine
storiografica venisse posto il rapporto tra sviluppo delle scienze e mutazione del tempo,della società e dei
suoi ordinamenti. L'influsso di Labriola, sottolineato da Croce (a cui si deve la diffusione del nesso "scuola
economico-giuridica") è evidente nel richiamo ai bisogni come elementi fondanti del materialismo storico.
La scuola economico-giuridica rimane un crogiolo di esperienze che ancora oggi continua ad alimentare le
ricerche, almeno per quel che si riferisce alla funzione delle masse e alle loro valenze economiche, sociali e
di mentalità nel processo di sviluppo di una civiltà. Nel senso dell'identificazione di radicamento nel
territorio delle vicende del medioevo va ricollegato il dibattito su passaggio da mondo romano a
medievale, sulla funzione del mediterraneo, sulle conseguenze dell'invasione islamica. Il primo periodo
dell'attività storiografica di Volpe (pubblicazione dell'opera "Il Medioevo", 1926), incarnava una
metodologia che era quella positivista mediata dalla scuola economico-giuridica, in Italia, sensibile ai nessi
tra evoluzione dell'impianto isttuzionale dello Stato e forze sociali che determinavano i mutamenti
economici e le cui istanze di fondo si trovano in studiosi, come Pirenne, influenzati più dal positivismo che
dal materialismo storico.

Il Medioevo nel concetto e nel metodo dello storicismo crociano: Lo storicismo è una metodologia che
riconduceva ogni conoscenza all'autonomia e al valore delle scienze dello spirito in netta contrapposizione
con le scienze naturali, che avevano solo funzione pratica e nessuna capacità di ricostruire i comportamenti
degli uomini. A questo orientamento in Italia si riallacciava dopo la prima adesione al materialismo storico,
Benedetto Croce e Antonio Gramsci, "fratello siamese" del pensatore napoletano. Le linee fondamentali
del concetto e del metodo storiografico di Croce si concretizzano in una dialettica che non nasce da un
dato, ma dalla sintesi tra "le potenze originarie dello spirito" e i vincoli razionali e morali, cioè da un
sistema di concetti extratemporali e non empirici elaborati dallo spirito. Scarsi furono gli interessi di Croce
per il medioevo, visto come mondo dell'ecclesia, sia pure in un'accezione non strettamente ecclesiastica.
Notevoli i riflessi sulla medievistica perchè la metodologia crociana ha pesato sulla conoscenza e ricerca del
Medioevo col concetto di contemporaneità della storia e col fastidio e la condanna di ogni forma di
erudizione come fine a se stessa. Nel pensiero di Croce ha sempre avuto molta importanza il materialismo
storico, come lui stesso suggeriva nella prefazione alla terza edizione de "Materialismo storico ed
economia marxistica", quando precisava che il distacco da quel movimento di pensiero non impediva di
ammirare sempre il vecchio pensatore rivoluzionario, avendo preso da quel movimento suggestioni
storiografiche basilari e tracce metodologiche incancellabili. Tali considerazioni allontanano Croce
dall'idealismo (metafisica) e lo avvicinano allo storicismo, riflessione sulle strutture della società e rivelano
la persistenza positivistica del metodo come elemento per eccellenza della ricerca, della filosofia come
metodologia della storiografia perchè la metodologia sarebbe astratta senza interpretazione dei fatti.

Analisi e conoscenza del Medioevo nella storiografia tedesca del secolo XX: Il primo quarantacinquennio
del XX secolo coincise con la crisi del positivismo e con l'arrestarsi e articolarsi dello storicismo e rimarcò in
Italia e Germania l'affermarsi di istanze di regime. Opera significativa sulla quale si accentrava il dibattito
teso all'individuazione dei processi di mutazione negli ordinamenti sociali, politici, religiosi, negli intrecci
tra intellettuali e politica, nei rapporti e negli sconti tra diverse civiltà è quella di Pirenne, sia per la tesi sulla
disarticolazione del mediterraneo come centro di raccordo politico ed economico in seguito all'espansione
islamica e alla conseguente cesura tra età merovingia ed età carolingia, sia per le istanze culturali, etiche e
politiche della "Storia d'Europa" come espressione del processo di formazione delle nazioni e delle radici
della missione del germanesimo, chiamato a far trionfare il suo ideale di vita più elevato su quello
dell'Occidente. Diffuso era in Germania il ricorso alla storia come rifugio dell'impegno teologico prima, poi
di quello politico, cioè dello storico come politico mancato. Lo sfaldamento del positivismo lasciava in
ombra il contesto socio-economico sostituito col ricorso a concezioni mistico-ascetiche calviniste per
spiegare ad esempio il capitalismo. In Germania si ricordano autori come Meinecke che colse il processo di
formazione e consolidazione del Reich hitleriano attraverso il progressivo trasformarsi dell'universalismo
medievale in Stato Nazionale; Schramm sottolineò gli elementi di fondo che caratterizzavano e
diversificavano i concetti dell'impero medievale e Stato nazionale.

Lo spessore cristiano del Medioevo negli studi italiani del primo Novecento: in Italia prevaleva una
generale tendenza a guardare il medioevo nel suo spessore cristiano. Nel senso di una duplice esigenza
culturale e politica verso forme più retrive del cattolicesimo e verso manifestazioni dell'iniziativa socialista,
sono importanti opere medievistiche sul cristianesimo, sui rapporti tra momenti spirituali dell'ecclesia e
politica pontificia, su San Benedetto, San Francesco ecc. I medievisti italiani non sembra abbiano tenuto in
conto i suggerimenti di Croce e si attardavano nella stesura di opere il cui spessore critico e la cui
dimensione metodologica sono stati evidenziati con piglio ironico da Ernesto Sestan, il quale affermava che
l'attività erudita e quella storica non collaboravano ma andavano ognuno per proprio conto. Sostanziale
assenza della medievistica italiana dal dibattito, nella storiografia europea e tedesca, sull'intreccio tra
Regnum Siciliae e impero germanico. Sul significato del regno normanno e di quello svevo e della politica
italiana dell'impero medievale germanico, si possono ricordare le opere di Caspar e Kantorowicz, biografie
rispettivamente di Ruggero II e di Federico II entrambe in equilibrio tra simpatia e distacco.

Il medioevo di Bloch, Febvre, delle "Annales": L'impulso più significativo allo studio del medioevo venne
dalla Francia, che recuperava i suggerimenti delle "Antiquitates", degli "Annali"e delle "Riflessioni sopra il
buon gusto" di Muratori, senza farne esplicito cenno, sull'opportunità di tener conto dei quadri ambientali
e geofisici, delle organizzazioni socio-economiche , dei costumi e delle abitudini delle popolazioni. Sono
caratteri ricorrenti nella metodologia di Bloch e di Febvre, che prendeva corpo in un contesto in cui
l'idealismo aveva avuto scarso successo e nel quale rimanevano vive le tradizioni del positivismo, i richiami
alle fonti, la sensiblità per strutture agrarie e tecniche, per le stratificazioni sociali come componenti della
dinamica economica, non come referenti principali dei rapporti di classe. Questa metodologia, sensibile
anche ai nessi con la geografia storica si incarnava e prendeva forma nelle "Annales", rivista fondata
appunto da Febvre e Bloch nel 1929, con un titolo che richiamava inconsciamente l'opera di Muratori e con
un programma che delineava le ragioni e le istanze di un progetto culturale e di ricerca che anticipava il
futuro e che sarebbe stato preminente nell'impostazione di problemi storiografici di almeno un trentennio.
Febvre e Bloch tendevano a una storia globale che, con approccio interdisciplinare, ricostruisse ogni
aspetto privato e pubblico della convivenza umana che fosse attenta al contesto ambientale naturale e
fisico e a quello sociale, che tenesse conto della cultura materiale e di quanto poteva trovare riscontro
nella circolarità delle fonti e della loro interpretazione. Loro puntavano soprattutto a una storia
rappresentativa del nesso tra idee e fatti, tra tensioni e rassegnazioni, lontana dalla storia cronachistica
fatta di aride ricostruzioni di eventi e non delle dinamiche spinte di fondo che prendevano corpo attraverso
mutamenti impercettibili. Alla base delle Annales, c'era la caratterizzazione di un modello di ricerca che
rigettava la differenziazione tra scienze dello spirito e scienze della natura che avevano funzione praticae
c'era lo svuotamento dei presupposti e delle modalità della dialettica marxista e della sua analisi in termini
economici. Alla base c'era un modo di fare storia sensibile agli strumenti di ricerca dell'antropologia, della
sociologia , dell'economia, della psicologia, dell'arte e della letteratura, con l'appoggio di collegi e istituti.

Il Medioevo oggi e le nuove direttrici di ricerca: Medievistica dopo il 1945: la storiografia, in un contesto di
disagio culturale e di una storia che tende alla ricerca di continua relazione tra idee e fatti, subì l'influenza
della scuola delle Annales in Italia, insistendo tra anni 50-60 sulle dinamiche cittadine e rurali, guardate nel
riferimento continuo all'aspetto topografico-urbanistico e a quello demico-politico (per le città); al modo di
essere e di pensare di quanti, all'agricoltura, legavano la loro esistenza (per le campagne). Si è sviluppata
via via un'attenta riflessione sui fatti della vita quotidiana, sulla mentalità delle popolazioni, su credenze e
superstizioni, sulle usanze alimentari e sull'organizzazione del lavoro, sul privato e individuale, sulla
condizione femminile nel medioevo. Un medioevo colto nella dinamica di un nesso strettissimo tra uomo e
natura e da studiare nella lunga durata e col ricorso a una metodologia basata sull'unità del sapere o
interdisciplinarietà, con l'esigenza di conoscere l'uomo nelle sue caratteristiche somatiche e nei suoi
rapporti con la natura e col proprio corpo, nei suoi rapporti con gli altri. La medievistica recente ha posto
domande più che dare risposte. Il problema delle crociate per esempio e del rapporto con i musulmani ha
avuto diverse letture e interpretazioni legate all'idea che di volta in volta gli storici si facevano del modo
con cui ciò che si pensa e dice influisca sull'operare. Sulla base di distinzioni tra azioni razionali secondo il
valore e razionali secondo lo scopo, la storiografia recente ha riletto le testimonianze delle crociate,
riflettendo sui principi in base ai quali le crociate venivano giustificate e accettate e sui metodi, costi,
vantaggi, fallimenti religiosi e politici, quindi sui problemi che pongono in evidenza il significato delle
crociate, la cui dinamica è da ricondurre alla fine dell'unità religiosa e culturale del Mediterraneo e al
complesso rapporto tra mondo cristiano e mondo musulmano, con l'accentuarsi dell'intolleranza tra
cristiani e musulmani, della frattura tra chiesa di roma e ortodossia greca, l'inasprimento in Europa dei
contrasti tra nazioni nascenti, diffondersi della pratica delle indulgenze. Le crociate non furono una serie di
singoli episodi militari risoltisi in una sconfitta dell'Occidente, ma un movimento la cui onda d'urto si
allungava fino al XVIII secolo quando i turchi smisero di essere un pericolo per l'Europa.

5. Letteratura storica
Raccolta di testimonianze e ricostruzione storica: sono due momenti tra cui non vi è differenza cronologica,
ma stretta relazione, che rende entrambe le funzioni complementari. Nel momento in cui cerca e raccoglie,
lo storico, interpreta e continua a cercare perchè ha già interpretato. Droysen diceva che la ricerca storica
è un "comprendere indagando".

Biblioteche: La ricerca della letteratura storica è indispensabile per avere un quadro dello status
quaestionum degli studi sull'argomento, per prendere coscienza critica di quanto acquisito dalla
storiografia recente e non. E' necessario dunque che ogni progetto di studio cominci dalla letteratura
storica, dalla ricerca delle pubblicazioni relative all'argomento di interesse. La letteratura storica è l'insieme
di scritti recenti o antichi sui quali indirettamente o direttamente vengono studiati i problemi attinenti a un
dato argomento. Per conoscere quanto si è scritto si ricorre alla bibliografia, la scienza che indica, raccoglie
e descrive libri, opuscoli, articoli di rivista. Esiste una serie di repertori bibliografici con lo scopo di fornire
indicazioni indispensabili al lavoro scientifico. Questi repertori sono collocati in genere nelle biblioteche,
sede dove si raccoglie il materiale a stampa o manoscritto ordinato secondo criteri che rispondono a quelli
suggeriti nel XVII secolo da Federico Borromeo, fondatore della biblioteca ambrosiana, nel 1609 (leggibili
nel XXII capitolo dei Promessi Sposi, sulla vita del cardinale). Numerose sono le biblioteche presenti nel
mondo. Tra le più antiche ricordiamo quella di Alessandria, fondata nel 295 a.C. e incendiata nel 270 d.C.
da Aureliano e ricostruita e aperta nell'estate del 2000; importanti la libreria di S. Marco fondata a Firenze
da Cosimo de Medici e altre fondate nel periodo medievale. In Italia manca una vera biblioteca nazionale. Il
concetto di biblioteca nazionale in Italia divenne dopo l'Unità sinonimo di statale e fu esteso a varie
biblioteche. Andrebbe oggi a quella di Firenze il ruolo di biblioteca nazionale. Particolarmente fornita di
opere relative al Medioevo è la Biblioteca apostolica vaticana, avviata nel 1450 da Niccolò V.

Enciclopedie: dal latino umanistico "ENCYCLIUS" nel significato di cultura circolare, globale, fondata su
discipline che costituiscono un unico sapere di base, strumento insostituibile di informazioni per ogni
ricerca (cultura è sapere dove cercare le informazioni giuste e le nozioni fondamentali di un dato
argomento). E' uno strumento ordinato del sapere e l'enciclopedia, come esposizione di sapere
razionalizzato e ordinato, non è da ricondurre all'esperimento illuministico dell'Enciclopedia, ma forse a
Plinio il Vecchio che, nella Storia naturale (37 libri), raccoglieva tutto ciò che al suo tempo si conosceva sul
mondo vegetale, sugli animali, su fulmini, vulcani, stelle. Bisogna ricordare anche l'Iliade e l'Odissea, dove
si colgono espressioni del sapere tra IX-VIII secolo a.C. su religioni, geografia, politica, armi, comportamenti
singoli e collettivi nella vita pubblica e privata. Bisogna poi risalire all'età medievale con le opere di Fozio,
ma soprattutto con le Etimologie di Isidoro di Siviglia, con lo Speculum di Vincent de Beauvais, con il Tresor
di Brunetto Latini. Ciò che cambia tra questi strumenti e le vere enciclopedie è il modello di sapere,
modello che incrociava una quantità di problematiche la cui soluzione aveva come fine la salvezza
dell'anima. Dopo il Medioevo mutava la prospettiva di approccio alla cultura e il desiderio di sapere
ordinato. Nel 1630 Alsted pubblicava il "Cursus philosophici encyclopedia", in 7 volumi nel cui titolo per la
prima volta compariva il termine "enciclopedia"; nel 1697, Bayle pubblicava il "Dizionario di storia e
critica", ampliato nel 1728 nella Cyclopaedia e infine nella grande enciclopedia di Diderot e D'Alembert,
che provocò un radicale ribaltamento delle basi culturali, etiche e civili su cui si reggeva l'ordinamento
economico e sociale di popoli e nazioni. La fama della loro enciclopedia è da ricondurre soprattutto alle
voci sulla tecnologia delle arti e dei mestieri. L'impostazione geniale di Diderot è ritenere che il sapere
consista nel raccogliere ciò che via via è stato scoperto e ordinarlo perchè la maggior parte degli uomini sia
illuminata e ciascuno partecipi alla luce del suo tempo. Impostazione ancora vitale e operativa in tutte le
enciclopedie oggi in uso. La maggior parte delle enciclopedie dedicate a vicende medievali è riservata a
questioni che riguardano la storia religiosa nei suoi rapporti col divino e nella sua articolazione e
organizzazione di pratica devozionale e di impianto istituzionale.

Bibliografie storiche e riviste: nel consultare enciclopedie, lessici e dizionari bisogna tenere presente che
queste opere offrono informazioni sulla base dello stato di conoscenze acquisite dalla ricerca fino all'anno
della loro pubblicazione. E' necessario quindi fare ricorso ad altri strumenti di informazione tra i quali i più
pratici sono i repertori italiani e stranieri di bibliografia storica. Elenchi dettagliati di queste opere, ripartite
per nazioni, si possono leggere nell'antico "Avviamento agli studi storici" di Giovanni Soranzo. Le riviste
storiche contribuiscono invece a un più immediato aggiornamento della bibliografia, oltre ad allargare i
rapporti tra gli studiosi di Medioevo, intensificare dibattiti e raggiungere un pubblico colto più ampio, a
evitare che gli studi medievistici muoiano tra i soli specialisti. Possono essere le sedi più opportune per
concretizzare agganci con la società, portando avanti un lavoro di ricerca sulle tracce di rapporti con un
passato la cui comprensione dia nuovo significato al presente. Vanno ricordate le riviste "Quaderni
medievali" diretta da Musca (medioevo nei mass media) ; "Prometeo" diretta da Valerio Castronovo
(rapporto tra cultura scientifica e umanistica); "Quaderni storici", diretta da Alberto Caracciolo e Pasquale
Villani. Vanno ricordate inoltre le pubblicazioni cittadine e regionali curate da vari centri di cultura, dalle
accademie e dalle società di storia patria. La rivista mensile "Storia" con il 165° numero ha sospeso le
pubblicazioni. E' importante ricordare anche alcune riviste che pur essendo rivolte a un pubblico
specializzato e diverso per metodologia di approccio e sensibilità culturale, danno risposte alle istanze che
provengono dalla società medievale. Molto importanti sono le fonti tramandate dalla chiesa per il
medioevo, quindi essenziali le riviste di storia religiosa. Utili anche riviste di scienze linguistiche e
filologiche, di geografia storica, urbanistica, problemi islamici, questioni ebraiche o storia dell'arte, di
cultura materiale e numismatica.

Manuali e grandi opere di storia generale: le opere fin qui esaminate servono ad offrire al lettore anche
meno esperto la possibilità di orientarsi rapidamente ed individuare quel che gli serve offrendogli opere in
grado di fornire un'informazione di base. Informazione offerta di solito dai manuali, nei quali si ha però
l'impressione che manchino della capacità di insegnare allo studente a fare da sè. In Italia mancano, per il
Medioevo buoni trattati a livello universitario, in grado non solo di ricostruire gli eventi narrati, ma anche di
fornire al lettore direttrici di ricerca come risposte alle domande tra dinamica del presente e studio del
passato. Può essere utile però il testo di Giovanni Tabacco e Giovanni Merlo "Medioevo V-XV secolo",
primo volume di una collana "La civiltà europea nella storia mondiale" e il volume di Giovanni Vitolo
"Medioevo. I caratteri originali di un'età di transizione". Sono da ricordare tre delle grandi storie collettive
pubblicate a partire dagli anni Settanta del secolo scorso:

- "Storia della società italiana"(25 volumi), pubblicata a Milano e redatta da 250 studiosi italiani e stranieri.
Attenta all'ambiente e alle sue trasformazioni a opera dell'uomo, pone in evidenza le necessità quotidiane
e le mentalità delle popolazioni. Al medioevo sono riservati i volumi V-VIII.
- "Storia d'Italia" (24 volumi) diretta da Giuseppe Galasso, una storia che offre al lettore una
rappresentazione organica delle vicende accadute nelle singole regioni della penisola italiana, ma lette nel
quadro di un'interdipendenza tra situazione preunitaria e processo di sviluppo economico dello Stato nato
dall'Unità. L'opera va dal Medioevo al 1992 e riserva al medioevo diversi volumi.

-"Storia d'Italia" (6 volumi) pubblicati dal 1972: molto spazio è riservato al Medioevo, col quale si fa iniziare
la storia d'Italia, le cui radici affonderebbero nell'età romano-barbarica. L'impianto è antologico e ampio
spazio è riservato in tutti i volumi alle forme del potere, alla storia delle campagne e del mondo agricolo,
alla storia delle città e degli impianti urbani, a religione, economia, arte, diritto e costume.

Fanno parte della Storia d'Italia i 20 volumi usciti fino al 2004, intitolati "Annali della Storia d'Italia",
attinenti anche al Medioevo. Importanti sono anche due opere letterarie degli anni 70-80:

-" Letteratura italiana. Storia e testi" diretta da Carlo Muscetta, pubblicata in 9 volumi dal 1970.

-"Letteratura italiana", diretta da Asor Rosa e pubblicata da Einaudi dal 1982. In quest'opera ampio spazio è
riservato alla civiltà medievale, ai modi in cui si è impostato il rapporto tra attività intellettuale e struttura
del potere.

I testi di storia generale sono importanti anche perchè sui temi in esame suggeriscono problematiche ed
elencano la bibliografia essenziale dei testi pubblicati.

6. Le fonti
La storia si fa con le fonti, che non sono solo la registrazione di ciò che è accaduto, ma anche uno specchio tra noi e i
fatti del passato. Le fonti sono interpretazioni dei fatti e lo storico non ricostruisce i fatti ma le testimonianze sui fatti.
Le fonti anche quando si sforzano di rappresentare la realtà offrono solo una delle tante interpretazioni possibili.

Come definire le fonti: le fonti non sono asettiche e neutrali e per interpretarle è necessario disporre di una
preparazione che si recupera dalla letteratura storica, che suggerisce di tenere sempre presente che le notizie fornite
dalle fonti sono lontane dall'offrire una rappresentazione fedele e completa del passato, perchè ogni testimonianza
contiene informazioni su un solo aspetto della realtà. Infatti i documenti rispecchiano solo una minima parte di quel
che si è fatto e pensato in un dato momento. Non basta leggere i documenti per ricostruire una storia che abbia un
senso e che non si risolva in un'asettica e meccanica registrazione di dati staccati dalle elaborazioni culturali. Le fonti
sono indissolubili dalla mentalità e dalle categorie di tempo e spazio con cui in un dato periodo si guarda a qualsiasi
forma di esperienza umana. Le fonti forniscono una versione dei fatti. Per le fonti non esiste una definizione che fissi
un concetto in grado di esprimere le registrazioni di un evento e le interpretazioni nelle varie epoche del suo
messaggio.

Valenza e ambiguità delle fonti: oggi le fonti vengono interrogate da angolazioni diverse cercando non solo ciò che
esplicitamente dicono, ma anche ciò che lasciano intendere, testimonianza preziosa dell'immaginario e del modo di
essere e pensare di un ambiente. Per esempio, dall'elenco dei peccati riportati dai "penitenziali", cioè dai manuali
distribuiti al clero per regolamentare le domande da porre ai penitenti, si posso ricavare informazioni persino sui
salari e su altre prestazioni economiche. Lo stesso procedimento vale anche per le cronache, come l'"Alessiade" di
Anna Comnena, testimonianza delle vicende del regno di suo padre e delle esperienze della prima crociata, ma
anche delle considerazioni che, scaturite dalla psicologia dell'autrice, offrono l'immagine che i bizantini avevano della
chiesa latina e degli "uomini della croce". Allo stesso modo l'Opus de historiis di Schedel, storia universale pubblicata
a Norimberga nel 1493, che non faceva alcun cenno alla scoperta dell'America, indice di una mentalità che non dava
importanza alle azioni degli uomini e all'esplorazione di nuove terre, ma era sensibile ai problemi dell'anima e della
salvezza eterna.
Varietà di linguaggi e interpretazioni delle fonti: La ricerca non può trascurare il nesso tra parole e cose. Quanto
fosse difficile trovare nella lingua latina le parole adatte a indicare termini tecnici corrispondenti lo scriveva Federico
II nel "De arte venandi cum avibus", così come il Domesday Book del 1086 (registro catastatale dei possessi terrieri
inglesi per ordine fi Guglielmo il Conquistatore) presenta zone d'ombra. Molti autori usavano le stesse parole con
significati diversi sia per motivi stilistici che per farsi capire dal pubblico. Strumenti basilari di comunicazione sono
linguaggio e scrittura e chi vuole capire una fonte deve tenere presente sia il tempo della sua stesura che quello
attuale della lettura, per questo bisogna sempre tener conto della storia delle parole che mutano e cambiano di
significato. (es. parola "laico" ha diversi significati nei vari secoli: nel mondo greco indicava chi apparteneva al
popolo, nel linguaggio dei vangeli chi faceva parte del "popolo di Dio", in quello dei Padri della Chiesa chi era
profanus, non appartenente al clero, con cui si indicavano quelli che avevano ricevuto gli ordini minori, come
Petrarca, i sacerdoti, i letterati che sapevano il latino). Il linguaggio dunque registra un semplice mutamento di
mentalità.

Affidabili solo perchè fonti?: le fonti sono fatte più per essere indagate che credute, perchè offrono spesso solo ciò
che si vuole cercare e trovare. Dunque non sono da considerare affidabili solo perchè fonti, ma bisogna ingaggiare la
"lotta al documento", perchè non sono testimonianze infallibili ed esplicite, ma sono volutamente ambigue e
reticenti. Nessuna fonte può essere usata correttamente se non se ne conosce la tipologia, ovvero la precisa
individualità del genere al quale appartiene, che permette di capire la sua origine, parzialità e provenienza e
permette di trarre da ognuna tutto ciò che contiene esplicitamente e implicitamente e che suggerisce la loro
classificazione.

Classificazione delle fonti: sul piano pratico e didattico. Ogni classificazione potrebbe comportare rischi di
determinismo, ma il criterio di classificazione finisce per coincidere con l'interdisciplinarietà che le fonti stesse
suggeriscono, cioè con la loro storicizzazione. La diversità delle fonti è sterminata, diversità che è di funzione, non
oggettiva, in quanto ogni fonte è utilizzabile in rapporto a quesiti che la ricerca suggerisce. Ripartizione tra fonti
mute, orali e scritte.

7. Fonti mute e fonti orali


Mute sono le fonti che non hanno come valenza fondamentale segni di scrittura o parola, costituite da natura e
condizioni concrete delle sue manifestazioni (clima, paesaggio) e dagli oggetti e manufatti che caratterizzano gli
aspetti materiali della civiltà. Il primo a usare l'espressione "cultura materiale" fu Lamprecht, mentre Marx nel
Capitale auspicava a una storia delle condizioni materiali delle società. E' la storia dei mezzi e dei metodi impiegati
nella produzione e nel consumo.

Natura, diversificazione dei suoli, paesaggi: il suolo è una fonte muta rivelatrice dei rapporti con l'uomo e
fondamentale per la conoscenza delle varietà, nel tempo e nello spazio, degli ambienti agrari, delle trasformazioni
fondiarie, dell'habitat e dello sviluppo delle società. Non sempre la storiografia medievale ha dato attenzione alla
natura, alla diversificazione dei suoli e alle loro valenze agronomiche nello sviluppo della colonizzazione e della
produzione agro-pastorale, nella determinazione degli insediamenti ecc. Importanti sono gli studi di
paleoclimatologia (ricostruzione delle condizioni climatiche sui suoli nelle diverse epoche); la dendrocronologia
(studio dei resti floreali e dello spessore degli anelli di accrescimento di alberi plurisecolari e ricostruzione della vita
delle piante, l'evoluzione del paesaggio e degli insediamenti); la paleontologia (studio dei fossili degli animali vissuti
sulla terra in epoche passate che permetterebbe di conoscere il quando e il come siano scomparsi gli elefanti e i
bufali della Sicilia registrati nei documenti di XI secolo.

Archeologia e fonti archeologiche: scienza che si occupa della ricerca e del recupero delle tracce di civiltà passate.
Già Federico II e alcuni umanisti avevano dimostrato sensibilità per lo studio di monumenti e iscrizioni, ma è con
l'illuminismo che l'archeologia acquista valenza scientifica (es. scavi di Pompei, iniziati in quel periodo). Recente è
invece la pratica dell'archeologia medievale, anche se nel XIX secolo non erano mancate attenzioni per reperti e
arredi e per le sopravvivenze degli edifici. Le fonti archeologiche sono preziose per lo storico perchè forniscono
notizie che i documenti scritti spesso non registrano specie per quel che si riferisce a ubicazione dei centri abitati e
loro fisionomiatopografico-urbanistica, alla dinamica delle acque, alle risorse minerarie, ai rapporti popolazione
territorio, alle necessità e abitudini della vita quotidiana testimoniate sia dai resti funerari sia dagli attrezzi di lavoro,
dalla ceramica. Vanno però utilizzate con molta cautela perchè i rinvenimenti spesso sono casuali e settoriali in
quanto si conservano solo oggetti costituiti da materiali resistenti a corrosione e disfacimento del tempo (terracotta,
vetro, metallo, ossa). Per esempio lo studio degli scheletri umani permette di conoscere le caratteristiche somatiche,
le patologie, il modo di vivere di uomini e donne del Medioevo. Poche discipline, come l'archeologia, hanno
conseguito trasformazioni così radicali sia nei metodi di ricerca che nelle prospettive di studio e questo grazie al
nesso tra tradizione umanistica e tecnologia che ha favorito il ricordo a strumenti di ricerca particolari. L'archeologia
è dunque importante per ricostruire il tessuto sociale e la dinamica quotidiana del Medioevo.

Tombe, toponimi, strutture architettoniche ed edilizie: importanti fonti mute sono le tombe, la loro collocazione e
composizione, gli arredi funerari, che molto possono dire delle credenze e della mentalità di un territorio; i toponimi
testimoniano i modi con cui nella costruzione dello spazio si proiettano elementi culturali, ma non sempre attestano
la concretà realtà indicata dai nomi. Le strutture architettoniche ed edilizie permettono di conoscere i livelli tecnici
del fabbricare, le condizioni economiche delle varie stratificazioni sociali, le loro esigenze, abitudini di vita e gusti.
Numerose sono le testimonianze degli impianti architettonici di rilievo (palazzi, cattedrali, di cui importanti sono le
facciate che rappresentano interessi mentali e religiosi). Non sono pochi i centri urbani che mantengono impianto
urbanistico medievale, ad esempio Gubbio.

Pesi, misure, monete: nel Medioevo pesi e misure mutavano di paese in paese anche nell'ambito della stessa
istituzione politica. Essi esprimevano la misurazione delle grandezze fisiche in relazione a lunghezza, larghezza,
superficie, volume. Senza la conoscenza della loro funzione sfuggirebbe il valore di ogni operazione economica e
delle relative ricadute su piano sociale e politico. Anche le monete sono fonti mute importanti per la ricostruzione
della dinamica storica delle varie epoche. Si tratta di un tassello metallico di peso predeterminato, misura di valore e
oggetto di scambio, usato sia per quantificare il valore della merce che per acquisire la merce valutata. Ogni moneta
si qualifica per la natura e il peso del metallo di cui è costituita, per il valore intrinseco e per quello nominale e per la
sua iconografia legata alle immagini e alle parole presenti sulle due facce. Le vicende delle monete, con la
strutturazione del lavoro nelle zecche, sono un riflesso della storia economica.

Simboli e insegne del potere e delle collocazioni sociali: importanti sono i sigilli, di solito in cera o ceralacca, che
recavano segni distintivi di un'autorità, costituiti da una figura, uno stemma, una o più iniziali, una legenda. Venivano
utilizzati per autenticare e chiudere documenti o lettere ufficiali e impedirne la manomissione. I sigilli in metallo
erano detti bolle e potevano essere aderenti o pendenti e legati al documento mediante un filo di seta o canapa
(bolla d'oro: costituzione di Carlo IV nel 1356 che regolamentava elezione imperiale). I sigilli sono oggetti di studio
della sfragistica. Vi sono poi armi e stemmi, simboli di gruppi, associazioni o eserciti, studiati dall'araldica. Infine
abbigliamenti e copricapo sono strumenti di trasmissione di messaggi su piano socio-economico, sessuale e magico-
religioso perchè indicano l'appartenenza sociale ed etnica (rifiuto dei diversi, come gli ebrei, rigidità della
stratificazione sociale, diversità dei gusti dominanti). Corone, tiare pontificie, abiti di rappresentanza dei sovrani (es.
Ruggero II in seta rosso-porpora con ricami d'oro).

Reliquie: termine inteso quasi sempre in senso religioso, nel significato di resti corporali e di oggetti d'uso di
personaggi venerati dalla liturgia e dal culto, conservati, con arredi più vari, in luoghi sacri. La loro efficacia era legata
alla capacità di produrre miracoli, per questo le reliquie avevano valenza religiosa, politica, economica. Inoltre
avevano una funzione sul piano terapeutico e c'erano numerose falsificazionie furti ("traslazioni": si ricorda la
traslazione del corpo di S. Marco da Alessandria d'Egitto a Venezia, nascosto in una cassa di carne di maiale in
salamoia che testimonia il primato marittimo di musulmani e bizantini e l'affermarsi delle marinerie italiane.

Testimonianze iconografiche: Sono le rappresentazioni per immagini, cioè le arti figurative della pittura, scultura,
miniatura, importanti per la ricostruzione del passato perchè aiutano a rimediare e completare le lacune delle fonti
scritte. Nel Medioevo c'era l'abitudine di esprimersi con immagini e segni, pensare per immagini.In un'analisi che
ricostruisce i motivi delle committenze e gli atteggiamenti mentali con cui le rappresentazioni figurative venivano
percepite dal pubblico, le immagini sono un documento e non solo illustrazione, fonti indispensabili per la
ricostruzione della vita pubblica e privata nella società medievale, che permettono di cogliere di un ambiente, taluni
modi di comportamento sul piano individuale e su quello collettivo. Parecchi sono gli esempi, come l'arezzo di
Bayeux, il ricamo ad ago tracciato tra 1070 e 1077 con fili di lana di 8 colori diversi su una fascia di tela di lino greggio
lunga 70 metri e larga 50 centimetri.

Carte geografiche e topografiche, mappe: la cartografia medievale era parecchio schematica e solo nel XII secolo si
incominciava a dare avvio a qualche tecnicismo. Le mappe del mondo disegnate in Occidente avevano di solito un
carattere monumentale da utilizzare prevalentemente come strumento didattico nelle scuole. Solo con le carte
portulano si cominciavano a concretizzare attendibili rappresentazioni dello spazio, limitate però al solo contorno
delle coste, tracciato a colori e con vari dettagli. Le carte portulano erano carte nautiche che servivano di aiuto alle
navi per identificare rotte, individuare porti, calcolare le distanze. Tra le più note la carte Angelino Dalorto (1325);
l'atlante catalano del 1375 e il planisfero Mauro del 1459.

Forme espressive dell'oralità: fanno parte di questo tipo di fonti sia le testimonianze orali che registrano a viva voce
una data realtà sia le tradizioni orali diverse dalle testimonianze perchè trasmesse da una generazione all'altra e
soggette a contaminazioni varie. Le testimonianze orali sono trasmesse attraverso la parola e la voce dell'uomo, ma
le due manifestazioni espressive, scrittura e oralità, possono anche coesistere. Le riunioni conviviali hanno sempre
rappresentato una forma di comunicazione fondamentale per rinsaldare rapporti, fissare tradizioni culturali,
trasmettere un messaggio. La società europea medievale non era caratterizzata solo dall'oralità, che era sì presente e
diffusa, ma non tale da rappresentare forme di isolamento e chiusura. Sono gli stessi testi scritti a evidenziare i due
tipi di linguaggio: quello orale del quotidiano e del folklorico e magico e quello dotto della scrittura, ma impregnato
delle necessità della vita di ogni giorno. L'oralità non era solo dovuta a sconoscenza della scrittura, ma alla forza di
tradizioni capaci di contrapporsi col sapere dotto in quell'incessante dialogo che dava vitalità a tutta la cultura
medievale.

Comunicazione orale di testi scritti: nel Medioevo la comunicazione parlata era diffusa per l'approccio ai testi scritti,
strutturati per essere letti pubblicamente nelle sedi opportune e affidati all'intonazione delle parole e ai gesti (opere
di cronisti, scrittori, poeti). La lettura serviva sia ad assicurare laa proprietà letteraria dell'opera, sia a far conoscere la
qualità e il contenuto della cronaca.

Tradizioni orali: frequente uso di fonti orali per la stesura di cronache ma anche degli atti notarili che fissavano per
iscritto comunicazioni orali e corredavano di componenti visive e di gesti la stesura dello strumento giuridico. Per le
cronache, cronisti spiegano di aver usato sia fonti parlate, recuperate dalla voce di chi aveva partecipato o assistito
alle vicende riferite, sia tradizioni orali tramandate da generazione a generazione, patrimonio comune di un
ambiente e di un'epoca (es. stratagemma dell'eroe che si fingeva morto.)

Cultura dell'oralità nelle verifiche sperimentali e nelle scienze: Ampio spazio all'informazione orale riservano alcuni
testi scientifici (es. "De medicina equorum" di Giordano Ruffo o trattato geografico di al-Idrisi). Un modo di utilizzare
anche in ambito scientifico le fonti orali e che testimonia l'oralità come cultura e strumento di informazione che
proveniva non solo dal documento espresso a viva voce, ma dal suo significato e dalla sua qualità valutati entrambi
con rigorose selezioni.

8. FONTI SCRITTE
Sono quelle che hanno come elemento fondante la scrittura, ma anche la consistenza materiale su cui l'elaborazione
grafica prendeva corpo. Nello studio delle fonti scritte bisogna cercare di individuare anche luogo, strumenti e
modalità di esecuzione di ogni testo. L'analisi dei segni grafici è oggetto di studio della paleografia, mentre i testi
scritti esprimono nel contenuto e nell'elaborazione grafica la dinamica socio-politica, economica e culturale di una
data epoca e spazio geografico. Bisogna considerare dunque anche materia e strumenti utilizzati per il testo scritto, i
cosiddetti "caratteri estrinseci", che ne qualificano consistenza e fisionomia.
Tavolette cerate: tavole di legno spalmate con cera sulle quali si scriveva con uno stilo che terminava da una parte a
punta, dall'altea a paletta per cancellare. Diffuse in età romana, continuarono a essere usate nel medioevo per
scritture di interesse immediato e come minuta da cancellare subito. A Halle, in Germania, se ne vietava uso nel
1783.

Papiro e pergamena: Il papiro è una pianta palustre originaria dell'Africa centrale e della valle del Nilo. E' presente in
Sicilia, a Siracusa. Con procedimenti descritti da Plinio il Vecchio, le sue fibre venivano trasformate in materiale
scrittorio costituito da un lungo nastro arrotolato. Su un lato di esso, il recto, quello interno del rotolo si scriveva a
mezzo di un giunco appuntito col quale si usavano due colori, nero per il testo, rosso per i titoli. Il papiro fu usato
anche nel Medioevo per documenti imperiali e pontifici. L'ultimo documento privato su papiro è una lettera scritta
nel 787 da un feudatario a Carlo Magno. Il suo uso si contrasse dopo invasione araba che rese difficili rapporti
commerciali tra Oriente e Occidente, ma anche perchè era fragile e costoso. Nel Medioevo, era la pergamena la
materia scrittoria più diffusa per il minor costo, la maggior durata, la possibilità di scrivere su entrambe le facce e
perchè la si poteva usare più volte. Bastava raschiarla, immergerla in un bagno di calce, spalmarvi polvere cretacea
per offuscare la scrittura precedente e scrivere di nuovo. Il nuovo testo ottenuto è detto palinsesto. Scarsa
disponibilità di manodopera con procedimenti economici, ma causa della perdita di varie opere. La pergamena, il cui
nome è da ricondurre ai sistemi di preparazione adottati a Pergamo, era costituita da pelli di agnello, capra, vitello e
trasformate in materiale scrittorio su cui si scriveva con il calamo , cannuccia flessibile con punta divisa in due da
taglio obliquo. Successivamente si usò anche la penna, mentre l'inchiostro era nero o rosso e preparato (il nero con
nerofumo e gomma e in seguito con vetriolo e acido gallico, il rosso con cinabro o porpora).La pergamena costituì a
lungo il materiale scrittorio più ricercato. Dal 774 Carlo Magno donava al monastero di S. Dionigi una foresta coi suoi
animali come riserva per ricavarne pergamena. La pergamena aveva anche il vantaggio di passare dalla forma a
rotolo a quella tipica del testo manoscritto. Anche un testo in pergamena era abbastanza costoso. I libri in
pergamena sono detti comunemente codici. Il più antico documento membranaceo tramandato in Italia è del 716.

Carta: fabbricata per la prima volta in Cina nel II secolo d.C. la carta venne introdotta in Occidente dagli arabi che
avevano appreso i sistemi di produzione da alcuni prigionieri di guerra a Samarcanda. La carta prodotta dagli arabi è
costituita da stracci di canapa e di lino, diversamente da quella cinese composta anche di filamenti di corteccia e di
varie piante. In Europa per tutto il Medioevo furono seguite le tecniche di fabbricazione araba. Il più antico
documento europeo redatto in Occidente di cui si dispone è su carta di fabbricazione musulmana ed è una lettera in
greco e arabo del 1109 della contessa Adelasia, vedova di Ruggero I, conservata a Palermo. Significativo l'uso della
carta da parte della cancelleria di Federico II, una carta "collata" ancora col sistema arabo, a base di amido e colla
vegetale e quindi di breve durata. Per questo nel 1231 Federico imponeva l'uso della pergamena. Le più antiche
cartiere sorte in Europa sono registrate in Spagna, Luguria, Venezia, Bologna e soprattutto Fabriano, dove, era attiva
dal 1268 e dal 1293 è attestata la presenza di una corporazione di cartai. Sempre di Fabriano è la pià antica
testimonianza (1282) di carta filigrana, formata da un proprio contrassegno con un disegno, un emblema, una scritta
inserita nel foglio e visibile in trasparenza.

Scriptoria e produzione di libri manoscritti: miniature e dipinti rappresentano l'atto dello scrivere da parte di un
autore o un copista, ad esempio la celebre miniatura della Bibbia (VIII secolo) nella quale è rappresentato Cassiodoro
che circondato da inchiostri di vario colore, copia nella biblioteca del suo monastero le Sacre Scritture; un altro
esempio è il San Gerolamo nello studio, datato al 1455. L'attività scrittoria per un lungo periodo rimase patrimonio
del monasteri e delle cattedrali, che disponevano di uomini e strumenti per la preparazione di testi, ovvero
disponevano degli scriptoria, locali annessi alle biblioteche dove gli scribi o amanuensi eseguivano trascrizioni di testi
e portavano a termine la manifattura del codice, cioè del libro, detto prima volumen (rotolo) perchè il papiro o la
pergamena venivano avvolte a cilindro, poi codex per indicare il testo non arrotolato, ma costituito da fascicoli di più
fogli legati da un lato. Il formato dei codici era vario e i singoli fogli non erano sempre numerati e quando lo erano
adottavanola cartulazione, ovvero la numerazione delle carte a fogli, non a pagine. Si distingueva quindi tra faccia
anteriore o recto e faccia posteriore o verso. Quello dei copisti era un lavoro delicato, faticoso e richiedeva molto
tempo. Con il XII secolo e in età umanistica l'attività degli scriptoria si rivelava inadeguata alle esigenze di accresciuto
numero di scuole e università e del propagandarsi di forme di mecenatismo che contribuivano all'aumento
quantitativo di testi prodotti, più maneggevoli e pratici da leggere, in grado di fare della cultura un fatto sociale,
politico, economico, uno strumento di raccordo tra potere, collettività e incremento della produzione e circolarità
dei libri. Basti pensare alla Biblioteca di Napoli, voluta da Carlo I d'Angiò, punto di riferimento della cultura non solo
europea e depositaria di un notevole patrimonio librario; segno evidente dell'aumento delle committenze, del
diffondersi di amanuensi, del costituirsi in ambito urbano di nuovi centri di produzione libraria. Il libro diveniva oltre
che strumento di cultura, una merce.

Burocrazia, notai e produzione di testi scritti: per quanto riguarda i testi che documentano sia rapporti privati che
pubblici come manifestazione ufficiale di volontà operative da parte delle varie forme di potere, si tratta di fonti alle
quali più frequentemente gli storici si rivolgono, testi prodotti per esigenze immediate della convivenza pubblica e
privata e che dovevano rispondere a necessità della vita quotidiana delle popolazioni, alle procedure della
burocrazia. Sono testi di solito scarsamente sensibili a problemi culturali ed estetici, riservati quasi sempre alla
lettura di pochi. La produzione di testi scritti è da ricondurre non solo ai notai, ma anche agli uffici delle
amministrazioni centrali laiche ed ecclesiastiche e di quelle periferiche, dove spesso operavano, come funzionari
dell'impianto amministrativo, vari notai per necessità operative e per ricerca di prestigio. La produzione di questi
testi permette di prendere atto della continuità della scrittura come punto di riferimento del persistere di un
ordinamento pubblico. Fonti varie nei fini e nei contenuti, ma unificate dalle modalità di esecuzione, essendo tutte
redatte sulla base di norme giuridiche e di elementi formali ben precisi.

Tipologia di testi scritti e stratificazioni sociali: la documentazione giuridica, di ordine politico e istituzionale,
testimonia la dinamica e il fondamento delle forme del potere e dei diritti di enti, persone, famiglie, gruppi. Su quale
contributo potesse provenire per l'effettiva conoscenza di una società nella sua interezza da documenti limitati a una
sola parte della popolazione (dati riferiti a possessi e averi di benestanti) si sono interrogati diversi studiosi, così
come sul contributo che tali fonti possono offrire alla ricostruzione del modo di essere e vivere delle popolazioni:
rispondere agli interrogativi suggeriti dall'anonimato della gente e dal suo senso delle cose nell'ambito del
quotidiano col "prodotto" dell'attività burocratica è difficile. Le cancellerie dei poteri centrali e gli apparati burocratici
sono certamente organi politici in cui operavano uomini in carne ed ossa. Ma dall'analisi stilistica di questa
documentazione emergono figure di singoli funzionari nella loro staticità e non mentre si muovono nella folla. E'
l'anonimato che tali fonti impediscono di cogliere. Dalla loro analisi emergono comportamenti e modi di pensare dei
compilatori di atti ufficiali che permettono di delineare la loro personalità, ma si tratta sempre della mentalità di
gruppi radicati per rango o condizione economica, nella classe di potere e non di gruppi legati ai meccanismi
elementari della vita associata. Questi documenti giuridici non sempre permettono di sapere quale fosse il tenore di
vita della gran parte della popolazione soggetta.

Annali e cronache: i Monumenta Germaniae Historica dividono tra "scriptores", "leges", "chartae", "epistulae" ed
"antiquitates". Gli scriptores sono gli autori di fonti e quindi le fonti stesse, dove prevale certo la soggettività del
narratore, ma redatte per soddisfare le esigenze dei committenti e del pubblico. Si tratta di fonti diverse che
coincidono però nella funzione informativa e soggettiva della narrazione e nell'intenzione esplicita di conservare la
memoria collettiva e individuale. Le forme espositive più diffuse di queste fonti sono gli annali e le cronache. Gli
annali sono le raccolte cronologiche di avvenimenti, divise per anni (es. gli "Annales regni Francorum"). Le cronache
(dal lat. chronica neutro plurale, passato poi al femminile singolare nel latino medievale), traggono gran parte del
loro lessico dal latino e dai loro modelli. Un esempio è nella "Vita Karoli" di Eginardo che per esaltare Carlo Magno si
appropria del Cesare Augusto di Svetonio. Nelle cronache ogni autore esponeva cronologicamente fatti coevi di cui
era stato spettatote o protagonista, cosa che ha suggerito agli storici di chiedersi fino a che punto siano attendibili.
Marc Bloch ha comunque chiarito che le cronache accompagnando quasi sempre l'esposizione dei fatti a sentimeni e
passioni , più dei documenti aiutano a comprendere le discordie e i conflitti tra uomini. I cronisti usano spesso
espressioni della Bibbia, dei Padri della Chiesa e dei classici e erano interessati ai documenti e i discorsi di
protagonisti inseriti per intero come registrazione letterale di quanto da essi detto, perchè la presenza nelle
cronache ne aumentava la credibilità e l'efficacia come strumenti di propaganda.
Biografie e autobiografie: le biografie sono narrazioni della vita di persone illustri in cui i fatti vengono intrecciati a
fantasia per offrire offrire un exemplum e un insegnamento (es. Jean de Joinville, "Histoire de S. Louis", raccolta di
riferimenti sulla vita del sovrano di Francia funzionale a disegno storico più ampio). La biografia deve essere
rivelatrice di un carattere, di una fede e di un'epoca, esponendo la vita di una persona capendo che cosa quella vita
insegna sui comportamenti di uomini e donne in un certo contesto. Le biografie laiche nel Medioevo furono poco
rappresentative ("Vita di Carlo Magno", Eginardo; "Panegyricus dictus Theodorico" e "Vita Ephiphanii", Ennodio),
mentre si diffusero nell'Umanesimo ("De viris illustribus", Petrarca; "Trattatello in laude di Dante", Boccaccio; "Vite"
di Vasari). Nel Medioevo furono numerose le biografie religiose e di edificazione sacra (opere agiografiche). Le
autobiografie sono esposizioni do vicende esterne ed interne della propria vita, che non valgono tanto per se stesse,
quanto per il significato che nel contesto di un'epoca e cultura, assumevano le vicende personali di chi le registrava.
Testimonianza dei sentimenti dell'autore (Confessioni di S. Agostino). Nel Medioevo le autobiografie non erano
genere espositivo frequente, ma acquistavano rilievo nel Rinascimento e negli anni delle tensioni religiose e
istituzionali della Chiesa, dell'impegno per unità cristiana ed ecclesiastica e per la salvezza dell'Europa dai turchi.

Testi agiografici: scritture relative alla vita e al culto dei santi. Agiografo, dal greco, era colui che narrava per iscritto
le vite dei santi. Questi testi ebbero grande diffusione nel medioevo: il clero attribuiva ai testi un ruolo educativo
importante tra le persone poco istruite, mentre i testi della dottrina cristiana erano riservati solo agli "iniziati". La
Chiesa proibiva la lettura dell'Antico e del Nuovo Testamento e delle opere teologiche. I testi agiografici
rispondevano invece al doppio scopo di riservare alla sola gerarchia l'accesso alle Sacre Scritture e di offrire alla
popolazione le verità di fede attraverso forme espositive più semplici, efficaci, imperniate suisermoni. I testi
agiografici dovevano valorizzare la vita dei santi, additarne la perfezione morale e l'imitazione di Cristo, farne una
vita esemplare. Da una parte uomini bisognosi di consigli e aiuti, dall'altra i santi disponibili in cambio di culto
continuo a risolvere le avversità naturali e sociali, in questa terra. Santi come eroi popolari. In tal senso i nessi
agiografici, che riflettono il nesso tra fenomeno religioso e contesto sociale sono fonti preziose per fornire un'idea di
uomo medievale. I testi agiografici erano certamente impostati secondo moduli stereotipi: scelto un santo, si seguiva
uno schema costruito, iniziando con la famiglia del santo, sempre nobile, mettendo in evidenza le valenze simboliche
del luogo di nascita, continuando con la descrizione dei miracoli che ne avevano preannunciato la nascita, dei
particolari sulla prima giovinezza e sull'educazione, sulla sua opera di apostolo di Cristo, sulle predicazioni, i miracoli,
sulla morte gloriosa, sulla felice canonizzazione. Vite lontane dall'offrire l'identità personale del santo, in quanto
esibiscono un clichè che ha come punto di riferimento virtù angeliche che vanno da un minimo di 3 (le tre teologali),
a un massimo di 60. Pirenne da tempo ha insegnato a leggere tra le righe delle leggende verità nascoste. Guardate
con diffidenza dagli umanisti, le fonti agiografiche furono considerate durante la controriforma per contrastare le
critiche dei protestanti al culto dei santi (Bolland, Acta Sanctorum).

Omelie, scritture liturgiche, prediche: con omelia, nella liturgia cattolica si indicava l'esposizione e il commento delle
sacre scritture offerti dal sacerdote durante la messa. L'omelia più antica è la Lettera ai Corinti di Clemente Romano,
collaboratore di San Paolo nell'evagelizzazione della Macedonia e papa dal 92 al 101; strumento semplice per
risolvere problemi della Chiesa di Corinto dove da alcuni gruppi erano stati deposti i presbiteri scelti e consacrati
dagli apostoli. Le scritture liturgiche sono i testi nei quali erano riportate le preghiere da leggere, recitare e cantare
durante le cerimonie sacre. Tra i testi liturgici più diffusi ci sono: i lezionari (che contenevano le letture della Bibbia,
non dei Vangeli da recitare durante la messa); i sacramentari (con orazioni e prefazi recitati dal sacerdote durante la
messa e le formule da pronunciare mentre si amministravano i sacramenti); i pontificali (per le messe solenni
celebrate dai vescovi; Pontificale Romano Germanico del secolo X); gli ordines. I testi vennero raccolti nel 1448 nel
Caeremoniale romanum. Tra le fonti liturgiche vanno ricordati anche gli inni, produzione lirica in latino d'argomento
religioso destinata ai fedeli, codificata nei canti gregoriani. Col il tempo il canto liturgico si articolò tra responsoriale
(eco al solista), antifonico (alterno 2 cori), corale. Distinto in quattro liturgie, con la rinascita carolingia la tradizione
romana ebbe la meglio. Le prediche sono i discorsi che il clero tiene in chiesa o in altri luoghi sulle verità della fede e
sui comportamenti religiosi e sociali. Significative le indicazioni di papa Gregorio Magno che nella "Regula pastoralis"
fornisce un elenco delle varie categorie di ascoltatori divisi tra maschi/femmine, servi/padroni ecc. Le prediche erano
fondamentali per comunicare e coinvolgere i fedeli sugli aspetti salvifici e operativi della sua funzione con particolare
riguardo nel periodo delle crociate, alla lotta contro infedeli ed eretici. Con gli ordini mendicanti i predicatori, invase
le piazze, inventavano un linguaggio nuovo con impulso emotivo straordinario. Le prediche divenivano testimonianza
delle dinamiche e dei comportamenti sociali ed economici di un'epoca. (es. Benedettino da Siena seguace
dell'Osservanza predicava attirando sia dotti che moltitudini, grazie al quale emerge un mondo vario di uomini e
donne dai comportamenti radicati nelle credenze della vita stessa; Girolamo Savonarola, prediche rappresentative di
una coscienza antitirannica e repubblicana con esigenze di rinnovamento religioso e morale).

Favole: le favole sono racconti brevi con piante e animali come protagonisti che rappresentano modelli tipologici di
vizi e virtù. Hanno intento moralizzante e di solito sono in versi. In prosa sono le fiabe con la convergenza tra
fantastico, leggenda e mito da ricondurre al folklore e a una produzione affidata più all'oralità che alla scrittura (es.
Mille e una notte, compilazione anonima del XIV secolo, che risale a perduta versione araba del X). Dalla fiaba va
distinta la leggenda, radicata in luoghi e fatti concreti e storicamente verificabili. Nel Medioevo le favole ebbero larga
diffusione perchè utilizzate nelle scuole come libri di testo, nelle prediche come strumento di comunicazione, nella
tradizione enciclopedica. Quasi tutte le favole del medioevo hanno medesimo impianto narrativo tali da testimoniare
una continuità culturale in cui si specchiava l'interazione tra tradizione dotta e favole e da offrire un tipo di fonte
come strumento di conoscenza della dinamica dei fatti anche attraverso il fantastico (favole raggruppate sotto
l'indicazione "Roman de Renard", dove mondo animale organizzato come quello degli uomini). Sono eloquenti anche
i bestiari d'amore e il personaggio della fata, che il Medioevo recepiva dalla tradizione antica nei due tratti
fondamentali della demonizzazione e dell'erotizzazione. Al contrario delle Parche le fate medievali offrivano simbiosi
tra attitudine profetica e disponibilità erotica. Potevano intervenire sul destino degli uomini e modificarne il corso,
ma avevano valenza erotica che le sollecitava ad amorosi incontri. La loro rappresentazione traeva origine
dall'opposizione al paganesimo ufficiale, affondava le radici nella lenta volontà degli autori cristiani di integrare
divinità del passato in un sistema di pensiero ortodosso, che avrebbe avviato la trasformazione delle fate in streghe.

Scritture di viaggio: testi tesi a testimoniare tempi, modi, strumenti, percorsi del viaggiare nel Medioevo, cioè lo
spostarsi a piedi, a cavallo o su carri lungo itinerari poco tracciati e conosciuti. Le fonti relative a questo problema
sono costituite da diari, memorie, annotazioni, resoconti, guide. Per esempio il "Tractatus de regimine iter agentium
vel peregrinatium" dedicato a Federico II nel quale Adamo di Cremona metteva in luce il nesso tra i luoghi e i fattori
ambientali. In molti di questi testi si colgono anche suggestioni mistiche e influenze di saghe e leggende. Per esempio
i punti cardinali esprimevano anche itinerari spirituali, rappresentativi di una mentalità che considerava la vita sulla
terra come pellegrinaggio spirituale. Lo attestano i resoconti di viaggi fantastici come il "Viaggio notturno" del
Corano in cui si riferisce l'ascensione di Maometto dal tempio sacro della Mecca al cielo con il cavallo Buraq o il
viaggio della Commedia dantesca, o il "Viaggio di Carlo Magno in Oriente" che narra in versi il tragitto
dell'imperatore e dei suoi paladini alla corte di Bisanzio. Le istanze del fantastico e dell'immaginario sono però
radicati anche in testi che sono resoconti d percorsi realmente seguiti, che offrono la rappresentazione dello spazio
nel Medioevo, ad esempio le edizioni del "Milione" di Marco Polo o i numerosi diari di viaggiatori italiani e europei
(XV-XVI secolo) con notazioni antropologiche ed economico-sociali dei luoghi visitati. Sono fonti che vanno lette con
la classica diffidenza con cui bisogna rivolgersi a descrizioni compiaciute e bisogna tenere presente non solo le
informazioni sui paesi nuovi scoperti e visitati, ma anche i quadri mentali di chi scriveva. Su un piano diverso si
collocano le fonti di pellegrini, costituite da relazioni, itinerari e guide (es. guida del XII secolo per i pellegrini di
Compostela), che forniscono informazioni su strade e rischi, su ubicazioni dei porti,ma soprattutto gli itinerari della
fede cristiana e i motivi psicologici e religiosi per cui alcune sedi erano diventate luoghi di culto dispensori di grazie,
miracoli e indulgenze.

Testi dello specifico letterario: opere riconosciute come letterarie perchè diverse non solo dalle altre arti, ma anche
dalle varie forme espressive collocate nella struttura di testi didattici, scientifici, filosofici. Anche lo specifico
letterario affonda le radici nei fatti e nella mentalità ed ogni storico è narrativo in ciò che sceglie di spiegare, proprio
come ogni storica narrativa è storica nella misura in cui registra pensieri e sentimenti umani. Per esempio le lettere
di Gregorio IX sono letteratura, prima ancora che fonte documentaria. Non è privo di significato che nella Germania
cristiana gli eroi della poesia epica fossero tre condottieri del periodo migratorio, mentre nell'Italia romana e
cristiana la tradizione epica guardava a Carlo Magno, eroe visto come Cesare, oltre che come imperatore cristiano. Il
testo più letto era la Chanson de Roland, opera di poesia nella quale un modesto episodio è trasfigurato nella lotta di
tutte le genti cristiane intorno a Carlo Magno. Le azioni e le passioni del mondo stanno alla base delle verità poetiche
della letteratura. L'utilizzazione delle opere letterarie come fonti diviene legittima se affrontata con l'impiego di altre
documentazioni. Le novelle, per esempio, non solo offrono uno spaccato della dinamica sociale e culturale alla quale
si riferiscono, ma permettono di cogliere l'angolazione soggettiva dell'autore, testimone dei fatti accaduti. Così è per
esempio per le opere di Petrarca o per quelle di Ariosto. Nelle opere di Petrarca si possono cogliere testimonianze
sulla contrapposizione tra guerra e pace durante la crisi politica italiana, mentre in quelle di Ariosto ("Orlando
furioso" e "Satire") si coglie uno spaccato del nesso tra strutture economico-politiche della società, delle corti e delle
strutture intellettuali del Rinascimento, emergendo in particolare la cronaca della vita mondana di Ferrara, la
celebrazione dell'istituzione monarchica, della società feudale, della classe cortigiana nobile, la critica della ricchezza
borghese e il disprezzo per la plebe in un contesto mal sopportato dallo stesso Ariosto che nelle Satire si dà a
un'aspra protesta. Ancora si può ricordare l'"Ecerinis" di Mussato, tragedia in versi nella quale è rappresentato
l'amplesso che aveva reso Adeleita madre di Ezzelino da Romano, offrendo ai guelfi la possibilità di insinuare dubbi
anche sulla nascita di Federico II.

Fonti legislative e normative: le leges costituiscono le fonti legislative e normative, cioè i documenti che
testimoniano i quadri dell'ordinamento giuridico-istituzionale, nel quale rientrano le disposizioni emanate dalle
autorità pubbliche in forma pubblica, nell'esercizio delle loro prerogative. Tali fonti, che testimoniano il processo di
formazione del diritto, aiutano a capire il nesso tra continuità e mutazioni delle dinamiche sociali e loro ricadute
giuridiche e istituzionali sulle forme di potere e sui loro ordinamenti. A queste fonti si fa ricorso per ricostruire
impianti politici, amministrativi, sociali delle istituzioni che le hanno promulgate. Editto di Rotari: emanato nel 643
dal sovrano longobardo Lotari, è una disposizione legislativa in 388 capitoli relativa all'ordinamento militare, politico,
sociale e finanziario del regno, con attenzione al diritto familiare, patrimoniale e penale. Tendeva alla
centralizzazione del potere e si coglie una visione esplicitamente barbarica della società, articolata secondo
acquisizione della legislazione romana. Vanno ricordati i capitolari franchi e quelli emanati da Carlo Magno:
ordinanze disposte per capitoli, la cui autorità risiedeva nel diritto di banno del sovrano e nell'approvazione formale
dell'assemblea dei grandi del regno. Non costituivano una raccolta organica di norme giuridiche, ma erano
disposizioni autonome. Si sogliono dividere in "capitularia ecclesiastica" (es. quello del 789, noto come "Admonitio
generalis" per ristrutturare vita religiosa di clero e laici), che riguardavano problemi ecclesiastici (potere spirituale
dell'imperatore) e "capitularia mundana" (es. "Capitulare de villis" che riguardava organizzazione e funzionamento
di una grandeazienda curtense e consente di cogliere l'attività economica delle villae o curtes), che contenevano
varie disposizioni. L'Edictum de beneficiis regni Italici (Constitutio de feudis) è stato emanato dall'imperatore
Corrado II il 28 maggio 1037 durante lo scontro a Milano con l'arcivescovo Ariberto da Intimiano. Con questo editto
si concludeva il processo di trasformazione dei rapporti vassallatico-beneficiari avviato dal capitolare di Quierzy
emanato da Carlo il Calvo nell'877, che non sanciva esplicitamente l'ereditarietà dei feudi, ma che era ispirato al
desiderio dell'imperatore di offrire garanzie ai signori che partecipavano alla campagna militare in Italia, che sul
piano giuridico riservavano all'imperatore il diritto di decidere o meno, ma che di fatto finiva col dare corpo a un
principio che snaturava lo spirito originario delle situazioni vassallatico-beneficiarie. Corrado II si schierava con i
valvassori e concedeva loro l'ereditarietà dei benefici (feudi minori) che avevano ottenuto dall'arcivescovo di Milano
e dagli altri signori territoriali. La Constitutio riflette un processo di trasformazione della società di quegli anni,
sancisce il principio dell'ereditarietà sul piano giuridico, avvia il coagularsi del diritto feudale, dà vita a un
ordinamento in cui il beneficio diviene punto di riferimento per esercizio e consolidamento del potere. Tra le leggi
emanate dal potere centrale nel Regno di Sicilia vanno ricordate le Assise di Ariano e il Liber Constitutionum. Le
Assise, promulgate nel 1140 da Ruggero II, sono una codificazione costituita da un corpus organico, ma non
compatto. Esse rappresentano il primo esempio di legislazione territoriale basata sul diritto romano, ma nel rispetto
delle consuetudini, che avrebbero mantenuto validità se non in contrasto. Sono importanti per lo studio della
monarchia normanna e della dinamica socio-politica del regno. Il Liber constitutionum regni Siciliae o Liber
Augustalis, è il corpus organico di leggi emanate da Federico II di Svevia a Melfi nel 1231 e valide per tutto il regno.
Diviso in 3 libri, esprime una visione dello Stato che affondava le radici nella tradizione augustea e giustinianea e
trovava sostegno nelle consuetudini locali e nei principi del diritto canonico. Permette di cogliere l'ordinamento del
regno nella sua dinamica socio-economica e nella sua funzionalità giudiziaria, rivelatrice dei rapporti tra monarchia e
ordinamenti feudali (prestazioni dei vassalli ai signori, vendita feudi e loroereditarietà),cittadini (abolizione forma di
governo cittadino e sola presenza di magistrati nominati dal sovrano), ecclesiastici ( trasferimento dalle curie
ecclesiastiche alla monarchia e corti di giustizia delle competene su eretici, usura e altre trasgressioni religiose).
Legislazione federiciana provocò conflitti destinati ad aprire nel regno una frattura profonda.

Statuti e consuetudini: produzione legislativa delle magistrature cittadine. Il termine statuto, dal latino "statutum"
indicava quel che era stato deliberato e che poteva tradursi in legge. Nel medioevo si chiamavano statuti le raccolte
organiche di testi legislativi deliberati da un'autorità con potere normativo, espressione di ordinamenti autonomi
pubblici o privati con interessi pubblici. Gli statuti hanno avuto diffusione soprattutto dal XII secolo nell'Italia
comunale, diversificati in statuti cittadini come espressione di autonomia davanti al potere centrale; statuti rurali,
amministrativi, espressione di tendenze autonomistiche dalle giurisdizioni feudali da cui dipendevano; statuti delle
arti professionali e di mestiere e delle confraternite religiose, espressione di solidarietà sociale e impegno lavorativo.
Sono fondamentali per la storia delle città e della vita urbana. Non è privo di significato il contrasto tra estensori dei
primi statuti che guardavano agli interessi della comunità cittadina e giuristi portatori di principi universalistici,
imperiali o pontifici, che si opponevano agli interessi dei singoli. Gli statuti potevano essere talvolta la registrazione
di abitudini e comportamenti stratificati nel tempo che mal rispondevano alle esigenze della dinamica sociale ed
economica del momento in cui venivano redatti. Non sono solo testimonianze della dinamica politica di un territorio,
ma ne rappresentano lo spessore economico e sociale nel suo insieme e nelle sue trasformazioni colto in ogni
manifestazione della convivenza quotidiana. Gli statuti delle corporazioni offrono notizie non solo dell'attività
lavorativa svolta ma anche dei riflessi che quell'attività e il suo regolamento avevano nelle abitudini del vivere
cittadino (es. statuto dell'arte della lana a Firenze). Diversa è la situazione dell'italia meridionale e della Sicilia, dove si
era concretizzata un'unione politica e territoriale sul piano geografico ma non culturale. Una realtà caratterizzata da
centri urbani, detti universitates, che rappresentano una diversificazione luogo per luogo sia nella collocazione
geografica, sia nei rapporti con l'esterno e la monarchia. E' da evidenziarela scarsa trasmissione di documentazione
locale in rapporto a quella produzione di organi centrali e la scarsa documentazione statutaria verso la presenza di
consuetudines.

Diplomi, bolle e privilegi: per "chartae" si intendono tutti i testi di natura giuridica redatti secondo norme e formulari
per registrare un fatto accaduto, con cui si rendeva validi diritti e obbligazioni di soggetti pubblici e privati. Le chartae
si possono dividere in pubbliche e private, pubbliche se emanate da un'autorità pubblica in forma pubblica, private
se registrano disposizioni di un privato o un negozio giuridico tra due o più privati. Le chartae sono studiate dalla
diplomatica, che esamina i diplomi, documenti medievali e umanistici per accertarne l'autenticità e metterne in
evidenza l'azione giuridica, il contenuto e le norme stilistche alla base della sua stesura. Fra i documenti pubblici più
importanti ci sono quelli emanati da un'autorità pubblica come imperatore, re, papa e fra essi vanno ricordati
diplomi, privilegi e bolle. Documenti diversi dalle leges, perchè esprimono concessioni di diritto, da parte del potere,
a singoli o comunità. La loro validità era sancita dalla potestas di chi li emanava, dalle norme e formule utilizzate,
dalla sostanza giuridica e dai funzionari che si occupavano della loro stesura. Le sedi dove venivano elaborati erano
le cancellerie degli imperatori, dei re o del papa, dove il cancellarius era l'ufficiale il cui titolo si riferiva al custode dei
cancelli del tribunale e che finì col designare uno scrivano e poi un funzionario cui spettava il compito di coordinare
le varie fasi di elaborazione, autenticazione e conservazione nell'archivio di atti pubblici. Con il tempo le cancellerie
furono sottoposte a innovazioni, specie per quel che riguardava numero e funzione del personale, costituito nell'età
carolingia di soli ecclesiastici e poi anche di laici. La laicizzazione delle burocrazie si sarebbe sviluppata poi con
Federico II di Svevia, che voleva funzionari con competenze e responsabilità, esperti di diritto e finanza con
preparazione universitaria. Più complessa la cancelleria pontificia, nel cui ordinamento burocratico dal VIII secolo
erano presenti scrinarii, addetti allo scrinium, luogo munito di archivio. Dall'XI secolo il cancellarius era anche un
bibliotecario. Con il pontificato di Innocenzo III la cancelleria acquisiva un ordinamento burocratico sofisticato, nel
quale erano impiegati funzionari esperti di diritto e di ars dictandi. Ogni diploma era composto da protocollo e testo:
il protocollo era costituito da formule che, nel sancire la solennita del potestas che emanava il diploma, lo rendevano
pubblico; il testo era costituito dal contenuto giuridico, cioè dall'esposizione dei fatti per i quali il diploma veniva
emanato. L'impostazione tipica del diploma prevedeva: invocatio (simbolica se espressa con il segno della croce o
con il monogramma di Costantino con intreccio delle lettere X e P, verbale se espressa con parole; giuridicamente
non necessaria ma cristianamente doverosa), intitulatio (nome e titoli dell'autore che lo fa, divisa in intitolatio,
inscriptio, arenga), promulgatio, narratio (testo del diploma), dispositio (volontà dell'autore), sanctio (sanzioni
previste per trasgressori), corroboratio (elementi atti a garantire autenticità), subscriptiones, datatio (luogo, giorno,
mese,anno), apprecatio. I diplomi pontifici differiscono in alcuni dettagli. Oltre ai diplomi la cancelleria emanava
anche bolle, brevi e motupropri. Le bolle, dette così perchè munite da un sigillo di piombo, erano lettere del papa su
problemi spirituali o temporali (Unam Sanctam, Bonifacio VIII nel 1302 ribadiva subordinazione potere temporale a
quello spirituale); i brevi erano documenti riguardanti affari personali del pontefice e problemi di pertinenza
temporale; i motupropri venivano emanati spontaneamente dal papa, privi di sigilllo, ma con sottoscrizione
autografa del pontefice. Il privilegio indicava un atto con cui imperatore, re o pontefice elargivano a una persona o a
una comunità diritti eccezionali e permanenti, libero dai vincoli della legge.

Fonti giudiziarie laiche ed ecclesiastiche: tra le chartae vanno inseriti anche i documenti che testimoniano
operatività dei funzionari sul piano giudiziario e fiscale. Sul piano giudiziario c'è però scarsa disponibilità di
documenti relativi alla giustizia civile, mentre maggiore è la presenza di documenti relativi alla giustizia penale,
raggruppati in registri attinenti alla procedura accusatoria o inquisitoria. Importanti le fonti in cui sono registrate le
decisioni delle magistrature ordinarie, quelle che riguardano le controversie sul lavoro e tutte le fonti che si
riferiscono ai nessi tra ordine pubblico e politica criminale. I documenti dei tribunali ecclesiastici riportano quel che
riguarda la vita del clero e la diffusione del concubinato, mentre diversi sono i registri del tribunale dell'inquisizione a
cui era demandato il compito di reprimere eresie (catara e valdese). Emerge il quadro di una strategia del papato
che, attraverso lo strumento coercitivo giustificato dalla fede, tendeva all'affermazione del proprio potere.
Importanti dunque per la ricostruzione dei rapporti tra giustizia e potere.

Fonti finanziarie e fiscali: (imposizione e riscossione delle tasse): nel Medioevo l'imposta reale diretta non era molto
diffusa anche per la diffidenza dei popoli germanici che ritenevano questa impostazione limitatrice del libero
possesso dei beni fondiari e quindi della libertà stessa della persona cui quel possesso era strettamente legato. Per la
ricostruzione dell'ordinamento finanziario importanti sono i ruoli di imposta, i catasti, i registri delle gabelle, i libri di
entrate e uscite. Già dall'XI secolo andavano prendendo corpo più estese forme di imposizioni dirette. Importante la
composizione in Inghilterra nel 1086 del Domesday Book, pù antico esempio di catasto sul quale erano elencate tutte
le terre del regno, i feudatari e le imposte loro dovute, libro che permette oggi di conoscere i nomi dei singoli
feudatari. contribuenti e di ricostruire la storia del popolamento e dell'agricoltura nell'Inghilterra della prima età
normanna. Anche nel regno normanno e di Sicilia erano rilevanti le strutture finanziarie e fiscali, i cui uffici erano
preposti alle concessioni feudali e alla conservazione dei defetari, registri che contenevano elenchi delle terre
demaniali e i servizi di natura feudale. Significativa la Tavola delle possessioni promossa a Siena dal governo dei
Nove, di notevole valore fiscale che permette di ricostruire le forme di conduzione, il paesaggio agrario e il peso che
la terra aveva sulla distribuzione della ricchezza fra i diversi ceti e sul piano politico, ma che dava vita a sperequazioni
nella ripartizione dei tributi fiscali che finivano col favorire i detentori di beni finanziari come banchieri e mercanti.

Magna charta e atti dei parlamenti: al problema fiscale erano strettamente connessi i parlamenti, cioè le assemblee
rappresentative che, almeno dal secolo XIII, erano operative in molti paesi d'Europa (Inghilterra, Spagna, Francia,
Germania, Regno di Sicilia). Il loro compito era quello di trattare affare pubblici, politici e amministrativi ed erano
assemblee che, costituite da membri della nobiltà, del clero, del popolo venivano convocate periodicamente e
dovevano acconsentire o meno alle decisioni del monarca, il quale le interpellava quando aveva bisogno di denaro. Il
re dunque doveva avere il consenso del parlamento che rappresentava gli interessi collettivi o almeno dei gruppi
prevalenti. Quindi il parlamento finiva per condizionare e controllare le scelte del re anche sul piano politico e
militare. In Francia prendevano il nome di "Stati generali" perchè nobiltà, clero e popolo erano status, condizione
sociale. Il parlamento più noto era quello inglese, ricordato soprattutto per la Magna Charta libertatum, strappata il
15 giugno 1215 alla corona dai baroni, dal clero e dalle città che approfittarono della debolezza di Giovanni
Senzaterra sconfitto a Bouvines nel 1214 e scomunicato da Innocenzo III. Si tratta di un documento steso nella forma
dei privilegi sovrani per garantire feudalità, Chiesa, città dagli arbitri del potere monarchico; documento che
riaffermava privilegi e garantiva da eventuali violazioni degli impegni presi pubblicamente in un comune consiglio, in
cui attraverso le forme pattizie, si cercava di sanare le controversie tra sovrano e sudditi.

Penitenziali: testi di natura giuridica redatti dall'autorità ecclesiastica per regolamentare e rendere validi i diritti dei
penitenti durante la confessione. Sono documenti pubblici per regolamentare un fatto pubblico, sia pure riservato
come la confessione, che obbliga i fedeli ad accusarsi dei peccati di fronte alla chiesa, rappresentata da un sacerdote,
al quale venivano forniti i penitenziali, le norme con le rispettive pene canoniche per sciogliere dubbi ed evitare
disuguaglianze nel trattamento dei fedeli. I più antichi furono composti in Irlanda ed elencavano colpe con relative
penitenze. L'importanza di questi come fonti è nei riflessi che aveno sui comportamenti religiosi e morali, ma anche
sull'ordinamento della società (es. penitenziale di Finnian): richiami all'indissolubilità del matrimonio, al divieto di
divorzio, ai giorni di continenza delle coppie sposate, all'obbligo di battezzare neonati, all'adulterio. Sono fonti
preziose per cogliere la diversificazione di modi e forme del processo di cristianizzazione non tanto sul piano
religioso, ma su quello vissuto del quotidiano. Mettono in evidenza rapporto di uomini e donne con il loro corpo, con
alimenti e medicine, con fantasie segrete, con uso di afrodisiaci. Cominciarono a perdere efficacia man mano che
nella confessione all'espiazione si andava sostituendo la riparazione sacramentale, ma fino all'XI secolo rimasero
fondamentali per regolamentare rapporto tra sacerdote e peccatori. I peccati e le penitenze non sono elencati
secondo principi astratti, ma sulla base di precise situazioni giuridiche e sociali. Riferimenti alla sessualità ossessivi,
richiami a stupri, aborti, pratiche magiche, attenzione rivolta a peccati di pensiero.

Atti notarili: il documento che esprime i contenuti di un negozio giuridico di privati o fra privati, la testimonianza
scritta e definitiva destinata a offrire garanzie e durare nel tempo. Erano punto di riferimento di analfabeti, che
facevano ricorso alla figura del notaio, redattore pubblico degli atti tra privati, anche per transizioni a breve o
brevissimo tempo o per affari di modesta portata. Ciò spiega l'elevato numero di notai presenti nei centri abitati.
Sono queste fonti in cui l'uso della lingua e della tecnica era spesso dimesso e pieno di errori ortografici e
grammaticali, a causa della modesta cultura dei notai ma anche per l'ossequio alla tradizione che imponeva di usare
nella scrittura il latino. Non mancarono notai illustri, come Pier della Vigne. Comunque le scritture notarili erano
transazioni varie ma riconducibili alla charta, a un testo dispositivo. Charta che poteva essere compiuta, valevole a
tutti gli effetti giuridici o incompiuta, ancora allo stato di minuta che il notai annotava nel suo protocollo. Almeno dal
XIII secolo esistevano formulari per la stesura di un atto notarile e il formulario più diffuso e usato nel medioevo era
la Summa Artis Notariae di Rolandino de' Passeggeri (1256), dalla quale si ricava che il testo notarile rispondeva
nell'impostazione generale all'articolazione dell'atto pubblico. C'era un'invocazione, seguita da una notificazione per
introdurre la stesura dei motivi dell'atto, i nomi dei contraenti e i termini del negozio, le varie clausole, gli impegni
reciproci avvalorati da richiami a leggi vigenti, le sanzioni materiali o spirituali. Veniva fatto cenno al notaio e ai
testimoni, ma mancavano le sottoscrizioni dei contraenti e dei testimoni rese obbligatorie dalla legislazione dell'età
moderna. Le sottoscrizioni avrebbero permesso di cogliere dettagli per la ricostruzione dei livelli di alfabetizzazione,
ma il signum manus (segno della croce) evidenzia comunque mentalità e comportamento delle popolazioni.
Importantiancora i testamenti che offrono uno spaccato della società del tempo (modo di trattare e vestire le salme,
sequenze devozionali ecc).

Epistulae ed epistolari: Le lettere sono costituite da un testo scritto con cui una persona pubblica o privata
indirizzava una comunicazione ad un'altra che poteva essere pubblica o privata. Nella diplomatica medievale le
lettere sono documenti emanati da un'autorità pubblica in forma pubblica o privata, da privati in forma pubblica o
privata. Erano lettere pubbliche in forma pubblica quelle pontificie (es. Epistolario di Gelasio I di 150 lettere per la
ricostruzione della chiesa di roma nei confronti del paganesimo e delle ragioni del pontefice verso imperatore e
patriarca di costantinopoli; epistolario di Gregorio Magno, conversazione morale; i Variarum libri sulla dinamica del
regno goto, lettere pubbliche che Cassiodoro scriveva come cancelliere di Teodorico; mandati normanni o lettere
federiciane scritte da Pier della Vigne). Le epistole sono fonti importanti anche per quanto riguarda la loro stesura
formale, perchè permettono di ricostruire la storia degli studi retorici nel Medioevo e quella dell'organizzazione e
funzione delle cancellerie, la storia delle forme e stili, storia culturale e politica (es. epistola di Rolandino de'
Passeggeri per il Comune di Bologna con cui si respingevano proposte minacciose di Federico II per la liberazione del
figlio Enzo, prigioniero a Fossalta). Ricordiamo anche gli epistolari di Lupo de Ferrieres e di Ivo di Chartres che
pongono l'accento sul nesso tra comportamenti emozionali dei singoli e presunti vantaggi delle collettività.
Esemplare la corrispondenza privata di Pier della Vigne in cui si colgono riferimenti all'ambiente federiciano e alla
funzionalità delle cancellerie ma le cui più significative testimonianze sono attestate nella lettera alla madre e da
quelle all'imperatore per la loro impostazione stilistico-formale. Sull'aspetto raffinato dello scrivere si sarebbe
soffermato l'umanesimo, Importanti sono ancora gli epistolari domestici come le lettere tra Francesco di Marco
Datini e la moglie Margherita che contengono notizie anche sugli affari e riconducono al problema della cultura del
mercante. Ancora le lettere di cambio create dalla prassi commerciale.

9. Sistemi di datazione e documenti falsi


La data, cioè l'indicazione del luogo, giorno, mese, anno di un documento è importante per collocarne la stesura nel
tempo. La disciplica che si occupa di ciò è la cronologia che studia i sistemi con cui, nelle diverse epoche, i fatti sono
stati ordinati in successione temporale.

Il sistema cristiano dicomputare gli anni: i cristiani calcolano gli anni dalla nascita di Cristo, ma in realtà nulla dicono i
Vangeli su anno, mese, giorno della nascita di Cristo. Il riferimento al 754-753 della fondazione di Roma come inizio,
cioè come anno primo dell'era cristiana, è del secolo VI, cioè del tempo dell'impero di Giustiniano. A introdurre il
sistema cristiano di computare gli anni fu il monaco Dionigi il Piccolo, amico di Cassiodoro: Dionigi iniziava a contare
dalla nascita di Cristo che corrispondeva al 754-753 dell'era di Roma, in base però a calcoli immaginari tratti dal
Vangelo di Luca che sono poi in contrasto con il racconto di Matteo, che colloca la nascita di Cristo al tempo del re
Erode (4 a.C.). Nei primi tempi del cristianesimo varie fonti mettevano in evidenza il nesso tra la nascita dell'impero
romano sotto Augusto e l'inizio del regno di Cristo e dell'era cristiana. Per quanto riguarda mese e giorno della
nascita di Cristo erano state proposte dal IV secolo varie date. La data del 25 dicembre che risale all'età di Costantino
è probabile che risultasse dall'intreccio tra solstizio d'inverno, in cui la religione di Mitra celebrava la rinascita del
sole e tradizione degli apologisti che avevano presentato Gesù come vero e unico sole della salvezza. Quando si dice
era cristiana o volgare si intende quella stabilita secondo il computo dionigiano e il principio di questa è in ritardo di
3 o 4 anni rispetto alla nascita di Cristo. I primi documenti nei quali è stata adottata l'era cristiana risalgono al VII
secolo e sono stati redatti nelle isole britanniche, dove ad usarlo era Beda nella Historia ecclesiastica. In Italia il primo
ad utilizzarlo fu Cassiodoro. Con papa Niccolo II l'uso dell'era cristiana divenne frequente, ma gli stili adottati
rimasero diversi fino ad Alessandro II. Dopo il Mille era il computo cronologico più usato.

Mesi, giorni, indizioni: L'anno del medioevo lo si faceva iniziare il primo gennaio (stile della circoncisione), il primo
marzo (stile veneto), il 25 marzo (stile dell'incarnazione) o il primo settembre (stile bizantino) o il 25 dicembre (stile
della natività) o il giorno di Pasqua (stile francese). Gli stili più di frequente usati in Italia erano quelli dell natività o
dell'incarnazione. La Chiesa era contraria all'anno solare perchè condannava il rito pagano del primo gennaio. Nei
documenti medievali accanto all'anno si trova sempre l'indizione, che rappresenta un periodo cronologico di 15 anni
numerati progressivamente all'interno di ciascun ciclo, da 1 a 15. Questo criterio di datazione fu usato per la prima
volta in Egitto e è diventato computo cronologico ai tempi di Diocleziano. L'anno di inizio delle indizioni era fissato al
313 e dunque l'anno 4 d.C. aveva l'indizione prima e il principio dei cicli indizionali si trovava in ritardo rispetto al
punto di partenza dell'era cristiana dionisiaca. Il calendario cristiano era quello di Roma secondo la riforma di Giulio
Cesare che fissava l'anno solare di 365 giorni e 6 ore, riforma corretta fino al 1582.

Procedimenti materiali e mentali delle falsificazioni: Lo studio delle datazioni è importante perchè contribuisce alla
non facile identificazione dei falsi pubblici e privati. Ma un falso è anche una verità storica e primo compito del
ricercatore è studiare l'ambiente in cui si è proceduto alla falsificazione. Documento vero o falso che sia va analizzato
sia sul piano filologico che su quello simbolico. E' necessario sottoporre i documenti a rigorosa analisi, senza
trascurare i criteri suggeriti dall'interpretazione simbolica dell'antropologia.

Constitutum Constantini: "De falso credita et ementita Constantini donatione" di Lorenzo Valla è l'analisi più
significativa di un documento falso, che non si limitava alla lettura del nesso tra parole e cose, all'individuazione di
una scrittura la cui grammatica riconduceva ad ambienti della curia romana dell'VIII secolo e non alla cancelleria di
Costantino. Nel dimostrare la falsità del documento, lo recuperava come testimonianza di cui poteva mettere in luce
luogo, tempo e contesto in cui era stata progettata e realizzata, ma anche i fini. Redatto nella curia papale nella
seconda metà dell'VIII secolo, e riproposto in copia con lettera d'oro del 962 in occasione dell'incoronazione di
Ottone I, la Donazione, dall'XI secolo veniva considerato come punto di riferimento fondamentale per convalidare i
sogni pontifici. Valga la sua utilizzazione, in traduzione greca, nelle polemiche tra Cerulario e Umberto di
Silvacandida. Della funzione della Donazione sono testimonianza le vicende in sintonia con la supremazia pontificia e
la politica di Innocenzo III (1198-1216) che documentava le sue scelte, volte a far prevalere il potere spirituale e
temporale della sede romana, con citazioni letterali della Donazione. Si trattava di un documento che aveva
condizionato la vita politica e religiosa del Medioevo, riflettendo non ciò che sarebbe dovuto esserem ma ciò che
allora si credeva naturale che fosse. Anche Petrarca aveva dimostrato la falsità di due documenti che si facevano
risalire a Giulio Cesare e Nerone con cui si concedeva indipendenza all'Austria dall'impero, ma attraverso una
metodologia che si esauriva in un'analisi della lingua e dello stile e non valutava le ragioni che avevano spinto a
falsificare quei documenti, cosa che invece fece Valla.

Verità diplomatica e verità storica: bisognava giungere al XVII secolo perchè il problema dei falsi incominciasse ad
acquisire metodologia scientifica. In quegli anni era vivo il dibattito sulla necessità di disporre regole, cioè di avere a
disposizione un metodo logico-matematico di indagine in grado di leggere l'ordine naturale e divino. Il "De re
diplomatica" di Mabillon (1681) fondava la metodologia di lettura critica dei documenti e i sistemi per valutarli sulla
base di una riconosciuta autenticità. Compito specifico della diplomatica era quello di individuare e ordinare falsi,
salvaguardando i documenti dal sospetto di falso, largamente diffuso. Il problema è però quello di stabilire il nesso
tra verità manifesta e verità effettuale, tra forma e contenuto, tra verità diplomatica e verità storica. Infatti la
correttezza diplomatica (forma, rigore giuridico) non ne sancisce sempre la verità storica, cioè l'attendibilità di quel
che nel documento è attestato. Il documento diplomaticamente falso vuole sembrare ciò che non è ed è falso anche
se dice la vertià, se vuole cioè, con l'apparenza di una testimonianza legale, convalidare un fatto giuridico realmente
accaduto.

10. Archivi, repertori, lessici, glossari


Le testimonianze medievali manoscritte si possono trovare ovunque, presso famiglie nobili che conservano ancora il
loro patrimonio documentario, presso chiese e monasteri. Loro sedi naturali sono però gli Archivi di Stato, comunali
e di istituzioni ecclesiastiche, biblioteche. In tutti gli archivi la pratica conservativa è da ricondurre al nesso tra
ordinamento giuridico-amministrativo e svolgimento della politica, cioè delle esigenze del potere. Firenze, 1778,
istituzione di un "pubblico archivio diplomatico". 1808, Gioacchino Murat a Napoli istituisce un pubblico archivio per
andare incontro alle esigenze di ricerca storica e diplomatica del regno. Importanti gli Archivi di Stato, istituti pubblici
dipendenti oggi dal ministero dei Beni Culturali. Gli archivi di Stato italiani è suddiviso in 135 sedi: 95 in città
capoluogo di provincia e 40 in città minori. Manca negli archivi un criterio omogeneo di classificazione di una
documentazione quanto mai diversa nella sua composizione pergamenacea e cartacea, nella sua formulazione, nei
riferimenti alle istituzioni e ai loro modi di produzione. Prima di entrare in un archivio è necessario avere
informazioni su quella data sede. Accanto agli archivi di Stato sono presenti, sul territorio nazionale, vari altri archivi,
tra i quali per lo studio del Medioevo, sono importanti i privati e gli ecclesiastici. Il fondo documentario più
consistente di quelli privati è costituito da atti notarili e tabulari familiari, fondi documentari oggi trasferiti
negliArchivi di Stato. Per gli archivi familiari di epoca medievale pochi sono riusciti a sopravvivere perchè gran parte
delle del patrimonio documentario è confluito negli archivi di chiese e monasteri. Archivi di famiglie aristocratiche di
età medievale sono presenti in ogni parte d'Italia. Gli archivi ecclesiastici conservano la maggior parte dei documenti
medievali fino al XII secolo, ma anche per i secoli del tardo medioevo sono importanti nei quali è contenuta la
documentazione prodotta dai singoli organi della Chiesa secolare e di quella monastica. Più significativo per la
collocazione geografica e per la mass documentaria è l'Archivio segreto vaticano. Le notizie più antiche risalgono al
IV secolo, ma si sono persi quelli anteriori all'XI secolo.E' sotto il pontificato di Innocenzo III che cominciano ad essere
conservati i documenti. Nel 1879 Leone III decideva di aprire l'archivio segreto agli studiosi e nel 1881 riservava una
sala apposita alla consultazione. Prima di quella data, la segretezza era rigorosa, così come tutti gli archivi prima del
XIII secolo, rimasti segreti. L'odierna legislazione prevede che i documenti degli archivi di stato siano liberamente
consultabili. La documentazione dell'archivio vaticano va ripartita tra registri di cancelleria e registri della camera
apostolica, relativi all'amministrazione finanziaria. Gran parte delle fonti medievali è pubblicata ed inclusa anche in
collezioni, cioè volumi che lasciano aperta allo studioso la possibilità di studiare senza consultare fonti sparse qua e
là. Sono i cosiddetti repertori, di cui il più completo è il Potthast, opera di 2 volumi e divisa in 3 parti. Nella prima si
trovano due elenchi delle più importanti collezioni di fonti che si riferiscono alla storia generale d'Europa, nella
seconda varie voci riguardo autori e opere con informazioni al riguardo, nella terza un elenco agiografico con i nomi
dei santi in ordine alfabetico. Importante è il Regesta imperi, opera in cui sono raccolti i documenti dei re e degli
imperatori franchi e germanici con notizie riguardo le loro azioni e la loro vita. Gran parte delle fonti di età medievale
è in latino e in forme ben lontane da quelle della lingua classica, con una propria fisionomia e caratteristiche diverse,
create a volte da determinati bisogni. Per questo era spesso difficile interpretare i documenti e non sempre, nei
diversi luoghi e tempi, le parole hanno avuto lo stesso significato. Per far fronte a tale difficoltà si utilizzano oltre ai
dizionari, i lessici e i glossari, opere che raccolgono le parole di una lingua in ordine alfabetico e ne spiegano il
significato in base a contesto e utilizzo. Ci sono anche lessici specialistici con termini relativi a varie tipologie
linguistiche mediolatine le cui parole mutavano di significato con il mutare dello spazio e del tempo in cui erano
usate (es. Vocabolario degli Accademici della Crusca).

11. Collezioni di fonti edite.


Gran parte delle fonti riguardanti il medioevo sono comunque in forma edita, cioè pubblicate in collane specifiche e
programmate. In Italia si ricordano ancora una volta quelle di Muratori nei Rerum Italicarum Scriptores, anche se
non sono edizioni utili ad alto livello, perchè ci sono frequenti omissioni e tagli; sono testi ricostruiti quasi sempre su
un unico codice ed emanati con criteri empirici e talvolta contraddittori. I testi pubblicati possono essere divisi in
edizioni diplomatiche e sono testi fedelmente stampati con tutti gli elementi, puntaggiatura, maiuscole ecc., mentre
si parla di edizioni critiche quando ci si affianca ad esse con carattere filologico, in modo vicino a quello dell'autore.
Riguardo queste si hanno molti pregiudizi, anche se è un lavoro importante. L'editore critico inizia il suo lavoro
raccogliendo tutti i codici di una data opera giunti fino aiu suoi tempi, poi li confronta a partire da quello ritenuto
migliore e quelli che non sono copia di altri vengono poi nuovamente messi a confronto e classificati. Si può trattare
di esemplari indipendenti o perduti. Una collezione di fonti basilari per il medioevo è la "Monumenta Germaniae
Historica" opera voluta dal barone Karl Von Stein, ministro di Federico III di Prussia che oltre al fine scientifico ne
aveva uno patriottico, in quanto in essa il popolo germanico avrebbe dovuto trovare le tradizioni della grandezza
passata. Ci sono anche collane di fonti ecclesiastiche, come gli Acta Sanctorum o le Patrologiae, racconta di fonti
talmente vaste da far interrogare molti studiosi su come vi abbia potuto lavorare una sola persona; ci sono anche
collane di fontidi carattere regionale o locale e altre specifiche su argomenti e pubblicate appositamente da enti
culturali.Per favorire l'esatta ricostruzione di testi in latino è tipico degli ultimi anni offrire edizioni con testi tradotti a
fronte.

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