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IL PREGIUDIZIO, CHE COSA È, COME SI RIDUCE

Il pregiudizio: cause, tipologie e conseguenze


IL PREGIUDIZIO ETNICO E’ UN’ANTIPATIA FONDATA SU UNA GENERALIZZAZIONE
FALSA E INFLESSIBILE. PUO’ ESSERE SENTITO INTERNAMENTE O ESPRESSO. PUO’
ESSERE DIRETTO VERSO UN GRUPPO NEL SUO COMPLESSO O VERSO UN INDIVIDUO
IN QUANTO MEMBRO DI QUEL GRUPPO. (definizione di Allport)

Il costrutto psicosociale etichettato come pregiudizio si riferisce a un giudizio prevalentemente


negativo. Tale sentimento di antipatia è fondato su una generalizzazione falsa e inflessibile. Il
pregiudizio, infatti, comporta un processo di generalizzazione in cui una valutazione negativa viene
applicata in modo indifferenziato a intere categorie sociali e a tutti gli individui che ne fanno parte. È
falso perché è molto improbabile che tutti i membri di un gruppo condividano le stesse caratteristiche.
La generalizzazione è anche inflessibile perché ignora deliberatamente le reali caratteristiche dei
singoli. In alcuni casi il pregiudizio assume forme chiaramente manifeste, come ad esempio il
razzismo, ma in altre è mantenuto nei soli pensieri. Esso può riguardare in astratto una categoria, ma
è anche in grado di influenzare le valutazioni dei singoli individui. Hai la sola colpa di appartenere
ad un gruppo giudicato negativamente. Il pregiudizio non è solo un sentimento di antipatia, ma può
anche coinvolgere in modo più ampio giudizi, valutazioni, emozioni. Il pregiudizio è il risultato di un
processo assolutamente normale, legato al consueto funzionamento cognitivo e motivazionale
nella mente umana. Brown ha proposto una diversa definizione del fenomeno: “il pregiudizio
presuppone la presenza di almeno alcune di queste caratteristiche: il mantenimento di atteggiamenti
sociali o credenze cognitive squalificanti, l’espressione di emozioni negative, o la messa in atto di
comportamenti ostili o discriminatori nei confronti dei membri di un gruppo per la loro sola
appartenenza ad esso.” Egli amplia la definizione del pregiudizio oltre la semplice antipatia,
includendo atteggiamenti, credenze cognitive, emozioni e comportamenti. Elimina qualsiasi
riferimento alla falsità o all’inflessibilità, portando quindi il fenomeno nell’ambito dell’ordinarietà.
Con il termine pregiudizio ci riferiremo quindi all’esito del processo che porta a giudicare un
individuo in modo negativo semplicemente sulla base della sua appartenenza ad un gruppo sociale.
Con il termine stereotipo indicheremo le caratteristiche e i tratti generalmente ritenuti tipici di una
data categoria sociale. Mentre con discriminazione comportamentale intenderemo un comportamento
negativo messo in atto sulla base di un pregiudizio o uno stereotipo. Infine, le emozioni esperite nei
confronti di gruppi sociale e dei loro membri saranno definite emozioni intergruppi. Il pregiudizio
viene spesso considerato un fenomeno patologico all’interno delle società umane. Gli psicologi
sociali hanno chiarito sempre di più che il pregiudizio non è una manifestazione di uno stile di
pensiero errato, ma è un prodotto del normale funzionamento della mente umana. Alla base del
pregiudizio vi sono due ordini di fattori che potremmo definire cognitivi (necessari per comprendere
il modo in cui gli esseri umani percepiscono i gruppi sociali, applicano giudizi riguardanti tali gruppi
ai singoli individui che ne fanno parte e tendono a distorcere le informazioni in entrata in modo da
renderle coerenti) e motivazionali (serve per comprendere perché negli esseri umani è presente una
tendenza generalizzata a valutare in modo negativo il “diverso”).
Gli psicologi della Gestalt proposero un approccio innovativo allo studio della
percezione umana. Secondo questi studiosi le percezioni non sono neppure lontanamente una
fotografia fedele dell’ambiente esterno, ma sono legate ad un processo di ricostruzione. Il pensiero e
la percezione non colgono la realtà ma la producono. Il problema principale è che gli esseri umani
scambiano continuamente queste costruzioni sociali per realtà oggettiva, e di conseguenza non
ritengono plausibile l’esistenza di costruzioni sociali alternative. Gli schemi sono definiti come
strutture cognitive in cui i dati dell’esperienza sono rappresentati nei loro attributi e nelle relazioni
spaziali e temporali che tra loro intercorrono. Rispondono ad un principio di “economia cognitiva”.
Essendo strutture cognitive, permettono di ritenere in memoria singole unità cognitive composte da
informazioni concatenate tra loro. Quando gli schemi sono attivi, l’elaborazione è guidata da una
teoria e non da dati. Le persone non si limitano a registrare i dati
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sensoriali ma li elaborano e li interpretano. Gli schemi tendono a auto-confermarsi e ad
autoalimentarsi. Vi sono schemi di sé, di ruolo, di eventi e di persone. Questi ultimi si riferiscono a
tratti e obiettivi ritenuti caratteristici di specifici individui o di interi gruppi sociali. Quando gli schemi
si riferiscono ad un gruppo prendono il nome di stereotipi. Perché uno schema possa essere applicato
ad un gruppo, è necessario che il gruppo stesso sia rappresentato in memoria. E perché questo avvenga
è necessario il processo di categorizzazione. Le categorie hanno lo scopo di ridurre la complessità
dell’ambiente. Invece che elaborare ogni singolo stimolo come unico e irripetibile, gli esseri viventi
possono inserirlo all’interno di classi più ampie, sulla base di un principio di somiglianza. Se un
nuovo stimolo viene percepito, e ci si accorge che è simile ad altri stimoli, esso sarà inserito nella
classe corrispondente. L’importante è che risponda a delle caratteristichefondamentali che vengono
chiamate specifiche categoriali. Anche le categorie si autoalimentano, alterando le percezioni in modo
coerente; due processi importanti:
- L’assimilazione intracategoriale: porta a percepire due stimoli appartenenti allastessa categoria
come più simili tra loro di quanto non fossero prima di essere Categorizzati
- La differenziazione intercategoriale: porta invece a percepire due stimoli appartenenti a categorie
diverse come più diversi di quanto non fossero prima di essere categorizzati. La categorizzazione e
le sue conseguenze percettive sono alla base della formazione dei gruppi sociali: le persone vengono
inserite in gruppi diversi sulla base di alcune caratteristiche fisiche o culturali o valoriali e, sulla base
di queste classificazioni, vengono assimilati se appartengono allo stesso gruppo, differenziati se
appartengono a gruppi diversi. Alla base della percezione dei gruppi vi è necessariamente il processo
di categorizzazione. Il modo il cui il gruppo è rappresentato è legato agli schemi, poiché insieme al
concetto di base, sono presenti in memoria anche i tratti ritenuti caratteristici del gruppo stesso
(stereotipo) e delle associazioni tra questo concetto e valutazioni positive o negative (pregiudizio).
Ogni gruppo è rappresentato da un nodo concettuale, a cui sono collegati dei tratti (atletici, aggressivi,
pigri). L’insieme di questi tratti costituisce lo stereotipo. Le persone non si limitano a categorizzare
gli altri, ma categorizzano anche se stesse. Questo crea il fatto che alcuni gruppi comprenderanno al
loro interno il Sé, altri no. I primi sono denominati ingroup, i secondi outgroup. I primi saranno i
nostri gruppi, i secondi saranno invece gli altri. Tra i membri dell’ingroup, c’è né uno speciale a cui
siamo particolarmente legati: noi. Nell’outgroup questo membro particolare non c’è quindi niente ci
impedisce di pensare che “loro sono tutti uguali”. Spiegazioni intra individuali del pregiudizio:
-La teoria della frustrazione-aggressività: viene proposta da Dollard&co ed è generalmente applicata
al comportamento aggressivo, ma può essere facilmente estesa a discriminazioni e pregiudizi. Dietro
ad ogni comportamento aggressivo vi è una frustrazione. Questa frustrazione è legata al mancato
soddisfacimento di un bisogno, in relazione ai fattori quali la fame, la sete, la riproduzione e la propria
incolumità. Bisogna sfogare questa energia accumulata. Per questo saranno messi in atto
comportamenti aggressivi che saranno rivolti alla causa della frustrazione.
-La personalità autoritaria e altre differenze individuali: secondo Adorno, Levinson e Sanford
pregiudizi e discriminazioni sono tipici degli individui caratterizzati da una personalità autoritaria.
Questo tipo di personalità si svilupperebbe durante l’infanzia in particolare se il clima familiare è
rigido. Tale clima porterebbe simultaneamente a una marcata propensione all’aggressività e al
generarsi di un forte senso del dovere e di un cieco rispetto dell’autorità genitoriale. MA è improbabile
che tutte le persone che hanno pregiudizi abbiano ricevuto un’educazione simile. Queste critiche
hanno portato alcuni autori a modificare la teoria, mantenendo però l’assunto secondo cui i livelli di
pregiudizio variano al variare di specifiche caratteristiche individuali. Altemeyer ha proposto il
costrutto di autoritarismo di destra: non consiste in un particolare tipo di personalità ma in una
struttura di atteggiamenti, trasmessi socialmente e interiorizzati dagli individui  tre aree: la
sottomissione all’autorità, l’aggressività autoritaria, il convenzionalismo.
-Teoria della dominanza sociale: è stata formulata con l’intento di spiegare in che modo le gerarchie
sociali basate sui gruppi vengano create e mantenute. Secondo Sidanius le società caratterizzate da
un certo livello di surplus economico contengono tre diversi tipi di gerarchie, basate su età, sul genere
e su caratteristiche arbitrarie. Queste ultime sono particolarmente interessanti perché si riferiscono a
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distinzioni tra gruppi create culturalmente. Possono basarsi per esempio sulla nazionalità, così come
sul ceto sociale. Le gerarchie tra gruppi sono mantenute dai miti di legittimazione ovvero da idee
culturalmente condivise che giustificano la disuguaglianza e l’oppressione sociale. Le persone si
differenziano per il loro livello di orientamento alla dominanza sociale, ovvero il grado in cui
accettano o meno le ideologie condivise.
Spiegazioni socio-economiche:
-Teoria del conflitto realistico: i fenomeni come i pregiudizi sono interamente ricondotti alle relazioni
sociali tra i gruppi. Gli esseri umani sono sostanzialmente egoisti e cercano il più possibile di
massimizzare i propri profitti a discapito degli altri. In ogni luogo di solito le risorse disponibili spesso
non sono sufficienti per tutti, i gruppi quindi entrano in competizione per accaparrarsi quanto più
possibile, cercando di prevalere uno sull’altro. Come mezzo per ridurre il pregiudizio, Sherif ha
proposto la strategia degli scopi sovraordinanti cioè obiettivi che sono rilevanti per i diversi gruppi
in conflitto, ma che possono essere raggiunti solo se tutti cooperano tra loro.
-Teoria della deprivazione relativa: il pregiudizio e le discriminazioni possono dipendere da uno stato
di insoddisfazione. La differenza tra questa teoria e quella della frustrazione-aggressività risiede nel
fatto che, secondo l’approccio della deprivazione relativa, tale insoddisfazione non deriva da uno
stato di difficoltà oggettivo, ma da una percezione di disagio. Questo stato di disagio è definito come
relativo, perché nasce dal ritenere la propria situazione attuale peggiore rispetto ad uno standard di
riferimento. Le persone confrontano la propria condizione attuale con quella del passato. Se notano
un peggioramento, allora sperimentano uno stato di deprivazione. La percezione del benessere
individuale può dipendere dall’aspettativa di un costante miglioramento della
propria situazione. Il ruolo delle aspettative è sottolineato da Gurr, il quale definisce la deprivazione
relativa come una discrepanza tra le aspettative di valore (ciò che una persona crede di meritare), e le
capacità di valore (ciò che una persona crede sia possibile ottenere). Le persone provano deprivazione
quando percepiscono l’impossibilità di raggiungere ciò che desiderano e che ritengono spetti loro.
Questa percezione può determinarsi in 3 modi:
1) quando le capacità di valore diminuiscono improvvisamente, x es quando si verifica una grave crisi
economica
2) quando le aspettative di valore crescono, senza che a tale crescita corrisponda un incremento delle
capacità di valore
3) quando, dopo un periodo in cui capacità e aspettative di valore sono cresciute all’unisono, le
capacità di valore si fermano, mentre le aspettative continuano ad aumentare.
Runcinan distingue tra deprivazione egoistica che si verifica quando un individuo si sente deprivato
a causa della sua condizione personale, e deprivazione fraterna che invece sorge quando le condizioni
del proprio gruppo di appartenenza vengono ritenute ingiustamente peggiori rispetto a quelle di altri
gruppi.
Le spiegazioni psicosociali:
-La teoria dell’identità sociale: è la teoria che ha contribuito in modo determinante a studiare il legame
esistente tra i processi psichici individuali e le interazioni tra i gruppi. Considera simultaneamente
diversi livelli di analisi: individuali, interpersonale, intergruppi, e a livello dell’intera società.
Il primo processo alla base del pregiudizio è la categorizzazione degli individui presenti nel contesto
sociale. Tale processo ha lo scopo generale di semplificare l’ambiente, ma porta a risultati particolari
quando coinvolge il sé: l’ambiente sociale viene diviso in gruppi. Secondo Tajfel
la parte dell’immagine di sé legata alle appartenenze di gruppo costituisce l’identità sociale. L’identità
sociale ha diverse componenti: cognitiva (legata alla consapevolezza di avere un gruppo); emotiva
(connessa alle emozioni associate a tale appartenenza); valutativa (legata al valore attribuito a tale
appartenenza). Il bisogno di un’elevata autostima sembra essere diffuso nel genere umano, anche se
la sua definizione e il suo soddisfacimento possono declinarsi in modi diversi a seconda delle culture
di appartenenza.
-ricerca spasmodica del successo individuale, del prevalere sugli altri. Come stabilire il valore di un
gruppo?
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-attraverso il confronto con altri gruppi presenti nel contesto sociale e che rappresentano un termine
di paragone significativo. L’esito del confronto sociale intergruppi è spesso caratterizzato da una
distorsione valutativa che prende il nome di distintività positiva. Secondo Tajel il pregiudizio può
sorgere da un fattore motivazionale: il bisogno di un identità sociale positiva e definita.
-la valutazione positiva del gruppo può essere estesa all’individuo che ne fa parte.
-Teoria della riduzione dell’incertezza: Hogg 2000. Condivide molti assunti della teoria dell’identità
sociale, in particolare riguardo l’importanza attribuita alla categorizzazione e all’identificazione con
l’ingroup. Il motivo che sta alla base dei conflitti intergruppi è il bisogno di certezze. Gli esseri umani
da un lato hanno bisogno di certezze riguardo l’ambiente e se stessi, allo scopo di non perdere il
controllo delle proprie vite; dall’altra qualsiasi percezione e valutazione umana non può soddisfare
tale bisogno; perché tutte le modalità di relazionarsi con l’ambiente sono soggettive. -Teoria della
gestione del terrore: strategie che gli esseri umano mettono in atto per difendersi dal terrore suscitato
dal pensare alla propria mortalità. Gli esseri umani condividono con gli altri animali l’istinto di
preservazione, ma al contempo si differenziano da essi per fondamentali capacità cognitive come la
consapevolezza di sé. Se gli individui si trovano ad affrontare il terrore associato alla propria morte,
possono cercare rifugio in una visione culturale del mondo. Il fatto di considerarsi elementi
rappresentativi e di valore di una cultura e di rispettarne gli standard, assicura gli individui
all’immortalità letterale e/o simbolica. Letterale nel caso in cui la visione culturale condivisa preveda
l’esistenza di un’anima immortale; simbolica nel caso in cui si è sicuri che i propri valori e le proprie
credenze non scompariranno al momento della morte. La morte diventa un fenomeno accettabile solo
perché le persone sono inserite in una costruzione sociale simbolica. Secondo questa teoria il
pregiudizio nasce dallo scontro e dalla competizione tra visioni culturali costruite per negare il
problema della morte.
Relazione tra religiosità e pregiudizio  paradosso perché la religione “crea e disfa” il pregiudizio. Si
potrebbe ipotizzare che le persone più religiose siano più propense a provare empatia e compassione
verso gli altri, e in generale ad avere meno pregiudizi. Molti studi dimostrano che ad alti livelli di
religiosità corrispondono elevati livelli di intolleranza. Spesso le istituzioni religiose invitano i fedeli
ad adottare in modo acritico i dogmi proposti. Allport e Ross sono stati i primi a cercare di dare una
risposta a questo paradosso. Secondo loro è fuorviante pensare che le persone religiose condividano
le stesse modalità di vivere ed esprimere la loro religiosità: alcuni interiorizzano la religione, altri
invece la usano solo come fonte di certezze. Ross propone la distinzione tra orientamento religioso
intrinseco & orientamento religioso estrinseco. Il primo enfatizza la dimensione interiore ed è tipico
delle personeche “vivono” la religione; il secondo sottolinea una dimensione di tipo strumentale: la
religione viene in questo caso “usata”. Batson e Ventis hanno dimostrato che l’orientamento
estrinseco è generalmente associato ad un incremento del pregiudizio; mentre per l’intrinseco varia,
a volte il pregiudizio incrementa altre diminuisce. Batson ha proposto un terzo orientamento,
denominato quest. Le persone con orientamento quest intendono la religione come un percorso
spirituali di ricerca interiore e non si accontentano di verità date per assolute. Nell’analisi delle cause
del pregiudizio si nota chiaramente l’interrelazione tra fattori di natura cognitiva e di natura
motivazionale. Il problema fondamentale sembra essere la percezione di esagerata distanza
psicologica tra il sé e gli altri. Per ridurre i pregiudizi
è necessario ridurre la percezione di questa distanza. Razzismo moderno, simbolico e ambivalente:
secondo McConahay i bianchi americani, negli anni ’70 avevano ormai accettato le norme antirazziste
emanate a partire dagli anni ’50 e non esprimevano più il pregiudizio in maniera manifesta. E’ nato
un pregiudizio dalle forme più sottili che viene chiamato razzismo moderno. Anche il concetto di
razzismo simbolico nasce dall’assunto che, negli Stati Uniti, i bianchi hanno adottato principi di tipo
egalitario nei confronti dei neri. Il razzismo simbolico condivide molti degli assunti del razzismo
moderno. Essa include: la negazione del fatto che la discriminazione razziale sia ancora presente, la
convinzione che le persone di colore dovrebbero impegnarsi di più, la credenza che molti dei risultati
ottenuti negli ultimi anni dalle persone di colore siano immeritati. Il razzismo ambivalente si riferisce
alla presenza di emozioni e opinioni polarizzate, sia positive che negative, nei confronti di un
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outgroup. Tale ambivalenza si può tradurre in una esaltazione irrealistica delle caratteristiche positive
dei membri di un gruppo e una simultanea eccessiva denigrazione di azioni negative. Il pregiudizio
si basa sulla presenza di associazioni cognitive tra categorie sociali e tratti positivi o negativi: in
genere, all’ingroup sono associati più tratti positivi. Tali associazioni sono implicite ma possono
essere rilevate attraverso le tecniche implicite di rilevazione degli atteggiamenti: quali le tecniche di
priming e l’implicit association test.
Le tecniche di PRIMING utilizzano spesso stimoli subliminali, ovvero parole o immagini che
vengono presentate al computer per un tempo limitato in modo da non essere colte a livello
consapevole. A livello inconscio gli stimoli vengono concepiti e provocano un’attivazione del
concetto corrispondente in memoria. L’attivazione del nodo concettuale determina l’attivazione dei
tratti e delle valutazioni ad esso associatiin modo automatico.
L’IMPLICIT ASSOCIATION TEST non prevede la presentazione di stimoli a livello sublimale, ma
si fonda sul fatto che stimoli incongruenti richiedono un maggior tempo di elaborazione rispetto a
stimoli congruenti. Il razzismo avversivo: molte persone sostengono in modo sincero di riconoscersi
in principi di natura egalitaria, e quindi ritengono di no essere portatori di pensieri pregiudiziali. Tali
pensieri, tuttavia, sono presenti nei livelli più nascosti della loro mente, a causa di processi di natura
cognitiva, motivazionale e socio-culturale. I razzisti avversivi da un lato non manifesteranno opinioni
pregiudiziali ma si troverannoin forte imbarazzo nelle interazioni con membri di gruppi discriminati
e cercheranno il più possibile di evitarle. Pettigrew e Meertens hanno suddiviso il pregiudizio in
1) pregiudizio sfacciato: è il pregiudizio caldo, vicino e diretto. La sua componente è la percezione
di minaccia e il rifiuto dell’outgroup. Evitamento del contatto con membri dell’outgroup.
2) pregiudizio subdolo: è freddo, distante, indiretto. Si articola lungo tre dimensioni: la prima è la
difesa dei valori tradizionali  i membri dell’outgroup sono accusati di comportarsi in modo
inaccettabile e vengono quindi incolpati delle loro condizioni difficili. La seconda è l’esagerazione
delle differenze culturali. La terza è la negazione delle emozioni positive. Le due tipologie di
pregiudizio sono tra lodo indipendenti, e dal loro incrocio si possono generare tre tipologie di persone:
-bigotti : simultanea presenza di pregiudizio sfacciato e subdolo la presenza del solo pregiudizio
subdolo caratterizza persone che manifestano forme di pregiudizio socialmente accettabili chi non
mostra ne pregiudizio sfacciato ne subdolo è definito egalitario la presenza del solo pregiudizio
sfacciato è ritenuta impossibile da un punto di vista teorico: se una persona discrimina apertamente i
membri dell’outgroup non potrà non accettare anche le forme di pregiudizio più subdole e sottili. Il
pregiudizio può avere una connotazione fortemente EMOTIVA. Smith ha proposto il concetto di
emozioni intergruppi, ovvero le emozioni che i membri di un gruppo
sperimentano nei confronti dell’outgroup. Le emozioni considerate sono paura, disgusto, disprezzo,
rabbia, gelosia. La paura viene provata quando si ritiene che un outgroup potente costruisca una
minaccia per l’ingroup. La rabbia è associata alla percezione di ingiustizia e al ritenere di essere in
una posizione di forza. Il disprezzo nasce comunque da una percezione di ingiustizia ma l’ingroup si
trova in una situazione di debolezza. Il disgusto può derivare da una percezione dei membri
dell’outgroup come immorali. Infine, la gelosia nasce al ritenere che gli altri godano di benefici
ingiustificati. Un’interessante combinazione di emozioni e pregiudizi può essere riscontrata nel
modello del contenuto degli stereotipi. Gli stereotipi dei gruppi variano lungo due dimensioni: la
competenza – legata a tratti quali l’intelligenza e la competitività- e il calore – connesso ad aspetti
quali la sincerità e la socievolezza. Deumanizzazione dell’outgroup: l’idea che i membri di un gruppo
possano essere definiti come “non umani”. L’ infraumanizzazione e la deumanizzazione partono
dall’assunto secondo cui forme radicate di pregiudizio possono sorgere dalla percezione che ingroup
e outgroup non condividono la stessa essenza. In alcuni casi le persone ritengono che coloro presenti
nell’ingroup siano più umani rispetto a quelli presenti nell’outgroup. Le persone associano più
facilmente le emozioni all’ingroup piuttosto che all’outgroup.Si tratta quindi di un processo di
infraumanizzazione: ingroup e outgroup hanno una diversa essenza, e l’essenza dell’ingroup è più
umana rispetto a quella dell’outgroup.

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Haslam distingue tra caratteristiche unicamente umane e caratteristiche legate alla natura umana. A
seconda di quale caratteristica viene negata, si potranno avere due tipi diversi di deumanizzazione:
animalistica o meccanicistica. Le caratteristiche unicamente umane sono quelle che differenziano gli
esseri umani dagli animali. Le caratteristiche legate alla natura umana sono invece quelle ritenute
centrali per definire il genere umano. Quando a un gruppo vengono negate le caratteristiche
unicamente umane, vengono visti come animali. Il pregiudizio è ingiusto nei confronti di chi lo
subisce. Essere oggetto di stereotipi, di atteggiamenti pregiudiziali, di discriminazione è dannoso per
un individuo, perché influenza la definizione di sé e la percezione del mondo sociale.
Essere oggetto di pregiudizio è fonte di sofferenzaLe persone target di pregiudizio tendono a mettere
in atto delle difese a tutela dell’io. Data la natura del pregiudizio, una persona che ne è vittima
potrebbe cercare di attribuire la causa dei giudizi negativi e delle discriminazioni al gruppo di
appartenenza. Branscombe e Harvey propongono una soluzione che può apparire paradossale. Gli
individui possono difendersi dalle discriminazioni identificandosi ancora di più con il gruppo.
L’identificazione con l’ingroup consente di essere inseriti in una rete sociale, di trovare conforto negli
altri. Quando si è consapevoli del fatto che, il proprio gruppo di appartenenza è oggetto di stereotipi,
è possibile sviluppare uno stato d’ansia. Quest’ansia porta ad un peggioramento della performance
individuale. L’effetto dei timori iniziali sarà paradossale: le persone temendo le conseguenze negative
di uno stereotipo, finiranno con il mettere in atto comportamenti negativi tali da confermare lo
stereotipo stesso.
1. prende il nome di minaccia legata allo stereotipo. Gli effetti del pregiudizio possono riguardare
anche lo stato di salute e il benessere degli individui che ne sono vittime. Dati governativi mostrano
che malattie quali il diabete, l’ipertensione, i problemi cardiaci etc. sono notevolmente più diffusi
negli afro-americani piuttosto che altri gruppi presenti in America.
2. Empatia e assunzione di prospettiva La capacità di assumere la prospettiva di un’altra persona e
comprendere il suo stato d’animo è da sempre ritenuta una dote fondamentale degli esseri umani.
Adottare la prospettiva di un’altra persona ci consente di comprendere i suoi pensieri e vissuti
interiori, e quindi di instaurare e soprattutto mantenere relazioni sociali positive e durature.
Perché le persone a volte non aiutano? Percezione di norme comportamentali o la presenza di altre
persone nella situazione di emergenza (fenomeno della diffusione della responsabilità). Quali sono le
motivazioni che spingono ad aiutare un individuo in difficoltà, e interrogarsi sulla natura egoistica o
altruistica di talo motivazioni. Inizialmente si pensava che le persone fossero spinte da un interesse
egoistico come per esempio il bisogno di ridurre il disagio e l’ansia esperiti di fronte alla sofferenza
altrui, dal desiderio di sentirsi meglio, o semplicemente dal fatto di dover ricercare approvazione
sociale. Batson ritiene che l’empatia sia in grado di evocare una motivazione puramente altruistica ad
alleviare la sofferenza di una persona in difficoltà. L’empatia è collegata ad un genuino interesse per
l’altro ed a una preoccupazione per il suo benessere.
Assumere la prospettiva di un’altra persona può portare a una riduzione del pregiudizio nei confronti
del suo gruppo di appartenenza. Esistono due tipi di empatia, distinti ma allo stesso tempo
interconnessi: l’empatia emotiva e l’empatia cognitiva. L’empatia emotiva può essere definita come
una risposta effettiva orientata verso l’altro e congruente con la percezione del suo benessere,
derivante dal fatto di essere testimoni del disagio di un’altra persona. Stephan e Finlay propongono
la distinzione di due tipi di empatia emotiva:
1) l’empatia reattiva, costituita dalle risposte generate in reazione alla sofferenza dell’altro. Batson la
chiama preoccupazione empatica.
2) l’empatia parallela e si riferisce alle emozioni che si provano insieme all’altro e che sono quindi
simili a quelle esperite dall’altra persona. Osservare una persona in difficoltà può portare a uno stato
di stress, caratterizzato da emozioni negativo quali ansia, angoscia e turbamento. La componente
cognitiva è legata all’assunzione di prospettiva, al mettersi nei panni dell’altro; questo processo
permette la comprensione profonda della condizione dell’altra persona. Può essere considerata come
un’antecedente dell’empatia emotiva.L’assunzione di prospettiva può avvenire in due modi:
1. si può immaginare come l’altra persona vive una situazione, come si sente e cosa pensa
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2. oppure si può immaginare di trovarsi al suo posto, concentrandosi su di sé, su come si percepirebbe
la situazione. Gli atteggiamenti pregiudiziali verso i gruppi estranei sono difficili da modificare
indurre uno stato empatico nei confronti di una persona appartenente ad un outgroup, attraverso
l’assunzione della sua prospettiva, sembra però essere una via promettente per la riduzione del
pregiudizio. L’empatia in quanto risposta emotiva, può agire direttamente sulla componente affettiva
del pregiudizio. L’empatia provata nei confronti di qualcuno in difficoltà, favorisce l’attuazione di
comportamenti finalizzati ad alleviare la sua sofferenza. Indurre uno stato empatico verso qualcuno
in difficoltà sembra essere abbastanza semplice: numerose ricerche hanno dimostrato che
incoraggiare persone ad assumere la prospettiva dell’altro produce l’attivazione di sentimenti
empatici. Non è necessario incontrare direttamente individui appartenenti a gruppi estranei, può
essere sufficiente anche solo venire a conoscenza della loro situazione. Numerose ricerche hanno
dimostrato come sia più facile provare empatia nei confronti di una vittima innocente piuttosto che
per qualcuno che è ritenuto responsabile del suo stato di sofferenza. Batson e colleghi hanno per primi
esplorato l’ipotesi che l’attivazione di sentimenti empatici nei confronti di un individuo in difficoltà
possa produrre un miglioramento dell’atteggiamento e dei sentimenti verso il gruppo di appartenenza.
La generalizzazione dal singolo al gruppo avviene secondo questa sequenza:
1. adottare la prospettiva di un individuo in difficoltà produce un aumento di sentimenti empatici nei
confronti di tale individuo
2. questi sentimenti empatici incrementano l’importanza attribuita al benessere dell’individuo
3. assumendo che l’appartenenza di gruppo dell’individuo sia una componente rilavante della sua
situazione di disagio.
Per verificare questo modello gli studiosi hanno condotto una serie di tre esperimenti dove facevano
ascoltare a gruppi di ragazzi le testimonianze di persone in difficoltà. A alcuni ragazzi veniva chiesto
di immaginare come la persona intervistata si sentisse (condizione di assunzione di prospettiva) e ad
altri di cercare di non lasciarsi coinvolgere (condizione di obiettività). Come risultato portarono che
le partecipanti che avevano assunto la prospettiva dell’intervistato mostravano un atteggiamento più
positivo verso il gruppo di appartenenza dell’intervistato. La questione della responsabilità della
vittima (cioè se la vittima è innocente oppure responsabile del suo stato di sofferenza) viene
approfondita nel secondo esperimento. La procedura era simile a quella descritta sopra. I partecipanti
invitati a focalizzarsi sui sentimenti della vittima provavano maggior empatia nei suoi confronti. Una
volta attivato un sentimento empatico, le persone che provano queste emozioni sono meno influenzate
dalle informazioni sulla responsabilità personale della vittima. I sentimenti di empatia sono dotati di
una certa inerzia. Nel terzo esperimento hanno cercato di dimostrare se l’attivazione empatica potesse
migliorare l’atteggiamento anche nei confronti di un gruppo fortemente stigmatizzato. Utilizzano
come esempio un uomo che aveva ucciso il suo vicino di casa. Inizialmente i partecipanti invitati a
provare empatia riportavano livelli di preoccupazione empatica superiori rispetto a quelli istruiti a
rimanere obiettivi. L’aumento di empatia però non era immediatamente associato ad un
miglioramento dell’atteggiamento nei confronti del gruppo. Tuttavia a distanza di 2/3 settimane, i
partecipanti “empatici” erano maggiormente favorevoli nel riservare un trattamento carcerario
favorevole ai condannati per omicidio. Empatia parallela: nelle situazioni in cui l’altro è oggetto di
discriminazioni, l’assunzione di prospettiva può portare a sperimentare emozioni legate al senso di
ingiustizia, ed è probabile che l’emergere di emozioni di questo tipo conduca al desiderio di cambiare
lo status quo. L’empatia parallela può contribuire sia ad una riduzione del pregiudizio intergruppi, sia
al supporto di azioni o politiche sociali a favore del gruppo svantaggiato. Dato che le persone
appartenenti ad un gruppo svantaggiato spesso condividono lo stesso tipo di problemi e difficoltà, è
plausibile ipotizzare che i sentimenti di empatia coinvolgano sia il singolo benessere del singolo, ma
anche il benessere del gruppo a cui questa persona appartiene. l’empatia e la preoccupazione del
benessere provate nei confronti di un singolo individuo, possono generalizzarsi a tutti coloro che
soffrono di un disagio simile. Grazie all’assunzione di prospettiva, si sviluppa una maggiore
comprensione nei confronti delle persone che condividono una stessa condizione di sofferenza.

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Galinsky e Moskowitz conducono due esperimenti. Chiedono ai loro partecipanti di descrivere la
fotografia di una persona anziana e di immaginare una sua giornata tipo cercando di mettersi nei suoi
panni. Si chiede ad alcuni di descrivere la giornata dell’anziana senza fornire ulteriori indicazioni
(condizione di controllo), ad altri di immaginare la giornata della persona cercando il più possibile di
evitare descrizioni stereotipiche (condizione di soppressione dello stereotipo). Diversi studi hanno
dimostrato che una volta cessato l’impegno nel tentare di cancellare i pensieri stereotipici, questi
risultano ironicamente più accessibili (effetto rimbalzo) e sono quindi in grado di influenzare giudizi
e comportamenti. L’assunzione della prospettiva portava ad una disattivazione dello stereotipo a
livello sia esplicito che implicito, senza alcun effetto rimbalzo. Coloro che invece erano nella
condizione di soppressione dello stereotipo, questo effetto rimbalzo lo sentono eccome. Secondo
Galinsky il meccanismo chiave coinvolto nell’assunzione di prospettiva è l’attivazione automatica
del concetto di sé. La persona di cui si è assunta la prospettiva viene vista come più simile al sé, e si
crea una sovrapposizione tra le rappresentazioni cognitive del sé e dell’altro. L’assunzione di
prospettiva dovrebbe portare a una riduzione del pregiudizio nei confronti dell’outgroup solo per le
persone con alta autostima?! Avendo un concetto di se tanto positivo, possono estenderlo all’altro.
Esperimenti come previsto, tra i partecipanti con assunzione di prospettiva, quelli con molta autostima
valutavano più positivamente l’oggetto di studio (in questo caso le persone anziane, i partecipanti
all’esperimento dovevano descrivere la giornata tipo di un anziano), rispetto invece a quelli che
avevano una bassa autostima. Sembra chiaro che il processo di assunzione di prospettiva non è a costo
zero, ma richieda un dispendio di energie. Secondo Epley, Keysar e Van Boven, l’assunzione di
prospettiva coinvolge un processo graduale di aggiustamento che porta l’individuo ad intuire quale
sia la posizione dell’altro. Il processo di assunzione di prospettiva richiedetempo, se ai partecipanti
ad un esperimento viene detto che deve finire il “compito” nel minor tempo possibile, come
dimostrato, non riuscirà ad assumere la prospettiva dell’altro.
Mikulincer teoria dell’attaccamento e lo studio delle risposte prosociali
Secondo la teoria dell’attaccamento, il bambino possiede predisposizione biologica a sviluppare un
legame di attaccamento nei confronti di chi si prende cura di lui. Allo stesso tempo, il bambino
produce dei modelli operativi interni, ovvero delle rappresentazioni mentali dei legami di
attaccamento. Questi modelli contengono sia le rappresentazioni di se, sia rappresentazioni delle
figure di attaccamento in generale. Se le risposte dei genitori sono adatte ai bisogni del bambino
attaccamento sicuro. Se le risposte dei genitori sono inadatte attaccamento insicuro di tipo ansioso o
evitante. L’attaccamento ansioso è determinato dall’imprevedibilità o ambivalenza delle risposte del
genitore, ciò porta il bambino a crearsi un’idea negativa di se. L’attaccamento evitante si genera da
comportamenti distanti o assenti. L’attivazione del senso di sicurezza legato all’attaccamento agisce
attraverso due vie:
-da un lato attiva un modello positivo di sé, associato a una percezione di autoefficacia nel reagire ai
bisogni altrui. Questo dovrebbe ridurre l’angoscia legata alla paura di essere incapaci di agire per
l’altro
-dall’altro viene attivato anche un modello positivo degli altri, ovvero una rappresentazione delle altre
persone come degne di fiducia. In altri studi Mikulincer ha dimostrato come l’attivazione contestuale
del senso di sicurezza può influenzare anche le risposte nei confronti dei gruppi estranei. Il senso di
sicurezza è in grado di mitigare le reazioni di paura di fronte a ciò che è sconosciuto e non familiare.
Il senso di sicurezza era in grado di ridurre l’ansia intergruppi e la percezione dell’outgroup come
minaccioso. E’ possibile ipotizzare che avere la certezza di essere amati e circondati da persone
disponibili, possa consentire agli individui di essere più accoglienti nei confronti degli altri. Questo
si traduce in una maggior adesione a valori legati alla trascendenza del sé, cioè a quegli ideali che
motivano le persone a trascendere il proprio interesse egoistico per difendere e
promuovere il benessere altrui. Schwartz identifica due macro-valori:
1. universalismo: che comprende principi come la giustizia sociale, la pace nel mondo.
2. la benevolenza: capacità di perdonare, la lealtà, la disponibilità il senso di sicurezza porta a ritenere
questi valori molto importanti nella vita.
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Classi puzzle: gruppi di bambini di etnie diverse svolgono insieme, in maniera cooperativa, un
compito assegnato dall’insegnante. Ciascun alunno possiede solo una parte delle informazioni
necessarie per terminare il compito. Gli studenti devono interagire e collaborare tra di loro. Nel corso
di otto settimane, i bambini inseriti in classi puzzle, mostrano maggiori abilità di assunzione di
prospettiva rispetto ai bambini delle classi tradizionali. Campi di pace: ragazzi appartenenti a gruppi
in conflitto, nell’ambito dei campeggi estivi, svolgono attività ludiche di tipo cooperativo.
Programmi di istruzione multiculturale: i ragazzi imparano a conoscere le similitudini e le differenze
tra i diversi gruppi etnici presenti nelle loro società. Racconto di storie di vita: prevede l’ascolto, da
parte di alunni in classe, di registrazioni di racconti relativi a racconti di vita dei membri
dell’outgroup. Le storie raccontate non sono poi così diverse da quelle di tutti noi.Simulazioni di
discriminazioni: prevedono che alcuni soggetti diventino oggetto di discriminazione da parte di
ragazzi in classe e successivamente i ruoli saranno invertiti.
Esposizione ai mass media: alcuni studi dimostrano chiaramente che anche il solo osservare un film
o fiction, può portare gli individui a sperimentare empatia nei confronti dei personaggi, e può favorire
una riduzione del pregiudizio verso l’outgroup. Non espone le persone a contati diretti che a volte
possono essere percepiti come minacciosi.
L’empatia è una risposta affettiva più adeguata alla situazione di un altro che alla propria questa
definizione ci ricorda che l’empatia è legata ad una generale riduzione della distanza tra il sé e l’altroe
può essere efficace per ridurre il pregiudizio e nell’incrementare l’armonia tra i gruppi.
Il contatto intergruppi
L’ipotesi del contatto di Allport è che il pregiudizio sia alimentato da una mancanza di conoscenza
dell’altro. E’ possibile che la conoscenza diretta di persone appartenenti all’outgroup permetta di
comprendere l’inutilità di pregiudizi e di stereotipi, e quindi porti a valutare i membri dei gruppi
estranei in modo più realistico. Secondo Allport solo il contatto che presenta le seguenti caratteristiche
è efficace:
1. Le interazioni dovrebbero essere di natura cooperativa: se il contatto non viene percepito come
piacevole non porterà ad alcun risultato benefico.
2. L’interazione dovrebbe essere caratterizzata dalla presenza di scopi comuni.
3. Le interazioni dovrebbero riguardare persone che hanno uno status simile.
4. È necessaria la presenza di un chiaro sostegno istituzionale: le autorità riconosciute, come la scuola,
dovrebbero incoraggiare il contatto intergruppi.
Cook modificò la parte relativa agli scopi comuni, e la sostituì con una condizione che nel modello
di Allport era implicita: il fatto che il contatto sia approfondito e continuativo. Il contatto sporadico
non è sufficiente. Pettigrew aggiunge che: le persone devono parlare la stessa lingua, la presenza di
unasituazione economica favorevole.E’ possibile che sia il pregiudizio a ridurre il contatto, e non
viceversa.Gli studi longitudinali (si fanno tanti studi uguali, sulle stesse persone, a distanza di
settimane uno studio dall’altro) possono essere utili nella ricerca sul contatto intergruppi.
Levin fa uno studio su studenti appartenenti a un college multiculturale. Gli studenti del primo anno
avevano molti pregiudizi, al secondo e terzo anno risultavano avere meno amici appartenenti a gruppi
estranei. Sembra che il livello iniziale di pregiudizio sia associato ad un minore contatto durante i
primi anni di college, ma il fatto di sviluppare amicizie negli anni porta ad una riduzione del
pregiudizio. il pregiudizio inizialmente riduce il contatto ma, il contatto può essere in grado di ridurre
il pregiudizio. Il fatto di vivere in un ambiente multiculturale porta le persone ad abbandonare le
proprie resistenze iniziali, e attraverso l’instaurarsi di un contatto favorevole, possa condurre a un
cambiamento di atteggiamento.
Quali sono i processi psicosociali che consentono al contatto di essere efficace?
Allport aveva già cercato di fornire una risposta a questo quesito. Le quattro precondizioni altro non
sono che un tentativo di chiarire QUANDO il contatto riduce il pregiudizio. Secondo Allport il
contatto permette di conoscere l’altro, e quindi permette di eliminare una delle cause principali del
pregiudizio, ovvero l’ignoranza delle reali caratteristiche dell’outgroup.

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Nello studio dei processi psicosociali coinvolti nella relazione tra contatto e riduzione del pregiudizio
è utile applicare i concetti di moderazione e mediazione.
Entrambi si riferiscono al ruolo di una terza variabile nella relazione tra due costrutti, tra contatto e
pregiudizio. Il ruolo della terza variabile è diverso a seconda che il processo sia moderato o mediato.
La moderazione permette di spiegare quando una variabile A è in grado di influenzare una variabile
B. La moderazione si riferisce alle condizioni che favoriscono l’efficacia del contatto. Il ruolo di
moderazione era assegnato alle 4 precondizioni per il contatto ottimale: il contatto riduce il
pregiudizio solo se status simile, cooperazione, scopi comuni, sostegno istituzionale. La mediazione
invece permette di spiegare come è presente un legame tra A e B. Il contatto riduce il pregiudizio
perché incrementa la conoscenza dell’outgroup.
Processi di moderazione:
Il contatto è un costrutto interpersonale, mentre il pregiudizio si situa ad un livello intergruppi. Vi
sono due possibilità. La prima prevede che entrambi i costrutti vengano portati ad un livello
interpersonale: il pregiudizio perderà la sua capacità di essere applicato ai criteri intergruppi: verrà
declinato come un processo interindividuale e in quanto tale dimostrerà tutta la sua infondatezza. La
seconda soluzione prevede inveceche sia il contatto a divenire intergruppi. Per fare questo è
importante che sia presente durante l’interazione, un certo livello di salienza delle appartenenze di
gruppo. I giudizi positivi formulati nell’interazione con l’altro saranno facilmente estesi al suo gruppo
di appartenenza: la persona conosciuta sarà considerata rappresentativa dell’outgroup.
Queste due strategie sono alla base di due proposte teoriche: il modello della personalizzazione e il
modello della mutua differenziazione. In entrambi si ipotizza chela salienza delle appartenenze di
gruppo sia in grado di moderare la relazione tra contatto e riduzione del pregiudizio. Il modello della
decategorizzazione Brewer e Miller partono dall’assunto che la causa principale del pregiudizio sia
da ricercarsi nel processo di categorizzazione sociale. La semplice distinzione tra ingroup e outgroup
è sufficiente a provocare comportamenti discriminativi a vantaggio dell’ingroup. Se si vuole ridurre
il pregiudizioè su questo processo che è necessario agire. Gli studiosi ipotizzano che le interazioni
sociali possono essere poste all’interno di un continuum, che va dalla categorizzazionealla
personalizzazione, passando per un livello intermedio denominato differenziazione. Agli estremi del
continuum l’appartenenza ai gruppi sociali è saliente ai massimi livelli e quindi le persone sono
percepite come membro della categoria. Il contatto per essere davvero efficace non deve in alcun
modo riprodurre i giudizi applicati a livello di gruppo. Il contatto basato sulle apparenze di gruppo
(categorizzazione) darà luogo in modo immediato al processo di generalizzazione dai giudizi relativi
ai singoli a quelli concernenti l’intero outgroup. Anche il contatto caratterizzato dalla differenziazione
rischierà di non essere efficace: variabilità all’interno dei gruppi. Le persone concepiranno dei sotto-
gruppi perché si accorgeranno che tutte le persone hanno alcune caratteristiche quando in gruppo, e
altre quando da soli. Quando gli individui interagiscono con gli altri ponendo solo attenzione agli
aspetti individuali si chiama contatto personalizzato. Gli individui capiranno che i preconcetti basati
sulla categorizzazione non sono realistici. Gli individui cominceranno a dubitare della reale utilità
della categorizzazione e della stereotipizzazione.
La categorizzazione è un processo di base dell’attività cognitiva e la sua funzione è quella di
semplificare l’ambiente, fisico e sociale. Le persone non possono scegliere se affidarsi o meno alle
categorie, le utilizzano in modo automatico. Il modello della mutua differenziazione e del contatto
intergruppi i principali problemi del modello precedente sono due: (1) è difficile fare in modo che le
persone non utilizzino le categorie sociali nella percezione degli altri (2) se le categorie non sono in
alcun modo salienti durante il contatto, allora il processo di generalizzazione che dovrebbe portare
alla riduzione del pregiudizio risulta piuttosto difficile. Hewstone e Brown sostengono che il contatto
dovrebbe essere caratterizzato da un certo livello di salienza delle apparenze del gruppo. Cercano di
creare un modello cooperativo dove però, le persone tengono conto anche minimamente della loro
appartenenza a un gruppo. Tale modello è stato inizialmente chiamato mutua differenziazione, poiché
prevedeva il crearsi di interazioni cooperative in cui fosse reso saliente il contributo specifico portato
dai gruppi coinvolti. Successivamente ha preso
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il nome di modello del contatto intergruppi in modo da sottolineare l’importanza attribuita alla
salienza delle apparenze. La salienza delle apparenze perette di costituire quel legame necessario tra
gli individui e i loro gruppi. Le valutazioni positive generate saranno facilmente estese al gruppo. La
salienza può essere connessa a due costrutti:
1) la tipicità percepita: fa riferimento alla percezione delle persone conosciute come tipiche e
rappresentative dell’outgroup
2) la consapevolezza delle appartenenze: durante il contatto le persone devono tenere in
considerazione le rispettive appartenenze.
Il giudizio positivo sul singolo conosciuto viene generalizzato all’intero gruppo soloquando
l’appartenenza di gruppo è saliente. Il modello integrativo del contatto sintesi tra il modello della
decategorizzazione e quello del contatto intergruppi. Il contatto per essere efficace deve presentare
aspetti legati sia alla personalizzazione sia alla salienza e alle appartenenze di gruppo. Pettigrew
afferma che il contatto ha una sequenza temporale: dovrebbe essere inizialmente personalizzato (in
modo da eliminare la conseguenza della categorizzazione) e poi caratterizzato da un’elevata salienza
delle apparenze. Il limite della personalizzazione è la mancanza del processo di generalizzazione. I
risultati degli studi di Hewstone dimostrano l’importanza di una combinazione tra contatto
personalizzato, in grado di favorire il sorgere di amicizie, e contatto intergruppi, in grado di favorire
il processo di generalizzazione, e quindi di riduzione del pregiudizio. Self-disclousure scambio
reciproco di informazioni personali, di emozioni e pensieri intimi all’interno di una interazione
sociale. Tale scambio è caratterizzato da un’elevata personalizzazione. Per esserci generalizzazione
è necessaria la presenza di almeno un fatto che colleghi il singolo al gruppo tipicità e/o salienza.
Processi di mediazione:
Il pregiudizio spesso deriva dalla combinazione tra categorizzazione e processi di natura
motivazionale. Sempre più autori si sono dedicati allo studio delle emozioni. Il motivo principale per
cui il contatto è in grado di ridurre il pregiudizio è perché il contatto influenza variabili affettive.
Mediazione il contatto influenza le emozioni, le quali influenzano il pregiudizio. L’ansia intergruppi
ansia anticipatoria provata nella previsione di un contatto con i membri dell’outgroup. È legata in
modo specifico a preoccupazioni circa possibili conseguenze negative per il sé. Possono essere:
incomprensioni dovute a differenze culturali, imbarazzo causato da comportamenti scorretti o
inappropriati, paura di essere rifiutati etc. Le persone tenderanno ad affidarsi agli stereotipi e ai
pregiudizi conosciuti.
Tecnica della desensibilizzazione:
gli stati ansiosi possono essere ridotti attraverso una esposizione agli stimoli ansiogeni, l’ansia
intergruppi sarà ridotta proprio al contatto con i membri dell’outgroup. Il contatto riduce il pregiudizio
perché riduce l’ansia intergruppi. I processi di mediazione e moderazione sono qualitativamente
diversi. Solo negli ultimi anni si è giunti a una combinazione tra le due: mediazione moderata e
moderazione mediata. Un processo di moderazione mediata, dato che in genere la salienza delle
appartenenze modera il legame tra contatto e riduzione del pregiudizio. Successivamente, il legame
tra contatto e pregiudizio è mediato dalle emozioni intergruppi, ansia ed empatia. Possiamo ipotizzare
che sia solo il legame tra contatto ed emozioni intergruppi a essere moderato dalla salienza e dalle
appartenenze. Un contatto positivo e frequente caratterizzato da alta salienza delle appartenenze
riduce il pregiudizio, e questo avviene perché tale tipologia di contatto può ridurre l’ansia intergruppi.
Forza dell’atteggiamento: grado in cui un atteggiamento è stabile e certo. Ciò che rende forte un
atteggiamento è l’esperienza diretta. Il contatto diretto non solo è in grado di migliorare
l’atteggiamento verso un outgroup ma anche di rendere tale atteggiamento positivo.
Accessibilità: prontezza con cui una persona è in grado di esprimere un atteggiamento nei confronti
di un dato oggetto. Non sempre il contatto avviene in situazioni favorevoli: è possibile che interazioni
negative portino ad un incremento del pregiudizio. Il contatto esteso conoscere un membro
dell’ingroup che a sua volta conosce un membro dell’outgroup. Tra me e il membro interno c’è una
relazione positiva, tra il m-interno e il m-esterno c’è una relazione positiva secondo la teoria
dell’equilibrio cognitivo, gli individui cercheranno di fare in modo che vi sia concordanza tra le
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diverse valutazioni. Anche per il contatto esteso ci si pone il problema della generalizzazione. Il fatto
di osservare dall’esterno un’amicizia intergruppi, rende più saliente l’appartenenza di gruppo delle
persone. Il contatto esteso sarà poco caratterizzato da stati ansiosi perché è un contatto indiretto, sarà
quindi difficile anticipare conseguenze negative per il sé. Il contatto esteso agisce sul pregiudizio
attraverso l’effetto di processi mediati:
-Riduzione dell’ansia intergruppi
-Percezione delle norme sociali, norme descrittive legate all’osservazione dei comportamenti altrui
-Inclusione dell’outgroup nel sé.
Quando il contatto esteso è efficace?
Il primo studio è stato sviluppato da Paolini dove ha dimostrato che il contatto esteso è in grado di
ridurre i pregiudizi basati sugli aspetti cognitivi. Il secondo filone invece, proposto da Christ, si
riferisce alle caratteristiche del contesto sociale dove il contatto può verificarsi. Il contatto esteso è
particolarmente efficace nei contesti segregati, dove le possibilità di avere un contatto diretto sono
poche. Il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa quello attraverso i mass media non potrebbe
essere definito contatto, non vi sono interazioni tra gli spettatori e le persone osservate. Schiappa e
Greg hanno elaborato l’ipotesi del contatto parasociale. Le interazioni parasociali dovute alla
fruizione dei media, possono produrre gli stessi effetti delle interazioni reali poiché coinvolgono i
medesimi processi, tra cui l’acquisizione di informazioni e la creazione di legami affettivi ed emotivi
con i membri dell’outgroup. Il contatto immaginato: immaginare di interagire con i membri
dell’outgroup, immaginarsi mentre si compie una determinata azione può facilitare la successiva
esecuzione della stessa. Secondo Stathi gli effetti del contatto immaginato sembrano essere legati
principalmente ad una proiezione dei tratti positivi del sé all’outgroup. Il contatto immaginato porta
a una maggiore proiezione di tratti positivi del sé all’outgroup: (1) quando i partecipanti appartenenti
a un gruppo di maggioranza immaginavano un contatto positivo con un membro della minoranza; (2)
per i partecipanti che si identificavano poco con l’ingroup; (3) quando una descrizione di sé
precedeva una descrizione dell’outgroup. Il contatto immaginato è efficace quando i gruppi non sono
particolarmente salienti.
Secondary transfer effect:
si verifica quando il contatto con i membri di un outgroup riesce non solo a migliorare l’atteggiamento
verso quell’outgroup specifico, ma anche verso altri outgroup presenti nel contesto sociale.
Deprovincializzazioneconoscere i membri di gruppi estranei porta le persone ad ampliare le proprie
vedute e ad abbandonare la concezione che l’ingroup sia meglio di tutto.
Le strategie di riduzione del pregiudizio basate sulla categorizzazione.
La categorizzazione sociale è un fattore determinante per il sorgere del pregiudizio. E’ sufficiente
dividere le persone in gruppi per creare fenomeni di discriminazione e favoritismo per l’ingroup.
Esistono tre strategie di riduzione del pregiudizio che si basano sul processo di categorizzazione:
l’identità comune, la categorizzazione incrociata e la complessità dell’identità. Le strategie della
categorizzazione possono ridurre il pregiudizio perché le stesse persone vengono percepiti in modo
diverso rispetto a prima. Il modello della ricategorizzazione o identità comune molte forme di
pregiudizio si basano sull’indifferenza che normalmente caratterizza le relazioni con gli sconosciuti.
Le persone preferiscono i membri dell’ingroup, ma questo non vuol dire per forza che discrimino
persone appartenenti all’outgroup. Dovidio crede che la soluzione a molti problemi sociali possa
essere la riduzione dell’indifferenza verso gli altri e l’incremento della percezione di vicinanza nei
loro confronti. (al posto di “bianchi” o “neri” statunitensi) Cambiando la categorizzazione applicata
alle stesse persone, da membri dell’outgroup a membri di un ingroup sovraordinato. Ci sono diversi
fattori in grado di favorire la percezione di un ingroup comune: possono essere fondamentali elementi
di carattere contestuale come ad esempio l’abbigliamento, devono essere presenti obiettivi comuni e
cooperazione. La presenza di un compito intergruppi cooperativo incrementa la percezione di un
ingroup comune da parte dei partecipanti.

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Identità duale: in tutti quei contesti sociali in cui la distinzione tra gruppi non è ignorabile. I gruppi
saranno comunque inseriti all’interno di un contesto cooperativo, dato dalla presenza dell’ingroup
sovraordinato, ma potranno al contempo mantenere la loro rassicurante distintività.
Strategie di acculturazione: sono quattro e sono definite dalla combinazione tra due dimensioni: il
mantenimento o meno delle identità culturali e dei valori dei gruppi originari e la ricerca o meno di
contatti positivi tra gruppi presenti nella società.
1) integrazione se si auspica la contempo l’instaurarsi di contatti intergruppi e mantenere l’identità
dei gruppi stessi;
2) separatismo se il contatto sarà evitato;
3) assimilazione se si vogliono mantenere le identità culturali ma anche si auspica il contatto tra
gruppi;
4) marginalizzazione se si nega il contatto tra gruppi.
Le categorie di cui gli individui fanno parte sono molteplici. L’idea che guida il modello della
categorizzazione incrociata è che tali effetti di accentuazione percettiva possono essere sfumati dal
fatto di considerare simultaneamente due categorizzazioni e incrociarle tra loro. L’incrocio porta a
fenomeni di convergenza tra quelle che prima erano due classi distinte. Si va a formare un contesto
più variegato dove sarà difficile capire chi è membro dell’ingroup e chi dell’out. Il fatto di utilizzare
due categorizzazioni incrociate porterà ad un annullamento del pregiudizio verso le persone che
precedentemente risultavano essere membri dell’outgroup di una delle due dimensioni.
La categorizzazione incrociata può portare a sette pattern di risultati differenti:
1. Pattern additivo: all’origine del favoritismo ci sono i processi di confronto sociale e di ricerca di
un’identità sociale positiva. Il modello additivo prevede che il doppio ingroup sia il gruppo
maggiormente favorito.
2. Dominanza: si verifica quando l’incrocio tra due categorie non da i risultati sperati, e l’andamento
dei dati è identico al precedente per la categorizzazione dominante.
3. Inclusione sociale: si riferisce al fatto che qualsiasi gruppo che costituisca un ingroup per almeno
una dimensione riceverà una valutazione positiva.
4. Esclusione sociale: qualsiasi gruppo che rappresenti un outgroup per almeno una dimensione verrà
valutato negativamente.
5. Accettazione gerarchica: tra le due categorie vi è una sorta di interazione: la prima dominante, e
l’effetto della seconda si manifesta solo quando la prima indica la presenza di un ingroup.
6. Rifiuto gerarchico: la differenziazione sulla base della seconda categorizzazione avviene solo peri
gruppi definiti come outgroup sulla base della prima categorizzazione.
7. Equivalenza: è quello maggiormente auspicabile: corrisponde alla percezione di uguaglianza tra i
4 gruppi definiti dall’incrocio delle due categorizzazioni.
Le variabili in grado di alterare il peso delle categorizzazioni sono: gli stati affettivi e il
priming categoriale. Stati Affettivi è possibile distinguere tra due tipi di stati affettivi all’interno delle
relazioni intergruppi. Quelli integrali (emozioni generate direttamente da una persona presente nel
contesto intergruppi) e gli stati affettivi incidentali (emozioni come felicità e tristezza, che possono
sorgere in un contesto determinato, ma che non dipendono in modo specifico dalle persone coinvolte).
Uno stato affettivo positivo può favorire il passaggio da un pattern additivo a un pattern di inclusione
sociale.
Priming categoriale gli stati affettivi influenzano i pattern di categorizzazione incrociata perché
attivano nei partecipanti i concetti gruppo di appartenenza e gruppo estraneo. Le emozioni positive
sono collegate all’ingroup processo di inclusione vs esclusione categoriale.
L’enfasi sulle molteplici appartenenze categoriali serve a infrangere la monoliticità dell’outgroup,
mostrano a una persona che nutre pensieri pregiudiziali che gli altri non siano in tutto e per tutto
diversi dal sé. La complessità dell’identità sociale è quindi la variazione nel modo in cui gli individui
integrano mentalmente le loro diverse identità sociali. Le differenti identità di un individuo non
convergono in un'unica appartenenza.
-Intersezione: ingroup definito come l’intersezione tra le diverse appartenenze di un individuo
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-Dominanza: ingroup definito sulla base di una sola dimensione
-Compartimentalizzazione: le diverse appartenenze non sono integrate tra loro, ma sono salienti
indipendentemente l’una dall’altra
-Fusione: diverse appartenenze riconosciute simultaneamente come ingroup integrate in un ingroup
inclusivo.
La complessità dell’identità sociale può essere misurata in due modi:
1) considerando la percezione di somiglianza tra i membri prototipici dei diversi gruppi di
appartenenza
2) rilevando la percezione di sovrapposizione tra i diversi ingroup.
Le persone con un’identità complessa sono consapevoli che individui appartenenti all’ingroup in una
dimensione potrebbero simultaneamente essere membri di un outgroup maggiore tolleranza dei
gruppi estranei. La complessità dell’identità sociale sembra essere utile per quei processi che portano
alla riduzione del pregiudizio.
L’elementare differenziazione tra ingroup e outgroup, su cui si basa il pregiudizio, non è in grado di
reggere ad una osservazione precisa della realtà sociale. La società non può che apparire come un
fenomeno ricco e complesso, irriducibile a una semplice distinzione tra noi e loro.

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