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Carlos Antonio Aguirre Rojas

Manuale di storiografi occidentale, dal Marxismo alla microstoria italiana


Questa introduzione già ci conduce nel pieno di quel fondamentale ramo degli studi storiografici
che è la storia della storiografia, che, però, pur trovando un seguito dappertutto, è portata avanti
nelle aree diverse in forme disuguali e con differenti risultati. Esistono, in altre parole, dei paesi,
quali l'Italia, che possiedono ormai una grande tradizione di lavoro ed importanti riflessioni
dedicate a questo campo di studio, ma ve ne sono anche altri in cui la storia della storiografia,
sebbene presente, occupa comunque un ruolo secondario o marginale. Né mancano nazioni che o
semplicemente ignorano l'esistenza di questo odierno settore della storia, o ne hanno sviluppato
versioni limitate, descrittive o puramente monografiche.
Molto lontano da questa posizione positivista, su esto libro cerca invece di partire da una
concezione più complessa ed elaborata di ciò che deve essere la storia della storiografia,
aggiungendo non solo la dimensione critica che le è necessaria, ma anche i diversi apporti che la
stessa storiografia del XX secolo ha aggiunto riguardo al modo di studiare ed interpretare qualsiasi
libro o qualsiasi opera stampata e la sofisticata elaborazione teorica che si è sviluppata intorno al
genere della biografia in generale e della biografia intellettuale in partico-lare, a cominciare, per
esempio, dai contributi della storia letteraria rispetto alla stessa nozione di "autore". Questo libro
vuole partire, al tempo stesso, dagli sviluppi della linguistica sui differenti livelli di messaggio
contenuto nei singoli strati ed elementi del discorso, o della storia culturale intorno alle culture
egemoniche o alle culture subalterne, o della filosofia sugli "epistemi" che sottendono alla
produzione culturale di tutta un'epoca, o della sociologia dei gruppi e delle reti di socialità
intellettuale, o della storia delle scienze e dei saperi in generale, ponendo la propria enfasi sui
problemi della trasmissione intellettuale e della generazione dei nuovi paradigmi, in seno alle stesse
tradizioni che negano e sconvolgono. Con tutto ciò è stato menzionato solo qualche possibile
esempio di questo vasto universo di coordinate che sovradeterminano e definiscono questa odierna
impresa di studiare l'attuale storia della storiografia, ma, in sintesi, si può dire che occorrerà
utilizzare tutti gli strumenti intellettuali che lo stesso XX secolo ha prodotto, non solo all’interno
della storia ma anche di tutte le scienze sociali in generale.
Capitolo I
Il ruolo della storiografia contemporanea all’interno dei discorsi storici e i saperi sociali della
modernità
Come dice Marx, la società borghese è la prima, in tutta la storia umana, in cui l'elemento sociale e
storico è dominante sull'elemento naturale, e questo si manifesta nel fatto che la città domina per la
prima volta la campagna, e l'industria domina l'agri-coltura. Ciò si vede anche nel processo radicale
di desacralizzazione del mondo, nell'invenzione di un quadro temporale di carattere
fondamentalmente sociale, nella rottura totale dei limiti antropocentrici dei processi di lavoro o nel
progressivo addomesticare e regolare i comportamenti istintivi e l'espressione diretta e brutale delle
emozioni, delle passioni immediate, e così via". Una promozione dell'elemento sociale-storico al
ruolo di elemento dominante, che spiega altresì la possibilità di pensare separatamente al sociale
rispetto al naturale, stabilendo lo spazio per l'ulteriore divisione fra le due "culture", quelle
dell'ambito delle scienze "esatte" o "naturali" o "pure" e quella delle scienze sociali o umane.
Tale strategia della scienza sperimentale, con le sue diverse conseguenze, si riflette anche sul piano
della storiografia. La seconda variante dei discorsi storici che si affermano lungo questa prima tappa
della modernità, di conseguenza, è una storia empirista o oggettivistica che, cercando di riprodurre
nell'ambito del sociale questo stesso modello delle scienze naturali sperimentali, tenta di elaborare
una storia anch'essa utile e strumentale che, basandosi sulla critica delle fonti e sul vaglio rigoroso
di documenti scritti e di diverse testimonianze, stabilisca le verità incontestabili del divenire storico;
verità datate e ordinate cronologicamente le quali, sottomesse alla prova della critica interna ed
esterna dei documenti, possono essere utilizzate per riaffermare valori e identità nazionale, per la
formazione civica dei cittadini e per la giustificazione e legittimazione dei poteri dominanti
esistenti.
Questa storia obiettiva ed empirica avvicina il lavoro dello storico a quello del giudice — nella
misura in cui entrambi, a partire dal confronto, critica e lavoro sulla testimonianza, cercano di
stabilire la verità obiettiva e irrefutabile dei fatti — e sfocia nella progressiva dissoluzione delle
antiche storie leggendarie, mitiche e religiose, che a poco a poco saranno completamente
abbandonate in beneficio di quella "storia reale" basata su verità fermamente comprovate ed
empiricamente stabilite.
All'interno di questo quadro generale di insufficienza dell'universalismo astratto del pensiero
borghese e di riaffermazione della logica pratica empiristica e sperimentale, e con la nascita
dell'orizzonte globale tuttora valido del pensiero critico attuale, a partire dal progetto di Marx, si
aprono i vari percorsi essenziali della traiettoria della storiografia del ventesimo secolo storico, le
cui epoche principali vale la pena ora analizzare con maggior attenzione.
Capitolo II
La periodizzazione dell’itinerario della storiografia contemporanea
Le quattro differenti tappe che la storiografia contemporanea ha percorso lungo il suo complesso,
recente cammino permettono di ricostruire, nella visione d'insieme, l'insieme delle "eredità", delle
tradizioni e delle forme per svolgere il mestiere di storico che oggi si possono trovare all'interno dei
differenti ambiti delle storiografici nazionali di tutto il pianeta. Ossia: l'insieme di prospettive,
autori, correnti e temi centrali che ancor oggi abitano nei diversi spazi che occupa la disciplina della
storia, nelle storiografie di tutto il mondo.
In questo modo, percorrendo con gli "stivali dalle sette leghe"' l'itinerario della storiografia
contemporanea, appare chiaro che questo periodo è cominciato in una congiuntura, in un momento
di rottura fondatrice, che va dal 1848 al 1870 e che, essendo questo un periodo particolarmente
importante della storia generale europea, ha fatto nascere la prima bozza, il primo tentativo
sistematico ed organico di fondare, attraverso il progetto critico del marxismo originale, una vera
scienza della storia.
A questa prima tappa della storia contemporanea ne segue una seconda che, comprendendo il
periodo dal 1870 al 1929 circa, è il momento della costituzione di una prima egemonia storiografica
il cui centro fondamentale di irradiazione si colloca nel territorio di lingua tedesca dell'Europa
occidentale, per divenire poi una specie di "modello" generale per l'insieme delle altre storiografie
europee e del mondo di quei tempi.
Con la terribile crisi scatenatasi nella cultura tedesca per l'ascesa tragica del nazismo, finirà questo
secondo periodo della storiografia recente, aprendo passo ad una terza fase, caratterizzata
dall'emergere di una seconda egemonia storica che si colloca, in termini generali, nello spazio del
territorio francese.
Si avrà così una seconda egemonia, un secondo modello generale storiografico, ispirazione o
referente obbligato per tutti gli ambienti storiografici di quell'epoca, che terminerà a sua volta con
quella profonda rivoluzione culturale, dalla rilevanza mondiale e dalle importanti conseguenze
civilizzatrici, che è stata la rivoluzione del 1968.
Per completare degnamente questo complesso percorso degli studi storici contemporanei, ha preso
avvio una quarta ed ultima tappa, che deriva direttamente dalle grandi e profonde trasformazioni
che il 1968 ha apportato a tutti i meccanismi della riproduzione culturale della vita sociale moderna,
nella quale non esiste più nessuna egemonia storiografica ma, al contrario, si ha una nuova e inedita
situazione di policentrismo, tanto nell'innovazione quanto nella scoperta delle nuove linee di
progresso della storiografia, che si prolunga fino ai nostri giorni.
Se definiamo brevemente le caratteristiche di queste quattro tappe principali, vedremo che si tratta
allo stesso tempo di definire quegli elementi fondamentali che permettono di capire i diversi tipi di
storia in cui si suddivide attualmente il panorama storiografico, ossia i diversi tipi di storia che oggi
si studiano non solo in Germa-nia, Italia o Francia, ma anche, chiaramente, nell'intera Europa, ma
pure in Messico, in Perù o in tutta l'America Latina o in Russia, Cina o India. Ossia in tutto il
mondo. Occorre quindi individuare i diversi modi di esercitare il sempre più complesso, eppure
sempre più appassionante, mestiere di storico i quali, al confrontarsi, sovrapporsi ed andare a
coincidere, si disputano sempre le preferenze di tutti coloro che si dedicano alla difficile impresa
della Musa Clio.
Cerchiamo allora di avvicinarci con maggior cura a questi quattro momenti fondamentali
dell'itinerario contemporaneo della storiografia recente.

Il punto di partenza della storiografia, che realmente possiamo chiamare contemporanea, si colloca
in quel primo periodo che va dal 1848 al 1870, ossia nelle circostanze della nascita e della prima
affermazione del marxismo. Il marxismo nasce fra il 1848 e il 1870 e si definisce, come disse una
volta un importante marxista francese dell'epoca dell'auge dello strutturalismo, come il momento
della nascita del continente 'Storia' all'interno dello spettro delle scienze umane, come l'inizio del
progetto moderno di fondazione e apertura di una vera scienza della storia. Questo significa che,
rispetto al problema che abbordiamo qui, sulle origini dei profili attuali degli studi storici del
ventesimo secolo, il progetto critico di Marx ed Engels è in verità il momento in cui la storia esce
dal lunghissimo periodo in cui aveva vissuto durante secoli e perfino millenni, in cui si confondeva
senza troppo conflitto con il mito, la leggenda e il mondo della finzione e della letteratura, per
passare finalmente allo sforzo di cercare di costituirsi come una vera impresa ragionata di analisi"
Ovvero, è da questa data simbolica del 1848 e del concomitante sviluppo del progetto critico di
Marx che prende avvio anche la costituzione di una reale scienza della storia, il cui oggetto di studio
sarà la ricostruzione critica delle diverse curve evolutive percorse dalla società umana, all'interno
dell'ampio arco temporale in cui queste stesse si sono protratte. Un momento di fondazione di una
nuova scienza, o di apertura di un nuovo spazio nel sistema dei saperi scientifici contemporanei, che
inaugura allo stesso tempo la storia particolare di quello che oggi è la storiografia in quel "lungo
ventesimo secolo storiografico" che scorre dal 1848 ai nostri tempi, ovvero della storiografia che
più precisamente e rigorosamente possiamo chiamare in verità la storiografia contemporanea.
Non c'è dubbio che, senza prendere in considerazione il marxismo, difficilmente potremmo
comprendere gli studi storici del ventesimo secolo e dell'attualità. Nonostante la visione disincantata
postmoderna, e nonostante il cambiamento della sensibilità dell'opinione pubblica e di vasti settori
dell'intellettualità, prima critica in tutto il mondo — cambiamenti dalle posizioni di sinistra, che
hanno goduto di tanta forza e tanto movimento negli anni Sessanta e Settanta, verso posizioni più
che altro conservatrici e di rinuncia, che sono state caratteristiche degli anni ottanta e novanta-,
risulta chiaro come sia impossibile capire oggi gli studi storici senza tener conto dell'influenza e
degli echi che ha avuto il marxismo in tutta la storia della storiografia dal 1848 ad oggi.
Risulta chiaro, inoltre, che la data d'inizio del moderno progetto di costituzione di una scienza
storica e quindi dei profili della storiografia oggi viva, associata alla rivoluzione europea del 1848 e
alla nascita del marxismo, non ha nulla di casuale. Il 1848, infatti, è il punto storico che ha cambiato
il senso dell'intera traiettoria secolare della modernità, il momento in cui si esaurisce la lunga fase
ascendente di quella modernità, iniziata nel sedicesimo secolo, per aprire il passo all'aspetto
discendente di questa stessa modernità, che si è sviluppata a partire della congiuntura del 1848-70
fino ad oggi.
Questo significa che tutta la storiografia contemporanea è cresciuta, nei suoi diversi momenti,
all'interno dell'orizzonte di questo ramo discendente della modernità e, quindi, in uno spazio
segnato dalla possibilità di avanzare in senso critico, in direzione opposta alla concezione
tradizionale che era stata dominante nella fase ascendente di quella stessa modernità borghese e
capitalistica "3.
È precisamente questa virata, fondamentale del lungo ciclo vitale della modernità che raggiunge il
suo punto massimo nella congiuntura del 1848-1870, che spiegherà sia il complesso processo della
nascita del marxismo - l'espressione negativo-critica della modernità stessa —, sia il progetto di
superamento critico dei discorsi storici anteriormente dominanti che prima abbiamo descritto, oltre
alle corrispondenti forme di concepire la storia che vanno di pari passo con quei discorsi. A partire
da tutto ciò, dunque, prende avvio lo sforzo dell'edificazione iniziale di quel progetto,
tutt'oggi attuale ed ancora in via di costruzione di una vera prospettiva scientifica per gli studi
storici.
Analogamente, l'idea che la storia debba dare priorità ai fatti reali rispetto alle concezioni e alle
fantasie degli attori e protagonisti — ovvero che debba essere una storia materialistica — e la tesi
che la storia la facciano i grandi gruppi e le classi sociali e non i grandi condottieri, capi ed "eroi",
per quanto importanti questi ultimi possano essere — ciò che equivale a dire che la storia è sempre
una storia profondamente sociale — derivano entrambe dall'apporto originale del marxismo
fondatore o iniziale.

Allora, in questo clima intellettuale, di segno inverso a quello dell'anteriore congiuntura del 1848-
1870, prospererà quel secondo ciclo della storiografia contemporanea, segnato dall'emergere di un
sistema in cui una nazione, o uno spazio, o un'area intellettuale funziona come centro principale
dell'innovamento storiografico, e le altre storiografie lo imitano o lo seguono da vicino o lontano,
per costituirsi in diverse periferie o semiperiferie di quello stesso centro. Quando, peraltro,
assumiamo una prospettiva più ampia, ci risulta chiaro che, fra il 1870 e il 1930 circa, è stato quasi
sempre il mondo di lingua tedesca quello che ha giocato il ruolo di dominio egemonico nella
storiografia europea e mondiale. Perché è chiaro che è quello spazio intellettuale di lingua
germanica che, la maggior parte delle volte, darà i natali alle ricerche, ai temi, ai dibattiti e alla
storiografia che possiamo considerare la storiografia di avanguardia, durante questi ultimi decenni
del secolo diciannovesimo — cronologico — e inizi del ventesimo secolo. In seno alle culture
tedesca e austriaca di queste stesse epoche si formeranno, si estenderanno e si produrranno i
principali contributi di quelli che saranno gli autori più importanti della storiografia mondiale, alla
vigilia della Prima guerra mondiale e immediatamente dopo di essa.
E assolutamente logico che sia all'interno di questa storiografia di lingua tedesca che si detiene
l'egemonia o il dominio storiografico negli studi storici fra il 1870 e il 1930, laddove si estenderà
l'importante e famosa polemica sulla Methodenstreit all'interno della quale si produrrà anche la
discussione sulle differenze fra le scienze naturali e quelle dello spirito. All'interno di questo
universo culturale di lingua tedesca crescerà il progetto della Kulturgeschichte e di altre diverse
linee della allora nuova storia sociale tedesca e austriaca".
All’interno di questa storiografia della Germania e dell’Austria, si affermerà e si convertirà nel
modello storiografico dominante la storiografia che si è caratterizzata con il termine storiografia
positivistica.
Questa forma dominante, ignorando i progressi e i contributi che aveva rappresentato il marxismo
per la possibile costruzione di una vera scienza storica, è tornata all'assurda idea di equiparare la
storia con le scienze naturali, per cercare una possibile "obiettività" assoluta dei risultati conoscitivi,
attraverso la riduzione della sua pratica alla semplice dimensione erudita del lavoro dello storico".
La storiografia positivistica, che si annovererà fra i suoi lineamenti più importanti, come ben noto,
l'essere un culto feticista ed esagerato rispetto al testo", è una storia impoverita che riduce il lavoro
dello storico al semplice lavoro dell'erudito o antiquario, per considerare questi documenti scritti
l'unica ed esclusiva fonte legittima del lavoro storico, proiettando in tal modo come definizione e
concezione di ciò che è e ciò che deve essere la disciplina storica quella visione che risulta,
effettivamente, da un secolo intero di raccolte di documenti, di un secolo di classificazioni,
verificazioni dell'autenticità e aggiornamento di quelle informazioni che prima non erano accessibili
agli storici.
È chiaro che questa storiografia positivistica, che allo stesso tempo comprende i grandi progressi
che l'erudizione storica ha raggiunto nel secolo XIX dopo la rivoluzione francese ma che retrocede
rispetto all'enorme rivoluzione che aveva implicato il marxismo all'interno del campo della storia,
possiederà alcune importanti virtù collegate al fatto che insiste nell'importanza di imparare il lavoro
paziente della ricerca delle fonti e della distinzione fra fonti storiche e fonti letterarie, insegnandoci
inoltre i procedimenti abituali della critica esterna e critica interna dei documenti e dei testi e
dimostrandoci come distinguere un documento vero da uno falso.
Istruendo su tutto ciò che ha a che vedere con la dimensione erudita della storia, questa storia
positivistica rankeana ha alimentato l'insieme degli ambiti storiografici nazionali delle più diverse
parti del mondo, a volte anche eccessivamente o con una forza ed una tenacità sorprendenti.
Questo, però, non toglie che sarebbe impossibile comprendere il paesaggio degli studi storici attuali,
senza tener in conto il piccolo ma decisivo apporto di questa storiografia positivistica. È chiaro,
infatti, che non ci può essere storia senza erudizione, sebbene sia evidente che la storia non si riduce
mai alla sola condizione erudita, e che per accedervi sia necessario trascendere la semplice
condizione di "antiquario" o di collezionista e appassionato della “curiosità del passato”.

Un terzo periodo definito in questo percorso globale della storiografia del XX secolo deriverà
direttamente dalla crisi, di cui abbiamo parlato prima, del secondo momento di questo itinerario.
Dopo i successivi colpi che hanno patito la cultura e la storiografia di origine germanica, si
costituirà una seconda egemonia storiografica forte all'interno dello spazio europeo ed occidentale.
Se cerchiamo di determinare quale sia la nazione o lo spazio intellettuale che domina il paesaggio
storiografico nel 1950, vedremo che nove volte su dieci gli autori più innovativi e rilevanti della
storiografia di questi tempi sono ora storici francofoni. E la Francia, infatti, quella che adesso è
diventata egemonica nei termini della cultura delle scienze sociali e, al tempo stesso, della storia
che si scrive e insegna maggiormente nelle Università europee e di gran parte del mondo.
Questa nuova egemonia storiografica si costituirà attraverso un complesso progetto di una vera
"rivoluzione nella teoria e nella pratica della storia", portato avanti dalla allora ancor giovane
corrente degli Annales. Saranno infatti gli Annales francesi che domineranno Il paesaggio
storiografico fra il 1929 e il 1968 circa, partendo da un progetto che si costituisce come
contrappunto perfetto della storiografia positivistica dominante, di cui abbiamo parlato prima. E non
solamente perché gli Annales criticheranno in pieno quella storia rankeana, ma anche perché di
fronte a quella storia concentrata solo nell'aspetto militare, biografico, politico e diplomatico, la
nuova prospettiva annalista proporrà la ricostruzione di una storia totalizzante che comprende
chiaramente tutto il tessuto sociale nel suo insieme. E così, anziché studiare solo i grandi uomini e
le grandi battaglie ed i trattati, che costituiscono i fatti 'risonanti' della storia, gli storici annalisti
studieranno le civiltà, le strutture economiche e le classi sociali, le credenze collettive popolari o il
moderno capitalismo, e tutto ciò da diversi punti analitici ed epistemologici radicalmente differenti
rispetto ai limitati orizzonti di quella storia tradizionale, positivistica e ufficiale.
Di fronte alla storia positivistica che afferma che l'oggetto di studio dei seguaci di Clio è solo il
passato, anzi solo il passato registrato nelle fonti scritte, gli autori della corrente annalista
rivendicheranno la celebre definizione che l'oggetto dello storico è "ogni traccia umana esistente in
qualsiasi tempo" e che pertanto la storia è una storia globale, le cui dimensioni comprendono dalla
più lontana preistoria fino al più attuale presente, comprendendo nel proprio ampio spettro tutte le
diverse manifestazioni di ciò che è umano-sociale e umano, in tutta la complicata gamma delle
realtà geografi-che, territoriali, etniche, antropologiche, tecnologiche, economi-che, sociali,
politiche, culturali, religiose, artistiche, etc.

Dopo il 1968 si chiude quindi il capitolo dell'egemonia storiografica francese e la corrente francese
degli Annales soffre una importante retrocessione, abbandonando i campi della storia economica e
sociale per sommergersi nella dichiaratamente ambigua e limitata "storia delle mentalità". E, anche
se per un breve periodo, questa storia delle mentalità diverrà un'effimera moda storiografica che
raggiungerà un certo successo e diffusione anche fuori della Francia e dell'Europa e che
rapidamente comincerà anche ad essere criticata e superata dall'immensa maggioranza degli storici
seri e critici di tutto il mondo, per poi non essere più praticata neppure nella stessa Francia già dalla
fine degli anni Ottanta e, ovviamente, anche negli anni novanta del ventesimo secolo cronologico.
È precisamente questa data del 1968 quella che darà i diretti natali della situazione che oggi domina
il paesaggio storico. È negli ultimi trentacinque anni, infatti, che prende forma l'immagine che oggi,
nel 2004, presentano gli stessi studi storici mondiali. Il 1968 è effettivamente una frattura definitiva
in tutte le forme della riproduzione culturale della vita moderna, oltre che una trasformazione di
ampio raggio anche di ciò che è e deve essere tutto il complesso universo del mestiere di storico e
della pratica storica che lo ac-compagna. Non è certo stata una semplice ribellione od un effl-mero
movimento studentesco, o un'ulteriore riedizione dell'eterno conflitto generazionale. Il 1968 si
costituisce come una vera rivoli - zione culturale, o addirittura civilizzatrice, dei principali
meccanismi e strutture della riproduzione culturale di tutta l'attualità, esattamente ciò che hanno
individuato da un po' di tempo autori come Fernand Braudel o Immanuel Wallerstein.
Allora, dopo questo 'evento-rottura del 1968, si è creata una situazione nuova e inedita, in cui, lungi
dal costruirsi una nuova egemonia storiografica mondiale, si estenderà invece un nuovo modo di
articolazione e interrelazione fra le diverse storiografie nazionali di tutto il mondo. Un nuovo modo
che non riproduce più lo schema di un centro egemonico, con satelliti che imitano o seguono, con
maggior o minor indipendenza ma chiaramente seguendo lo stesso centro, ma ora si configura come
uno schema policentrico meno gerarchico e molto più plurale e diversificato per quanto riguarda gli
spazi di generazione e di crescita delle innovazioni storiografiche in corso. Uno schema o situazione
policentrica radicalmente diversa dalle fasi precedenti della storiografia del ventesimo secolo, che
implica che non esista più una sola storiografia dominante nel mondo, ma una serie di poli forti
della stessa storiografia mondiale, assieme a vari poli emergenti. Tutto ciò in un contesto generale
in cui le più importanti opere della storia di quest'epoca, o i nuovi paradigmi metodologici della
nostra disciplina, o i nuovi campi, tecniche, metodi, concetti e teorie della storia si scoprono, si
inventano, si generano e si riproducono in tutte le direzioni, all'interno dell'ampio
spazio di quella stessa storiografia mondiale attuale.
Così, agli inizi cronologici di questo ventunesimo secolo, non esiste più una sola storiografia
egemonica, e nel panorama degli studi storici contemporanei diviene importante tanto la tendenza
creativa e innovatrice della microstoria italiana, quanto il progetto abbozzato di una quarta
generazione della corrente degli Annales, senza scordare le varie tendenze delle tre derivazioni e
linee che comprende la storiografia socialista inglese e la prospettiva del world system analysis.

Capitolo III
Il contributo del marxismo alla storiografia critica del XX secolo
Rivedendo il paesaggio generale delle scienze sociali più con-
temporanee, risulta inoltre sempre evidente che, al di là delle ripetute dichiarazioni sulla fine del
marxismo, il panorama, per quanto si riferisce a queste manifestazioni del pensiero critico e alle
posizioni sempre più innovatrici e di avanguardia in tutti i campi dell'analisi molteplice del sociale,
risulta totalmente influenzato dall'eredità e dall'impronta del marxismo originale, oltre che dalle
diverse tradizioni dei numerosi marxismi del ventesimo secolo'.
Questo è evidente in tutte le scienze sociali attuali e si ritrova presente, allo stesso modo, nel campo
della storiografia contemporanea, cioè della storiografia che, nelle sue diverse modalità, si pratica
oggi in tutto il pianeta. Quando, infatti, tentiamo coscientemente di portare avanti un'analisi storica
che sia realmente scientifica e che spieghi e comprenda veramente le realtà che studiamo, ci
troviamo costretti ad iscriverci nell'orizzonte globale del pensiero critico attuale, e, con questo, in
una linea di filiazione intellettuale semplicemente incomprensibile senza quella radice fondatrice e
strutturante che è la prospettiva critica del marxismo originale.
Quando, quindi, ci rifiutiamo anche apertamente di tornare a fare la storia noiosa, compiacente,
comoda e sterile che ancor oggi praticano gli storici positivisti del mondo, allora si impone
immediatamente la necessità di cercare di costruire ed elaborare una storia nuova e differente che
sarà senza dubbio anche una storiografia critica. Una storia genuinamente critica che, quindi, ci
porterà direttamente agli stessi fondamenti della storia contemporanea cui prima abbiamo fatto
riferimento, i quali, come abbiamo detto, si trovano chiaramente nelle prime versioni del marxismo
originale e che, rompendo con i discorsi storiografici che dominarono i primi tre secoli della storia
della modernità capitalistica, hanno costruito le basi di tutta la storia critica possibile dell'attualità.
La storia critica, infatti, non è un progetto recente, né una preoccupazione apparsa solo negli ultimi
tempi, ma è, nelle specifiche modalità che oggi presenta, un progetto che accompagna, fin dalla sua
nascita, tutti i discorsi e tutte le forme di fare la storia che oggi si possono chiamare propriamente
contemporanei. Forme che, avendo cominciato la loro singolare crescita, come già abbiamo
segnalato, dalla seconda metà del diciannovesimo secolo cronologico, si sono sviluppate e sono
diventate più complesse in diversa maniera, per mantenersi fino ad oggi come specifiche forme
vigenti di fare storia nell'attualità.

Quali sono, quindi, le lezioni tuttora valide per una storia critica, derivate dalla loro versione
marxista iniziale e originale?
La prima, secondo noi, si riferisce allo statuto stesso della storia e dunque alla necessità di
considerare che tutta l'attività che svolgiamo e tutti i risultati che raggiungiamo sono chiaramente
volti alla consolidazione di un progetto di costruzione di una scienza della storia. E questa,
d'accordo con la nozione dello stesso Marx, dovrebbe comprendere decisamente tutti i territori che
oggi sono occupati dalle così dette "scienze sociali" i quali, nella misura in cui fanno riferimento ai
diversi aspetti, attività, manifestazioni o relazioni sociali costruite dagli uomini, nel passato e nel
presente, vanno fatti rientrare nella "storia degli uomini", il cui studio corrisponde giustamente a
questa scienza storica. Una scienza della storia quindi che, concepita in questa ampia dimensione, è
per Marx una storia necessariamente globale, una storia che possiede la stessa ampiezza del sociale
e dell'umano nel tempo, considerato in tutte le sue espressioni e manifestazioni possibili.
Ma se, come Marc Bloch ha ripetuto, la storia è la scienza che studia "l'opera degli uomini nel
tempo", questo può farlo solamente definendosi come un dichiarato e chiaro progetto scientifico ed
assumendosi, quindi, tutte le conseguenze che questo concetto di "scienza" implica.
Una semplice descrizione o racconto, infatti, non è ancora scienza, come non lo è neppure qualsiasi
tipo di discorso, o qualsiasi attività di semplice raccolta e classificazione di documenti, di elementi
o di date. L'idea di scienza comporta necessariamente l'esistenza di un meccanismo categoriale e
concettuale specifico, organizzato in un modo determinato, attraverso modelli e teorie di ordine
generale. Un meccanismo che cerca e raccoglie questi fatti e avvenimenti storici, per assemblarli e
inserirli all'interno di spiegazioni scientifiche che le contengono e all'interno di modelli di diverso
ordine di genericità, che definiscono tendenze di comportamento dei processi sociali e regolarità
delle linee evolutive delle società, dotando di senso e significato quegli stessi eventi e fenomeni
storici particolari.
Un buono storico va in archivio solo dopo aver assimilato ciò che è e ciò che deve essere la storia, e
dopo aver definito chiaramente una problematica storiografica determinata, dalle e con le teorie, le
metodologie, i concetti e le categorie del suo mestiere.
Un'importante seconda lezione di quella storia scientifica promossa da Marx, e che continua a
mantenere tuttora la sua vigenza, è quella di concepire la storia in tutte le sue dimensioni, tematiche
e problemi, affrontati come una storia profondamente sociale.
Ovvero, oltre a studiare gli individui, i grandi personaggi di ogni tipo e le élites e classi dominanti,
la storia deve studiare anche i grandi gruppi sociali, le masse popolari, le classi sociali maggioritarie
e tutto l'insieme dei protagonisti fino a poco fa "anonimi", protagonisti, classi e gruppi che invece
sono le vere forze sociali, i veri attori collettivi che fanno e costruiscono la maggior parte della
struttura della storia.
Un’altra lezione che è possibile derivare dai lavori di Karl Marx per una storia genuinamente
critica, è la rilevanza fondamentale che hanno, all'interno dei processi sociali globali, i fatti
economici.
Una lezione marxista che, magari, è la più volgarizzata e mal interpretata di tutte, sia da parte degli
storici che da parte della gran maggioranza di scientifici sociali. Ciò è dovuto all'ampia diffusione e
all'importante influenza del marxismo volgare praticamente in tutto il mondo, lungo quasi tutto il
ventesimo secolo cronologico.
Questa lezione, infatti, non implica assolutamente che tutti i fenomeni sociali si debbano "ridurre"
alla base economica, né che l'economia sia l'"essenza" occulta o lo "spirito profondo" nascosto da
ogni aspetto sociale, ma semplicemente che, nella storia che gli uomini hanno percorso e costruito
dalle loro origini come specie fino ad oggi, i fatti e le strutture economiche hanno occupato, e
tuttora occupano, un ruolo che possiede una centralità e una rilevanza fondamentali innegabili.
Questo significa che tali processi sociali globali sono incomprensibili senza la considerazione delle
evoluzioni e della natura determinata di quella dimensione economica ma non significa, invece, che
dobbiamo cercare qual è, per esempio, "la base economica della pittura di Picasso" o la "struttura
economica" su cui si appoggia quella "superstruttura" che è stata l'arte surrealista, che è sotto tutti
gli aspetti un'impresa ridicola e senza senso, nonostante sia stata proposta dai marxisti volgari della
Francia nella prima metà del ventesimo secolo'.
Capitolo IV
Gli effetti del 1968 sulla storiografia occidentale
Se il '68 non è semplicemente un cambiamento lieve o una semplice mutazione, ma una vera
rivoluzione, e se questa rivoluzione è fondamentalmente di ordine culturale, allora è logico che
quello che è mutato dopo il 1968 è soprattutto la natura e la funzione essenziale delle tre
istituzioni principali in cui si produce, genera, mantiene e riproduce detta cultura moderna, cioè la
famiglia, la scuola e i mezzi di comunicazione. È proprio qui, nel seno di questi tre strumenti della
riproduzione culturale contemporanea, che il segno del passaggio della rivoluzione del '68 si è
impresso in forma definitiva, segnando nella storia di queste tre strutture un chiaro prima e dopo.
Il 1968 è fondamentalmente una rivoluzione culturale profonda e strutturale. Quando irrompe con
forza sul piano della "cultura" contemporanea e dei suoi principali meccanismi di riproduzione,
infatti, il movimento del '68 smonta quella sfera della totalità socia-le, puntando tutti i riflettori del
dramma storico verso queste dimensioni culturali, e aprendo lo spazio per l'evidente successo che lo
studio della storia di tutte queste tematiche avrebbe avuto negli ultimi trentacinque anni.
Non è quindi un caso che praticamente tutte le storiografie del mondo occidentale comincino ad
occuparsi, dopo il 1968, di tutto un insieme di nuovi temi, il cui denominatore comune è quello di
essere temi di storia culturale, che, per il loro stesso studio, provocheranno un'importante
moltiplicarsi di nuove prospettive, concetti e approcci.
È quindi chiaro che è lo spirito del '68 e dei suoi molteplici effetti quello che appare sempre
presente, tanto negli studi di psicohistory inglese, come nei molteplici ed eterogenei modelli della
dichiaratamente ambigua histoire des mentalités francese, o nella new intellectual history
dell'America del Nord, o nel filone di storia culturale della microstoria italiana, nella storia
britannica della popular culture, o ancora nella Altagsgeschichte tedesca, fra tante altre espressioni.
Oltre a questi cambiamenti menzionati, e in forma più generale, il 1968 ha cambiato anche il modo
stesso di funzionare e di interagire dell'insieme delle storiografie nazionali inserite nell'universo di
ciò che potremmo chiamare la storiografia occidentale. Se, infatti, analizziamo da una prospettiva di
lunga durata l'intero percorso della curva della storiografia contemporanea, di quella storiografia
che inizia chiaramente con Marx nella seconda metà del XX secolo e che si sviluppa fino ad oggi, ci
richiamerà immediatamente l'attenzione il cambio prodotto ancora una volta dalla profonda
rottura del ' 68.

Capitolo V
La storiografia occidentale oggi
le linee comuni prima riferite sono linee che solo corrispondono alla storiografia realmente viva,
che si concretizza nei molteplici progetti che oggi fanno crescere l'innovazione storiografica nel
mondo occidentale, e che sono sempre critici e opposti a quel "morto in vita" che è la storiografia
positivistica.
- Una prima linea comune, già menzionata, è quella che si riferisce all'unione totale, per varie vie,
del presente all'interno della storia. Unione che procede sia nel senso di stabilire la legittimazione
definitiva del presente come oggetto di studio della scienza storica, sia nel senso di affermare anche
la storia come scienza d'analisi di quello stesso presente. Quindi, dissolvendo la già insostenibile
divisione tra "il passato" e "il presente", e dando a quest'ultimo oggetto il pieno diritto di esame
storico, gli storici contemporanei più avanzati eliminano allo stesso tempo la barriera
epistemologica artificiale che il XIX secolo ha stabilito fra la storia e le altre scienze sociali.
- Una seconda linea che si ripete nelle nuove correnti e negli autori della storiografia d’oggi è quella
dell’assunzione radicale delle pur molteplici implicazioni che comporta la natura della storia, come
scienza suscettibile di effetti sociali fondamentali.
- Una terza linea importante, che è presente in tutte le correnti della storiografia attuale, è quella che
assume con sempre maggior coscienza l'evidente crisi e caducità dell'episteme frammentato per la
conoscenza della società, che si è costituito solo nell'ultimo terzo del secolo XIX e che, avendo
diviso e autonomizzato diversi spazi dell'umano-sociale nel tempo, ha finito per costruire lo spettro
delle diverse scienze sociali che sono cresciute e si sono mantenute in vigore durante una buona
parte del XX secolo.
- Una quarta linea è costituita dal fiorire ed espandersi al suo interno del ramo specifico della storia
della storiografia.
Quattro linee che, anche se sono condivise da tutte le correnti della storiografia attuale, si
specificheranno e assumeranno spessore in ognuno dei molti spazi della complessa mappa della
storiografia occidentale, la cui configurazione generale sarà spiegata ora.
Criticando, quindi, i limiti dei modelli "macrostorici" che hanno avuto tanto successo negli anni
cinquanta e sessanta, e dimostrando come si sono svuotati di contenuto nell'abbandonare la loro
fonte, che era l'analisi del particolare, i microstorici italiani difenderanno questo cambio di scala e
passaggio al livello microstorico, ma non per rinunciare al livello del generale e della macrostoria,
ma piuttosto per arricchirlo e rinnovarlo, riformulandolo da quella prospettiva di sperimentazione e
di passaggio per gli universi della dimensione microstorica. Con questo, non solo rinnoveranno le
forme di approccio alla vecchia dialettica fra il generale (che, in un certo senso, e in questo livello
astratto, potremmo equiparare a quella macro) e il particolare (in questo stesso senso equiparabile a
quello micro), ma più globalmente rinnoveranno tutto un insieme di pratiche e di prospettive
metodologiche del mestiere dello storico.
Come hanno spesso ricordato Henri Pirenne e Fernand Braudel, la storia contemporanea presenta
l'enorme difficoltà che, per lo storico del presente, diventa molto complesso valutare e discriminare
quali sono i fatti, i fenomeni o i processi veramente storici — Ossia carichi di conseguenze e di
implicazioni rilevanti per il futuro - separandoli da quelli meno significativi e meno importanti. Si
tratta solo di una difficoltà in più, che si aggiunge a tutte quelle che lo storico affronta in qualsiasi
altra epoca che studia, e che quindi non giustifica l'evadere diffuso tra i seguaci di Clio di fronte al
rovente presente.
Sebbene risulti un po' più difficile diagnosticare e spiegare in termini storici il presente, piuttosto
che analizzare e interpretare il passato, è anche vero che quando lavoriamo sul presente lavoriamo
in forma più viva e diretta con le linee di forza di una realtà che si manifesta di fronte a noi e sulla
quale possiamo perfino intervenire in forma attiva e costruttiva.
Per questo, se, con Michelet, “crediamo nel futuro perché noi stessi partecipiamo nella sua stessa
costruzione”, vale la pena rischiare i nostri mezzi e i nostri sforzi di storici in questo compito che
genera e inventa la costruzione del "nostro presente più attuale" e del nostro futuro più desiderato.
Aggiungere i poli forti e i poli emergenti della storiografia occidentale
Capitolo VI
Le lezioni di metodo della storiografia occidentale più contemporanea
La prima lezione che possiamo derivare da questa storiografia post-68 è associata agli studi più
recenti della corrente francese degli Annales, soprattutto a quelli che potremmo considerare la loro
"quarta generazione" o quarto progetto intellettuale forte, che comprende dal 1989 ad oggi. È
risaputo, infatti, che dopo il 1968 la corrente degli Annales ha subito un cambiamento radicale di
linea rispetto al tipo di storia che aveva promosso tra il 1929 e il 1968, la stessa di cui abbiamo
esposto in altra parte i profili e gli insegnamenti.
La storia della cultura è profondamente sociale, nella misura in cui restituisce e riafferma la
condizione dei prodotti e delle pratiche culturali, come risultati sempre diretti della stessa attività
sociale. Ovvero, una pratica di lettura determinata, un certo insieme di rappresentazioni assunte, un
determinato comportamento culturale di una classe o di un gruppo sociale, una determinata
modalità di costruzione del discorso, sono tutte distinte manifestazioni culturali sempre prodotte,
accolte e riprodotte da una società specifica ed in un certo contesto storico, che ci obbliga quindi a
partire sempre dal referente sociale e storico per la spiegazione di ogni pratica o fenomeno culturale
possibile. Un nuovo modello di storia culturale che, sebbene si trovi tuttora in fase di costruzione e
proprio sul punto di staccarsi dalla sua matrice originaria che era la storia del libro e della lettura,
per cercare di trasformarsi in un modello più generale di storia culturale, potrebbe forse nel futuro
produrre e proporre alcune interessanti ed utili prospettive per gli storici critici contemporanei.
Una seconda lezione ancor più vincolata alla storiografia contemporanea della quarta generazione
degli Annales è la rivendica zione di una storia sociale diversa, mirata a ricostruire dal nuovo la
complessa dialettica fra individuo e strutture o fra agenti sociali, tanto individuali come collettivi, e
le trame o contesti sociali più globali in cui essi svolgono la loro azione. In tal modo, cercando di
andare più in là delle visioni schematiche che per decenni hanno ridotto l'azione degli individui e il
loro ruolo sociale a quello di semplici "marionette", definite unilateralmente nelle loro posizioni e
pratiche da dette strutture sociali, i quarti Annales propongono di rivalutare il ruolo attivo e
costruttivo di quegli agenti sociali che non solo creano e danno corpo a dette trame e strutture come
frutto delle loro azioni e interrelazioni, ma anche, permanentemente, godono di certi margini di
libertà nella loro azione quotidiana, scegliendo costantemente fra diverse alternative e modificando
con le loro pratiche queste stesse strutture sociali che senza dubbio stabiliscono in ogni momento i
limiti concreti di azione.
In questo modo si restituisce un approccio molto più dinamico e molto più complesso degli agenti
quali creatori e riproduttori delle strutture, e di queste come quadro di riferimento e come limite
dell'azione di quegli stessi agenti poiché comunque si confrontano e si influenzano reciprocamente
e continuamente per trasformarsi a vicenda.
La terza lezione post-68 per una storiografia critica è invece associata alla crescita delle varie
tendenze e dei sottogruppi qualificati genericamente come "la storia marxista e socialista britannica
contemporanea". Si tratta, una volta di più, di una proposta di rivendicazione della storia sociale
intesa però, in particolare, come il processo multiplo di recupero dell'insieme delle classi popolari e
dei gruppi oppressi all'interno della storia. Un recupero concepito su diverse linee e livelli che, in un
caso, si apre specificamente come recupero di tali classi e gruppi popolari rispetto alla loro vera
condizione di agenti della dinamica sociale e del cambio sociale, in altri, cresce come progetto per
riassimilare la voce e la memoria di questi settori popolari come fonti essenziali per la costruzione
del sapere storico. Ma anche, da un terzo punto di vista, rispetto alla scelta della situazione di queste
classi maggioritarie come osservatorio o punto di partenza dell'analisi della totalità del sociale, che
difende una storia costruita to bottom up in cui la valutazione di questi settori che sono "di sotto" è
quello che definisce le forme di percezione e di analisi del grado, dell'intensità, delle forme e del
corso concreto del confronto e della lotta di classe, nei molteplici sviluppi e risultati possibili.
Una quarta lezione metodologica, invece, è tratta dai contributi e dagli sviluppi della corrente
italiana della microstoria. È questa una prospettiva storiografica nata direttamente dalle risonanze
della rivoluzione culturale del 1968 che, recuperando e superando allo stesso tempo l'insieme delle
tradizioni della storia sociale italiana successive al 1945, si strutturerà negli anni settanta e ottanta
attorno alla pubblicazione della rivista oggi riconosciuta Quaderni storici.
Mantenendo una posizione chiara e definitivamente progressista e di sinistra, il gruppo di storici
critici di origine italiana elaborerà in primo luogo e come primo strumento euristico della nuova
storia critica, il procedimento metodologico del "cambio di scala". Questo procedimento postula la
possibilità di modificare la "scala" specifica in cui un problema di storia è analizzato e risolto,
sboccando generalmente nella rivendicazione del recupero ricorrente della scala microstorica o
dell'universo di dimensioni storiche "micro" come possibile nuovo "luogo di sperimentazione" e di
lavoro degli storici che, ciò nonostante, continuano ad applicare i grandi e sempre fondamentali
processi globali della microstoria'.
I microstorici italiani, in tal modo, criticano i limiti dei diversi modelli "macrostorici" precedenti
che, affermatisi all'interno delle scienze sociali e della storiografia del ventesimo secolo, si
svuotarono di contenuto simultaneamente, abbandonando la fonte di origine, che era ed è sempre
stata l'analisi dei casi particolari e delle esperienze storiche singole.
Una quinta lezione, anch'essa associata alla microstoria italiana e direttamente connessa col
procedimento microstorico che abbiamo appena spiegato, è quella delle possibilità che l'analisi
esaustiva e intensiva di questo universo microstorico apre a un bravo storico.
Riducendo, infatti, la scala di analisi e prendendo come oggetto di studio quel "punto di
sperimentazione" che è la località, il caso o l'individuo, o l'opera o il settore di classe scelto, diviene
possibile compiere un'analisi praticamente totale dei documenti, fonti, testimonianze ed elementi
disponibili in questo microuniverso, oltre ai significati diversi inclusi nelle azioni, pratiche,
relazioni e processi realizzati da questi personaggi, o comunità o situazioni microstoriche studiate.
L'ultima lezione apportata dalla microstoria italiana, fino ad ora, e che costituisce la sesta lezione di
storiografia posteriore al 1968 è quella dell'importanza di riconoscere, coltivare e applicare il
paradigma indiziario all'interno della storia". E questo sia in generale, ma anche, e soprattutto,
quando il nostro oggetto di studio è l'insieme di elementi e di realtà che corrispondono alla storia
delle classi popolari, dei gruppi sottomessi, degli "sconfitti" causati dalle diverse battaglie storiche
ed in genere di tutte quelle "vittime" all'interno dei processi storici, la cui storia è sempre stata
messa sotto silenzio, omessa, emarginata, repressa o perfino eliminata e cancellata in diverse forme.
Una settima lezione importante della storiografia posteriore alla rivoluzione culturale del 1968 è
vincolata alla crescita della sempre più diffusa prospettiva del "world-systems
analysis" (l'analisi dei sistemi-mondo). Questa prospettiva si era anch'essa sviluppata in seguito alla
rottura della fine degli anni sessanta negli Stati Uniti e si era approfondita e affermata in tutto il
mondo durante gli ultimi trent'anni. Una prospettiva critica che si autocelebra come direttamente
ispirata dall'opera di Marx e il cui principale rappresentante è Immanuel Wallerstein che oggi è, fra
l'altro, direttore del famoso Fernand Braudel Center dell'Università di Binghamton. Centro
"Fernand Braudel", che possiamo parimenti considerare lo spazio di concentrazione più importante
per la riproduzione e per l'irradiazione mondiale di questo stesso approccio".
Questa settima lezione si riferisce al paradigma che afferma che l'unità di analisi obbligatoria per
l'esame e spiegazione di qualsivoglia fenomeno, fatto o processo avvenuto durante gli ultimi cinque
secoli, è l'unità planetaria del sistema-mondo capitalistico. Ovvero, è una proposta metodologica
che afferma che, per poter spiegare qualsiasi fenomeno sociale della storia capitalistica dell'ultimo
mezzo millennio, è imperativo ed obbligatorio mostrare le connessioni ed i vincoli con quell'unità di
riferimento, sempre presente e sempre essenziale e imprescindibile nei termini di una spiegazione
adeguata, che è giustamente il sistema-mondo capitalistico nella sua totalità.
Queste sono, in breve, le principali lezioni che vengono dalle maggiori correnti storiografiche vive e
fondamentali all'interno del panorama universale degli studi storici contemporanei. Queste lezioni
costituiscono gli strumenti quotidiani ed i riferimenti più usuali degli storici critici contemporanei.
Diviene quasi illecito ed addirittura falso autoproclamarsi "storici" se non si ha una buona
conoscenza per lo meno di questa serie di autori, paradigmi e proposte che, nel loro insieme,
costituiscono l'eredità più recente e le prospettive tuttora vive, e che corrispondono alle forme più
attuali con le quali si esercita, oggi, l'affascinante mestiere della storia, nel quale continua a
echeggiare con forza la domanda che Marc Bloch si fece più di sessant'anni fa, e che non ha
tutt'oggi perduto la sua forza e urgenza: a che cosa serve la storia? Come nuova stinge moderna, la
musa Clio ci propone ancora questo difficile enigma, al quale senza dubbio sono capaci di
rispondere solo coloro che conoscono seriamente e coltivano sistematicamente il ramo della storia
della storiografia, e, con esso, lo studio critico dell'orizzonte problematico fondamentale costituito
dalla storiografia del ventesimo secolo.

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