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Ricordo di Gioacchino Gargallo di Castel Lentini


Emanuele Cutinelli-Rèndina

I l 5 novembre 2007 è morto in Roma, dove viveva, Gioacchino Gargallo di Castel


Lentini. Nel 1980 aveva fondato, e poi per anni diretto e animato la « Rivista di
storia della storiograia moderna », da cui è quindi rampollata nella forma attuale
« Storiograia », che lo contava nel comitato scientiico e che intende oggi ricordarlo
ai suoi lettori.
La morte improvvisa ha certo spezzato il ilo di un’operosità scientiica che negli
ultimi anni (era nato a Siracusa l’11 dicembre del 1923) si era fatta meno intensa, ma
pure continuava regolare, attendendo soprattutto al quinto volume della grande
Storia della storiograia moderna, sulla quale non pochi studenti della Facoltà di lettere
della Sapienza romana hanno imparato a conoscerlo. 1 Di questo progettato nuo-
vo volume restano fra le sue carte alcuni frammenti e studi preparatori, che forse
converrà, almeno in parte, pubblicare. In ogni caso il suo non resta, per fortuna,
il proilo di uno studioso che nella propria parabola esistenziale non abbia potuto
compiere il piano di ricerche e di indagini che si riproponeva, o del quale si possa
intuire, senza tuttavia coglierne i lineamenti, una qualche svolta o un mutamento
sostanziale. Al contrario, per questo verso Gargallo ci appare oggi come uno studio-
so che alquanto precocemente venne deinendo il quadro degli interessi e dei pro-
blemi che furono poi i suoi, e tali interessi e problemi svolse quindi con convinzione
e persino toccante fedeltà lungo tutta la traiettoria della sua operosità. Non sembra
anzi azzardato afermare che il nucleo più originale e consistente della produzione
scientiica di Gargallo, i titoli che gli valsero di salire sulla prima cattedra italiana

1 I volumi sono usciti presso l’editore Bulzoni tra il 1972, per il tomo consacrato al Settecento (in terza
e deinitiva edizione nel 1990), e il 1998 per il quarto, La teoria della conquista. Il secondo, Hegel storico, è
del 1977 ; il terzo, La storiograia del Consolato e dell’Impero, del 1985. Della Storia della storiograia gargal-
liana è ora apparsa una traduzione spagnola (Città del Messico, Universidad Autónoma de la Ciudad de
México, 2009), sempre in quattro tomi che rispettano la scansione dell’edizione italiana.

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di storia della storiograia moderna, si situano tra i primi anni Cinquanta e gli anni
Sessanta.
Chi consideri la complessiva produzione scientiica di Gioacchino Gargallo, ora
che la morte ha messo termine a un lavoro che egli intedeva proseguire, e si chieda
quale posto idealmente le spetti nel panorama della cultura storica del secondo
Novecento italiano, non avrà compito facile nel trovare una risposta. Certo vedrà
in essa anzitutto l’opera di uno studioso che con convinzione, non disgiunta da un
certo orgoglio, si è mosso nel solco della grande tradizione dello storicismo italiano
del primo e del pieno Novecento, e più in particolare nel solco del ripensamento che
dello storicismo crociano fece il suo venerato maestro Carlo Antoni, con cui Gargal-
lo venne in contatto a Roma nell’immediato dopoguerra, subito dopo la laurea in
ilologia classica all’Università di Catania. Presso la cattedra di Antoni Gargallo fece
inoltre la conoscenza di Michele Biscione, scomparso anch’egli nell’estate del 2009,
al quale lo legò poi un costante rapporto di amicizia e di scambio intellettuale.
In efetti la ricerca di Gargallo mirò ad approfondire e a svolgere quello che era
stato il quadro problematico acquisito a contatto con Antoni e con le tematiche del
più maturo storicismo italiano (parlare di scuola sarebbe in questo caso quanto mai
improprio). Era un quadro problematico e una tradizione di studi in cui molti per-
cepirono – negli anni Quaranta, quando Gargallo si afacciava agli studi, e poi nel
corso degli anni Cinquanta – una crisi che preludeva a una morte sicura e prossima
dello storicismo stesso, mentre per suo conto Gargallo vi colse l’eterna crisi di tra-
sformazione e crescita che ciascun pensiero vitale non può non conoscere. La sua
rilessione si svolse quindi con profonda coerenza lungo un doppio binario : da una
parte la rilessione teoretica intorno allo statuto dello storicismo inteso come l’ap-
prodo più consapevole e compiuto a cui sia pervenuto il pensiero moderno ; dall’al-
tra, una ricostruzione storiograica, ampia e nutrita da larghissime letture condotte
sulle fonti, su come l’Europa moderna fosse andata acquisendo la propria coscienza
storicistica nel concreto dell’esercizio dell’indagine storica e nel continuo confronto
con ciò che la prassi imponeva. Su questi due binari, sempre in comunicazione e tali
che l’uno alimentava l’altro, Gargallo si mosse sin dai suoi primi passi di studioso
con singolare tenacia.
Il suo esordio, a parte una plaquette del 1947 comunque signiicativa, fu costituito
dalla ricerca su La scoperta dell’utile nel Settecento (Edizioni di storia e letteratura,
1951), dove la linea di fondo era ben espressa nel lungo sottotitolo, di chiara ispira-
zione crociano-antoniana : La genesi del concetto di economia in Francia dai libertini agli
illuministi e l’aspetto economico della storia nella storiograia dell’Illuminismo francese. Vi
era indicato con chiarezza il quadro, crociano per eccellenza, della ‘scoperta’ sette-
centesca delle due scienze mondane, l’estetica e l’economia. E l’implicito presuppo-
sto era che se l’operosità crociana aveva largamente dissodato la storia della prima
‘scoperta’, c’era ancora non poco da lavorare a proposito della seconda. Che era
appunto ciò che avviava Gargallo in questa sua prima indagine, dove in dalle prime
righe indicava il nesso forte e sostanziale che nei libertins francesi si instaurava tra
lo studio dell’economia, quindi tra « gli interessi ‘mondani’ innocenti o per lo meno
necessari », e il « profondo, anche se non sempre chiarissimo, senso della libertà, del-
la responsabilità e della dignità dell’uomo » (p. 7). Si tratta di un nesso che, rivisitato
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da più punti di vista, torna continuamente nella ricerca storiograica di Gargallo.
Ne La ricerca dell’utile vi erano comunque i presupposti per i più ampi svolgimenti
riservati al di poco successivo Boulainvilliers e la storiograia francese dell’Illuminismo
(Napoli, Giannini, 1954), dove veniva messo a fuoco uno dei temi prediletti della sua
ricerca storica : la genesi del liberalismo moderno nelle posizioni ‘monarcomache’,
libertine e aristocratiche, di certa storiograia tra xvii e xviii secolo. Nell’amplia-
mento di questo quadro si deiniva quindi quella ricerca che Gargallo avrebbe suc-
cessivamente dettagliato nel primo volume della sua Storia della storiograia moder-
na. In ogni caso, già nel volume del 1954 Gargallo, seguendo una sua originale linea
d’indagine, poneva al centro delle problematiche e degli interessi che mossero gli
storici da lui considerati il tema della « conquista », ossia del primato delle leggi e dei
costumi germanici di fronte all’involuzione dell’Impero romano – un tema che già
in Montesquieu aveva avuto chiare implicazioni antiassolutistiche.
Di lì a poco Gargallo riuniva in un volumetto, Sagi e considerazioni intorno al
moderno storicismo (Napoli, Morano, 1957), le sue rilessioni teoriche, che non di
rado erano reazioni recensorie a pubblicazioni recenti (ino ai suoi ultimi anni egli
mantenne la lodevole e sempre più trascurata abitudine di recensire sul serio, discu-
tendo a fondo il testo che aveva di fronte : cosicché non pochi suoi volumi che riuni-
scono saggi sparsamente editi, poterono accogliere le maggiori e le più impegnate
di tali recensioni).
La mai intermessa rilessione di Gargallo sul mestiere di storico – lui che, a pro-
priamente parlare e nonostante la solidità e l’estensione della sua cultura storica,
non fu mai uno storico – aveva un accento tutto particolare, che proveniva dagli
svolgimenti che aveva dati alla tradizione alla quale apparteneva. Era, per così dire,
tutta concentrata sull’atto conoscitivo che presiede alla conoscenza storica, che non
è un atto conoscitivo tra gli altri possibili : è la stessa conoscenza tout court, l’unica,
in realtà, conoscenza possibile, la teoresi nella sua forma più pura, il pensiero còl-
to nella sua funzionalità scevra di motivi pratici e derive metaisiche. Rilessioni
queste che, proseguendo quella « feconda crisi » dello storicismo che Carlo Antoni
aveva inaugurata, sboccavano nei due volumi organici delle Chiose alla logica (Na-
poli, Giannini, 1963), e, soprattutto, in Logica come storicismo (ivi, 1967), che è forse,
almeno a parere di chi scrive, il frutto più maturo della rilessione gargalliana, specie
nel suo versante teoretico : l’opera nella quale quella che chiameremmo ‘l’oltranza’
storicistica di questo studioso trova la sua espressione più fusa ed eicace. Nelle pa-
gine di Logica come storicismo Gargallo depurava lo storicismo dei suoi stessi maestri
da quelli che riteneva residui di metaisica o di ontologia, per un verso ; e per un al-
tro verso conduceva un’eicace polemica nei confronti di diversi attacchi che, nella
temperie culturale degli anni Cinquanta e Sessanta, lo storicismo veniva ricevendo
da più lati, sul piano gnoseologico e su quello logico.
Dunque, il giudizio storico, e pertanto la storiograia, è la vera conoscenza, la no-
stra autentica espressione teoretica. Storicisticamente per Gargallo la conoscenza
storica in quanto conoscenza dell’individuale è l’unica capace di restituirci il volto
autentico delle individualità che hanno tessuto e tessono l’autentica trama della
realtà. Per converso, il ruolo delle ‘scienze’, tanto di quelle naturali quanto di quelle
sociali, consiste nel modellare e nel fornire schemi utili per orientarsi nella prassi :
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crocianamente da esse, proprio in ragione della loro natura astraente e generaliz-
zante, conoscenze concrete non potrebbero mai scaturire. Per chi accetta questa
che è la fondamentale rivoluzione gnoseologica dello storicismo moderno, la riles-
sione ilosoica si conigura come rilessione sul metodo della storiograia, come
approfondimento mai compiuto sulla natura inesauribile del giudizio storico. In tal
senso è necessario comprendersi bene al di là delle parole e delle formule : prima
ancora che uno storico o uno storico della storiograia, Gargallo fu un ilosofo, la
cui profonda convinzione ilosoica gli fece concepire così come la concepì la stessa
storiograia nel suo concreto esercizio, e la storia che di questo concreto esercizio
può svolgersi.
È questa la cifra di fondo della storia della storiograia gargalliana (il grande corso
universitario in quattro volumi, e i molti saggi che lo precedettero e lo accompa-
gnarono). La quale storia della storiograia da lui non fu dunque presentata come
la storia di una disciplina tra le discipline, né mai ebbe a intenderla come la storia
sociale e istituzionale degli studi storici, bensì come il lento laborioso e mai conclu-
so ainarsi del giudizio storico nell’atto del suo concreto esercizio ; processo che
in parte coincideva con quello della storiograia ma in parte, e in parte anche as-
sai signiicativa, no. Ciò spiega molte cose nella Storia della storiograia gargalliana,
nell’impostazione generale come in tanti elementi particolari. Spiega per esempio
l’ampio posto – un intero volume – che Gargallo aveva ritenuto di dover riservare
a Hegel, proprio perché nelle opere del grande svevo intendeva cogliere gli auten-
tici giudizi storici che si erano incastonati nell’impalcatura artiiciosa del sistema,
soprattutto nella Fenomenologia. « Desideriamo qui seguire – indicava Gargallo in
dalle prime pagine dello Hegel con parole ben espressive del suo metodo – alcuni dei
giudizi storici hegeliani come gli si vennero conigurando e man mano ainando e
precisando ; opera che va naturalmente distinta dallo studio della ilosoia della sto-
ria di Hegel : distinzione per un verso didascalica, nella misura in cui solo didascalica
resta la distinzione tra storia della ilosoia e ‘storia della storiograia’ : per un altro
verso concreta, attraverso le critiche che lo storicismo moderno ha volto ad ogni i-
losoia della storia ; e per le quali ci appariranno proprio teoreticamente più importanti
quei giudizi, e quella ilosoia della storia, invece, essa sì, una formulazione pratica,
didascalica, e fondamentalmente intellettualistica : domani ‘ideologica’ » (p. 13, cor-
sivo dell’autore). E qualcosa di non dissimile avveniva nel volume consacrato alla
storiograia del Consolato e dell’Impero, in cui Gargallo coglieva acutamente gli
impliciti ma eicaci giudizi storici che si reperivano nei testi di uno Chateaubriand
o del giovane Saint-Beuve.
E forse uno degli aspetti di maggior persuasività delle ricostruzioni di Gargallo
nasce dalla consapevolezza che il nuovo modo di rivolgersi al passato e di indagarlo
non è da ricercare solamente nelle opere storiche tradizionalmente e accademica-
mente ritenute tali, ma anche in altri ambiti, talvolta all’apparenza peregrina. La
difesa dell’autenticità di una reliquia, la disputa intorno all’operato di un santo, una
piccola contesa giurisdizionale che obbliga a ricercare le origini di un privilegio, la
ricerca di un modesto erudito di provincia intento a ricostruire un albero genealogi-
co, hanno certo contribuito nel loro insieme – ci ha mostrato Gargallo soprattutto
nel primo volume della Storia della storiograia – sia a una migliore conoscenza del
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passato che a far sorgere negli animi e nelle menti quell’interesse per questo mondo,
senza il quale la stessa indagine storica non nasce.
Questa impostazione di fondo nella concezione e nella pratica della storia della
storiograia spiega tuttavia anche perché, di fatto, egli fu poco discusso, e per molti
versi la ricezione dei suoi lavori rimase, al di là dell’ambito accademico, piuttosto
limitata ; e forse anche più limitata di quanto la matrice storicistica del suo pensiero
pur giustiicherebbe in un generale contesto di ‘sfortuna’ dello stesso storicismo in
seno alla cultura italiana del secondo Novecento.
Ci sarebbe ancora da osservare come, soprattuto nei suoi ultimi anni, Gargallo
inoltrò e aggiornò la sua mai intermessa rilessione teoretica, prendendo contatto
di volta in volta con tematiche nuove, con il nutrimento delle quali tornava a tem-
prare il proprio credo storicistico. Pensiamo in particolare ai suoi ultimi volumi
come Clio e l’ippogrifo, presso Bulzoni nel 1992, o Il cammello di Clio, presso Jouvence
nel 2003. Spigolando tra i problemi che afrontava con originalità e spregiudicatez-
za, troviamo rilessioni e indagini che vanno dal tema della decadenza, e di come e a
quali condizioni sia lecito parlarne, alla fondazione di una nuova storia della cultura
intesa come storia totale ; dalla distinzione tra storiograia liberale e storiograia de-
mocratica, al ruolo delle scienze ausiliare della storiograia (un tema di rilessione,
quest’ultimo, che ebbe sempre particolarmente caro).
Di particolare rilievo paiono le osservazioni che nel saggio eponimo di Clio e
l’ippogrifo sono svolte sul mito. Gargallo si serviva del paradossale accostamento
della musa della storia a una igura mitica come l’ippogrifo per osservare che certo
i miti per loro natura sono fuori dal tempo, generalizzano situazioni o stati d’ani-
mo, e sono quindi in questo senso l’esatto contrario dell’atto individualizzante della
storiograia, la quale coglie l’irripetibile individualità di ciò che accade nel tempo ;
e nondimeno, scriveva in pagine suggestive, le immagini che attingiamo al mito,
o al linguaggio o all’esperienza, non di rado esercitano un’eicace funzione nel
confronti del giudizio storico, contribuendo ad avviarlo o tenendone il luogo. Ed è
per questo che nei giudizi storici intervengono quasi sempre, per poi dissolvervisi,
immagini, miti, metafore.
Quest’ultimo volume, pur nel carattere composito, e anzi forse proprio in ragio-
ne di tale carattere, dava bene la cifra della personalità intellettuale e degli interessi
di Gargallo. Vi si coglieva peraltro attraverso tutti i saggi uno dei ili conduttori della
sua ricerca, e probabilmente il più personale dei suoi Leitmotiven. Il motivo centrale
era in efetti quello della libertà e della centralità dello storico. Gargallo in diverse
pagine e a più riprese tornava ad argomentare come sempre meglio la moderna
storiograia si sia avvicinata alla consapevolezza che la storia non è un enorme e
oscuro ammasso precostituito di documenti al cui segreto ordine oggettivo cerca
di avvicinarsi lo storico, che assolverà tanto meglio il proprio compito quanto più
riesca a renderne esplicito il signiicato.
Si è già osservato che non è semplice, e per vari motivi, dire che cosa gli studi sto-
rici, e più in particolare di storia della storiograia moderna, debbano alla igura di
questo singolare studioso. Forse è anche prematuro, e in ogni caso la sede non può
essere questa breve rievocazione, poiché un discorso di questo genere va afrontato
nel contesto di un più generale studio sui dibattiti e le vicissitudini dello storicismo
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italiano del secondo Novecento. Bisognerebbe certo indagare a fondo sulla crisi del-
lo storicismo italiano, per efettuarne un bilancio sereno. Ma bisognerebbe forse
anche aggiungere, per il caso speciico di Gargallo, una nota necessariamente legata
alla personalità umana di questo studioso, ossia bisognerebbe dar conto, da parte di
chi ne fosse capace, di qualcosa che si coglieva piuttosto nella conversazione priva-
ta, orale ed anche epistolare, e talvolta nelle stesse lezioni, ossia di qualcosa che si
agitava nello scrigno di un’intelligenza vivissima ed estrosa, che amava il paradosso
e la provocazione, le associazioni di idee bizzarre e un certo barocchismo linguisti-
co, seguendo il ilo di pensieri di cui non sempre l’interlocutore coglieva immedia-
tamente il proilo, poiché inivano col rivelarglisi a conversazione conclusa.
Chi lo abbia avuto professore all’università non può in efetti fare a meno di ri-
cordare la sua igura di gran signore siciliano, che trovava particolare sintonia con
qualche altro grande siciliano che calcava i corridoi di Lettere alla Sapienza alla
ine degli anni settanta : Santo Mazzarino e Rosario Romeo, in particolare (« San-
tuzzo » e « Saruzzo » come li chiamava Gargallo). Così come non può fare a meno di
ricordare la sua lieve menomazione (era rimasto parzialmente afono, in seguito a
un’operazione chirurgica), sulla quale amava scherzare (« il muto di Priolo »), e che
in qualche modo iniva col potenziare il suo brio e la sua stessa vis communicativa ;
la sua conversazione brillante e un po’ divagante, ma che sapeva tornare, quando
era il momento, al punto che veramente importava ; il suo amore per la Sicilia avi-
ta, poco importa poi che per lo più tale amore fosse costretto a indossare le vesti
dell’acre polemica civile e persino del dispetto doloroso. Questo tratto, estroso e in
bizzoso della sua personalità, questa intelligenza indocile che preferiva esprimersi
per paradossi che illuminavano come un lampo notturno, non passava però nella
pagina scritta dei suoi manuali universitari e della sua saggistica – pagina disciplina-
ta e generalmente assai lavorata, e in preziosa nell’espressione al punto da risultare
talvolta non poco ardua, almeno agli studenti di allora (e magari ancor più a quelli
di oggi). Chi volesse oggi ritrovare qualche tratto della personalità umana di Gar-
gallo dovrebbe piuttosto rivolgersi a certe pagine marginali del suo corpus, come
quelle, splendide di vibrante passione civile, dettate dall’amore e dal dolore per
la sua Siracusa violata dalle nefandezze della speculazione edilizia e abbandonata
all’incuria urbanistica. 1
Nondimeno, al giovane che si formava sulle sue pagine, anche sulle sue pagine,
quel che di più generale e profondo restava del suo insegnamento, anche quando
poi si muoveva (e magari proprio su sua esortazione) in altre direzioni e afrontasse
problemi che non erano quelli del maestro, era la convizione nella libertà e nella
responsabilità dello storico. La storia – ecco forse la nota più intima dell’insegna-
mento orale e scritto di Gargallo – nasce con e dallo storico, il quale liberamente,
sotto l’urgenza dei problemi suoi e del suo tempo, volge lo sguardo ove più gli
sembra opportuno. E nel modo che più gli sembra opportuno, sceglie, giudica e
ordina i propri documenti. È per questa libertà e creatività, che nulla ha a che fare

1 Le ceneri di Ortigia, Siracusa, Centro siciliano di iniziativa archeologica, 1973 (19752). Il volumetto,
nel suo genere un capolavoro di polemica civile, che però aveva l’indubbio torto di esser venuto alla
luce con un quarto di secolo di anticipo, è stato ristampato di recente : Siracusa, Emanuele Romeo
editore, 2004.
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con l’arbitrio, che la storiograia è inesauribile ; che ogni generazione – ci diceva
Gargallo – sente il bisogno di tornare a interrogare documenti che sembravano non
aver più nulla da dire, o ne cerca di nuovi ; che gli storici autenticamente grandi,
che seppero rispondere ai problemi che i loro tempi posero, sono sempre vivi. Non
fosse che per questo insegnamento la parola di Gargallo – ormai solamente quella
consegnata alla pagina stampata e al ricordo di chi lo conobbe – merita di essere
ricercata e ascoltata con attenzione.

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