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Storia della Musica per Didattica

La Storiografia Contemporanea
Peter Burke

Capitolo 2. La Storiografia dal basso (di Jim Sharpe)

Sin dai tempi antichi, la storia è sempre stata equiparata alla narrazione delle gesta dei grandi uomini.

Nel XIX secolo, però, si sviluppò l’interesse per una storia sociale ed economica di più ampio respiro.

Nel 1966, Edward Thomson pubblicò sul “Times Literary Supplement” un articolo sulla “storia da basso”, in
cui Thomson riconosceva la necessità di tentare di capire le genti del passato alla luce delle loro esperienze
personali.
Questo tipo di analisi, però, comportò una serie di problemi.
Il primo riguardò le fonti, considerate molto esigue, e un secondo riguardò i problemi di interpretazione, cioè
quale uso fare della storia dal basso una volta scritta.

Le finalità di fondo, implicite nell’approccio alla storia dal basso, sono facilmente illustrabili prendendo in
esame gli studi degli storici della tradizione marxista o quelli inglesi della storia della classe operaia.

Gli storici marxisti, però, tendevano a limitare lo studio della storia da basso a quegli episodi e movimenti in
cui le masse erano coinvolte all’interno di un’attività politica.
Il background storico di tale linea di pensiero è stato illustrato da Erie Hobsbawn (storico e scrittore
britannico), il quale ha sostenuto che la possibilità di sviluppo della “storia popolare” inizia con la storia dei
movimenti di massa del movimento operaio.
Il problema era che gli storici del movimento operaio, marxisti e non, avevano studiato non la gente comune
in generale, ma in particolar modo i sindacalisti, i militanti e altre categorie affini.
Sebbene il concetto di “storia dal basso” sia stato sviluppato essenzialmente dagli storici marxisti, il libro
che forse ha avuto maggiormente impatto è opera di uno studioso francese e riguarda una comunità rurale
medievale dei Brunei: “Storia di un paese: Montaillou” di Emmanuel Le Roy Ladurie del 1975.
Sebbene esistano numerosi studi storici riguardanti le comunità rurali, si dispone comunque di pochissimi
documenti che possono considerarsi testimonianze dirette dei contadini stessi.

Ma, in quest’opera, l’autore aggirò tale problema basando il proprio libro sui verbali degli interrogatori
condotti da un vescovo durante il periodo di caccia all’eretico tra il 1318 e il 1325;
tali interrogatori diventano lo strumento per ricostruire non solo le credenze religiose, ma anche le
dinamiche sociali, le strutture materiali, le abitudini di vita di questa popolazione montana; ma soprattutto,
offrendo le testimonianze dirette della popolazione locale, normalmente esclusa da tutte le forme di
espressione scritta, permettono di analizzare la mentalità contadina.
Partendo da una fonte tipica della storia religiosa Le Roy Ladurie ha così realizzato una microstoria o
monografia di villaggio, che è al tempo stesso una ricerca di storia globale.
Oltretutto, questo lavoro rappresenta anche come gli storici sociali stavano diventando sempre più indirizzati
ad impiegare un tipo di fonti il cui valore consisteva nel fatto che i loro estensori on stavano coscientemente
scrivendo per i posteri: è il caso, ad esempio, degli atti giudiziari, dei registri parrocchiali, dei testamenti, etc.
Questo tipo di fonti consentono allo storico un contatto diretto con le parole della gente comune.

Un’altra opera che dimostra come la stessa tipologia di fonti sia utilizzabile per una storia dal basso di
genere diverso, è “Il formaggio e i vermi” di Carlo Ginzburg, del 1976, formulato in un’ottica in cui gli
studiosi di storia hanno da tempo appreso che la storia è storia degli uomini, non dei «grandi», e che il
passato è possibile decifrarlo in maniera migliore quando è possibile arrivare fino alla realtà quotidiana e
fino a coglierne con senso di immediatezza i problemi, le connessioni con l'oggi e, quindi, la storia.

Lo scopo di Ginzburg non era sostanzialmente quello di ricostruire la modalità di vita di una comunità
rurale, ma quello di esplorare il mondo intellettuale e spirituale di un individuo in particolare, un mugnaio di
nome Domenico Scandella, che cadde vittima dell’Inquisizione intorno al 1600;
la voluminosa documentazione che si occupò del caso, permise a Ginzburg di ricostruire gran parte del suo
sistema di credenze.
Era lontana, comunque, l’intenzione di limitarsi all’utilizzo di un’unica fonte ed infatti gli studiosi della
storia dal basso hanno anche utilizzato altri tipi di documenti ufficiali.
Un esempio è costituito da Barbara Hanawalt che, nella sua ricostruzione della vita familiare nelle campagne
medievali, ha attinto da una delle più grandi fonti della storia sociale inglese, ovvero dalle inchieste
giudiziarie del Coroner (un coroner è un avvocato -o un medico in alcuni casi- che agisce da ufficiale
giudiziario e il suo lavoro consiste nell'indagare sui casi di morte che gli vengono segnalati. Questo implica
lo scoprire la causa medica del decesso, se sconosciuta, e svolgere un’inchiesta se questo è dovuto a cause
violente o innaturali), per ricostruire un quadro dell’ambiente dell’economia domestica e dei modelli
educativi dei bambini.
In un certo senso, l’opera dell’autrice adotta una strategia alternativa a quella seguita da Le Roy Ladurie e
Ginzburg, ovvero l’utilizzo di un ampio corpo di documenti invece che la costruzione di un caso specifico
basato su un’unica fonte particolarmente ricca.

Molti storici, soprattutto nell’Europa Continentale, sono stati ispirati alla scuola francese degli “Annales”, i
quali hanno potuto fornire degli esempi metodologici sull’uso innovativo che può essere fatto delle forme
tradizionali di documentazione.

Altri studiosi hanno cercato i propri modelli nella sociologia e nell’antropologia.


La sociologia è di grande importanza per gli storici della società industriale;
l’antropologia è di grande importanza, invece, per i temi medievali e rinascimentali.

Però, l’approccio microstorico prediletto dai modelli antropologici presenta il grosso pericolo di ignorare il
problema più generale dell’individuazione del potere all’interno della società.
Alla base di tutta questa discussione, sorge spontanea l’esigenza di chiedersi se la storia dal basso è in effetti
un approccio alla storia, oppure è semplicemente un tipo distintivo di storia.
Entrambe le tesi, però, possono essere argomentabili.
La storia dal basso, in quanto approccio, svolge due importanti funzioni:
1) quella di servire da correttivo alla sola storia dei leader
2) quello di offrire la possibilità di una fusione tra la storia dell’esperienza quotidiana del popolo ed i tipi di
storia più tradizionali.

Viceversa, si potrebbe sostenere che il campo d’indagine della storia dal basso, i problemi relativi alle fonti,
e forse anche l’orientamento politico di molti dei suoi fautori, ne fanno un tipo di storia a sé stante.

La storia dal basso, in quanto genere a sé stante, introduce un altro elemento di novità, cioè quello di
ampliare il pubblico dei lettori e di permettere un più facile accesso alla storia rispetto a quello normalmente
consentito dagli storici accademici.

Un certo numero di studiosi, inoltre, ha riconosciuto la necessità di compiere un salto concettuale che
consentisse loro una migliore comprensione dei ceti inferiori delle società del passato.
Thompson, Ginzburg, Le Roy Ladurie ed altri ancora, pur partendo da posizioni diverse, hanno tutti saputo
dimostrare come l’immaginazione possa interagire col rigore scientifico al fine di ampliare la nostra visione
del passato e fare luce su molti aspetti del passato stesso che, altrimenti, sarebbero stati destinati a rimanere
ignoti.

La storia dal basso ha avuto fino ad oggi un impatto relativamente scarso sulla storia tradizionale; ma
sarebbe più opportuno che, invece, fosse fatta uscire dal “ghetto” ed usata per criticare e rafforzare la storia
tradizionale, oltre che per ricordarci come la nostra identità non sia stata plasmata soltanto da monarchi,
generali, comandanti, etc.
Capitolo 3. La Storia delle Donne (di Joan Scott)

La storia delle donne è emersa come un campo di ricerca definibile soprattutto negli ultimi due decenni.
Il punto di partenza di questo campo di ricerca sarebbe da ricercare nella politica femminista, negli anni ’60
o quando le attiviste femministe richiesero una storia che potesse fornire eroine e fosse fonte d’ispirazione
per l’azione.
Nel primo periodo ci fu un rapporto diretto tra politica e cultura; mentre, nella seconda metà degli anni ’60,
la storia delle donne si allontanò dalla politica, ampliando il proprio campo di ricerca con la documentazione
di tutti gli aspetti della vita delle donne del passato.

Infine, negli anni ’80, la svolta verso il “genere” ha rappresentato la rottura definitiva con la politica ed ha
acquisito una propria identità.

Sebbene la storia delle donne sia sicuramente stata collegata all’emergere del femminismo, quest’ultimo
tutt’oggi non è scomparso né come presenza accademica né come presenza nella società, nonostante siano
cambiate le proprie modalità di organizzazione.

Il femminismo basava la propria attrattiva e le proprie argomentazioni, peraltro molto diffuse, a favore della
parità fra i sessi;
creò per le donne un’identità collettiva con il comune interesse di porre fine alla subordinazione e di
raggiungere l’obiettivo del senso di uguaglianza; e divennero, inoltre, un gruppo identificabile nel momento
in cui formarono l’Organizzazione Nazionale delle Donne.
Le femministe, però, affermavano che i pregiudizi nei confronti delle donne continuavano ad esserci anche
quando esse avevano comunque credenziali accademiche e professionali;
così, nel 1969, il Comitato di Coordinamento per e donne nella professione storica durante la riunione
dell’AHA (American Histened Association, ovvero la società più antica e più grande di storici e professori
di storia negli Stati Uniti; fondata nel 1884, l'associazione promuove studi storici, l'insegnamento della
storia, e la conservazione e l'accesso ai materiali storici) propose mozioni volte a promuovere la condizione
delle donne che nell’AHA, insieme ai neri, gli ebrei ed i cattolici, erano stati per anni sottorappresentati;
in quest’occasione le donne richiesero che le associazioni professionali prendessero delle posizioni chiare su
questi problemi di carattere nazionale, sostenendo che il silenzio non rappresentasse neutralità ma complicità
con la discriminazione.

Si venne a creare, dunque, un problema di ridefinizione professionale; e ciò accadde perché la presenza delle
donne organizzate metteva in crisi l’idea che gli storici di professione formassero un corpo unitario e, di
conseguenza, questo ha condotto ad una forte resistenza da parte degli storici tradizionali.

La storia delle donne discute anche la priorità data alla “Storia al maschile”, rispetto quella data alla “Storia
al femminile”, e i processi attraverso i quali il pensiero maschile sia stato considerato più importante.
Gli storici tradizionali hanno difeso il loro potere di depositori della disciplina, invocando un’opposizione tra
“Storia”, intesa come conoscenza ottenuta attraverso una ricerca neutrale, e “ideologia”, intesa come
conoscenza distorta da considerazioni di interesse.
Questa precisa distinzione implicava, dunque, che le femministe non potevano essere delle buone storiche;
questo soprattutto perché i loro tentativi di esplicitare i preconcetti maschili sono stati respinti come
espressione di ideologia.

L’esistenza del campo, relativamente nuovo, della storia sociale ha fornito alla storia delle donne almeno una
legittimazione come categoria sociale fissa.
L’emergere della storia delle donne era, quindi, collegato all’emergere della categoria delle donne intese
anche come un’identità politica.
L’identità politica degli anni ’80 ha portato a molteplici alleanze che hanno messo in discussione il
significato unitario della categoria delle “donne” perché vi sono grosse differenze di razza, classe, etnia e
sessualità all’interno del movimento delle donne.

L’approccio al genere delle scienze sociali ha reso molteplici le categorie di “donne”, e ( ma ) ci si chiede se
quindi esista realmente una comune identità per le donne e se esiste una loro comune storia da poter scrivere.
Il terreno comune, comunque, politicamente e accademicamente, è quello su cui le femministe producono
analisi della differenza e organizzano la resistenza all’esclusione, alla dominazione ed alla marginalità.
Capitolo 6. La Storia orale (di Gwyn Prins)

Nelle moderne società industriali dell’alfabetizzazione di massa, gli storici sono in genere piuttosto scettici
circa il valore delle fonti orali nella ricostruzione del passato e pochi sono disposti a riconoscere un ruolo
centrale nello studio delle società moderne, così ricche di documenti.

Tanto nei casi favorevoli quanto in quelli ostili, viene applicato il criterio di (Leopold von) Ranke, il quale
afferma che quando sono disponibili fonti ufficiali, esse vanno preferite alle altre; se non lo sono, bisogna
allora accontentarsi di una soluzione di ripiego e la funzione delle informazioni orali è proprio quella di
facilitare una storia di seconda categoria.

P. Thomson, figura di spicco nel “movimento” della storia orale, teso a difendere l’importanza delle fonti
orali nella storia sociale moderna, scrisse, nel suo libro-manifesto “The Voice of the Past”, che la
generazione dei vecchi storici guarda con diffidenza l’avvento di un nuovo metodo perché ciò impedisce
loro di esercitare il controllo su tutte le tecniche della professione.

Jan Vansina, il più famoso esponente della storia orale in Africa, nella propria opera “Oral Tradition as
History” spiega che il rapporto tra le fonti scritte e le fonti orali non è quello “della dea dell’opera e della sua
sostituta”, ma le fonti orali correggono le altre prospettive.
Vansina, comunque, afferma anche che la comunicazione per mezzo di un linguaggio simbolico scritto
costituisce una grande conquista, ma gli alfabetizzati tendono a dimenticarlo.

Ad esempio, negli affascinanti dipinti delle Grotte di Lascaux, in Francia, in cui si trovano, appunto, esempi
di opere di arte parietale (cioè rappresentazioni del soprannaturale) risalenti al Paleolitico superiore, molte
delle quali vengono fatte risalire ad una data approssimativa di 17500 anni fa e il cui tema più comunemente
rappresentato è quello di grandi animali dell'epoca, fra le immagini di animali si scorgono successioni di
punti che rappresentano i primi esempi di comunicazione simbolica.

Fu, poi, la creazione di un sistema alfabetico di scrittura a facilitare infine lo sviluppo di civiltà largamente
alfabetizzate, a cominciare dalla Grecia.

Jack Goody in “L’Addomesticamento del Pensiero Selvaggio” afferma che per tentare di comprendere il
potere dell’alfabetizzazione è utile distinguere due aspetti all’interno del “modo di comunicazione”:
i mezzi ed i rapporti di comunicazione.

Oggi ci troviamo in una società dove l’alfabetizzazione è di massa e sono 3 i modi di comunicazione che si
possono distinguere:
1) Culture orali, rappresentate dagli idiomi locali;
2) Culture scritte, rappresentate dalle lingue classiche;
3) Culture composite, in cui il linguaggio assume una forma sia scritta che orale.
Gli storici tradizionali, condizionati dai documenti, ricercano nelle fonti 3 qualità, nessuna delle quali però è
posseduta in misura notevole dai dati orali:
- precisione nella forma;
- precisione cronologica;
- comprendere il significato di un testo leggendo testi aggiuntivi.

Ma, per capire meglio, bisogna distinguere due tipi di dati orali:
- la testimonianza orale trasmessa verbalmente da una generazione all’altra (poesia, proverbi, epopea,
narrazione);
- il ricordo individuale.

I materiali imparati a memoria identificano comunque delle regole, una forma nel linguaggio.

I principali problemi relativi all’uso e all’abuso della tradizione orale riguardano le tradizioni che non
vengono imparate meccanicamente a memoria, ovvero le narrazioni.

Vansina sostiene che un’amnesia strutturale affligge le culture orali, le quali sono costrette ad essere selettive
dai limiti della memoria.
Ma, anche nel caso in cui si stabilisse quali tradizioni siano presenti in una testimonianza, cercando cioè la
precisione della forma, ci si chiede come bisognerebbe datarle;
la precisione cronologica era il secondo dei 3 requisiti richiesti dagli storici, ed è stato proprio nel tentativo
di soddisfare tali requisiti che si sono compiuti i più seri abusi nei confronti dei dati orali.

La categoria della narrazione contiene spesso 3 specie di trasmissione orale:


1) Le tradizioni riguardanti le origini (Tempo non strutturato);
2) Le storie dinastiche ed i racconti sull’organizzazione sociale (Tempo tradizionale);
3) Il tempo seriale.

Gli storici hanno tentato di ottenere cronologie temporali di tipo seriale da tradizioni esistenti in un tempo
tradizionale, cioè, cose molto importanti possono essere definite antiche o recenti allungando o accorciando i
tempi secondo il contesto e gli scopi del caso.

La successione ed il ritmo del tempo possono, quindi, essere distorti e reinventati.


Esistono poi alcuni tipi di ricordi che non possono essere mai più recuperati a causa del modo in cui sono
stati perduti;
è il caso di Primo Levi, il quale afferma lui stesso “l’imperfezione della sua interpretazione”, oppure di
Geoffrey Hosking, lo storico dell’esperienza sovietica che diceva che “noi sappiamo esattamente come sarà
il futuro, il problema è il passato perché continua a cambiare”.

Il modo per difendersi dalla “reinvenzione” consiste nel prestar minor fiducia sia alle testimonianze orali
prive di riscontro, sia ai vari accademici precedenti.
Rendersi conto della vulnerabilità degli storici condizionati dai documenti dà corpo al timore di possibili
abusi riguardo i dati orali nella ricerca di una cronologia seriale.
La soluzione è quella proposta da Vansina, riguardante cioè l’uso di fonti multiple, convergenti e autonome.
Per una maggiore precisione bisogna, infatti, trovare correlazioni con fonti esterne, quali ad esempio:
testimonianze archeologiche, eclissi, storie dinastiche, proverbi.
Una volta agganciati alle fonti esterne, ci si può difendere dalle tradizioni inventate.

Oltre agli abusi, le testimonianze orali sono comunemente afflitte da 2 problemi di critica delle fonti;
uno è costituito dall’influenza inconscia esercitata dalla forma letteraria sulla testimonianza orale, che si
verifica nelle culture composite;
un secondo aspetto si manifesta quando la dominanza della forma letteraria cancella le modalità orali della
reminescenza.

I più celebri esempi di questo senso sono di carattere musicale.

Ralph Williams, Percy Grainger e Benjamin Britten, furono tra i numerosi musicisti che all’inizio del XX
secolo utilizzarono canzoni popolari nelle loro composizioni e che trasposero questi canti proprio nel
momento della loro estinzione.

Nel caso di ricordi generali riguardanti la vita personale, questi costituiscono la fonte più pura di
testimonianza perché la memoria a lungo termine può essere notevolmente precisa;
è stato l’impiego di tali ricordi a rappresentare il principale contributo fornito da storici come Paul Thomson,
che utilizzano i dati orali per dar voce a coloro che nelle testimonianze documentarie (storie della gente
comune) ne sono privi.

La reminiscenza personale consente allo storico di far 2 cose:


1) di essere uno storico completo;
2) di avere minuti dettagli altrimenti inaccessibili.

La storia orale rimane però per adesso intrappolata nella piccola scala.

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