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«"Papà, spiegami allora a cosa serve la storia".

Così un giovinetto, che mi è molto caro,


interrogava, qualche anno fa, uno storico. Del libro che si leggerà, vorrei poter dire che è la
mia risposta»​ (Marc Bloch, Apologia della storia, Introduzione)
Apologia della storia o Mestiere di storico è un'opera incompiuta di Marc Bloch. Si presenta
come uno dei maggiori classici della riflessione di metodologia storica del Novecento.
Pubblicato postumo per la prima volta nel 1949, grazie all'amico e compagno di studi Lucien
Febvre, la versione definitiva è stata curata nel 1993 dal figlio dell'autore, Etienne Bloch.

Marc Bloch scrisse l'opera all'indomani della disfatta francese del 1940: la riflessione sulla
storiografia porta lo scrittore ad analizzare le problematiche legate al perché e all'utilità
pratica del mestiere dello storico. Alla domanda "a che serve la storia" Marc Bloch risponde
sostenendo che la storiografia analizza "il passato in funzione del presente e il presente in
funzione del passato". Nella riflessione del francese lo storico non è solamente uno studioso
dedito a ricerche del passato che non hanno alcuna utilità nella società contemporanea: il
recupero della "memoria collettiva" diventa per Bloch un punto di riflessione importante per
ogni società, che da una migliore conoscenza del passato potrà meglio risolvere i problemi
del presente. L'Apologia fornisce anche altri spunti metodologici importanti, come la
collaborazione interdisciplinare della storiografia con altre discipline umanistiche come la
sociologia e la psicologia, senza escluderne altre come l'economia. Altro compito che Bloch
ritiene fondamentale per uno storico è lo sforzo che quest'ultimo, in maniera onesta e
rigorosa, deve compiere per comprendere e non solo per spiegare la storia. Conoscere le
date, le battaglie e i protagonisti non è così importante quanto ricostruire un "contesto"
storico adeguato.

Introduzione
L'introduzione dell'opera muove i passi a partire da alcune domande estremamente semplici,
quali quella di un fanciullo che chiede "a cosa serve" la storia o quella di un soldato francese
che, all'entrata delle truppe tedesche di occupazione a Parigi, si chiedeva se la storia
"avesse ingannato". Da queste questioni Bloch inizia un discorso generale sulle scienze, sul
loro utilizzo e sulla vocazione degli studiosi. Innanzitutto, dimostra con pochi semplici
esempi come tutte le scienze siano degne di interesse, e come la storia sia una disciplina
con un fascino proprio. Rispetto alla letteratura storica, per esempio, chi si avventura nella
storia è mosso da una ricerca "delle tinte autentiche". Una delle prime domande che Bloch
pone è quella su cosa si fonda la "legittimità" di uno studio, quale sia il valore che una
ricerca apporti per essere ritenuta "utile". Il metodo di Bloch nel rispondere a queste
domande è quello di dare risposte inizialmente semplici e quasi grossolane, per poi rifinirle,
tramite esempi, dimostrazioni e confutazioni, trovando una risposta via via più aderente e
tagliata su misura alla realtà. In questo caso la prima risposta è che solo ricerche finalizzate
a servire all'azione siano utili; ma dice anche che l'esperienza ci ha spesso insegnato il
contrario, con le speculazioni "in apparenza più disinteressate" che si sono poi rivelate
straordinariamente feconde nella pratica, anche a distanza di molti anni. L'umanità, infatti, è
portata ad avere degli "appetiti intellettuali" che vanno al di là delle preoccupazioni di
benessere. Ma anche indipendentemente da qualsiasi risvolto pratico, nel presente o nel
futuro, lo studio della storia ha una sua validità. Esso risponde comunque a un'esigenza del
"vivere meglio", che non può essere ricondotto a un semplicistico ruolo di guida alla nostra
azione; un'altra risposta si può trovare confutando le opinioni di coloro che sconsigliano lo
studio della storia perché sterile e dannoso: queste posizioni giustificherebbero allora
l'ignoranza. La domanda alla fine non ha risposta immediata: per prima cosa Bloch
dimostrerà "come e perché uno storico pratica il suo mestiere", poi il lettore potrà decidere
se tale mestiere sia degno d'essere esercitato. La storia viene descritta come qualcosa di
dinamico, "uno sforzo verso il miglioramento della conoscenza". La storia non solo è una
scienza "in cammino", ma è anche relativamente giovane, come tutte le scienze sociali, anzi
per quanto riguarda alcuni problemi essenziali di metodo "essa è rimasta [...] ai primi passi".
Gli storici, sin dalla fine del XIX secolo (da Émile Durkheim), si trovarono davanti al dilemma
di conformare una scienza dell'evoluzione umana con le singole realtà "ribelli" alla
costruzione di un sapere razionale: ciò diede origine al concetto di "avvenimento" inteso
come evento contingente. Questo concetto, scrive Bloch, è superato e per ciascuno dei
movimenti intellettuali c'è da trovare "il prezzo della loro fecondità". In ogni caso la
conoscenza storica è incapace di dare certezze e, sebbene possa pretendere il diritto a
definirsi "scientifica" per i suoi metodi, i suoi risultati, per quanto universali, vanno presi
sempre con il dovuto grado. Dopotutto le esitazioni e i "pentimenti" degli storici sono proprio
ciò che giustifica i nuovi studi e in un certo senso dà "freschezza" agli studi storici.
L'incompiuto, quando porta a superarsi eternamente, genera una seduzione pari all'opera
più perfettamente completa. Infine Bloch fa una riflessione su come ogni scienza vada a
comporre un "frammento del moto universale verso la conoscenza".

Primo capitolo: La storia, gli uomini e il tempo


Il primo capitolo, usando lo stesso metodo già comparso nell'introduzione di porre domande
alle quali rispondere con approssimazioni successivamente più rifinite, si occupa dell'oggetto
della storia. Esistono ormai storie delle più svariate discipline, dalla geologia, alla formazione
e al movimento dei pianeti, alla vulcanologia; la storia vera e propria, come avevano detto
anche Jules Michelet o Fustel de Coulanges, si occupa dell'uomo, o meglio "degli uomini".
Se la storia sia una scienza o un'arte discussero a lungo nel XIX secolo e Bloch non si
sofferma sulla questione: la storia si manifesta con metodi scientifici e con una trasposizione
scritta che ha una sua estetica. Inoltre lo storico non scrive con l'esattezza millimetrica di un
"fresatore"; egli deve procedere spesso a tatto, affidandosi alla sua sensibilità, come fa il
"liutaio". La storia non è solo scienza degli uomini: è "scienza degli uomini nel tempo". Pur
non esistendo scienze che possono astrarsi completamente dal tempo, sia pure come
misura, la storia è invece basata sul tempo, con i suoi fenomeni che vi "nuotano" dentro. Il
tempo reale è così analizzato come un continuo cambiamento, dove i fatti sono incanalati
cronologicamente e, in un arco ragionevole, si influenzano tra loro. La ricerca delle "origini"
di qualsiasi fenomeno è un'impostazione storica che talvolta ha prodotto ambiguità: le origini
possono essere l'inizio o le cause di un fenomeno. Dopo aver analizzato alcuni esempi,
Bloch perviene alla conclusione che il voler assiduamente cercare le origini di un fenomeno
spesso non è che un modo per poi giustificarlo o condannarlo nel presente. E ciò nasconde
un altro "diabolico nemico della storia vera e propria: la mania del giudizio". In fondo la
conoscenza dell'origine di un fenomeno non basta a spiegarlo: sapere della Crocefissione o
della Risurrezione di Gesù non basta a spiegare perché molti esseri umani vi credano. Vi
sono infatti una serie di condizioni favorevoli che permettono a un fenomeno di manifestarsi
in un dato modo: infatti un fatto storico non può mai essere studiato al di fuori dello studio
del momento in cui avvenne. Infine, Bloch si occupa del rapporto tra presente e passato
negli studi di storia. Rileva come sia abbastanza diffusa la convinzione che il presente
(inteso ovviamente come passato prossimo, non come istante attuale) non sia adatto ad
essere oggetto della storia. L'epoca attuale non va considerata come "separata" da quelle
precedenti e la distinzione tra passato e presente nell'oggetto degli studi storici è una
questione piuttosto recente (era sconosciuta per esempio ad Erodoto). Gli stessi studiosi del
presente, come i giornalisti, non devono poi cadere nell'errore che il presente sia
auto-intelligibile, staccato dal passato: anche tempi molto remoti continuano a influenzare il
presente e l'autore porta come esempio la disposizione dei campi coltivati, che ricalca
tracciati risalenti forse addirittura all'epoca dei dolmen. Il passato non va valutato poi con gli
strumenti del presente: i personaggi storici vanno collocati nell'ambiente, nella mentalità e
nell'atmosfera delle loro epoche. Lo storico cerca però un "fondo permanente" nell'uomo e
nella sua natura, che attraversa le epoche storiche in una sorta di continuum: lo storico ama
la vita e le sue manifestazioni anche nel presente e per ricostruire la storia si serve delle sue
esperienze quotidiane, dove con la sua sensibilità sfuma gli elementi che ha a disposizione.

Secondo capitolo: L'osservazione storica


Dopo aver descritto l'oggetto della storia Bloch si dedica agli strumenti, ovvero
all'osservazione storica. Innanzitutto, la caratteristica più lampante dell'osservazione storica
è il fatto che lo storico non partecipa direttamente e quindi non può verificare di persona i
fatti che descrive. Egli riceve testimonianze sia scritte che non scritte che provengono dalle
epoche del passato. La particolarità dell'osservazione storica è quindi quella di essere una
"conoscenza per tracce". Se il passato è un dato che non può più essere modificato, ben più
in evoluzione è la conoscenza che si può avere di esso, che si perfeziona e si trasforma
"senza posa". Il passato ci ha quindi lasciato delle tracce, sia volontarie che involontarie, ma
in ogni caso incomplete (si fa l'esempio di una testimonianza di una battaglia dove anche il
testimone più scrupoloso non può che aver assistito solo a una parte dei fatti). A volte la
mancanza di tracce deve risolversi nell'impossibilità di conoscere e gli storici devono
arrivare, dopo aver provato tutte le strade possibili, all'ammissione di ignoranza.
Testimonianze volontarie (cioè scritte con l'intento di descrivere un fatto) e involontarie (non
destinate ad essere lette in chiave storica) vanno entrambe tenute in conto, ma vanno anche
opportunamente soppesate: non si deve essere "alunni" passivi di ciò che i predecessori ci
hanno voluto tramandare, ma bisogna spesso scavare più in profondità, usando tutte quelle
informazioni che si possono ricavare da canali indiretti. Ogni ricerca dello storico deve avere
alla base un "questionario": non ha senso una lettura incondizionata di qualsiasi documento
dal quale trarre considerazioni storiche; almeno a livello inconscio, istintivo, ci saranno
sempre delle domande, dei punti di interesse, che guidano la ricerca. Gli stessi documenti,
se non interrogati in determinati sensi, "non parlano" (viene fatto l'esempio dei reperti
preistorici che venivano ignorati da chi non sapesse riconoscerne il valore). Gli storici
devono cercare le loro risposte consultando una gamma più svariata possibile di
testimonianze, senza arenarsi alle sole più evidenti (fa l'esempio dello storico delle religioni
che studiasse solo i trattati di teologia e le raccolte di inni). La raccolta dei documenti
avviene attraverso alcune guide che lo storico deve conoscere, come gli inventari di archivi e
biblioteche, i cataloghi dei musei e i reperti bibliografici di ogni tipo. A volte poi le catastrofi
giocano un ruolo nettamente sfavorevole per i posteri: fa l'esempio dell'eruzione del Vesuvio
e Pompei o delle confische degli archivi ecclesiastici e aristocratici ai tempi della rivoluzione
francese. A volte poi la maggiore o minore presenza di testimonianze è dovuta a fatti del
tutto contingenti, come il clima o l'indole di singole persone... ma questa impotenza dello
storico davanti alla mancanza di documenti non deve far tramontare la speranza verso
ritrovamenti imprevisti e imprevedibili (come avvenne con l'ultima copia della Germania di
Tacito).
Terzo capitolo: La critica
Le fonti vanno trattate e soppesate con un opportuno metodo critico. Come accade nelle
aule di tribunale, i testimoni non vanno creduti ingenuamente sulla parola e ciò vale anche
per le fonti dello storico. In questo senso, nel 1681 con il De re diplomatica di Jean Mabillon,
la critica dei documenti d'archivio venne fondata.Esistono più tipi di falso: falso che ricalca
qualcosa di vero (esempio dei diplomi reali dei monasteri a volte riprodotti perché dispersi),
falso sull'autore o sulla data, falso sul contenuto. Sia che un documento sia autentico o no
occorre innanzitutto verificare i dati che contiene rapportandolo ad altri documenti simili e
coevi; in caso di falso si deve comunque anche spingersi a capire il "perché" sia stato
prodotto, trovando talvolta altrettante informazioni (involontariamente date dall'autore del
falso) che davanti a un documento autentico. Anche i plagi vanno soppesati, ed essi variano
dalla copiatura di una fonte rispetto ad un'altra, fino alla copiatura di una medesima fonte
ormai perduta. Vi sono anche esempi di mitomani, deliberati produttori di falsi, che sfuggono
alla ricomposizione razionale, come ce ne furono molti nel XIX secolo. Poi oltre ai falsi
evidenti ci sono i più insidiosi rimaneggiamenti della realtà, con interpolazioni, "abbellimenti",
ecc. Non mancano infine gli errori involontari, che nei grandi numeri, spesso si annullano a
vicenda. Tutte queste considerazioni sono confluite nella psicologia della testimonianza, che
è molto utile anche negli studi storici. Tra le acquisizioni di questa disciplina c'è quella
secondo la quale la familiarità di qualcosa produce una certa indifferenza, quindi scarsa
affidabilità (esempio di Bernardo di Chiaravalle e dei suoi errori nel ricordare la cappella
dove era solito pregare da giovane). Un'altra distorsione dei ricordi è prodotta da un
"violento turbamento emotivo", che impedisce la concentrazione (esempio del primo colpo di
arma da fuoco il 25 febbraio 1848 che iniziò la sommossa a Parigi). Le deformazioni delle
testimonianze, intese come errori di valutazione, sono spesso orientate in anticipo, cioè
sono riflesso di particolari preconcetti: così le cattive osservazioni di qualcosa si possono
tradurre in errori anche molto difficili da rimuovere in seguito. Il terzo paragrafo descrive la
logica del metodo critico, cioè le procedure con le quali si confrontano e si valutano le
testimonianze del passato. Innanzitutto serve il confronto con materiali analoghi per epoca e
per luogo di origine, così che i falsi saltino facilmente agli occhi. Nel caso di qualcosa di
scritto si analizzerà il linguaggio, il supporto (papiro, pergamena o carta), lo stile, eccetera:
un disaccordo in uno o più elementi può portare alla condanna. Anche se non si deve
cercare un'assoluta corrispondenza, che ci porterebbe a segnalare come falsi alcuni reperti
assolutamente straordinari (ad esempio i primi documenti scritti in francese, nonostante
all'epoca si usasse quasi esclusivamente il latino): in alcuni casi solo alcuni elementi di
concordanza sono sufficienti a stabilire la datazione e l'autenticità. Esiste poi una
somiglianza eccessiva, che discredita: è il caso dei plagi e dei falsi ad hoc (ad esempio
come quando Eginardo nel tratteggiare la biografia di Carlo Magno copia dal ritratto di
Augusto scritto da Svetonio). Ci sono poi esempi di "suggeritori", cioè di testimonianze
indotte, come se ne trovano frequentemente nei documenti dei tribunali dell'Inquisizione,
dove gli stessi giudici raccoglievano confessioni pressoché identiche da imputati diversi.
Esistono anche, all'interno dei vari casi statistici, delle incredibili somiglianze, che sono
dovute solo a pure coincidenze, che pure vanno tenute in considerazione: l'impossibile è
solo caso "la cui probabilità è infinitamente piccola" (esempio delle analogie sorprendenti tra
gli ordini dei Gesuiti e dei Gesuati, fondati da santi morti lo stesso giorno e soppressi da papi
con lo stesso nome).
Quarto capitolo: L'analisi storica
Quando lo storico ha raccolto e soppesato le sue fonti, non ha che da raccontare "ciò che
fu", usando una frase di Erodoto. Il racconto però incorre in due problemi fondamentali, che
sono quello dell'imparzialità storica e del tentare un'analisi, quindi esponendosi a giudizi.
Secondo la scuola romantica di studi storiografici, lo storico era una specie di giudice che
distribuiva elogi o biasimi "agli eroi morti"; ma questo approccio è ormai ampiamente
superato, anche perché un giudizio con i preconcetti del presente non ha molto valore: è
meglio cercare ciò che realmente volevano gli uomini del passato con le loro azioni,
spogliandosi dei propri retaggi attuali. Per arrivare a comprendere però non si può registrare
passivamente gli avvenimenti, bisogna spingersi oltre analizzando e organizzando
razionalmente la materia. I fenomeni vengono così concatenati e vengono messe in luce
delle linee di forza che devono avere un'efficacia decisiva. In questo senso si può attuare
una scomposizione e selezione del reale, sotto più discipline, in modo da osservare meglio,
senza ignorare i campi attigui che si combinano e compenetrano continuamente: come nel
panorama da una finestra ogni studioso si ritaglia una sua parte (il fisico l'azzurro del cielo, il
chimico l'acqua del ruscello, il botanico l'erba...) e semmai solo il poeta o l'artista ricompone
il tutto. Ma i compartimenti tra disciplina e disciplina, anche tra le stesse sotto
categorizzazioni degli studi storici, non devono mai essere netti, essendo gli uomini stessi
dediti a più ruoli e attività nella loro vita. Un altro problema è quello della nomenclatura, cioè
dei nomi che lo storico dà ai fenomeni che studia. La classificazione è necessaria, ma i
termini per attuarla talvolta non esistono: si possono allora prendere dal passato o inventarli,
e ciascuno dei due metodi ha i suoi vantaggi e i suoi limiti. Tra gli esempi portati c'è
l'evoluzione delle parole servo e schiavo, oppure la creazione degli "-ismi", o ancora l'uso di
parole che anticamente significavano tutt'altro come "rivoluzione" (dall'originario significato
astrologico a quello di sommossa). A volte il passato stesso ha prodotto terminologie
ambigue, come nel caso di traduzioni in lingue "dotte" come il latino (esempio del Domesday
Book e dell'uso di parole come consules per concetti attuali come "conti"). Altre volte i
termini cambiano inevitabilmente con il trascorrere delle epoche (come il concetto di libertas
comunale e di libertà moderna). Questione fondamentale per la classificazione storica è poi
la divisione in epoche cronologiche. Bloch analizza i vari sistemi usati fino ad allora dagli
storici, a partire dalla divisione in dinastie di regnanti (ad esempio, soprattutto per la storia
francese, con l'epoca merovingia, carolingia, capetingia, ecc.). Si è diffuso poi, per non voler
sottolineare sempre e solo gli aspetti legati ai sovrani, una divisione in epoche, come l'epoca
del Medioevo o del Rinascimento, nomi che portano nella loro radice un giudizio congenito.
Più recentemente, per Marc Bloch, si è diffusa infine una periodizzazione per secoli,
sicuramente più semplice, ma incapace di inquadrare correttamente i fenomeni con
deformazioni quali la convinzione, per esempio, che il XVIII secolo "sia iniziato" nel 1687 o
nel 1697 o ancora nel 1715, volendo evidenziare alcuni passaggi epocali che non avvennero
esattamente nel 1701. Esiste poi, sempre riguardo alla classificazione temporale, una
questione legata alla precisione: si devono delimitare i fenomeni per anni, per mesi, per
giorni o addirittura per minuti o secondi? Ciò dipende dal fenomeno che si considera, dove
ogni fatto ha insito una sua precisione richiesta, il cui spessore può variare in base alla
natura del fenomeno stesso. A volte infatti è sufficiente usare un intervallo di tempo piuttosto
ampio (ad esempio "dal 1875 al 1885"), anche perché i fatti non consentono una precisione
maggiore. In conclusione, Bloch mette in guardia come il tempo umano sia sempre "ribelle"
alle richieste di uniformità della classificazione e della ripartizione: ci sono varianti del ritmo
che dipendono anche dai diversi luoghi, che necessitano l'accettazione di una certa plasticità
e adattamento.
Quinto capitolo (senza titolo)
Il quinto capitolo è molto più breve, frutto di soli cinque fogli di Bloch scritti a mano, e mostra
l'interruzione dell'opera. Non ha titolo, ma vi si tratta della ricerca dei rapporti di
causa-effetto.Innanzitutto Bloch evidenzia la divisione tra condizioni e cause: le prime sono
variabili più permanenti, generali e costanti (ad esempio la presenza di una montagna,
sebbene abbia una propria causa nella tettonica, per gli uomini non è una variabile), le
seconde sono legate all'azione eccezionale dell'uomo o di altri fattori. Lo storico si deve
soffermare ovviamente solo sulle seconde, nonostante si debba ammettere un certo
margine mobile nel confine tra cause e condizioni. Inoltre non si deve cercare di ricondurre
tutto a una spiegazione logica e ragionata: Bloch riporta in questo senso una citazione di
Napoleone Bonaparte, "non c'è nulla di più raro che un progetto". Bisogna tener conto delle
variabili evitando l'apriorismo e gli errori dovuti a ipotesi acquisite in partenza.

«Per dirla in una parola, le cause, in storia non più che altrove, non si postulano. Si
cercano...» ​(Marc Bloch, Apologia della storia, fine del quinto capitolo)

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