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Riassunto Antropologia

culturale Signorelli
Antropologia Culturale
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
29 pag.

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CAPITOLO 1: LO STUDIO DELLE DIVERSITÀ

LA SPECIE UMANA

L’antropologia è la disciplina che studia le diversità e le somiglianze proprie delle specie umana; l’attenzione
nelle somiglianze e diversità non è propria dell’esperienza individuale, ma è parte integrante delle relazioni
tra i gruppi che costituiscono le società umane.

Somiglianze e diversità, costituiscono elementi fondamentali per la costituzione delle alleanza tra i gruppi.

il termine stesso “antropologia” significa studio dell’uomo ma essa non si occupa di individui singoli; essa,
come disciplina e scienza sociale, tratta della specie umana come specie sociale, ogni individuo nasce,
cresce, muore all’interno della società; essa quindi studia le relazioni sociali che intercorrono tra gli
individui e che li tengono insieme, le strutture sociali, i sistemi stabili di relazioni tra individui e i fatti
sociali, cioè il concreto funzionamento materiale e simbolico delle strutture di relazioni e le persistenze e i
mutamenti che strutturano i fatti sociali.

Ciò che include/esclude nella specie umana determinati gruppi sono la somiglianza e la diversità; quindi
inclusione/esclusione da un gruppo è determinata dalla presenza o assenza di requisiti necessari x
appartenere a quel gruppo. Il contatto tra 2 gruppi diversi può essere pacifico o aggressivo e ha prodotto
nell’umanità morte e distruzione ma ha portato anche a molti risultati importanti: scambio di nuove lingue,
conoscenza di usi e costumi diversi..

L'antropologia cerca una risposta alla domanda “siamo uguali o diversi?”.

Come disciplina dotata di un proprio statuto scientifico in Italia è nata nel 1869.

Antropologia dei nativi: antropologia autonoma, locale (nasce dopo la riconquista dell'indipendenza delle
ex colonie).

SOMIGLIANZE E DIVERSITÀ

Gli indicatori della diversità possono variare da società a società, da gruppo a gruppo, variare nel tempo, da
situazione a situazione. Ad esempio: in certe società si è diversi perché si hanno caratteri fisici diversi, in
altre società la diversità principale è connessa alla religione che si professa, la diversità può essere rilevata e
operante anche dentro piccoli gruppi, es. scuola.

CHI E’ DIVERSO E’ SEMPRE DIVERSO PER QUALCUNO. È sempre in rapporto a qualcun altro che ci
auto definiamo diversi. Ovvero La diversità è sempre relazionale e situazionale; le diversità possono essere
concepite come immutabili, come permanenti o transitorie.

Alcune teorie a fondamento scenientifico fanno derivare la diversità dalla trasmissione di caratteri ereditari
da una generazione all’altra tramite la filiazione; la diversità quindi sarebbe trasmessa dal sangue inscritta
nel DNA, da qui la convinzione che anche i tratti del carattere, del modo di essere, le capacità intellettive,
siano così trasmesse in relazione al legame di sangue.

Di qui lo sviluppo di credenze errate e razze superiori e inferiori (da ciò nasce il razzismo, il genocidio
l’etnocidio, la distruzione di una cultura).

Un altro gruppo di teorici attribuisce alla diversità cause ambientali, cioè i caratteri sociali, psicologici e
somatici di una popolazione sono collegati all’ambiente naturale in cui vive.

Un’altra ipotesi sostiene che la diversità è scaturita dall’effetto dell’ambiente sociale sugli individui. La
diversità una volta attribuita ad un gruppo viene caricata di un giudizio di valore, viene associata una

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valutazione che è insieme assoluta e comparativa. È attraverso questo giudizio di valore che le diversità
vengono trasformate in differenze.

Il sistema delle differenze proprio di un gruppo, diventa parte integrante delle visione del mondo e della vita,
ovvero della cultura di ciascun gruppo.

Possiamo dunque concludere dicendo che i sistemi delle diversità/differenze dei vari gruppi possono operare
in tre modi diversi::

relazionali (il diverso è sempre diverso DA qualcuno PER qualcuno)

situazionali (chi è diverso in una determinata situazione, potrebbe essere considerato normale in un altra)

variabili, dinamici (l’identificazione del diverso non è permanente e definitiva)

L'ESPERIENZA DELLE DIVERSITÀ

Non esiste una percezione universalmente condivisa della diversità. Tuttavia il punto su cui vuole far luce
l'antropologia è: le diversità esistono o sono solo delle invenzioni?

Nonostante molte diversità siano culturalmente condizionate e spesso abbiano valenza strumentale o
ideologica, ciò non significa che non esistono: le diversità percepite ed elaborate sul piano culturale
rimandano comunque a qualche dato di fatto.

Il punto di partenza è la constatazione che qualsiasi “fatto” viene pensato dagli esseri umani attraverso la
mediazione della cultura: comunque gli esseri umani entrino in rapporto con il mondo, questo rapporto è
sempre non solo praticato, subìto, agito, ma è sempre anche pensato → Heiddeger: “gli esseri umani sono
consapevoli di esserci nel mondo”.

Punto fondamentale è l'universalità degli strumenti del pensare e del parlare, nonostante tutte le lingue
e tutti i pensieri differiscano, almeno in parte, da tutti gli altri. Queste due capacità comportano lo sviluppo di
altre capacità e competenze: produzione sociale di cultura.

Perché, come e quando le culture si sono differenziate?

• ambienti naturali diversi

• modi diversi di adattamento

• forme diverse della divisione sociale del lavoro e della produzione della vita sociale

ETNOCENTRISMO E RELATIVISMO CUTURALE

Etnocentrismo: termine coniato nel 1907 da uno dei primi antropologi americani, W. Summer, termine
tecnico che indica una concezione x la quale il proprio gruppo viene considerato il centro di ogni cosa e
tutti gli altri sono valutati in base ad esso. Classificare gli altri in rapporto al proprio gruppo significa
applicare agli altri connotazioni, categorie, criteri ricavati dalla propria esperienza e dal proprio modo di vita,
senza chiedersi se siano appropriati per descrivere il modo di vita altrui; ciò vuol dire valutare gli altri
gruppi in base ai valori, modi di fare appartenenti al gruppo a cui si appartiene senza verificare se ogni
membro del gruppo si identifichi realmente in quei valori e ideali.

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Ad es. capita il + delle volte di sentire che i cinesi lavorano in modo disumano rispetto ad altre persone o che
gli africani non progrediscono perché non vogliono lavorare, tutto ciò non è altro che un pregiudizio verso un
gruppo di persone con modi diversi di stare al mondo; e come dice Summer ogni gruppo ritiene che i propri
costumi siano gli unici e se osserva altri gruppi con costumi differenti li guarda con disprezzo.

Nessuna società può vivere se i suoi membri non rispettano i valori condivisi, indispensabile infatti il
processo di inculturazione x far apprendere e interiorizzare le regole della società ai membri che la
costituiscono.

inculturazione: processo complesso che comprende anche quella che normalmente chiamiamo educazione;
ma nel termine includiamo qualcosa di più: quella parte dei costumi, regole e usanze di un gruppo che
vengono apprese e messe in atto dai singoli attraverso le azioni concrete della vita quotidiana;

questo processo di inculturazione oltre a far si che le regole siano interiorizzate, si preoccupa di creare anche
un equilibrio psichico con esse.

etnocentrismo attitudinale: secondo Lantenari esistono vari tipi di etnocentrismi (olfattivi, sensoriali,
temporali) e tutti rientrano nella categoria di etnocentrismi attitudinali, si tratta di modi di fare le cose
(considerati naturali quando invece sono prodotti culturali), la presenza di diversi modi di fare è vissuta
come una minaccia, al fondo di ogni reazione etnocentrica c è la paura del caos, dei conflitti, di non
riconoscersi più nel gruppo.

Etnocentrismo ideologico: l’integrazione e il funzionamento di una società richiedono che ciascuno sappia
imporre una disciplina ai propri comportamenti, affinchè esssi siano compatibili con il funzionamenro
complessoivop sdella società, limitazione della libertà e sacrifici possono essere fatti solo nel momento in cui
i cittadini credono realmente nel valore che devono proteggere, esso può risultare funzionale x la
sopravvivenza del gruppo in quanto assicurano la solidarietà e la coesione del gruppo però possono risultare
disfunzionali x gli altri gruppi, in quanto in certe occasioni possono assumere forme aggressive e di
oppressione razziale.

Relativismo Culturale: una sorta di atteggiamento tollerante, disposto a favorire la convivenza tra culture;
capacità di comprendere una cultura e riconoscere che essa non può essere giudicata secondo i criteri dell’
altra. Probabilmente non è del tutto possibile astenersi da preconcetti e pregiudizi ma è indispensabile
valutare le altre culture con più obiettività possibile.

Ma il relativismo si articola in:

relativismo cognitivo: da gruppo umano a gruppo umano, da cultura a cultura variano non solo i contenuti
dei saperi; ma variano le strutture stesse del pensiero, le categorie secondo le quali i saperi vengono prodotti
e organizzati;

relativismo morale: nessuna azione umana può essere giudicata al di fuori del contesto culturale in cui viene
compiuta, al di fuori dei valori e delle norme che la ispirano e che orientano le decisioni di cui essa è frutto.

In difesa del relativismo si collocano i sostenitori del razzismo differenzialista: riconoscono che i sistemi
conoscitivi e morali sono diversi, e li considerano altresì incompatibili e immodificabili. Ogni cultura può
essere accettata, purché resti circoscritta a coloro che a essa appartengono; purché nessuno pretenda di
“uscire” dalla propria cultura di appartenenza.

FARE ANTROPOLOGIA, OVVERO LO STUDIO DELLE DIVERSITÀ E DELLE SOMIGLIANZE

Alcune caratteristiche del mestiere dell'antropologo sono: la disposizione relativizzante sul piano cognitivo;
l'assunzione critica del proprio etnocentrismo e l'elaborazione dell'etnocentrismo critico, la conoscenza delle

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diversità della specie umana; la conoscenza delle teorie antropologiche; l'apprendimento del metodo
scientifico dell'antropologia e delle tecniche di lavoro sul campo.

Etnocentrismo critico: L’antropologo italiano de Martino, che ha per primo proposto questo metodo di
ricerca, sottolinea a più riprese alcuni punti:

• Il confronto deve mettere in gioco, in discussione, la nostra cultura, non solo quella altrui; Il
compito dell’antropologia è quello di darci gli strumenti per la comprensione di visioni del mondo
“altre”, ciò si può fare solo attraverso la messa in discussione, la messa in dubbio del mondo.
• L’obbiettivo ultimo è, secondo de Martino, “…una riforma del sapere antropologico e delle sue
categorie valutative, una verifica della dimensioni umane oltre la consapevolezza che dell’esser
uomo ha avuto l’occidente”.
De Martino definiva la sua posizione etnocentrismo critico, intendendo, l’impossibilità e inutilità di uscire
dalla propria tradizione culturale, dunque dal proprio etnocentrismo, che però si fa critico in quanto non
dimentica mai la propria origine storica.

Approfondimenti: LE RELAZIONI SOCIALI

Noi occidentali apparteniamo ad una tradizione culturale che ha valorizzato e valorizza fortemente
l'individualità: nel nostro immaginario spesso la società e solo una somma amorfa e instabile di individui,
mentre siamo sempre disponibili a riconoscere il ruolo di singole personalità eccezionali.

Le relazioni sociali, invece, hanno un ruolo importante nel processo di formazione, crescita e integrazione
sociale degli individui: quale che sia il termine che adottiamo per autodefinirci, esso rimanda sempre ad una
relazione (non si è figli senza genitori, né studenti senza docenti, né sorelle senza fratelli, né fidanzate senza
fidanzati, né giovani senza adulti,...).

La presenza, la forza e la funzione delle relazioni prescindono dal nostro godimento di esse; noi invece non
possiamo prescindere da loro, pena l'inesistenza sociale. C'è per gli esseri umani la possibilità di un'esistenza
davvero non-sociale? NO (anche l'eremita è tale perché non sta con gli altri).

Le relazioni costituiscono sistemi: ogni società ha il suo sistema.

Le relazioni sono di molti tipi, ma hanno sempre due facce: una materiale e una culturale.

Le strutture sociali non sono date una volta per tutte, ma sono modificabili: il mutamento è esogeno se è
causato da fattori esterni, mentre è endogeno se è provocato da cause interne.

Un mutamento del sistema delle relazioni sociali di una certa società non è sempre necessariamente un
progresso per i soggetti umani direttamente interessati.

CAPITOLO 3: LA RICONGNIZIONE DELLE DIVERSITÀ: CULTURE E PARENTELE

SISTEMI, STRUTTURE, FORMAZIONI: LE DIVERSITÀ UMANE NEL FLUSSO DELLA


STORIA

Dal punto di vista antropologico distinguiamo nel flusso della storia:

-SISTEMI: insieme di parti che hanno tra loro relazioni varie.

-STRUTTURE: particolari relazioni tra le parti di un sistema che si mantengono costanti e sono tali x cui la
modificazione di un elemento in relazione produce la modifica degli altri e di un'intera struttura.

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-FORMAZIONI STORICO-SOCIALI: sistemi di relazione tra i sistemi che hanno avuto una certa stabilità
e mantenuta così x un certo periodo di tempo, a questa formazione diamo il nome di culture o civiltà e ai
singoli gruppi che sono i produttori popolo o etnia.

La ri-costruzione del passato come storia delle civiltà e delle culture permette di praticare la ricognizione
delle diversità e somiglianze. La ricognizione delle diversità e delle somiglianze si articola in genere in due
assi: quello temporale, diacronico, vale a dire come confronto tra gli antichi e i moderni, tra gli antenati e
gli esseri umani che vivono nel presente; e quello spaziale, sincronico, come confronto tra civiltà e popoli
contemporanei tra loro.

Grazie all’antropologia è possibile effettuare il confronto tra civiltà e culture ,in quanto con la nascita
dell’antropologia scientifica il confronto ,la comparazione e la costruzione dell’inventario delle diversità
sono divenute più rigorose e sistematiche liberandosi da condizionamenti ideologici nella comparazione tra
civiltà e cultura in quanto la comparazione mira a conoscere e capire una civiltà e la sua cultura senza
giudicarla inferiore o superiore

3.2 IL CONCETTO DÌ CULTURA

IL CONCETTO DI CULTURA

Concetti tradizionali di cultura:

• in Italia → il termine cultura ha avuto un senso abbastanza ristretto, riferito al patrimonio di


conoscenze possedute da persone dotate di istruzione superiore;

• in Francia → maturò un'idea di cultura come risultato di una crescita spirituale, di un processo
individuale che rimanda al concetto di civilizzazione;

• in Germania → la Kultur è concepita come un patrimonio comune, un patrimonio spirituale che


identifica ciascun popolo e lo rende diverso dagli altri.

TYLOR E LA PRIMA DEFINIZONE ANTROPOLOGICA DÌ CULTURA

Tylor è considerato uno dei fondatori della moderna antropologia scientifica, importante ladefinizione del
concetto di cultura dell’antropologo inglese Edward Tylor nel 1871:

la cultura o civiltà intesa nel suo senso etnografico più vasto è quell’ insieme complesso che include le
conoscenze, l’arte, la morale ,il diritto ,il costume e altra capacità e abitudine che l’uomo acquisisce
come membro della società.

Per Taylor la cultura è:

Descrittiva: prodotto dell’attività umana in società, dato di fatto che distingue tutte le società umane.

Universale: propria cioè di tutte le società “intesa nel suo senso etnografico più vasto”, che significa che
vanno prese in considerazione tutte le etnie conosciute, ma anche tutte le società evolute, visto che la cultura
è tutto ciò che si “apprende” vivendo in società.

Appresa esclude dalla sua concezione della cultura ogni elemento di innatismo e la trasmissione biologica
dei tratti culturali. La cultura si apprende non solo in senso intellettuale ma anche in senso pratico essenziale,
acquisendo le capacità e le abitudini necessarie per vivere in un determinato contesto sociale.

Sociale: Non è un bagaglio intellettuale e morale trasmesso geneticamente ne la somma di produzioni


intellettuali di singoli individui. Ciascuna cultura è il prodotto di una società e della sua storia evolutiva.

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Per Tylor le culture umane, come le società umane, sono soggette alla legge dell’evoluzione. Questo concetto
è fondamentale in quanto ciò che differenzia le altre culture umane è il diverso stadio evolutivo in cui le
società si trovano. Ciò che invece spiega le somiglianze culturali è l unità psichica del genere umano.

Fino alla metà del XX secolo molti studiosi hanno usato l termine cultura in opposizione a quello di civiltà,
volendo distinguere le società più complesse e sviluppoate (civiltà) da quelle semplici e arretrate (culture).

LA CONCEZIONE MENTALISTICA DELLA CULTURA

La definizione di cultura che ci interessa è stata fondata da Franz Boas (1887-1942) ed è stata sviluppata dai
suoi allievi( in particolare di Kroeber)Per gli studiosi le culture sono forme specifiche, particolari,
storicamente determinate di una modalità di essere, di un sistema o livello o dimensione della vita sociale
che è propria di tutte le società: il sistema o livello, della cultura, prodotta storicamente e socialmente,
appresa per inculturazione, essa viene definita dalla filosofia idealistica tedesca “concezione del mondo e
della vita”, cioè una realtà mentale, un modo di concepire, vedere, giudicare il mondo e se stessi nel mondo,
un insieme di concetti e di valori, collegati a un linguaggio e organizzati secondo uno stile; è realtà mentale
e realtà esterna, sociale.

Nell’accezione della scuola antropologica boesiana, la cultura è una realtà complessa: cultura sono le
conoscenze e i valori che, insieme, costituiscono una realtà mentale socialmente elaborata e condivisa
all’interno dei vari gruppi umani; e al tempo stesso, cultura è ciò che da forma ai comportamenti umani ed è
incorporata in essi: è perciò una realtà sociale.

Come per Tylor, anche per Boas la cultura è: universale, realtà sociale, appresa.

Implicazioni del concetto di cultura così inteso:

• Universalità della cultura → l'importanza della cultura per la specie umana ha il suo fondamento
nella carenza degli istinti, che in un certo senso la cultura rimpiazza (neonato non in grado di
provvedere a se stesso per i primi anni di vita né dopo se nessuno gli insegna come fare).

• L'inculturazione è il processo nel corso la cultura diviene una sorta di interfaccia tra mente e
comportamento → automatismi culturali (= risposte agli stimoli dell'ambiente apprese precocemente
e quasi istintive).

• L'inculturazione è il processo nel corso del quale si strutturano e si stabilizzano somigliane culturali
interne e diversità culturali esterne.

• Lo studio del processo d'inculturazione pone in luce il fatto che la cultura non è appresa in modo
uniforme da tutti i membri del gruppo → sub-culture (culture di gruppo).

• Tutte le società possono essere studiate dal punto di vista culturale.

Rischi teorici:

• l'autonomia della cultura come fatto materiale, se portata alle sue implicazioni più estreme, porta alla
teorizzazione dell'indipendenza totale della cultura da altri sistemi

• l'accentuazione dell'autonomia delle culture induce a reificare le culture stesse e a collocarle sopra i
comportamenti dei soggetti, come se fossero le culture a determinarli

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Problema della definizione di Boas: è una definizione statica, non relazionale né processuale → le culture
devono essere concepite non come realtà date, ma come realtà prodotte.

La cultura di un soggetto sociale è contenuta nelle risposte che darebbe alle domande:

• “Che cosa fai?” → esposizione delle conoscenze, delle idee, dei saperi e delle tecniche che
confluiscono nella sua azione e la modellano.

• “Perché lo fai?” → esposizione dei valori che orientano la sua decisione di agire e della sua azione
verso fini in cui perse in cui perseguimento valorizza l'azione stessa e il soggetto che la compie.

Ciascuna di queste risposte contiene indizi relativi non solo alle conoscenze e ai valori mediante i quali i
soggetti danno senso al loro agire, ma altresì indizi relativi alle condizioni materiali e sociali della
produzione culturale e alle condizioni culturali della produzione sia di beni materiali sia di relazioni sociali.

CULTURE E DIVERSITÀ

Pur essendo dinamiche le culture presentano alcune cose in comune ,strutture interne determinate dalle
funzioni stesse che svolgono: rapporto con una lingua, concezione di spazio e tempo, strutture di idee
riguardanti il senso profondo dell esistenza umana(cause prime e fini ultimi), struttura di conoscenza e
strutture di valori.

Tutti gli esseri umani possono parlare una o più lingue: ma devono impararle, chiunque può imparare
qualsiasi lingua, se si danno circostanze adatte, la lingua è un fenomeno universale, non c’è società umana
che non abbia la sua lingua, diversa l’una dall’altra. Le regole della lingua si apprendono fin dalla prima
infanzia.

Un’altra caratteristica delle lingue è fondamentale: la loro natura simbolica; che attraverso la natura
convenzionale delle lingue (insieme di regole che trasfroma i suoni in fonemi significanti di significati)
consente di usare le parole con se stessero per le cose. La lingua non ci offre sono i sostantivi, ma i verbi che
permettono di pensare e dire le azioni, i processi, i tempi dell’essere e dell’agire; le preposizioni che
permettono si pensare e dire le relazioni; gli avverbi e gli aggettivi. Inoltre qualsiasi lingua possiede precise
regole di grammatica e di sintassi. Le lingue sono tante più adeguate a costruire e comunicare significati, in
quanto sono realtà dinamiche.

Ciascuna società, oltre la lingua parlata, possiede altri linguaggi. Il primo e più importante di questi
linguaggi è la lingua scritta; inoltre esistono i linguaggio dei gesti e delle posture del corpo, quello delle
acconciature e decorazioni del corpo, quello degli abiti e dei gioielli indossati, quello degli emblemi, stemmi
e insegne. Esiste anche un linguaggio degli oggetti, la cui presenza /assenza o collocazione in un determinato
ambiente esprimono solo l’uso a cui l’ambiente è destinato, ma anche in senso e il valore attribuito a
quell’uso di chi utilizza l’ambiente. La lingua è un invenzione umana e universale che rende gli esseri umani
tutti simili e potenzialmente tutti in grado di comunicare; le lingue sono diverse, producono diversità e
rendono difficile la comunicazione.

Tempo e spazio

li consideriamo come dei grandi contenitori che esistono in sé, in natura, e dentro i quali collochiamo le
nostre azioni. In realtà, in natura non esistono lo spazio e il tempo umani: esistono l’alternarsi delle stagioni,
l’alternarsi del buio e della luce, e la discontinuità dei corpi solidi; perché essi sono determinati dalle
condizioni complessive di ciascun gruppo umano, lo spazio non è un dato oggettivo ma una variabile che si
definisce all’interno di un comportamento umano dato; il tempo sociale è regolamentato sulla base di

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distinzioni tra tempi diversi destinati ad attività diverse (ore della giornata, stagioni dell’anno), il diritto di
regolare i temoi dell’intero gruppo sociale è una delle tante forme di esercizio del potere.

I calendari contribuirono probabilmente a stabilire un’altra distinzione tra tempi diversi: il tempo lineare e
ciclico. Ciclico è il tempo degli eventi che tornano, che si ripetono a intervalli più o meno regolari. Lineare è
il tempo che passa e non torna, che non è reversibile.

Nessuna società è organizzata esclusivamente sul tempo ciclico o sul tempo lineare. Nelle società più
antiche, la stessa regolamentazione delle attività umane sul percorso del sole e delle stagioni favoriva il
mantenersi di un’idea ciclica del tempo. Nelle società moderne e contemporanee, la gran parte della vita
sociale, individuale e collettiva è organizzata, programmata e vissuta all’interno della concezione lineare del
tempo. L’invenzione degli orologi meccanici e poi elettronici hanno accompagnato questo sviluppo della
concezione occidentale del tempo. Vi è infine, un tempo eccezionale, “il tempo fuori dal tempo”, ovvero il
tempo mitico, quello in cui accade l’evento unico, fondante, inaugurale, quello a partire del quale “tutto è
incominciato”.

Il senso profondo dell’esistenza umana: le cause prime e i fini ultimi

Tutte le culture hanno affrontato la questione delle cause prime e dei fini ultimidell’esistenza umana. Tutte le
culture presentano un insieme di idee relative a come è fatto il mondo, a come stato fatto o è diventato
com’è, e come andrà a finire. Possiamo ragionevolmente pensare che queste idee, così diverse da cultura a
cultura ma così simili quanto a oggetto, in mondo e gli esseri umani nel mondo, nascono da un dato comune

nell’esperienza umana. Gli esseri umani sono solo gli essere viventi consapevoli di essere destinati a morire.
Secondo alcuni studiosi questa consapevolezza della propria fine individuale e del destino mortale della
nostra specie, sarebbe il tratto distintivo più caratteristico degli esseri umani, quello che sta all’origine di
tutte le produzioni umane, che avrebbero tutte lo scopo di prepararci alla morte e /o di sconfiggere la morte
e/o di farci almeno temporaneamente dimenticarci la morte.

A queste storie si da il nome di COSMOGONIE, modo di nascere dei cosmo; essa pone le basi della
cosmologia: conoscenza del cosmo, La narrazione delle varie culture di come il mondo è e di come gli esseri
umani stanno al mondo. Queste narrazioni costituiscono il patrimonio mitico si presenta in puro fatto ,non ha
cause ma è tutta causa. Il mito non è solo narrazione, spesso è collegato ai riti che sono comportamenti
standardizzati che variano da società a società ma che in ogni società vengono collegati a un tempo e un
luogo specifico destinati alla celebrazione rituale. L insieme dei miti e riti prende il nome di religione di un
determinato popolo ,quindi contiene altri 2 elementi: riconoscimento del soprannaturale (potere che va oltre
i limiti umani) e speranza di salvezza.

Nelle religioni distinguiamo:

-animismo: il potere soprannaturale è presente in forma di anima in tt le realtà esistenti.

-culti degli antenati

-totemismo: Il potere soprannaturale appartiene ai totem, elemento di natura ma anche antenato mitico del
clan.

Il tratto comune di queste religioni primitive è l’assenza di clero, religione costituita da un gruppo di persone
che si occupano della religione in modo esclusivo, religione istituzionalizzata. Inoltre le religioni le
dividiamo in politeismi, religioni che venerano più divinità e monoteismi, religioni che venerano una
divinità.

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La magia

Accanto alle religioni mettiamo anche un altro sistema di attività umane, l’ambito delle pratiche magiche.
Nella nostra cultura occidentale la magia è considerata un insieme di credenze e comportyamenti irrazionali,
assurdi, vere superstizioni da selvaggio.

Una prima provvisoria definizione può essere formulata così: un insieme di pratiche cerimoniali, fortemente
riutilizzate, il cui scopo è quello di catturare o controllare il potere sopranaturale, impersonale e occulto che
si aggira tra cielo e terra, in modo tale da piegarlo ai voleri e farlo operare a vantaggio di chi, appunto, lo ha
catturato e lo controlla. Quest’ultima persona può essere un operatore magico specialista: strega, stregone,
mago, maga, incantatore, guaritore; oppure può essere una persona comune, dotata tuttavia di certi
poteri;oppure può essere addirittura una persona qualsiasi che pratica una piccola magia cerimoniale.

Ci sono diversi tipi di magia: molte pratiche magiche sono preventive e protettive, assicurano protezione a
largo raggio contro mali e disgrazie per persone a rischio; esiste la magia riparatrice, quella che libera chi è
vittima di un maleficio (nella nostra tradizione si parla di malocchio), altra capacità dell’operatore magico è
la capacità diviniatoria, la capacità di conoscere le cose occulte del passato, del presente e del futuro; vi sono
anche grandi rituali collettivi di magia protettiva e propiziatoria, vi è la magia nera praticata per far danno a
qualcuno o ridurlo in proprio potere; i più noti in ambito italiano sono la fattura d’amore e la fattura a morte.

Ma la magia manca di un orizzonte non solo teologico ma anche più semplicemente mitologico e la salvezza
che si cerca attraverso le pratiche magiche ha una portata contingente, la magia è considerata opposta alla
religione, come comportamento consapevole e perverso, che tenta di dominare le forze della natura e il
destino chiedendo aiuto al demonio anziché a Dio.

Nel XIX e XX secolo di fronte a straordinari progressi della scienza, la condanna della magia da parte degli
sceineziati, degli intellettuali divenne ancora più intranisigente.

Pensiero razionale: pensare per concetti, attraverso il linguaggio si artivcola questa forma di pensiero,
significa pensrae secondo i principi dell’univocità (ogni termine usato per pensare parlare vha un unico
significato), dell’identità (ogni termine è uguale a se stesso), della non contraddizione.

Pensiero simbolico: pensare per simboli, ha senso ciò che dal punto di vista razionale ne è privo, produzioni
artistiche, religioni, magia, sentimenti, valori.

Ernesto de Martino e il mondo magico

Tenendo conto delle caratteristiche del pensiero simbolico, de Martino ha elaborato un’interpretazione
convincente delle pratiche magiche.

Gli esseri umani non “sono nel mondo” com’è nel mondo una pietra o un animale; gli esseri umani “ci sono”
in quanto sono consapevoli di essere nel mondo. Questa presenza umana al mondo non è però un dato
stabile, una condizione acquisita una volta per tutte, essa è labile, minacciata da eventi o circostanze che
possono metterla in crisi. De Martino si riferisce ai fattori che scatenano la crisi come a il negativo
dell’esserci al mondo.

La magia è, secondo de Martino, una risorsa culturale che permette di risolvere la crisi della presenza. La
magia consente, innanzitutto, di riconnettere la crisi a una causa, di darle dunque un nome, di situarla.

La magia offrendoci gli strumenti per il controllo simbolico del negativo, garantisce le cvondizioni minime
necessarie per affrontralo razionalmente.

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L’osservazione sistematica dei comportamenti umani insuce a ritenere che razionalità e simbolismo siano
tecnicamente e funzionalmente complementari.

SISTEMI DELLA CORPOREITÀ

Alle diversità esteriori esiste nell’uomo una sorprendente similarità interiore: quella della anatomia,
patologia e fisiologia.

Le caratteristiche fisiche esterne così diverse da gruppo a gruppo risalgono probabilmente a processi di
adattamento all’ambiente, a partire dai quali certe caratteristiche si sono fissate e sono diventate trasmissibili
attraverso la filiazione: non sono però caratteristiche particolarmente stabili.

Non possiamo tuttavia sottovalutare le diversità fisiche o somatiche, poiché esse hanno avuto e hanno una
notevole importanza sociale e culturale. Spesso ci troviamo in presenza di una vera e propria politica delle
diversità congenite che, all’interno di relazioni di potere, le assume come segni di differenze, vale a dire
come segni di inferiorità/ superiorità.

In tutte le culture esistono pratiche d’intervento sul corpo finalizzate a imprimere su di essi delle
caratteristiche permanenti, pratiche che spesso rispondono al desiderio di realizzare un ideale estetico

DIVERSITÀ E SOMIGLIANZE DEI SISTEMI DI RIPRODUZIONE

Riproduzione è quel processo che consente ad un gruppo umano di mantenersi nello stato in cui si trova; per
restare com'è, tuttavia, deve affrontare alcuni cambiamenti essenziali: la morte e la nascita.

Il tempo ritenuto necessario per l'apprendimento della cultura da parte dei nuovi membri del gruppo, è
variabile da gruppo a gruppo e da individuo a individuo. Il comportamento culturalizzato è pensabile solo
come comportamento sociale: neppure la socialità umana è un fatto istintuale.

Due fondamentali problemi per la sopravvivenza della specie sono: allevare gli infanti e regolare la
socialità → parentela (=insieme di legami che uniscono fra loro un certo numero di individui).

La parentela è basata su due principi: principio della comune discendenza (= consanguinei) e principio del
legame matrimoniale (= affinità con i parenti del coniuge).

Mentre non esistono parentele animali, anche per gli esseri umani la parentela esiste solo nella misura in cui
coloro che “sono” parenti si considerano tali e agiscono come tali → la parentela non è naturale e istintuale,
ma è culturale e convenzionale.

(Famiglia nucleare; discendenza bilaterale/lignaggio).

Terminologia di parentela = insieme dei nomi con i quali un essere umano chiama e/o descrive i propri
parenti. Può essere classificatoria (lignaggi) o descrittiva (discendenza bilaterale).

La specie umana si riproduce attraverso l'accoppiamento di un maschio e di una femmina. Tuttavia,


l'accoppiamento tra consanguinei (incesto) è proibito in tutte le società. Perché?

• Spiegazioni di tipo biologico → scartate per l'impossibilità di certe conoscenze in tempi remoti.

• Spiegazioni di tipo psicologiche → scartate per relatività delle parentele.

• Spiegazioni di tipo socio-culturale → accettate: la proibizione di sposarsi dentro il gruppo è


l'interfaccia della prescrizione di sposarsi fuori (una donna per una donna).

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Secondo Levi-Strauss la proibizione dell'incesto segna il passaggio dalla (condizione di) natura alla
(condizione di) cultura.

Se però il modello di Levi-Strauss è valido, esso implica che il passaggio da natura a cultura sia avvenuto per
i due sessi con modalità differenti: i maschi vi avrebbero giocato un ruolo attivo e creativo, le femmine un
ruolo assolutamente passivo.

Se la questione fosse limitata solo alla teoria di Levi-Strauss non ci sarebbero problemi, in quanto la sua
teoria si basa su una ricostruzione logica e non storica. Tuttavia la negatività del ruolo femminile è
riscontrabile fin dalla fase inaugurale dell'Umanità e a questa immagine negativa corrisponde una condizione
di vita delle donne oggettivamente svantaggiata rispetto a quella maschile. Per questo la condizione
femminile diventa tema centrale dell'antropologia: è il caso universale, presente in tutte le culture, di
diversità trasformata in differenza, vale a dire in inferiorità.

La proibizione dell'incesto e l'obbligo di sposarsi fuori dal proprio gruppo hanno trasformato, per la specie
umana, il semplice accoppiamento ispirato da pulsioni istintuali in un atto consapevole, governato da regole
che fonda relazioni e strutture di parentela.

Esogamia (= matrimonio fuori dal gruppo) Vs Endogamia (= matrimonio dentro il gruppo).

Nelle società contemporanee (occidentali) la scelta del coniuge è lasciata all'individuo, cosa che non
avveniva mai nei matrimoni tradizionali, dove il matrimonio serviva per garantire la sopravvivenza della
specie, e quindi il mantenimento di buoni rapporti fra gruppi.

Il matrimonio era sempre sancito pubblicamente e prevedeva transizioni economiche.

Matrimonio monogamo Vs matrimonio poligamico (poliginico = un uomo, più donne / poliandrico = una
donna, più uomini).

Tutte le società ammettono forme di scioglimento del matrimonio, ed esistono dispositivi e prescrizioni per
regolamentare le nascite, vale a dire per conservare l'equilibrio tra popolazione e risorse.

CAPITOLO 4: LA RICOGNIZIONE DELLE DIVERSITÀ: SISTEMI DI SOSTENTAMENTO,


STRUTTURE E ISTITUZIONI SOCIALI, INSEDIAMENTI

I BISOGNI UMANI

Malinowski, più che per la sua impostazione funzionalista a livello teorico, è sicuramente famoso per la sua
attività di ricerca sul campo e per il contributo dato allo sviluppo del

metodo etnografico.

La frase «antropologia malinowskiana» evoca infatti due immagini abbastanza diverse: una è quella di un
“metodo di ricerca sul campo”, dei suoi impliciti assunti teorici e dello stile etnografico, che ricorda le
monografie di Malinowski sugli abitanti delle isole Trobriand; l'altra è una ben più esplicita teoria della
cultura e degli universali culturali, basata sugli assunti presenti negli ultimi lavori di Malinowski.

Teoria scientifica della cultura di Malinowski: ciascuna cultura è una risposta specifica, prodotta da un
gruppo umano in circostanze storiche e ambientali date, ai bisogni umani. Le risposte, che variano da gruppo
a gruppo, vanno a costituire la base su cui è possibile confrontare le diverse culture.

I bisogni umani sono modellati culturalmente, quindi si presentano poco standardizzati e con un certo grado
di variabilità da contesto culturale a contesto culturale. Sono classificabili in:

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• Bisogni primari (o imperativi fondamentali) → sono quelli il cui soddisfacimento garantisce la
sopravvivenza degli individui e della specie e sono anche quelli in cui sono maggiormente avvertibili
alcune tracce remote delle pulsioni istintuali. Nessuno di questi bisogni primari viene soddisfatto
individualmente né su base istintuale: abbiamo bisogno di società (bisogno di ossigeno, di acqua, di
cibo, di movimento e riposo, di protezioni, di salute; il bisogno sessuale è un bisogno della specie
umana più che dei singoli individui).

• Bisogni derivati → sono gli imperativi imposti dall'organizzazione stessa della società e dalla sua
possibilità di funzionare come tale (bisogno di economia, di controllo sociale, di educazione, di
organizzazione politica).

• Bisogni (o imperativi) integrativi → bisogni senza soddisfare i quali non è possibile che siano
soddisfatti né i bisogni derivati né quelli primari (bisogno di comunicazione, di produzione di
conoscenze, di produzione di valori).

La teoria è stata definita funzionalista e richiama l'attenzione su due punti:

• nessuna istituzione (= forme di attività che consentono di soddisfare i bisogni) può essere giudicata
a priori dall'esterno senza aver prima verificato qual'è la sua funzione nel contesto sociale dato →
Malinowski è il primo a focalizzare l'attenzione sul punto di vista del nativo;

• non ha senso separare i bisogni umani di carattere fisiologico, corporeo, da quelli sociali e culturali.

Limite della teoria: non c'è analisi del mutamento.

Benché la tradizione assegni a Malinowski il ruolo di fondatore dell’etnografia moderna, in realtà essa
costituisce l’esito di di un processo assai più complesso che si sviluppa dalla fine del’800 ai primi decenni
del 900: già prima di Malinowski il lavoro sul campo costituiva un settore di ricerca consolidato, egli non fu
il primo antropologo a teorizzare la ricerca sul campo e neppure il primo a produrre un’etnografia attraverso
il soggiorno prolungato, comunicando con gli indigeni nella lingua nativa

Il metodo antropologico secondo Malinowski

Il lavoro etnografico sul terreno percorre tre strade:

1. L’organizzazione della tribù e l’anatomia della sua cultura devono essere registrate in uno schema solido e
chiaro. Il metodo della documentazione statistica concreta è il mezzo con cui deve essere elaborato un tale
schema.

2. All’interno di questa struttura vanno inseriti gli imponderabili della vita reale e il tipo di comportamento.
Questi dati devono essere raccolti attraverso osservazioni minuziose e dettagliate in forma di una qualche
sorta di diario etnografico, reso possibile da uno stretto contatto con gli indigeni.

3. La raccolta di affermazioni etnografiche, narrazioni caratteristiche, espressioni tipiche, elementi di


folklore e formule magiche deve essere fornita come un corpus inscriptionum, come documenti della
mentalità indigena.

• Nella prospettiva di Malinowski l’osservazione partecipante più che come un metodo vero e proprio, può
essere vista come la semplice descrizione di una strategia tesa a facilitare la raccolta dei dati

• In realtà l’esperienza personale dell’etnografo, basata sulla partecipazione e l’empatia, così importanti nel
processo di ricerca, viene totalmente espulsa nella descrizione etnografica

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• Questo occultamento della soggettività si basa su una concezione “realistica” dell’osservazione derivata
dalle scienze naturali e su una fiducia incondizionata nell’adeguatezza del linguaggio a rappresentare

il mondo

• Questa espulsione della soggettività dell’antropologo costituisce uno dei fondamenti su cui si è costruito il
mito relativo alla possibilità di una perfetta immedesimazione empatica con l’oggetto di studio

• mito che la pubblicazione dei diari nel 1967 ha definitivamente spazzato via aprendo un dibattito
estremamente fruttuoso all’interno della comunità scientifica degli antropologi.

I SISTEMI DI SOSTENTAMENTO

Quale che sia la natura dei loro bisogni, per procurarsi ciò che occorre per soddisfarli gli esseri umani
devono espletare una certa attività. Anche questo è un tratto che abbiamo in comune con gli animali; tuttavia,
a differenza degli animali, per la specie umana, com'è culturalizzata la definizione dei bisogni, altrettanto
sono culturalizzate le attività di procacciamento di ciò che permette di soddisfarli. Attraverso la mediazione
della cultura anche le attività di procacciamento dei beni necessari diventano attività consapevoli. Questa
condizione di consapevolezza permette loro di ricordare ciò che si è fatto, di prevedere ciò che si dovrà fare,
di valutare l'efficacia delle modalità d'azione che si sono adottate in passato e che ci si prepara ad adottare in
futuro → i sistemi umani di sostentamento presentano progressi tecnici.

I progressi sono diventati notevoli grazie all'uso intenzionale e sistematico di energie altre rispetto a quelle
fornite dai corpi umani.

La prima energia utilizzata è stata quella prodotta degli esseri umani stessi per mezzo del proprio corpo. Il
progresso tecnico si è sviluppato da qui seguendo due piste: la scoperta di fonti di energia altre e l'invenzione
di strumenti. Energie integrative: sole, combustione, energia animale, energia elettrica, energia prodotta dal
petrolio, energia atomica, fonti di energia alternative.

Un fattore di enorme progresso in questo senso è stato dato dalla rivoluzione industriale.

La scoperta di materie prime, invece, ha dato il via allo sviluppo di strumenti (= mezzo di potenziamento
del gesto umano grazie alla moltiplicazione dell'energia incorporata nel gesto e al perfezionamento delle
prestazioni) e di macchine (=forma più complessa di strumenti, capaci non solo si potenziare l'energia
umana, ma di trasformarla e di utilizzare anche altre forme di energia).

Tuttavia, tutte queste componenti, considerate singolarmente, sono inerti e non si attivano in modo da
costruire un sistema funzionale al soddisfacimento dei bisogni umani, se non attraverso l'intervento
dell'attività umana. L'attività umana espletata all'interno di sistemi di sostentamento prende il nome di
lavoro.

L'antropologia si occupa di rispondere alla domanda: “ che cos'è il lavoro per coloro che lavorano?”, “che
significato e che valore ha il lavoro per chi lo svolge?” (Due possibili versioni del significato del lavoro nella
cultura occidentale: significato religioso e classico; lavoro manuale Vs lavoro intellettuale).

Il più arcaico dei sistemi di sussistenza conosciuto e quello basato sull'economia di prelievo, cioè sulla
caccia e sulla pesca di animali commestibili e sulla raccolta di vegetali e insetti. Queste due attività ne
sollecitarono altre (fabbricazione di strumenti, di abiti e di ripari).

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È da notare come questa economia preveda l'utilizzo di solo ciò che si trova in natura, senza intervenire con
opere di trasformazione dell'ambiente. Inoltre era un'attività integrata nel sistema sociale, cioè le attività
economiche non erano distinte dalle attività sociali.

L'economia di prelievo ha due caratteristiche:

• non ha le stesse caratteristiche e finalità che noi siamo soliti assegnarle: non era razionale rispetto
allo scopo, non era incrementale né produttivistica, mirava al benessere sociale piuttosto che
all'aumento della produzione;

• non soffriva di scarsità.

Potevano, però, capitare periodi in cui i beni scarseggiavano; in questi casi la tentazione di approvvigionarsi
con la forza a discapito di altri gruppi era forte; tuttavia ciò avrebbe potuto scatenare una guerra, pericolo
che doveva e poteva essere scongiurato ricorrendo alla circolazione dei beni. Questa, per funzionare
correttamente, necessitava della regola della reciprocità: il soggetto A dà qualcosa ad un altro soggetto B;
B accetta quanto datogli da A; accettando quanto A gli ha dato, B si è assunto l'obbligo di restituire. → Dare,
ricevere e restituire sono le tre azioni che costituiscono l'applicazione della regola della reciprocità → la
regola fonda cultura e società (evita la guerra!).

Tre articolazioni della regola della reciprocità:

• Reciprocità generalizzata → vige in contesti domestici e non è mai contrattata perché è vissuta
come un modo di essere ovvio; si articola in modo tale che tutti sono contemporaneamente datori e
recettori.

• Reciprocità bilanciata (o equilibrata) → vige tra gruppi tra i quali l'accordo non è ovvio, ma deve
essere contrattato; in questo caso è prestabilito chi deve dare che cosa, quando e a chi e come
quest'ultimo deve restituirla (formalità e ritualità).

• Reciprocità inversa (o negativa) → vige tra gruppi che non riescono a raggiungere una possibilità
di cooperazione e tra i quali si può instaurare ogni sorta di rapporto negativo; in questi casi si può
arrivare a rapporti violenti, ma è comunque una violenza regolata, controllata e controllabile.

Quindi, parità e omogeneità delle condizioni di lavoro sono caratteristiche delle società di economia e di
prelievo.

Un altro sistema di sussistenza, successivo a quello di prelievo, è quello basato sul modello conferimento/
redistribuzione. In questo caso si elabora una nuova modalità do organizzazione del lavoro e di
distribuzione del cibo: in certe stagioni dell'anno, infatti, si imponeva la necessità di lavorare a squadre e
dunque si creava il bisogno di affidare a qualcuno il compito di organizzare e coordinare il lavoro di squadra.
Colui o coloro che regolano la redistribuzione devono avere la capacità di distribuire in modo tale da
soddisfare tutti i richiedenti.

Si sviluppano così due modalità di relazione: una dimensione politica (fatta di comando, obbedienza e
consenso, che tendono a stabilizzarsi come strutture permanenti) e un incentivo ad incrementare la
produzione di beni (oltre la soglia del sobrio soddisfacimento di bisogni semplici).

Troviamo qui gli elementi embrionali di caratteristiche che si svilupperanno successivamente in modo
massiccio: la separazione dell'attività economica dal resto della vita sociale, la sua caratterizzazione in senso
strumentale e incrementale, la separazione tendenziale tra labor e poiesis e l'emergere del lavoro servile.

Mercato e moneta nascono dall'ingrandirsi delle dimensioni e della complessità dell'economia dei grandi
imperi dell'antichità.

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Con la caduta dell'impero romano e le invasioni barbariche l'Europa si riorganizza nella forma dell'economia
curtense, propria delle società feudali. Gli schiavi vengono sostituiti dai servi della gleba, che erano sotto il
controllo dei feudatari. Con questo tipo d'economia la separazione delle attività faticose e di quelle creative
era netta. I servi della gleba fuggono dalle campagne verso le città, dove posso vendere la loro forza-lavoro
in cambio di salari.

In questo periodo gli artigiani hanno un mestiere che permette loro di tenere insieme fatica e creatività.

Con lo sviluppo del capitalismo moderno e della produzione industriale, il capitale si è concentrato nelle
mani di una determinata classe sociale, mentre le conoscenze e le competenze tecniche nelle mani di
specialisti; i piccoli produttori sono stati espulsi dal ciclo produttivo e si sono proletarizzati: sono stati, cioè,
messi nelle condizioni di potere/dovere vendere sul mercato la propria forza-lavoro in cambio di un salario
→ il lavoro non è più soddisfacimento dei bisogni, ma solo mezzo per soddisfare altri bisogni (lavoro
alienato, Marx).

La tendenza a trasformare in merce il lavoro investe progressivamente tutta la vita.

Le classi sfavorite reclamano giustizia e uguaglianza, chiedendo una più equa ridistribuzione del reddito e la
possibilità di accedere ad alcuni servizi fuori dal mercato. Le classi favorite rispondono in nome della libertà,
sostenendo il libero mercato.

Le strutture sociali e le forme di potere

Per un lungo arco di tempo le società umane si sono organizzate come società di parentele: erano le
strutture e i legami di parentela ad offrire il modello e il supporto entro il quale si distribuivano e si
organizzavano le attività della vita sociale, ed erano sempre i legami di parentela a definire i contenuti morali
di quelle stesse attività.

Tuttavia poteva accadere che si creassero dei vuoti nella struttura della parentela: il carattere
convenzionale e funzionale dei sistemi di parentela ha consentito di integrare le strutture dei sistemi di
parentela con dispositivi culturali che permettono di creare il parente simbolico quando il parente reale non
esiste o non ha i requisiti richiesti; gli obblighi, i doveri, i diritti e la considerazione sociale di cui erano
investiti questi parenti simbolici sono in tutto e per tutto quelli di cui godevano i parenti reali Parenti
spirituali per il Cattolicesimo).

La parentela simbolica serve sì a rimpiazzare, ma serve anche per far entrare gli individui in altre reti di
relazioni → problema: crescita delle società di lignaggio. Risoluzione: scissione. → società segmentarie.

Clan: unione fondata sulla comune discendenza da un antenato mitico (totem); l'organizzazione di tipo
clanico non era localizzata, ovvero appartenenza al clan e residenza non coincidevano.

Il capo che raccoglie e distribuisce i beni prodotti dal gruppo tende a trasformarsi in una figura che esercita
stabilmente una funzione non solo economica, ma anche politica e di controllo sociale → tende a dotarsi di
forza propria. Attraverso questi processi il capo diventa un re (regno).

La definizione dei gruppi soggetti al dominio del nuovo capo o re porta in sé l'individuazione di un
territorio e, eventualmente, la definizione dei confini del territorio stesso. Questo collegamento
popolazione-territorio-capo è il nucleo costitutivo della politica, cioè dello Stato.

Struttura feudale/struttura burocratica/sistema a caste.

Concezione patrimoniale dello Stato

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Stato come res publica criterio del censo e accesso alle cariche del governo mediante elezione tra pari
aventi diritto al voto (imperatore romano come primo tra pari rispetto agli altri senatori).

La struttura di parentela è ancora funzionante in due casi:

• funzione vicaria (di supplenza), nelle circostanze in cui le istituzioni non svolgono la funzione loro
assegnata per legge o non la svolgono in modo adeguato;

• funzione di mediazione tra bisogno e risorse, dove il bisogno viene preso in considerazione
all'interno della privata relazione di parentela, ma viene soddisfatto con risorse che appartengono alla
sfera pubblica.

Anche queste relazioni esigono reciprocità e danno luogo ad alleanze.

Nessuna cultura è totalmente coerente, poiché esistono comunque scarti tra conoscenze e valori, tra diversi
nuclei di valori e tra i valori asseriti e le pratiche.

Perché i molti obbediscono ai pochi?

• Poiché riconoscono la validità, la razionalità, la convenienza personale e collettiva dei


comportamenti imposti da chi comanda;

• perché sono costretti;

• perché chi comanda produce il consenso di coloro che obbediscono.

Rapporto di egemonia: rapporto complesso nel corso del quale i subalterni acconsentono, vale a dire
accettano e fanno propria la visione di sé e del mondo di chi li domina; è una costruzione simbolica, è una
costruzione di immagini di valore.

Gli insediamenti umani

Bivacchi e accampamenti / villaggi / città (urbanità) / metropoli, megalopoli e globalizzazione.

CAPITOLO 5: LE SPECIALIZZAZIONI DELL'ANTROPOLOGIA

L'ANTROPOLOGIA DI GENERE E I WOMEN'S STUDIES

Con il termine genere ci si riferisce alle differenze socialmente e culturalmente costruite fra i sessi e ai
rapporti che conseguentemente si instaurano tra essi.

Sesso e genere non sono sinonimi:

• sesso → dato biologico

• genere → dato socio-culturale

È la cultura, non la biologia, a determinare il valore dei sessi, le differenze di status e il controllo sul
corpo.

In tutte le società è presente una forma di divisione sessuale del lavoro.

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Teorie antropologiche sul genere:

• prima metà del Novecento, Margaret Mead: prima antropologa a porre al centro della sua ricerca
la differenza tra i sessi, ponendo in evidenza che le cosiddette caratteristiche maschili e femminili
riflettono i condizionamenti culturali delle società di appartenenza e quindi prescindono dalle
differenze biologiche;

• anni Settanta, women's studies sottolineano come in ogni ambito del sapere non sono state
considerate né la presenza né l'apporto delle donne re propone di ovviare con studi specifici;

• 1975, Gayle Rubin: sex/gender system, analisi dell'insieme dei processi attraverso i quali le società
trasformano i dati biologici in prodotti dell'attività umana; sono basati sull'asimmetria e sulla
gerarchia tra i sessi, che si tramutano in oppressione delle donne;

• anni Settanta/Ottanta, antropologhe femministe: il genere è in buina parte prodotto di processi


culturali;

• 2004, Butler: la teoria del genere rafforza le dicotomie tra maschile e femminile.

Tematiche trattate:

configurazioni del corpo, tecniche di manipolazione del corpo, parentela, matrimonio, famiglia, impatto della
medicalizzazione, tecnologie,...

ANTROPOLOGIA DEL POTERE

Dal punto di vista antropologico, il potere deve essere considerato come un particolare tipo di relazione
sociale, presente in tutte le culture, ma che assume caratteristiche diverse da una società all'altra. Si tratta di
una relazione sociale asimmetrica.

Il potere va studiato in relazione con il consenso, sia esso esplicito o mascherato nelle diverse manifestazioni
di violenza simbolica (= violenza esercitata con il consenso di chi la subisce). Altrettanto importante risulta
studiare il potere in rapporto con le diverse possibilità di resistenza, anch'essa più o meno consapevole o
esplicita, al potere stesso.

Una società senza relazioni di potere non esiste: anche nelle società primitive, prive del concetto di politica,
le relazioni di potere si manifestavano nei rapporti sociali esistenti fra i sessi o i membri di diverse
generazioni. Bisogna distinguere fra lo studio dei rapporti sociali intesi come rapporti che implicano
l'esercizio di una certa dose di potere, e lo studio nelle relazioni sociali che fa riferimento al governo della
società (potere politico).

La politica, lungi dall'essere autonoma, è condizionata da altri tipi di relazioni e interessi; l'insieme dei
fenomeni che derivano dall'uso della politica per fini privati viene definito clientelismo politico.

ANTROPOLOGIA MEDICA

L'antropologia medica studia il corpo, la salute e la malattia in rapporto ai contesti sociali, culturali e politici.

È nata con l'obbiettivo di comparare le diverse concezioni di salute e malattia e le molteplici forme di
medicina; si è andata specializzando come studio dei modi costruzione sociale del corpo; oggi si qualifica
come una scienza plurale nelle sue prospettive; è fondata sulla pratica.

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La salute è intesa non soltanto come assenza di malattia, ma anche come la possibilità di accedere alle
risorse che garantiscono la qualità della vita, e pertanto è riconcettualizzata nel suo rapporto con la
giustizia sociale, qualificandosi come antropologia politica della salute.

L'ANTROPOLOGIA URBANA

L'antropologia urbana ha come oggetto di analisi le città nelle forme culturali che la
contraddistinguono, tenendo conto delle loro diversità da un contesto storico all'altro e delle differenze che
le caratterizzano al loro interno. Le città, quindi, sono un tipo particolare di organizzazione umana e sociale
dello spazio e di organizzazione della vita sociale nello spazio.

Le città e la loro organizzazione spaziale sono in grado di influenzare e condizionare la vita di chi vi abita
→ rapporto tra spazio e cultura, di tipo deterministico, tale che lo spazio e la sua organizzazione sarebbero in
grado di rafforzare specifiche forme comportamentali e stili di vita al suo interno.

Tre caratteristiche della città: elevato numero di abitanti, densità, eterogeneità.

Urbanesimo = progressivo trasferimento della popolazione dalle campagne alle città.

ANTROPOLOGIA DELLE IMMIGRAZIONI

Studia le dinamiche, gli scambi e le relazioni che si attivano fra diversi gruppi nazionali, sociali ed etnici che
entrano in contatto in situazione migratoria.

Il termine migrazione, nel suo duplice significato di emigrazione (punto di vista del luogo di partenza) e di
immigrazione (punto di vista del luogo di arrivo), indica lo spostamento di un popolo, di un gruppo, di un
individuo, da un luogo all'altro.

Le immigrazioni sono distinte a seconda delle cause, dell'attraversamento o meno delle frontiere nazionali,
dello statuto giuridico del migrante, delle modalità d'inserimento nel mercato di lavoro.

La definizione e il valore che ciascuna cultura assegna alla mobilità è strettamente connesso a quelli che
assegna alla sedentarietà.

Fino a tempi recenti, la migrazione è stata pensata come uno stato transitorio, una condizione destinata a
essere riassorbita attraverso il ritorno del migrante al luogo di partenza o la sua completa integrazione nel
luogo di arrivo. Tuttavia, l'attuale configurazione dei movimenti di popolazione ha reso evidente che il
migrante non può essere visto come une essere cui si aprono solo le due possibilità dell'assimilazione o de
ritorno. Le migrazioni continuano a produrre scontri, meticciati e sincretismi i cui effetti sono visibili nelle
elaborazioni delle identità e delle alterità, sfidando la pretesa omogeneità culturale ed etnica degli stati
nazionali.

ANTROPOLOGIA APPLICATA E ANTROPOLOGIA DELLO SVILUPPO

L'antropologia dello sviluppo propone un'analisi antropologica dei processi e delle relazioni di potere che
coinvolgono una molteplicità di attori situati diversamente all'interno del campo dello sviluppo, che essi
stessi plasmano nella sua quotidianità.

ANTROPOLOGIA VISUALE

L'antropologia visuale consiste nell'affiancare le tradizionali tecniche di rilevazione con strumenti di


documentazione audiovisiva: fotografie, cinematografie, registrazioni audio.

Presunta obbiettività dell'immagine → anche l'angolazione di ripresa costituisce un fattore di soggettività.

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ANTROPOLOGIA CULTURALE, BENI CULTURALI E PROCESSI DI
PATRIMONIALIZZAZIONE

Consiste in riflessioni significative sui processi di patrimonializzazione, suddivise in 3 differenti attitudini:

• Prospettiva interna → gli antropologi che adottano un simile punto di vista ritengono loro compito
dedicarsi allo studio, alla contestualizzazione /comprensione, alla protezione/conservazione e, infine,
all'esibizione/fruizione di “oggetti”, materiali e immateriali, facenti parte di quello che viene definito
patrimonio demologico, etnologico, antropologico.

• Prospettiva critica → ha come obbiettivo conoscitivo l'analisi etnografica dei processi di


patrimonializzazione: tutto ciò che dal punto di vista interno veniva dato per garantito diviene invece
oggetto d'indagine.

• Prospettiva partecipativa → sembra essere una postura intellettuale capace di muoversi tra abitudini
interne e propensioni critiche.; che adotta questa prospettiva è di solito consapevole del carattere
politico della propria partecipazione.

CAPITOLO 6: LA RICERCA ANTROPOLOGICA

Nell'immaginario dei non-specialisti la ricerca antropologica si identifica con la ricerca su campo.

In realtà, la produzione di conoscenza antropologica è innanzi tutto legata alle disposizioni mentali e
morali di chi, volendo fare ricerca antropologica, cerca l'incontro con l'altro da sé. In questa prospettiva
il soggiorno sul campo, anche se estremamente importante, non è indispensabile: è possibile studiare gli altri
da sé indirettamente (prodotti materiali, intellettuali, artistici,...)

LE CONDIZIONI DELLA PRODUZIONE DEL SAPERE ANTROPOLOGICO: DISPOSIZIONI


MENTALI E PREMESSE EPISTEMOLOGICHE

Il lavoro di ricerca antropologica richiede due requisiti preliminare, la curiosità intellettuale e la capacità di
sospendere il proprio giudizio.

A essi si devono aggiungere alcune premesse epistemologiche (= condizioni che si ritiene siano da verificare
affinché sia possibile produrre sapere antropologico) e un metodo.

Tre modalità del metodo della ricerca antropologica:

• Approccio olistico: l'etnologo studia tutti gli aspetti della vita del villaggio o del gruppo sul quale
indaga.

• Punto di vista dei nativi: interrogare e ascoltare i nativa per cercare di comprendere il significato
del loro agire.

• Osservazione sistematica dei comportamenti dei nativi: può dare un quadro preciso e dettagliato
delle loro attività, ma non dà molte informazioni dirette sul significato e sul valore che il loro agire
ha per loro stessi; è importante per tre motivi:

• il processo d'inculturazione produce effetti così profondamente interiorizzati che i soggetti


inculturati perdono la consapevolezza del fatto che si tratta di conoscenze, valori, modi di essere

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e di agire socialmente appresi (non sono coscienti del proprio modo di agire o, al massimo, lo
considerano “naturale”);

• l'agire individuale, non meno di quello collettivo, sono orientati da valori, e dunque, quando
sono presenti alla coscienza dei soggetti agenti, sono connotati secondo valori;

• vi sono significati, valori, azioni, di cui è proibito parlare; anche questi silenzi possono essere
compensati solo con l'osservazione dei loro comportamenti.

Il soggiorno sul campo:

• deve realizzare, attraverso l'osservazione, l'interrogazione e l'ascolto dei soggetti sociali, la


ricognizione del complicato processo di influenza reciproca tra la cultura incorporata nelle istituzioni
e nei comportamenti istituzionalizzati e la cultura che si produce e si riproduce nelle pratiche e nelle
interazioni informali;

• deve consentire di collocare il sistema culturale di un gruppo all'interno delle interdipendenze con gli
altri sistemi (sociale, economico, politico, insediativo,...) del gruppo stesso;

• deve cogliere le influenze locali dei sistemi di grande scala.

Per realizzare questi obbiettivi, il lavoro sul campo deve essere continuativo e deve potersi valere di una
buona conoscenza della lingua locale.

L'antropologo deve essere colui che esibisce una curiosità irritante e sospetta, ma non prima di aver dato
tempo al tempo di assimilazione della sua presenza: lo smaltimento dell'effetto dell'impatto iniziale e
l'assestamento delle dinamiche innescate dall'arrivo dell'antropologo richiedono tempo, il quale è comunque
speso bene, in quanto riduce e stabilizza l'incidenza della presenza dell'estraneo sulla situazione locale.
Tuttavia, spesso l'antropologo non può fare altro che aspettare che si diano le condizioni di poter
concretamente lavorare su certi aspetti della vita locale.

Serendipidità = scoperta fatta casualmente, mentre si andava in cerca di tutt'altra cosa, e tale per cui ciò che
si trova risulta più importante o interessante o di valore di ciò che si cercava.

La Powdermaker insiste sulla definizione dell'antropologo/a come straniero/a e amico/a → definizione


contraddittoria: se si è amici non si è più stranieri e, viceversa, se si è stranieri non si è amici.

I giovani ricercatori e gli studenti pensano di potersi “mettere nei panni dei nativi”: pensare ciò significa
azzerare il valore delle loro storie individuali e collettive; significa supporre che un po' di curiosità e buona
volontà possano produrre gli stessi risultati e le stesse caratteristiche che secoli di storia hanno prodotto nel
gruppo che l'antropologo studia; significa considerare così semplice e banale la loro storia e la loro vita
sociale da potersene appropriare con facilità e disinvoltura. Oltre che semplicista irrispettosa, questa pratica
è anche irrealizzabile.

Il lavoro sul campo richiede l'utilizzo di tecniche di controllo della propria vita emotiva (diario privato,
osservazione partecipante,...): l'antropologo può fare solo presenza, senza essere coinvolto, oppure può
assumere dei ruoli temporanei all'interno della società che studia.

Il lavoro sul campo pone all'antropologo una precisa sfida intellettuale: il paradosso dell'incontro
etnografico: quando l'antropologo si accinge a studiare una cultura aliena, gli si raccomanda di osservarla

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senza preconcetti, sospendendo il proprio giudizio di fatto e di valore; ma nel momento stesso in cui
compie anche la più piccola e breve osservazione, l'antropologo deve in qualche modo dare un nome a ciò
che osserva, classificarlo, includerlo in una categoria. Se non lo facesse, perderebbe il contenuto stesso
dell'osservazione che non arriverebbe mai alla soglia della sua stessa consapevolezza. Ma appena si comincia
a dare un nome a ciò che si vede, ad assegnarlo ad una classe, a includerlo in una categoria, inevitabilmente
si usano dei nomi, si utilizzano delle classi, si applicano categorie che sono le nostre, quelle della nostra
cultura, non della cultura aliena che stiamo studiando (De Martino).

Come risolvere questo paradosso? → De Martino: assunzione dell'etnocentrismo critico.

FARE RICERCA ANTROPOLOGICO-CULTURALE

Il modello ideale della ricerca antropologica è strutturato come un percorso lineare e unidirezionale. In realtà
non di rado è modificato da due ordini di fattori:

• feed-back e imprevisti → è necessaria duttilità e prontezza di spirito nell'adattamento alle


circostanze concrete;

• mentre la forma canonica dell'antropologia prevedeva lo studio di gruppi composto da un numero


ridotto di membri e organizzati in sistemi sociali centrati su territori dai confini definiti, al giorno
d'oggi la ricerca antropologica verte su gruppi numerosi, differenziati al proprio interno e talvolta
dispersi.

Tappe della ricerca antropologica “classica”: Individuazione del tema e del luogo della ricerca

L'area è strettamente collegata al tema: bisogna verificare la presenza e la consistenza del fenomeno che si
vuole studiare nell'area che si è scelta, bisogna evitare di assumere l'intervento come motivazione della scelta
del tema della ricerca, la scelta del tema è condizionata dai costi e dalla disponibilità di risorse economiche.

Individuazione e approfondimento del problema teorico

A esso si collega il fenomeno che il ricercatore intende affrontare nella sua ricerca, la scelta del problema
teorico non deve essere casuale, ma deve essere motivata in base a quanto risulta dalla ricerca di sfondo,
assumere un problema teorico non significa che ci si rinchiude nel suo esclusivo studio.

Ricerca di sfondo

Consente di mettere a fuoco il tema e di localizzarlo, quindi contribuisce a definire meglio la ricerca, orienta
gli approfondimenti teorici e la costruzione dei metodi concettuali con i quali andare sul campo.

Revisione dell'impostazione della ricerca

Lavoro sul campo

Le regole: Il ricercatore deve presentare per quello che è e deve spiegare ciò che intende nella maniera più
chiara e diretta possibile; non deve mai dimenticare di essere un intruso, venuto di propria iniziativa e non
invitato, perciò non dovrà mai fare nulla senza assicurarsi il gradimento degli interessati; evitare di esprimere
le proprie opinioni e le proprie posizioni in maniera netta e decisa; nel caso fosse richiesta la presa di una
posizione, deve essere prudente, chiaro e comprensibile, evitando la reticenza e la iattanza;

deve evitare rapporti preferenziali, a meno che non vi siano precise ragioni istituzionali e funzionali per
intrattenerli.

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Gli strumenti: Osservazione casuale e continuativa, osservazione programmata e ripetuta, uso di taccuino
con relativa penna o matita, il cui contenuto va poi riversato nelle note di campo quando è sera; le note di
campo vanno a formare il diario della ricerca.

Gli interlocutori: Nel caso di gruppi composti da un basso numero di individui molto probabilmente alla
fine del suo soggiorno il ricercatore avrà parlato con tutti.

Nel caso di gruppi con un elevato numero di individui si possono usare strategie diverse: opportunità offerte
dalla consuetudine giornaliera; scegliere soggetti-campione; metodi di “passa-parola” o “valanga”; cogliere
le occasioni di raduno; interviste.

Non esistono risposte precostituite al quanti interrogare o al quanto deve durare la ricerca.

I nuovi campi della ricerca antropologica: città, metropoli, realtà virtuali

Circa la metà della specie umana vive in contesti rurali, mentre l'altra metà vive in contesti urbani che hanno
ormai le caratteristiche della metropoli.

Esistono le dimensioni virtuali dell'esserci nel mondo (telefonata, videoconferenza..)

Nasce una nuova antropologia urbana e metropolitana.

L'esistenza dei luoghi virtuali e l'esperienza che ne facciamo sta riplasmando il rapporto tra soggetti sociali
individuali e collettivi e luoghi materiali.

I soggetti sociali contemporanei sono caratterizzata da un alto tasso di mobilità → l'altrove non è più soltanto
la meta di un viaggio, non implica più necessariamente o il trasferimento definitivo o il ritorno, ma diviene
una seconda patria.

Il ritorno a casa: elaborazione dei dati e scrittura del rapporto di ricerca

I dati non parlano da soli, ma vanno interrogati; vi sono delle difficoltà: un rapporto di ricerca non si scrive
solo, ma viene pubblicato e letto; il punto di vista è soggettivo; bisogna interrogare i dati;

Come superare le difficoltà?Si può scegliere di non pubblicare il rapporto, si può scrivere un rapporto
puntuale, minuto per minuto, l'antropologo si prende la responsabilità di costruire una sintesi interpretativa
facendo ricorso all'autoriflessività e all'etnocentrismo critico.

I materiali raccolti: devono essere resi agibili, vanno ordinati e possibilmente indicizzati; bisogna rivalutare
il tutto sotto il punto di vista del problema teorico da cui la ricerca è nata.

Bisogna tenere presente che i materiali raccolti possono: confermare l'ipotesi iniziale; smentire l'ipotesi
iniziale; rispondere alle domande; dare luogo a nuove domande.

CAPITOLO 8: BREVE STORIA DELL'ANTROPOLOGIA: IL NOVECENTO

Boas

Nelle sue prime spedizioni si configura come un geografo; successivamente i sui interessi si spostano
dall'ambito fisico a quello delle popolazioni.

Boas polemizza duramente con gli indirizzi evoluzionisti e diffusionisti domini, accusandoli di produrre
ricostruzioni congetturali e non veramente storiche: la presenza del medesimo oggetto o della medesima

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istituzione presso due gruppi umani geograficamente molto lontani e verosimilmente non in contatto tra loro,
non poteva essere considerata di per sé prova del fatto che essi erano giunti allo stesso stadio di evoluzione
→ realtà integrata = ciascuna cultura è una realtà specifica, prodotta da una specifica vicenda storica, in
rapporto ad uno specifico ambiente geografico.

Secondo Boas la parte più caratteristica, stabile e peculiare di ciascuna cultura è l'insieme delle idee (=
sviluppo delle idee) → bisogna raccogliere anche le idee per come esse vengono espresse dai nativi.

Boas ha una concezione mentalistica, particolaristica e storica delle culture → particolarismo storico.

Secondo Boas, inoltre, le culture non sono innate, ma sono apprese: non esiste alcuna forma di ereditarietà
culturale biologicamente fondata → relativismo culturale.

La ricerca antropologica deve prendere in considerazione un “piccolo territorio geografico ben


definito” e deve svolgersi come “studio accurato e lento dei fenomeni locali”.

Se in un primo momento la ricerca sul campo era considerata secondaria, verso la fine del diciannovesimo
secolo comincia ad affermarsi l'importanza dell'etnografia.

Il campo è luogo dell'incontro con l'altro e momento di confronto impegnativo non solo con individui diversi
da noi ma anche con la restituzione scritta dell'esperienza stessa.

Malinowski

Egli insiste sul fatto che la ricerca etnografica deve essere un lavoro intensivo: apprendimento della lingua,
lunga permanenza con i nativi, osservazione partecipante sono i fondamentali della ricerca etnografica.

È l'iniziatore del funzionalismo: ritiene che ogni società e ogni cultura vanno intese come un tutto le cui
parti sono tra loro profondamente interrelata → le società e le culture si configurano come realtà a se stanti.
Ciò avviene sulla base delle diverse funzioni che ciascuna di esse svolge e dunque sulla loro
complementarietà funzionale.

Egli inaugura uno stile di scrittura etnografica, tramite una monografia che comprende tutti gli aspetti della
cultura in esame, in sintonia con l'approccio olistico, e il cui scopo non è solo la restituzione dell'esperienza,
ma anche l'analisi intensiva della vita dei nativi.

C. Lèvi-Strauss

Egli privilegia lo sguardo da lontano rispetto alla ricerca sul campo perché a suo avviso compito
dell'antropologo era studiare non i fenomeni coscienti, ma la loro infrastruttura inconscia.

Egli studiava lo spirito umano attraverso fenomeni quali la parentela, il totemismo e la mitologia.

SLIDE

Nuove identità

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(Oggi, emergono) nuovi processi di costruzione identitaria non riconducibili semplicemente alla pluralità di
appartenenze sociali e culturali “originarie” di cui sarebbero portatori, ma alla specificità delle mescolanze
culturali e dei conflitti che caratterizzano, seppur secondo modalità esse stesse caratterizzate dalla differenza
culturale, le comunità locali nel loro essere attraversate da processi, spesso violenti, di natura trasversale e
globale

Culture esotiche e lontane

Per molto tempo l’antropologia si è identificata con lo studio delle società “primitive” (o tradizionali)

Ma questo interesse è nella prospettiva di riflettere sul funzionamento generale del sociale e del culturale e di
individuare categorie analitiche universali capaci di spiegare al tempo stesso la diversità delle società umane
e l’unità del genere umano.

Le origini…

• Antropologia spontanea

racconti, immagini, curiosità riguardanti usi costumi di altre culture (senza un progetto scientifico). Vasto

materiale narrativo, presente fin dall‘antichità, scritto da autori diversi e con motivazioni differenti: diari di

missionari ed esploratori, lettere di mercanti e viaggiatori, resoconti dei funzionari delle colonie

• Antropologia scientifica.

è un certo clima politico-culturale tra ‘700 e ‘800 a far emergere l’idea che l’uomo e le culture possano
essere oggetto di un progetto scientifico.

Lo sfondo storico-politico

I fondamenti scientifici dell‘Antropologia come scienza sono strettamente legati alla storia delle relazioni tra
cultura occidentale e le altre culture definita dall‘esperienza storico-politica del Colonialismo

Colonialismo

• Forma di imperialismo che si caratterizza per la subordinazione politica, sociale e culturale delle

popolazioni native

• Il periodo del colonialismo europeo si estende dal XV al XX secolo; principali protagoniste le cinque
grandi potenze europee: il Portogallo e la Spagna (XV-XVII), l’Inghilterra, la Francia e l’Olanda.

Il concetto di cultura

Uno dei principali contributi teorici che l’Antropologia dato alle scienze umane consiste nella elaborazione
del concetto di cultura, questa elaborazione si può sintetizzare in due passaggi:

– il passaggio dal significato soggettivo di “cultura”, intesa come ideale di formazione della personalità
umana, al significato oggettivo di “cultura” intesa come realtà storica, come insieme di concezioni e di
comportamenti propri di un certo gruppo sociale in un certo periodo storico

– il passaggio dal singolare (la “Cultura” comune a tutta l’umanità) al plurale (una molteplicità di “culture”,
ciascuna risultato di uno specifico processo storico)

Così inteso il concetto di cultura può essere considerato il più potente strumento di analisi delle differenze fra
i gruppi sociali.

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La definizione di Taylor contiene almeno tre importanti novità:

• riconoscimento che tutti i gruppi sociali, hanno la capacità di produrre “cultura”

• l’inclusione, entro la categoria “cultura”, oltre al sapere scientifico, all’arte, alla religione, al diritto, anche
delle consuetudini, dei costumi e dei modi di vita acquisiti socialmente, in un accezione “totale” del termine
cultura

• rifiuto di qualsiasi soluzione di continuità fra popoli civili e popoli primitivi: la cultura è pensata come una
“cosa” soggetta a una legge evolutiva analoga a quella operante nell’evoluzione delle specie biologiche, che
ne determina lo sviluppo secondo fasi o stadi obbligatori per tutta l’umanità, anche se con tempi di
realizzazione diversi.

Come potremmo definire l’antropologia?

L’antropologia culturale può essere definita come il “sapere della differenza”.

– il termine “sapere” per indicare che l’antropologia è nata in Occidente e si è sviluppata secondo le modalità
che costituiscono la conoscenza entro la tradizione scientifica e accademica occidentale

– Il termine “differenza”, viceversa, per delimitare la specificità dell’ambito disciplinare antropologico,


appunto discorso che parla degli altri”.

Successive elaborazioni concettuali intorno all’idea di cultura hanno poi portato:

• Al riconoscimento dell’esistenza di non una ma molteplici possibilità culturali, e quindi al riconoscimento


della pluralità delle culture, non valutabili in base a una scala di valori unica (relativismo)

• All’abbandono di un’idea di cultura come realtà oggettive a favore di un concetto di cultura come una
‘finzione”, non nel senso di qualcosa di falso ma nel senso di qualcosa di “costruito” dagli antropologi nel
loro lavoro di ricerca sul campo e di trascrizione delle culture indagate.

In sintesi potremmo intendere la cultura

• come il modo particolare dell’uomo in quanto membro di una società di organizzare il pensiero e il
comportamento in relazione all’ambiente.

• In questa prospettiva la cultura presenta almeno tre aspetti particolari:

– comportamentale che sì riferisce al modo in cui gli individui agiscono e interagiscono l’uno con l’altro

– cognitivo, che si riferisce alle idee che gli uomini hanno del mondo e al modo in cui queste idee filtrano la
loro comprensione del mondo e la loro esperienza

– materiale, che sì riferisce agli oggetti fisici che vengono prodotti entro un certo contesto socioculturale

Ulteriore definizione di cultura

La cultura può essere anche intesa come quel repertorio di modelli

comportamentali, cognitivi ed emotivi (Callari Galli, 1993) in dinamico divenire attraverso la pluralità di

incontri che qualificano la vita contemporanea

I “frutti puri impazziscono”(J. Clifford)

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• nonostante la velocità e la direzione in senso multiculturale della cultura contemporanea, assistiamo

ad un dilagare della tendenza a reificare le differenze:le tradizioni - le “nostre” e le “loro” - i modelli


culturali, i patrimoni culturali, le identità.

• Da questa visione delle culture scaturisce la convinzione che le diverse visioni del mondo specifiche e, al
tempo stesso, distinte siano incompatibili fra loro, quasi permettessero da parte degli attori sociali una sorta
di “possesso” di tradizioni, usi e costumi, visioni del mondo “pure” e a sè stanti.

L’antropologia studia…

L’antropologia si propone di guardare oltre la realtà quotidiana per scoprire modelli e significati che stanno
dietro quel mondo.

Etnia

• “La diversità di volta in volta denominata razziale, culturale o etnica è marcata dall'appartenenza, quasi
sempre data per nascita, a gruppi umani caratterizzati dalla collocazione geografica, da peculiarità somatiche,
linguistiche e religiose, dalla condivisione di tradizioni o percorsi storici in grado di produrre

identità collettive.

• Razza, cultura, etnia sono stati i perni concettuali di altrettanti modi di concepire questa diversità; e le
tradizioni di pensiero che tali nozioni fondano sono ancora oggi un riferimento essenziale (non importa se in
positivo o in negativo) per comprendere i nuovi problemi che la diversità ci pone.” (F.Dei)

In/out group

• L’etnicità si basa su somiglianze/differenze culturali in seno a una società o nazione: le analogie

sono con i membri dello stesso gruppo etnico, mentre le differenze si evidenziamo tra il gruppo

di riferimento e gli altri gruppi. (kottak 2008:119)

• I gruppi interagiscono ridefinendosi continuamente, le relazioni interetniche costituiscono un indicatore


importante per comprendere come un gruppo si definisce ecc.

Gruppo etnico

• I membri di un gruppo etnico condividono determinate credenze, valori, abitudini, tradizioni e norme in
virttù del loro background culturale comune, definendosi diversi e unici proprio in relazione a tali
caratteristiche (Kottak, 2008:119)

• Attenzione: due note importanti su questo:

– Presunte omogeneità del background

– Confini porosi

etnicità

• L’etnicità sussiste (F.Barth) quando un gruppo rivendica una determinata identità etnica per se stesso e
viene riconosciuta da altri gruppi proprio in virtù di tale identità.

• Etnicità significa identificazione con un determinato gruppo etnico, o sentirsi parte di esso e, di
conseguenza, esclusione da altri gruppi proprio per tale affiliazione.

• I problemi legati alla nozine di etnicità possono rivelarsi complessi…

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La cultura non è monolitica

• La riflessione antropologica nel corso della sua storia ha più volte sottolineato che identità, modelli
culturali, culture non sono date una volta per tutte: sono invece prodotte da un’opera continua di
negoziazioni, di mediazioni, da unafrequente esplosione di conflitti ma anche di adeguamenti e di confronti
fra possibilità differenziate.

La cultura come meccanismo di Controllo (C.Geertz e l’approccio interpretativista)

• Gli uomini senza cultura (..) sarebbero inguaribili mostruosità con pochissimi istinti utili, ancor meno
sentimenti riconoscibili, e nessun intelletto: casi mentali disperati.

• Quest’idea deriva da una concezione della cultura come “meccanismo di controllo”e del pensiero umano
come fondamentalmente pubblico e sociale.

questo implica che:

• non esiste una natura umana inossidabile e transculturale da scoprire, dato che l’essenza dell’uomo è
proprio nell’estrema variabilità

• Il sè non ha origine nella persona del soggetto, bensì nel complesso della scena della sua azione, è un
effetto drammaturgico che emerge da una scena, esso “è il prodotto di una scena che viene rappresentata e
non una sua causa”.

Rappresentazioni…

• Le nostre idee, i nostri valori, i nostri atti, perfino le nostre emozioni sono, come lo stesso nostro sistema
nervoso, prodotti culturali fabbricati usando tendenze,

• capacità e disposizioni con cui siamo nati, ma ciò non di meno fabbricati.

• La cultura è fatta di abiti e di costumi, che gli uomini indossano per recitare e soprattutto per dar forma alla

loro vita. Ci si può chiedere se ci sia, o se mai ci potrà essere, un qualche luogo dove la recitazione abbia
fine.

La risposta di Geertz è chiara: “Non c’è, non può esserci un retroscena dove si possa andare a gettare

un’occhiata agli attori [...] come persone reali”

Habitat di significato

• Contro ogni rischio di reificazione (oggettivazione) delle culture (intese come mondi autonomi)

• L’habitat è una metafora derivata dall’ecologia e consente di pensare la cultura come un ambiente in cui
vive l’individuo e che può avere dei confini mobili, non necessariamente coincidenti con gli habitat propri di
altri attori sociali con i quali si trova ad interagire

• Gli habitat possono: Espandersi e contrarsi, Possono combaciare del tutto, parzialmente o per niente,
Possono essere identificati sia in singoli individui che in collettività.

• Per questo è solo l’analisi del processo culturale che si attiva nelle relazioni sociali concrete a poter
stabilire quando sia davvero condiviso un habitat di significato

ETNOGRAFIA COME DESCRIZIONE DENSA

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• Definito da Geertz, prendendo il termine da Ryle, thick description, “descrizione densa»”

• La “descrizione densa” consiste nello scoprire e ricostruire i livelli di significato non espliciti delle
prospettive degli attori, cioè le molteplicità delle complesse strutture concettuali che le informa. Rappresenta
la ricerca di “un contesto”, «qualcosa — sostiene Geertz — entro cui eventi sociali, comportamenti
istituzioni, processi, possano essere intellegibilnente, cioè “densamente” descritti».

• Far coincidere la “descrizione densa” con una “gerarchia stratificata di strutture significative”,

• Con Geertz si rende possibile una rappresentazione etnografica multivocale

– nel senso che l’interpretazione, la descrizione etnografica appare come un processo di negoziazione di
significati fra antropologo e informatore,

– nel senso che il campo appare esso stesso come caratterizzato dalla presenza di una molteplicità di attori
caratterizzati da differenti prospettive e modi di dare senso all’esperienza.

Etnografia come rappresentazione testuale e come processo di comprensione

• Le etnografie sono documenti che si collocano ai margini fra due mondi o sistemi di significato: il mondo
dell’etnografo e il modo dei membri della cultura studiata

• Attraverso la scrittura, l’antropologo decodifica una cultura per tradurla e renderla comprensibile ai membri
di un’altra cultura

• In quanto descrizione testualizzata essa rappresenta una versione della realtà, una sua “rappresentazione”

• Essa è relativamente indipendente dal lavoro sul campo su cui si basa

• Il lavoro etnografico è un lungo processo di comprensione che inizia molto prima di andare sul campo e
continua dopo che si è lasciato il campo.

Il “locale” come ambito della ricerca antropologica

• In questa prospettiva il locale inteso come tradizionale ambito di ricerca dell’antropologo può essere visto

come:

– ciò che accade localmente; cioè quanto noi descriviamo come “vita quotidiana” intesa come

quella somma di attività più ripetitive, di natura sostanzialmente pratica, ridondanti e senza fine che

si svolgono in ambientazioni fisse e alle quali le persone partecipano senza riflettere molto

– Ciò che tende ad essere “faccia a faccia”, che si svolge in situazioni “focalizzate”, in rapporti duraturi,
largamente inclusivi.

Oggi lo studio antropologico, si concentra su contesti e gruppi localizzati:

• le unità d’analisi non sono mai “delimitate” e identificate automaticamente nei “gruppi locali”

• Si focalizza sulle rappresentazioni dei soggetti in relazione alle loro pratiche che, proprio come le
rappresentazioni, sono determinate dal loro essere parte di un mondo sempre più globalizzato e delocalizzato

• Si pone l’obiettivo di far emergere configurazioni di pratiche sociali, di simboli, di stili di vita, più o
meno stabili nel tempo e nello spazio, senza mai dimenticare il carattere “aperto” all’influenza del
globale di tali pratiche, anche quando le retoriche dell’autenticità, utilizzate dai gruppi che proclamano il

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loro diritto all’esistenza e al riconoscimento, tendono ad affermare il contrario.

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