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CAPITOLO 1

La cultura assume di solito due concezioni: una assume una connotazione di sobrietà, affinamento interiore e concentrazione mentale. È un
attributo della persona colta. L’altra si riferisce a un insieme di costumi, procedimenti tecnici e tradizioni come a una cultura regionale. La
cultura come elevazione intellettuale fa astrazione dai costumi singolari, locali, condizionati dal contesto storico tipici della cultura regionale.
La cultura dei dotti ha pretese universali. La cultura dei popoli, invece, è sempre una cultura radicata e particolare. Si può dire che è proprio
l’elemento cultura a rivelare la storia culturale dei paesi occidentali. I due usi del termine si riferiscono rispettivamente ad una concezione
umanistica-classica e antropologica-moderna. La parola cultura deriva dal latino, e indicava il lavoro della terra, la coltivazione dei campi.
Oppure, in senso metaforico, la cultura si trasferiva dal terreno all’animo umano. Quindi, con l’educazione e la filosofia l’uomo si nutriva e
diventata da incolto, colto, proprio come i campi, che con la cura, fruttavano. In Francia, l’idea di cultura, sempre utilizzata al singolare,
rispecchia l’universalismo degli illuministi. La cultura era associata al progresso, all’educazione, alla possibilità di purificare l’intelletto. La
nozione di cultura quasi si sovrappone a quella di civiltà e civilizzazione. Per Arnold, la cultura è quanto di meglio era mai stato conosciuto e
pensato nell’arte, nella letteratura e nella filosofia. È un mezzo per rendere più umano un mondo sempre più industrializzato. Nel 19° secolo,
i romantici tedeschi si legheranno in particolare alla cultura come spirito nazionalista, come lo spirito più profondo e autentico dei popoli,
come fondamento dell’unità nazionale. La cultura concerne una collettività e ha uno scopo descrittivo. Dilatandosi i confini e centrandosi i
costumi, si smentisce sempre di più l’universalità. La sfida delle scienze sociali è quella di pensare l’unità umana attraverso la diversità
culturale, nata dalle abitudini, e non attraverso razze biologicamente determinate. Tylor intende la cultura o civiltà come insieme di
conoscenza, credenze, arte, morale, diritto, costume, abitudine dell’uomo membro di una società. Egli riconosce anche una cultura primitiva,
che gli illuministi avevano trascurato perché in quanto occidentali comprendevano i fenomeni nuovi come stranezze o comportamenti
irrazionali. 3 componenti della cultura sono: ciò che gli individui pensano, complessi di norme e credenze, come religione, morale e diritto;
ciò che fanno, quindi costumi e abitudini quotidiane; e i materiali prodotti, gli artefatti, oggetti di culto o di uso quotidiano. Fino agli anni 50,
l’antropologia studiava la cultura nelle popolazioni primitive, privilegiando la società in scala ridotta. Si tratta di una società faccia a faccia, in
cui gli individui interagiscono frequentemente tra loro, in un ambiente ristretto, in cui la comunicazione è continua e la divisione del lavoro
è scarsa. Tutti i membri della società si conoscono a fondo, usano gli stessi linguaggi e si somigliano tra loro. Fin dalla seconda metà dell’800,
la sociologia aveva l’ambizione di essere una scienza generale dei fenomeni sociali. I rapporti tra antropologia e sociologia erano abbastanza
stretti, perché tra le due vi era un’influenza reciproca e un’alleanza. Da questi rapporti reciproci, nasce la necessità da parte della sociologia
di rivedere il concetto antropologico di cultura. L’approccio sociologico si forma principalmente in tre tradizioni sociologiche di inizio 900:
l’americana, la francese e la tedesca.
CAPITOLO 2
La cultura è considerata un elemento centrale della società. La distinzione analitica società/cultura appartiene a tutte e tre le tradizioni
considerate ed è particolarmente rilevante nella scuola sociologica francese. L'enfasi sulla differenziazione interna alla cultura nasce
dall'importanza che assume la dimensione storica e temporale dei fenomeni culturali. La flessibilità e il cambiamento delle culture derivano
sia da contraddizioni e differenze interne, sia da fattori esterni. Durkhiem mette in luce che l'affermarsi dei valori individualistici ha
comportato simultaneamente un aumento del senso di libertà e del conformismo. Egli individua nell'anomia, ossia nella carenza di regole
che genera l'incapacità di imporre dei limiti ai desideri delle persone regolandone le aspettative, una delle situazioni di disordine culturale
più foriere di patologie individuali e impulsi autodistruttivi. Un altro aspetto sottolinea la capacità creativa e innovativa della cultura, rispetto
a quella della ripetizione e riproduzione della tradizione. La scuola americana e la tradizione tedesca hanno accentuato l'esistenza di
contraddizioni e inconsistenze nei sistemi culturali moderni dovuta alle differenze tra gruppi. Weber usa il concetto di carisma per spiegare
l'origine di nuovi sistemi di idee. Alcuni movimenti religiosi, politici e sociali nascono dalla rottura con una tradizione preesistente e fanno
riferimento all'autorità carismatica basata sulle doti prettamente personali del profeta che annuncia una dottrina o una nuova rivelazione.
Durkheim adotta un modello più vicino a quello dell'antropologia, dove la trasmissione culturale è vista come un processo di
condizionamento che programma i membri più giovani della società a comportarsi in maniera conforme alle regole e ai valori condivisi dalla
comunità sociale. La sociologia americana ha dato l'avvio a una diversa considerazione dei modi in cui gli individui vengono socializzati, in cui
viene socialmente costruita la loro identità personale. Anche Simmel rileva continuamente nella sua opera che le norme sono una realtà con
cui gli individui si confrontano e che oltre a recepire sono anche in grado di modellare. Nella sociologia classica è stata per così dire anticipata
una prospettiva critica di quel modello di homo sociologicus, visto come cultural drop (drogato dalla cultura). L'approccio sociologico allo
studio della cultura si è affermato allontanandosi dalla nuova prospettiva che si andava consolidando nell'antropologia. Si analizza il rapporto
tra pensiero e realtà sociale, il ruolo dell'ideologia, delle differenze dei valori, degli orientamenti culturali e stili di vita tra strati sociali, gruppi
etnici e generazioni.
COMPONENTI DELLA CULTURA
Secondo Peterson, la cultura è costituita da quattro tipi di elementi: norme, valori, credenze e simboli espressivi. La cultura designa un
sistema cognitivo ossia un insieme di proposizioni di tipo sia descrittivo sia normativo. Con l'espressione cultura materiale si intende
privilegiare gli aspetti visibili di una cultura come i manufatti, gli utensili impiegati nella vita quotidiana. Tuttavia, l'espressione è usata
impropriamente, in quanto gli oggetti materiali veicolano significati immateriali ossia rappresentano qualcosa che va oltre l’utilità pratica.
Quindi, la cultura materiale è lo studio di una cultura a partire dai suoi elementi visibili.
VALORI (PAG. 51-55) I valori al plurale indicano gli ideali a cui gli esseri umani aspirano e a cui si riferiscono quando devono formulare dei
giudizi. Il linguaggio delle scienze sociali adotta un significato molto vicino a quest'ultimo: il valore non indica l'oggetto dell'interesse, ma il
criterio della valutazione, ovvero il principio generale in base al quale approviamo o disapproviamo un certo modo di agire, di pensare o di
sentire. Il concetto di valore si distingue quindi da quello di preferenza: mentre la preferenza dice ciò che vogliamo, il valore dice ciò che
dovremmo volere. I valori hanno tre dimensioni fondamentali: una dimensione affettiva (influiscono sui nostri pensieri, emozioni, provocano
una reazione emotiva), una dimensione cognitiva (il valore agisce su una sfera razionale, indicandoci i nostri desideri, ci orienta nella
conoscenza di cosa viene ritenuto bello, giusto, desiderabile) e una dimensione selettiva (il valore ci spinge ad agire perché ci da una
motivazione). I valori coinvolgono gli effetti, i sentimenti delle persone. I valori sono stati interiorizzati quindi possono suscitare sentimenti
di colpa e di vergogna. Vengono interiorizzati da quando siamo piccoli, attraverso il processo di socializzazione. Li consideriamo normali,
incidono sulla nostra personalità, è difficile scalfirli. I valori ci costringono e proviamo vergogna se i valori sono messi in discussione. I valori
implicano una consapevolezza e non vanno quindi confusi con i costumi, ovvero con la condotta abitudinaria. Infine, la dimensione selettiva
fa riferimento alla capacità dei valori di orientare l'agire sociale, in quanto forniscono le motivazioni dei comportamenti. Sono asserti
prescrittivi, principi generali astratti che riguardano verità condivise. Ci dicono cos’è giusto, bello, buono, desiderabile o no. Hanno a che fare
con l’etica e la morale. (es. la libertà di scelta, il rispetto per i genitori, la difesa della pace). I valori variano storicamente e geograficamente
(es. in precedenza, l’onore era un valore confermato nella costituzione con il diritto d’onore), ma si connettono in vario modo con la realtà
sociale, l'organizzazione economica e l'assetto politico. Parsons identifica quattro dilemmi fondamentali che ha chiamato variabili strutturali,
ciascuno dei quali richiama due risposte. Il primo dilemma è tra universalismo e particolarismo. Se l'attore sociale decide di giudicare un
oggetto fisico e sociale partendo da criteri generali relativi a tutti gli oggetti della stessa categoria, allora opta per l'universalismo. Esso orienta
verso le somiglianze più che le differenze tra persone o oggetti. Secondo Parsons, nella realtà moderna prevale l’universalismo (generale) sul
particolarismo. Oggi, l’universalismo viene messo in discussione (es. omosessualità: da una parte c’è il censimento dei diritti, ma dall’altra
parte si riconosce la diversità del particolare). Nelle azioni individuali, possono esserci contraddizioni. C’è una differenziazione culturale.
Questo porta a uno scontro tra particolarismi o all’universalismo. A volte il particolarismo prevale, ma le istituzioni spingono per
l’universalismo. Se invece si considera l'oggetto secondo criteri che si applicano solo a un oggetto e a condizioni particolari, allora si opta per
il particolarismo. Il secondo dilemma è tra prestazione e qualità. L'attore sociale deve scegliere se trattare l'oggetto alla luce delle sue
realizzazioni ovvero di ciò che fa o se dare maggiore importanza alle sue qualità ovvero ciò che è. Anche in questo caso si tratta sempre non
di una scelta drastica, ma di un'enfasi posta sull'uno o sull'altro corno dell'alternativa. Oggi prevale la prestazione. In famiglia per esempio si
giudica per qualità. Il terzo dilemma tra cui l'attore può scegliere è tra neutralità affettiva e affettività. Egli sceglie la prima quando mette da
parte i propri sentimenti considerando la situazione e i rapporti sociali in cui si trova strumentalmente quindi in funzione di una finalità. Il
quarto dilemma è tra specificità e diffusione: l'attore sociale può rapportarsi agli altri considerandone solo aspetti specifici oppure si può
orientare agli altri in maniera globale considerando la persona nel suo complesso. Il rapporto riguarda una sfera o tutte le sfere. Il rapporto
tra valori e comportamenti non sempre è univoco. (pag. 51-55)
NORME (pag. 55) Le norme sono più specifiche e socialmente imperative dei valori. Ci dicono come comportarci. Le norme applicano il valore.
(es. non rubare valore: onestà. non fumare valore: salute pubblica. portare la mascherina: responsabilità sociale). Un valore può produrre
più norme. Viviamo in un periodo caratterizzato da principi neoliberisti: alcuni hanno esagerato il valore della libertà individuale (es. non
portare la mascherina: si vieta la libertà. altri: responsabilità sociale). Si tratta di ragionamenti diversi: il neoliberismo (65 parziale) è stato
esagerato talmente tanto da farci dimenticare il nostro interesse personale (salute). Norme religiose: andare in chiesa, non provare amore
per il prossimo. Anche se possono essere altamente interiorizzate come i valori, sono formulate in maniera più imperativa. Una norma viene
generalmente enunciata sottoforma di un obbligo o di un'imposizione. La sua efficacia sociale dipende eminentemente dalla presenza di una
sanzione. La norma che impone, ammette o vieta un certo comportamento prevede una punizione (sanzione negativa) per chi non vi si
conforma. Può anche prevedere un premio in caso di conformità (sanzione positiva). Le norme vengono apprese nel corso dell'intero ciclo
vitale. John Searle ha distinto le norme costitutive dalle norme regolative. Le prime costituiscono una pratica che non esiste prima delle
regole che la mettono in essere. Tra queste rientrano le regole dei giochi e le norme giuridiche. Le seconde regolano pratiche già esistenti,
dal precetto religioso che vieta di entrare in una moschea con le scarpe alla regola di etichetta che impone di togliersi il guanto per stringere
la mano una persona. (pag. 55)
CREDENZE (pag. 58-59) Le credenze indicano le convinzioni espresse da individui e gruppi, basate su dati di fatto, su atti di fede.
Comprendono le proposizioni descrittive della realtà e costituiscono i modi in cui i soggetti organizzano cognitivamente la propria esperienza.
Si distinguono credenze fattuali e credenze rappresentazionali. Le credenze fattuali sono semplicemente cose che si sanno; mentre le
credenze rappresentazionali corrispondono a ciò che nella lingua comune chiamiamo credenze, opinioni o convinzioni. Nel caso di una
credenza fattuale, il soggetto ha solo coscienza di un fatto. Nel caso della credenza rappresentazionale, il soggetto è cosciente di accettare
una certa rappresentazione. Le prime sono definite anche proposizionali in quanto bastano a identificare una proposizione e una sola; il loro
significato è univoco. Le rappresentazioni semiproposizionali possono ricevere tante interpretazioni quanti sono i modi di precisare il loro
contenuto concettuale. Il loro significato è vago e indeterminato. Lo studio dei sistemi delle credenze deve tenere conto che i criteri della
logica si possono mostrare inadeguati e che credenze con deboli rassomiglianze di famiglia possono sostenere un carico elevato di dissonanza.
Norme e credenze sono a volte strettamente correlate nel senso che le une implicano le altre. (pag. 58-59) Sono forme di descrizione della
realtà (es. credere agli alieni: scambiare un freesbee per un disco volante, credere nella scienza: vaccinarsi). La credenza ha a che fare con
ciò che crediamo sia vero. Può capitare che vengano smentite, ma sono talmente potenti da farci mettere in discussione la realtà. Si dividono
in due fattori: 1. Legate ad un evento verificabile e 2. Rappresentazionali: sono vaghe. Le credenze sono legate all’organizzazione sociale:
categorie universali come tempo e spazio.
SIMBOLI (pag. 59-61) Il simbolo è definito come un segno sia convenzionale sia analogico. La semiologia è la scienza che studia i segni
nell'ambito della vita sociale. I simboli vanno tenuti distinti dai segnali. Questi hanno un valore prevalentemente informativo, vengono
introdotti attraverso una semplice convenzione. I simboli hanno un carattere intersoggettivo, ossia sono condivisi da un gruppo sociale.
Fanno parte della dimensione implicita della cultura, rappresentano un sapere che gli individui sono in grado di esprimere, ma senza
svilupparne i ragionamenti o le argomentazioni. La semiologia intende decodificarne il significato nascosto, stabilire la logica delle
associazioni. Mead studia la funzione sociale e comunicativa dei sistemi simbolici; egli osserva che è il riconoscimento di un simbolo a spezzare
il semplice riflesso condizionato che lega lo stimolo alla risposta. (pag. 59-61) Sono segni convenzionali analogici, con doppio significato:
manifesto e latente. Secondo gli antropologi, dietro i simboli c’è la causa di una certa società. I segni analogici hanno dei richiami diretti alla
nostra realtà. I simboli si distinguono dai segnali, perché hanno una funzione simbolica, non informativa. I simboli rimandano con un
significato profondo riguardo la società. Danno a pensare. Oggi vengono usati con immediatezza, senza rifletterci, senza argomentare. Hanno
una forte carica emotiva, ma si trovano ad un livello implicito (al contrario di norme, credenze e valori). L’uso dei simboli è costitutivo della
realtà umana. Il linguaggio (verbale o gestuale) è il primo esempio dell’uso di simboli. I simboli costituiscono la comunicazione. Il linguaggio
permette di attribuire sè stessi e gli altri. Hanno quindi, una funzione comunicativa e sociale. I simboli sono condivisi in un gruppo.
DIMENSIONI DELLA CULTURA (61-66)
È difficile pensare un sistema culturale come qualcosa di completamente integrato e unitario. Anche uno tra i più organizzati sistemi normativi
presenta delle incongruenze. L'organizzazione non significa mancanza di contraddizioni ed incongruenze. Nella teoria sociologica si è spesso
confusa la coerenza del sistema culturale con l'integrazione della società, ossia con l'uniformità dei comportamenti e l'ordine sociale,
assumendo che dall'una derivassero necessariamente gli altri. Sorokin aveva un'idea della cultura come un insieme molto coerente nella sua
tipologia dei sovrasistemi culturali, ad esempio quello sensista che definisce la cultura occidentale moderna, è caratterizzato da un unico
principio organizzatore. Per Sorokin, il tipo di cultura dominante in una società plasma la mentalità degli individui che ne fanno parte. Simmel
e Coser hanno però sostenuto che il conflitto non è sempre un fattore di disgregazione, ma può essere un elemento di ordine. Ad esempio,
il conflitto acuisce il senso dei confini di gruppo e rafforza il sentimento di identità e di appartenenza. Weber sostiene che possono coesistere
di fatto diverse concezioni del senso di un sistema normativo. Il grado di integrazione di una cultura varia da una cultura all'altra; è più elevato
nelle società semplici; nella società industriale moderna la cultura è sempre più indeterminata, orienta meno rigidamente i comportamenti,
consente più alternative e quindi è anche molto più flessibile. La crescita della complessità sociale, ovvero la spinta verso un aumento della
specializzazione e differenziazione degli ambiti della vita sociale ha come esito un aumento del grado di differenziazione simbolica. Si
moltiplicano le possibilità di scelta dell'individuo e gli individui si trovano sempre più spesso a confrontarsi con modelli culturali contrastanti
nel corso della loro esperienza. La cultura è collettiva in quanto le proposizioni sono codificate entro rappresentazioni di gruppi sociali, entro
segni e simboli riferibili a collettività. La cultura è oggettiva nel senso che il suo significato è accessibile e comunicabile anche a chi non
appartiene alla collettività. Ciò non esclude che la cultura sia attribuibile anche ad una dimensione soggettiva quando si fa riferimento alle
interpretazioni personali che ognuno è in grado di fornire. Durkheim esclude che la cultura possa essere studiata anche sul piano soggettivo,
non si sofferma sui meccanismi microsociali e mentali che potrebbero spiegare una configurazione culturale a livello individuale. In realtà,
esiste un livello soggettivo della cultura, che costituisce ciò che i soggetti intendono e interpretano delle rappresentazioni dei simboli culturali.
I sociologi hanno parlato dei processi di trasmissione della cultura da una generazione all'altra, ovvero di socializzazione, e hanno indagato
le forme e i fondamenti della legittimazione. La dimensione implicita della cultura è una cultura tacita, non detta, che fa riferimento a quei
giudizi che i membri di un gruppo sociale esprimono in maniera regolare, ma che non sono sempre in grado di argomentare o di esplicitarne
i criteri sottintesi. La cultura esplicita è quella tematizzata e apertamente divulgata. Molti costrutti culturali contengono nello stesso tempo
un sapere esplicito e uno implicito. (pag. 61-66)
CAPITOLO 3 - CULTURA E STRUTTURA SOCIALE Mentre Durkheim avrebbe teorizzato la stretta determinazione sociale dei fenomeni culturali,
Weber avrebbe elaborato solo il senso opposto del rapporto, ossia il ruolo dei fattori culturali sul comportamento sociale. L'esigenza di
distinguere tra piano sociale e piano culturale crea nuovi livelli di autonomia e di specializzazione della cultura. Secondo Parsons, l'evoluzione
sociale ha comportato l'affermazione progressiva della cultura nella vita sociale. Nel passaggio dalla società primitiva alla società intermedia,
che precede la società moderna, la comparsa e diffusione della scrittura ha rappresentato una vera rivoluzione che ha contribuito a rendere
stabile la cultura. Il passaggio dal discorso orale alla parola scritta ha significato l'adozione di codici sintattici e grammaticali più rigorosi e il
continuo arricchimento del vocabolario linguistico. Mentre in una cultura orale la conoscenza doveva essere costantemente ripetuta o si
sarebbe persa, la scrittura consente di fissare le idee i sentimenti, consente di oggettivare la cultura. Il passaggio alla società moderna è stato
segnato, oltre che dall’avvento della scrittura, dall'apparizione del diritto di un sistema codificato di norme e di rigide regole processuali.
Idee, principi e ideali sono stati istituzionalizzati; i costumi sono meno sottoposti a influenze di breve termine e acquistano un riconoscimento.
A ciò bisogna aggiungere l'emergere specializzato di agenzie e istituzioni allo scopo di trasmettere il patrimonio culturale del gruppo sociale.
Mentre nelle società premoderne la socializzazione era attribuita alla famiglia o all'istituzioni religiose, nella società moderna sorgono le
scuole, le università che veicolano, diffondono parti della cultura della società. La cultura è autonoma, ossia differenziata da altre sfere sociali,
è stabile e ricca di contenuti, sempre più diversificata al suo interno, ma anche in rapporto con gli altri ambiti della vita sociale.
LA CULTURA COME BUSSOLA
I valori, le norme e i simboli hanno un significato necessariamente espresso in forma inconscia. I simboli in particolare presentano significati
inconsci e connotativi espressi in forma traslata. Il livello inconscio è importante quanto quello conscio nella cultura, in quanto attraverso i
significati inconsci dei simboli, la cultura si connette al mondo delle emozioni. Secondo Weber, la cultura è ciò che conferisce significato
all'azione umana. È tipico dell'uomo dare un ordine a un mondo altrimenti caotico e scuro. Weber indicava che in quanto umani, noi siamo
esseri culturali dotati della capacità e della volontà di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli un senso.
La cultura costituisce una sorta di bussola del comportamento. La cultura è un’ininterrotta costruzione sociale, la stabilità non è mai definitiva,
ma intrinsecamente precaria e sottoposta al mutamento. La cultura non è un ornamento dell'esistenza umana ma una sua condizione
necessaria. La necessità di un ordine culturale discende dalla natura biologica umana.
VARIABILITÀ E UNIVERSALITÀ DELLA CULTURA: IL PROBLEMA DEL RELATIVISMO
In epoca moderna, alcuni filosofi hanno richiamato l'attenzione sulla molteplicità dei modi di pensare e di agire: ciò che è bizzarro, strano,
esotico in un luogo, è normale, familiare, scontato in un altro. Si affaccia l'idea della relatività dei mondi culturali. Le ragioni del relativismo
sono soprattutto metodologiche. Per l'antropologo o il sociologo, è fondamentale non affrontare la cultura con pregiudizi applicando schemi
concettuali e categorie prodotti dal proprio gruppo e società. È prima di tutto un'attitudine volta a contrastare l'etnocentrismo, il punto di
vista per cui il nostro gruppo è il centro di tutte le cose mentre tutti gli altri gruppi sono misurati e valutati rispetto a esso. Il relativismo come
impostazione filosofica postula l’incomparabilità tra culture diverse, l'impossibilità di ogni criterio di validità e un'effettiva comprensione
interculturale. Nelle sue forme più radicali è la negazione della flessibilità, permeabilità e dinamicità dei sistemi culturali, ma le culture non
sono mondi chiusi e immobili. Il confronto tra culture sistemi normativi non è impossibile; esistono tratti comuni a tutte le culture che
vengono chiamati universali culturali, come il tabù dell'incesto e il complesso di Edipo o la norma della reciprocità, che stabilisce che è un
dovere contraccambiare un favore o un vantaggio ed essere grato a colui che lo concede.
CAPITOLO 5- QUATTRO APPROCCI TEORICI
Valori, simboli e credenze, ovvero strumenti con cui valutiamo, rappresentiamo e classifichiamo cose e persone, operano entro contesti e
forme di vita sociale. La cultura influisce, a sua volta, sulle relazioni sociali, conferendo loro stabilità, favorendo lo sviluppo e la diffusione di
certi comportamenti. Il rapporto tra cultura e società è bidirezionale. Le questioni importante a riguardo interessano: L' influenza dei contesti
storico-sociali sulla cultura, nei suoi vari aspetti e dimensioni: la diversità culturale delle società industriali moderne viene descritta
prevalentemente in base a categorie che fanno riferimento gerarchie sociali o a contesti di esperienza sociali differenti. Il ruolo che la cultura
svolge nell' orientare l'azione di individui e gruppi sociali: Weber esplora la direzione del rapporto dalla cultura alla società. I processi sociali
in base ai quali la cultura viene trasmessa da una generazione all'altra, si diffonde si trasforma: la cultura entra far parte dell'universo
soggettivo delle persone. Ci sono state soprattutto in passato, teorie che postulano qualche tipo di determinismo, che pretendono di stabilire
delle relazioni univoche, di portata generale, fra cultura e struttura sociale. L' asse determinismo culturale/determinismo sociale riproduce
l'alternativa più filosofica tra idealismo e materialismo. Il materialismo storico di Marx ed Engels interpreta la storia come sviluppo di fattori
economici e la sovrastruttura culturale come rispecchiamento della struttura economica. Weber e Simmel hanno entrambi preso le distanze
dalla posizione di idealista. Ma anche la tradizione sociologica francese è stata spesso identificata con un determinismo sociale. Durkheim
parla di rappresentazioni collettive come meri prodotti dell'organizzazione sociale. Egli affronta espressamente la questione dello sviluppo
relativamente autonomo della cultura, il cui substrato continua essere collocato nella struttura delle relazioni sociali. L' evoluzione delle
credenze è l'esempio più probante di questo sviluppo autonomo. L' asse determinismo culturale/determinismo sociale è stato ripreso negli
anni 60 e 70 sull'onda del rinnovato interesse per il marxismo e la discussione scientifica si è gradualmente spostata sull'asse influenza
reciproca/autonomia. I modelli interpretativi o paradigmi sono una varietà di modi di affrontare il tema, ognuno dei quali presenta dei
vantaggi e degli svantaggi, ma che raramente costituiscono delle alternative analitiche. Si possono individuare quattro modelli principali che
riguardano l'emergere della cultura: modelli funzionalisti, causalisti, strumentali, interazionisti. Un quinto modello può essere considerato
quello strutturalista.
Modelli funzionalisti: Il termine funzionalismo nasce negli anni 30. Le scienze sociali intendono individuare la funzione che la cultura svolge
nello stabilire e mantenere il sistema social. Malinowski sostiene che la funzione della cultura consiste nella capacità di soddisfare i bisogni
fondamentali degli individui membri del gruppo. Brown pensa che tale funzione si raggiunga attraverso la conservazione della struttura
sociale complessiva. Durkheim ha sottolineato la funzione integrativa della religione, in quanto rafforza i legami che connettono l’individuo
alla società di cui è membro. I simboli sono indispensabili al mantenimento dell’ordine sociale. Parsons cerca di stabilire una congruenza tra
il sistema dei valori e la struttura sociale. L'analisi funzionale consiste nel presentare le norme deontologiche, ad esempio, come soluzione ai
problemi di asimmetrie di potere. Merton distingue tra funzioni manifeste e funzioni latenti, slegando l’idea di funzione da quella di finalità.
Egli osserva che se l'effetto di un rito non viene raggiunto non ne consegue che il rito non abbia prodotto alcun effetto. Le sue funzioni
possono essere latenti, ossia avere conseguenze oggettive non intenzionalmente volute né ammesse. Alcune obiezioni al modello: la
spiegazione trascura il significato che le azioni hanno per il soggetto che la compie. Le spiegazioni funzionali concepiscono la cultura come
un insieme consensuale, legato ai benefici collettivi che essa procura, mentre il soggetto è inteso come imbevuto della cultura a cui
passivamente si conforma. Inoltre, anche se una norma sociale genera un beneficio collettivo, ciò non spiega perché essa esiste, a meno che
non siamo anche in grado di mostrare il meccanismo di feedback che specifica in che modo le conseguenze benefiche della norma
contribuiscono al suo mantenimento.
Modelli causalisti: La cultura in generale e nelle sue diverse componenti è direttamente causata da processi che perlopiù sfuggono alla
coscienza degli individui che a quella cultura aderiscono. Queste cause possono essere di tipo biologico, psichico, economico o sociale. Le
ragioni addotte dai soggetti non sono proprio prese in considerazione o sono considerate delle illusioni. Pareto attribuisce l'origine di valori
e credenze a cause psichiche. Marx e Durkheim sostengono la rilevanza di cause sociali. La sottostruttura, definita dai rapporti di produzione,
genera una sovrastruttura morale, estetica, giuridica che la rispecchia. Dall'idea che i concetti e le categorie siano collettivi, comuni e
comunicabili, deduce la tesi che vi sia una relazione causale tra l’ordine sociale e l’ordine concettuale. Bloor e Barnes elaborano un
programma forte di sociologia della conoscenza, secondo cui gli stessi contenuti e le stesse procedure della scienza sono condizionate da
fattori sociali. La prospettiva della produzione di cultura ha l’ambizione di essere applicabile a molti specifici campi di ricerca. La novità
consiste non nell’importanza attribuita alle basi specificamente istituzionali della cultura, ma anche nel focalizzarsi sugli oggetti culturali,
ossia gli elementi della cultura. La cultura emerge dalla somma di tanti comportamenti organizzativi e si presenta come una sorta di repertorio
di elementi scarsamente integrati. La critica rivolta è quella che studiare la produzione di oggetti culturali significhi solo affrontare un aspetto
per quanto rilevante della cultura, ma non la cultura in quanto tale.
Modelli strumentalisti: Il modello privilegia il calcolo strumentale. Le norme emergono come effetto di scelte razionali e la cultura
rappresenta la combinazione di tante scelte individuali. Se l'attore sociale aderisce a una norma o a un valore lo fa perché ne trae un
vantaggio, lo fa quindi, seguendo il proprio interesse. Le norme sociali sono intese come beni pubblici di secondo grado che hanno maggiori
probabilità di emergere quando sono strumentali al raggiungimento dei fini del gruppo.
Modelli interazionisti: La priorità è data all’interazione comunicativa tra individui impeganti in attività o in pratiche situate a diversi livelli di
complessità. Le norme sociali non emergono dal calcolo, che presuppone una progettazione a priori, ma dalla ripetizione di soluzioni a
problemi ricorrenti di cui si è fatta esperienza nel passato. La cultura è un fondo di conoscenze condiviso intersoggettivamente, dato per
scontato. Ciò non preclude l’attività continua da parte degli attori sociali di negoziare i significati, contribuendo così alla loro evoluzione.
Infatti, esistono situazioni, non affrontabili sulla base dell’esperienza, in cui gli attori sociali devono negoziare una definizione della situazione.
Per Collins, il meccanismo che produce idee e significati condivisi e rituali, di cui la religione è l'archetipo, ma che si presenta come modalità
normale di interazione quotidiana. Il contenuto del rituale è arbitrario e condiviso, basato sulla forza della tonalità emotiva comune che si
viene a creare quando più persone si riuniscono condividendo uno stesso focus di attenzione e simboli di appartenenza.
Modelli strutturalisti: Il termine strutturalismo deriva dall'applicazione all'analisi della cultura della cosiddetta linguistica strutturale. La
cultura è una rappresentazione di superficie di una struttura profonda della mente umana. Strauss ritrova alla sua base la predisposizione
generale della mente umana a pensare e a classificare le cose in termini di opposizioni binarie. Foucault analizza la storia della follia, della
sessualità, i discorsi delle scienze; viene definito neostrutturalista, in particolare per l'accento che posto sulle relazioni interne agli elementi
del discorso da cui possono essere inserite regole e uniformità più profonde. Nasce anche una scuola marxista-strutturalista che intendeva
rileggere Marx, cercando di mostrare che le formazioni sociali come sistemi fonetici sono combinazioni strutturate di tratti distintivi. Si
sosteneva la relativa autonomia della cultura, la cui riproduzione era affidata agli apparati ideologici di stato.
L' IDEOLOGIA COME SISTEMA CULTURALE
A partire dal XIX secolo, le religioni cristiane entrano in competizione con le altre fonti di legittimazione che pretendono di fondare la vita
sociale collettiva su sistemi di idee di valori secolari. Toynbee parla delle ideologie postcristiane, riferendosi principalmente al nazionalismo,
all' individualismo liberale e al comunismo. I criteri che consentono l'individuazione di una ideologia sono: una visione del mondo con un alto
grado di coerenza interna; prodotto esplicitamente da gruppi intellettuali, ma diffusa a più ampi strati della popolazione; che ha la funzione
di legittimare o giustificare i rapporti di potere; a partire non da fonti ultraterrene, ma richiamandosi all’autorità scientifica. Il concetto di
potere e quello di ideologia sono sempre strettamente legati. Il potere indica la capacità da parte di un individuo di un gruppo di far valere i
propri desideri e interessi anche di fronte alla resistenza altrui, ma è anche accompagnato dallo sviluppo di idee che giustificano l'azione di
chi lo detiene. L'ideologia è un tipo possibile di giustificazione del potere, su cui chi detiene il potere può cercare di fondare la propria
legittimità. Luhmann la chiama legittimazione ponderata, per sottolineare che l'ideologia stabilisce una graduatoria tra valori, delimitando le
conseguenze dell'azione che meritano di essere prese in considerazione e neutralizzando tutte le altre. L'ideologia integra valori
contraddittori, attribuisce loro ambiti segmentati di validità, scarta alcune possibilità di azione riducendo la complessità del processo
decisionale. Esempi opposti di legittimazione ideologica del potere sono stati il comunismo, nella sua forma leninista e stalinista. Entrambe
mantennero caratteri mitico-religiosi che hanno spinto alcuni studiosi a parlare di religioni politiche. Il fondamento legittimante avrebbe in
questi casi, l'effetto di risacralizzare il potere politico. I temi centrali del nazionalsocialismo, ad esempio, presentavano una notevole coerenza
reciproca basata sulla centralità dell'idea etno-razziale di Vok e sulla teoria di un centro nordico originario da cui sarebbero partite le tribù
guerriere conquistatrici. Su questa idea veniva fondata la superiorità razziale del popolo tedesco. All' idea di una razza superiore si affiancava
quella di una anti-razza, inferiore e maledetta, che bisognava sottomettere e neutralizzare: la razza ebraica. Ritroviamo nell'ideologia
nazionalsocialista il prestigio delle origini e la prospettiva escatologica. L'ideologia nazionalsocialista si completa considerando gli elementi
strettamente rituali e cerimoniali che rinnovano periodicamente l'adesione di una più larga fascia della popolazione alle sue idee e valori
centrali. Converse giunge alla conclusione che l'esistenza di un sistema ideologico organizzato, a forte coerenza interna, vale per gruppi
minoritari della popolazione, cioè le élite politiche e gli strati superiori più istruiti della popolazione e quindi più capaci di assumere concezioni
ampie.
L’ideologia come difetto della ragione. L’identificazione del fenomeno dell'ideologia ha riguardato le forme distorte del pensiero e le cause
che producono questa distorsione. Bacone aveva elaborato una teoria degli idola, elementi che possono influire sul pensiero umano,
distorcendolo. Il pregiudizio si fonda su un complesso di impulsi irrazionali, condizionati dagli interessi di dominio di potenti gruppi sociali,
tra cui una particolare importanza era attribuita al clero accusato di diffondere strumentalmente idee superstiziose. Il pregiudizio viene
considerato come una consapevole manipolazione dei ceti subordinati. Il limite principale di questa impostazione risiede nell'idea
semplicistica che un'ideologia si possa imporre a un gran numero di persone attraverso l'inganno e la menzogna consapevole. Sappiamo,
invece, che il miglior modo per persuadere gli altri è credere in quello di cui si vuole convincere.
L’ideologia come falsa coscienza. Con Marx, l'ideologia assume un più marcato carattere storico e sociale. L’ideologia è staccata dalla
concreta attività sociale, che inverte o capovolge i rapporti reali. La divisione del lavoro che separa il lavoro materiale dal lavoro intellettuale
crea una categoria di individui impegnati nella produzione di idee che assumono un’esistenza indipendente. La reificazione o feticismo delle
merci è un diverso modo di operare dell’ideologia che tratta reali rapporti tra persone come se fossero rapporti tra cose, oggettivizzandoli e
naturalizzandoli. Così il commerciante pensa che siano le merci a scambiarsi l’una con l’altra il capitale, ad autoespandersi e a produrre
interessi. L’idea della reificazione è stata ripresa ed estesa da numerosi autori per designare tutte le forme di destoricizzazione e
naturalizzazione della società, quando una certa situazione viene trattata come un evento naturale. L’ideologia è, secondo Marx, una falsa
coscienza ossia una rappresentazione falsa che si produce senza che chi la produce abbia conoscenza della sua falsità.
Ideologia come razionalizzazione. Gli esseri umani si distinguono dagli animali perché presentano i propri impulsi e istinti sotto forma di
ragionamenti e argomentazioni razionali. Le forme teologiche operano come razionalizzazioni a posteriori, sono una vernice logica che gli
individui applicano a motivazioni sottostanti senza averne coscienza. Sono pseudoragionamenti, di credenze fragili, dubbie che si
manifestano nell’attribuire nessi causali apparenti che non esistono nella realtà. Pareto distingue tre livelli indipendenti di analisi: l’aspetto
oggettivo, il livello soggettivo e la loro utilità sociale.
Ideologia come concezione del mondo di un’epoca. Mannheim formula una concezione totale dell’ideologia. Si tratta di passare da una
concezione particolare dell’ideologia, intesa come semplice distorsione e menzogna cosciente dovuta a interessi particolari, alla concezione
totale dell’ideologia che emerge quando spostiamo l’attenzione sulla struttura mentale, sullo stile di pensiero, sul modo di affrontare e
interpretare la realtà. Con la concezione totale dell’ideologia cerchiamo di rendere conto di una più complessiva concezione del mondo che
deve essere ricostruita come unità di senso. Mannheim prende posizione per un metodo interpretativo di studio dei prodotti culturali, che
implica la loro collocazione entro una totalità strutturata di cui essi costituiscono singole parti. Egli individua tre livelli o strati di significato:
il significato obiettivo che riguarda semplicemente l’identificazione di un’azione; il significato espressivo, l’intenzione soggettiva dell’attore
sociale; e il significato documentario, il significato del totale che deriva dal connettere singoli significati tra di loro.
LA RELIGIONE COME SISTEMA CULTURALE
Quando un insieme di credenze, di valori e di simboli riguarda la natura di esseri sovrumani e i loro rapporti con il mondo umano, si parla di
religione. I suoi tratti distintivi come sistema culturale sono: la presenza di una struttura di significati, espressi in dottrine e dogmi, in precetti
e divieti, in simboli, che inserisce l’individuo e la realtà umana in un ordine cosmico sacro, ha un carattere pubblico acquisito attraverso
processi sociali di apprendimento. Le dottrine sono delle proposizioni teoriche, elaborate in maniera esplicita, sono spesso espresse in forma
dogmatica. Le credenze possono essere precetti che ordinano alcuni atti o astinenze di tipo rituale o norme morali. I simboli rappresentano
oggetti o eventi dell’universo religioso. La religione connette il microcosmo al macrocosmo, inserendo l’individuo e la realtà umana in un
ordine universale. Il sistema religioso di credenze è pubblico in quanto è rappresentato anche da simboli esterni presenti nella cultura
acquisita attraverso l’apprendimento di un complesso di idee di valori. Bellah descrive la transizione da forme più semplici a forme più
complessi di religione: il tipo primitivo basato sull’azione creatrice di figure mitiche ancestrali umane e non umane; il tipo arcaico basato su
esseri mitici potenti, gli dei; il tipo storico stabilisce la separazione tra naturale e soprannaturale; il tipo protomoderno stabilisce un rapporto
diretto tra individuo e soprannaturale e concetto di fede; il tipo moderno accentua la responsabilità alla ricerca di un codice etico particolare.
Weber considera le grandi religioni universali quelle religioni che riguardano territori vastissimi e si estendono molteplicità di popolazioni.
L’immagine del mondo può essere teocentrica o cosmocentrica. L’immagine teocentrica è basata sulla concezione di un dio personale
trascendente; l’immagine cosmocentrica si fonda sulla concezione di un potere divino impersonale immanente. Secondo l’ascetismo, l’uomo
è visto come strumento di Dio, agisce nel mondo per suo volere. Nel misticismo, l’individuo non è concepito come strumento ma come vaso
del divino. Secondo Schluchter, quest’idea conferisce alle religioni asiatiche un carattere intellettualistico; la tradizione occidentale presenta
un’impronta etica verso l’universalismo della grazia. La religione è sempre connessa a riti, pratiche periodiche volte a commemorare la
ricorrenza di eventi mitici o di una storia sacra o proprio del culto. Le religioni si sono espresse in precise forme organizzative. Nelle religioni
primitive non esiste un vero e proprio ceto sacerdotale, nelle religioni storiche emerge una divisione del lavoro e una differenziazione interna
che porta la costituzione di un ceto di persone addette al culto, i sacerdoti. Nella tradizione occidentale, movimenti religiosi hanno
storicamente dato vita organizzazioni strutturate e potenti. La chiesa è una comunità di credenti stabilizzata, a cui si appartiene per nascita.
Alla setta, si appartiene per un atto di libera scelta che presuppone un processo individuale di conversione. I livelli di analisi della religione
come sistema culturale riguardano: la ricostruzione delle credenze e dei significati direzionali, la spiegazione della struttura, le motivazioni
degli attori sociali, le funzioni e conseguenze che l’adesione alle credenze comporta.
Genesi e funzioni della religione Un approccio filosofico sostiene l’autonomia assoluta della religione in quanto la riconduce alla natura
stessa dell’uomo, alla sua essenza religiosa: l’approccio fenomenologico. Ciò significa che la religione non ha altro fondamento che
l’esperienza individuale strettamente privata del sacro. Mentre le spiegazioni causali cercano di rendere conto degli aspetti culturali della
religione riportando le condizioni sociali antecedenti, le spiegazioni funzionali si rifanno alle conseguenze di questi stessi aspetti per la società
o per gli attori sociali. Durkheim riconduce l’emergere delle credenze nel totem di queste popolazioni primitive ad alcune situazioni sociali
particolari di effervescenza collettiva. Si tratta di momenti rituali in cui l’intero gruppo sociale si ritrova creando un’interruzione temporanea
delle normali attività quotidiane, per svolgere attività comuni ad alta intensità emotiva. Il meccanismo generatore dell’immagine delle
rappresentazioni religiose è un cambiamento emotivo, che crea nei partecipanti l’idea di essere in contatto con un’entità superiore
immensamente e potente. Durkheim aggiunge un elemento interpretativo: l’idea di una potenza sacra che pervade ogni cosa, che viene poi
trasferita sul totem. Durkheim avanza anche una serie di ipotesi sulle funzioni della religione. Egli sostiene che la religione ha la funzione di
rafforzare i legami che connettono l’individuo alla società di cui è membro. Per Malinowski, la funzione della magia è quella di risolvere
situazioni di forte tensione emotiva creando sicurezza. Merton introduce la distinzione importante tra funzioni manifeste e funzioni latenti.
Le funzioni manifeste sono le conseguenze oggettive che contribuiscono all’adattamento del sistema. Le funzioni latenti riguardano le
conseguenze oggettive che non sono né volute né ammesse. Per Luhmann, la religione costituisce un sottosistema simbolico specifico con la
funzione di considerare il mondo come un tutto e di ridurre la complessità sociale moderna. Weber sottolinea con forza il carattere
rivoluzionario di molte religioni profetiche, rilevando e analizzando a fondo la funzione sociale delle religioni universali: quella di giustificare
razionalmente la diversa distribuzione dei beni tra gli uomini. Il problema di fondo a cui la religione cerca di dare risposta è quello
dell’incongruenza tra destino in merito. FINE CAPITOLO 5
IL SENSO COMUNE COME SISTEMA CULTURALE (pag. 171 sciolla)
È un insieme di quadri di pensiero, di rappresentazioni e di schemi percettivi che presentano aspetti sia cognitivi sia simbolici, utilizzati dei
soggetti a un livello implicito, precosciente. È un sapere incorporato in pratiche e regole sociali, un sapere presente nella mente allo stato
latente, che può essere mobilitato senza rendersene conto. Del senso comune fanno parte anche i modi di rappresentarsi gli altri e di
percepire l’ambiente sociale, che hanno carattere descrittivo e normativo. Gli schemi che riguardano credenze sugli attributi personali di
interi gruppi sociali, sono chiamati stereotipi. Tajfel ha messo in luce le motivazioni autoprotettive degli stereotipi: essi dipendono
dall’esigenza di mantenere o di raggiungere un’immagine positiva di sé stessi e del proprio gruppo di appartenenza. Nel senso comune
rientrano anche i rituali, studiati dall’etnometodologia, ovvero lo studio dei metodi impiegati dagli attori nel ragionamento pratico della vita
quotidiana.
Forme di classificazione e categorie della mente. Durkheim sostiene che le categorie fondamentali del pensiero e le forme classificatorie
sono rappresentazioni collettive e non prodotti della mente individuale, in quanto dipendono direttamente dal modo in cui un gruppo sociale
è organizzato. Egli elabora una teoria del pensiero che cerca di farsi strada tra due opposte filosofie della conoscenza: la prima è l’empirismo,
che sostiene che la mente umana è una sorta di magazzino; la seconda è il kantismo, secondo cui la mente umana è una sorta di faro.
Durkheim, invece, formula la tesi che sia la società l’origine della conoscenza: essa viene prima dell’individuo e, per mantenersi, ha bisogno
che i suoi membri si comprendano e comunichino tra di loro. Nelle società totemiche studiate, l’origine della classificazione deriva dalla
divisione delle tribù in clan: la divisione in due clan contrapposti genera una forma di classificazione basata sul principio di opposizione e sul
principio di affinità rispetto al totem. Le relazioni logiche sono concepite come relazioni parentali; tutto l’universo viene organizzato su queste
basi. Per quanto riguarda la categoria di tempo, Durkheim opera una distinzione molto importante tra questa categoria e il sentimento
personale del tempo. La categoria di tempo esprime un tempo comune al gruppo, ovvero il tempo sociale. Essa è di per sé è un’autentica
istituzione sociale, specifica dell’uomo. Il tempo sociale è un tempo diviso e misurabile. Elias arricchisce l’analisi durkheimiana, non
trascurando l’intreccio tra tempo sociale e tempo vissuto, ma continuando a considerare la nozione di tempo come il prodotto di un processo
cooperativo di apprendimento collettivo, fino a culminare nel tempo esatto, ossia tempo standardizzato e calcolato. Mauss considera la
categoria di persona, una categoria dello spirito umano, ossia una categoria fondamentale. Egli distingue tra una struttura stabile che chiama
il senso dell’io, ovvero il senso della propria individualità materiale e spirituale, e il concetto che gli uomini nelle varie epoche se ne sono
fatti, variabile in funzione dei diversi contesti storici e sociali. (pag. 171)
È ciò che tutti sanno, ciò che diamo per scontato. È un pezzo della nostra cultura comune. I nostri modi di pensare sono influenzati dalla
società e dalla cultura. Il senso comune viene assimilato, diventando concreto. Con il senso comune non c’è più bisogno di riflettere, di
discutere. L’energia mentale si cede per pensare ad altro. Il senso comune permette agli uomini di dare per scontate alcune situazioni.
RAGIONAMENTO INDUTTIVO DI HUME: ogni ragionamento viene acquisito e assimilato nel corso del tempo. È il meccanismo del senso
comune. Secondo Berger e Luckmann, la realtà sociale è una costruzione degli uomini, tutti partecipano alla conoscenza, ma sono pochi gli
interessati e specialisti. Pochi sanno scientificamente spiegare come funziona un telefono. Rispondere ad una chiamata è semplice, non ci
facciamo troppe domande sui meccanismi che ci sono dietro una chiamata. Se dovessimo rispondere a tutti i nostri perché, le nostre menti
si bloccherebbero. Quando capiamo che il senso comune è un prodotto storico e sociale capiamo anche che può essere modificato. Ciò che
nella natura è normale, per l’uomo diventa realtà sociale. Caso e individualità esistono, ma tutto dipende dalle esperienze, dall’ambiente e
dalla famiglia. Il nostro pensiero è influenzato da ciò che la società ci offre. Dietro l’individualità esiste un mondo sociale basato sul senso
comune. Il senso comune non è oggettivo, ma condiviso, e può essere messo in discussione. Come si scopre il senso comune? La società
esercita un’influenza. Scoprendo il senso comune, scopriamo l’esistenza della società. Con l’affermarsi della società industriale nell’800, nasce
la sociologia. Nel Medioevo, la società cambiava lentamente, quindi il cambiamento non era evidente. Attualmente, industria, sviluppo e
globalizzazione permettono un’evoluzione veloce e visibile. Nell’800, si comprende che è l’uomo a modificare la società. Si scopre la struttura
sociale. Tra uomo e società esiste un rapporto dialettico. Secondo Marx, l’uomo la crea e la società lo influenza. La realtà non è naturale. In
ogni società esiste un pensiero condiviso tipico di quella società. Il senso comune può cambiare per volontà dell’uomo. Se siamo consapevoli
del senso comune, possiamo modificarlo. La sociologia ci da questa capacità, perché ci rende più critici: sapere emancipatorio della sociologia.
Per Schütz, influenzato dalla filosofia di Husserl, il mondo è costruito dall’uomo sulla base di consuetudini, che se funzionano diventano
abitudini. Abbiamo bisogno di liberare energie mentali per risolvere problemi maggiori. Dovremmo riflettere sul senso comune, che ci porta
a dei preconcetti, pregiudizi. Secondo Schütz, agiamo spesso senza riflettere, sospendendo il dubbio. Schütz sprona l’uomo all’Epochè
(riflessione, dubbio, domande). Il senso comune funziona attraverso schemi mentali, tipizzazioni (pag. 181 sciolla). Conosciamo dei modelli,
tipi che ci consentono di capirci e comunicare. Provando a rompere il senso comune, si intende la sua stessa esistenza. Siamo esseri sociali.
Siamo liberi, ma abbiamo bisogno di una società. Questo discorso è necessario per vivere in una società, per capire i gusti degli altri, per
crescere come persone informate, cittadini consapevoli e critici.
Tipizzazioni e routine. (pag. 181) Il pragmatismo americano si discosta dal modello dell’azione razionale, e collega il ragionamento quotidiano
non al calcolo, ma alla ripetizione di soluzioni di problemi nelle pratiche della vita quotidiana. Berger e Luckmann studia il senso comune,
inteso come un sistema di significati di definizione della realtà che si colloca a un livello diverso da quello delle ideologie o delle dottrine
filosofiche. Schutz definisce fondamenti del sapere comune nella vita quotidiana: Oggettività: percepisco la realtà di tutti giorni come una
realtà ordinata e già oggettivata, costituita da un ordine di oggetti disegnati come tali molto prima della mia comparsa sulla scena sociale;
Intersoggettività: la realtà mi si presenta come un mondo intersoggettivo che condivido con altri, so che il mondo della vita quotidiana è
altrettanto reale per altri che per me stesso, idealizzo l’interscambiabilità dei punti di vista e la congruenza dei sistemi di attribuzione di
importanza; Naturalità o autoevidenza: il senso comune adotta un atteggiamento naturale rispetto al mondo che mi circonda, in quanto
accetta la realtà così com’è, rispetto alle definizioni della realtà condivisa sono portata sospendere il dubbio, darle per scontato; Tipizzazioni:
le relazioni faccia a faccia sono modellate e percepite in base a schemi di tipizzazione, che consentono di collocare l’individuo in una categoria
più ampia e di dare un ordine all’esperienza. Consentono di prevedere il comportamento dell’altro, forniscono una struttura di aspettative
su quale debba essere il comportamento appropriato. Tali schemi non hanno un’origine contemplativa, ma pragmatica: seleziono dell’altro
gli aspetti importanti per i miei scopi e interessi. Fondo di conoscenza comune: le persone interpretano la propria situazione usando un fondo
di conoscenze e di simboli. Questa conoscenza non è omogenea, ma è socialmente distribuita e solo relativamente coerente. FINE PAG. 181
IMMAGINAZIONE SOCIALE: la sociologia ci fa capire che siamo noi a formare la società, in modo collettivo. Ci fa riflettere su noi stessi.
L’immaginazione sociale è la capacità di essere autoriflessivi. Permette di vedere oltre se stessi, oltre la personalità. Quello che sembra
individuale, in realtà è storico, politico, globale (Wright Mills - 1959). L’apertura mentale deriva dalla capacità di riconoscere noi stessi negli
altri. La tolleranza è il minimo. È importante capire com’è l’altro e capire che anche noi rappresentiamo una diversità. Parliamo di oggettività,
non di mistificazione (Geertz). La cultura è lo strumento che costruisce la società, è un mezzo di comunicazione. La cultura non è solo l’arte,
la musica, la letteratura. L’uomo è un animale culturale che comunica attraverso significati, prodotti dalla società. La cultura rappresenta il
mondo in modo profondo. La cultura è un elemento oggettivo. Nel libro “Alle origini della cultura” (1871), l’antropologo Tylor considera la
cultura come ogni competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società. Inizialmente, i sociologi studiavano le
caratteristiche della società moderna. Si interrogano sulla coesione della società e sui repentini cambiamenti. Parlano di cultura, definendola
antropologia (studio dell’uomo, che come essere culturale, produce cultura). La sociologia si occupa del rapporto tra uomo e cultura. Secondo
Tylor, l’uomo agisce prima di tutto in base alla propria cultura. Gli antropologi chiariscono che esiste una cultura unica, del genere umano,
ma distinguono anche le diverse culture, la pluralità. La cultura è una dimensione simbolica dell’uomo. Si comunica attraverso un linguaggio.
La cultura pervade la realtà sociale. Anche dietro ai nostri sogni c’è un ordine culturale. Possiamo definire la cultura un insieme di significati
condivisi da più persone. La cultura varia in base a spazio e tempo (più o meno ampi). Variazione diacronica (tempo) e variazione diatopica
(luogo). La cultura è in realtà un processo sociale. La cultura si esprime anche in modo materiale con oggetti. Nello scritto “L’interpretazione
delle culture” (1973), Geertz definisce la cultura come un insieme di significati sociali condivisi che rappresenta un modello perché contiene
elementi coerenti. Così negli anni 70, sociologia e antropologia iniziano a convergere. La nuova definizione di Geertz rappresenta una svolta
linguistica. La cultura viene trasmessa e condivisa storicamente di generazione in generazione, attraverso dei simboli o collegamenti (gesti,
parole, danze, racconti). Da sempre, l’uomo si interroga sul senso della realtà, su gli altri, su se stesso, quindi si crea una comunicazione, uno
si esprime e l’altro cerca di interpretare. Il linguaggio nasce con la discussione, che prima o poi trae elementi in comune a entrambe le parti.
Il rapporto tra uomo e mondo non è immediato, ma mediato solo grazie alla comunicazione. Le forme simboliche si concretizzano e vengono
ereditate, perché vengono condivise pubblicamente. I simboli sono il modo in cui l’uomo si esprime e vive. L’uomo è come un ragno, vive
nella ragnatela di significati, che lui stesso ha costruito. A cosa serve la cultura? Senza cultura non ci sono uomini e viceversa. L’uomo crea
tra se stesso e il mondo degli strumenti, degli intermediari che soddisfano il suo bisogno umano. L’uomo ha un’elevata capacità autoriflessiva,
si distingue dagli animali per questa complessità. L’animale ha un istinto più forte, l’uomo sopperisce a questa debolezza attraverso gesti,
versi che rappresentano la cultura. L’apprendimento dipende dalla dimensione simbolica. L’uomo è più forte, più libero, più consapevole,
perché costruisce la realtà, la modifica e la vive a modo suo. Gli oggetti che l’uomo produce modificano l’uomo stesso, i suoi modi di vivere.
Diventano un prolungamento del corpo. Attraverso la tecnologia si modificano le relazioni. La genetica è la stessa per tutti gli uomini, la
cultura influenza la genetica. Il linguaggio è il primo prodotto culturale. Il nostro pensiero è fortemente condizionato dal linguaggio.
Esperienza, linguaggio e cultura fanno parte della nostra dimensione simbolica. L’esperienza sociale condivisa produce il linguaggio che crea
la cultura, che a sua volta condiziona il linguaggio. Dalle basi sociali, emerge la cultura, ma la cultura plasma a sua volta la società. È un
rapporto di reciproca influenza. L’asserto è un’affermazione, basata su concetti (ritagli di pensiero), che prendono forma attraverso
linguaggio e interazioni tra gli altri. Le aspettative sociali rispecchiano alcuni tipi, modelli o ruoli. Il fondo comune tra gli uomini permette
cooperazione e comunicazione. Gli insiemi di aspettative costituiscono la struttura della società. Il pilastro fondamentale è l’interazione
sociale (l’esperienza condivisa), che dà vita al linguaggio. Dall’interazione faccia-faccia si producono insieme di ruoli e posizioni sociali, che
danno vita alle istituzioni, che formano la società. I concetti che formano la cultura si modificano. Oggi, ci intendiamo perché viviamo le
stesse esperienze, la stessa quotidianità, abbiamo lo stesso fondo comune. Il concetto che abbiamo di cultura risente del contesto storico
sociale nel quale si è realizzato. Una certa idea di cultura influisce sulla società. Tra 700 e 800, la borghesia francese definisce il concetto di
civilisation come progressismo, scienza e ragione. Ciò produce una cultura che estende alcuni diritti, modificando ancora la società. Nel 700,
Herder (romanticismo) mette in evidenza le differenze tra le culture, che portano ad una chiusura o ad una superiorità. Da qui nasce poi
l’ideologia della superiorità della razza ariana, che ha portato alla venuta del Nazismo con Hitler. Così, anche questo concetto modifica gli
eventi degli anni successivi. Il concetto nasce dal contesto tedesco che vedeva una classe media debole ed emarginata che si allontanava
dalla concezione della borghesia francese. Mentre in Francia, la cultura era la civiltà, in Germania era la superiorità. Il concetto di cultura
francese ha dato vita all’imperialismo e alla colonizzazione. L’antropologia considera la cultura una società, un inconscio collettivo che
determina l’agire condiviso. La sociologia, invece, esamina il cambiamento sociale, mettendo in evidenzia la reciproca influenza tra cultura e
società. Negli anni 40 e 50, con l’affermazione del funzionalismo, torna l’idea di cultura come un sottosistema. Negli anni 70, ritorna l’idea di
processo e sociologia e antropologia convergono. Secondo Geertz, la cultura è un processo di significazione collettiva (attraverso il
linguaggio). Per Peterson, la cultura è formata da 4 elementi: norme, valori, credenze e simboli espressivi. Per Spiro, la cultura è un sistema
cognitivo, un sistema di asserti che descrive la realtà e prescrive, dando istruzioni su come comportarsi. Le definizioni sono complementari.
La cultura è un insieme più o meno coerente di 4 valori, che possono contraddirsi. Cultura e società non coincidono, ma si influenzano a
vicenda. La cultura è un tempo concepibile come un sistema, ma anche come un processo. In passato, la cultura era la base della coesione
integrata della società, doveva quindi essere coerente. Oggi in realtà è molto frammentata, contraddittoria (norme particolaristiche e
universalistiche, i valori possono non coincidere con le norme). Negli anni 70, Geertz individua l’importanza dell’interpretazione dell’uomo.
Attraverso il linguaggio, la società prende forma e si delinea la cultura. Il linguaggio produce un codice di regole e di comunicazione (è il
particolare uso della lingua). La cultura si basa sul rapporto tra codifica e decodifica del codice. Il soggetto che recepisce il messaggio, lo
interiorizza e interpreta sulla base della sua storia personale e sociale. Ognuno ha un proprio codice. Quindi, entrando in gioco
l’interpretazione, avviene una continua negoziazione di significati che porta alla modifica della cultura. Per capire la produzione di un
messaggio è necessario analizzare il contesto storico sociale. Per questo, la cultura è un processo. Quindi, può essere studiata come forma
di testo. È un insieme di ripetizioni, qualcosa di pratico che spinge l’uomo ad agire concretamente. Non è un sistema astratto. Quindi bisogna
pensare alla cultura, attraverso un approccio psicologico cognitivo: l’uomo agisce secondo schemi mentali condivisi, non individuali. La
cultura rimanda ad un pensiero cosciente. Si arriva a questo passaggio mediante prove empiriche: alcuni si basano su questionari, interviste
(approccio testuale), altri cercano metodologie. Questa nuova scuola unisce i due punti di vista. I primi ricostituiscono significati espliciti, i
secondi studiano i significati impliciti. Con l’interazione, elaboriamo dei concetti (strumenti del pensiero). Il linguaggio, prodotto
dall’intersoggettività, forma dei concetti più grandi, mappe congiuntive implicite, condivise. D’altro canto, nasce anche una forma più
esplicita testuale. I sondaggi si interrogano sulla coerenza della cultura: secondo la definizione di Sorokin del 1937, la cultura si basa sui sensi
e sull’estetica, la moda, anziché la formazione. L’uomo moderno è un sensista. Altri sociologi hanno messo in evidenza l’incoerenza della
cultura, che si modifica continuamente. Si dà l’importanza alla moda, al corpo, ma allo stesso tempo all’ecologia. I diritti dei gay e allo stesso
tempo la tradizione. Secondo Hannerz, la cultura pura non esiste. Ad esempio, la cultura italiana non ha davvero un’origine italiana, ma si è
modificata nel tempo. Le credenze sono in continua elaborazione. Ad un punto 0 si è stabilizzata una certa cultura, ma le interazioni
modificano e uniscono le culture. La cultura non appartiene ai popoli. Ogni popolo può essere attraversato da diverse culture. Alcuni valori
da parte della scuola, degli amici, della famiglia non sono compatibili. Ma si tengono insieme, uniti nella nostra identità, formata da credenze
e valori solidi e altre credenze periferiche che si modificano a vicenda. La cultura è sia oggettiva, che soggettiva. Prevale la prospettiva
soggettiva in un primo momento. Si può esaminare la cultura dall’interno o dall’esterno, da un soggetto che la vive e da un soggetto che la
conosce e la impara. La cultura è in parte esplicita e in parte implicita. Da una parte, viene praticata in automatico, dall’altra parte riceviamo
l’influenza di elementi evidenti, espliciti. Esiste la parte inconscia e quella consapevole. Gli schemi emergono inconsapevolmente dalla
comunicazione e dalla lingua.
LA SCUOLA FRANCESE (pag. 28-33)
Al contrario della scuola americana, Durkheim non subisce l’influenza dell’antropologia, ma contribuisce alla sua costituzione. Mentre la
scuola di Chicago trasferisce il metodo degli antropologi nello studio delle società tribali direttamente nell’osservazione della vita
metropolitana moderna, la scuola francese utilizza i dati etnografici ricavati dalle società semplici per formulare una teoria generale delle
rappresentazioni collettive. In realtà, Durkheim non distingue sociologia e antropologia in base all’oggetto di studio. L’etnologia rappresenta
la descrizione empirica delle società primitive. Sulla base dei dati si produce un’analisi teorica, basata su leggi generali. La scelta di studiare
le forme elementari di religione, ovvero le religioni primitive di tipo totemico, è un’opzione metodologica. Durkheim è convinto che le civiltà
primitive siano le più semplici, perché gli sviluppi non hanno ancora confuso l’essenziale. I dati etnografici permettono di mettere a nudo il
rapporto essenziale tra religione e società, di individuare il funzionamento tout court della religione. Durkheim attribuisce alla cultura un
ruolo centrale, pur non avendola menzionata. Per lui, la società ha fondamentalmente un carattere simbolico. Per Spencer, la società
scaturisce dall’incontro spontaneo di individui razionali che perseguono i propri interessi e concorrono sul libero mercato, sulla base di
contratti liberamente stipulati. Mentre in Durkheim, la società si può basare su contratti dei singoli individui solo se si assume che questi
siano disposti a rispettarli, dev’esserci una fiducia reciproca tra i contraenti, una solidarietà precontrattuale. Durkheim e Mauss ritengono
che il cemento della società sia la sua dimensione simbolica. Simboli sono le credenze, i rituali condivisi, che raffigurano la società e
consentono la comunicazione tra i membri. Nel 1893, Durkheim cerca di dimostrare che questi simboli unificanti sono prodotti da forme
diverse della stessa struttura sociale, ad esempio la differenziazione sociale che comporta un cambiamento della dimensione simbolica. Le
società di tipo meccanico sono formate da piccole unità chiuse, simili tra loro, in cui l’individualità è poco sviluppata e prevale la coscienza
collettiva, fatta di sentimenti, norme e valori comuni. Nelle società di tipo organico predominano la specializzazione dei compiti e le regole
impersonali del mercato. Passando alle società industriali, la coscienza collettiva si trasforma, ma non scompare. Più si sviluppa la divisione
del lavoro più la coscienza collettiva diminuisce in volume, intensità e grado di determinatezza. Diventa più debole e vaga. Il contenuto della
coscienza collettiva diventa sempre più secolarizzato, è una coscienza definita da orientamenti religiosi, e valori individualistici che spingono
al culto dell’individuo. Quindi l’individuo diventa oggetto sacro per la società stessa. Le nostre società moderne rendono obbligatoria la regola
di essere sempre di più persona, ossia una fonte autonoma di azione e di responsabilità. Per sottolineare il fatto che gli esseri umani non
cooperano soltanto nelle loro attività ma anche in ciò che pensano e nei valori in cui credono, Durkheim usa il concetto di rappresentazioni
collettive, cioè le forme del pensiero cognitivo, le credenze religiose, i miti, ma anche le norme e valori morali. La cultura ha anche un
carattere oggettivo e istituzionale. Le rappresentazioni collettive sono per Durkheim delle istituzioni sociali. Si distinguono dalle
rappresentazioni individuali, che sono stati mentali di natura psicologica, per il fatto che hanno caratteristiche sui generis, relativamente
autonome. Esteriorità e obbligatorietà sono la prova che questi modi di agire e di pensare non sono opera dell'individuo ma derivano da una
fonte di autorità che lo oltrepassa. Le rappresentazioni collettive sono esterne alle coscienze individuali, non derivano dagli individui presi
isolatamente, ma dalla loro cooperazione. Mauss riprende l'idea durkheimiana del carattere istituzionale e oggettivo del mito. Accostando il
mito al linguaggio ne fa un sistema simbolico istituzionalizzato, un comportamento verbale codificato che trasmette modi di classificare e di
organizzare l'esperienza. La cultura assume un posto centrale nell'intera teoria sociologica, se ne mette in luce il duplice carattere: cognitivo
e morale. Si introduce l'idea che i concetti e le credenze operino entro contesti sociali da cui dipendono. Essi non esistono isolatamente, ma
sono il frutto di un'attività cooperativa. Si elabora anche l'idea nuova che le norme e le categorie mentali hanno bisogno del sostegno dei
rituali per diffondersi e mantenersi. Durkheim non è interessato ai processi di distorsione del pensiero a opera di fattori psichici. Egli ritiene
che solo in quanto fatti sociali, le rappresentazioni collettive siano indagabili scientificamente. Pensa che le credenze comuni a una società
non contino per il loro grado di verità, ma per il fatto di costituire un elemento ordinatore e regolativo del comportamento individuale. La
cultura in quanto fatto collettivo indipendente e distinto dagli stati psicologici individuali assume una consistenza sua propria che rende
inutile o accessoria l'analisi delle motivazioni, interessi, in una parola del significato soggettivo che l'attore sociale gli attribuisce. La società
non esiste senza gli individui e le rappresentazioni collettive non esistono senza che vi siano individui che le pensano. Durkheim metteva in
luce che queste ultime hanno assunto un'oggettività e un’esteriorità del tutto particolare rispetto agli individui che ne fanno uso e in parte
le producono e le modificano. Esse ci costringono entro regole logiche che anche se sono gli esseri umani a produrre non sono comunque in
grado di controllare e di plasmare a piacimento. (pag. 28-33) Il fondatore, Émile Durkheim, svolge uno studio oggettivistico della società (la
società come sistema), mentre la scuola tedesca la studia in modo soggettivistico: parte dalle cause della società per arrivare ai fenomeni. Il
pensiero dei sociologi viene influenzato dal contesto. In Germania, si era stabilito il Romanticismo e l’idea dell’individuo come infinito. In
Francia, era fondamentale l’indipendenza individuale, ad esempio lo Stato era moderno ed organizzato politicamente in modo che le periferie
fossero governate da Parigi. I francesi mettono in evidenza come le società si basino su diverse strutture, sistemi. Durkheim risente
dell’Illuminismo e del Positivismo (scienza: conoscenza suprema, dati, metodo oggettivo razionale provato empiricamente). Durkheim fonda
la sociologia sulla base del metodo delle scienze naturali: reciproca influenza di leggi sociali. Fonda la rivista “Gli annuari di sociologia”. La
sociologia si distingue dalla psicologia perché si interroga sulla forma e riproduzione della società, e non sulla psiche dell’individuo. Durkheim
vuole recuperare gli studi antropologici, studiando la società, ricostruendo le leggi sociali e adottando forme di analisi statistiche.
ÉMILE DURKHEIM
Durkheim nasce nell’Alsazia nel 1858. Proviene da una modesta famiglia ebraica, è figlio di un rabbino. Dà importanza all’ordine morale,
cognitivo. Durkheim pubblica nel 1893 “La divisione del lavoro sociale”, in cui analizza il fatto “suicidio”. Il suicidio è un gesto individuale,
causato da aspetti psicologici, influenzati da aspetti sociali. Durkheim vuole spiegare il suicidio come fatto sociale, attraverso dei dati statistici.
Ad esempio, il suicidio è più diffuso tra i non ebrei, che tra gli ebrei, più diffuso nei paesi protestanti che nei cattolici. Quanto più la società è
coesa, organizzata, più il suicidio è elevato. Il cattolicesimo pone al di sopra la sacralità della vita, gli ebrei spingono ad una collaborazione
sociale, e non agli atti egoistici, come il suicidio. Il fatto sociale “suicidio” viene spiegato attraverso altri fatti sociali.
Come si mantiene la società? La società fa in modo che le persone si comportino in modo tale che la società continua a riprodursi. Come si
passa da una società primitiva semplice ad una più complessa? La società ha bisogno di forme di solidarietà sociale per sopravvivere. Le più
semplici hanno una forma meccanica: pochi individui, ad esempio un villaggio, in cui tutti fanno tutto, vivono le stesse esperienze e hanno
poche ma solide credenze. Tutti interpretano la società allo stesso modo, per questo c’è una forte integrazione e coesione. Automaticamente,
tutti si identificano in valori precisi. La differenziazione è scarsa, gli individui si immedesimano totalmente nei loro ruoli, che configurano la
loro identità (es. un uomo è un pescatore, non fa il pescatore come lavoro). Nel momento in cui l’uomo inventa nuove tecniche, si specializza,
i gruppi si differenziano, la società diventa più complessa. Inventando nuove tecniche, aumenta la produttività e la specializzazione. Con un
surplus economico, si assiste ad un miglioramento delle condizioni di vita, un aumento della densità sociale, così nascono lo scambio tra città,
si costruiscono le strade, nascono più gruppi occupazionali, si vivono più esperienze della realtà. Più la società diventa complessa, più la
differenziazione è tale che si perdono i valori, le credenze, e la società meccanica viene meno, viene sostituita da quella organica. Prima, gli
individui erano parti di un ingranaggio che agivano meccanicamente. Ora, le esperienze condivise sono di meno, come le credenze condivise.
Se qualcuno trasgredisce le regole in una comunità semplice, viene punito (anche con la morte); la società si difende contro il singolo, che è
considerato un deviato. Oggi, esiste la libertà di pensiero. Per Durkheim, non si è semplice,emte passati da un metodo punitivo a uno
restitutivo, ma è cambiata la società: esiste già un pluralismo culturale, quindi non si teme la diversità. Come si mantiene la società odierna
organizzata? Si ricorre alla forma di solidarietà organica, quindi attraverso la specializzazione, gli individui diventano interdipendenti. È come
un organismo che collabora. Durkheim nota che la forma organica non basta per produrre credenze e valori. La differenziazione ha portato
alla divisione tra l’individuo e il suo ruolo. Cambia il culto dell’individuo. Devono esserci gruppi professionali che agiscono per il bene della
società, attraverso delle norme. È dall’esperienza sociale che nascono i modi di interpretare la società, che influenzano l’agire individuale.
Durkheim non utilizza il termine “cultura”, ma dice che le credenze sono ciò che ci plasmano. Ogni società dà vita ad una forma organizzata
cognitiva. La società influenza la cultura. (pag. 149 sciolla) Nel 1912, Durkheim scrive “Le forme elementari della vita religiosa”. Qui, rivede il
suo pensiero. Vuole studiare la religione, perché è un elemento comune a tutti i tipi di società. Al di là dei contenuti, è interessato alla
funzione della religione nella società. La religione è un fatto sociale, che non nasce dalle domande dell’uomo, né da un bisogno di
organizzazione. Durkheim studia alcune tribù australiane e degli indiani d’America, raccoglie dati e studia gli elementi di base delle religioni.
Ogni religione ha delle analogie con un’altra. Gli antropologi, invece, cercavano le diversità tra le religioni. Le tribù studiate da Durkhiem
seguivano religioni totemiche, in cui il totem rappresenta gli antenati, l’origine, la discendenza. È un oggetto simbolico, sacro. Il modo di
interpretare la realtà ne viene influenzato: si tratta di un sistema binario (secondo il totem è giusto o sbagliato, fa o non fa parte del clan).
Periodicamente, gli individui si riuniscono, intorno al totem per riflettere, per fare un rito collettivo. Tutte le religioni si basano sulla differenza
tra sacro e profano. Il sacro è il luogo o il momento dell’interdizione/divieto, si prova paura, venerazione, lode, preghiera, pulizia, sacralità
(es. altare, chiesa, sabato sacro). Il profano è l’attività quotidiana, è un luogo protetto dalle interdizioni, associato allo sporco (es. mercato,
piazza, giorni lavorativi). Attraverso i riti, le persone riflettono rispetto ad un totem, si crea una sorta di effervescenza collettiva, nella quale
i prodotti vengono prodotti o riconfermati. Anche oggi, nei momenti di festa, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, durante le parate militari,
durante le partite di calcio, ai concerti, si creano momenti di effervescenza collettiva, una passione per il totem condivisa. Perché le società
hanno una religione? Perché la religione produce la società, perché ognuno crede di non essere libero totalmente; questa è la pressione che
la società esercita sull’individuo, che venera la società attraverso la religione, inconsapevolmente. Il totem è l’esteriorizzazione della società
stessa. Altri sociologi hanno individuato la trascendenza come intrinseca, la paura come causa della religione. Durkheim non parla di cultura,
ma di rappresentazioni collettive, al di là delle percezioni individuali. Queste danno un valore simbolico e morale, ma anche cognitivo, perché
guidano il nostro modo di conoscere la realtà attraverso un processo di negoziazione o di condizionamento. Esse orientano l’agire sociale.
Durkheim nota l’anti-utilitarismo: si oppone agli approcci di Locke, Hume che vedono la società come un contratto: gli individui negoziano e
si arriva ad un compromesso. Durkehim si chiede quando sarebbe stato stipulato il contratto. Si oppone, perché la società influenza il pensiero
individuale, attraverso le categorie mentali collettive, che rendono possibile l’ordine. Società diverse hanno rappresentazioni inconsce e
collettive differenti. Cambiando la società, si modificano anche le classificazioni. Secondo Durkheim, si tratta di prodotti speciali, e non di
solidarietà/fiducia basata su un compromesso tra individui. La fiducia viene prodotta dalle rappresentazioni collettive, dalla società, non è
naturale. Gli individui cooperano in base alle rappresentazioni, che si basano sui rituali, che producono le azioni. Per Durkheim, le
rappresentazioni derivano dall’organizzazione della società. Durkheim ricerca la struttura del pensiero umano: la mente umana risponde
sempre agli stessi principi, l’uomo primitivo ha un pensiero che influenza l’uomo moderno, c’è la stessa struttura. Ciò che cambia è che le
forme di classificazione derivano dalla struttura sociale, non individuale. Secondo Durkheim, alcune volte siamo portati a pensare che
l’individuo venga prima della società.
LA SCUOLA TEDESCA (pag. 34-40)
La tradizione sociologica tedesca risente di due forti dibattiti: il primo è il dibattito metodologico che investì l'intero edificio delle scienze
storico sociali. Il secondo è la controversia tra l'idealismo e il materialismo da cui è emerso l'approccio specifico alla cultura della sociologia
tedesca. Weber elabora una sua specifica prospettiva sul ruolo della cultura, sulla vita sociale nel suo complesso. Gli esseri umani sono per
Weber esseri culturali, in quanto annettono un significato al proprio comportamento. Le scienze della cultura, tra cui la sociologia, non si
occupano dell'intera realtà sociale, ma dell'agire sociale, ossia un agire che sia riferito all'atteggiamento di altri individui e orientato nel suo
corso. Weber definisce la cultura come una sezione finita dell'infinità priva di senso del divenire del mondo alla quale è attribuito senso e
significato dal punto di vista dell'uomo. Questa definizione ha un uso sia metodologico sia sostantivo. Metodologicamente, indica il modo in
cui le scienze della cultura possono raggiungere l'oggettività scientifica. È sulla base dei valori che lo scienziato sceglie il dato empirico. La
definizione ha anche un uso sostantivo, applicato allo studio dell'operare concreto della cultura: la realtà non si presenta agli individui come
una collezione di fatti separati, ma come un contesto dotato di significato. Perché un fatto acquisisca un significato e sia in grado di influenzare
e orientare l'azione dei soggetti, deve rientrare in concezioni e interpretazioni più ampie riconosciute come giuste, buone e vere. Weber
cerca di sottrarsi al rischio di criticare il materialismo in nome dell'idealismo e di un'interpretazione spiritualistica della storia. La tesi che la
tendenza al calcolo razionale e alla ricerca del profitto tipica del capitalismo moderno sia stata favorita dal protestantesimo non deve essere
intesa in senso deterministico e unidirezionale. Ha un valore euristico in quanto consente di isolare una possibile causa che non esclude la
presenza anche di altre cause di tipo economico sociale o politico. È del tutto legittimo prendere in considerazione sia l'influenza
dell'economia sull'etica religiosa sia il rapporto inverso ovvero l'influenza dell'etica sullo sviluppo economico, senza concepirlo come un
condizionamento reciproco. Anche per Simmel, tra condizioni sociali e idee vi è un rapporto di causalità reciproca. Cultura e società non solo
non sono intesi come ambiti coestensivi, ma viene precisato che tale distinzione è di tipo analitico, quindi riguarda il livello concettuale e non
la realtà ontologica. La cultura non è un oggetto ontologicamente separato da altri, ma un concetto con cui classifichiamo i fenomeni
sottolineandone gli aspetti per noi importanti. Le credenze e i valori sono una cultura collettiva nel senso che si tratta di rappresentazioni,
concezioni del mondo che non appartengono all'ambito privato, ma sono pubbliche. Simmel si sofferma principalmente sul carattere
simbolico del denaro nella cultura moderna. È un processo di progressiva dematerializzazione che non ha altra realtà se non quella di
simboleggiare le relazioni tra gli individui. Il denaro con lo sviluppo dell’economia monetaria, ha cambiato natura. Perciò, si produce
un'oggettivazione dei valori per cui ciò che prima era un valore soggettivo diventa una proprietà delle cose in quanto tali. Il pensiero umano
diventa sempre più intellettualizzando e individualista. La cultura moderna secondo Simmel è diventata ipertrofica e si manifesta
nell'oggettivazione crescente, ossia in un'espansione senza precedenti della cultura oggettiva. Il soggetto che si rivolge ai contenuti della
cultura oggettiva rimane necessariamente frustrato perché non è più in grado di incorporarli e farli propri, non è più capace cioè di farli
diventare cultura soggettiva. Simmel analizza il portato psicologico dell'individualismo prodotto dalla differenziazione sociale. Viene meno
l'equivalenza introdotta dall'antropologia, tra cultura e tradizione. La cultura non è solo consuetudine ma è innovazione e implica un ruolo
attivo delle idee. In Durkheim, le rappresentazioni collettive sono viste come un sistema chiuso, statico e come prodotti anonimi di forze e
meccanismi. In Weber, le concezioni del mondo e le idee hanno una loro logica e dinamica interna e sono creazioni di individui e di gruppi
sociali, intellettuali, movimenti religiosi spesso in lotta reciproca per l'affermazione delle proprie idee e della propria visione del mondo. In
Germania, negli anni 20, emerse un tentativo esplicito di dare vita a una nuova disciplina. In alcuni casi si parlò proprio di sociologia della
cultura o sociologia della conoscenza. Alfred Weber, fratello di Max Weber, elaborò i fondamenti della sociologia della conoscenza. Sviluppò
la sua analisi concreta soprattutto in direzione dello studio delle ideologie politiche e delle credenze utopiche, ma non riuscì a chiarire
attraverso quali meccanismi i diversi sistemi conoscitivi fossero connessi alla struttura sociale. Le idee per Mannheim non sono mai dei riflessi
meccanici, ma devono essere comprese a partire dalle motivazioni degli attori che operano in contesti socialmente situati. Il concetto di
prospettiva e di prospettivismo elaborato da Mannheim fornisce un'importante dimensione sociologica alla teoria psicologica della Gestalt:
viene messo in luce il carattere socialmente situato del modo di formulare i problemi, che secondo ricerche di psicologia sperimentale è
all'origine della forma e del contenuto della nostra percezione. (pag. 34-40) Non è una vera e propria scuola, è un gruppo di esperti con teorie
condivise. La scuola risente del clima culturale tedesco di fine 800. I maggiori esponenti sono Max Weber (1864), George Simmel (1858) e
Karl Marx (1818). La scuola risente del Neokantismo e dello Storicismo. Neokantismo: riprende Kant (studio gnoseologico; non ci sono idee,
ma l’uomo non conosce la realtà solo attraverso i sensi, le esperienze sono interpretate in funzione delle forme a priori, attenzione agli
individui in quanto membri della società). Storicismo: da Gianbattista Vico (la società è un prodotto storico, che varia nel tempo). Le due
correnti portano all’idea di studio non oggettivo (positivismo, razionalità, impersonalità). Non esistono leggi universali, gli uomini non
rispondono agli automatismi. Possono esserci verità sociali, che si modificano. Il ricercatore può cogliere solo alcune cause. L’approccio è
antipositivista. Weber e Simmel riprendono il dibattito sulle scienze sociali e il metodo scientifico. Le scienze naturali utilizzano leggi universali
per studiare qualcosa di esterno all’uomo. Sono nomotetiche. Le scienze sociali sono idiografiche, si basano sulla comprensione. Per Weber,
la differenza non sta nell’oggetto o nel metodo, ma nell’obiettivo conoscitivo. Le scienze storico-sociali devono unire comprensione e
spiegazione (rapporti di causa-effetto tra fenomeni). Il metodo dev’essere scientifico, ma bisogna tenere conto anche dello scienziato come
essere storico-sociale. Weber parte dalla motivazione degli individui per capire le conseguenze sociali (la scuola francese ragionava al
contrario). Bisogna considerare categorie interpretative del ricercatore, influenzate dal contesto storico-sociale. Tra 1904 e 1906 scrive “Il
metodo delle scienze sociali”, secondo il quale per comprendere la sociologia bisogna partire dal vissuto dei soggetti, senza cadere però nello
psicologismo di Simmel. Secondo Weber, bisogna rivivere il vissuto di un altro individuo. Si deve osservare il comportamento degli attori,
attraverso indagini, ricerche, interviste. Tutte le azioni umane sono dotate di senso, ma la sociologia studia l’azione sociale, in cui l’io si
orienta all’altro. Per Durkheim, l’agire sociale ha a che fare con prodotti sociali. Per Weber, la cultura è il metodo che l’uomo usa per ritagliare
pezzi di realtà. Permette di capire la realtà, la interpreta attraverso significati. L’azione sociale produce istituzioni, sistemi. Anche lo scienziato
compie un’azione di selezione, e interpretazione, che possono incorrere in altre interpretazioni, influenzate da altri contesti. Per questo, in
sociologia non si ha universalità. Weber si chiede se il Capitalismo (assetto economico basato su proprietà privata, burocrazia, divisione dei
compiti) sia la conseguenza della nascita del Protestantesimo. In parte, Weber è antitetico a Marx. Secondo Weber, l’azione umana è
influenzata da interessi materiali e interessi ideali (valori); mentre per Marx, le idee nascono dagli uomini. In Weber, le idee veicolano le
immagini del mondo, in cui l’uomo si identifica. Le idee sono frutto della società, plasmano gli interessi dell’uomo, quindi modificano la
società. Le motivazioni individuali causano involontariamente azioni sociali. ES. Il Capitalismo nasce nel 900 con il Protestantesimo. Il
Capitalismo rappresenta l’azione sociale, il Protestantesimo rappresenta le idee, la cultura. I sacerdoti in Germania si ribellano (Martin Lutero
e Giovanni Calvino): nasce la Riforma protestante, si spinge verso la lettura della Bibbia (cultura): nasce la stampa (agire sociale). La cultura
influenza la società. I protestanti erano iperreligiosi (il Capitalismo è laico). Secondo Weber, ogni religione suppone un modo di intendere
l’economia involontariamente. Quindi, anche il Protestantesimo incide sul piano economico. Secondo il Protestantesimo, esistono santi eletti
da Dio, predestinati, e dannati destinati all’Inferno, che comprendono la maggior parte della popolazione. Diffonde quindi l’idea che siamo
predestinati, le nostre azioni non cambiano il nostro destino. Inoltre, tutti devono avere una vita ascetica, dedita a Dio e al lavoro, una vita
senza piaceri. L’uomo protestante è preoccupato perché non sa a cosa è destinato, ma deve comunque impegnarsi, il suo senso del dovere
non ha un senso esplicito. I pastori tedeschi interpretano alcuni segnali (positivi: persone sante, negativi: persone dannate). Quindi, c’è anche
il culto della ricerca del segno divino. Il lavoro metodico, tipico del Capitalismo, è frutto di un’etica protestante che deriva dall’idea della
predestinazione. Anche qui, la cultura influenza la società. L’etica protestante ha dato vita all’ascetismo intramondano (si guadagna per
risparmiare). Capitalismo e Protestantesimo sono caratterizzati da 1. Il non piacere e 2. L’impegno nella vita. L’etica protestante dà vita ad
una razionalizzazione della condotta, quindi l’uomo si ritrova in una gabbia d’acciaio, dove tutto è già organizzato e pianificato, proprio come
nel Capitalismo (senso del dovere, in vista del futuro). Per i protestanti, i poveri sono dannati a priori, mentre i ricchi sono predestinati. Infatti,
anche in America il successo è un segno divino. I cattolici, invece, credono nel libero arbitrio, nella libertà di scelta delle proprie azioni.
LA RAZIONALIZZAZIONE
È il processo che ha portato gli uomini ad utilizzare la ragione per comprendere la realtà. Si caratterizza per una componente teorica e una
pratica. Entrambe sono complementari, ma sono diverse quindi possono anche contrastare. Per Weber, il passaggio da società semplice a
complessa è dovuto alla razionalizzazione. Un aspetto è il Protestantesimo, che ha spiegato la religione in modo più razionale. Ha portato ad
una condotta individuale più controllata, razionale. La conseguenza sociale è l’affermazione di organizzazioni burocratiche, basate sulla
specializzazione del lavoro e sul professionalismo. Si è creato un sistema economico basato su regole impersonali, in cui il mezzo è più
importante del fine, è una gabbia che limita la libertà individuale. Lo sviluppo capitalistico ha portato al dominio dell’etica, a discapito del
Protestantesimo. I valori religiosi sono diventati secondari, la razionalizzazione consiste in una praticità (condotta controllata) che ha
eliminato i valori tipici della religione. La gabbia d’acciaio ha portato a un disincantamento del mondo che si è reso conto che i valori ultimi
non sono più giustificabili dalla razionalità, che non si occupa di valori assoluti. Ognuno può scegliere qualsiasi valore. I valori possono essere
accettati irrazionalmente. Avviene un cambiamento a livello teorico: l’uomo impiega la ragione anche per trovare spiegazioni della realtà più
razionali sulla base di invenzioni e scoperte. L’uomo ha modificato le stesse religioni, che si sono autodistrutte a forza di modifiche. Quindi,
la ragione ora fa parte solo della vita privata. Con l’Ebraismo, si superano le religioni antiche, secondo cui Dio era molto vicino all’uomo, ma
si afferma l’idea di Dio come essere superiore, trascendente, rispetto all’uomo. Anche il Cristianesimo ha perso il concetto di persone-
individui. Anche il Protestantesimo distingue l’uomo da Dio. Per Weber, questo è un cambiamento storico-sociale. Il razionalismo ci fa capire
che esiste un pluralismo. Nel 1905, Weber scrive “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” e nel 1920 “Sociologia delle religioni”. Il
cambiamento culturale è interno alla cultura stessa: spiegazione endogena (fattori economici, sociali). Anche secondo Comte si passa da
religione a filosofia a scienza. Altri studiosi, come Durkheim, mostrano il cambiamento culturale come dovuto ad un cambiamento sociale:
spiegazione esogena. Elias parla di civilizzazione, che porta a una maggiore cura della persona, più igiene, maggiore peso alla privacy,
all’intimità. È un cambiamento dovuto all’assetto politico delle corti, caratterizzate dalla cortesia. Alcuni storici credono che il Capitalismo sia
frutto dei comuni. Nel 1200, in Italia, termina la fase del feudalesimo e nascono i comuni, in cui sono fondamentali l’economia di mercato,
l’accumulazione di capitale, e nasce la classe sociale dei borghesi (Marx e Braudel). In Germania, nasce l’idea di creare una religione adatta
al capitalismo. Da una parte, secondo Weber, il fattore religioso Protestantesimo è la causa del Capitalismo. Per altri, è la conseguenza. Poi,
Weber indica anche altre cause. Per Marx, la religione è conservativa, basata sullo status quo, mentre per Weber ha anche una funzione
rivoluzionaria. La Chiesa è un’organizzazione stabile che si basa sull’appartenenza di nascita. La setta è un movimento, in cui si entra per
scelta. Per entrare bisogna soddisfare dei requisiti. Weber studia le sette protestanti in America. Lì, la setta stessa rappresenta un biglietto
da visita. Anche la società può influenzare la cultura. Infatti, i tipi di religione spesso variano in base alle classi sociali. Weber distingue anche
le religioni Occidentali e Orientali. Le Occidentali hanno una concezione teocentrica (Dio è al centro, gli uomini sono suoi strumenti). Di
conseguenza, l’uomo ha un atteggiamento attivo, proprio come nel Capitalismo. Le Orientali sono cosmocentriche, hanno carattere cognitivo
(connessione con Dio, misticismo, meditazione, ritiro dal mondo): infatti, in Asia ad esempio il Capitalismo si sviluppa più lentamente (capitolo
6). Durkheim considera fondamentale la funzione della religione nella società. Per Marx, è una sovrastruttura. Secondo i fenomenologi, la
religione pone la distinzione tra ordine cosmico e terreno, e il credente rapporta il quotidiano al cosmico. Questa complessa attività mette
in causa non solo il senso del mondo, ma la sua natura stessa.
SECOLARIZZAZIONE E POST-SECOLARIZZAZIONE (192 sciolla)
La religione è il sistema culturale per eccellenza, che domina l’insieme della vita sociale. L’esito più rilevante della modernizzazione è stato
quello di sottrarre alla religione la predominanza che aveva nelle epoche storiche passate. Weber si riferisce ai profondi cambiamenti nel
rapporto tra religione e società nel processo di razionalizzazione. Lo sviluppo socioculturale dell’Occidente gli appare segnato dal
disincantamento del mondo. Viene rilevata la progressiva autonomizzazione della religione rispetto ad altre sfere. La religione, ora autonoma,
entra in competizione con altri aspetti della cultura della società. Una seconda dimensione riguarda la dinamica interna alle stesse religioni
occidentali, all’ebraismo e al cristianesimo. La religione cristiana tende a eliminare ogni elemento magico dal rapporto uomo/divinità, ogni
residua idea che le potenze soprannaturali possono essere piegate al servizio dell’uomo. Apre la strada a un orientamento laico e
potenzialmente razionale nei confronti della realtà. Il processo di cambiamento della religione viene comunemente designato con
l’espressione secolarizzazione, espressione nata in ambito giuridico per indicare il trasferimento di beni e territori della chiesa a possessori
civili. È il processo tramite cui alcuni settori della società della cultura vengono sottratti al dominio delle istituzioni e dei simboli religiosi. Il
processo presenta diversi aspetti: l’aspetto istituzionale che riguarda la differenziazione strutturale della società; l’aspetto culturale che
riguarda il mutamento interno alle credenze e valori religiosi, l’aspetto comportamentale che riguarda il grado e le forme di integrazione tra
credenze e valori e il concetto concreto agire degli individui. Sul primo aspetto, i risultati delle ricerche concordano nel mettere in luce che
la differenziazione istituzionale è un tratto acquisito nei paesi occidentali moderni realizzato storicamente nella separazione tra stato e
chiesa. La separazione ha creato i presupposti per la nascita del pluralismo religioso, per la presenza di una molteplicità di gruppi e
organizzazioni religiose che competono tra di loro e con organizzazioni culturali laiche, su quello che è stato chiamato mercato delle fedi. Per
quanto riguarda il secondo aspetto, il pluralismo organizzativo istituzionale si connette a una marcata individualizzazione delle credenze.
L’adesione una credenza non è più un fatto consuetudinario, ma comporta una decisione personale. L’individualizzazione delle credenze si
accompagna a fenomeni di disseminazione di sincretismo culturale in cui credenze tipiche della tradizione religiosa occidentale si affiancano
a credenze tipiche di altre tradizioni religiose. Sul piano dei comportamenti delle pratiche religiose, si è messo in luce l’indebolirsi del
radicamento della religione in gruppi specifici, mentre la pratica religiosa regolare è diventata una disposizione tipica di una minoranza della
popolazione. Inoltre, le scelte in campo etico risultano indipendenti dal riferimento alla fede e all’autorità religiosa. Il religioso è reinvestito
di significato come luogo di memoria culturale in cui la tradizione viene ricreata in maniera volontaristica, ma dall’altro lato sono proprio le
identità collettive minacciate dalla modernità ad essere rivitalizzate. Di questo secondo processo sono esempi estremi i vari movimenti
fondamentalisti che si sono affermati nella scena mondiale sia all’interno dell’Islam sia all’interno del cristianesimo e dell’ebraismo. FINE
PAG. 192 Come abbiamo visto, Weber collega la razionalizzazione all’affermazione di un mondo in cui il mezzo prevale sul fine, al politeismo
dei valori, quindi la razionalizzazione ha portato alla secolarizzazione, ovvero il processo attraverso il quale la religione, da istituzione sociale
di natura anche politica-economica, diventa marginale, un fatto personale, non pubblico. La vita pubblica è dominata dallo Stato moderno,
dalla politica laica, la secolarizzazione separa vita pubblica e vita religiosa. Il processo non è stato lineare. Ci sono società più arcaiche, ad
esempio in America, il presidente giura sulla Bibbia, sulle banconote c’è scritto We trust in God, e in alcune società islamiche, complesse
come la nostra, è presente la teocrazia, il potere religioso è mescolato a quello politico, sono società prive di secolarizzazione, in cui i poteri
sono unificati. In Europa, in Italia, la Repubblica giura sulla Costituzione, e in Francia la società è ancora più laica, la religione è meno diffusa,
c’è una separazione tra Stato e Chiesa. La secolarizzazione ha posto al centro l’individuo, la sua autonomia, la libertà di scelta, di espressione,
il pluralismo culturale e religioso. Per Weber, è frutto della razionalizzazione, per Durkheim della differenziazione. Non è un processo lineare,
ma molto complesso. La Post-secolarizzazione è la società in cui l’idea illuminista di ragione unica, l’uomo al centro del mondo, di diritti
universali; è il momento in cui la società ha delle battute di arresto, perché il capitalismo avanzato e la globalizzazione hanno prodotto
incertezza, le culture si incontrano e scontrano, è un periodo incerto, dove si stabilisce l’idea di comunità, la protezione del locale, rispetto
al globale e l’esaltazione del particolarismo. C’è stato un ritorno della tradizione della religione, la religione non è scomparsa, ma è tornata.
La religione torna sotto nuove forme: 1. Religione come personale (ognuno può scegliere la propria religione, ma la adegua, si crede in più
cose, la cultura si rielabora, ritorna il religioso, la spiritualità con la richiesta del riconoscimento della diversità). ES. portare o non portare il
velo, crocifisso nelle scuole. 2. Religione come tradizione, molti seguono le festività, le credenze o le usanze religiose, non perché davvero ci
credono, è un’appartenenza senza credenza. 3. Recupero della tradizione e radicalità che porta al fondamentalismo: opposizione alla
modernità che esalta tutto in nome di nuovi valori radicali da imporre. Si arriva, infine, al terrorismo religioso, non solo islamico, ma anche
dei cristiani, degli induisti. La globalizzazione rende possibile il riconoscimento del diverso, producendo però anche incertezza economica,
dando vita all’identitarismo: la creazione di una nuova identità. Sono forme di esaltazione di identità culturale, create per gestire l’incertezza.
In sostanza, se non si può garantire salari equi e dignitosi, si crea consenso non in nome dell’uguaglianza, ma esaltando l’identità culturale,
come riparo dall’invasione dell’incertezza. L’identità diventa una questione di Stato, una questione politica. I gruppi più marginali trovano
nella cultura una certezza, è una strategia adottata da Salvini in Italia, Modi in India, Orban in Ungheria.
CULTURA E IDENTITÀ CULTURALE (134)
L'identità personale è sempre anche sociale, nel senso che è formata dalle molteplici appartenenze dell'individuo. L'identità non riguarda
solo gli individui, ma anche interi gruppi sociali che accentuano la propria differenza rispetto ad altri gruppi, e utilizzano simboli e linguaggi
rituali particolari, favorendo il sentimento di appartenenza dei singoli. Quando interi gruppi sociali e soggetti collettivi fondano il proprio
riconoscimento e quello altrui, sulla base delle proprie specificità di tipo culturale, si parla di identità culturale. Dalla fine degli anni 60 si sono
sviluppate in molte democrazie occidentali specifiche azioni politiche chiamate politiche dell'identità, con il preciso scopo di ottenere
riconoscimento pubblico giuridico di un'identità collettiva ritenuta ingiustamente trascurata o stigmatizzata. L'espressione identità culturale
è dunque utilizzata per rendere conto delle diversità che nascono dal sentimento di un'origine comune, ossia dall'origine in una comunità
intergenerazionale. La nuova importanza assunta dalle differenze etnoculturali dipende da due processi distinti. Il primo processo riguarda
l’immigrazione. Già partire dalla seconda guerra mondiale, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno accolto migliaia di immigrati. I paesi
occidentali fino agli anni 60 si aspettavano da parte degli immigrati l'assimilazione di norme, valori, linguaggio della propria cultura. A partire
dagli anni 70, il modello assimilazionista è stato abbandonato a vantaggio di un atteggiamento più disponibile a consentire agli immigrati di
conservare significativi aspetti della loro comune origine culturale, ad esempio la religione, l'abbigliamento, l’alimentazione, alcune festività,
pratiche e forme associative. Il secondo processo riguarda la persistenza e la rivitalizzazione di comunità e popoli, che costituiscono delle
minoranze culturali che spesso esprimono spinte autonomistiche, orientate alla costituzione di società nazionali distinte. Sono gruppi con
una storia alle spalle di assorbimento attraverso la conquista o la colonizzazione. Per descrivere entrambi i tipi di diversità culturale, si usa
sempre più spesso l'espressione società multiculturale e multietnica. Di fronte alla molteplicità di gruppi che contribuiscono alla formazione
dell'identità personale, l'identificazione etica può apparire il principale punto di riferimento per il proprio senso di appartenenza. (cap. 4)
Simmel è un sociologo tedesco di origine ebraica, ha una formazione eclettica, ha problemi ad affermarsi nella scuola tedesca. Oggi è
riconosciuto come il più contemporaneo fondatore della scuola tedesca. A inizio 900, individua alcune tendenza nascenti che oggi si sono
consolidate. La sociologia studia la società, che non è un sistema, come sosteneva Durkheim. Ma, è un insieme astratto di relazioni; il
sociologo studia i processi di formazione e associazione di gruppi. Parla di sociologia formale (i processi dipendono dalla loro forma). Allora,
prevalevano i gruppi primari (le relazioni sono basate sull’affetto, sull’interscambio di relazioni). Nella società contemporanea, prevalgono i
gruppi secondari (es. colleghi di lavoro). Non conta l’intimità, ma lavorare insieme per raggiungere un obbiettivo. L’affermazione dei
secondari dipende dalla società di oggi fortemente individualizzata, in cui il soggetto è più egocentrico e nascono le cerchie sociali. Simmel è
più vicino a Weber. Dà importanza alle forme alle reti. Nelle società più semplici, quando si arriva all’individualizzazione, le cerchie sociali
concentriche, una dentro l’altra, hanno un centro, un individuo, con un insieme di credenze e valori condivisi dalla famiglia. La famiglia risente
di norme e valori di una cerchia più grande (es. il vicinato). L’identità di quel singolo è fortemente plasmata dall’identità collettiva. Nelle
società altamente individualizzate (es. metropoli) l’individuo vive in cerchie sociali parallele, non collegate tra loro. Ad esempio, un ragazzo,
figlio di operaio, va a scuola, ha amici figli di impiegati o di imprenditori. La fidanzata è di una classe sociale più alta. Il ragazzo gioca a calcio
con compagni di diversa estrazione sociale. Frequenta più cerchie, che non si sovrappongono. L’individuo passa da un ambiente a un altro,
prende consapevolezza della propria identità e dell’inesistenza dell’oggettività. Così si forma l’io radicale. Nel 1900 Simmel scrive “Filosofia
del denaro”. Nel 1903 scrive il saggio “La Metropoli e la vita dello spirito”. In questi due lavori, Simmel parla di un fenomeno che caratterizza
il passaggio da società semplice a più complessa: il processo di intellettualizzazione. Si tratta di un concetto elaborato anche da Weber come
razionalizzazione teorica: spiegazioni del mondo basate sulla ragione e su concetti astratti generali. Simmel riprende Weber e Marx, unisce
filosofia, sociologia e psicologia. Il passaggio si basa anche sul rapporto con il mondo che diventa progressivamente più astratto. Es. Denaro:
nelle società più semplici si usava il baratto, gli scambi erano lenti, c’erano meno scambi economici, tutta la società era lenta, come le relazioni
e i cambiamenti. Poi, viene introdotta la moneta, il commercio diventa più veloce. La moneta ha un valore astratto, basato sulla fiducia. La
moneta rappresenta un equivalente universale, una forma astratta. A Roma, la moneta aveva un valore in base al suo peso, quindi
corrispondeva ad un oggetto concreto (oro). Oggi, le banconote sono identiche, cambiano solo i simboli, i numeri. Il livello di astrazione è
aumentato ancora. La realtà dematerializzata. La mente umana è formata da intelletto e ragione. L’intelletto è la capacità mentale logico-
combinatoria del calcolo freddo. La ragione è una capacità razionale, basata su sentimenti e preferenze. Nel processo di intellettualizzazione,
l’intelletto prevale sulla ragione. ES. Nella società di inizio 800 ci sono i carri, non ancora le automobili. Per viaggiare, si impiegavano dei
giorni, la persona poteva godersi il viaggio, lentamente. Quindi, prevaleva la ragione. Oggi, in metropolitana (viaggio di 10 minuti), le
sensazioni sono meno profonde, prevale l’intelletto. ES. Nelle relazioni amorose, prima, era facile trovare l’amore ed era più difficile lasciarsi.
Ora, invece, l’intelletto prevale sulla ragione. Abbiamo tante occasioni di conoscere persone, mettere in discussione i rapporti e conoscere
più lati della personalità. Le relazioni sono più complesse, abbiamo la possibilità di intrattenere più conversazioni nello stesso momento con
persone diverse, quindi le emozioni forti sono diminuite. Nelle società differenziate, la tecnologia permette una maggiore velocità. Simmel
studia l’uomo blasé, l’uomo metropolitano. Vive nella metropoli, circondato da stimoli, che ha già visto tutto. Fa prevalere l’intelletto sulla
ragione per difendersi dagli stimoli. Non si fa coinvolgere, come l’uomo dell’800, non si lascia travolgere. C’è un cambiamento nella sua
struttura psicologica-culturale. Non prova stupore, ormai è abituato e meno ricettivo. È disincantato, indifferente. Per questo, gli oggetti
perdono significato. Non si giudica per qualità o per emozioni. È tutto basato sulla quantità (quanto costa, quanto dura). Nella società formata
da più cerchie parallele e prevalente uso dell’intelletto, si forma l’io radicale. L’individuo diventa più importante del gruppo. Nonostante la
varietà di cerchie, l’individuo è solo. In questo, Simmel viene influenzato dagli esistenzialisti Nietzsche e Kierkegaard. Viviamo in forme (es.
università), ma la vita va oltre, è un continuo processo. C’è una continua dialettica tra processo e società. C’è lo stesso rapporto dialettico tra
individuo e società. Ma l’individuo è consapevole della sua identità, talvolta fuori e talvolta all’interno della società. La dialettica rimane
sempre la stessa. Individuo, forme, società e vita cambiano. ES. La moda nasce con la società capitalista industriale, che spinge la tendenza
all’omologazione. L’individuo vuole appartenere a un gruppo, ma allo stesso tempo vuole anche essere unico, particolare, e lo esprime nel
modo di vestirsi. La moda nasce da questo contrasto tra unicità ed eccentricità. La società è anche una gabbia d’acciaio, che soffoca. Nella
società moderna, l’innovazione tecnologica, quindi anche la cultura, è più ampia, immensa, infinita. Ma la nostra capacità di apprendere e
assimilare è molto limitata. Non possiamo sapere tutto. Quindi, la cultura oggettiva supera quella soggettiva. Dipendiamo da questa cultura
oggettiva, ma non riusciamo a contenerla. La cultura oggettiva ci dà più possibilità di forma di vita, abbiamo una moltiplicazione di immagini,
possiamo scegliere più cose, ma ci rendiamo conto che non possiamo fare tutto. Siamo legati al valore di libertà estrema, ma non riusciamo
mai a decidere davvero a causa del forte egocentrismo. ES. L’immigrato precedente se ne va, torna per stare con la famiglia, con gli amici.
L’immigrato di oggi mantiene i contatti, i rapporti attraverso il telefono. Secondo Appadurai, da una parte, vuole integrarsi nel nuovo Paese,
dall’altra parte ha davanti agli occhi la costante possibilità di tornare, in realtà ha un contatto diretto con il suo Paese d’origine, quindi
l’immigrato ha una nuova identità con una sua realtà. Il ritardo culturale è un fenomeno che viene studiato dalla scuola di Chicago da Park e
Ogburn, che si basano sull’analisi di Simmel. La cultura oggettiva può essere più sviluppata rispetto a quella oggettiva. ES. In Italia, ci sono
più telefoni, più tecnologie. Ma, c’è una scarsa abilità, meno competenze informatiche. C’è un forte uso di internet, ma pochi sanno usarlo
in modo adeguato. Il ritardo culturale, che deriva dalla distinzione tra cultura oggettiva e soggettiva di Simmel, dipende da differenze di
interessi e minore disponibilità all’innovazione.
LA SCUOLA DI CHICAGO (pag. 23-27)
Si interessa all’analisi dei processi sociali innescati nelle metropoli americane dai flussi ininterrotti di arrivo di immigrati dal Sud e Est Europa.
Thomas analizza il processo attraverso cui la cultura di origine degli immigrati incide sul modo in cui si inseriscono nella comunità di arrivo.
Diventa cruciale il ruolo attribuito all’interpretazione che l’individuo dà della situazione oggettiva in cui si trova. Viene valorizzato un nuovo
metodo d’indagine, vicino al metodo etnografico, basato su materiale autobiografico, documenti personali, registri di associazioni e verbali
di processi che descrivevano l’espressione di valori, rappresentazioni e credenze comuni. Viene messo in luce il tentativo da parte degli
immigrati di mantenere una propria identità culturale. È necessario considerare il ruolo di mediazione svolto dal sistema di atteggiamenti,
prodotto dalla socializzazione a una specifica cultura, che ogni immigrato porta con sé. La realtà sociale è quindi oggettiva, ma in una certa
misura modificabile dal soggetto che la interpreta. Thomas imputa le differenze degli immigrati non a diversità biologiche innate, di tipo
razziale, ma allo specifico patrimonio culturale, di cui ognuno è portatore, definito come l’insieme di atteggiamenti e valori che un gruppo
immigrato porta con sé in America. Questo patrimonio non è fisso. Thomas accentua l’aspetto socialmente costruito di questo patrimonio
che si forma all’interno della definizione della situazione. Thomas delinea la teoria dell’uomo marginale, che sarà sviluppata in seguito da
Park. L’uomo marginale sperimenta un’incongruenza tra sistema culturale della comunità di provenienza e sistema della comunità di arrivo,
vivendola come una duplice perdita: di status, ovvero di riconoscimento del proprio gruppo, e di senso del proprio sé, ovvero di
riconoscimento del suo ruolo. Thomas descrive la crisi che sopraggiunge quando il modello culturale precedente non funziona più come un
sistema indiscusso di orientamento. Nel nuovo contesto sociale mette in discussione tutto ciò che per gli altri è scontato. Viene messo in luce
per la prima volta il rapporto tra identità e cultura, tra concezione di sé e forme del riconoscimento sociale, che è al centro della riflessione
sociologica contemporanea. Anni dopo i coniugi Lynd volgono l’attenzione ad una città media americana di medie dimensioni che chiamano
Middletown. I Lynd non solo adottavano un metodo etnografico di studio, basato sull’osservazione partecipante, ma accettavano l’assunto
che la vita complessa, costituita da più istituzioni e associazioni, tipiche della società americana, fosse riducibile agli stessi generi di attività
principali riscontrabili in un villaggio arunta dell’Australia centrale. Due idee sono alla base dello studio: una comunità media può essere
rappresentativa della cultura americana nel suo complesso; e si può affrontare la cultura di una società complessa, urbanizzata e
industrializzata come quella degli Stati Uniti degli anni 20, allo stesso modo della cultura degli arunta. Le grandi trasformazioni intervenute a
livello tecnico ed economico a Middletown tra 1890 e 1924, non si erano tradotte in un altrettanto mutamento culturale. Anzi, la popolazione
resisteva al nuovo ambiente, accentuando il proprio conformismo. Il significato delle relazioni è assente, le persone si isolano e i legami
tradizionali sono distrutti. Altri autori, come Park, esplorano la straordinaria diversità culturale della vita urbana americana, accentuando gli
aspetti conflittuali, i diversi stili di vita, che caratterizzano diversi gruppi sociali. Park non abbandona il metodo etnografico, né la prospettiva
degli antropologi nello studiare i popoli primitivi, ma li applica nell’osservazione dei diversi quartieri e aree, considerandoli come vicinati,
ovvero come reti di relazioni sociali. Il vicinato è la più piccola unità locale nell’organizzazione sociale e politica della città. Alcuni gruppi di
vicinato riproducono legami di intimità e solidarietà, come esito della nuova distribuzione sociale sulla base di etnia, occupazione. Anticipa i
tratti salienti della subcultura. Descrive infatti la differenziazione culturale dei sobborghi a carattere occupazionale, dei ghetti, delle città
entro la città. I moderni mezzi di traporto urbano e le nuove forme di comunicazione, insieme all’estensione dell’organizzazione industriale,
hanno generato un incremento enorme della mobilità della popolazione, creando possibilità di confronto e scambio. Inoltre, le relazioni
primarie, che implicano un rapporto diretto tra le persone, faccia a faccia, sono state sostituite dalle secondarie, indirette, che non
comportano una compresenza fisica di persone. La pubblica opinione, creata dalla diffusione della stampa e della pubblicità, sostituisce il
pettegolezzo del villaggio, che aveva un’efficacia superiore in quanto penetrava nella vita privata delle persone. Park, influenzato da Simmel,
identifica i tratti salienti della complessità culturale delle condizioni di vita urbane nella moltiplicazione degli stimoli che bombardano gli
individui e nella pluralizzazione dei contatti e delle forme associative in cui ognuno è coinvolto contemporaneamente. Si generano effetti di
estrema individualizzazione, tolleranza dell’eccentricità e di sovraeccitamento psicologico già al centro dell’analisi simmeliana. Negli stessi
anni, Mead sviluppa una teoria complessa della socialità della mente e dell’identità in cui l’aspetto simbolico della comunicazione umana è
messo in primo piano. La scuola microinterazionista prenderà il nome di interazionismo simbolico. Mead sottolinea l’importanza di aver
identificato nell’uso di simboli significativi il meccanismo centrale in cui l’individuo assume il ruolo degli altri e a sviluppare il proprio pensiero.
Una struttura mentale matura si ottiene quando si è in grado di identificarsi con una norma universale. (pag. 23-27) È la prima scuola
sociologica statunitense, sviluppata a partire dal 900, e prende spunto dagli studi europei. Uno dei maggiori esponenti è Robert Park, allievo
di Simmel. Quando negli anni 40-50 si afferma il funzionalismo, la scuola di Chicago perde influenza. La scuola nasce all’università di Chicago
da studiosi che si interrogano sulle trasformazioni della città di Chicago, che da un paesino di soli 5000 abitanti diventa una metropoli con un
milione di abitanti, in circa 50 anni. Studiano la vita della metropoli, il passaggio da comunità tradizionale a società contemporanea
(differenziazione in Durkhiem, razionalizzazione in Weber). Gli studiosi di Chicago scoprono che la città ha una propria ecologia, attraverso
un processo etnografico, uno studio naturalistico. Mettono in evidenza il ruolo della cultura nel cambiamento sociale, ma hanno un’idea più
processuale di cultura, considerata un insieme di individui con valori, norme, credenze condivisi. Secondo Park, ogni città ha uno spirito, un
sentimento, uno stile di vita (usanze, economia, mood). In questo senso, la città è un organismo sociale. Insieme a Burgess e Wirth, Park
scopre che la città si divide in strati, caratterizzati da culture specifiche. La città è come divisa in zone, sottogruppi differenti. Park nota anche
come la città abbia una sua storia, influenzata da fenomeni sociali. Ad esempio, il fenomeno della gentrificazione.(pag. 209 sciolla) ES. A
Roma, il quartiere africano ha subìto un cambiamento, sono aumentati servizi, università, è diventato più attrattivo, sono aumentati gli
abitanti e il valore degli immobili. I ceti più ricchi si sono spostati, i precedenti abitanti, maggiormente operai, vengono naturalmente espulsi
verso la periferia, dove vivono i ceti minori e gli affitti sono più bassi. Il fenomeno può anche avvenire al contrario, ovvero un passaggio da
una condizione di maggiore sviluppo a una di minore sviluppo. La città americana ha una configurazione diversa da quella europea. Per
esempio, le città italiane sono caratterizzate da un centro storico-turistico, una piazza; mentre in America c’è il centro commerciale, i
grattacieli e un ghetto, mentre i più ricchi vivono in periferia. La città cambia nel tempo. Ad esempio, i nuovi immigrati vivono nei ghetti,
nelle zone più disagiate. Di generazione in generazione, questi immigrati migliorano le loro condizioni di vita/lavoro e si spostano in zone di
persone più abbienti. Avviene una sorta di transumanza.
GENTRIFICATION (PAG. 209) Modernizzazione e trasformazione degli stili di vita e di consumo sono alla base di un altro processo che
consente di apprezzare l’influenza della cultura sull’azione sociale: si tratta della gentrification. Il termine arriva dal vocabolo inglese gentry
che indica la piccola nobiltà anglosassone composta da proprietari terrieri di fine Ottocento, che dominava in passato il governo delle contee
inglesi. Indica un processo di riqualificazione urbanistica che investe principalmente le aree centrali di grandi città. È una trasformazione
abitativa la cui manifestazione fondamentale è il ricambio di popolazione che genera, a sua volta, una trasformazione degli interni delle case
alterandone il valore immobiliare. La gentrification rappresenta anche un esempio di cambiamento valoriale e culturale che ha effetti sul
comportamento degli individui. Nelle aree in cui arriva la gentrification, il maggior potere di acquisto dei nuovi arrivati provoca un notevole
squilibrio nel sistema economico locale, che costringe la popolazione autoctona alla migrazione. (pag. 209) Quindi, i teorici della scuola di
Chicago evidenziano la differenziazione culturale-sociale all’interno della città e studiano la segregazione consequenziale. La segregazione
sociale si ha quando i disoccupati/i più poveri sono riuniti in un’unica zona. Le zone hanno anche una collocazione geografica. Park riprende
Simmel, secondo cui nella città si afferma l’individualità. Ad esempio, le relazioni secondarie/formali (a distanza) prevalgono nelle città
differenziate. Lo stesso succede secondo Durkheim, nelle società evolute. Lo sviluppo dell’individuo è favorito dalla prevalenza di relazioni
secondarie. Si nota anche nel quartiere/vicinato, si forma una comunità con relazioni primarie. Gli studiosi ricorrono anche a degli
esperimenti sociali. Simulano un furto in auto, lo scasso di un negozio, qualcosa di violento per studiare le relazioni conseguenti. La maggior
parte degli individui in città è indifferente, questo indica un forte grado di individualismo. Park, influenzato da Simmel, nota come vengono
meno le emozioni, il coinvolgimento sentimentale. Si forma un’opinione pubblica, non in base al pettegolezzo, ma grazie a giornali e notizie.
Il cambiamento si basa sulla pluralizzazione e sulla differenziazione. La cultura può essere organizzata, ma continua a cambiarsi e a
modificarsi. Esiste una selezione anche tra cultura e identità. George Herbert Mead dà un contributo importante, dando vita
all’interazionismo simbolico: gli individui formano la propria identità attraverso le relazioni primarie, il linguaggio, i simboli, che rendono
possibile la comunicazione di significati e la percezione di se stessi da parte dell’altro. L’identità è il sé, formato dall’io e dal me. Il “me” è il
modo in cui l’individuo si sente rappresentato dagli altri. Anche secondo Cooley, ci rappresentiamo attraverso i giudizi degli altri, che agiscono
come degli specchi. L’insieme di ruoli e giudizi ci rappresenta. Ma non siamo solo questo, infatti l’”io” è la capacità di riconoscersi o meno in
queste rappresentazioni. La cultura è un sistema, formato da linguaggio e interazione, che produce la nostra identità. La scuola di Chicago
studia i processi migratori. In America, si dibatte riguardo l’integrazione di culture diverse, unite, assimilate dalla cultura americana.
Nell’incontro/scontro tra processi migratori, interviene la cultura. Secondo Thomas, l’idea di assimilazione non funziona. I processi migratori
sono complessi. Se non si accetta la diversità e l’omologazione, non c’è integrazione. Thomas e Znaniecki in “Il contadino polacco in Europa
e in America” (1918-1920) studiano la migrazione dei polacchi e le difficoltà trovate all’arrivo in America e in Europa. La capacità di
integrazione non dipende solo dalla condizione materiale dell’immigrato. Si tratta anche del modo in cui l’uomo si orienta, si comporta. E gli
atteggiamenti sono influenzati dalla cultura, che determina l’identità. L’immigrato è sempre disorientato all’inizio. Nel 1928, Thomas conia
un teorema, secondo cui se gli uomini definiscono reali certe situazioni, queste lo diventeranno nelle loro conseguenze. Le conseguenze sono
date dalle interpretazioni della realtà. ES. Dopo la crisi del 29, durante i regimi totalitari europei, l’economia non ripartiva, le persone erano
spaventate, molti andavano in banca per ritirare i propri risparmi, e le banche perdevano liquidità, quindi fallivano. Si passa da
un’interpretazione della realtà (paura) ad una conseguenza concreta (fallimento). Thomas vuole sviluppare in America delle società che
facciano integrare gli immigrati, società formate dai nuovi immigrati (cultura polacca) e dai precedenti immigrati (connazionali) che possono
spiegare i meccanismi della cultura americana. Questo processo permette l’integrazione, l’inclusione. L’incontro tra culture non riguarda solo
la sfera dell’immigrato, ma tutti i cambi di ambiente sociale: da borghese a popolare, da un’etnia a un’altra, da una professione a un’altra.
Non si basa tutto solamente sull’assimilazione, ma dev’esserci un dialogo tra culture. Park teorizza anche l’uomo marginale: l’immigrato è in
difficoltà perché perde il riconoscimento dagli altri e rispetto a se stesso: perde lo status e l’intuizione del proprio sé. ES. 1. Un senegalese
nel suo paese d’origine era un falegname, in Italia non conta nulla, perché ha perso il suo status. 2. In Italia, le sue usanze, per lui scontate o
normali, sono considerate barbariche, strane. Non c’è riconoscimento da parte degli altri. Identità e cultura sono connesse. I coniugi Lynd se
ne occupano, vivono in una città media (Middletown) e la studiano per capire l’uomo americano medio. Frequentano persone, lavorano a
contatto con loro. Scoprono i cambiamenti tipici (es. cultura tecnologica: diffusione della radio), ma notano delle difficoltà nella popolazione:
le persone utilizzano i nuovi prodotti, in modo passivo. I soggetti non modificano i meccanismi culturali, si chiudono nel conformismo, nella
tradizione, i legami vengono spezzati e cresce il ritardo culturale. Anche oggi, gli anziani non riescono ad adattarsi alle nuove tecnologie, i
legami sociali sono più difficili per loro, anche se acquistano telefoni e computer, perché non sono comunque in grado di usarli. Nel 1955,
Cohen conduce studi più oneristici sulle bande di giovani criminali. Cohen stesso va a vivere con dei criminali, si presenta come ricercatore,
capisce come funziona la subcultura di quel gruppo, basata sulla gratuità, sulla cattiveria inspiegata, e sulla tendenza allo scontro verso la
cultura perbenista. Nell’interazione con l’altro sono in difficoltà, perché tutti li considerano sporchi, ignoranti, a causa delle loro condizioni
materiali. Per questo, Cohen arriva alla conclusione che le subculture sono chiuse e devianti. La cultura è un processo che nasce entro contesti
e reti sociali, che danno vita a norme, credenze, valori: modello interazionista. Quando ci interroghiamo sulle culture, scopriamo noi stessi.
Nel rapporto tra società e cultura (Durkheim: società>cultura; Weber: cultura>società), la cultura si forma nei gruppi, attraverso la
comunicazione di significati. ES. Howard Becker studia l’arte, che nasce dalle interazioni tra soggetti. Gli attori, quindi, contribuiscono al
prodotto culturale. A seguito dello sviluppo del funzionalismo di Parsons (pag. 45) (ispirato da Durkheim e Weber), il modello interazionista
crolla, anche se molti studiosi ancora oggi si riconoscono nella scuola di Chicago. Cultura (significati condivisi) e identità (personale) non
corrispondono. La cultura ha anche un elemento di inconscio, mentre l’identità è consapevole. La cultura fornisce elementi per produrre
un’identità personale. L’identità è un processo in cui si integrano esperienze passate e presenti, cambiamenti di personalità, ma si continua
una certa unicità identificativa. C’è un continuo processo di oscillazione tra l’identificazione da parte di un gruppo e l’identificazione da parte
di noi stessi, che si ha prendendo o no le distanze dalle rappresentazioni degli altri, stabilendo la propria unicità. Fondamentale è il linguaggio.
DA PARSONS ALLA NASCITA DELLA SOCIOLOGIA DELLA CULTURA COME DISCIPLINA (PAG. 44-50) A partire dagli anni 30, le ricerche sul
rapporto tra idee e struttura sociale subiscono un arresto. Tra gli anni 30 e gli anni 50, vi sono stati singoli contributi di ricerca molto rilevanti
ma che sono rimasti isolati. Negli anni 50, negli Stati Uniti la prospettiva fortemente empirica e pragmatica della scuola sociologica di Chicago
lascia il campo a quella molto più teorica e astratta dello struttural-funzionalismo elaborata dal sociologo Parsons, che si pone l'obiettivo di
costruire un quadro concettuale e teorico in grado di conferire alla sociologia il riconoscimento di scienza autentica definendone il posto
specifico accanto alle altre scienze dell'uomo. L'antropologia concepisce la cultura come l'insieme dei costumi e delle abitudini acquisite
dall'uomo in quanto membro di una comunità sociale. Parsons si ricollega esplicitamente alla tradizione sociologica europea: da un lato opera
una decisa restrizione dell'ambito semantico del concetto di cultura; dall'altro giunge a identificarne il carattere astratto di costrutto e
strumento concettuale utile ai fini dell'indagine, che deve essere accertato e verificato. La cultura è costituita da sistemi strutturali ordinati
di simboli che sono gli oggetti dell'orientamento dell'azione. I termini in base a cui sono analizzati i fenomeni culturali rappresentano costrutti
teorici che lo scienziato sociale impiega per ordinare le sue osservazioni. In primo luogo, l'accento si sposta dal carattere adattivo che la
cultura rivestiva nell'analisi antropologica delle popolazioni primitive, al carattere normativo della cultura. La cultura è l'insieme dei modelli
di comportamento che la comunità sociale ritiene validi su cui esiste un consenso sociale e una condivisione. Questo aspetto connette
direttamente la cultura alle componenti motivazionali dell'azione. La cultura deve avere un certo grado di coerenza e di organizzazione,
dev’essere fondata su un sistema di valori. Ricostruire un sistema di valori vuol dire formulare delle ipotesi e trovare degli indicatori in base
ai quali ricostruire la struttura interna di questo sistema. In secondo luogo, Parsons rende esplicita la necessità di mantenere analiticamente
distinte culture e società l'una non deve essere confusa o ridotta all'altra. Parsons distingue quattro sottosistemi che intervengono nell'azione
sociale: la personalità, la cultura, il sistema sociale e l'organismo biologico. L'organismo biologico svolge la funzione dell'adattamento quindi
stabilisce un rapporto con l'ambiente fisico trasformando l'ambiente in base ai bisogni dell'azione o adattandosi ai suoi vincoli. La personalità
svolge la funzione del conseguimento ovvero mobilita le energie e le risorse psichiche necessarie a raggiungere gli scopi definiti. Il sistema
sociale rappresenta la funzione dell'integrazione infatti stabilisce le forme della coesione e della solidarietà. La cultura infine svolge la
funzione della latenza; essa fornisce all'attore sociale la motivazione e il senso dell'azione attraverso valori norme e idee. La cultura
propriamente non agisce; è presente ma non è attiva. Facendo riferimento alla nozione di gerarchia cibernetica: Parsons stabilisce che le
parti di un sistema dispongono in gradi diversi di energia ed informazione. Le parti che possiedono meno energia sono più ricche di
informazione e viceversa. La cultura esercita un controllo sul sistema sociale, sulla personalità e sull'organismo, mentre il sistema psichico
che controlla l'organismo, subisce dei forti controlli da parte sia del sistema sociale sia di quello culturale. A partire dagli anni 70, si afferma
invece una specializzazione disciplinare specificamente dedicata allo studio della cultura: la sociologia della cultura o sociologia dei processi
culturali. I suoi più recenti sviluppi si articolano in una pluralità di prospettive e pratiche di ricerca che finora non hanno dato vita a
un'impostazione teorica unitaria. La sociologia della cultura mette al centro dell'analisi le contraddizioni e incongruenze entro il sistema
culturale, il problema del dissenso e dell'innovazione sul piano culturale, il rapporto spesso trascurato tra cultura e azione. Il carattere
complesso della cultura è definito come una cassetta degli attrezzi utilizzabili entro strategie d'azione. La coerenza del sistema culturale
rappresenta un assunto dato per scontato. Diventa un'ipotesi empirica da studiare con strumenti di ricerca adeguati. Diventa centrale sia
comprendere i meccanismi cognitivi che consentono a idee di diffondersi sia rendere conto della capacità degli individui di partecipare
contemporaneamente a più tradizioni culturali. Anche la teoria di Parsons chiamava in causa la psicologia, ma si riferiva soprattutto alla
struttura profonda della personalità. Ora si tratta di riconoscere l'analisi dei dispositivi pratici legati all'attività pratica che sono alla base dei
processi cognitivi precoscienti. Cognitivo sta a indicare i fondamenti precoscienti del ragionamento e del pensiero. Parsons aveva riproposto
la distinzione tradizionale tra sociologia e antropologia basata sulla diversità degli oggetti di studio: la sociologia si occupa del sistema sociale,
l'antropologia del sistema culturale. Gli antropologi infatti si dedicavano allo studio delle società primitive intesi come culture altre e i
sociologi a quello delle società moderne. La distinzione entra in crisi con la scomparsa o la profonda trasformazione dei rispettivi oggetti di
studio. Se non esistono più società primitive, anche le società moderne con la diffusione dei mass media, le nuove tecnologie della
comunicazione, si sono trasformate in modo tale da richiedere uno studio approfondito specifico. Sono sempre più numerosi gli antropologi
che studiano con successo gli ambienti urbani delle società contemporanea, e i metodi della ricerca etnografica come l'osservazione
partecipante vengono utilizzati dai sociologi per comprendere e interpretare subculture. La sociologia è stata ampiamente influenzata dalla
nuova definizione di cultura elaborata dall'antropologo culturale Clifford Geertz che pone in primo piano un concetto semiotico di cultura
come insieme di simboli e rete di significati. Essa denota un modello di significati trasmesso storicamente, significati incarnati in simboli, un
sistema di concezioni ereditate espresse in forme simboliche per mezzo di cui gli uomini comunicano, perpetuano e sviluppano la loro
conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita. Quindi l'interesse degli studi di sociologia si è spostato dai valori e norme ai simboli espressivi.
(pag. 44-50)
ALTRI CAPITOLI - COME SI STUDIA LA CULTURA? ALCUNE QUESTIONI DI METODO Qualsiasi ricerca sociologica parte da una domanda
conoscitiva di tipo descrittivo e poi di tipo esplicativo, ovvero domande che mirano a conoscere le cause che hanno generato un particolare
fenomeno. La sociologia ha elaborato in una disciplina particolare, la metodologia della ricerca sociale. Vi sono però posizioni epistemologiche
e metodologiche molto diverse. Alcuni sociologi intendono la sociologia della cultura come una scelta molto impegnativa che investe il modo
stesso di concepire l'intero lavoro sociologico. In seguito alla svolta linguistica, alcuni studiosi hanno cominciato a considerare la sociologia
culturale come un vero e proprio paradigma teorico epistemologico, ossia come un approccio totale che definisce i problemi di potenziale
interesse della sociologia. Viene avanzata una concezione radicalmente costruttivista della società, secondo cui tutti gli aspetti della vita
umana sono costrutti culturali. L'esito è l'assimilazione totale tra realtà e cultura. In questa prospettiva, solo i metodi qualitativi basati
sull'interpretazione soggettiva possono offrire una descrizione densa di simboli culturali. La domanda sul perché di un certo fenomeno
culturale dovrebbe essere sostituita da quella sul come pratiche narrative costituiscono significati. Spesso molti sociologi ritengono che solo
le dinamiche della struttura sociale possono essere rilevate con metodi quantitativi, mentre gli aspetti più effimeri dei significati culturali non
possono essere studiati in questo modo. Quindi, non si può aderire in toto a un unico paradigma e scegliere in maniera pregiudiziale i metodi
qualitativi di indagine come unici praticabili. L'orientamento più efficace è quello pragmatico che non implica alcuna scelta di campo
pregiudiziale e che potremmo chiamare pluralismo metodologico. Questo approccio dovrebbe condurre a scegliere i metodi in funzione degli
obiettivi specifici della ricerca. La cultura è un campo di studio complesso affrontato da una molteplicità di discipline che hanno precisato nel
tempo specifici approcci. L'antropologia ha sviluppato tecniche etnografiche; la psicologia interculturale ha fatto ricorso ad analisi statistiche;
la semiotica ha sviluppato un'analisi interpretativa dei testi. Nel dibattito contemporaneo, si è affermata una terza via che è stata nominata
metodi misti. La logica di fondo è quella di integrare, intrecciare, unire in una o più fasi della ricerca, metodi quantitativi e qualitativi.
LA RICERCA EMPIRICA INTERCULTURALE E SUI VALORI Rientra in un'ampia serie di lavori analizzano i valori e la loro evoluzione sulla base di
un programma di indagini survey longitudinali su larga scala e transnazionali. Triandis ritrova nelle società che analizza il contrasto tra due
configurazioni di valori: l'individualismo e il collettivismo. Il collettivismo include un’enfasi su bisogni e scopi del gruppo, sul comportamento
guidato da norme e sulla disponibilità a cooperare all'interno della comunità. L'individualismo enfatizza esattamente l'opposto. Secondo
Triandis, una cultura quanto più è coesa e semplice tanto più è collettivista; quanto più è sconnessa e complessa tanto più è individualista.
Le culture complesse hanno una maggiore apertura dell'appartenenza di gruppo con una prospettiva temporale più breve, una minore
reciprocità, una più alta densità numerica di tali appartenenze di gruppo e molte regole comportamentali mirate a evitare il conflitto. Triandis
distingue poi collettivismo e individualismo in orizzontale e verticale. Nell'individualismo orizzontale, le persone sono indipendenti ma
mettono l'accento sull'identità e smorzano la diseguaglianza. Nel collettivismo orizzontale, le persone sono interdipendenti ma enfatizzano
la coesione sociale, l'identificazione nel gruppo. Nelle culture individualiste verticali, le persone sono indipendenti e danno il massimo valore
alle differenze individuali, all'essere il migliore e ad avere particolari privilegi. Nelle culture collettiviste verticali, le persone accettano le
differenze, hanno un forte senso del dovere, la tendenza a servire il proprio gruppo e perfino a sacrificarsi per esso. La cultura ha un carattere
multidimensionale e con metodi survey, ma anche con tutte le tecniche di intervista individuale, si coglie la dimensione soggettiva della
cultura.
METODI QUALITATIVI DI ANALISI DEI VALORI E DELLE CREDENZE Alcuni preferiscono l'utilizzo di tecniche qualitative come interviste
discorsive libere guidate da ipotesi o l'utilizzo di nuovi metodi qualitativi come le narrazioni di episodi in grado di simulare i giudizi dei soggetti
intervistati. Si possono aggiungere anche i focus group, che hanno lo scopo di favorire il dialogo e il confronto tra i partecipanti del gruppo.
Tali metodi possono essere utilizzati o in combinazione con meriti quantitativi o isolatamente. In questo caso l’obiettivo è l'analisi interna a
una cultura. Lo scopo è arrivare a una tipologia dei soggetti intervistati che sintetizzi diversi profili. Dagli anni 2000 si parla di digital research,
etichetta che fa riferimento ai nuovi metodi sviluppati per confrontarsi con l'avvento della società digitale. Sul fronte quantitativo si è
sviluppato un settore della sociologia basato sull'uso di grandi set di dati digitali per condurre ricerche sociali anche in campo culturale. Le
ricerche utilizzano dati spontaneamente prodotti dagli utenti che sono già raccolti da varie piattaforme web. I big data sono l'insieme dei
dati in formato digitale che sono raccolti, archiviati e gestiti attraverso dataset di ampie dimensioni. I contenuti includono i cosiddetti
transactional data, i digital by product data, come gli aggiornamenti di status nei social network, i tweet, i commenti e i post. Attraverso la
network analysis degli hashtag associati al tema vaccini e l’analisi del contenuto dei post di Facebook, la ricerca Tipaldo ricostruisce chi sono
i principali opinion leaders sui social. Sul versante della digital research in ambito qualitativo dagli anni 90 si è affermata la ricerca
netnografica, che traspone e adatta le tradizionali tecniche della ricerca etnografica allo studio delle culture e comunità che emergono dalla
comunicazione mediata dal computer. Il ricercatore indaga le interazioni sociali online immergendosi direttamente nell'ambiente in cui
queste interazioni si svolgono. L’oggetto è rappresentato dalle online community: aggregati sociali che emergono dalla rete quando un
numero sufficiente di persone si impegna discussioni pubbliche. Secondo Creswell e Plano Clark uno studio a metodi misti può essere la
soluzione ottimale con il secondo insieme di dati che aiuta a spiegare il primo database. Un altro vantaggio è la possibilità di generalizzare i
risultati esplorativi ottenuti in alcuni progetti di ricerca dedicati.
ETNOGRAFIA E VISUAL STUDIES All'interno della scuola di Chicago negli anni 30, si afferma la fotografia documentale per la sua rilevanza
non solo conoscitiva ma anche pratica. Nelle ricerche The Hobo e The Gang, gli autori utilizzano fotografie per ampliare l'analisi del fenomeno
oggetto di studio. Nelle didascalie delle fotografie non vengono fornite informazioni né sulle location nei suoi soggetti rappresentati. Oggi,
con i processi di digitalizzazione, la loro presenza è divenuta pervasiva, e negli ultimi 15 anni i metodi visuali hanno suscitato un interesse
ampio in tutte le scienze sociali. Un esempio interessante di utilizzo dei metodi visuali è rappresentato dal lavoro di Cristina Demaria. Gli
studi di genere e la critica femminista vengono indagate dall’autrice rispetto ai principali nodi teorici, le posizioni e gli strumenti di analisi che
hanno contraddistinto la ricerca sull'immagine del femminile e sulle rappresentazioni dei corpi delle donne. L’intento è comporre una mappa
attraverso cui considerare ciò che ci consente di guardare e costruire il femminile.
IL METODO STRUTTURALE DI INTERPRETAZIONI DEI SIMBOLI Anche i simboli sono stati efficacemente studiati con metodi formali, con
l'obiettivo di ridurre complesse raccolte di dati culturali a più semplici strutture di significato. Per lo strutturalismo, il significato è costituito
da distinzioni sistematiche che differenziano tra loro parole, segni e suoni. Questo tipo di analisi è quello condotto in una ricerca su 150 inni
nazionali. Gli inni rappresentano dei sistemi di significato di cui si possono individuare strutture utilizzabili nell'analisi comparativa. La musica
viene trattata come una serie di codici simbolici, le note musicali generano i codici, ciò che costituisce il significato dell'inno non sono le note,
ma il modello delle loro relazioni e la composizione musicale viene influenzata dal sistema politico e dal carattere coloniale del potere.
L'analisi formalizzata dei dati ottenuti è quasi sempre un’analisi testuale. L’approccio strutturale evita di intendere l’interpretazione dei testi
in chiave più o meno intuitiva o empatica. Altre tecniche utilizzate sono il Multidimensional Scaling, per inserire in una matrice similarità e
differenze; la Cluster Analysis, che legge la matrice dei dati come insieme di casi da mettere in relazione reciproca; l’analisi delle
corrispondenze, che individua le strutture fondamentali che organizzano un discorso; e la Network Analysis, che si presta a un'analisi
strutturale.
LA RICERCA GENETICA SULL'EVOLUZIONE DELLE NORME La ricerca genetica si pone un problema di spiegazione domandandosi perché un
dato fenomeno sociale si è evoluto nel tempo fino a raggiungere la forma attuale. Le origini vengono ricercate nel passato. La ricerca di Elias
sull'evoluzione delle norme dell'etichetta dal Medioevo all'Ottocento nell'Europa Occidentale, mostra come è stato possibile raggiungere il
grado di civilizzazione che oggi conosciamo. La sua tesi è basata su una documentazione storica, composta da opere letterarie dei cosiddetti
trattati sulle buone maniere, che offrono preziose testimonianze sui modelli di comportamento più diffusi nella vita quotidiana.
CAPITOLO 4 - CULTURE E GENERAZIONI Mannheim prende in esame il ruolo dei gruppi di età, ossia le generazioni come fattori sociali, che
favoriscono la formazione di particolari stili di pensiero. Inizia il suo saggio con una critica a due diversi modi di affrontare il problema delle
generazioni: quello positivista e quello romantico-storicista. Secondo i positivisti, la generazione è una realtà solo biologica. Per loro, è difficile
stabilire la durata di una generazione che viene di volta in volta stabilita in modo diverso. La concezione romantico-storicista intende la
generazione come un’entità spirituale piuttosto misteriosa. Le unità esteriori di tempo, come decenni, anni, mesi, sono sostituite dalla
generazione come un'unità temporale storicamente costruita. Far parte di una stessa generazione significa che si vive la contemporaneità,
perché si fanno le stesse esperienze significative e si vivono le stesse influenze dominanti. Mannheim distingue tra collocazione gruppo
concreto. La collocazione indica una condizione di fatto comune ad alcuni individui che limita le loro esperienze possibili. In una collocazione
ci si trova senza avere necessariamente coscienza. Il gruppo concreto, invece, è formato da comunità e associazioni, in cui gli individui hanno
coscienti relazioni tra di loro. Mannheim continua la sua classificazione distinguendo anche tra legame di generazione e unità di generazione.
Il primo indica la possibilità che le persone di una stessa generazione prendono parte attivamente ai destini dei problemi comuni del periodo
storico in cui vivono. Le unità generazionali sono gruppi che elaborano diversamente le stesse esperienze che risolvono diversamente gli
stessi problemi, in funzione delle loro peculiari esperienze formative. Mannheim sottolinea la differenza che esiste tra generazioni come
categoria storico sociale ed età come caratteristica ascritta, legata alla nostra natura biologica, al semplice fatto che nel corso della vita,
passiamo inevitabilmente attraverso diversi stadi di invecchiamento. Nella generazione si intersecano due strutture temporali: quella della
biografia individuale e quella della storia della società. Alla fine degli anni 50, in tutti i paesi capitalisti comincia a emergere una gioventù
ribelle, caratterizzata da una sorta di nichilismo e ostilità rispetto al sistema sociale. Ancora espressione di gruppi minoritari, era già
trasversale rispetto alle classi sociali con grandi capacità di diffusione e generalizzazione. Agli inizi degli anni 60 all'ondata ribelle si sostituisce
una generazione nuova, che propone i propri modelli culturali basati su valori pacifisti, sulla priorità data agli aspetti ludici, affettivi e
relazionali, sul rifiuto della violenza, della competizione e del successo. Di questa cultura giovanile, conosciuta con il nome di cultura beat, si
impossessa subito l'industria culturale. Verso la fine degli anni 60, a questa generazione ne succede un'altra che dà vita a movimenti politici
radicali, che sorgono nelle università delle principali città europee. Si tratta della cosiddetta generazione del 68, formata da giovani nati dopo
la guerra, che si fa interprete di una radicale rivolta etica e libertaria contro le gerarchie sociali. Per la prima volta la sociologia vede nel
succedersi delle generazioni l'instaurarsi di una frattura di un conflitto di generazioni. Erik Erikson fornisce una spiegazione della nascita della
gioventù come fasi distinte e ben caratterizzate del ciclo di vita delle società a capitalismo avanzato degli anni 60, rivolgendosi al contesto
storico e sociale del fenomeno. La crisi d'identità attraversata dei giovani di oggi è secondo Erikson la conseguenza della creazione della
gioventù come fase di attesa e di esplorazione priva di punti di riferimento, a cui possono reagire opponendo una identità negativa, cercando
di essere tutto quello che la società dice loro di non essere o dando vita a movimenti e forme di protesta attiva. Le culture e identità
generazionali che si sono susseguite dal dopoguerra a oggi presentano una caratteristica peculiare proprio in questo loro disancoramento
sia nel senso che non sono radicati in interessi, ruoli, occupazioni, sia nel senso che i valori a cui aderiscono sono percepiti e presentati come
autonomi, universalmente legati a un’umanità generica e differenziata.
CAPITOLO 6 - CULTURA E SOCIETÀ: COME LA CULTURA INFLUENZA L’AZIONE SOCIALE
Modello dell’attore socializzato. I valori condivisi da una collettività si traducono direttamente in azioni conformi, attraverso il processo di
interiorizzazione che avviene essenzialmente durante l’infanzia, e che comporta l’inserimento dei valori nel sistema della personalità. Questi
si trasformano dunque in motivazioni profonde, stabili, indipendenti da ogni considerazione e uso strumentale di tale conformità. La
conformità è rinforzata da meccanismi di controllo sociale. Alcuni hanno osservato che questo modello accentua gli aspetti consensuali,
mentre trascura la possibilità di conflitto, dissenso, anticonformismo. Altri ne hanno criticato una certa vaghezza e la difficoltà di una verifica
empirica.
Modello dell’identità sociale. La connessione tra valori e comportamenti non è sempre chiara. Secondo Cancian, le credenze normative sono
collegate al comportamento se queste credenze sono condivise con un gruppo e definiscono un’importante identità che è convalidata da
questo gruppo. Le credenze e i valori devono dare forma a specifiche identità sociali perché siano in grado di orientare l’azione.
Il ruolo dell’etica protestante nello sviluppo del capitalismo moderno. Ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, Weber si
concentra sulle condizioni culturali che hanno favorito lo sviluppo del capitalismo moderno identificandole nell’etica religiosa nata con la
Riforma protestante. La domanda da cui Weber parte riguarda una regolarità statistica: come mai gli imprenditori capitalisti e il personale
tecnico commerciale più qualificato sono di religione protestante? Egli identifica nello spirito del capitalismo la configurazione di idee di
valori che contraddistingue il capitalismo moderno, di cui sono portatori i ceti borghesi in ascesa. Nella raccolta di massime di Benjamin
Franklin, Weber scorge gli indizi di una configurazione di valori che chiamo spirito del capitalismo. Le idee principali sono: il concepire il
guadagno come fine in sé, per essere reinvestito e generare così nuovo guadagno; la seconda idea è quella del dovere professionale, l’idea
che il singolo debba sentire un’obbligazione morale nei confronti della sua attività professionale. Weber mette in luce il carattere unico di
questo spirito. Lo spirito del capitalismo in quanto razionale e metodico perseguimento del profitto è il contrario di una smodata sete di
ricchezza. Per affermarsi, deve lottare anche con l’inclinazione naturale al tradizionalismo, volto a perseguire il guadagno solo quel tanto che
consente di soddisfare abitudini consolidate. La spiegazione di Weber si basa: sull’identificazione di due diverse etiche economiche, intesi
come impulsi pratici dell’azione fondati sulle connessioni psicologiche e pragmatiche delle religioni e non come teorie etiche dei compensi
teologici. Si tratta dell’etica cattolica e dell’etica protestante; sulla messa a fuoco della rottura introdotta dalla riforma rispetto all’etica
cattolica e della particolare affinità elettiva che lega l’etica protestante a una certa concezione della vita professionale laica; e
sull’individuazione dei meccanismi psicologici specifici che generano un comportamento pratico a partire dalla credenza religiosa calvinista
della predestinazione. Con la riforma protestante si attua una rottura profonda con la concezione cattolica. La dottrina luterana della
vocazione svaluta l’ascesi monacale del cattolicesimo estendendo l’idea di vocazione al lavoro professionale. Lutero introduce l’idea
rivoluzionaria per i contraccolpi che ebbe sulla gerarchia della Chiesa, del sacerdozio universale. Per vivere in maniera grata a Dio non è
necessario rinchiudersi in convento. In questo modo i protestanti miravano alla base dell’autorità stessa della gerarchia ecclesiastica. Calvino
introduce la dottrina della predestinazione, secondo la quale Dio ha salvato una parte dell’umanità e condannato alla dannazione eterna
l’altra, senza che l’uomo possa intervenire a modificare la situazione. Tale dottrina ha avuto delle conseguenze per l’azione. Weber parla di
spinte pratiche dell’azione, ossia meccanismi microsociali che indirizzano l’agire di grandi masse di persone in direzione di un nuovo tipo di
imprenditorialità capitalistica. Si tratta di conseguenze impreviste, addirittura non volute dai riformatori. La predestinazione poteva condurre
al fatalismo, invece ha condotto a un atteggiamento opposto, di attivismo, perché quando il protestantesimo comincia a diffondersi sorge il
problema della certitudo salutis, la certezza della salvezza. Il meccanismo sociopsicologico fu quello di dedurre la scelta divina dal successo
nel lavoro professionale onestamente metodicamente conseguito, in una condotta di vita che Weber chiama ascesi laica. Questa rappresenta
un ethos che impone una vita razionale nel mondo, e tuttavia non di questo e per questo mondo. Ne “Le sette protestanti”, Weber accentua
il ruolo dell’appartenenza alle sette nel favorire lo sviluppo economico. L’obiettivo è rendersi conto della permanenza, nella società
americana di inizio secolo, di una società in cui il capitalismo è consolidato, di un forte rapporto tra religione e mondo economico. Qui
l’ascetismo intramondano di matrice puritana creava un tessuto sociale capace di rispondere all’esigenza del mondo economico di poter
valutare su solide basi l’affidabilità delle persone con cui entrare in affari. La presenza di reti sociali capaci di fornire i certificati di onorabilità
rappresentavano un’indispensabile base fiduciaria. Weber mostra che le religioni della tradizione asiatica e mediorientali hanno ostacolato
lo sviluppo del razionalismo economico tipico del capitalismo moderno, favorendo un’etica economica tradizionalistica. Weber riconduce
l’inclinazione al tradizionalismo di queste religioni e il mancato sviluppo di una profezia etica come si è affermata nell’ebraismo nel
cristianesimo. Nelle religioni orientali, non si impongono obblighi morali alle masse, ma si indica con l’esempio la strada da seguire. Tra le
religioni universali è stato il confucianesimo a costituire il maggior ostacolo alla formazione di un comportamento economico razionale e allo
sviluppo di un’economia capitalistica. Weber contrappone il sistema di valori confuciano e quello del protestantesimo ascetico, mostrando
il diverso ruolo - positivo in un caso e negativo nell’altro- che essi hanno avuto sull’agire economico. Lo specifico razionalismo confuciano era
costituito da un insieme di massime politiche e di regole di buon comportamento sociale per uomini di mondo colti a cui mancava ogni
ancoramento trascendente all’etica e ogni tensione tra i comandamenti di un dio sopramondano e il mondo. Il presupposto di questa etica
convenzionale di adattamento incondizionato al mondo era costituito dal permanere di una religiosità puramente magica centrata sul culto
degli antenati e sulla devozione verso la famiglia. Weber pone l’accento sui limiti che nella società cinese aveva la fiducia. La rottura di questi
limiti caratterizzava invece, come si è detto, le associazioni religiose protestanti. Fukuyama distingue tra società familistiche, dove dominano
reti sociali ristrette all’ambito familiare parentali, e società con un tessuto sociale più allargato, caratterizzate da alti livelli di fiducia. Inglehart
elabora un indice della motivazione al successo tratto da una lista di qualità a cui i bambini vengono educati in famiglia. Ne risulta una
correlazione statistica molto forte tra motivazione al successo e tassi di crescita economica. Impiegando l’analisi multivariata, Inglehart mette
a confronto il peso netto che i fattori economici e culturali hanno sullo sviluppo economico. Avendo Inglehart introdotto nel modello causale
anche i valori postmaterialisti, ossia valori che danno la priorità ad autorealizzazione, difesa della natura e qualità della vita, si può constatare
che presentano una correlazione negativa con la crescita economica.

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