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PARTE I -> LE ORIGINI DELL’ANTROPOLOGIA:

M-DEA e cultura:
Antropologia è disciplina definita dall’acronimo M-DEA il quale comprende demologia (studi di folklore
di cultura popolare e tradizionale fondati sulla base del concetto gramsciano di “cultura subalterna”),
etnografia (studi settoriali su specifici popoli) e antropologia (approcci comparativi e teorico), discipline
il cui oggetto di studio è l’uomo e la sua cultura articolata in espressioni etniche e popolari. La cultura
indica i prodotti dei lavori intellettuali degli uomini insieme agli elementi non biologici attraverso i quali
i gruppi umani si adattano all’ambiente e organizzano la loro vita sociale, cultura sono le istituzioni
tecniche, il lavoro, le forme di parentela, il linguaggio. Non è possibile parlare di culture come entità
compatte e ben definite coincidenti con un popolo ed un territorio.

L’antropologia culturale studia l’uomo in ambito fisico, culturale, sociale e nei suoi comportamenti nella
società, essa si costituisca come disciplina autonoma nel 1871 anno di pubblicazione di “primitive
culture” da E. B. Taylor, anche se è più corretto parlare di antropologia culturale nei primi anni del
Novecento, una volta definito la metodologia di ricerca sul campo.

• Etnologia: livello intellettuale di confronto, comparazione e generalizzazione;


• Etnografia: ricerca sul campo e raccolta sistematica di dati;
• Antropologia: analisi intellettuale dei fatti e dati raccolti volta alla definizione di paradigmi
universalizzati che mirano a comprendere il motivo profondo delle azioni e pensieri umani.

La nascita della disciplina istituzionalizzata avviene in un clima di positivismo, nazionalismo e


colonialismo per cui l’antropologia studia ciò che l’Europa si è lasciata alle spalle, studia culture primitive,
escluse dal processo di modernizzazione. La prima tensione intellettuale nasce come risultato
dell’accostamento del termine “primitivo” al concetto di cultura in un’ottica progressista che vede i
popoli “primitivi” come bestiali e privi di ogni cultura. Gli antropologi nascono come studiosi “moderni”
che si occupano di altri “primitivi”. Si distingue:
• antropologia culturale: Morgan (teoria descrittiva e classificatoria sulla famiglia) in America,
curiosità verso i nativi americani (irochesi di montagne rocciose, Nebraska e Kansas).
• antropologia sociale: Gran Bretagna, Radcliffe-Brown, l’enografia prende spazio
nell’antropologia, esito di un colonialismo di “indirect rule”
• etnologia: Francia, esito di colonialismo per “direct rules”. Durkheim vuole cogliere le ragioni
nascoste dietro l’accadere dei fatti social i quali si mostrano elementari e più comprensibili da
un punto di vista scientifico quando presenti nelle società più semplici. Il punto di vista è quello
del positivismo.
• demologia o studi di folklore: interesse per ceti suburbani e mondo contadino del contesto
italiano. Paolo Mantegazza, Ernesto De Martino (etnocentrismo critico e scandalo etnografico
derivante dall’incontro-scontro fra culture diverse, non è possibile esprimere giudizi o riflessioni
su abitudini culturali altre poiché è la cultura che definisce il criterio di giudizio, è la cultura a
stabilire cosa è normale e cosa non lo è; smentisce le contraddizioni del relativismo e cerca di
superare i limiti dell’etnocentrismo, sostenendo che sia impossibile spogliarsi completamente
della propria cultura di appartenenza nell’incontro con l’altro. Tutto ciò che si può fare è
trasformare questa irriducibile distanza in una risorsa, che conduca a interrogarsi ancora più
sulle categorie usate dal pensiero occidentale. Unisce pratiche etnografiche a metodi di ricerca
folkloristica per emancipare le culture rurali dei contadini del Mezzogiorno) e Giuseppe Pitrè.

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L’antropologia nasce come scienza e disciplina dell’osservazione, il filosofo osservatore è viaggiatore
che allontanandosi dall’Europa e dalla modernità compie un viaggio a ritroso nel tempo al fine di
osservare popoli che rappresentano ciò che sono stati nel passato i popoli europei, il filosofo riflette
sistematicamente su ciò che accade sotto il suo sguardo poiché per conoscere bisogna rivolgere lontano
lo sguardo ponendosi professionalmente nei panni dell’estraneo e compiere viaggi di conoscenza. Il
metodo antropologico può essere simbolicamente definito come “il giro lungo”, contrapposto al “giro
breve” delle forme di conoscenza puramente speculative. Così, in epoca della globalizzazione
l’antropologia muta il suo oggetto di studio nelle differenze piuttosto che nella primitività, la
globalizzazione ha infatti moltiplicato le differenze. Lo studio delle differenze (attraverso la
comparazione) pone gli individui ad osservare criticamente anche le proprie abitudini, per cui vengono
ridiscusse le categorie valutative. Nel Novecento viene a delinearsi il concetto di indagine empirica svolta
sul campo (Boas e Malinowski), viene coniato il termine di osservatore partecipante (in Argonauti del
Pacifico Occidentale) secondo approccio olistico finalizzato a cogliere il punto di vista dei nativi.

Antropologia applicata e pubblica:


L’antropologia nasce come disciplina applicata allo studio delle società assoggettate agli imperi coloniali.
Il primo corso universitario in antropologia, tenuto ad Oxford negli anni ’80 del XIX secolo, era pensato
per preparare futuri amministratori coloniali. È in relazione a questo precedente che si presentano i
primi casi di antropologia applicata, nei termini di raccolta di informazioni utili all’amministrazione dei
territori da parte dei governi coloniali.
L’antropologia applicata è generalmente votata alla trasformazione della società e non alla semplice
osservazione. Con antropologia pubblica si intende un modo di pensare la disciplina maggiormente
votato al dialogo con la società. 2013 Italia: “Riserva Selezionata” progetto di uso pubblico
dell’antropologia. Altro esempio è l’appuntamento annuale del World Anthropology Day.

Lo sviluppo del pensiero antropologico:


• Evoluzionismo: E. B. Taylor descrive il progresso come il processo di trasformazione dal semplice
al complesso (istituzioni delle città borghesi, frutto di etnocentrismo) attraverso la successione
di tre stadi: selvaggio, barbarico e civilizzato. Formula la teoria della poligenesi che descrive la
nascita parallela di fatti simili in aree geografiche diverse secondo un approccio uniformista per
cui l’evoluzione si dispiega in modo graduale e continuativo e costante, seguendo alcune leggi
che restano invariate nl tempo e nello spazio; l’evoluzione uniforme però non procede alla stessa
velocità nelle varie parti del mondo (sopravvivenze usi e costumi della propria cultura affondano
le radici in sacrifici, credenze e valori del passato). Esempio di evoluzionismo antropologico è la
nascita delle religioni da un pensiero animista che vede il filosofo selvaggio riflettere sul mondo.
• Diffusionismo: Boas sostiene la teoria della monogenesi per cui è necessario risalire all’unica
fonte di un dato fatto culturale attraverso l’approccio del particolarismo storico secondo il quale
un costume deve essere posto in relazione al suo contesto storico e non estrapolato dallo stesso.
• Teoria sociale della cultura: la società è più degli individui che la compongono, è un ente nel
quale l’idea collettiva subordina l’idea individuale (Durkheim studio sul suicidio), la società
condiziona i pensieri ed i sentimenti degli uomini controllandone le azioni ed il momento in cui
il noi prevale sull’io si concretizza nei momenti rituali che generano sentimenti morali, la
religione non si basa sulla fede ma nella performance rituale che rappresenta l’interfaccia tra
individuo e società. Durkheim esorta a studiare i fatti social come cose.
• Funzionalismo: Malinowski sostiene che ogni aspetto della società abbia in essere una funzione
atta al mantenimento stesso della società; di fronte a un tratto culturale non ci si chiede più
come abbia avuto origine, ma a cosa serve in relazione ad altri tratti e all’equilibrio del sistema
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che li comprende. Pritchard con la descrizione delle stregonerie politiche degli Azande spiega
come non ci sia nulla di illogico nella stregoneria, i riti e le religioni hanno un ruolo funzionale e
pratico. In Anarchia ordinata Pritchard chiarisce come la società acefala ed il sistema
segmentario dei Nuer permetta l’esistenza di un equilibrio stabile. Nella prospettiva
funzionalista la società si regge sull’equilibrio dei vari aspetti che la compongono e che ne
costituiscono gli ingranaggi. L’antropologia non si occupa di individui astratti definiti dai propri
bisogni naturali (ai quali la cultura «risponderebbe»), ma di persone concrete in società
particolari: dove il termine «persona» indica un essere umano considerato come intreccio di
relazioni sociali; i questo senso Radcliffe-Brown riprende da vicino Durkheim nel considerare la
società come una totalità organica, in cui ogni componente esiste per contribuire alla
preservazione dell’insieme. Tali componenti sono connessi in una trama di relazioni ordinate,
vale a dire in una struttura. Funzione di ogni pratica culturale è «il ruolo che essa svolge nella
vita sociale intesa come totalità e perciò il contributo che dà al mantenimento della continuità
strutturale». I riti sono meccanismi di trasmissione e perpetuazione di questi sentimenti.
L’approccio di analisi è quello olistico che vede la società come un tutto e la cultura come
contrapposta alla natura perché nata per soddisfare bisogni elementari dell’uomo. Il
funzionalismo studia però società omeostatiche perché assoggettate politicamente al
colonialismo.
• Strutturalismo: la società è la rappresentazione di strutture astratte del pensiero umano. Strauss
(studio su forma di parentela, miti e dicotomia natura-cultura) formula la teoria dell’alleanza
secondo la quale l’elemento essenziale della vita sociale è la reciprocità, e la forma più
elementare della reciprocità è lo scambio matrimoniale. Il tabù dell’incesto costituisce la
condizione negativa necessaria per istituire la reciprocità. La regola di reciprocità assume
essenzialmente due forme: lo scambio ristretto e lo scambio generalizzato.
• Antropologia simbolica e interpretativa: Clifford Geertz: rimanda al concetto di antropologia
come etnografia densa che non si ferma alla mera descrizione dei fatti ma cerca di
comprenderne il significato nascosto per capire ciò che gli uomini pensano e fanno. L’uomo è un
animale in una ragnatela di significati che egli stesso ha teso. L’approccio di fondo è quello
dell’ermeneutica secondo la qual il ricercatore non può disfarsi delle proprie categorie neppure
per finzione metodologica. L’idea di circolo ermeneutico presenta sotto una nuova luce la
tensione tra etnocentrismo e relativismo. Non si può fare a meno di partire dai propri pregiudizi,
ma nel confronto con la diversità se ne diventa consapevoli e disponibili ad andare oltre. Secondo
l’approccio ermeneutico il sapere deve essere comprendente e non esplicativo per cercare di
chiarire il significato delle pratiche culturali attraverso un progressivo accostamento delle
categorie del ricercatore e quelle degli attori sociali. Il sapere è dunque una forma di
comprensione pratica, è un lento processo che procede per tentativi ed è parziale e provvisorio.
Per Geertz l’oggetto di studio sono le forme di vita: pratiche irriducibili a modelli cognitivi o a
una razionalità discorsiva insieme alla descrizione delle forme di vita culturale attenta al "punto
di vista dei nativi".
• Svolta: James Clifford writing culture, segue la pubblicazione del diario di campo di Malinowski.
Ci fu quindi un successivo filone di antropologia riflessiva (tematizzazzione del pensiero
dell’autore, piuttosto che elusione) e un filone realista (utilizzo del tempo presente,
spersonalizzazione dell’autore). Oggi si tende a raccontare qual è stato il percorso compiuto dal
ricercatore, a sottolineare le caratteristiche dell’esperienza etnografica e a utilizzare la prima
persona. Si rende esplicita l’ipotesi che ha guidato la ricerca in modo da permettere al lettore la
verifica dell’interpretazione fornita. Anche la posizione riconosciuta ai soggetti coinvolti

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nell’etnografia è mutata completamente, gli interlocutori non rivestono più il ruolo passivo di
«informatori» ma sono valorizzati come co-produttori attivi di significati e interpretazioni.
• Approccio post-coloniale: Franz Fanon e Edward Said: il potere esercita una funzione plasmante
sul sapere e nel condiziona la forma. In particolare, Said intravede la tendenza a costruire
l’«Oriente» e gli «orientali» come una inversione speculare dell’identità occidentale, una alterità
in cui risaltano e si amplificano per contrasto le virtù e i vizi, i desideri e le proibizioni, i valori
estetici e morali che i dominatori attribuiscono a sé stessi. Negli anni ’90, la critica al
«culturalismo» sfocerà in un’etnologia storica che vuole rinunciare al concetto di cultura e a tutti
i suoi correlati, facendo coincidere la comprensione antropologica con l’analisi dei rapporti di
forza e strutturali che intercorrono tra gruppi umani. “idee, culture e vicende storiche non
possono venir comprese se non si tiene conto delle forze storiche o configurazioni di potere che
ad esse sono sottese”. Fanon distingue le essenze (potere) dalle apparenze (cultura) e relega nei
miti e nelle vicende sovrannaturali la rabbia e i sentimenti di soppressione ed opposizione
generati dal colonialismo.

Antropologia da tavolino:
Indica antropologia di collezione etnografica, basata sulla lettura di testi di seconda mano e concretizzata
nella produzione di scritti a carattere enciclopedico.

Il metodo di ricerca:
• Il campo di Malinowski ha subito un’evoluzione in termini spaziali in quanto non più considerato
come circoscrivibile geograficamente e coincidente con il concetto di lontananza quanto più con
il concetto di remoticità (iperluogo), il campo è condivisione e contatto diretto attraverso il
comune linguaggio ma l’oggetto di osservazione può trovarsi all’interno della propria comunità
(anthropology at home), si sono infatti sviluppate forme di antropologia nativa, domestica o
forme di autoetnografia il cui fulcro è costituito dallo stesso antropologo. Gli effetti della
globalizzazione hanno trasformato radicalmente i legami sociali, il senso delle distanze e le forme
delle comunità, superando la precedente equivalenza comunità/cultura/luogo, portando a delle
forme di etnografia multi situata, in cui il ricercatore segue soggetti e gruppi nei loro
spostamenti, lungo flussi migratori o nelle relazioni fra comunità diasporiche e luoghi di
provenienza.
• Comparazione: Humans Relations Area Files di George Peter Murdock, archivio di dati
etnografici in formato standard con la pretesa di registrare e rendere comparativamente
analizzabili tendenzialmente tutte le culture del mondo.
• Traduzione: è interpretazione che conserva margine di intraducibilità.

Approccio etnografico:
Annotazione di appunti in forma scritta (prevalentemente e inizialmente, ma non solo), le note si
distinguono in osservative, riflessive e immaginative. È necessario riportare sempre data, ora e luogo.
Si aggiungono inoltre rappresentazioni grafiche, immagini, audio, foto e video (possono quest’ultimi
rappresentare fatti ed azioni permettendo di dar voce non solo alle parole ma anche ai gesti e alle azioni,
il corpo umano diventa protagonista e interlocutore). Le immagini hanno immediatezza sensoriale che
non appartiene allo scritto. È importante la scelta dell’informatore. L’Ethnographic Survey Of United
Kingdom lanciata nel 1892 è un piano di indagine preliminare su un determinato territorio finalizzato al
reperimento di dati inerenti alle comunità umane presenti, in particolare alla raccolta del maggior
numero possibile di informazioni riguardanti la vita sociale, la cultura materiale e i sistemi di

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rappresentazioni di uno o più gruppi etnici che fanno parte di un’area linguistica comune (spedizione di
Torres).

Il concetto di razza:
Il termine razzismo assume connotazione negativo dopo la Second Guerra Mondiale, fino ad allora aveva
infatti indicato politiche progressiste di miglioramento della specie umana. Secondo Gobineau la razza
deriva dalla naturalizzazione delle differenze interculturali (le differenze sono naturalmente
determinate), dall’esistenza di una rigida gerarchia e dall’orrore per la mescolanza.
Nel tardo Ottocento si ha lo scontro tra teorie monogenetiche (unica origine, le differenze sono dovute
dall’azione di fattori storici esterni) e poligenetiche (più origini e sviluppo di percorsi paralleli influenzati
da fattori interni e irriproducibili). Darwin introduce il concetto di evoluzionismo che supporta la teoria
monogenetica e il razzismo stesso in quanto la comune origine dell’uomo ha portato allo sviluppo di
diverse razze in seguito a diversa capacità di adattamento il che supporta l’idea gerarchica. Francis
Galton ideatore del concetto di eugenetica. Il razzismo si configura, secondo Taguieff, come processo
stadiale di:
• Categorizzazione essenzialista (ridurre l’individuo ad esponente di una categoria biologica);
• Stigmatizzazione o attribuzione di stereotipi negativi
• Barbarizzazione (rifiuto della possibilità di civilizzazione di individui appartenenti alle razze
inferiori)
Questo porta a segregazione marginalizzazione, espulsione, poi ad atti di violenza diretta ed infine a
genocidio. Da qui il paradosso dell’antirazzismo che rischia di adottare le medesime misure
comportamentali identificando nella figura assoluta del razzista un individuo soggetto al male e non
riconvertitile al bene.
• Razza è quindi una categoria senza basi scientifiche utilizzata per descrivere differenze genetiche
ma anche intellettuali e comportamentali fra popolazioni come sostegno dell’esperienza
coloniale.

Il concetto di cultura:
Ciò che è alla base della sostanziale unità del genere umano intesa come insieme di usi, tradizioni e
costumi. L’antropologia definisce la cultura come gerarchicamente definita in quanto l’immagine del
primitivo-bambino descrive popoli contemporanei ma culturalmente e temporalmente “indietro”; è solo
nel Novecento che subentra il concetto di relativismo che riconosce la pluralità culturale.

Il concetto di etnia:
Termine che indica l’esistenza di differenze pre-politiche (non riconducibili all’istituzione dello stato) tra
persone. L’accezione antropologica in sostanza definisce come etnia un gruppo che condivide un insieme
di elementi culturali, quali la lingua, la religione, certi usi e costumi. Noi non siamo mai «etnici», e non
lo è mai la grande cultura, quella dominante. Etnici sono gli altri, i più arretrati o i più poveri, le
minoranze.
L’antropologia non è affatto estranea a questa tendenza all’essenzializzazione o reificazione. A lungo
essa ha fornito un’immagine eccessivamente statica, compatta e «divisionista» delle culture, e di
conseguenza delle etnie. Si potrebbe dire, con un paradosso, che l’antropologia ha naturalizzato le
culture, ha abituato a pensarle come cose che esistono prima e indipendentemente dai processi storici,
da un lato, e dall’altro dagli individui che ne fanno parte. Quando si parla di conflitti etnici si presuppone
uno scontro tra appartenenze primordiali chiare e distinte, che pre-esistono al conflitto attuale e anzi
ne sono la causa, non si prende abbastanza in considerazione la possibilità che, almeno in parte i
sentimenti di appartenenza, il senso delle differenze siano la conseguenza e non la causa dei conflitti. Si
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parla di razzismo culturale o differenzialista quando si considerano le differenze etniche in modo
assoluto e naturalmente determinato il che rende possibile utilizzare tali diversità come assunto
biologico e scientifico capace di autorizzare e giustificare il razzismo stesso.
La critica al modello dell’antropologia che descrive il mondo come suddiviso in un numero finito, per
quanto ampio, di unità etnico-culturali discrete, distintive, simmetriche e per certi aspetti eticamente
incommensurabili (nel senso di irriducibili a criteri di giudizio sovra-culturali), ha portato all’affermazione
secondo cui oggi non esistono essenze etniche: se utilizzato in maniera essenzialista questo modello
rischia di offrire una visione reificata e naturalizzata delle differenze fra gruppi umani che porta
all’identificazione di un mondo suddiviso in una irriducibile pluralità di culture, intese come entità
autonome di uguale identità, ma ben distinte e immutabili secondo un punto di vista assolutistico. La
negazione di tale modello tuttavia porta alla nascita della criticità relativa alla riconduzione della propria
identità.

Il giro lungo (Clyde Kluckuhohn):


Conoscenza è viaggio, per comprendere i propri valori è necessario confrontarsi con ciò che ci è meno
famigliare, per comprendere la diversità è necessario passarci attraverso e non evitarla. Montaigne
precede il relativismo culturale (analisi su pratiche di cannibalismo) e ne introduce il paradosso, se infatti
tutto è consuetudine cosa è irragionevole?

Relativismo epistemologico:
Nello scenario post-empiristica la razionalità scientifica non è punto di riferimento ma poggia su basi
storico-culturali, la filosofia abbandona la ricerca di un metodo garante della corrispondenza esatta con
la realtà e viene intesa come descrizione empirica di contesti nei quali si strutturano forme particolari e
irriducibili di razionalità. Non si tratta di negare l’esistenza della verità o della realtà oggettiva a priori
ma di smettere di pretendere di possedere a priori criteri universali di razionalità prima di accostarsi alla
diversità culturale. Sorge dunque il problema circa l’esistenza o meno di criteri minimi ma universali di
razionalità necessari alla comprensione della diversità culturale. Peter Winch descrive la scienza, la
stregoneria e la religione come diversi modi di dare un senso al mondo.

Relativismo culturale e etico:


Non si possono formulare giudizi etici, estetici e talvolta cognitivi al di fuori di un contesto culturale
poiché è il contesto culturale a stabilire i criteri di riferimento. Ogni tentativo di stabilire criteri sovra-
culturali di riferimento è etnocentrico. Tutte le culture hanno pari dignità e non possono quindi essere
giudicate sulla base di criteri ad esse estranei. Herkovits sostiene che ciascun uomo si sente libero nel
rispetto del concetto di libertà proprio della sua cultura in Statement on Human Right, perciò ogni
individuo realizza la propria personalità all’interno e attraverso la propria cultura ed i valori e i costumi
sono relativi alla cultura da cui derivano, il fine di quanto affermato era l’identificazione di mondiali di
libertà e giustizia nel rispetto della relatività delle culture per combattere l’etnocentrismo, tuttavia
l’ONU rifiutò questa politica di pensiero in quanto all’epoca concepiva le differenze culturali come
disuguaglianze da superare per il raggiungimento dell’uguaglianza. Strauss sostiene la parità di tutte le
culture e la non possibilità di giudizio sulla base di criteri ad esse estranee, la diversità culturale è
giudicata come bene massimo da preservare poiché il progresso stesso non è consentito dalla prevalenza
di una cultura su tutte le altre ma dalla loro compresenza (Razza e storia, l’uomo non realizza se stesso
in un’umanità astratta ma in culture tradizionali, in “Tristi Tropici” Strauss tematizza il rischio
dell’omologazione culturale e della scomparsa delle culture tradizionali), tuttavia questo pensiero è alla
base del razzismo differenzialista o culturale in quanto sostiene la necessità di evitare contaminazioni
profonde che causino la perdita del senso di diversità. Infine, come possono essere considerati universali
i diritti umani secondo il pensiero del relativismo etico? (esempio diritti dei bambini, in Occidente l’età
adulta si raggiunge ai 18 anni ma così non è in tutte le culture; esempio delle pratiche MFG).

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Globalizzazione:
La globalizzazione affonda le proprie radici nel tempo ed è un concetto già presente poiché nato nel
contesto della colonizzazione, come si può comprendere, il termine descrive il flusso crescente di
commercio, finanza, cultura, idee e persone, consentito dagli sviluppi delle tecnologie di comunicazione
e di trasporto, nonché dalla diffusione mondiale del neo-capitalismo liberale; ma anche, al tempo stesso,
gli adattamenti locali o regionali a questi flussi, e le resistenze operate contro di essi.
Si parla di globalizzazione quando i flussi assumono dimensioni e scala tali da indebolire le istituzioni
classiche della modernità, tanto da porre in secondo piano lo stato-nazione come essenziale cornice
organizzativa dell’economia, della politica e della cultura.
Si possono distinguere cinque grandi filoni di studio sulla globalizzazione:
• ▪ Gli studi sulla globalizzazione economica, sulle nuove reti planetarie che riguardano il piano
della produzione, quello del consumo e quello degli scambi finanziari
• ▪ Gli studi sulla globalizzazione politica, sulla nascita o lo sviluppo di istituzioni internazionali e
di forme di governance e di autorità giuridica che vanno al di là del potere sovrano degli Stati
nazione
• ▪ Gli studi sui nuovi flussi migratori, che pongono l’accento non solo sulle dimensioni dei
movimenti demografici ma anche e soprattutto sulle loro nuove caratteristiche, come
l’emergere di comunità transnazionali e diasporiche
• ▪ Gli studi sulla globalizzazione della cultura e dei flussi comunicativi, consentita dai rapidi
sviluppi delle tecnologie mediali e informatiche e dall’ampliamento dei mercati dell’industria
culturale
• ▪ Gli studi sulle nuove gerarchie sociali e sui rapporti di potere e di disuguaglianza che si formano
in un contesto di interdipendenza mondiale.
La globalizzazione introduce il concetto di omologazione in quanto i flussi economici e politici
costringono una centralizzazione dei paesi europei e più benestanti confinando ai margini della periferia
quelli utilizzati per il diretto rendimento delle materia prime, imponendo loro l’utilizzo di prodotti
europei o occidentali fabbricati con la materia prima e la manodopera della periferia. In questo senso il
consumo è prevedibile. Tuttavia, sebbene i flussi della globalizzazione siano di tipo per lo più economico
e politico, la globalizzazione è anche responsabile di creare e sottolineare nuove e già presenti differenze
interculturali collocate in uno scenario eterogeneo ed ibrido ed è in questo senso che compare la
necessità di comprendere l’effetto della globalizzazione sulle differenze e l’effetto dell’incontro fra
diverse culture sulla globalizzazione stessa. Il turista in questo agisce incontrando una cultura altra che
gli si presenta rispecchiando alcuni stereotipi per incarnare le esigenze del turista che a sua volta viene
investito di un’immagine stereotipata, in questo l’incontro fra i due mondi agisce su entrambi gli attori
che diventano agenti plasmanti e plasmati. Appadurai
• Ethonoscapes
• Technoscapes
• Mediascapes
• Economicscapes
• Idioscapes
➔ Dal globale al locale: sebbene vi sia scambio di flussi e ciascun prodotto sia creato in un contesto
di globalizzazione esso viene in effetti consumato nel locale (prodotto inteso in largo senso,
anche il calcio è prodotto della globalizzazione ma possiede proprie declinazioni caratteristiche
del locale). Le teorie dell’ibridazione si riferiscono quindi all’interazione delle forze egemoniche
globali con contesti locali che ne sono influenzati ma a loro volta ne modificano gli effetti.

Immanuel Wallerstein e il sistema mondo fa riferimento a un insieme di meccanismi che ridistribuiscono


le risorse economiche del pianeta a partire da un “centro” verso delle “periferie”. Il “centro” del sistema
sono i Paesi più sviluppati e la “periferia” quelli meno sviluppati. Mentre il “centro” sviluppa la ricchezza
attraverso l’industrializzazione, la “periferia” acquista importanza soltanto come luogo delle materie
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prime. In questo meccanismo di distribuzione ineguale, il mercato e le sue leggi diventano il mezzo con
il quale il “centro” sfrutta a suo vantaggio la “periferia”. Questo è alla base dell’omologazione. Il sistema
di Wallerstein è una chiave di lettura che legge la globalizzazione come un fenomeno di continuità
rispetto alle dinamiche precedenti in quanto ribadisce l’esistenza di disuguaglianze tra nuovi centri e
nuove periferie del mondo globale.

Impero: Michael Hardt concepisce un nuovo ordine universale, economico e politico al tempo stesso,
che si presenta come molto diverso dal classico imperialismo. L’Impero non stabilisce alcun centro di
potere e non poggia su confini e barriere fisse. Si tratta di un apparato di potere decentrato e
deterritorializzato che progressivamente incorpora l’intero spazio mondiale all’interno delle sue
frontiere aperte e in continua espansione.

Manuel Castels e l’età dell’informazione: la tecnologia informatica odierna è capace di creare un nuovo
modello di sviluppo, basato sulla produzione e lo scambio di beni sempre più «immateriali». La nuova
economia che ne risulta è basata sull’informazione, sui saperi e sull’innovazione più che sul possesso di
capitali fissi; alla rigidità delle grandi imprese nazionali o multinazionali, che caratterizza il capitalismo
classico, sostituisce una struttura reticolare caratterizzata da estrema flessibilità e dalla tendenza a
ignorare i confini geografici e politici. Internet diviene il modello più preciso della nuova morfologia
sociale ed economica, oltre che un nuovo cruciale ambiente comunicativo, che trasforma il virtuale in
una realtà. In relazione ai segni ciò che conta è la possibilità di avere accesso al loro contenuto
informativo.

Transnazionalismo: movimento migratorio che instaura una rete di comunicazioni fra il paese di arrivo
e quello di origine. Gli spazi transnazionali comprendono anche il turismo e le sfere professionali.

Post modernità Jean-François Lyotard:


La modernità classica aveva lo scopo di stabilire grandi schemi di filosofia della storia che pretendevano
di conferire un senso unitario e compatto alla realtà e di indicare una strada obbligata per il futuro.
Quello post-moderno è invece un pensiero che non pretende più di scoprire fondamenti unitari e
totalizzanti della storia e accetta invece la frammentazione e l’irriducibile molteplicità dell'esperienza il
che implica l'abbandono delle ideologie e, in campo artistico, delle aspirazioni di avanguardia.
Il postmodernismo è generalmente caratterizzato da scetticismo, ironia o rifiuto delle grandi narrazioni
e ideologie del modernismo, spesso mettendo in discussione vari presupposti
della razionalità proclamata dall'Illuminismo. I pensatori postmoderni richiamano spesso l'attenzione
sulla natura contingente o socialmente condizionata della conoscenza e dei sistemi di valori,
intendendoli come prodotti di supremazie politiche o culturali. Di conseguenza, il pensiero postmoderno
è ampiamente caratterizzato da tendenze all'autoreferenzialità, al relativismo epistemologico e morale,
al pluralismo e a un atteggiamento d'irriverenza.
Max Weber indica il postmodernismo come il legame fra la globalizzazione e il tempo della classicità;
introduce il concetto di de-differenziazione e perdita dei confini (tra pubblico e privato, in internet tutto
scorre orizzontale e la produzione e diffusione di informazioni è fluida).Il postmodernismo rimanda
al decostruzionismo e al post-strutturalismo. Weber vedeva nel «disincanto del mondo» il processo di
progressiva secolarizzazione caratteristico della modernità. Dagli ultimi decenni del Novecento si è
cominciato a parlare di un re-incanto del mondo. Nelle grandi religioni si sono fatte di nuovo strada
istanze mistiche e miracolistiche, nonché integraliste, con il ritorno in molti paesi islamici a un rapporto
strettissimo tra politica e religione. Grande fortuna hanno avuto i movimenti carismatici interni ed
esterni al Cristianesimo, accomunati –dal Pentecostalismo ai gruppi New Age –da una concezione più
immanente della spiritualità, legata al benessere personale. L’irrazionale si fa sempre più
esplicitamente presente nella sfera pubblica.

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La parentela:
Famiglia e parentela sono relazioni primarie, né naturali né convenzionali; le molteplici forme di famiglia
esistenti sono diversi modi di interpretare aspetti naturali legati alla sessualità, alla procreazione, alla
nascita e alla discendenza. La parentela è quindi un sistema di legami fra persone che poggia su tre tipi
di relazioni: discendenza, collateralità (parentela associata ad un antenato comune) e affinità (legami di
sangue acquisiti dal matrimonio). Il gruppo parentela è l’unità socio-economica/produttiva sulla quale si
basano la strutturazione delle organizzazioni politiche ed economiche, non a caso i primi gruppi sociali
si sono sviluppati a partire dal lignaggio (gruppo di persone legato da parentela) e da clan (insieme di più
lignaggi costituiti da individui che riconoscono un antenato comune). Sia per la teoria dell’alleanza di
Strauss (elemento essenziale è la reciprocità la cui forma più elementare è lo scambio matrimoniale) che
per la teoria della discendenza di Pritchard (secondo il quale nelle società “primitive” i gruppi di
discendenza unilineare, lignaggi o clan, rappresentano la base dell’organizzazione economica e politica:
uno dei due genitori rappresenta il legame di ego con il “gruppo corporato” di discendenza; l’altro
genitore connette ego con un gruppo diverso unilaterale; vi sono poi discendenze bilaterali o
cognatiche), la parentela è una forma culturale autonoma e primaria, essa dipende da fattori biologici
che sono universali, ma le regole della famiglia sono storicamente e culturalmente variabili; le donne
inoltre assumono ruolo passivo nella rete di strategie reazionali controllata dagli uomini secondo
ambedue le teorie.
Morgan distingue due tipi di terminologia sulla parentela: quella descrittiva, in cui ogni rapporto di
parentela viene indicato da una parola specifica, e quella classificatoria, che ripartisce i parenti in classi
di individui contrassegnati da un unico termine (ad esempio chiamando padre anche gli zii,
«confondendo» dunque le relazioni lineari con quelle collaterali).

Gender studies:
Introduce il concetto del problema delle donne (Ardener), finora rimaste in silenzio anche nell’atto
stesso di ricerca e osservazione dell’altro. Il termine genere, contrapposto a «sesso» termine che
rimanda alle differenze biologiche, si riferisce ai modi in cui le differenze sono plasmate all’interno di
specifici sistemi di relazioni sociali e simboliche. Pier Bourdieau: Il dominio maschile -> Mentre
l’educazione maschile tende a far acquisire qualità specifiche, quella femminile è tutta volta a imporre
dei limiti, a interiorizzare ciò che non si deve fare, soprattutto nelle disposizioni del corpo e negli
atteggiamenti quotidiani. Questa forma di dominio è in grado di costruire un processo di
naturalizzazione che poggia su sistemi di classificazioni cosmologiche.

L’evoluzione del concetto di amore:


L’amore romantico implica l’unione di devozione romantica, intesa sessuale e unione matrimoniale, È
con la modernità che si afferma l’idea di amore romantico, sentimento tale da non poter essere
subordinato a qualsivoglia intervento esterno, mentre prima accadeva, attraverso l’istituzione di
matrimoni combinati, che l’organicità della volontà della struttura-unità parentela prevalesse sull’io,
l’amore romantico prende spazio quindi in uno scenario di individualizzazione e di presa di posizione del
soggetto sulla volontà parenterale di gruppo. Focault tuttavia nega che nel 700’ ci sia stata una
liberazione sessuale, piuttosto una invenzione della sessualità nella quale pratiche, desideri e
sentimento che in precedenza erano lasciati alla sfera privata sono progressivamente presi in carico dalla
sfera sociale e pubblica, che li riveste di una serie di discorsi scientifici ed etici. La psicoanalisi di Freud è
stata resa possibile da questa istituzionalizzazione della sfera sessuale

La famiglia:
In Italia, il sociologo Edward Banfield fornì una lettura del Mezzogiorno basata sul «familismo amorale»,
cioè la spiccata tendenza alla massimizzazione dei vantaggi per il proprio gruppo famigliare a scapito
della società più ampia. Si è quindi passati da un concetto di famiglia multipla o polinucleare, nella quale
l’unità famigliare corrisponde all’unità produttiva (perciò costituita da più nuclei), ad un contesto
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nucleare in cui l’individuo prende spazio nel contesto famigliare, le famiglie sono meno numerose, i
matrimoni meno stabili, i figli compaiono in età avanzata e sempre meno spesso si accetta il sacrificio
dell’io per la famiglia; tuttavia se oggi le famiglie sembrano indebolite dal punto di vista “normativo”,
sono altresì rafforzate dal punto di vista “ strutturale e sentimentale”.

PARTE II -> ETNOGRAFIA:

Il termine etnografia rimanda al metodo di analisi che ha permesso di trovare e fornire le conoscenze
che stanno alla base della comprensione dello studio delle migrazioni secondo il quale l’antropologo
svolge studi migratori ponendosi nell’ottica dello straniero, del viaggiatore. L’etnografia consente di
studiare un gruppo di individui attraverso un confronto diretto che ne permette una valutazione
qualitativa conseguente all’atto di immersione nel contesto di analisi.
Si parla di “migrazioni” al plurale per sottolineare la complessità ed articolazione del fenomeno
migratorio, lo stesso non può infatti essere omogenizzato ed analizzato come singolo processo ma
occorre guardare alla sua variabilità culturale, sociale, politica ed economica, caratteristica che rende le
migrazioni uno dei fenomeni più emblematici della contemporaneità. Lo sviluppo dell’antropologia
incentrata sullo studio della mobilità è posteriore a quello della stabilità (antropologia dell’altrove
diventa studio del contesto domestico, lo studioso mantiene tuttavia lo sguardo da lontano
immergendosi nel campo di osservazione) in quanto le migrazioni non hanno una valenza solo
internazionale, caratterizzata dal superamento dei confini nazionali, ma possono verificarsi anche in
contesti più vicini, coinvolgendo quindi sia l’antropologia urbana che quella etnografica delle migrazioni
(Cina esempio di Stato in cui il trasferimento dalle campagne alle città è regolamentato politicamente).
Il fenomeno di migrazione è inoltre capace di influenzare e di contribuire alla globalizzazione (che a suo
modo alimenta la mobilità attraverso la circolazione di scenari più o meno veritieri sull’altrove)
attraverso un profilo sociale e culturale; la globalizzazione interviene nelle migrazioni favorendo la
dislocazione e la de-territorializzazione dei processi di produzione materiale e culturale e favorendo la
circolazione di capitali finanziari, merci, idee e persone su scala planetaria. La libertà di movimento non
è però equamente distribuita nel mondo globale, ma soggetta a diseguali rapporti di potere e a profonde
diseguaglianze economiche; inoltre, i migranti restano oggi ancora richiesti e respinti (paradosso).
Il centro urbano diventa laboratorio empirico di analisi e la prima scuola di rilievo è stata quella di
Chicago (città che fra gli anni 10-20-30 è stata oggetto di mobilizzazioni transoceaniche) la quale
evidenzia tre concetti principali: (1) la forte attenzione al legame tra fenomeni sociali e spazi concreti
della città, osservati con approccio etnografico. (2) lo studio dei rapporti tra urbanizzazione e
immigrazione. (3) l’importanza della connessione tra ricerca scientifica e intenti trasformativi e
applicativi. L’attenzione alla questione della marginalità e delle minoranze in città è ancora oggi collegata
al tentativo di realizzare politiche più adeguate all’integrazione e alla qualità della vita urbana
(antropologia applicata).

L’ecologia urbana (Robert Park):


Lo spazio urbano è soggetto a conflitti territoriali di spazio e di risorse, si delineano così aree di abitazione
delimitate da confini precisi, omogenee all’interno (condivisione del mondo morale) ma discordanti dalle
aree contigue (teoria della disorganizzazione sociale, secondo Redfield, paesant studies, essa è effetto
dell’inurbamento che causa perdita dei legami famigliari e comunitari a favore di una crescente
individualizzazione ed isolamento del migrante). Le differenze etniche sono legate a contesti sociali e
identitari. L’isolamento viene quindi seguito dalla competizione e dal conflitto aperto che termina nella
definizione di uno spazio all’interno del quale il mondo morale caratteristico è costretto a adattarsi alle
regole sociali della classe sociale maggioritaria. Whyte disarticola la visione unilaterale e assimilazionista
di Park osservando il comportamento delle seconde generazioni in uno slam italiano di Boston (le
10
differenze fra le aree etniche sono dovute a caratteristiche strutturali, economiche e sociali piuttosto
che culturali). Il modello di analisi è bifocale perché volto a comprendere cosa sta prima e dopo il
fenomeno migratorio (esempio di studi sul ghetto ebraico e contadini polacchi, Wirth e Thomas)

La cultura della povertà come causa di isolamento sociale e di discriminazione:


Lewis rimanda alla cultura della povertà uno dei più accreditati motivi di insuccesso scolastico per gli
studenti immigrati, egli generò un modello deprivazionista che identifica proprio nella cultura della
povertà la ragione del vuoto culturale da parte dei giovani portoricani, responsabile del loro insuccesso
scolastico. Egli sostiene che le rappresentazioni che sottolineano il disagio e l’incapacità di adattamento
nei migranti in città hanno carattere etnocentrico. Descrive tre fasi di ricerca del fenomeno migratorio:
ricerca intensiva nella comunità di origine, individuazione delle famiglie e dei soggetti migranti e
osservazione della loro vita nel contesto di arrivo (critica Redfield e fenomeno del folk urbano poiché
non osserva il venir meno dei legami famigliari ma anzi ne risulta il loro rafforzamento).

Rhode-Livingstone Institute 1964:


Analisi etnografica dell’influenza del potere colonialista sulle popolazioni dell’Africa centro meridionale,
realtà nella quale la mobilizzazione dalle campagne alle città era considerata necessaria per supplire alle
nuove esigenze industriali proprie delle città di fondazione coloniale (migrazioni di lavoro). Mitchel
studiò l’esempio di tribalismo urbano dei Bisa i quali misero in scena una danza tribale non tradizionale
frutto della risposta al pericolo di perdita della propria identità, si trattò di un fenomeno di adattamento
e di risposta all’esigenza di mantenere intatto il gruppo di origine finalizzato a rimarcare la propria
identità e la differenza rispetto agli altri gruppi di migranti africani. L’abbandono delle campagna non
aveva quindi cancellato la tribalità ma l’aveva ridefinita e rimodellata secondo l'ipotesi dell'alternanza,
per cui il migrante assume ruoli e valori specifici in città, per tornare ad assumere valori tradizionali al
rientro nei villaggi. I coniugi sudafricani Meyer studiarono invece il progressivo aumento di
frequentazioni reciproche fra il gruppo dei Xhosa tradizionalisti e quello degli Xhosa convertitisi al
cristianesimo come esempio di mutamento piuttosto che di adattamento (tribalismo urbano vs network
analysis).

Crisi petrolifera del 73’:


Passaggio da grande industria a piccolo medio industria che richiede un minor numero di lavoratori e
più specializzati, la migrazione non è più sostenuta e nascono politiche di restrizione dei confini atte a
limitare la mobilità internazionale.

Migrazioni: insieme di immigrazione ed emigrazione:


Per Sayad le migrazioni sono invece un “fatto sociale totale” che coinvolge (e modifica) relazioni sociali,
strutture economiche, dinamiche politiche oltre ad avere importanti dimensioni simboliche, identitarie,
religiose e linguistiche. Ogni migrazione è emigrazione, partenza e distacco, prima che immigrazione.
L’assenza di riconoscimento sociale si lega alla sua subordinazione economica e politica, riflesso della
subordinazione delle (ex) colonie che ne condiziona l’intera esperienza migratoria. La condizione
dell’immigrato è allora segnata da una “doppia assenza”, perché l’assenza dal paese d’origine si traduce
in un’assenza speculare nella società di insediamento, dove non è mai pienamente accettato perché
straniero.

L’era della migrazione (in epoca di globalizzazione):


Castles e Miller definiscono la migrazione come descritta da specifiche caratteristiche:
1. La globalizzazione dei flussi: il mondo contemporaneo è caratterizzato da flussi che coinvolgono tutti
i continenti con una multidirezionalità;

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2. La loro accelerazione: effetto dovuto alle innovazioni nel campo tecnologico, nel campo delle
comunicazioni, dei trasporti e delle agenzie di trasferimento rapido di denaro;
3. Una marcata differenziazione dei flussi: la gestione delle migrazioni nel mondo contemporaneo
acutizza le differenti modalità, ed i destini dei flussi migratori in base a delle tipologie che vengono
definite dall’impianto legislativo-giuridico che regola i flussi migratori e pertanto in Italia ed Europa è
diverso il modo con cui vengono trattate e gestite le migrazioni per lavoro piuttosto che le migrazioni
forzate di chi fugge da zone di conflitto; tali differenze di tipo legale e giuridico si manifestano nelle
diverse occasioni, opportunità e rischi che i migranti attraversano a seconda della categoria in cui
vengono inseriti;
4. La femminilizzazione delle migrazioni ed assunzione del ruolo di “primo migrante” capace di aprire
flussi migratori con una marcata caratteristica di genere in ambito lavorativo;
5. La crescente politicizzazione del fenomeno: una buona parte del dibattito pubblico e politico è stato
proprio rappresentato dalle migrazioni;
6. La proliferazione delle transizioni migratorie: molti Paesi sono passati dall’essere Paesi di produzione
di flussi migratori a Paesi di immigrazione che accolgono flussi in arrivo (Italia in epoca contemporanea
è diventata Paese di transito e di immigrazione dopo essere stata a lungo Paese di quasi esclusiva
emigrazione, anche se la stessa Italia negli ultimi anni è tornata ad essere Paese di emigrazione mentre
si sono rallentati i flussi in arrivo; il fenomeno di migrazione è per sua stessa natura mutabile).

Global cities -> Sassen:


Ruolo delle grandi metropoli, dove si concentrano i centri direzionali delle forze propulsive della
globalizzazione. Emergono con evidenza da un lato le dimensioni sub-nazionali, città e regioni in primis,
e dall’altro le entità sovra-nazionali, multinazionali e transnazionali.

Bauman:
Mentre alcuni segmenti di élite diventano globali, intere popolazioni rimangono inchiodate nella propria
località e la stessa possibilità di movimento diventa uno dei principali fattori di stratificazione sociale; la
visione ottimistica che dipinge lo sgretolarsi di tutte le barriere internazionali non tiene conto della
differenza fra vagabondo e viaggiatore, la mobilità è infatti favorita solo per quest’ultimo, mentre il
primo si lascia passare accanto il mondo e resta infossato.

Travelling cultures -> Clifford:


Negli studi sulla cultura, si è sempre dato più peso alle radici (roots) piuttosto che alle strade (routes),
intese anche come vie, rotte e itinerari, ma secondo Clifford la cultura non viene più concepita nelle sue
dimensioni di radici, ancoraggio, territorio, tradizione e passato, come era stata pesata dall’antropologia
classica, ma piuttosto come l’esito di strade intese come prospettive di incontro di scambio, di
attraversamenti di dinamiche di ibridazione e di creatività culturale. Concepire le culture come
“travelling cultures” vuol dire allora considerarle come fenomeni in perenne movimento, come il
prodotto mai compiuto di incontri e fusioni, ma anche di scontri e conflitti tra tutto ciò che “risiede” o è
“dentro” (locale) e tutto ciò che viene da “fuori” e “passa attraverso” (globale).
L’antropologia dunque, dovrebbe prendere le mosse da questa idea delle culture-come-rapporti-di-
viaggio, o se si preferisce “culture translocali”, frutto dell’incontro tra globale e locale. Le identità che si
formano all’interno di tali culture translocali non sono né fisse né totalmente indefinite, sono ibride.

L’immaginazione come motore di mobilità -> Appadurai:


L’immaginazione (del mondo e del futuro) intesa come la capacità di proiettare noi e gli altri in scenari
futuri è una costruzione sociale basata sulla circolazione di immagini e sulla accresciuta mobilità umana,
queste due forze fanno sì che l’immaginazione legata all’identità, alla località e all’altrove sia accresciuta
12
rispetto al passato per cui milioni di soggetti in ogni parte del pianeta possono immaginare loro stessi
altrove, possono immaginare di migrare, di spostarsi e sono pertanto capaci di proiettare i loro desideri
non più solamente sulla scala locale ma sulla scala globale e tale lavoro dell’immaginazione non riguarda
solo effettivamente chi si mette in viaggio ma riguarda le società nel loro complesso, inclusi coloro che
non partiranno mai e rimarranno ancorati nella località di origine, tanto nei Paesi di partenza che di
arrivo, ma che sono comunque chiamati a confrontarsi. Descrizione di 5 dimensioni di flusso, 5 panorami
culturali che tuttavia determinano la presenza di diversità da lui definite come “disgiunture” in termini
di velocità, intensità e volume in quanto esistono fratture tra i diversi ambiti di circolazione del mondo
globale. Compito dell’antropologia è analizzare tali disgiunture; le biografie sono infatti il compromesso
tra quel che le persone possono immaginare e quanto la vita sociale permette loro di realizzare ed allo
stesso tempo l’immaginazione è una pratica sociale, un campo organizzato di pratiche culturali.

Il transnazionalismo:
In generale il termine si riferisce ad interazioni e legami multipli che uniscono persone e istituzioni
attraverso e oltre i confini degli Stati-nazione. Esso è chiave di lettura delle migrazioni nel contesto della
globalizzazione. Esso corrisponde all’insieme di relazioni e connessioni, di tipo economico, famigliare,
sociale, che legano individui e talvolta anche istituzioni sovra nazionali tra il Paese di origine, i Paesi di
transito, il Paese di arrivo e i Paesi in cui si trovano figure affettive importanti per il soggetto, il che
determina la presenza di una rete di connessioni che valica i confini nazionali e che mobilita non solo
persone, ma anche beni, idee e sentimenti. Opera di riferimento: Nations Unbonds di Basch, Schiller e
Blanc, lavoro di studio delle migrazioni filippine-caraibiche verso gli USA. Il saggio descrive la figura del
transmigrante, soggetto che vive in una dimensione bifocale, in un contesto di metà e metà. Basch studia
i percorsi di trasformazione identitaria e di autoidentificazione insieme ai percorsi di sviluppo del
sentimento di appartenenza al Paese ospite, Schiller si concentra sull’identità etnica e Blanc sul rientro
a casa. Accanto al transnazionalismo più restrittivo e concentrato solo su migranti agenti come figure di
interfaccia fra i confini nazionali (corrieri o soggetti impegnati in campagne di associazionismo) esiste un
transnazionalismo meno impegnato e più quotidiano (Smith e Guarnizo, analizzano inoltre il
mantenimento dei rapporti famigliari in condizioni di lontananza fisica attraverso la strategia di
frontering che si focalizza sui mezzi utilizzati per creare spazi famigliari, e strategia di relativising che
osserva i modi in cui gli individui stabiliscono, mantengono e troncano le relazioni). Altra dicotomia
riguarda la visione positivistica (psicologica ed economica) e negativa (transnazionalismo visto come
ultima possibilità secondaria ad un’esperienza migratoria deludente). Infine, i filoni di studio si dividono
in approccio multi-situato (si seguono le traiettorie di singoli migranti transnazionali) o centro-situato
(punto di osservazione di Mathews è il Chungking Mansion in Cina, considerato nodo della rete
transnazionale).

Taurius: territori circolari e formiche della globalizzazione, così l’autore descrive il contesto formale
economico creatosi a Marsiglia, luogo di commercio in forma di Bazar ideato da migranti provenienti dal
Marocco che vivono in un incessante viaggio circolare finalizzato al sostenimento del commercio stesso.

Cultura dell’emigrazione:
Tale termine indica l’insieme di significati, valori e rappresentazioni socialmente condivisi che si
riferiscono e danno senso alle pratiche di mobilità di un gruppo sociale, ovvero tutto ciò che precede e
motiva la scelta di partire da parte dell’emigrante, concentrandosi sugli aspetti prettamente culturali
che fanno sì che la scelta del singolo soggetto non sia mai in realtà una scelta presa in modo
estemporaneo da quella singola persona, ma vada a sempre inquadrata in un significato sociale
collettivamente attribuito alla pratica del migrare che si è sviluppato nel corso del tempo all’interno di
13
una determinata società. L’attenzione è focalizzata sul fatto che la migrazione non è una scelta casuale
o la somma di decisioni puramente individuali, bensì una pratica sociale che si radica in specifici contesti
sociali. La cultura si sviluppa quando la migrazione si inserisce profondamente nei repertori dei
comportamenti delle persone per cui i valori che le sono associati diventano parte dei valori condivisi
dalla società. La scelta di emigrare non è guidata esclusivamente dal bisogno economico; la cultura, in
altre parole le pratiche sociali, i significati e la logica simbolica della mobilità va compresa insieme
all’economia”. All’interno di diverse collettività, la migrazione è parte della vita quotidiana, della
normalità, ricevendo una valutazione sostanzialmente positiva che favorisce la decisione di partire verso
la metropoli o verso l’estero. Perché si affermi una cultura dell’emigrazione, necessaria alla nascita ed
al mantenimento dei flussi migratori, è necessario che ci sia un radicamento, un prolungamento nel
corso del tempo dell’esperienza di diverse generazioni di migranti. Per Massey l’emigrazione
rappresenta un rito di passaggio all’età adulta che rende compiuta e formata la persona.
• Capello: Prigioni invisibili: giovani dl Marocco vedono l’emigrazione come unica possibilità di
emanciparsi economicamente e di raggiungere l’età adulta.
• Pietro Cingolani: Romania e Italia, cultura dell’emigrazione radicatasi nel tempo.
• Bruno Riccio: migrazioni senegalesi e importanza del ruolo di primo migrante che agisce come
modello di azione e comportamento. La sua ricerca mostra come negli anni si sia costruita
un’immagine ambivalente dell’estero e del migrante, il quale è considerato sempre a rischio di
occidentalizzarsi, perdendo i legami con la famiglia e la propria cultura, ma allo stesso tempo è
una sorta di eroe che sostiene economicamente il gruppo domestico e la comunità. Questa
caratterizzazione positiva spinge altri migranti a partire, seguendo percorsi già aperti da chi è
partito in precedenza e appoggiandosi alle reti transnazionali per riuscire a realizzare il progetto
migratorio.
• Russel King e Nicola Mai forniscono una testimonianza eloquente dell’influenza dei media
sull’immaginario migratorio, in riferimento alla migrazione albanese verso l’Italia negli anni 90’.

Le politiche migratorie:
Biopolitica di Foucault (mezzi attraverso i quali la politica regolamenta e controlla i flussi di individui
immigranti:
• politiche di accesso: gestione dei flussi e delle modalità di inserimento nello Stato.
• politiche dei diritti: diritti, risorse e doversi stabiliti e previsti per i migranti.
Le ricerche ricordano che la migrazione irregolare e la clandestinità non sono la conseguenza necessaria
dei movimenti migratori (nessuno è irregolare o clandestino per propria natura o identità esistenziale),
bensì l’effetto delle decisioni legislative, che escludono migliaia di persone dal diritto all’immigrazione,
facendone dei soggetti dai diritti limitati, deboli e a rischio di marginalizzazione.
• Border studies: studi che trattano delle dinamiche politiche, economiche e sociali attorno i
territori di confine.
È inoltre importante ricordare la rivalità ed il confronto fra le politiche umanitarie e quelle sicuritarie
(missioni di salvataggio si sono concluse mandando indietro immigranti dapprima soccorsi).
• Andrea Ravenda: studi sugli spazi di eccezione (CPT e CIE).
• “refugee studies” hanno una loro tradizione a livello internazionale da diversi decenni (in Italia
da pochi anni) e riguardano situazioni di protezione umanitaria e richieste d’asilo. È un fenomeno
secondario alla comparsa di conflitti che producono milioni di rifugiati che si trovano talvolta
anche all’interno del loro stesso Paese (internally displaced), sebbene non all’interno del loro
abituale luogo di residenza (campi profughi costituiti dalle organizzazioni umanitarie come il
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati); altre volte si attuano attraversamenti dei
confini internazionali per cui i profughi si ritrovano all’interno di altri Paesi ma sempre confinati
in campi ad essi dedicati. Crisi dei rifugiati in Europa del 2015, l’Italia ha accolto il 3% dei
richiedenti asilo in pochi mesi, il che ha messo in difficoltà il sistema di gestione delle domande,
peraltro non preparato ad una tale situazione (primavere arabe). In Italia solo il 5% di 20.000
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domande è stato effettivamente accolto. Fino al 2017 la gestione dei richiedenti silo e rifugiati
era demandata alla CARA e alla CAS e solo dal 2017 è stato istituito il s.p.r.a.r che prevede una
diffusione capillare nei vari comuni dei soggetti ai quali è stata riconosciuta la possibilità di
protezione. Michele Manocchi racconta il disagio del villaggio olimpionico di Torino, nel quale,
l’occupazione da parte di rifugiati titolari di permessi di soggiorno per protezione internazionale
fu proprio prova della carenza nel sistema di accoglienza che ha costretto persone rifugiate
dapprima a vivere in condizioni di estrema precarietà e marginalità abitativa ma dall’altro che ha
portato anche a disagi nei residenti di quella parte di città portando in qualche caso ad esito a
dimensioni di solidarietà, ma anche a manifestazioni di conflitto, disagio, marginalità e a
problemi di convivenza, risolta con lo sgombero delle palazzine e la dislocazione delle persone
in strutture differenti reperite dalle città e dalla Chiesa Cattolica torinese e piemontese (oggi
impegnata in un progetto di inserimento completo, atto ad emancipare economicamente e
socialmente il soggetto). Le occupazioni rappresentano per i rifugiati una componente
importante nei processi di ricostruzione identitaria, azioni finalizzate a ottenere un
riconoscimento della loro dignità di attori sociali ed alla denuncia della precarietà del sistema di
assistenza e protezione italiano.
Infine, le ricerche che si sono specificamente interessate delle politiche dei diritti hanno rilevato
l’importanza delle istituzioni locali come i Comuni e le Regioni, e le differenze tra le viarie realtà italiane
rispetto ai progetti di inserimento dei migranti, così come il ruolo decisivo delle iniziative dal basso e
delle associazioni non governative; tuttavia a causa dell’esistenza del localismo dei diritti vi sono
situazioni di vantaggio o svantaggio a seconda del contesto regionale di inserimento. Diritto di
cittadinanza (ius sanguinis> ius soli) fa sì che il riconoscimento o meno di pari opportunità, diritti e doveri
tra cittadini e non cittadini abbia conseguenze anche sul piano della partecipazione e dell’identificazione
che i migranti possono manifestare nella vita collettiva e pubblica del Paese.

Lavoro e immigrazione:
I migranti sono concepiti dalle società ospitanti quasi esclusivamente nella dimensione del lavoro ed
infatti. Si riconosce il fenomeno di attribuzione del lavoro delle 5 P (poco pagati, penalizzati socialmente,
pericolosi, precari e pesanti) per cui si verifica un processo di “successione ecologica” o di “sostituzione”,
per cui gli immigrati si inseriscono nei livelli più bassi e meno attraenti del mercato del lavoro nel
momento in cui i nativi se ne allontanano (agricoltura stagionale, muratori e badanti). La caratteristica
risultante è la presenza di nicchie occupazionali pensati come di pertinenza quasi esclusivamente di
lavoratori emigrati, proprio perché settori non particolarmente appetibili ma nei quali è in
funzionamento anche uno stereotipo positivo che vede gli immigrati come capaci di sopperire a tali
compiti (donne latine come badanti). Si riscontra anche l’apertura di commercio privati (comunità
cinese, Eleonora Castagnone) la quale si configura in primo luogo come una risposta alle difficoltà
incontrate nel lavoro dipendente, basandosi sulla capacità di utilizzare i reticoli familiari e comunitari
come capitale sociale per trovare le risorse iniziali, manodopera e clienti fidati, caratterizzati però da
fragilità economica dovuta a scarsa esperienza imprenditoriale.
Melissa Blanchard, leggendo le dinamiche dei mercati di Torino, evidenzia inoltre i processi di
successione ecologica che hanno permesso ai migranti cinesi e marocchini di subentrare agli operatori
di mercato italiani, spesso a loro volta immigrati dal Sud Italia.

Genere e generazioni:
Studi circa il ruolo di primo migrante delle donne e delle differenze fra generazioni primarie e secondarie
di immigrati. Il sistema capitalistico ha messo in atto la mobilitazione non solo di beni e di denaro ma
anche di affetti, si parla infatti (Perranes) di maternità transnazionale e di dislocazione affettiva legata
al ruolo di badante che in Italia ha preso posto per rispondere alle esigenze del sistema di wealth e al
cambiamento del ruolo della figura femminile all’interno della famiglia (Hochshild evidenzia come vi
siano sistemi di esportazioni/importazione tra periferia e centro). La condizione di donna immigrata è
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inoltre soggetta a tripla discriminazione, di genere, di classe e di categoria. Portes e Rumbaut 2°, 1,75°,
1,25° e 1° generazioni.

Aspetto culturale dell’immigrazione:


Incontro con l’alterità. Importanza della religione e studi di Ruba Salith sulle giovani marocchine italiane
per le quali l’essere musulmane rappresenta ad esempio la base culturale rispetto a cui costruire proprie
identità transnazionali e negoziare la propria differenza culturale sul versante della propria società
d’origine in Marocco. Nelle sue ricerche circa l’utilizzo del velo e del sue significato emerge come la scelta
di voler indossare il velo è il frutto di una volontà di autodeterminazione ed emancipazione, il risultato
di negoziazioni generazionali e culturali all’interno della famiglia e della comunità.
Anche il pentecostalesimo è stato oggetto di studio ed è emerso che, mentre altre Chiese sono
fortemente radicate nei territori di origine e seguono i propri fedeli quando questi si spostano (non è
così facile ricreare una dimensione cattolica o ortodossa), il movimento pentecostale è estremamente
più mobile in quanto si affida a predicatori e pastori che viaggiano fra le diverse comunità della diaspora
e in quanto non possiede tradizionalmente un ancoraggio o un radicamento rispetto ad una specifica
porzione di territorio, ma che si diffonde anche attraverso i virtuali canali online della rete e che quindi
al tempo stesso è molto più globale e transnazionale e rispetto al localismo di alte religioni.
La “cucina etnica” è una delle più emblematiche modalità di consumo della differenza. Il cibo occupa
uno spazio molto importante negli scambi tra popolazione immigrata e autoctona, insieme alle feste ed
alle cerimonie (marcatori identitari), anche in ambito famigliare (famiglie miste o incontro tra
generazioni).

PARTE III -> ANTROPOLOGIA DELL’EDUCAZIONE:

Scuola di cultura e personalità di Margareth Mead:


Studi di comparazione educativa. questa scuola sosteneva come ogni individuo strutturi la propria
personalità seguendo le regole di comportamento apprese nella sua società di appartenenza, per
comprendere come si struttura la personalità dell’individuo è quindi importante comprendere i
fenomeni di trasmissione culturale che consentono l’apprendimento delle regole della società di
appartenenza. La dimensione comparativa era molto importante in queste ricerche e la comparazione
poteva avvenire a partire da un lavoro di carattere etnografico (raccolta di dati in contesti specifici e
situati) svolto all’interno di uno spazio definito come la scuola, elemento di grande novità per cui il lavoro
dell’antropologo diventa applicativo. Inculturazione è il processo di trasmissione della cultura attraverso
cui un individuo apprende i modi consueti di pensare ed agire che distinguono la cultura della propria
società da quella di altri gruppi umani. Inizialmente fu visto come meccanico inizialmente (determinismo
culturale) e poi caratterizzato da uno stadio meccanico e uno processuale (Herskovits-relativismo
culturale).
• Jules Henry: contesto di apprendimento forma le caratteristiche individuali ed i tratti caratteriali,
modello comportamentale americano, ansia di prestazione, competizione e fascino per la
sottomissione.
• Whiting: analisi di come il contesto di apprendimento influenza il comportamento sociale, ruolo
del rimprovero e importanza della comparazione trans culturale e intra culturale.

Scuola di Stanford -> George Spindler:


Unione fra antropologia e studi di educazione e interesse nel rapporto insegnanti-alunni e nelle modalità
di trasmissioni culturali (il processo attraverso cui i membri di una comunità, attraverso interventi
intenzionali, si sforzano di trasferire il patrimonio culturale alle nuove generazioni, si tratta di un
tentativo il cui esito non è sempre prevedibile), inventarono lo studio strumentale per spiegare come la
cultura si trasmette descrivendo strumentali i collegamenti tra i comportamenti e gli scopi che le
16
persone si danno in quanto finalizzati al funzionamento ed alla sopravvivenza della cultura stessa. La
cultural therapy aveva invece lo scopo di aumentare il livello di consapevolezza di educatori e
amministratori scolastici.

Solon Kimbal:
Interesse per le relazioni di genere e le interazioni sociali tra individui confinati in un contesto spazio-
temporale specifico (piccoli gruppi e comunità rivestono importanza nell’educazione in quanto la cultura
di apprendimento riflette il modello di interazione sociale); gli stati psicologici e le differenze negli stili
di apprendimento sono manifestazioni delle differenze nell’organizzazione delle comunità. Interesse per
aspetto biologico.

Prospettiva personale:
L’individuo agisce attivamente sulla rete di connessioni che identifica il contesto culturale di
appartenenza che si ricrea e si modifica in ogni individuo. Harry Wolcott criticò gli studi condotti dagli
Spindler, poiché questi avevano sottolineato troppo le omogeneità della cultura trascurando il ruolo
attivo e trasformativo dei soggetti; una cultura per poter essere vitale e per potersi riprodurre deve
anche sapere organizzare le diversità al suo interno e sapersi trasformare poiché essa non è un monolito
trasmesso in modo determinato e definito, viene quindi sottolineata da Wolcott l’importanza della
dimensione attiva personale del soggetto sostenendo come ogni individuo acquisisca competenze in
modo personale e supportando il know-out particolare che ogni essere umano, in quanto membro di
un gruppo sociale, effettivamente acquisisce e mette in atto (ciascuno costruisce una cultura a partire
dalla propria esperienza personale). Ciò che la cultura fa non è creare omogeneità ma organizzare le
diversità esistenti al suo interno, si deve studiare come le persone organizzano la cultura e non il
contrario.

Gearing:
Importanza delle relazioni sociali nell’acquisizione dell’identità (modello transazionale strutturalista-
funzionalista che dà importanza alle relazioni faccia a faccia, il cui presupposto riguarda la consistenza
di qualsiasi sistema o gruppo culturale in un insieme di equivalenze di significato diverso, ma
interconnesse, che sono state precedentemente negoziate nel corso di ripetuti incontri; la cultura è
sistema di comportamenti e può essere osservata pubblicamente analizzando i sistemi standardizzati di
comportamenti della società) e presenza del curriculum nascosto (consenso tacito permette la
riproduzione della società esterna), studiabile attraverso una tecnica micro-etnografica strutturata in
diverse fasi che permette di studiare la prospettiva degli studenti oltre che quelli degli insegnanti
(orientamento generale o analisi della letteratura esistente sul luogo di ricerca e familiarizzazione con il
campo, struttura dell’evento o identificazione degli elementi salienti nella gamma di attività strutturate,
struttura interna delle parti o identificazione del repertorio di attività quotidiane che le costituisce).

McLaren:
Osserva a livello micro le interazioni quotidiane tra insegnanti e alunni; suddivide le attività educative in
due tipi di azioni contrapposte, coesistenti e in tensione dialettica: quelle rientranti nella “struttura della
conformità” e quelle costituenti la cosiddetta “anti-struttura della resistenza”. Le prime regolarizzano il
comportamento degli studenti, con le seconde gli alunni oppongono resistenza a tali meccanismi di
controllo. Le analisi delle relazioni insegnanti-alunni rivela rituali: strutture di conformità e strutture di
anti-resistenza
1. R. di rivitalizzazione (per rinnovare motivazioni, scaricare ansia…)
2. R. di intensificazione (caricano emotivamente, es. gite scolastiche)
3. R. di resistenza (studenti antagonisti. Azioni passive o attive)
4. R. di istruzione (micro e macro rituali, definiscono e rafforzano la realtà egemonica della scuola. Sono
regolari, ripetitivi, organizzati e prescrittivi).
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Varenne e McDermott:
L’attività di apprendere avviene in determinati contesti e questo la rende situata e frutto di negoziazioni
tra studenti e insegnanti, continuamente ripetute che non sempre sono di tipo pacifico ma che spesso
portano ad evidenziare diseguaglianze strutturali (non c’è scambio tra pari). Il fine fu quello di capire i
meccanismi sottesi a tali negoziazione per cui ogni individuo da un lato agisce producendo costruzioni
culturali e dall’altra viene modificato dalle stesse, in altre parole si distingue sia un ruolo attivo e uno
passivo in tutte le relazioni nelle quali ogni individuo agisce ed è agito dalle costruzioni culturali a cui
partecipa e la cultura è campo d’azione comune. inhabit (ambienti costruititi culturalmente) luoghi di
apprendimento descritto come un processo situato all’intorno di comunità di pratiche, ovvero gruppi di
persone che condividono.
Fallimento di successo-> è possibile studiare i processi educativi senza categorizzare gli alunni come
fallimentari o capaci? O è l’individuo il fulcro del problema oppure i problemi sono attribuiti a forze
esterne considerate coercitive per la vita dei singoli. La scuola è come un edifico suddiviso in stanze
(successo e fallimento) riempite di generazione in generazione da persone chiamate a ricoprire posizioni
che aspettano lì già prima che gli alunni oltrepassino la soglia dell’edifico, ma che non avrebbero ragione
di essere se non ci fosse nessuno a lavorare per mantenerle in piedi, ricostruirle o ristrutturarle sempre
da capo. L’attenzione degli etnografici deve essere riportata alla dimensione collettiva della situazione
scolastica e della società, ai pregiudizi attivati a scuola e ai ruoli sociali giocati nella scuola Perché il
successo e il fallimento sono questioni che hanno per lungo tempo interrogato gli studiosi? Perché
successo e fallimento, che sono i risultati di un processo, sono stati più interessanti del processo stesso?

Teoria deprivazionista:
Cultura della povertà, abitudini comportamentali famigliari e inadeguatezza dei nuclei famigliari (Lewis).
I limiti sono la deresponsabilizzazione e l’identificazione di bisogni generali e di deprivazioni culturali che
etichettano una categoria di individui in modo assolutistico e deterministico.

Teoria della discontinuità culturale:


Prima della sua nascita si riscontrano oppositori della teoria della deprivazione:
• Hewitt: Le scuole americane americanizzano e non riconoscono il background culturale degli
studenti che hanno sistemi culturali diversi ma non inferiori (relativismo contro
l’assimilazionismo razzista di Lewis).
• Boas: istituzioni scolastiche individualiste e responsabili di produrre uniformità culturale anziché
valorizzare le differenze poiché troppo concentrata nel tentativo di colmare le mancane.
Diventa importante capire perché le competenze (non le mancanze!) degli studenti di minoranza
creassero incomprensioni con gli insegnanti e quindi non fossero valorizzate; per fare ciò era necessario
porre attenzione agli stili interazionali e cognitivi (le modalità di comunicazione differiscono da una
comunità all’altra, è importante rileggere le relazioni tra alunni e insegnati alla luce di queste differenze
ed il comportamento che gli studenti hanno in classe deve essere considerato come il frutto delle
comunicazioni e delle interazioni che avvengono nella classe).
La teoria della discontinuità mette in luce come (1) le interazioni faccia a faccia siano governate da
regole; tali interazioni si possono presentare sia al di fuori che all’interno della scuola per cui (2) i contesti
scolastici risultano essere ambienti costruiti ed (3) il significato che si attribuisce ad un comportamento
è determinato dal contesto in cui avviene; le classi possono essere studiate (4) come ambienti
comunicativi in cui i significati del comportamento sono continuamente rinegoziati.
• Susan Philips: “The Invisibile culture” confronto fra bambini della riserva indiana e di
angloamericani, i primi avevano strutture di partecipazione diverse che creavano differenze
nell’articolazione della comunicazione (flussi orizzontali anziché verticali) per cui i bambini si
trovavano a più agio in lavori di gruppo.

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• Shirley Brice Heath: studenti afroamericani erano più propensi ad un ragionamento analogico
piuttosto che analitico perciò se guidati riuscivano in secondo momento a produrre anche
ragionamenti analitici ma gli insenanti dovevano comprendere e agire in tal senso per risolvere
il gap comunicativo.

L’analisi micro-etnografica:
Approccio differenzialista permette il superamento di fraintendimenti e di incomprensioni ma non
genera cambiamenti strutturali a livello sociale ed economico (non agisce in luoghi esterni a quelli
scolastici). Subentra un approccio olistico di carattere strutturalista.

Modello ecologico-culturale:
Ogbu considera non solo ciò che accade all’interno della classe ma anche i livelli sociali, economici e
politici che agiscono determinando la posizione dei bambini all’interno della classe (pensiero espresso
considerando la diversa possibilità e capacità di adattamento fra minoranze cinesi e afroamericane
conseguente alla disposizione gerarchica secondo il criterio etnico-raziale del sistema statunitense).
Definizione di minoranze volontarie (doppia cornice di riferimento che genera fiducia nelle possibilità di
educazione scolastica finalizzata all’emancipazione, differenti da, genera adattamento senza
assimilazione) e involontarie (in opposizione a, genera dissonanza affettiva). Ogbu introdusse a questo
punto il concetto di modello culturale, ovvero ciò che le minoranze pensano del contesto da cui
provengono, di quello in cui vivono e soprattutto del posizionamento della propria minoranza all’interno
della società stessa. Ogbu individua 3 generi di discontinuità culturali legate ai processi di
scolarizzazione:
• Discontinuità universali: riguardano tutti i bambini, tutti passano da un contesto educativo
famigliare informale ad un contesto educativo formale (la scuola) vivono perciò un passaggio che
è una prima forma di discontinuità, siano essi bambini dei gruppi maggioritari o minoritari;
• Discontinuità primarie: transitorie, riguardano bambini immigrati, il divario in questo caso può
essere colmato e superato ed essere seguito da un riallineamento tra bambini autoctoni e
bambini immigrati;
• Discontinuità secondarie: riguardano minoranze etniche, sono le discontinuità più complicate da
superare, esempio classico è quella che riguarda gli afroamericani.
I limiti del modello ecologico riguardano la trascurabilità della variabilità che può esserci all’interno di
ciascun gruppo e la trascurabilità dell’agency (la capacità dell’individuo di adattare e modificare i modelli
culturali del proprio gruppo a seconda delle situazioni specifiche di interazione sociale in cui lo stesso si
trova).

Orozco:
Attua un’ulteriore distinzione rispetto a Ogbu (m. volontarie e involontarie), parlando di prime e seconde
generazioni di immigrati volontari. I figli di seconda generazione non hanno sperimentato in prima
persona le difficoltà pre-migratorie e non riescono a comparare le due realtà. Sperimentano, invece,
problemi di identità e appartenenza. Studio sugli studenti ispanici negli USA mette in luce i diversi fattori
che agiscono sul rendimento scolastico (non limitati ad appartenenza alla categoria di migranti
volontari/involontari):
•1. Età all’arrivo
•2. Anzianità di permanenza nel nuovo paese
•3. Competenza linguistica
•4. Storia del gruppo prima di immigrazione
•5. Struttura di stratificazione nel contesto di arrivo (non tutti i contesti di arrivo sono uguali)
•6. Livello di integrazione familiare raggiunto (e non solo quello individuale soggettivo, condizione
raggiunta e presenza di supporto famigliare o meno)
•7. Politiche scolastiche
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•8. Equilibrio psichico prodotto dall’esperienza della migrazione
•9. differenze fra generazioni nei migranti volontari

Mondo dei mondi -> Leonardo Piasere


I rom condividono l’esperienza di esclusione, marginalizzazione e stigmatizzazione, sebbene presenti da
decenni nel suolo italiano vivono esperienze simili a quelle dei migranti involontari che portano allo
sviluppo di comportamenti oppositivi. Marginalità lavorativa è legata a quella abitativa ed è conseguente
a quella scolastica che deriva da quella giuridica.

Sistemi di dominanza multipla:


Foley critica l’ecologia urbana di Ogbu che ritiene responsabile di reificazione delle caratteristiche
culturali delle minoranze. L’identità etnica è un prodotto dinamico, continuamente negoziato in contesti
di forte e in rapido cambiamento culturale e politico, Foley mise in evidenza l’importanza di altri elementi
nel determinare stratificazione sociale. Non solamente l’appartenenza etnica, ma anche di classe e di
genere (studenti messicani di minoranza involontaria avevano in questo caso successo scolastico, esiste
variabilità interna ai singoli gruppi dovuta a fattori sociali e di genere).

Critiche al modello ecologico di Ogbu e nuova etnografia dell’educazione:


1. Membri di minoranze involontarie che però hanno successo scolastico.
2. Importanza di altri fattori oltre a quello etnico (appartenenza di genere o classe sociale).
3. Importanza dello specifico contesto scolastico e del ruolo degli insegnanti come agenti attivi di
cambiamento.
L’analisi strutturale di Ogbu è stata complementarizzata dall’introduzione del concetto di agency-> la
nuova etnografia dell’educazione propone l’idea secondo cui gli studenti non sono passivi nel percorso
educativo ma mettono invece in atto una serie di modalità di resistenza, resilienza o riluttanza, essa
ridimensiona la centralità attribuita in precedenza ai fattori di classe ed etnico-razziali sulla base della
constatazione che tali fattori sono dinamici e storicamente situati e quindi vanno analizzati in relazione
al contesto; la centralità viene quindi attribuita all’aspetto relazionale e situato dell’azione educativa.
Vengono ripresi i concetti di:
• attenzione ai processi di divulgazione e trasmissione culturale (come la scuola produce cultura e
riproduce il sistema sociale);
• i fattori etnici (etnicizzazione e stereotipizzazione del fallimento scolastico);
• le divisioni di classe;
• i ruoli di genere.
Mentre, fra gli elementi di novità delle nuove etnografie dell’educazione sono:
• Il tentativo di comprendere se l’ideologia dominante sia rafforzata o indebolita dalle azioni di
alunni, insegnanti e genitori;
• La diminuzione dell’attenzione alle differenze etniche (critica alla super attenzione);
• L’aumento dell’ attenzione dell’etnografia per l’aspetto relazionale, situato e dinamico dei
processi di produzione culturale;
• L’aumento dell’attenzione a come i giovani rimodellano la loro identità nel confronto con i pari,
dentro e fuori dalla scuola (nascita dell’idea dell’identità fluida);
• L’analisi delle forme di dissenso verso l’istruzione anche da parte di figli di classe media;
• La rielaborazione del concetto di resistenza;
• La comparsa del concetto di resilienza.

Critica al sistema scolastico (anni 70’), teorie della riproduzione culturale:


Considerato non trampolino di lancio per l’emancipazione ma responsabile di riprodurre le strutture
sociali esterne causando determinismo e immobilità sociale, la scuola viene dipinta come luogo di
riproduzione delle differenze sociali e culturali (Bowles e Gintis sottolineano il diverso modello
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comportamentale, subordinato piuttosto che individuale ed interiorizzato, trasmesso dalle scuole agli
studenti di classe operaia piuttosto che autoritaria). Pierre Bordieue introduce il concetto di capitale
sociale secondo il quale il sistema scolastico svaluta le competenze proprie dei bambini di classe sociale
più bassa (fattore che si ripercuote e ripete nel contesto famigliare relativo ai luoghi culturali più o meno
frequentati). Il capitale sociale non considera tuttavia l’agency ed anche in questo caso l’apprendimento
appare determinato.

Learning to Labor- cultura di fabbrica


Willis descrive la capacità di scelta e di azione sulla definizione del proprio destino economico e sociale
da parte dei lads i quali mettono volontariamente in atto atteggiamenti di resistenza finalizzati alla
messa in scena della propria subcultura (emergono atteggiamenti di mascolinità e di rappresentazione
della forza fisica) che allo stesso tempo li confinano all’interno della lasse sociale. Si riduce il ruolo
deterministico della scuola e si sottolinea il ruolo di attore sociale ed il concetto di agency declinato in
comportamenti di resistenza.

Brothers and Hallway hangers:


Il modello descritto da MacLeod mette in crisi il determinismo culturale e di riproduzione culturale in
quanto i due gruppi (neri e bianchi) reagiscono con resilienza e resistenza pur provenienti dal medesimo
contesto economico e sociale (importanza delle famiglie).

Il successo scolastico delle minoranze:


Successo e fallimento equivalgono alla capacità e volontà di apprendere o non apprendere ciò che viene
intenzionalmente insegnato a scuola: accettare di apprendere è una forma di consenso politico, rifiutarsi
una forma di resistenza politica. Nella prospettiva di Erikson il fallimento scolastico è dovuto:
• • sia a quello che le scuole fanno (modalità di comprensione delle differenze di un certo tipo)
• • sia a ciò che gli studenti stessi fanno per andare male a scuola (messa in atto di strategie di
opposizione e di resistenza).

La resilienza:
O’Connor nel 1997 descrive l’attitudine di alunni afroamericani di Chicago che, forti di un’esperienza
collettiva di lotta contro la discriminazione, mettono in atto atteggiamenti di resistenza al determinismo
ed alla segregazione attraverso una spinta positiva che li volge al raggiungimento di buoni risultati a
scuola, senza allontanarsi o rifiutare il gruppo dei pari ma in un’immagine di sostegno collettivo. La
resilienza, concetto proprio degli anni 90’, può verificarsi in ambito collettivo (si insiste anche in questo
caso sulla solidarietà tra pari, Kimberly Griffin e Walter Allen confrontano un gruppo di alunni
afroamericani provenienti da un high school di periferia economicamente ben equipaggiata, con un
gruppo di studenti neri in un liceo urbano dotato di poche risorse che pur scontrandosi entrambi con
barriere simili legate alle difficoltà economiche della famiglia e con un clima raziale sfavorevole hanno
buoni risultati a scuola perché il contesto del gruppo agisce come forte investimento motivazionale
finalizzato a prepararsi all’ingresso al college, sul 1contesto famigliare, sul ruolo genitoriale, Jarret lo
conferma osservando le vite di alcune ragazze afroamericane, e la presenza di 2figure educative affidabili
e supportive) e individuale (atteggiamento di 3perseveranza e ottimismo Floyd).

Identità fluida:
Annet Hemmings studio sui conflitti fra identità nera e quella di studente modello. Confronto fra la
scuola Lincoln e la Norwood nella quale being bad è associato alla capacità di coping o atteggiamento
fluido e di assenza di rigidità in modo tale da consentire l’adattamento alle situazioni di difficile gestione;

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si parla di fluidità identitaria, per cui l’identità è qualcosa di fluido che si adatta al contesto ed è anche
qualcosa di intenzionale per cui se un’appartenenza non è adatta, l’individuo ne ricerca un’altra.

Anthropologies of Education. A Global Guide to Ethnografic Studies of Learning and Schooling ->
Anderson Levitt: rassegna non etnocentrica dei contribuiti offerti da quanti si sono dedicati ad analizzare
l’apprendimento ed i processi di scolarizzazione dal punto di vista antropologico; il manuale riduce lo
spazio concesso alla letteratura di lingua inglese e francese per valorizzare tradizioni di ricerca
minoritarie, rendendo esplicite le distorsione causate dall’etnocentrismo delle pubblicazioni
accademiche che domina questa branca di studio; si sottolinea così la tensione tra antropologia e
etnografia educativa:
➢ la prima si è imposta prevalentemente negli USA e da lì ha condizionato diverse scuole nazionali
compresa quella italiana
➢ la seconda è una postura osservativa, più che tradizione antropologica, che travalica i confini
dell’antropologia per abbracciare diversi ambiti accademici.

Italia:
Il modello etnografico ha permesso un’analisi qualitativa del processo di immigrazione e inurbazione.
Francesca Gobbi: le differenze possono essere occasione di problematicizzazione del sistema scuola
italiano (ancora compensatorio)
Leonardo Piasere: rischio di mancata analisi (e conseguente ristrutturazione del contenitore scuola)
Fabio Dei: necessario interessarsi alle competenze e non alle mancanze, rischio dell’interculturalismo
benevolo che porta a differenzialismo culturale che attribuisce le difficoltà di inserimento alle differenze
culturali.
Mara Benadusi: asilo multiraziale, ruolo e psicologia delle docenti.
Francesca Galloni: successo a scuola per l’accettazione nei pari.
Fulvia Antonelli: esclusione sociale e scolastica di ragazze popolari (Mena va a scuola). Critica il
paradigma dell’intersezionalità perché responsabile di indeterminatezza e di produzioni
categorizzazioni. Mette insieme modello ecologico di Ogbu e concetto di agency. In queste istituzioni le
ragazze di classe popolare sperimentano il continuum fra scuola e città della segregazione e della
ghettizzazione sociale. Si ritrovano così a occupare gli spazi scolastici con le stesse dinamiche che vivono
nello spazio urbano: gli scontri e le rivalità fra gruppi di pari, le dinamiche sentimentali, l’opposizione
alle figure adulte professionali che agiscono su di loro. Si ritrovano anche ad agire secondo modelli
femminili complessi. La complessità e la conflittualità del regime urbano e delle sue dinamiche sociali
che si estendono dentro la scuola evidenziano come le letture depoliticizzanti della dispersione
scolastica – inquadrata come un problema di demotivazione individuale degli studenti o di obsolescenza
della didattica e dell’organizzazione scolastica – siano insufficienti a spiegare l’esperienza soggettiva
delle ragazze di classe popolare
Carlotta Saletti Salza: autrice di “non c’è proprio niente da ridere” il cui oggetto è il modello educativo
familiare che l’alunno rom porta a scuola, nonché il modello educativo istituzionale scolastico rivolto
all’alunno «nomade» (l’alunno rom). Il contesto studiato resta quindi la scuola, con l’obiettivo di
indagare le «strategie di gestione del quotidiano scolastico» di questi alunni. In particolare, oggetto della
ricerca è l’insuccesso scolastico attribuito all’alunno rom, considerato come meccanismo di adattamento
piuttosto che come disadattamento del soggetto: mentre la scuola giustifica l’insuccesso scolastico con
fattori culturali, l’alunno rom a scuola si trova a dover gestire quello che viene definito un «binario
parallelo»; ovvero da una parte è impegnato a mantenere l’evoluzione delle attività specifiche rivolte a
lui in quanto «nomade» e dall’altra a seguire quelle della classe in cui è inserito. La scuola non sottrare
l’identità rom ma gli conferisce la nuova identità di nomade. Nel rapporto rom-insegnante di sostegno
si delineano:

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• Intensione: tutti quei rapporti che l’alunno rom mette in atto nel prendersi cura della relazione
con l’insegnante e attraverso la quale il bambino cerca di salvaguardare il modello educativo
famigliare.
• Malinteso: medicalizzazione/psicologizzazione della diversità culturale perché la mancanza
dell’altro viene attribuita dalla scuola ad una presunta carenza cognitiva, da un lato si ha il
ragazzo che mette in atto stratagemmi per riprodurre il suo stile educativo e dall’altro
l’insegnante vede un alunno che non impara perché diverso, perché privo di una cura fisica
adeguata (i bambini rom vengono lavati a scuola e tenuti sotto controllo, vengono cambiati,
avviene una sorta di normalizzazione), perché mancante piuttosto che perché derivante da
un’altra cultura e da un altro universo di riferimento che lo porta a d osservare le cose in modo
diverso.
Altro tema importante è quello del silenzio, un silenzio portato a scuola dall’alunno rom per esprimere
e mantenere un’identità costruita ne gruppo di appartenenza “è stando in silenzio qualche bambino rom
va a scuola”.

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