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INTRODUZIONE AGLI STUDI DELLA STORIA

1. Passato e presente. Il tempo e la causalità


Nella civiltà occidentale, significative energie intellettuali ed economiche sono state
dedicate allo studio professionale del passato, alla ricerca storica e alla sua trasmissione.
Non tutte le epoche sono tuttavia ugualmente sensibili al rango della storia. Lo sono meno
quelle in cui i processi di legittimazione sono legati a caratteristiche divine e naturali. La
storia è dunque una sorta di elemento aggiuntivo, di cui non tutte le civiltà hanno ritenuto
di aver bisogno per giustificare i propri equilibri, perché preferivano presentarsi e
raccontarsi come immutabili, paghe del loro presente o della loro eternità. Ad esempio,
non conosciamo nulla delle vicende dell’India antica, pur avendo testimonianze
straordinarie del suo pensiero e della sua arte, come se per l’antica Grecia possedessimo
Platone, Omero, Fidia ma non Erodoto o Tucidide.
Si sente il bisogno di una legittimazione attraverso la successione casuale e temporale, se
e perché non basta la legittimazione discendente dalla sola volontà divina. Si studia il
passato in funzione del presente. È il presente a richiedere una giusta efficace successione
degli eventi; la storia, infatti, è un racconto finalizzato a legittimare un ordine gerarchico,
fra centri di potere o fra ceti, a spiegare perché chi ha vinto, o chi vince, o chi vincerà,
aveva, ha, avrà dalla sua un percorso casuale e temporale con radici lontane e prospettive
future.
Il confine fra passato e presente è un confine mobile e non univocamente definito: a
seconda del momento che viviamo nel presente, delle convinzioni diffuse, del sistema di
valori condiviso nella società, delle strutture materiali che inquadrano la realtà, possiamo
ritenere che il presente stia in continuità con tempi più o meno lontani. Il passato non è
d’altronde una mera successione di eventi. La semplice elencazione di ciò che è accaduto
non legittimerebbe infatti nulla, né si presterebbe ad alcun uso pubblico. Il positivismo
propone il compito di ricostruire le cose per come sono propriamente state. Ma questa
grande sfida culturale si è arresa in un paio di generazioni alle manifeste impossibilità di
determinare una verità univoca ed esauriente, immune sia dalla parzialità della fonte, sia
della causalità e dall’intenzionalità della conservazione, sia dalla soggettività del punto di
vista che osserva, che studia, che interpreta, che capisce. La storia è una scienza debole,
la quale tratta una conoscenza che non prescinde mai dall’uso collettivo che ne fa un
pubblico vasto, non specialista, addirittura incolto.
In conclusione “un efficace insegnamento della storia non si risolve nella informazione su
avvenimenti e personaggi del passato. È anzitutto promozione delle capacità di
ricostituzione dell’immagine del passato partendo dal presente e di individuazione delle
connessioni tra passato e presente”. Non posso sapere la storia se non so di quali
documenti si avvale uno storico. “Questa facoltà di apprendere ciò che si vive è la massima
virtù dello storico” (Bloch). Il passato è importante per avere consapevolezza del presente:
il rischio di mettere la storia da parte, potrebbe fare pensare il Colosseo come un’opera
pubblica incompiuta.
2. Relatività. La storia come scienza sociale
Alle origini della cultura storica occidentale stanno due capostipiti appartenenti al mondo
greco: Erodoto e Tucidide. Per Erodoto la storia è come un viaggio in una realtà straniera,
nella quale la conoscenza procede dalla verifica delle similitudini e dell’alterità rispetto al
mondo che ci è familiare. Tucidide rappresenta invece un modello di storia che aspira al
rigore di una narrazione vera, e indaga su eventi direttamente percepibili. Nella seconda
metà dell’Ottocento, dopo anni di confronto tra le due tesi, si arriva ad una decisone: la
conoscenza storica ha il compito di accertare la verità nel passato, attraverso l’esame di
fatti individuali accertabili con precisione e rigore, sul modello delle procedure delle
scienze della natura. Questo paradigma tucidideo, perché il suo scopo principale era
l’accertamento dei fatti, ma era anche un po' erodoteo, perché dagli avvenimenti e dalle
strutture si ricavava definizioni di identità, appartenenze e genealogie.
È contro questo modello di storia che la scuola storiografica francese raccolta attorno alla
rivista Annales combatte, la sua battaglia per una storia totale, globale. Totale significa
anzitutto sociale, che non privilegia gli individui, ma i modi di relazioni fra gli uomini, le
aggregazioni di queste. È una rivista trimestrale diretta da Marc Bloch e Lucien Tebure.
Pensano ad una storia che dialoga con economia e società: si parla di una
interdisciplinarietà. Si vuole fare intendere una storia (nuovelle historie), globale e totale
dei contenuti che non si limita, ma anzi si relazione con più scienze. Con le Annales
prevaleva una nuova prospettiva, la comparazione scientifica di tutti gli aspetti materiali e
culturali delle più diverse società, separate dal tempo e dallo spazio, ma accumunate dal
ritorno di strutture del pensiero e del comportamento. La valorizzazione del quotidiano,
del materiale, caratterizzati dalla ripetitività, diveniva uno dei campi privilegiati degli studi
storici, accanto alle mentalità collettive, con lo scopo di identificare e portare alla luce le
permanenze di lunga durata delle abitudini che strutturarono il modo di produrre e di
consumare, di abitare e riprodursi, di comandare e obbedire, di immaginare e credere,
propri di una data collettività umana. Oltre al rovesciamento della prospettiva implicato
dalla considerazione di masse e non di individui c’è lo spostamento dell’osservazione dal
fatto individuale e irripetibile al dato che si ripete con regolarità e costanza. L’aspirazione
degli storici della seconda metà de Novecento è principalmente quella di qualificare la
storia come scienza sociale. Campo di indagine dello storico divengono così: la storia
politica, le abitudini mentali collettive, alimentazione, famiglia, quotidianità, demografia,
donne, morte ect… Con questa rivoluzione, il nucleo di quello che si studia, l’insieme
persistente di relazioni, si deve adottare un arco cronologico molto ampio chiamata lunga
durata; una realtà di una regione che impregna il presente; ci sono avvenimenti che si fanno
storia nella lunga durata e possiamo essere coinvolti tutti, anche se non lo sappiamo o non
lo vogliamo.” Queste strutture che cambiano spesso hanno il rischio di scomparire. Nella
lunga durata può capitare che eventi nervosi, come le rivoluzioni, trovino la loro fine.
Perciò, gli eventi per essere ricordati devono avere aspetti di tipo quantitativo, perché solo
se c’è un ritorno quantificabile vale la pena di studiare la storia: “solo il quantificabile può
essere oggetto di una storia scientifica, e lo storico dovrà essere un programmatore”
(Thomposon). Si parla anche di una rivoluzione a livello documentario; si guarda ad altre
fonti, che non sono sole scritte, ma si ha una storia orale, il paesaggio, la lingua, i prezzi, il
fisco, la produzione di beni, il folklore i reperti archeologici e molto altro. Da qui pure il
successo anche presso il grande pubblico delle opere degli storici che riflettono sugli
aspetti della realtà, delle considerazioni dei gesti e delle attività condivise da grandi
moltitudini, dai problemi del rapporto fra l’uomo e il mondo della natura.

3. Fare storia. Spiegazione e narrazione


La grande stagione della storia come scienza sociale: la storia quantitativa che usa le fonti
in maniera seriale, la storia delle strutture, introdotta dalla scuola delle Annales, ha
dimostrato segni di stanchezza e ha finito col passare di moda nell’ultimo quarto del XX
secolo. Nasce una controrivoluzione rispetto a:
 Alla scomparsa degli uomini e dei casi particolari, che non sta solo nel fatto di citare
nome e cognome dei singoli individui;
 “Ritorno al racconto”: è un ritorno alla storia politica che si unisce alla lunga durata.
Non si ritorna ad un fare storia prima dell’800, ma c’è una fusione. Es: per capire la
rivoluzione francese, non ci si limita solo al 1789, ma si parte da anni prima
precedenti per giungere a vicende che si conclusero dopo un secolo;
 “Microstoria”: è un modo profondo di fare storia. Il più delle volte è una storia dei
vinti, dei poveri, in molti casi anche di donne, insomma è un modo di raccontare
singole avventure o sventure, le quali aprano uno squarcio di luce sulla realtà;
 “Storia culturale”: studia quali sono stati nel passato i sistemi di significati, gli
atteggiamenti e valori condivisi unitamente alle forme simboliche in cui essi si
esprimono e si traducono. Es: le immagini parlano nella misura stessa in cui io mi
pongo delle domande.
La storia, inoltre, e metodologicamente la più fragile fra le scienze sociali, anche perché è
la più inquinata di soggettività e di apporti connessi col suo uso pubblico, col suo carico
ideologico. La ricostruzione del passato si fonda sul lavoro accumulato da generazioni di
testimoni e studiosi, sul cui operato non si può sempre tornare a verificare il metodo.
Perciò non c’è altro modo di accostarsi a ciò che è accaduto, se non ricostruendo i punti di
vista, le emozioni, le intenzioni di chi ha raccontato avvenimenti o ha descritto e spiegato
strutture, situazioni e istituzioni.

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