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1.1 I contenuti
Secondo la definizione di Tylor, la cultura risulta essere composta: “[dal]le conoscenze, le credenze,
l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo in quanto
membro della società”. Da questo punto di vista la cultura sembra coincidere con l’intera società.
L’intenzione degli antropologi di separare la cultura dalla natura spiega la loro propensione a
includere nella cultura tutti i prodotti umani, ossia l’intera sfera sociale.
Il processo di depurazione e chiarificazione è frutto del lavoro teorico di Talcott Parsons. Il processo di
depurazione ha fatto sì che i contenuti della cultura risultassero più ‘nitidi’, e che venissero riassunti in
alcuni elementi indicati convenzionalmente come: norme, valori, credenze, simboli. Nelle norme
sono incluse le convenzioni condivise, le linee guida, i criteri di giudizio, nei valori il nostro
attaccamento ai diversi ideali, nelle credenze le convinzioni profonde, le superstizioni e i giudizi,
mentre i simboli appaiono come i veri animatori di tutti gli altri elementi, perché attribuiscono a
ciascuno di essi un significato.
Le accezioni del termine “simbolo” sono numerose; il simbolo si configura principalmente come un
segno che indica la relazione di un oggetto materiale con un’idea astratta, ma il termine “simbolico” ha
assunto un’accezione molto più profonda attraverso il lavoro dell’antropologo Clifford Geertz, secondo
il quale il simbolo è una chiave d’accesso all’interpretazione di tutti i fenomeni del mondo sociale, ciò
che indica un senso.
La cultura materiale certifica il messaggio principale dell’antropologia, secondo cui non vi è società
senza cultura. Per cultura materiale si intende un ventaglio di prodotti diversificati che include gli
artefatti delle attività manuali e intellettuali: le opere di artigianato, l’abbigliamento, la cura del corpo,
l’architettura, altro.
1.4 Cultura-culture
Siamo soliti parlare di “cultura dei giovani”, “cultura etnica”, “cultura italiana”, “cultura francese”
quando vogliamo alludere a gruppi sociali e categorie di persone con le loro abitudini, collocazioni,
modi di esprimersi e stili di vita riconoscibili. “Culture” al plurale è un’espressione che accompagna lo
sviluppo creativo della società e che si moltiplica man mano che l’esperienza sociale si diversifica e si
espande. Vi sono sempre più culture e ciascuna di esse è contraddistinta da pratiche e simboli.
Il richiamo a questa distinzione è indispensabile poiché permette di tracciare il confine fra una forza
sociale pervasiva e impalpabile, la Cultura, e le sue manifestazioni singole, che corrispondono a “corpi
concreti di pratiche e di credenze”.
La Popular Culture, o cultura popolare, secondo un’espressione coniata dai Cultural Studies britannici,
rappresentano altrettante versioni della cultura al plurale, “le culture”, che costituiscono oggetti
d’indagine specifici delle scienze sociali.
(3) I capostipiti
3.1 Premessa
Gli autori classici della sociologia hanno affrontato problemi vasti e complessi.
La barriera creata dalle ideologie che impedisce agli attori di veder chiaro nelle proprie motivazioni e
nei propri interessi, che mette in scena l’apparente libertà del lavoratore che vende la sua forza lavoro,
la bellezza dell’arte greca sono fra i temi che hanno abitato la mente di Marx.
Durkheim si è interrogato sul rapporto fra le nostre volizioni individuali e le pressioni che ci avvolgono
dall’esterno, al punto che il suicidio risulta condizionato da forze collettive.
La divisione del lavoro tende ad aumentare insieme alla specializzazione tecnica dei compiti, ma ogni
segmento dell’attività produttiva ha bisogno del segmento ad esso adiacente per completarsi, e questa
combinazione viene definita “solidarietà organica”.
La scienza ha dissipato la nuvola delle credenze soprannaturali, ha consegnato il primato alla ragione,
ha facilitato l’affermazione di un approccio strumentale ma non può sostituirsi al valore degli ideali
morali che guidano l’agire umano.
Gli autori classici parlano di numerosi argomenti, ma non esplicitamente di cultura, non si curano
neppure di definirla. L’eccesso di progresso tecnico-scientifico, dell’accumulo oggettivo nella società
contemporanea compromette la libertà di espressione soggettiva. Viene indagato il fenomeno
dell’eccedenza culturale, del surplus di cultura oggettiva rispetto a quella individuale e soggettiva.
La forza della cultura viene rivendicata da Weber nella sua polemica contro il carattere monocausale
del cambiamento. La maniera con la quale Marx distingue fra “classe in sé” e “classe per sé” nella sua
analisi dei rapporti fra capitalisti e lavoratori chiama in causa come elemento principale la presa di
coscienza di questi ultimi, ovvero la loro capacità autoriflessiva di valutare la propria posizione nella
scala sociale.
7.2 Il gusto
La Distinzione. Critica sociale del gusto si basa su un’inchiesta condotta in Francia negli ultimi anni
Sessanta, che ha per oggetto i gusti culturali dei francesi in vari campi, nelle arti, nella letteratura, nelle
abitudini culturali, nell’arredamento, nel cibo e nella casa. Bourdieu intendeva così esaminare il
rapporto fra gli atteggiamenti strettamente estetici e gli orientamenti di fondo del nostro modo di vita,
gli habitus. Nel testo, le risposte degli intervistati vengono riportate per argomento e collegate alle loro
appartenenze sociali e professionali, tenendo presenti sia le classi di età che il sesso. Le classi sociali
compaiono con sottogruppi e frazioni mentre le categorie professionali vengono distinte a seconda del
reddito e delle competenze.
Il gusto, aspetto soggettivo dell’habitus, è una facoltà acquisita che distingue e che apprezza,
orientando le persone verso le posizioni sociali che spettano loro e verso le pratiche e i beni culturali
che loro si addicono. L’idea guida di Bourdieu è che il gusto costituisca una facoltà umana
“indivisibile”, un tutto unico che abbraccia tutti i gusti nel loro insieme.
L’estetica kantiana è quella che domina il nostro mondo, che guida il giudizio estetico: è in base
all’estetica che si decreta qual è il gusto “legittimo” e qual è il gusto “popolare”; al gusto legittimo e
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7.3 Il corpo
In questo campo la parola chiave è “incorporato”, termine che ricorre quasi quanto “pratica”.
La materialità dell’esistenza si sviluppa a partire dall’unica manifestazione fisica della persona, ossia il
corpo. Dal corpo preleviamo i segni fisici come lo spessore delle labbra e la forma del viso, per risalire
alla sua natura profonda, dove leggiamo gli indici di una fisionomia morale: nel modo di tenere la
bocca, una certa maniera di camminare.
Il mondo sociale viene interpretato a partire dalla corporeità e le posture del corpo evocano i
sentimenti e i pensieri. Nelle Meditazioni Pascaliane Bourdieu ricorda il modo con il quale lo scrittore
James Baldwin si è soffermato sull’apprendimento da parte del bambino nero della differenza fra
bianchi e neri e dei limiti assegnati a quest’ultimi, mentre nel Dominio Maschile cita l’esistenza di una
proprietà corporea arbitraria, ossia il colore della pelle.
Il corpo è uno strumento di conoscenza pratica, si muove guidato da un’intenzionalità pratica e nello
stesso tempo custodisce un sapere “cinetico” che anticipa le traiettorie dell’agire pratico.
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11.3 “L’etnometodologia”
Rispetto all’interazionismo simbolico l’etnometodologia considera il senso comune come un’entità
complessa. Concepita come studio dei microfenomeni sociali, l’etnometodologia, ideata da Harold
Garfinkel, corrisponde soprattutto alla procedura di analisi.
Garfinkel adotta il concetto di account, che letteralmente significa “dar conto di”. Gli accounts sono
pratiche cognitive che formano i significati e giustificano il funzionamento della realtà; attraverso gli
accounts gli individui riproducono e spiegano la realtà così come è stata condivisa e resa familiare.
Ogni account possiede una natura indicale e per essere compreso deve essere considerato in un
contesto più ampio che richiede poi nuove spiegazioni e nuovi quadri di riferimento.
Attraverso una serie di esperimenti condotti dai suoi studenti, Garfinkel è riuscito a dimostrare che
nelle relazioni sociali il dubbio, l’incertezza e l’ignoto sono costantemente in agguato. Inoltre, ha
dimostrato che procediamo in base a continui aggiustamenti, la cui necessità ci è segnalata da ciò che
Garfinkel definisce “infratesto”: un metalinguaggio fatto di gesti, espressioni facciali, toni vocali, pause
e accelerazioni, modi di dire ed esclamazioni che riceviamo e inviamo nel corso dell’interazione.
Garfinkel parla della necessità di procedure ad hoc, legate al contesto specifico e non dell’applicazione
di norme generali, valide una volta per sempre.
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13.2 La comunicazione
I processi e le dinamiche della comunicazione alimentano la cultura alla sua radice. Gli individui
captano dall’ambiente degli stimoli e dei messaggi che contribuiscono a formare le loro opinioni e a
modificare la loro condotta. La nostra comunicazione è guidata dalla “definizione della situazione”:
siamo in grado di condividere il senso della situazione in cui ci troviamo a vivere. La comunicazione
interpersonale (faccia a faccia) è un processo di reciprocità, a spirale, tra due o più persone, capace
di attivare una serie di operazioni a livello cognitivo, emotivo, affettivo, interpersonale. Nella
comunicazione faccia a faccia il flusso è bidirezionale, dialogico, basato sulla compresenza. La
comunicazione di massa, invece, implica un processo di trasmissione in cui un elemento culturale,
diffuso da un gruppo ristretto, investe una molteplicità di individui. Tale tipo di comunicazione è
veicolato da strumenti tecnologici così avanzati che il contenuto non scompare dopo il momento
comunicativo, anzi, è “depositato” in anticipo su un formato che permette una facile conservazione e
riproduzione.
Con lo sviluppo della comunicazione a distanza, il telegrafo, la radio, era sorta la necessità di
inquadrare i processi comunicativi in uno schema teorico. Lo schema di base, elaborato dal sociologo
Harold Lasswell, includeva un emittente, che avvia la comunicazione attraverso il messaggio; un
ricevente, che accoglie il messaggio, lo codifica e lo interpreta; un codice, ovvero la parola parlata o
scritta; un canale, cioè un mezzo di propagazione fisica del codice; un contesto, l’ambiente all’interno
del quale si sviluppa la comunicazione; infine, un referente, che rappresenta il tema della
comunicazione cui è riferito il messaggio.
Lo sviluppo delle comunicazioni di massa si è verificato in concomitanza con il consumo della carta
stampata cui è seguita la nascita e la diffusione della fotografia, del cinema e della radio, fino
all’avvento della televisione. L’analisi dei mass-media ha posto in secondo piano la comunicazione,
precludendo lo sviluppo di una disciplina autonoma che ponesse al suo centro la comunicazione tout-
court e non soltanto quella di massa.
L’approccio struttural-funzionalista ha cercato di determinare il funzionamento dei mass-media e la
loro reale consistenza. Merton, Katz e Lazarsfeld hanno prestato attenzione alle funzioni esercitate dai
mass-media come parte integrante del sistema sociale, ma si tratta tuttavia di un approccio troppo
concentrato su gli aspetti procedurali della comunicazione. Per comprendere gli effetti prodotti sugli
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13.3 La semiotica
Per lungo tempo la semiologia – la disciplina che prima della semiotica ha studiato i “segni” – si è
occupata di produrre una riflessione sistematica delle leggi che li regolano, sui loro usi nella
comunicazione linguistica, accostandosi per molti versi alla filosofia del linguaggio. A partire dagli anni
Sessanta la semiotica, a differenza della semiologia, ha incluso nei suoi interessi tutti i fenomeni di
comunicazione e significazione. Oltre alle lingue naturali e ai linguaggi formalizzati, ha guardato alle
forme espressive non verbali, e soprattutto ai linguaggi espressivi dei media. In particolare, la
semiotica considera “testo” qualunque porzione di realtà che sia dotata di significato, di cui si possano
definire i limiti e individuare livelli gerarchici di analisi. All’interno della semiotica è emersa la
tendenza ad abbandonare la necessità di individuare l’architettura interna dei fenomeni segnici volti a
rintracciare le regole costitutive. Ciò ha favorito lo sviluppo di approcci non totalizzanti che si
occupano di particolari e specifici sistemi di segni.
Umberto Eco è stato uno dei primi critici a sottolineare che un testo non è la superficie di strutture
ontologiche significative, piuttosto sposta l’enfasi sul problema dell’interpretazione, elaborando il
modello teorico della “cooperazione testuale”, incentrato sul cosiddetto “testo virtuale”: la sua
interpretazione dipende dal frame – il contesto che lo caratterizza – e dall’insieme delle esperienze.
L’approccio di Umberto Eco produce degli effetti notevoli, in primo luogo un certo eclissamento della
figura dell’autore, a favore del cosiddetto “autore implicito” o del cosiddetto “autore modello”.
Parimenti, vi è un “lettore empirico”, il quale fa vivere il testo attraverso la propria personale
interpretazione, e un “lettore modello”; l’esito è una “cooperazione testuale”. Secondo Eco, il lettore
è libero di trarre dal testo le interpretazioni che egli reputa più plausibili.
13.4 La memoria
Nelle società senza scrittura la memoria veniva trasmessa oralmente. Con la scrittura la memoria ha
potuto contare su strumenti e “spazi di archiviazione” supplementari, ampliando la qualità e la
quantità delle informazioni trasferibili da un’epoca all’altra. Tuttavia, l’invenzione della stampa, unita
alla lenta diffusione delle capacità di lettura, è stato un passaggio culturale fondamentale.
La cultura moderna ha alimentato un vero e proprio culto della memoria, al cui centro vi è il carattere
soggettivo dell’esperienza, la paura di dimenticare. Il nostro Io sente la necessità di rielaborare i
ricordi, per non perdere di vista l’immagine di sé. La memoria si sposa con le nostre intenzioni, con il
nostro sguardo rivolto al futuro ed è un sistema flessibile che opera classificando, archiviando e
riattivando le informazioni più svariate. Le discipline neurobiologiche distinguono una “memoria
episodica” che conserva parte degli eventi, una “memoria semantica” che racchiude il sapere e le
conoscenze, una “memoria di tipo emotivo”, rivolta a ricordi piacevoli o spiacevoli e, infine, una
“memoria procedurale” che raccoglie le capacità apprese meccanicamente o in parallelo alla
socializzazione. La memoria è un fenomeno sociale, lo sosteneva Maurice Halbwachs, il quale
distingue tra “memoria sociale” e “memoria collettiva”. La prima corrisponde all’insieme dei saperi
e dei tratti culturali che la società riproduce e aggiorna nel tempo, la seconda è specifica di un gruppo.
Nella memoria sociale Halbwachs intravede il legame che tiene insieme una generazione con la
successiva, nella memoria collettiva riconosce il segno delle divisioni sociali. Halbwachs analizza anche
gli spazi socialmente ristretti in cui si riproducono le memorie collettive: la famiglia, i ceti
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15.2 Le subculture
Le “culture giovanili” vengono definite in tal modo perché “produttrici di innovazione”. Fin dal suo
primo apparire – secondo Gillis – il comportamento insubordinato dei giovani era stato etichettato
come “delinquente”. In un paese di immigrazione tumultuosa e di sviluppo esuberante, negli anni
Quaranta e Cinquanta del Novecento, i giovani iniziano a rompere gli schemi ma anche le leggi,
creando disordine e provocando repressioni severe. E’ proprio intorno a questi anni che viene coniata
la parola “subcultura”, la quale indica microcosmi semiautonomi, dotati di abitudini, stili,
atteggiamenti e linguaggi propri. La scuola sociologica dell’Università di Chicago si era occupata dei
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17.2 Il multiculturalismo
Le minoranze portano con sé nel paese nel quale vanno le loro differenze di pratiche, abitudini, di
lingua, di religione. Il “gruppo” etnico, religioso, razziale o di genere, è ricomparso sulla scena dei paesi
moderni, complicandone il quadro. All’inizio le minoranze immigrate sembravano subire i programmi
di integrazione che venivano loro sottoposti, ma in seguito hanno preso coscienza, trovato una voce,
esercitato pressioni per esibire apertamente la loro diversità culturale. Le pressioni più forti tra
minoranze e cittadinanza nascono dalla parola “assimilazione”; l’assimilazione è imporre a una
minoranza un modello di vita a lei estraneo che la etichetta comunque come inferiore. Il
multiculturalismo fa propria l’esigenza di riconoscere la pari dignità e il rispetto delle espressioni
culturali dei gruppi e delle comunità che convivono, e nessun gruppo può reclamare una superiorità a
priori, di diritto, sugli altri. L’autorizzazione alle differenze di gruppo trascura il fatto che i contenuti
dell’identità vengono definiti da una frazione del gruppo, non dalla sua totalità. In culture diverse, in
quelle orientali o in quella islamica si ha una subordinazione e un’obbedienza da parte delle donne. Se
i gruppi etnici vengono autorizzati a governarsi da soli opprimeranno le donne e i membri deboli del
gruppo in nome della propria cultura.
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