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IL CINEMA COME FONTE STORICA: LA STORIOGRAFIA CONTEMPORANEA E

“SHOAH” DI CLAUDE LANZAMANN.

Con questo breve paper intendo rivolgere uno sguardo il più possibile critico e
personale (per quanto ciò possa essere possibile per chi, come me, si accosta per
la prima volta a questo argomento) al tema del cinema come fonte storica; in
seguito ed in maniera più specifica, mi riferirò ad un film che ha rappresentato, e
probabilmente rappresenta ancora, un esempio insuperato sia per la
cinematografia su un argomento cardine della storia contemporanea come quello
dello sterminio degli ebrei, sia come modello del nuovo tipo di storiografia che
riguarda quella che è stata definita come Storia del tempo presente: mi riferisco a
“Shoah” di Claude Lanzamann. Per tentare, in poche pagine, di delineare un
quadro sintetico ancorché organico degli argomenti trattati in questo corso voglio
affrontare in forma introduttiva la questione della periodizzazione del Novecento
e l’approccio alle nuove fonti riferendomi a posizioni e testi che potremmo
definire classici; la prima considerazione di Scipione Guarracino1 nelle pagine
iniziali della sua opera “Il Novecento e le sue storie” riguarda l’appartenenza del
XX secolo ad una categoria del tutto diversa rispetto a quella in cui potremmo, ad
esempio, inserire il secolo XVIII, il quale ha una specificità che lo caratterizza e ci
permette di definirlo senza timore di smentita come secolo dei Lumi. Per contro il
Novecento, che da Scipione Guarracino è considerato, secondo la famosa
partizione di Eric Hobsbawm, un “secolo breve” incluso tra le due date
periodizzanti del 1914 e del 1991, ha la peculiarità di avere più volte mutato
identità durante il suo svolgimento. L’analisi dei fatti principali del secolo
rimanda poi l’autore all’idea di un circolo in cui, alla fine del periodo considerato
sembrano ritornare in essere problematiche apparentemente superate. Il conflitto
triangolare (tra fascismo, capitalismo e comunismo) e il grande duello (tra USA e
URSS) sono poi fasi caratterizzanti poste prima e dopo la cesura della seconda
guerra mondiale. Da un punto di vista “tecnico”, infine, l’autore sostiene che la

1
SCIPIONE GUARRACINO, Il Novecento e le sue storie, Milano, Bruno Mondadori, 1997.

1
coincidenza del secolo temporale con quello storico rappresenta qualche cosa di
meno di una realtà assoluta ma qualche cosa di più di una convenzione. Geoffrey
Barraclough2 affronta le questioni relative al problema della periodizzazione del
Novecento nella “Guida alla storia contemporanea”, anche se il tema che ha più a
cuore non è tanto quello di proporre rigide scansioni temporali quanto quello di
individuare ed analizzare gli elementi che caratterizzano la nuova epoca nel loro
confronto con il vecchio mondo dal quale sono scaturiti. Per Barraclough la storia
contemporanea è totalmente diversa da quella di qualsiasi epoca storica
precedente, e si dispiega in quanto tale nel momento in cui acquisisce
l’autocoscienza che i problemi che la caratterizzano sono appunto totalmente
nuovi. Si prefigura quindi un lungo periodo di transizione che dall’ultimo
decennio del XIX secolo si conclude nei primi anni sessanta del Novecento,
momento in cui possiamo definitivamente considerarci nella nuova epoca. Un
“secolo lungo” dunque, durante il cui svolgimento operano comunque forze che
tendono ad impedire o rallentare i mutamenti in atto; sono le vecchie mentalità, le
opposizioni conservatrici che non possono però impedire i continui balzi in avanti
che fanno emergere definitivamente il nuovo sgretolando le vecchie posizioni. La
comprensione di questa nuova epoca ha le sue radici ben piantate nel vecchio
mondo, per cui Barraclough sostiene che lo studio della storia contemporanea
richiede una profondità di analisi non inferiore a quella necessaria per lo studio di
qualsiasi periodo del passato. Una delle definizioni più celebri di Novecento, da
un punto di vista storiografico, è sicuramente quella di “secolo breve” che Eric
Hobsbawm ha adoperato per il titolo dell’omonimo volume divenuto ormai un
classico3. In questo libro la struttura del secolo appare come un trittico che inizia
con la data fatidica del 1914 e finisce con il 1991, includendo il periodo che va dal
1945 ai primi anni ’70 caratterizzato da un intenso e rapido sviluppo economico
come mai si era visto nella storia dell’uomo. L’altro elemento centrale, oltre a
quello economico nella riflessione di Hobsbawm è quello del confronto serrato tra

2
GEOFFREY BARRACLOUGH, Guida alla storia contemporanea, Bari, Laterza, 1989.
3
ERIC J. HOBSBAWM, Il Secolo breve. 1914-1991, Milano, Rizzoli, 2007.

2
capitalismo e comunismo che, con fasi diverse si intreccia durante l’intero “secolo
breve”; analizza poi il paradosso per cui il risultato più duraturo della Rivoluzione
del 1917 è stato quello del salvataggio del capitalismo a livello planetario,
contribuendo alla vittoria militate delle democrazie occidentali durante la guerra
contro il nazifascismo in primo luogo; fornendo poi agli stessi paesi a economia
capitalista quegli elementi di economia pianificata che hanno permesso al sistema
di autoriformarsi. Altri fondamentali processi che differenziano il Novecento
dall’epoca precedente sono la fine dell’ eurocentrismo, la globalizzazione e, da un
punto di vista della società la perdita definitiva dei vecchi modelli di relazione con
il predominare dei valori dell’individualismo. Altre posizioni rilevanti
sull’argomento si possono trovare nel testo “Novecento. I tempi della storia” a
cura di Claudio Pavone4. Un altro importante studioso a cui mi voglio riferire per
poi iniziare a trattare la questione delle nuove fonti è Giuseppe Galasso; nel suo
saggio “Nient’altro che storia” che rappresenta la summa della riflessione
storiografica dello storico partenopeo, egli sostiene che la porta di accesso alla
storiografia non è uno stretto passaggio disciplinare controllato da appositi
dispositivi anzi, è una porta assai larga in cui è facile transitare (storici di mestiere
ovviamente, ma anche memorialisti, giornalisti, cultori di storia generale o locale).
Tuttavia è all’uscita che bisogna pagare il dazio pesantissimo della regola
scientifica fondamentale che impone la piena controllabilità e la documentata
verificabilità della ricostruzione proposta; quello che è storiograficamente
accettabile deve essere (in qualsiasi modo, con vecchie o nuove procedure)
controllabile e verificabile come opera di pensiero critico, di mente storica5. La
dibattuta questione sulla possibilità di fare storia contemporanea in maniera
autorevole sembra oggi tendenzialmente superata, in virtù anche del fatto che non
si può più prescindere da un tipo di fonte che solo pochi decenni or sono non era

4
Novecento. I tempi della storia, a cura di CLAUDIO PAVONE, Roma, Donzelli, 1997. Si tratta
principalmente di saggi derivati dagli atti del convegno tenuto dalla Sissco a Pisa il 17-18 maggio 1996 in cui
emergono, a mio avviso, per qualità e interpretazioni innovative gli interventi di Charles Maier e Leonardo
Paggi.
5
GIUSEPPE GALASSO, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, il
Mulino, 2000.

3
nella disponibilità degli studiosi; mi riferisco ai media in generale ed al cinema in
particolare. Nel saggio di Giovanni De Luna6 si esplorano le potenzialità di quegli
elementi che stanno alla base della cosiddetta “nuova storia” mostrando come
steccati culturali e metodologici (del tipo di quelli considerati da Jurgen
Habermas) non siano più accettabili in un contesto in cui la disponibilità di fonti
sia tradizionali che di tipo nuovo ci travolgono da un punto di vista quantitativo e
qualitativo; in sintesi dobbiamo considerare come i media abbiano comunque
contribuito ad un processo di democratizzazione nella fruizione dei contenuti di
carattere storico; i media entrano ormai a pieno titolo tra le fonti per la conoscenza
storica; ciò è anche dimostrato, in particolare per il cinema, dai risultati
storiografici di alcuni lavori che non sarebbero stati possibili senza questo tipo di
fonte che ha così superato il livello di semplice funzione integrativa. Dobbiamo
del resto tenere conto, come ha illustrato il professor Lombardi durante il
seminario, della produzione policentrica dei documenti in età contemporanea in
cui una gerarchia del documento esiste solo in relazione ad un progetto di ricerca;
lo storico del tempo presente crea egli stesso una scala di valori dopo avere
operato quel lavoro preliminare che lo porta, in alcuni casi, a creare la fonte
stessa. Anche la fonte filmica deve essere sempre interpretata e non presa nella
sua espressione diretta come se non ci fosse nulla da aggiungere, da parte dello
studioso, a causa di una presunta oggettività esplicativa; la visione del regista, le
inquadrature, il montaggio sono meccanismi di cui bisogna tenere assolutamente
conto per non farsi sfuggire di mano il senso reale del “documento”. Sempre per
quanto riguarda la fonte filmica bisogna sottolineare come il contesto storico-
sociale, politico ed anche culturale dell’epoca in cui l’opera è stata prodotta risulta
fondamentale all’occhio dello storico, il quale può ricavare dati e informazioni
anche da un film che non sia tecnicamente e contenutisticamente valido ma che
faccia riflettere, ad esempio, sul perché sia stato prodotto un tale film in quel
determinato momento; ciò vale, naturalmente, anche per la produzione
cinematografica sulla Shoah per cui l'analisi dei film ci aiuta, al di là delle

6
GIOVANNI DE LUNA, L’occhio e l’orecchio dello storico. Le fonti audiovisive nella ricerca e nella
didattica della storia, Milano, La Nuova Italia, 1999.

4
valutazioni artistiche, a capire quali sono gli attori in gioco e comprendere le
motivazioni profonde che hanno portato a una determinata rappresentazione della
Shoah stessa. Anche se oggi a noi può sembrare strano (sommersi da decenni di
produzione letteraria, cinematografica e di fiction su questo tragico avvenimento
del secolo scorso) il cinema non è stato, in generale, precursore critico o apripista
ma ha perfettamente rappresentato i tempi in cui operava nell'elaborazione del
lutto collettivo e della memoria della Shoah7. La storia della Shoah è anche la
storia del suo racconto e delle rappresentazioni identitarie che i gruppi si sono
dati, è la storia della costruzione della memoria nel modo nuovo di cui abbiamo
detto sopra; ribadiamo quindi l’importanza del contesto dell’“epoca” in cui i film
sono stati prodotti8. La filmografia sull’Olocausto inizia effettivamente con la fine
“tecnica” dell’Olocausto stesso, e cioè quando i campi di sterminio vengono
liberati dagli Alleati durante la campagna militare per giungere a Berlino; sono
proprio le riprese dei reporter di guerra a fornirci il primo materiale filmato
visibile da tutti sul dramma dell’universo concentrazionario e di sterminio
nazista9. L’opera cardine, a detta dei critici probabilmente insuperabile è, come
abbiamo già sottolineato, “Shoah” di Lanzmann; il documentario, come è noto,
dura più di nove ore e sembra che tra i suoi scopi abbia anche quello di sfinire lo
spettatore. Il regista non utilizza materiale d’archivio ma opera solo inquadrando i
luoghi nell’”oggi” e intervistando chi c’era ieri; il contrasto tra la normalità del
quotidiano negli stessi luoghi e con le stesse persone (seppure trent’anni dopo) è
molto efficace nel fare emergere la perdita nel senso più profondo ed irreversibile
del termine. Egli incalza i suoi interlocutori nelle interviste che a volte paiono
tortuose nel loro svolgersi e non dimostra “pietà” di fronte alle reazioni che
7
Cfr. Il Cinema paradigma della memoria di CLAUDIA HASSAN, in L’Unità, 27 gennaio 2013.
8
Risulta comunemente accettata la partizione temporale che divide la produzione sull’Olocausto, proprio
sulla base degli elementi del contesto e di opere spartiacque in un primo periodo fino al processo di
Norimberga che ha carattere sostanzialmente documentario (1944-1946), un secondo periodo in cui emergono
i primi lavori di fiction (1947-1961), un terzo periodo in cui la cesura è rappresentata dal processo Eichmann
(1961-1985), l’ultimo periodo che ha come punto cardine proprio il lavoro di Lanzmann, con cui poi nessun
cineasta potrà evitare di confrontarsi; è anche il periodo in cui aumentano sensibilmente le produzioni legate
al nostro tema rispetto a tutti i periodi precedenti.
9
Voce Cinema e televisione in Dizionario dell’Olocausto, a cura di WALTER LAQUER, Torino,
Einaudi, 2004.

5
derivano dall’emergere di ricordi tanto dolorosi10. Il film ha avuto una
preparazione, tra riprese e montaggio, di circa dieci anni nei quali il regista ha
acquisito una cultura che potremmo definire completa sull’argomento11; nei primi
anni di preparazione Lanzmann non pensava però fosse necessario visitare la
Polonia ma riteneva più importante girare per il mondo per trovare ed intervistare
i protagonisti di quel tragico evento. Acquisendo informazioni sempre più
dettagliate si rese conto che mancava qualche cosa per delineare il quadro
d’insieme in maniera chiara e lo stesso Lanzamann sottolinea che “finally, I
realised I was meeting peolple, but couldn’t understand what they were telling
me. I had to go there. I arrived in Poland like a bomb with knowledge. But the
fuse was missing. Poland was the fuse”12. Rispetto ad altri film o documentari
sulla Shoah Lanzmann volle esporre “the main thing”, la questione principale e
onnicomprensiva; l’oggetto del film doveva essere la morte stessa piuttosto che la
sopravvivenza, lo sterminio di milioni di persone quindi, anche se all’inizio non
era chiaro come avrebbe dovuto essere impostato il lavoro di ricostruzione. Poi
l’idea di intervistare i superstiti componenti del Sonderkommando, gli unici che
nell’atrocità totale dello sterminio hanno vissuto tutti i momenti del processo che
dal rastrellamento dei ghetti o dei quartieri ebraici aveva portato milioni di
persone sui piazzali dei campi e poi nelle camere a gas; tutte queste persone,
paradossalmente, non hanno vissuto Auschwitz in quanto sono morti nell’arco di
un paio d’ore dal loro arrivo. Quindi i luoghi, le voci, i volti: in questi tre elementi

10
Lanzmann intervista principalmente tre gruppi di persone: i sopravvissuti dalla deportazione nei campi
polacchi, la maggior parte dei quali sono ebrei costretti a lavorare per i nazisti; guardie e funzionari nazisti;
testimoni polacchi. Con ossessiva precisione ed eloquenza che potremmo definire quasi poetica inquadra i
resti dei campi che rimandano ad un paesaggio bucolico, i convogli che oggi (fine anni ’70 inizio anni ’80)
percorrono gli stessi binari di trent’anni prima.
11
Lanzmann fu incaricato nel 1973 dal governo israeliano di produrre un documentario sullo sterminio degli
ebrei europei , ma nel 1977 non aveva presentato ancora neppure un minuto di girato e gli vennero ritirati i
fondi. Fu Begin in persona ad insistere nuovamente con Lanzmann ed ottenere un suo impegno scritto per la
produzione di questo film che evidentemente Israele riteneva molto importante. Lo spirito abrasivo di
Lanzmann si è forgiato durante l’ultima guerra in cui lo scrittore e regista iscritto al Partito Comunista
partecipò alla Resistenza; insieme a Sartre e Simone de Beauvoir si schierò contro la guerra d’Algeria. Cfr.
The Witness. ‘The Patagonian Hare,’ by Claude Lanzmann, by PAUL BERMAN, New York Times, August
10 - 2012.
12
Claude Lanzmann on why Holocaust documentary Shoah still matters, The Guardian, May 21 - 2013.

6
si può racchiudere lo svolgimento del film13. La netta posizione di rifiuto nei
confronti dell’archivio e dei documenti visivi dunque, sia perché alcuni
negazionisti avevano comunque contestato i filmati girati dagli alleati, sia perché
il documentario non intende ricostruire le complesse procedure relative alla
macchina di morte messa in atto dai nazisti, ma vuole concentrarsi esclusivamente
sull’aspetto più orribile della morte nelle camere a gas. Per esprimere un
personale giudizio su questo film, dopo averlo visto per la prima volta in
occasione di questo corso di storia contemporanea (premettendo che non possiedo
basi tecnico culturali per operare una critica cinematografica), sia sulla base dei
miei studi e delle mie letture sulla posizione che gli ebrei hanno ricoperto nel
corso della storia europea sia, per quanto riguarda in particolare l’Olocausto,
anche sull’influenza (spero sempre positivamente filtrata) che i numerosi film,
documentari, e materiale mediatico più disparato sull’argomento può avere avuto
sull’idea forse definitiva che mi sono fatto, voglio riferirmi integralmente alle
parole introduttive ad un’intervista a Lanzmann del 1998 con le quali concordo e
alle quali penso non si possa aggiungere niente di più o di diverso: “Shoah è uno
straordinario documento storico, che descrive con una quantità di dettagli inediti
che cosa fu la macchina di sterminio nazista. Un lungo poema sul lutto, sgranato
dai racconti funebri dei sopravvissuti delle squadre speciali, riecheggianti l’un
l’altro. Un’esperienza metafisica, che affonda negli abissi del buco nero del XX
secolo e dell’esperienza umana, che fa parlare i luoghi e abolisce la distanza tra
passato e presente. Un colossale lavoro giornalistico, lezione magistrale su come
si conduce un’inchiesta o un’intervista. Infine un immenso capitolo di cinema (e
soprattutto di montaggio), capace di organizzare decine di ore di conversazioni
che rimandano l’una all’altra, si intrecciano e si accavallano, a cerchi
concentrici, secondo una struttura che si adatta alla circolarità dell’ossessione,
che gira intorno e punta di continuo all’eterna questione del perché di Aushwitz,
viaggio allucinatorio nell’immemorabile, punteggiato con regolarità dal fracasso

13
“La grande arte di Claude Lanzmann consiste nel far parlare i luoghi, nel resuscitarli attraverso le voci, e,
al di là delle parole, nell’esprimere l’indicibile attraverso i volti”. Cfr. La memoria dell’orrore di SIMONE
DE BEAUVOIR in CLAUDE LANZMANN, Shoah, Torino, Einaudi, 2007.

7
infinito dei treni della morte. Shoah è almeno tutto questo e molto altro”14. Per
quanto riguarda le posizioni contrastanti emerse negli anni subito dopo i primi
film su questo argomento circa il fatto se la più grande tragedia del secolo scorso
potesse essere rappresentata dal cinema o addirittura dalla televisione, esse si sono
sostanzialmente polarizzate tra chi riteneva che l’importante era comunque sapere
e chi riteneva dissacrante trasmettere attraverso il tubo catodico o proiettare in un
cinema quegli eventi così drammatici. Ciò riguardava anche la diversa visione e
rappresentazione del fenomeno sulle due sponde dell’oceano; per l’America c’era
il rischio appunto della spettacolarizzazione con l’utilizzo da parte dell’industria
dell’intrattenimento per scopi puramente commerciali e non educativi ed etici. Fu
la fiction televisiva Holocaust prodotta e trasmessa negli U.S.A. nel 197815 a dare
il via alla polemica di cui sopra, ma è risultato in seguito evidente che produzioni
di questo genere hanno contribuito alla formazione di una coscienza pubblica e
collettiva; come sostiene Claudia Hassan il cinema diventa dunque esso stesso
memoria comune e memoria collettiva, capace di formare il nostro immaginario e
la nostra coscienza critica e autocritica16. Anche Claudio Gaetani sottolinea come
sia stato proprio grazie al fatto che il modello dello sceneggiato ha potuto
raggiungere un pubblico infinitamente più numeroso di quanto sarebbe stato
possibile tramite il cinema (per non parlare dei libri), che anche in Europa il tema
della Shoah ha cominciato ad essere discusso e ad entrare nella coscienza
collettiva17. Il documentario di Lanzmann è stato spesso messo in
contrapposizione con il film di Spielberg (Schindler’s list), sia per sottolineare le

14
Testimone dell’immemorabile. Intervista a Claude Lanzmann di SERGE KAGANSKI e FREDERIC
BONNAUD, in CLAUDE LANZMANN, Shoah… Cit.
15
In Italia lo sceneggiato fu trasmesso dalla RAI nel maggio del 1979 e ricordo ancora benissimo, come
bambino di seconda media che nulla conosceva della Shoah, il coinvolgimento emotivo comunque forte.
Oggi, come studente, cultore ed appassionato di storia, possiedo un bagaglio culturale e critico che mi
permette di distinguere la storiografia di valore dalla “paraletteratura”, ma non condanno in toto i lavori che,
con almeno una base storica di verità, permettano al pubblico dei cosiddetti non addetti ai lavori di
avvicinarsi a temi che potrebbero essere ostici. Spetta ai responsabili dei networks impostare il palinsesto con
programmi che non scadano nella pura retorica o addirittura in una superficialità che depriva l’argomento
trattato dei tratti caratterizzanti fondamentali; in negativo mi riferisco a certe fiction dei canali nazionali
assolutamente edulcorate, in positivo tengo presente invece il canale Rai Storia e l’insuperata BBC.
16
Cfr. Il Cinema paradigma della memoria… Cit.
17
Cfr. CLAUDIO GAETANI, Il cinema e la Shoah, Genova, Le Mani, 2006.

8
differenze tra modello americano e modello europeo nel trattare l’argomento
Shoah, sia per definirne un diverso livello qualitativo tra le due opere. La
storiografia più recente sull’argomento mi sembra che tenda a riunire le due
produzioni come facce della stessa medaglia, e cioè quella della necessità della
conoscenza innanzi tutto; ciò permetterebbe ad ogni spettatore,
indipendentemente dalla propria cultura e dal proprio bagaglio di informazioni
storiche sulla Shoah, di prendere coscienza dei fatti accaduti18; sta poi al singolo
approfondire con materiali più “tradizionali” ed esaustivi. Tuttavia la struttura
“hollywoodiana” del film di Spielberg è stata spesso criticata, soprattutto per la
shower scene l’analisi della quale è stata approfondita da Andrea Minuz19; la
sequenza in questione, come noto, culmina con l’ingresso delle donne nella
presunta (da tutti gli spettatori) camera a gas da cui invece che il gas uscirà
l’acqua. In molti non gli hanno perdonato di averci condotti all’interno del luogo
irrappresentabile per definizione adottando addirittura le strategie consolidate
della suspense. Vorrei concludere citando una frase di Pierre Sorlin che ha risolto
alcune mie perplessità sull’eventuale valore del cinema per la comprensione della
storia: “I film non sono la realtà, ma non se ne distaccano mai completamente.
Come degli specchi, che incorniciano, delimitano e a volte distorcono, ma in
fondo riflettono ciò che hanno di fronte, i film illustrano i vari aspetti della
società che li produce”20

18
CHRISTIAN DELAGE, Tempo, spazio e racconto cinematografico della Shoah, in Storia della Shoah. La
crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, a cura di M. Cattaruzza, M. Flores, S.
Levis Sullam, E. Traverso, Vol. IV. Eredità, rappresentazioni, identità, Torino, Utet, 2006.
19
Cfr. ANDREA MINUZ, Schindler’s List / Shoah: la post-memoria e il dibattito sui limiti della
rappresentazione. Un’analisi culturalista, Tesi di dottorato in “Il cinema nelle sue interrelazioni con il teatro
e le altre arti” XX ciclo, anno accademico 2007/2008, Università degli Studi di Roma Tre. Gli elementi più
criticati sono stati quelli legati all’ intreccio tra voyeurismo e sadismo evocati e proposti allo spettatore, con
riferimenti alla celebre scena dell’omicidio sotto la doccia in Psycho di Hitchcock.
20
PIERRE SORLIN, Cinema e identità europea. Percorsi nel secondo novecento, Milano, La Nuova Italia,
2001.

9
Keystone via Getty Images
Claude Lanzmann, left, in Egypt with Simone de Beauvoir and Jean-Paul Sartre, 1967.

10
BIBLIOGRFIA e FILMOGRAFIA

SCIPIONE GUARRACINO, Il Novecento e le sue storie, Milano, Bruno


Mondadori, 1997.

GEOFFREY BARRACLOUGH, Guida alla storia contemporanea, Bari, Laterza,


1989.

ERIC J. HOBSBAWM, Il Secolo breve. 1914-1991, Milano, Rizzoli, 2007.

Novecento. I tempi della storia, a cura di CLAUDIO PAVONE, Roma, Donzelli,


1997.

GIUSEPPE GALASSO, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia


della storia, Bologna, il Mulino, 2000.

GIOVANNI DE LUNA, L’occhio e l’orecchio dello storico. Le fonti audiovisive


nella ricerca e nella didattica della storia, Milano, La Nuova Italia, 1999.

Il Cinema paradigma della memoria di CLAUDIA HASSAN, in L’Unità, 27


gennaio 2013.

Dizionario dell’Olocausto, a cura di WALTER LAQUER, Torino, Einaudi, 2004.

The Witness. ‘The Patagonian Hare,’ by Claude Lanzmann, by PAUL BERMAN,


New York Times, August 10 - 2012.

Claude Lanzmann on why Holocaust documentary Shoah still matters, The


Guardian, May 21 - 2013.

CLAUDE LANZMANN, Shoah, Torino, Einaudi, 2007.

CLAUDIO GAETANI, Il cinema e la Shoah, Genova, Le Mani, 2006.

CHRISTIAN DELAGE, Tempo, spazio e racconto cinematografico della Shoah,


in Storia della Shoah. La crisi dell’Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria
del XX secolo, a cura di M. Cattaruzza, M. Flores, S. Levis Sullam, E. Traverso,
Vol. IV. Eredità, rappresentazioni, identità, Torino, Utet, 2006.

ANDREA MINUZ, Shindler’s List / Shoah: la post-memoria e il dibattito sui


limiti della rappresentazione. Un’analisi culturalista, Tesi di dottorato in “Il
cinema nelle sue interrelazioni con il teatro e le altre arti” XX ciclo, anno
accademico 2007/2008, Università degli Studi di Roma Tre.

11
PIERRE SORLIN, Cinema e identità europea. Percorsi nel secondo novecento,
Milano, La Nuova Italia, 2001.

SHOAH, un film di CLAUDE LANZMANN, 1985.

SOBIBOR, un film di CLAUDE LANZMANN, 2001.

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