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M-DEA e cultura:
Antropologia è disciplina definita dall’acronimo M-DEA il quale comprende demologia (studi di folklore
di cultura popolare e tradizionale fondati sulla base del concetto gramsciano di “cultura subalterna”),
etnografia (studi settoriali su specifici popoli) e antropologia (approcci comparativi e teorico), discipline
il cui oggetto di studio è l’uomo e la sua cultura articolata in espressioni etniche e popolari. La cultura
indica i prodotti dei lavori intellettuali degli uomini insieme agli elementi non biologici attraverso i quali
i gruppi umani si adattano all’ambiente e organizzano la loro vita sociale, cultura sono le istituzioni
tecniche, il lavoro, le forme di parentela, il linguaggio. Non è possibile parlare di culture come entità
compatte e ben definite coincidenti con un popolo ed un territorio.
L’antropologia culturale studia l’uomo in ambito fisico, culturale, sociale e nei suoi comportamenti nella
società, essa si costituisca come disciplina autonoma nel 1871 anno di pubblicazione di “primitive
culture” da E. B. Taylor, anche se è più corretto parlare di antropologia culturale nei primi anni del
Novecento, una volta definito la metodologia di ricerca sul campo.
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L’antropologia nasce come scienza e disciplina dell’osservazione, il filosofo osservatore è viaggiatore
che allontanandosi dall’Europa e dalla modernità compie un viaggio a ritroso nel tempo al fine di
osservare popoli che rappresentano ciò che sono stati nel passato i popoli europei, il filosofo riflette
sistematicamente su ciò che accade sotto il suo sguardo poiché per conoscere bisogna rivolgere lontano
lo sguardo ponendosi professionalmente nei panni dell’estraneo e compiere viaggi di conoscenza. Il
metodo antropologico può essere simbolicamente definito come “il giro lungo”, contrapposto al “giro
breve” delle forme di conoscenza puramente speculative. Così, in epoca della globalizzazione
l’antropologia muta il suo oggetto di studio nelle differenze piuttosto che nella primitività, la
globalizzazione ha infatti moltiplicato le differenze. Lo studio delle differenze (attraverso la
comparazione) pone gli individui ad osservare criticamente anche le proprie abitudini, per cui vengono
ridiscusse le categorie valutative. Nel Novecento viene a delinearsi il concetto di indagine empirica svolta
sul campo (Boas e Malinowski), viene coniato il termine di osservatore partecipante (in Argonauti del
Pacifico Occidentale) secondo approccio olistico finalizzato a cogliere il punto di vista dei nativi.
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nell’etnografia è mutata completamente, gli interlocutori non rivestono più il ruolo passivo di
«informatori» ma sono valorizzati come co-produttori attivi di significati e interpretazioni.
• Approccio post-coloniale: Franz Fanon e Edward Said: il potere esercita una funzione plasmante
sul sapere e nel condiziona la forma. In particolare, Said intravede la tendenza a costruire
l’«Oriente» e gli «orientali» come una inversione speculare dell’identità occidentale, una alterità
in cui risaltano e si amplificano per contrasto le virtù e i vizi, i desideri e le proibizioni, i valori
estetici e morali che i dominatori attribuiscono a sé stessi. Negli anni ’90, la critica al
«culturalismo» sfocerà in un’etnologia storica che vuole rinunciare al concetto di cultura e a tutti
i suoi correlati, facendo coincidere la comprensione antropologica con l’analisi dei rapporti di
forza e strutturali che intercorrono tra gruppi umani. “idee, culture e vicende storiche non
possono venir comprese se non si tiene conto delle forze storiche o configurazioni di potere che
ad esse sono sottese”. Fanon distingue le essenze (potere) dalle apparenze (cultura) e relega nei
miti e nelle vicende sovrannaturali la rabbia e i sentimenti di soppressione ed opposizione
generati dal colonialismo.
Antropologia da tavolino:
Indica antropologia di collezione etnografica, basata sulla lettura di testi di seconda mano e concretizzata
nella produzione di scritti a carattere enciclopedico.
Il metodo di ricerca:
• Il campo di Malinowski ha subito un’evoluzione in termini spaziali in quanto non più considerato
come circoscrivibile geograficamente e coincidente con il concetto di lontananza quanto più con
il concetto di remoticità (iperluogo), il campo è condivisione e contatto diretto attraverso il
comune linguaggio ma l’oggetto di osservazione può trovarsi all’interno della propria comunità
(anthropology at home), si sono infatti sviluppate forme di antropologia nativa, domestica o
forme di autoetnografia il cui fulcro è costituito dallo stesso antropologo. Gli effetti della
globalizzazione hanno trasformato radicalmente i legami sociali, il senso delle distanze e le forme
delle comunità, superando la precedente equivalenza comunità/cultura/luogo, portando a delle
forme di etnografia multi situata, in cui il ricercatore segue soggetti e gruppi nei loro
spostamenti, lungo flussi migratori o nelle relazioni fra comunità diasporiche e luoghi di
provenienza.
• Comparazione: Humans Relations Area Files di George Peter Murdock, archivio di dati
etnografici in formato standard con la pretesa di registrare e rendere comparativamente
analizzabili tendenzialmente tutte le culture del mondo.
• Traduzione: è interpretazione che conserva margine di intraducibilità.
Approccio etnografico:
Annotazione di appunti in forma scritta (prevalentemente e inizialmente, ma non solo), le note si
distinguono in osservative, riflessive e immaginative. È necessario riportare sempre data, ora e luogo.
Si aggiungono inoltre rappresentazioni grafiche, immagini, audio, foto e video (possono quest’ultimi
rappresentare fatti ed azioni permettendo di dar voce non solo alle parole ma anche ai gesti e alle azioni,
il corpo umano diventa protagonista e interlocutore). Le immagini hanno immediatezza sensoriale che
non appartiene allo scritto. È importante la scelta dell’informatore. L’Ethnographic Survey Of United
Kingdom lanciata nel 1892 è un piano di indagine preliminare su un determinato territorio finalizzato al
reperimento di dati inerenti alle comunità umane presenti, in particolare alla raccolta del maggior
numero possibile di informazioni riguardanti la vita sociale, la cultura materiale e i sistemi di
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rappresentazioni di uno o più gruppi etnici che fanno parte di un’area linguistica comune (spedizione di
Torres).
Il concetto di razza:
Il termine razzismo assume connotazione negativo dopo la Second Guerra Mondiale, fino ad allora aveva
infatti indicato politiche progressiste di miglioramento della specie umana. Secondo Gobineau la razza
deriva dalla naturalizzazione delle differenze interculturali (le differenze sono naturalmente
determinate), dall’esistenza di una rigida gerarchia e dall’orrore per la mescolanza.
Nel tardo Ottocento si ha lo scontro tra teorie monogenetiche (unica origine, le differenze sono dovute
dall’azione di fattori storici esterni) e poligenetiche (più origini e sviluppo di percorsi paralleli influenzati
da fattori interni e irriproducibili). Darwin introduce il concetto di evoluzionismo che supporta la teoria
monogenetica e il razzismo stesso in quanto la comune origine dell’uomo ha portato allo sviluppo di
diverse razze in seguito a diversa capacità di adattamento il che supporta l’idea gerarchica. Francis
Galton ideatore del concetto di eugenetica. Il razzismo si configura, secondo Taguieff, come processo
stadiale di:
• Categorizzazione essenzialista (ridurre l’individuo ad esponente di una categoria biologica);
• Stigmatizzazione o attribuzione di stereotipi negativi
• Barbarizzazione (rifiuto della possibilità di civilizzazione di individui appartenenti alle razze
inferiori)
Questo porta a segregazione marginalizzazione, espulsione, poi ad atti di violenza diretta ed infine a
genocidio. Da qui il paradosso dell’antirazzismo che rischia di adottare le medesime misure
comportamentali identificando nella figura assoluta del razzista un individuo soggetto al male e non
riconvertitile al bene.
• Razza è quindi una categoria senza basi scientifiche utilizzata per descrivere differenze genetiche
ma anche intellettuali e comportamentali fra popolazioni come sostegno dell’esperienza
coloniale.
Il concetto di cultura:
Ciò che è alla base della sostanziale unità del genere umano intesa come insieme di usi, tradizioni e
costumi. L’antropologia definisce la cultura come gerarchicamente definita in quanto l’immagine del
primitivo-bambino descrive popoli contemporanei ma culturalmente e temporalmente “indietro”; è solo
nel Novecento che subentra il concetto di relativismo che riconosce la pluralità culturale.
Il concetto di etnia:
Termine che indica l’esistenza di differenze pre-politiche (non riconducibili all’istituzione dello stato) tra
persone. L’accezione antropologica in sostanza definisce come etnia un gruppo che condivide un insieme
di elementi culturali, quali la lingua, la religione, certi usi e costumi. Noi non siamo mai «etnici», e non
lo è mai la grande cultura, quella dominante. Etnici sono gli altri, i più arretrati o i più poveri, le
minoranze.
L’antropologia non è affatto estranea a questa tendenza all’essenzializzazione o reificazione. A lungo
essa ha fornito un’immagine eccessivamente statica, compatta e «divisionista» delle culture, e di
conseguenza delle etnie. Si potrebbe dire, con un paradosso, che l’antropologia ha naturalizzato le
culture, ha abituato a pensarle come cose che esistono prima e indipendentemente dai processi storici,
da un lato, e dall’altro dagli individui che ne fanno parte. Quando si parla di conflitti etnici si presuppone
uno scontro tra appartenenze primordiali chiare e distinte, che pre-esistono al conflitto attuale e anzi
ne sono la causa, non si prende abbastanza in considerazione la possibilità che, almeno in parte i
sentimenti di appartenenza, il senso delle differenze siano la conseguenza e non la causa dei conflitti. Si
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parla di razzismo culturale o differenzialista quando si considerano le differenze etniche in modo
assoluto e naturalmente determinato il che rende possibile utilizzare tali diversità come assunto
biologico e scientifico capace di autorizzare e giustificare il razzismo stesso.
La critica al modello dell’antropologia che descrive il mondo come suddiviso in un numero finito, per
quanto ampio, di unità etnico-culturali discrete, distintive, simmetriche e per certi aspetti eticamente
incommensurabili (nel senso di irriducibili a criteri di giudizio sovra-culturali), ha portato all’affermazione
secondo cui oggi non esistono essenze etniche: se utilizzato in maniera essenzialista questo modello
rischia di offrire una visione reificata e naturalizzata delle differenze fra gruppi umani che porta
all’identificazione di un mondo suddiviso in una irriducibile pluralità di culture, intese come entità
autonome di uguale identità, ma ben distinte e immutabili secondo un punto di vista assolutistico. La
negazione di tale modello tuttavia porta alla nascita della criticità relativa alla riconduzione della propria
identità.
Relativismo epistemologico:
Nello scenario post-empiristica la razionalità scientifica non è punto di riferimento ma poggia su basi
storico-culturali, la filosofia abbandona la ricerca di un metodo garante della corrispondenza esatta con
la realtà e viene intesa come descrizione empirica di contesti nei quali si strutturano forme particolari e
irriducibili di razionalità. Non si tratta di negare l’esistenza della verità o della realtà oggettiva a priori
ma di smettere di pretendere di possedere a priori criteri universali di razionalità prima di accostarsi alla
diversità culturale. Sorge dunque il problema circa l’esistenza o meno di criteri minimi ma universali di
razionalità necessari alla comprensione della diversità culturale. Peter Winch descrive la scienza, la
stregoneria e la religione come diversi modi di dare un senso al mondo.
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Globalizzazione:
La globalizzazione affonda le proprie radici nel tempo ed è un concetto già presente poiché nato nel
contesto della colonizzazione, come si può comprendere, il termine descrive il flusso crescente di
commercio, finanza, cultura, idee e persone, consentito dagli sviluppi delle tecnologie di comunicazione
e di trasporto, nonché dalla diffusione mondiale del neo-capitalismo liberale; ma anche, al tempo stesso,
gli adattamenti locali o regionali a questi flussi, e le resistenze operate contro di essi.
Si parla di globalizzazione quando i flussi assumono dimensioni e scala tali da indebolire le istituzioni
classiche della modernità, tanto da porre in secondo piano lo stato-nazione come essenziale cornice
organizzativa dell’economia, della politica e della cultura.
Si possono distinguere cinque grandi filoni di studio sulla globalizzazione:
• ▪ Gli studi sulla globalizzazione economica, sulle nuove reti planetarie che riguardano il piano
della produzione, quello del consumo e quello degli scambi finanziari
• ▪ Gli studi sulla globalizzazione politica, sulla nascita o lo sviluppo di istituzioni internazionali e
di forme di governance e di autorità giuridica che vanno al di là del potere sovrano degli Stati
nazione
• ▪ Gli studi sui nuovi flussi migratori, che pongono l’accento non solo sulle dimensioni dei
movimenti demografici ma anche e soprattutto sulle loro nuove caratteristiche, come
l’emergere di comunità transnazionali e diasporiche
• ▪ Gli studi sulla globalizzazione della cultura e dei flussi comunicativi, consentita dai rapidi
sviluppi delle tecnologie mediali e informatiche e dall’ampliamento dei mercati dell’industria
culturale
• ▪ Gli studi sulle nuove gerarchie sociali e sui rapporti di potere e di disuguaglianza che si formano
in un contesto di interdipendenza mondiale.
La globalizzazione introduce il concetto di omologazione in quanto i flussi economici e politici
costringono una centralizzazione dei paesi europei e più benestanti confinando ai margini della periferia
quelli utilizzati per il diretto rendimento delle materia prime, imponendo loro l’utilizzo di prodotti
europei o occidentali fabbricati con la materia prima e la manodopera della periferia. In questo senso il
consumo è prevedibile. Tuttavia, sebbene i flussi della globalizzazione siano di tipo per lo più economico
e politico, la globalizzazione è anche responsabile di creare e sottolineare nuove e già presenti differenze
interculturali collocate in uno scenario eterogeneo ed ibrido ed è in questo senso che compare la
necessità di comprendere l’effetto della globalizzazione sulle differenze e l’effetto dell’incontro fra
diverse culture sulla globalizzazione stessa. Il turista in questo agisce incontrando una cultura altra che
gli si presenta rispecchiando alcuni stereotipi per incarnare le esigenze del turista che a sua volta viene
investito di un’immagine stereotipata, in questo l’incontro fra i due mondi agisce su entrambi gli attori
che diventano agenti plasmanti e plasmati. Appadurai
• Ethonoscapes
• Technoscapes
• Mediascapes
• Economicscapes
• Idioscapes
➔ Dal globale al locale: sebbene vi sia scambio di flussi e ciascun prodotto sia creato in un contesto
di globalizzazione esso viene in effetti consumato nel locale (prodotto inteso in largo senso,
anche il calcio è prodotto della globalizzazione ma possiede proprie declinazioni caratteristiche
del locale). Le teorie dell’ibridazione si riferiscono quindi all’interazione delle forze egemoniche
globali con contesti locali che ne sono influenzati ma a loro volta ne modificano gli effetti.
Impero: Michael Hardt concepisce un nuovo ordine universale, economico e politico al tempo stesso,
che si presenta come molto diverso dal classico imperialismo. L’Impero non stabilisce alcun centro di
potere e non poggia su confini e barriere fisse. Si tratta di un apparato di potere decentrato e
deterritorializzato che progressivamente incorpora l’intero spazio mondiale all’interno delle sue
frontiere aperte e in continua espansione.
Manuel Castels e l’età dell’informazione: la tecnologia informatica odierna è capace di creare un nuovo
modello di sviluppo, basato sulla produzione e lo scambio di beni sempre più «immateriali». La nuova
economia che ne risulta è basata sull’informazione, sui saperi e sull’innovazione più che sul possesso di
capitali fissi; alla rigidità delle grandi imprese nazionali o multinazionali, che caratterizza il capitalismo
classico, sostituisce una struttura reticolare caratterizzata da estrema flessibilità e dalla tendenza a
ignorare i confini geografici e politici. Internet diviene il modello più preciso della nuova morfologia
sociale ed economica, oltre che un nuovo cruciale ambiente comunicativo, che trasforma il virtuale in
una realtà. In relazione ai segni ciò che conta è la possibilità di avere accesso al loro contenuto
informativo.
Transnazionalismo: movimento migratorio che instaura una rete di comunicazioni fra il paese di arrivo
e quello di origine. Gli spazi transnazionali comprendono anche il turismo e le sfere professionali.
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La parentela:
Famiglia e parentela sono relazioni primarie, né naturali né convenzionali; le molteplici forme di famiglia
esistenti sono diversi modi di interpretare aspetti naturali legati alla sessualità, alla procreazione, alla
nascita e alla discendenza. La parentela è quindi un sistema di legami fra persone che poggia su tre tipi
di relazioni: discendenza, collateralità (parentela associata ad un antenato comune) e affinità (legami di
sangue acquisiti dal matrimonio). Il gruppo parentela è l’unità socio-economica/produttiva sulla quale si
basano la strutturazione delle organizzazioni politiche ed economiche, non a caso i primi gruppi sociali
si sono sviluppati a partire dal lignaggio (gruppo di persone legato da parentela) e da clan (insieme di più
lignaggi costituiti da individui che riconoscono un antenato comune). Sia per la teoria dell’alleanza di
Strauss (elemento essenziale è la reciprocità la cui forma più elementare è lo scambio matrimoniale) che
per la teoria della discendenza di Pritchard (secondo il quale nelle società “primitive” i gruppi di
discendenza unilineare, lignaggi o clan, rappresentano la base dell’organizzazione economica e politica:
uno dei due genitori rappresenta il legame di ego con il “gruppo corporato” di discendenza; l’altro
genitore connette ego con un gruppo diverso unilaterale; vi sono poi discendenze bilaterali o
cognatiche), la parentela è una forma culturale autonoma e primaria, essa dipende da fattori biologici
che sono universali, ma le regole della famiglia sono storicamente e culturalmente variabili; le donne
inoltre assumono ruolo passivo nella rete di strategie reazionali controllata dagli uomini secondo
ambedue le teorie.
Morgan distingue due tipi di terminologia sulla parentela: quella descrittiva, in cui ogni rapporto di
parentela viene indicato da una parola specifica, e quella classificatoria, che ripartisce i parenti in classi
di individui contrassegnati da un unico termine (ad esempio chiamando padre anche gli zii,
«confondendo» dunque le relazioni lineari con quelle collaterali).
Gender studies:
Introduce il concetto del problema delle donne (Ardener), finora rimaste in silenzio anche nell’atto
stesso di ricerca e osservazione dell’altro. Il termine genere, contrapposto a «sesso» termine che
rimanda alle differenze biologiche, si riferisce ai modi in cui le differenze sono plasmate all’interno di
specifici sistemi di relazioni sociali e simboliche. Pier Bourdieau: Il dominio maschile -> Mentre
l’educazione maschile tende a far acquisire qualità specifiche, quella femminile è tutta volta a imporre
dei limiti, a interiorizzare ciò che non si deve fare, soprattutto nelle disposizioni del corpo e negli
atteggiamenti quotidiani. Questa forma di dominio è in grado di costruire un processo di
naturalizzazione che poggia su sistemi di classificazioni cosmologiche.
La famiglia:
In Italia, il sociologo Edward Banfield fornì una lettura del Mezzogiorno basata sul «familismo amorale»,
cioè la spiccata tendenza alla massimizzazione dei vantaggi per il proprio gruppo famigliare a scapito
della società più ampia. Si è quindi passati da un concetto di famiglia multipla o polinucleare, nella quale
l’unità famigliare corrisponde all’unità produttiva (perciò costituita da più nuclei), ad un contesto
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nucleare in cui l’individuo prende spazio nel contesto famigliare, le famiglie sono meno numerose, i
matrimoni meno stabili, i figli compaiono in età avanzata e sempre meno spesso si accetta il sacrificio
dell’io per la famiglia; tuttavia se oggi le famiglie sembrano indebolite dal punto di vista “normativo”,
sono altresì rafforzate dal punto di vista “ strutturale e sentimentale”.
Il termine etnografia rimanda al metodo di analisi che ha permesso di trovare e fornire le conoscenze
che stanno alla base della comprensione dello studio delle migrazioni secondo il quale l’antropologo
svolge studi migratori ponendosi nell’ottica dello straniero, del viaggiatore. L’etnografia consente di
studiare un gruppo di individui attraverso un confronto diretto che ne permette una valutazione
qualitativa conseguente all’atto di immersione nel contesto di analisi.
Si parla di “migrazioni” al plurale per sottolineare la complessità ed articolazione del fenomeno
migratorio, lo stesso non può infatti essere omogenizzato ed analizzato come singolo processo ma
occorre guardare alla sua variabilità culturale, sociale, politica ed economica, caratteristica che rende le
migrazioni uno dei fenomeni più emblematici della contemporaneità. Lo sviluppo dell’antropologia
incentrata sullo studio della mobilità è posteriore a quello della stabilità (antropologia dell’altrove
diventa studio del contesto domestico, lo studioso mantiene tuttavia lo sguardo da lontano
immergendosi nel campo di osservazione) in quanto le migrazioni non hanno una valenza solo
internazionale, caratterizzata dal superamento dei confini nazionali, ma possono verificarsi anche in
contesti più vicini, coinvolgendo quindi sia l’antropologia urbana che quella etnografica delle migrazioni
(Cina esempio di Stato in cui il trasferimento dalle campagne alle città è regolamentato politicamente).
Il fenomeno di migrazione è inoltre capace di influenzare e di contribuire alla globalizzazione (che a suo
modo alimenta la mobilità attraverso la circolazione di scenari più o meno veritieri sull’altrove)
attraverso un profilo sociale e culturale; la globalizzazione interviene nelle migrazioni favorendo la
dislocazione e la de-territorializzazione dei processi di produzione materiale e culturale e favorendo la
circolazione di capitali finanziari, merci, idee e persone su scala planetaria. La libertà di movimento non
è però equamente distribuita nel mondo globale, ma soggetta a diseguali rapporti di potere e a profonde
diseguaglianze economiche; inoltre, i migranti restano oggi ancora richiesti e respinti (paradosso).
Il centro urbano diventa laboratorio empirico di analisi e la prima scuola di rilievo è stata quella di
Chicago (città che fra gli anni 10-20-30 è stata oggetto di mobilizzazioni transoceaniche) la quale
evidenzia tre concetti principali: (1) la forte attenzione al legame tra fenomeni sociali e spazi concreti
della città, osservati con approccio etnografico. (2) lo studio dei rapporti tra urbanizzazione e
immigrazione. (3) l’importanza della connessione tra ricerca scientifica e intenti trasformativi e
applicativi. L’attenzione alla questione della marginalità e delle minoranze in città è ancora oggi collegata
al tentativo di realizzare politiche più adeguate all’integrazione e alla qualità della vita urbana
(antropologia applicata).
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2. La loro accelerazione: effetto dovuto alle innovazioni nel campo tecnologico, nel campo delle
comunicazioni, dei trasporti e delle agenzie di trasferimento rapido di denaro;
3. Una marcata differenziazione dei flussi: la gestione delle migrazioni nel mondo contemporaneo
acutizza le differenti modalità, ed i destini dei flussi migratori in base a delle tipologie che vengono
definite dall’impianto legislativo-giuridico che regola i flussi migratori e pertanto in Italia ed Europa è
diverso il modo con cui vengono trattate e gestite le migrazioni per lavoro piuttosto che le migrazioni
forzate di chi fugge da zone di conflitto; tali differenze di tipo legale e giuridico si manifestano nelle
diverse occasioni, opportunità e rischi che i migranti attraversano a seconda della categoria in cui
vengono inseriti;
4. La femminilizzazione delle migrazioni ed assunzione del ruolo di “primo migrante” capace di aprire
flussi migratori con una marcata caratteristica di genere in ambito lavorativo;
5. La crescente politicizzazione del fenomeno: una buona parte del dibattito pubblico e politico è stato
proprio rappresentato dalle migrazioni;
6. La proliferazione delle transizioni migratorie: molti Paesi sono passati dall’essere Paesi di produzione
di flussi migratori a Paesi di immigrazione che accolgono flussi in arrivo (Italia in epoca contemporanea
è diventata Paese di transito e di immigrazione dopo essere stata a lungo Paese di quasi esclusiva
emigrazione, anche se la stessa Italia negli ultimi anni è tornata ad essere Paese di emigrazione mentre
si sono rallentati i flussi in arrivo; il fenomeno di migrazione è per sua stessa natura mutabile).
Bauman:
Mentre alcuni segmenti di élite diventano globali, intere popolazioni rimangono inchiodate nella propria
località e la stessa possibilità di movimento diventa uno dei principali fattori di stratificazione sociale; la
visione ottimistica che dipinge lo sgretolarsi di tutte le barriere internazionali non tiene conto della
differenza fra vagabondo e viaggiatore, la mobilità è infatti favorita solo per quest’ultimo, mentre il
primo si lascia passare accanto il mondo e resta infossato.
Il transnazionalismo:
In generale il termine si riferisce ad interazioni e legami multipli che uniscono persone e istituzioni
attraverso e oltre i confini degli Stati-nazione. Esso è chiave di lettura delle migrazioni nel contesto della
globalizzazione. Esso corrisponde all’insieme di relazioni e connessioni, di tipo economico, famigliare,
sociale, che legano individui e talvolta anche istituzioni sovra nazionali tra il Paese di origine, i Paesi di
transito, il Paese di arrivo e i Paesi in cui si trovano figure affettive importanti per il soggetto, il che
determina la presenza di una rete di connessioni che valica i confini nazionali e che mobilita non solo
persone, ma anche beni, idee e sentimenti. Opera di riferimento: Nations Unbonds di Basch, Schiller e
Blanc, lavoro di studio delle migrazioni filippine-caraibiche verso gli USA. Il saggio descrive la figura del
transmigrante, soggetto che vive in una dimensione bifocale, in un contesto di metà e metà. Basch studia
i percorsi di trasformazione identitaria e di autoidentificazione insieme ai percorsi di sviluppo del
sentimento di appartenenza al Paese ospite, Schiller si concentra sull’identità etnica e Blanc sul rientro
a casa. Accanto al transnazionalismo più restrittivo e concentrato solo su migranti agenti come figure di
interfaccia fra i confini nazionali (corrieri o soggetti impegnati in campagne di associazionismo) esiste un
transnazionalismo meno impegnato e più quotidiano (Smith e Guarnizo, analizzano inoltre il
mantenimento dei rapporti famigliari in condizioni di lontananza fisica attraverso la strategia di
frontering che si focalizza sui mezzi utilizzati per creare spazi famigliari, e strategia di relativising che
osserva i modi in cui gli individui stabiliscono, mantengono e troncano le relazioni). Altra dicotomia
riguarda la visione positivistica (psicologica ed economica) e negativa (transnazionalismo visto come
ultima possibilità secondaria ad un’esperienza migratoria deludente). Infine, i filoni di studio si dividono
in approccio multi-situato (si seguono le traiettorie di singoli migranti transnazionali) o centro-situato
(punto di osservazione di Mathews è il Chungking Mansion in Cina, considerato nodo della rete
transnazionale).
Taurius: territori circolari e formiche della globalizzazione, così l’autore descrive il contesto formale
economico creatosi a Marsiglia, luogo di commercio in forma di Bazar ideato da migranti provenienti dal
Marocco che vivono in un incessante viaggio circolare finalizzato al sostenimento del commercio stesso.
Cultura dell’emigrazione:
Tale termine indica l’insieme di significati, valori e rappresentazioni socialmente condivisi che si
riferiscono e danno senso alle pratiche di mobilità di un gruppo sociale, ovvero tutto ciò che precede e
motiva la scelta di partire da parte dell’emigrante, concentrandosi sugli aspetti prettamente culturali
che fanno sì che la scelta del singolo soggetto non sia mai in realtà una scelta presa in modo
estemporaneo da quella singola persona, ma vada a sempre inquadrata in un significato sociale
collettivamente attribuito alla pratica del migrare che si è sviluppato nel corso del tempo all’interno di
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una determinata società. L’attenzione è focalizzata sul fatto che la migrazione non è una scelta casuale
o la somma di decisioni puramente individuali, bensì una pratica sociale che si radica in specifici contesti
sociali. La cultura si sviluppa quando la migrazione si inserisce profondamente nei repertori dei
comportamenti delle persone per cui i valori che le sono associati diventano parte dei valori condivisi
dalla società. La scelta di emigrare non è guidata esclusivamente dal bisogno economico; la cultura, in
altre parole le pratiche sociali, i significati e la logica simbolica della mobilità va compresa insieme
all’economia”. All’interno di diverse collettività, la migrazione è parte della vita quotidiana, della
normalità, ricevendo una valutazione sostanzialmente positiva che favorisce la decisione di partire verso
la metropoli o verso l’estero. Perché si affermi una cultura dell’emigrazione, necessaria alla nascita ed
al mantenimento dei flussi migratori, è necessario che ci sia un radicamento, un prolungamento nel
corso del tempo dell’esperienza di diverse generazioni di migranti. Per Massey l’emigrazione
rappresenta un rito di passaggio all’età adulta che rende compiuta e formata la persona.
• Capello: Prigioni invisibili: giovani dl Marocco vedono l’emigrazione come unica possibilità di
emanciparsi economicamente e di raggiungere l’età adulta.
• Pietro Cingolani: Romania e Italia, cultura dell’emigrazione radicatasi nel tempo.
• Bruno Riccio: migrazioni senegalesi e importanza del ruolo di primo migrante che agisce come
modello di azione e comportamento. La sua ricerca mostra come negli anni si sia costruita
un’immagine ambivalente dell’estero e del migrante, il quale è considerato sempre a rischio di
occidentalizzarsi, perdendo i legami con la famiglia e la propria cultura, ma allo stesso tempo è
una sorta di eroe che sostiene economicamente il gruppo domestico e la comunità. Questa
caratterizzazione positiva spinge altri migranti a partire, seguendo percorsi già aperti da chi è
partito in precedenza e appoggiandosi alle reti transnazionali per riuscire a realizzare il progetto
migratorio.
• Russel King e Nicola Mai forniscono una testimonianza eloquente dell’influenza dei media
sull’immaginario migratorio, in riferimento alla migrazione albanese verso l’Italia negli anni 90’.
Le politiche migratorie:
Biopolitica di Foucault (mezzi attraverso i quali la politica regolamenta e controlla i flussi di individui
immigranti:
• politiche di accesso: gestione dei flussi e delle modalità di inserimento nello Stato.
• politiche dei diritti: diritti, risorse e doversi stabiliti e previsti per i migranti.
Le ricerche ricordano che la migrazione irregolare e la clandestinità non sono la conseguenza necessaria
dei movimenti migratori (nessuno è irregolare o clandestino per propria natura o identità esistenziale),
bensì l’effetto delle decisioni legislative, che escludono migliaia di persone dal diritto all’immigrazione,
facendone dei soggetti dai diritti limitati, deboli e a rischio di marginalizzazione.
• Border studies: studi che trattano delle dinamiche politiche, economiche e sociali attorno i
territori di confine.
È inoltre importante ricordare la rivalità ed il confronto fra le politiche umanitarie e quelle sicuritarie
(missioni di salvataggio si sono concluse mandando indietro immigranti dapprima soccorsi).
• Andrea Ravenda: studi sugli spazi di eccezione (CPT e CIE).
• “refugee studies” hanno una loro tradizione a livello internazionale da diversi decenni (in Italia
da pochi anni) e riguardano situazioni di protezione umanitaria e richieste d’asilo. È un fenomeno
secondario alla comparsa di conflitti che producono milioni di rifugiati che si trovano talvolta
anche all’interno del loro stesso Paese (internally displaced), sebbene non all’interno del loro
abituale luogo di residenza (campi profughi costituiti dalle organizzazioni umanitarie come il
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati); altre volte si attuano attraversamenti dei
confini internazionali per cui i profughi si ritrovano all’interno di altri Paesi ma sempre confinati
in campi ad essi dedicati. Crisi dei rifugiati in Europa del 2015, l’Italia ha accolto il 3% dei
richiedenti asilo in pochi mesi, il che ha messo in difficoltà il sistema di gestione delle domande,
peraltro non preparato ad una tale situazione (primavere arabe). In Italia solo il 5% di 20.000
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domande è stato effettivamente accolto. Fino al 2017 la gestione dei richiedenti silo e rifugiati
era demandata alla CARA e alla CAS e solo dal 2017 è stato istituito il s.p.r.a.r che prevede una
diffusione capillare nei vari comuni dei soggetti ai quali è stata riconosciuta la possibilità di
protezione. Michele Manocchi racconta il disagio del villaggio olimpionico di Torino, nel quale,
l’occupazione da parte di rifugiati titolari di permessi di soggiorno per protezione internazionale
fu proprio prova della carenza nel sistema di accoglienza che ha costretto persone rifugiate
dapprima a vivere in condizioni di estrema precarietà e marginalità abitativa ma dall’altro che ha
portato anche a disagi nei residenti di quella parte di città portando in qualche caso ad esito a
dimensioni di solidarietà, ma anche a manifestazioni di conflitto, disagio, marginalità e a
problemi di convivenza, risolta con lo sgombero delle palazzine e la dislocazione delle persone
in strutture differenti reperite dalle città e dalla Chiesa Cattolica torinese e piemontese (oggi
impegnata in un progetto di inserimento completo, atto ad emancipare economicamente e
socialmente il soggetto). Le occupazioni rappresentano per i rifugiati una componente
importante nei processi di ricostruzione identitaria, azioni finalizzate a ottenere un
riconoscimento della loro dignità di attori sociali ed alla denuncia della precarietà del sistema di
assistenza e protezione italiano.
Infine, le ricerche che si sono specificamente interessate delle politiche dei diritti hanno rilevato
l’importanza delle istituzioni locali come i Comuni e le Regioni, e le differenze tra le viarie realtà italiane
rispetto ai progetti di inserimento dei migranti, così come il ruolo decisivo delle iniziative dal basso e
delle associazioni non governative; tuttavia a causa dell’esistenza del localismo dei diritti vi sono
situazioni di vantaggio o svantaggio a seconda del contesto regionale di inserimento. Diritto di
cittadinanza (ius sanguinis> ius soli) fa sì che il riconoscimento o meno di pari opportunità, diritti e doveri
tra cittadini e non cittadini abbia conseguenze anche sul piano della partecipazione e dell’identificazione
che i migranti possono manifestare nella vita collettiva e pubblica del Paese.
Lavoro e immigrazione:
I migranti sono concepiti dalle società ospitanti quasi esclusivamente nella dimensione del lavoro ed
infatti. Si riconosce il fenomeno di attribuzione del lavoro delle 5 P (poco pagati, penalizzati socialmente,
pericolosi, precari e pesanti) per cui si verifica un processo di “successione ecologica” o di “sostituzione”,
per cui gli immigrati si inseriscono nei livelli più bassi e meno attraenti del mercato del lavoro nel
momento in cui i nativi se ne allontanano (agricoltura stagionale, muratori e badanti). La caratteristica
risultante è la presenza di nicchie occupazionali pensati come di pertinenza quasi esclusivamente di
lavoratori emigrati, proprio perché settori non particolarmente appetibili ma nei quali è in
funzionamento anche uno stereotipo positivo che vede gli immigrati come capaci di sopperire a tali
compiti (donne latine come badanti). Si riscontra anche l’apertura di commercio privati (comunità
cinese, Eleonora Castagnone) la quale si configura in primo luogo come una risposta alle difficoltà
incontrate nel lavoro dipendente, basandosi sulla capacità di utilizzare i reticoli familiari e comunitari
come capitale sociale per trovare le risorse iniziali, manodopera e clienti fidati, caratterizzati però da
fragilità economica dovuta a scarsa esperienza imprenditoriale.
Melissa Blanchard, leggendo le dinamiche dei mercati di Torino, evidenzia inoltre i processi di
successione ecologica che hanno permesso ai migranti cinesi e marocchini di subentrare agli operatori
di mercato italiani, spesso a loro volta immigrati dal Sud Italia.
Genere e generazioni:
Studi circa il ruolo di primo migrante delle donne e delle differenze fra generazioni primarie e secondarie
di immigrati. Il sistema capitalistico ha messo in atto la mobilitazione non solo di beni e di denaro ma
anche di affetti, si parla infatti (Perranes) di maternità transnazionale e di dislocazione affettiva legata
al ruolo di badante che in Italia ha preso posto per rispondere alle esigenze del sistema di wealth e al
cambiamento del ruolo della figura femminile all’interno della famiglia (Hochshild evidenzia come vi
siano sistemi di esportazioni/importazione tra periferia e centro). La condizione di donna immigrata è
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inoltre soggetta a tripla discriminazione, di genere, di classe e di categoria. Portes e Rumbaut 2°, 1,75°,
1,25° e 1° generazioni.
Solon Kimbal:
Interesse per le relazioni di genere e le interazioni sociali tra individui confinati in un contesto spazio-
temporale specifico (piccoli gruppi e comunità rivestono importanza nell’educazione in quanto la cultura
di apprendimento riflette il modello di interazione sociale); gli stati psicologici e le differenze negli stili
di apprendimento sono manifestazioni delle differenze nell’organizzazione delle comunità. Interesse per
aspetto biologico.
Prospettiva personale:
L’individuo agisce attivamente sulla rete di connessioni che identifica il contesto culturale di
appartenenza che si ricrea e si modifica in ogni individuo. Harry Wolcott criticò gli studi condotti dagli
Spindler, poiché questi avevano sottolineato troppo le omogeneità della cultura trascurando il ruolo
attivo e trasformativo dei soggetti; una cultura per poter essere vitale e per potersi riprodurre deve
anche sapere organizzare le diversità al suo interno e sapersi trasformare poiché essa non è un monolito
trasmesso in modo determinato e definito, viene quindi sottolineata da Wolcott l’importanza della
dimensione attiva personale del soggetto sostenendo come ogni individuo acquisisca competenze in
modo personale e supportando il know-out particolare che ogni essere umano, in quanto membro di
un gruppo sociale, effettivamente acquisisce e mette in atto (ciascuno costruisce una cultura a partire
dalla propria esperienza personale). Ciò che la cultura fa non è creare omogeneità ma organizzare le
diversità esistenti al suo interno, si deve studiare come le persone organizzano la cultura e non il
contrario.
Gearing:
Importanza delle relazioni sociali nell’acquisizione dell’identità (modello transazionale strutturalista-
funzionalista che dà importanza alle relazioni faccia a faccia, il cui presupposto riguarda la consistenza
di qualsiasi sistema o gruppo culturale in un insieme di equivalenze di significato diverso, ma
interconnesse, che sono state precedentemente negoziate nel corso di ripetuti incontri; la cultura è
sistema di comportamenti e può essere osservata pubblicamente analizzando i sistemi standardizzati di
comportamenti della società) e presenza del curriculum nascosto (consenso tacito permette la
riproduzione della società esterna), studiabile attraverso una tecnica micro-etnografica strutturata in
diverse fasi che permette di studiare la prospettiva degli studenti oltre che quelli degli insegnanti
(orientamento generale o analisi della letteratura esistente sul luogo di ricerca e familiarizzazione con il
campo, struttura dell’evento o identificazione degli elementi salienti nella gamma di attività strutturate,
struttura interna delle parti o identificazione del repertorio di attività quotidiane che le costituisce).
McLaren:
Osserva a livello micro le interazioni quotidiane tra insegnanti e alunni; suddivide le attività educative in
due tipi di azioni contrapposte, coesistenti e in tensione dialettica: quelle rientranti nella “struttura della
conformità” e quelle costituenti la cosiddetta “anti-struttura della resistenza”. Le prime regolarizzano il
comportamento degli studenti, con le seconde gli alunni oppongono resistenza a tali meccanismi di
controllo. Le analisi delle relazioni insegnanti-alunni rivela rituali: strutture di conformità e strutture di
anti-resistenza
1. R. di rivitalizzazione (per rinnovare motivazioni, scaricare ansia…)
2. R. di intensificazione (caricano emotivamente, es. gite scolastiche)
3. R. di resistenza (studenti antagonisti. Azioni passive o attive)
4. R. di istruzione (micro e macro rituali, definiscono e rafforzano la realtà egemonica della scuola. Sono
regolari, ripetitivi, organizzati e prescrittivi).
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Varenne e McDermott:
L’attività di apprendere avviene in determinati contesti e questo la rende situata e frutto di negoziazioni
tra studenti e insegnanti, continuamente ripetute che non sempre sono di tipo pacifico ma che spesso
portano ad evidenziare diseguaglianze strutturali (non c’è scambio tra pari). Il fine fu quello di capire i
meccanismi sottesi a tali negoziazione per cui ogni individuo da un lato agisce producendo costruzioni
culturali e dall’altra viene modificato dalle stesse, in altre parole si distingue sia un ruolo attivo e uno
passivo in tutte le relazioni nelle quali ogni individuo agisce ed è agito dalle costruzioni culturali a cui
partecipa e la cultura è campo d’azione comune. inhabit (ambienti costruititi culturalmente) luoghi di
apprendimento descritto come un processo situato all’intorno di comunità di pratiche, ovvero gruppi di
persone che condividono.
Fallimento di successo-> è possibile studiare i processi educativi senza categorizzare gli alunni come
fallimentari o capaci? O è l’individuo il fulcro del problema oppure i problemi sono attribuiti a forze
esterne considerate coercitive per la vita dei singoli. La scuola è come un edifico suddiviso in stanze
(successo e fallimento) riempite di generazione in generazione da persone chiamate a ricoprire posizioni
che aspettano lì già prima che gli alunni oltrepassino la soglia dell’edifico, ma che non avrebbero ragione
di essere se non ci fosse nessuno a lavorare per mantenerle in piedi, ricostruirle o ristrutturarle sempre
da capo. L’attenzione degli etnografici deve essere riportata alla dimensione collettiva della situazione
scolastica e della società, ai pregiudizi attivati a scuola e ai ruoli sociali giocati nella scuola Perché il
successo e il fallimento sono questioni che hanno per lungo tempo interrogato gli studiosi? Perché
successo e fallimento, che sono i risultati di un processo, sono stati più interessanti del processo stesso?
Teoria deprivazionista:
Cultura della povertà, abitudini comportamentali famigliari e inadeguatezza dei nuclei famigliari (Lewis).
I limiti sono la deresponsabilizzazione e l’identificazione di bisogni generali e di deprivazioni culturali che
etichettano una categoria di individui in modo assolutistico e deterministico.
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• Shirley Brice Heath: studenti afroamericani erano più propensi ad un ragionamento analogico
piuttosto che analitico perciò se guidati riuscivano in secondo momento a produrre anche
ragionamenti analitici ma gli insenanti dovevano comprendere e agire in tal senso per risolvere
il gap comunicativo.
L’analisi micro-etnografica:
Approccio differenzialista permette il superamento di fraintendimenti e di incomprensioni ma non
genera cambiamenti strutturali a livello sociale ed economico (non agisce in luoghi esterni a quelli
scolastici). Subentra un approccio olistico di carattere strutturalista.
Modello ecologico-culturale:
Ogbu considera non solo ciò che accade all’interno della classe ma anche i livelli sociali, economici e
politici che agiscono determinando la posizione dei bambini all’interno della classe (pensiero espresso
considerando la diversa possibilità e capacità di adattamento fra minoranze cinesi e afroamericane
conseguente alla disposizione gerarchica secondo il criterio etnico-raziale del sistema statunitense).
Definizione di minoranze volontarie (doppia cornice di riferimento che genera fiducia nelle possibilità di
educazione scolastica finalizzata all’emancipazione, differenti da, genera adattamento senza
assimilazione) e involontarie (in opposizione a, genera dissonanza affettiva). Ogbu introdusse a questo
punto il concetto di modello culturale, ovvero ciò che le minoranze pensano del contesto da cui
provengono, di quello in cui vivono e soprattutto del posizionamento della propria minoranza all’interno
della società stessa. Ogbu individua 3 generi di discontinuità culturali legate ai processi di
scolarizzazione:
• Discontinuità universali: riguardano tutti i bambini, tutti passano da un contesto educativo
famigliare informale ad un contesto educativo formale (la scuola) vivono perciò un passaggio che
è una prima forma di discontinuità, siano essi bambini dei gruppi maggioritari o minoritari;
• Discontinuità primarie: transitorie, riguardano bambini immigrati, il divario in questo caso può
essere colmato e superato ed essere seguito da un riallineamento tra bambini autoctoni e
bambini immigrati;
• Discontinuità secondarie: riguardano minoranze etniche, sono le discontinuità più complicate da
superare, esempio classico è quella che riguarda gli afroamericani.
I limiti del modello ecologico riguardano la trascurabilità della variabilità che può esserci all’interno di
ciascun gruppo e la trascurabilità dell’agency (la capacità dell’individuo di adattare e modificare i modelli
culturali del proprio gruppo a seconda delle situazioni specifiche di interazione sociale in cui lo stesso si
trova).
Orozco:
Attua un’ulteriore distinzione rispetto a Ogbu (m. volontarie e involontarie), parlando di prime e seconde
generazioni di immigrati volontari. I figli di seconda generazione non hanno sperimentato in prima
persona le difficoltà pre-migratorie e non riescono a comparare le due realtà. Sperimentano, invece,
problemi di identità e appartenenza. Studio sugli studenti ispanici negli USA mette in luce i diversi fattori
che agiscono sul rendimento scolastico (non limitati ad appartenenza alla categoria di migranti
volontari/involontari):
•1. Età all’arrivo
•2. Anzianità di permanenza nel nuovo paese
•3. Competenza linguistica
•4. Storia del gruppo prima di immigrazione
•5. Struttura di stratificazione nel contesto di arrivo (non tutti i contesti di arrivo sono uguali)
•6. Livello di integrazione familiare raggiunto (e non solo quello individuale soggettivo, condizione
raggiunta e presenza di supporto famigliare o meno)
•7. Politiche scolastiche
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•8. Equilibrio psichico prodotto dall’esperienza della migrazione
•9. differenze fra generazioni nei migranti volontari
La resilienza:
O’Connor nel 1997 descrive l’attitudine di alunni afroamericani di Chicago che, forti di un’esperienza
collettiva di lotta contro la discriminazione, mettono in atto atteggiamenti di resistenza al determinismo
ed alla segregazione attraverso una spinta positiva che li volge al raggiungimento di buoni risultati a
scuola, senza allontanarsi o rifiutare il gruppo dei pari ma in un’immagine di sostegno collettivo. La
resilienza, concetto proprio degli anni 90’, può verificarsi in ambito collettivo (si insiste anche in questo
caso sulla solidarietà tra pari, Kimberly Griffin e Walter Allen confrontano un gruppo di alunni
afroamericani provenienti da un high school di periferia economicamente ben equipaggiata, con un
gruppo di studenti neri in un liceo urbano dotato di poche risorse che pur scontrandosi entrambi con
barriere simili legate alle difficoltà economiche della famiglia e con un clima raziale sfavorevole hanno
buoni risultati a scuola perché il contesto del gruppo agisce come forte investimento motivazionale
finalizzato a prepararsi all’ingresso al college, sul 1contesto famigliare, sul ruolo genitoriale, Jarret lo
conferma osservando le vite di alcune ragazze afroamericane, e la presenza di 2figure educative affidabili
e supportive) e individuale (atteggiamento di 3perseveranza e ottimismo Floyd).
Identità fluida:
Annet Hemmings studio sui conflitti fra identità nera e quella di studente modello. Confronto fra la
scuola Lincoln e la Norwood nella quale being bad è associato alla capacità di coping o atteggiamento
fluido e di assenza di rigidità in modo tale da consentire l’adattamento alle situazioni di difficile gestione;
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si parla di fluidità identitaria, per cui l’identità è qualcosa di fluido che si adatta al contesto ed è anche
qualcosa di intenzionale per cui se un’appartenenza non è adatta, l’individuo ne ricerca un’altra.
Anthropologies of Education. A Global Guide to Ethnografic Studies of Learning and Schooling ->
Anderson Levitt: rassegna non etnocentrica dei contribuiti offerti da quanti si sono dedicati ad analizzare
l’apprendimento ed i processi di scolarizzazione dal punto di vista antropologico; il manuale riduce lo
spazio concesso alla letteratura di lingua inglese e francese per valorizzare tradizioni di ricerca
minoritarie, rendendo esplicite le distorsione causate dall’etnocentrismo delle pubblicazioni
accademiche che domina questa branca di studio; si sottolinea così la tensione tra antropologia e
etnografia educativa:
➢ la prima si è imposta prevalentemente negli USA e da lì ha condizionato diverse scuole nazionali
compresa quella italiana
➢ la seconda è una postura osservativa, più che tradizione antropologica, che travalica i confini
dell’antropologia per abbracciare diversi ambiti accademici.
Italia:
Il modello etnografico ha permesso un’analisi qualitativa del processo di immigrazione e inurbazione.
Francesca Gobbi: le differenze possono essere occasione di problematicizzazione del sistema scuola
italiano (ancora compensatorio)
Leonardo Piasere: rischio di mancata analisi (e conseguente ristrutturazione del contenitore scuola)
Fabio Dei: necessario interessarsi alle competenze e non alle mancanze, rischio dell’interculturalismo
benevolo che porta a differenzialismo culturale che attribuisce le difficoltà di inserimento alle differenze
culturali.
Mara Benadusi: asilo multiraziale, ruolo e psicologia delle docenti.
Francesca Galloni: successo a scuola per l’accettazione nei pari.
Fulvia Antonelli: esclusione sociale e scolastica di ragazze popolari (Mena va a scuola). Critica il
paradigma dell’intersezionalità perché responsabile di indeterminatezza e di produzioni
categorizzazioni. Mette insieme modello ecologico di Ogbu e concetto di agency. In queste istituzioni le
ragazze di classe popolare sperimentano il continuum fra scuola e città della segregazione e della
ghettizzazione sociale. Si ritrovano così a occupare gli spazi scolastici con le stesse dinamiche che vivono
nello spazio urbano: gli scontri e le rivalità fra gruppi di pari, le dinamiche sentimentali, l’opposizione
alle figure adulte professionali che agiscono su di loro. Si ritrovano anche ad agire secondo modelli
femminili complessi. La complessità e la conflittualità del regime urbano e delle sue dinamiche sociali
che si estendono dentro la scuola evidenziano come le letture depoliticizzanti della dispersione
scolastica – inquadrata come un problema di demotivazione individuale degli studenti o di obsolescenza
della didattica e dell’organizzazione scolastica – siano insufficienti a spiegare l’esperienza soggettiva
delle ragazze di classe popolare
Carlotta Saletti Salza: autrice di “non c’è proprio niente da ridere” il cui oggetto è il modello educativo
familiare che l’alunno rom porta a scuola, nonché il modello educativo istituzionale scolastico rivolto
all’alunno «nomade» (l’alunno rom). Il contesto studiato resta quindi la scuola, con l’obiettivo di
indagare le «strategie di gestione del quotidiano scolastico» di questi alunni. In particolare, oggetto della
ricerca è l’insuccesso scolastico attribuito all’alunno rom, considerato come meccanismo di adattamento
piuttosto che come disadattamento del soggetto: mentre la scuola giustifica l’insuccesso scolastico con
fattori culturali, l’alunno rom a scuola si trova a dover gestire quello che viene definito un «binario
parallelo»; ovvero da una parte è impegnato a mantenere l’evoluzione delle attività specifiche rivolte a
lui in quanto «nomade» e dall’altra a seguire quelle della classe in cui è inserito. La scuola non sottrare
l’identità rom ma gli conferisce la nuova identità di nomade. Nel rapporto rom-insegnante di sostegno
si delineano:
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• Intensione: tutti quei rapporti che l’alunno rom mette in atto nel prendersi cura della relazione
con l’insegnante e attraverso la quale il bambino cerca di salvaguardare il modello educativo
famigliare.
• Malinteso: medicalizzazione/psicologizzazione della diversità culturale perché la mancanza
dell’altro viene attribuita dalla scuola ad una presunta carenza cognitiva, da un lato si ha il
ragazzo che mette in atto stratagemmi per riprodurre il suo stile educativo e dall’altro
l’insegnante vede un alunno che non impara perché diverso, perché privo di una cura fisica
adeguata (i bambini rom vengono lavati a scuola e tenuti sotto controllo, vengono cambiati,
avviene una sorta di normalizzazione), perché mancante piuttosto che perché derivante da
un’altra cultura e da un altro universo di riferimento che lo porta a d osservare le cose in modo
diverso.
Altro tema importante è quello del silenzio, un silenzio portato a scuola dall’alunno rom per esprimere
e mantenere un’identità costruita ne gruppo di appartenenza “è stando in silenzio qualche bambino rom
va a scuola”.
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