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Comprendere il mondo

Immanuel Wallerstein; 2018, Trieste

Capitolo 1, le origini storiche dell’analisi dei sistemi-mondo.

L'analisi dei sistemi-mondo ha avuto origine nei primi anni 70 con una nuova prospettiva di indagine sulla realtà
sociale. Alcuni dei suoi concetti sono stati in uso per lungo tempo altri sono nuovi o meglio definiti in modo nuovo.
Le nuove prospettive, inoltre, sono di solito meglio comprese se le si considera come una protesta contro quelle
precedenti, definite nella maggior parte dei casi, inadeguate, fuorvianti, tendenziose o rappresentanti di un ostacolo
alla comprensione della realtà sociale. Quindi, così come ogni altra prospettiva l'analisi dei sistemi mondo si è
articolata su dibattiti e critiche precedenti poiché nessuna prospettiva poi mai essere del tutto nuova: è possibile che
sia semplicemente il mondo ad essere per la prima volta pronto a considerare seriamente l'idea che si esprime in
essa o forse che tali idee siano state riorganizzate in modo da renderle più plausibili e alla portata di un pubblico più
ampio.

Tuttavia, è più proficuo fa risalire l'inizio di questa particolare storia non agli anni 70 del ventesimo secolo, ma alla
metà del diciottesimo, dettata dall’incessante accumulazione di capitale che genera sia un bisogno di costante
innovazione tecnologica, sia di una costante espansione delle frontiere.
La spaccatura più importante da ricordare è sicuramente riguarda ciò che verrà poi ricordato come: il divorzio tra
filosofia e scienza: alcuni filosofi iniziarono, distanziandosi dai teologi, ad affermare che gli esseri umani potessero
distinguere il vero attraverso l'uso diretto delle proprie facoltà razionali, mentre un altro crescente numero di
studiosi, concordante sul giudizio sul ruolo dei teologi, sosteneva che la cosiddetta intuizione filosofica fosse
altrettanto arbitraria quanto la rivelazione divina ed insistevano nel raccordare più priorità all’analisi empirica della
realtà. Il risultato di questo divorzio fu l'università moderna, sorta sull’impianto dell'università medievale ma munita
di docenti retribuiti a tempo piano, non chierici e raggruppati non semplicemente in facoltà ma in dipartimenti o
cattedre all'interno delle stesse facoltà. La facoltà di filosofia fu divisa in almeno due facoltà distinte: una rivolta allo
studio delle scienze e l'altra a quello di materie definite come studi umanistici come arti o lettere. L'università stava
sancendo l’istituzionalizzazione delle due culture antagoniste, entrambe convinte di costituire il miglior modo per
accedere alla conoscenza.

Nel diciannovesimo secolo, le facoltà scientifiche si divisero in una molteplicità di ambiti di studio come chimica,
fisica, geologia, astronomia, ecc.; Le facoltà umanistiche, invece, si divisero in ambiti di studio, quali: la filosofia, gli
studi classici, la storia dell'arte, altre zone linguistiche ecc.
Il problema più spinoso fu quello di decidere in quale facoltà occorresse collocare lo studio della realtà sociale,
l’urgenza di questo studio fu imposto dalla Rivoluzione Francese del 1789 e dalle conseguenze che questa apportò
nel sistema-mondo moderno, quali: il cambiamento politico come un fatto normale e costante; la sovranità
appartenente al popolo, unico in grado di legittimare un sistema politico.
Furono queste le origini sociali di quelle che successivamente furono definite scienze sociali, le quali si collocarono a
metà strada tra le scienze pure e gli studi umanistici. Gli scienziati sociali, infatti, si divisero tra quanti proponevano
una visione scientifica e quanti invece una visione umanistica della conoscenza. La più antica delle scienze sociali è
sicuramente la storia. Nel diciannovesimo secolo, la storiografia fu interessata da una rivoluzione associata al nome
di Leopold Ranke, che coniò la parola d'ordine secondo cui la storia doveva essere scritta così come era realmente
accaduta, rinunciando alla tendenza degli storici di indulgere all’agiografia. Ranke proponeva anche un metodo per
poter scrivere una storia scientifica e creare un resoconto degli avvenimenti che risalissero alla stessa epoca degli
avvenimenti che descrivevano. Tali documenti sarebbero stati poi conservati in quelli che chiamiamo archivi, per
questo, questi documenti erano considerati scevri dell’inopportuna distorsione dello storico che li avrebbe utilizzati.
Per minimizzare ulteriormente le distorsioni, gli storici sostenevano che è solo la storia del passato potesse essere
scritta e non quella del presente poiché essa sarebbe stata influenzata dalle passioni del momento.
A dispetto di questa inclinazione più scientifica, i nuovi storici scelsero tuttavia di collocarsi tra le facoltà umanistiche
poiché non si proponevano di raggiungere la formulazione di leggi scientifiche, ma affermavano bensì che le
dinamiche sociali fossero ben diverse dei fenomeni fisici studiati dagli scienziati puri per via del fattore
dell'intenzionalità umana. A questo punto, gli storici posero l'attenzione su quelli che devono essere i loro eventi di
interesse: il fatto che facessero affidamento su documenti scritti di epoche passate già condizionava il loro possibile
ambito di studio, poiché i documenti degli archivi erano perlopiù scritti da persone legate alle scienze politiche;
inoltre questo approccio presupponeva che gli storici si concentrassero su un'area di cui esistessero già documenti
scritti, dunque, tesero a studiare innanzitutto i paesi da cui essi stessi provenivano, quindi: Francia, Gran Bretagna,
Stati Uniti, Germania, Italia. Ulteriore questione che si andò a porre fu quella di definire i confini geografici e
temporali, la maggior parte degli storici decise di far risalire la storia al più indietro possibile e di adottare i confini
territoriali del presente o persino quelli che al tempo erano reclamati come tali; ciò era arbitrario, ma serviva anche
ad uno scopo ben preciso, ovvero quello di rafforzare i sentimenti nazionalisti dell'epoca.
Il fatto che gli storici si dedicassero esclusivamente allo studio del passato fece sì che avessero ben poco da dire sulle
situazioni presenti ed i leader politici avvertirono sempre di più la necessità di maggiori informazioni sulla
contemporaneità. A questo scopo nacquero: l'economia, la scienza politica e la sociologia, insieme a tre sfere sociali,
ovvero: il mercato, lo stato e la società civile, sinonimo di modernità.
Gli scienziati sociali avevano adesso un ulteriore problema, essi non studiavano in realtà che una piccola parte di
porzione di mondo, sembrò così importante studiare anche il resto del mondo che appariva per certi versi differente
e sembrò opportuno far nascere altre discipline, una di queste fu chiamata antropologia. I primi antropologi si
dedicavano lo studio di gruppi privi di tecnologia moderna, di sistemi di scrittura politica e di una religione comune,
tali gruppi erano chiamati tribù e considerati ‘popolazioni primitive’. La principale modalità di indagine che riguardò
questi gruppi fu quella chiamata osservazione partecipante che consisteva nel ricostruire le usanze così come erano
da prima del contatto culturale.
Il mondo, tuttavia non era formato solo da stati moderni e dalle popolazioni primitive, vi erano infatti vaste regioni al
di fuori dell'area pan-europea definite civiltà avanzate (Cina India Persia e mondo arabo) queste disponevano di
caratteristiche comuni dovute al fatto che nel passato erano state o continuavano ad essere sede di imperi-mondo,
estesi a tal punto da sviluppare una lingua, una religione ed usanze comuni. Chi acquisì la competenza di studiare
queste popolazioni cominciò a definirsi Orientalista. Essi si dedicarono all’etnografia, cercavano cioè di descrivere
l'ampia gamma di usanze di cui veniva a conoscenza non basandosi però sul lavoro sul campo, ma piuttosto sulla
lettura di testi. Ciò che emerse dallo studio delle popolazioni primitive e delle società avanzate fu un denominatore
comune: gli studiosi, infatti, tendevano a mettere in evidenza le particolarità di questi gruppi, piuttosto che
analizzare le caratteristiche umane generiche.

Nel 1945, il mondo subì trasformazioni di grande rilevanza, accaddero principalmente tre cose:
 Gli Stati Uniti divennero un’indiscussa potenza egemone del sistema mondo.
 I paesi di quello che si iniziò a chiamare Terzo Mondo divennero luoghi di agitazione politica
 La combinazione di un’economia mondo economicamente espansione ed una consistente crescita delle
tendenze democratiche portò ad una straordinaria espansione del sistema universitario mondiale.

Questi fattori fecero sì he la divisione del lavoro all’interno delle scienze sociali risultasse inutile agli attori politici
statunitensi ed una soluzione fu vista nel formare storici-economisti, sociologi e scienziati della politica che
studiassero ciò che stava accadendo in più parti del mondo. Ciò fu l'origine degli Area Studies statunitensi, che si
proponevano di riconciliare ciò che sembrava essere per sua natura ideografico alle pretese nomotetiche. Un'
ingegnosa soluzione intellettuale venne alla luce ovvero il concetto di sviluppo. Chi si serviva di questo concetto
assumeva che le singole unità si sviluppassero tutte fondamentalmente allo stesso modo ma con ritmi differenti, si
sarebbero così potuti introdurre concetti specifici per studiare gli altri nel presente, sostenendo che alla fine tutti gli
Stati sarebbero diventati più o meno uguali. Gli Area Studies ebbero impatto anche sull'espansione del sistema
universitario, espansione che riguardava un maggior numero di persone che aspiravano a conseguire un dottorato di
ricerca. Questa potrebbe sembrare una cosa positiva, ma non si dimentichi il requisito secondo cui la tesi di
dottorato deve fornire un contributo originale al sapere; questa difficoltà stimolò la costituzione di sub-
specializzazioni, nascevano quindi sociologi politici, storici sociali ed ogni altra immaginabile combinazione. Le
trasformazioni del mondo reale influenzarono anche le modalità di auto definizione da parte degli stessi studiosi:
pian piano scomparve il termine orientalismo e l'antropologia fu costretta a ridefinire il suo il suo centro di interesse.
Nelle scienze sociali tra il 1945 ed il 1970, furono quattro i dibatti che crearono le premesse per l'emersa dall’analisi
dei sistemi-mondo:
 Il concetto di centro-periferia elaborato dall’ECLA e la successiva formulazione della teoria della dipendenza;
Esso riguardava il commercio internazionale, che si sosteneva non fosse un commercio tra uguali: alcuni
paesi erano, infatti, economicamente più forti di altri (il centro) ed erano dunque in grado di condurre gli
scambi in modo che il plusvalore fosse trasferito dai paesi più deboli (la periferia) verso il centro. Questo
processo diede vita a energici dibattiti e diede vita alla teoria della dipendenza: una critica alle politiche
economiche delle potenze occidentali che coniò l'espressione lo sviluppo del sottosviluppo, per descrivere gli
effetti delle politiche delle grandi corporation che proponevano il libero commercio nell'economia-mondo.
 Il concetto marxiano di mondo asiatico di produzione; In Unione Sovietica, nei paesi comunisti dell'Europa
dell'est e all'interno dei partiti comunisti italiano e francese iniziò un dibattito sul modo di produzione
asiatico disegnato da Marx usa questa espressione per descrivere i grandi imperi burocratici e autocratici che
si erano storicamente affermati in Cina e in India. Tuttavia, negli anni 30, Stalin decise che questo concetto
non era di suo gradimento pensando che si sarebbe potuto usarlo per descrivere la storia della Russia ed il
regime di cui era capo, decise così di eliminare questo concetto nell’ambito della discussione legittima.
Tuttavia, dopo la sua morte, la discussione si riaprì e ad emergere fu un discorso di Krusciov, generale del
partito comunista dell'unione sovietica, che riaprì la strada il dubbio ed incrinò la rigidità concettuale del
cosiddetto marxismo ortodosso, rendendo possibile un nuovo sguardo alle categorie analitiche del 19secolo.
 La transizione del feudalismo il capitalismo; Contemporaneamente, tra gli storici economici occidentali, si
stava svolgendo un dibattito sulle origini del capitalismo moderno, Paul Sweezy Christian articolo su ciò che
si definiva la transizione dal federalismo al capitalismo: individuava le radici della transizione dal feudalismo
il capitalismo in elementi interni agli stati. Sweezy fu però accusato di accordare eccessiva importanza ai
fattori esterni e soprattutto commerciali, inoltre coloro che condividevano le tesi di Dobb (che Sweezy aveva
ripreso) pensavano che egli stesse sopravvalutando l'importanza del commercio e trascurando il ruolo
cruciale dei rapporti di produzione, aprendosi così ad alcune delle questioni sollevate dal gruppo delle
Annales in Francia.
 Il dibattito sulla storia totale ed il trionfo della scuola storiografica delle Annales in Francia; il gruppo delle
Annales sostenne diverse argomentazioni secondo cui: la storiografia doveva essere totale, doveva cioè
guardare al quadro integrato dello sviluppo storico in tutti gli ambiti sociali che potevano essere studiati
sistematicamente e non solo dagli archivi. Negli anni tra le due guerre, l'influenza della scuola delle Annales
fu minima, ma dopo il 1945, finì per dominare la scena storiografica in Francia e poi in altre parti del mondo
sovraintendendo alla creazione di una nuova istituzione universitaria a Parigi.

L'epoca Braudeliana rappresentò un attacco sia intellettuale che istituzionale al tradizionale isolamento delle
discipline della scienza sociale: Braudel suggerì un linguaggio sui tempi sociali criticando la storia denominata dagli
eventi, definendola polvere poiché entrava negli occhi, impedendo di vedere le reali strutture sottostanti e pose
l'attenzione su un tempo strutturale e sui processi ciclici all'interno delle strutture. Mise, inoltre, in rilievo anche le
questioni dell'unità di analisi sottolineando che il Mediterraneo del sedicesimo secolo costituisse una economia-
mondo. Questo sconvolgimento intellettuale fu seguito da uno shock culturale delle rivoluzioni del ’68, la rivoluzione
mondiale sollevò alcune questioni sulle strutture del sapere sollevando obiezioni sul diretto coinvolgimento politico
degli studiosi universitari (fisici che conducevano ricerche affini bellici) successivamente, si pose il problema degli
ambiti di ricerca trascurati che riguardavano principalmente minoranze costituite da donne, popolazioni indigene o
gruppi con inclinazioni o abitudini sessuali alternative. Fu a questo punto, che nei primi anni 70 che si iniziò a parlare
espressamente dall’analisi dei sistemi-mondo in quanto prospettiva. Si trattava di un tentativo di combinare
coerentemente l'interesse per l'unità di analisi e le preoccupazioni per le barriere che erano state erette per le
diverse discipline della scienza sociale. L'analisi dei sistemi-mondo implicò innanzitutto la sostituzione della usuale
unità di analisi con un’unità definita sistema-mondo. Gli studiosi di sistemi mondo introdussero i sistemi storici che si
sosteneva fossero esistiti fino a quel momento in sole tre varianti: minisistemi, economia-mondo e imperi-mondo è
importante porre attenzione sul ‘-‘che sottolinea il fatto che non ci si stava riferendo a sistemi o imperi del mondo
ma a sistemi economia imperi che sono un mondo. I sistemi-mondo si riferiscono ad un ambito spaziale/temporale,
che taglia trasversalmente molte unità politiche e culturali, rappresentando una reintegra di attività e istituzioni che
obbediscono ad alcune regole sistematiche. il concetto viene applicato inizialmente soprattutto al sistema-mondo
moderno e adottò l'uso che Braudel ne aveva fatto nel suo libro sul Mediterraneo, combinandolo con l'analisi centro-
periferia. La tesi sostenuta era che l'economia mondo moderno forse un’economia mondo capitalista. In questa
modalità di formulazione dell’unità di analisi vi è un altro richiamo a idee precedenti, come quella di Karl Polanyi,
storico economico ungherese che aveva insistito sulla distinzione di tre forme di organizzazione economica:
reciprocità, redistribuzione e mercato. Un'economia-mondo capitalistica era considerata caratterizzata da una
divisione assiale del lavoro tra processi produttivi centrali e periferici.

I processi relativamente monopolizzati erano di gran lunga più remunerativi di quelli di libero mercato, ciò aveva
reso più ricchi paesi nei quali sono stati localizzati più processi centrali e il risultato finale dello scambio tra prodotti
centrali e periferici e stato un trasferimento di plusvalore verso quegli stati che vantava numero consistente di
processi centrali. L'influenza di Braudel fu cruciale sotto due aspetti:
 In primo luogo, nel suo lavoro recente sul capitalismo e civiltà: egli insisteva nella netta separazione tra la
sfera del mercato libero e la sfera dei monopoli. Egli definì capitalismo soltanto quest'ultima e definì lo come
contro mercato.
 In secondo luogo, l'importanza accordata da Braudel alla molteplicità dei tempi sociali e la sua tesi sul tempo
strutturale (la longue durée), bene le centrali nell’analisi dei sistemi mondo.

Questo nuovo punto di vista riaprì anche l'intera questione delle transazioni, Dobb e Sweezy trovarono un accordo
sul punto di vista secondo cui la transizione fosse un evento inevitabile. Gli studiosi dei sistemi-mondo iniziarono a
essere scettici riguardo l’inevitabilità del progresso: questo sguardo scettico consentiva loro di includere in una
descrizione della storia umana la realtà di quei sistemi che erano stati raggruppati sotto l'etichetta di modo di
produzione asiatico. Non vi era più bisogno di chiedersi se queste strutture si trovassero in qualche punto particolare
di un tracciato lineare della storia e se ci poteva ora chiedere perché la transizione dal feudalesimo al capitalismo
fossero avvenute. Il terzo elemento dell’analisi dei sistemi mondo fu la non osservanza dei tradizionali confini delle
scienze sociali, gli studiosi dei sistemi-mondo indagarono sui sistemi sociali totali e l'analisi che ne risultò fu
unidisciplinare poiché questi studiosi non riconoscevano la legittimità intellettuale delle singole discipline punto
L'insieme di queste tre critiche rappresentava una sfida a molti dei principi sacri ed un contrattacco era del tutto
prevedibile. Esso, infatti giunse velocemente da quattro direzioni diverse: i positivisti nomotetici, i marxisti ortodossi,
i teorici dell’autonomia degli stati e i sostenitori del particolarismo culturale. La critica principale era che le loro
rispettive premesse di base non erano state accettate dagli studiosi dei sistemi-mondo.
I positivisti nomotetici sostenevano che l'analisi dei sistemi mondo fosse sostanzialmente una narrazione; la critica
marxista consisteva invece nell’accusare questa analisi di non considerare il lavoro non salariato come anacronistico
e in via di estinzione. La critica dei sostenitori dell'autonomia degli stati afferma un po’ il contrario di quella marxista
ortodossa, essi argomentavano che l'analisi dei sistemi mondo riducesse la sfera politica a un ambito le cui realtà
derivano sono determinate dalla base economica. Infine, l'analisi dei sistemi mondo è stata sfidata con argomenti
analoghi a quelli usati dai sostenitori dell'autonomia degli stati: è accusata di derivare la sovrastruttura dalla sua base
economica e di trascurare realtà autonoma centrale della sfera culturale.
L’analisi dei sistemi mondo è in un certo senso una grande narrazione. Gli studiosi dei sistemi-mondo argomentano
che tutte le forme di attività del sapere implicano inevitabilmente grandi narrazioni e rifiutano di sostituire una
cosiddetta base culturale a una base economica. Piuttosto, cercano di abolire i confini tra la modalità economica,
politica e socioculturale di analisi. Infine, va sottolineato che per gli studiosi dei sistemi-mondo, spazio e tempo non
sono realtà esterne immutabili, che sono in qualche modo just there, e che all'interno delle cornici esista la realtà
sociale. Gli spazio-tempo sono realtà costruite in continua trasformazione, la costruzione è parte integrante della
realtà sociale che si sta analizzando. L'abilità del confrontarsi con questo paradosso che non possiamo eludere è il
compito principale delle scienze sociali storiche, non è un enigma ma una sfida.
Capitolo 2, il sistema-mondo moderno.

Il sistema-mondo moderno avuto origine nel sedicesimo secolo in alcune regioni dell’Europa e delle Americhe e nel
tempo si è espanso fino a coprire l'intero pianeta, che è ed è sempre stato un economia-mondo capitalistica.
Ciò che si intende per economia mondo è un'estesa geografica al cui interno esiste una divisione del lavoro, e
dunque un significativo scambio interno di prodotti di base essenziali di flussi di capitali e di lavoro. Una caratteristica
distintiva di un’economia-mondo è quella di non essere delimitata da una struttura politica unitaria, al contrario, vi
sono molteplici unità politiche tenute insieme dal nostro sistema-mondo moderno in un sistema interstatale a
maglie larghe che include molte culture, religioni e lingue diverse.
Il capitalismo riguarda un sistema che accorda priorità all’incessante accumulazione di capitale. Adottando questa
definizione, solo il sistema-mondo moderno è stato un sistema capitalistico. Il concetto di incessante accumulazione
e assai semplice: significa che individui e aziende accumulano capitale al fine di accumularne ancor di più, in un
processo continuo e incessante. Affermare l'esistenza di questo incessante bisogno di accumulo significa riconoscere
l'esistenza di meccanismi strutturali attraverso cui coloro che agiscono in base ad altre motivazioni sono in qualche
modo penalizzati e alla fine eliminati dalla scena sociale.
Un'economia-mondo e un sistema capitalistico procedono insieme, ciò che le tiene insieme è l'efficacia della
divisione del lavoro e questa efficacia è una funzione della costante espansione della ricchezza creata da un sistema
capitalistico. Al contrario, un sistema capitalistico non può esistere se non nel contesto di un’economia-mondo, esso
infatti esige una relazione molto particolare tra produttori economici e detentori del potere politico. Un'economia
mondo capitalistica è un insieme di molte istituzioni esistite anche nei sistemi storici precedenti: i mercati; le imprese
che competono sui mercati; gli aggregati domestici; le classi; i gruppi status.
I mercati sono concrete strutture sociali in cui individui, imprese ed istituzioni virtuali trans-spaziali vendono e
comprano beni. Le dimensioni e le estensioni di ogni mercato dipendono dalle realistiche alternative che si
presentano a venditori e compratori in un dato momento. In un'economia mondo capitalistica il mercato virtuale
esiste nell'economia mondo nel suo insieme, ma vi sono mercati virtuali distinti per ogni merce così come per i
capitali per i diversi tipi di lavoro. Si può anche affermare che nel tempo sia nato un unico mercato mondiale virtuale
per tutti i fattori produttivi combinati, calamita per produttori e compratori. Questo mercato mondiale virtuale è una
realtà in quanto influenza tutti i processi decisionali, ma non funziona mai completamente e liberamente. Il mercato
totalmente libero infatti funge unicamente da ideologia, in quanto l’esistenza del suddetto renderebbe impossibile
l’incessante accumulazione di capitale. Supponendo che esista realmente un mercato mondiale in cui tutti i fattori di
produzione sono completamente liberi ed in cui vi sia un numero molto grande di compratori e venditori, sarebbe
sempre possibile per i compratori contrattare al ribasso con i venditori fino a livello di profitto assolutamente
irrisorio che renderebbe il gioco capitalistico del tutto privo di interesse per i produttori, eliminando le basi sociali
essenziali per un sistema di questo tipo. Ciò che venditori preferiscono è un monopolio grazie al quale possono
creare una differenza relativamente ampia tra costo di produzione e prezzo delle vendite, realizzando così elevati
profitti. Neanche i monopoli perfetti sono semplici da creare, ma lo sono i semi-monopoli. Ciò che occorre per la
creazione di quest’ultimi è innanzitutto il sostegno di uno stato relativamente forte; ad essere utili sono poi i
brevetti, che riservano i diritti sulle invenzioni per un certo numero di anni.

Tuttavia, i brevetti non sono l'unico modo attraverso cui gli Stati possono creare dei semi-monopoli:
 Le restrizioni statali sulle importazioni e sulle esportazioni.
 I sussidi statali e le agevolazioni fiscali.

Vi sono due caratteristiche anti-monopolistiche intrinseche a un’economia-mondo capitalista.


il vantaggio monopolistico di un produttore equivale allo svantaggio di un altro ed i perdenti naturalmente lottano
politicamente per eliminare i vantaggi dei venditori e possono farlo sia attraverso una battaglia politica all'interno
degli stati in cui si trovano i produttori monopolistici, appellandosi a dottrine di un libero mercato, oppure,
persuadendo altri stati a sfidare il monopolio del mercato mondiale utilizzando il loro potere statale per sostenere i
produttori competitivi e favorire l'ingresso nel mercato di nuovi produttori. I semi-monopoli, dunque, si auto-
estinguono ma durano sufficientemente a lungo da assicurare una considerevole accumulazione di capitale a coloro
che li controllano. Le imprese sono gli attori principali del mercato e sono abitualmente in competizione con altre
imprese che operano nello stesso mercato virtuale ed in conflitto con quelli da cui acquistano i fattori produttivi e
con quelle a cui vendono i loro prodotti: il nome del gioco è quello di feroce rivalità Intercapitalistica.
Molte imprese sono spesso travolte da bancarotta o assorbimento da parte di imprese più potenti, non tutti gli
imprenditori capitalistici hanno successo nell’accumulare capitale e se tutti vi riuscissero ognuno otterrebbe un
capitale assai esiguo, dunque, i ripetuti fallimenti non solo eliminano i competitori deboli, ma sono anche una
conditio sine qua non dell'incessante accumulazione di capitali; è questo ciò che spiega il costante processo di
concentrazione del capitale. Un aspetto negativo può essere la crescita delle imprese in senso orizzontale (del
prodotto), verticale (della catena di produzione) e ortogonale (in prodotti di altro tipo)
La dimensione abbatte i costi in virtù delle cosiddette economie di scala, ma le dimensioni aggiungono costi di
amministrazione e coordinamento e moltiplicano i rischi insufficienza gestionali. L'esito di questa contraddizione è
stato definito come un processo a zig zag funzionante come un ingegno a cricco. La dimensione delle imprese ha
anche implicazioni politiche dirette, che le rendono più vulnerabili agli attacchi politici da parte dei concorrenti
dipendenti e consumatori. La divisione assiale del lavoro in un'economia-mondo capitalistica divide la produzione in
prodotti centrali e prodotti periferici: ciò che si intende per centro-periferia è il livello di remuneratività dei processi
di produzione in relazione al grado di monopolizzazione; Esistono diversi modi per spostare il capitale accumulato
dalle regioni politicamente deboli a quelle politicamente forti (scambio ineguale) uno di questi è il saccheggio (si
pensi ad esempio ai conquistadores dell'oro dell'America) anch’esso si auto-estingue, e le conseguenze di medio
termine che comporta, portano vantaggi di breve termine. Quindi, il saccheggio si estingue solo dopo aver provocato
molti danni al sistema produttivo mondiale e alla salute dell'economia-mondo capitalistica.
Poiché i monopoli dipendono dal sostegno di stati forti, vi è una conseguenza geografica della relazione centro-
periferia, possiamo quindi parlare di stati centrali e periferici. Alcuni stati hanno una combinazione relativamente
bilanciata di prodotti centrali e periferici e possono essere definiti stati semiperiferici, i quali presentano particolari
caratteristiche politiche e si esauriscono. Ciò vuol dire che quello che oggi è un processo centrale diverrà, un domani,
un processo periferico. La storia economica del sistema mondo moderno è piena di dislocamenti, o declassamenti di
prodotti, prima verso paesi semiperiferici poi verso quelli periferici. Vi sono sempre stati nuovi processi centrali che
hanno sostituito quelli divenuti più concorrenziali e poi fuoriusciti degli stati nei quali erano originariamente situati.
Gli stati forti tendono ad accentrare loro ruolo a protezione dei semi-monopoli dei processi centrali, mentre, gli stati
deboli non sono solitamente in grado di fare molto per incidere sulla divisione sociale del lavoro e di fatto sono per
lo più costretti ad accettare il destino che è stato loro assegnato. <IN questa situazione, gli stati semiperiferici,
subendo la pressione degli stati centrali ed esercitando pressione sugli stati periferici si preoccupano principalmente
di evitare di scivolare nella periferia e di risalire verso il centro, ma nessuna delle due cose è agevole ed entrambe
richiedono una considerevole interferenza dello Stato con il mercato mondiale e si affidano, inoltre, ad una politica
protezionistica, sperando in tal modo di proteggere i loro processi produttivi dalle competizioni delle imprese più
forti all'esterno e allo stesso tempo provano a migliorare l'efficienza delle imprese all'interno così da competere
meglio nel mercato mondiale. In questo sforzo, i loro rivali sono costituiti dagli altri stati semi periferici (Corea del
Sud Brasile India). La normale evoluzione delle industrie guida è ciò che spiega i ritmi ciclici dell'economia mondo.
Man mano che un gruppo sempre maggiore di imprese entra nel mercato di quello che un tempo era un
semimonopolio si verificherà una sovrapproduzione e di conseguenza una maggiore competizione sul prezzo e
dunque una riduzione dei saggi di profitto, ciò porterà un accumulo di prodotti invenduti e di conseguenza un
rallentamento dell’ulteriore produzione. Quando questo avviene, è possibile osservare un'inversione della curva
ciclica dell’economia-mondo, parliamo di stagionazione o recessione dell’economia-mondo.
Il processo di stagionazione può essere rappresentato tenendo conto di due fasi:
 fase A, di espansione  fase B, di stagionazione.
Un ciclo composto da queste due fasi è talvolta definito come ciclo di Kondratieff, esso ha una durata compresa tra i
50 e 60 anni e dipende dalle misure politiche adottate dagli stati per evitare una frase B e in particolare, dalle misure
tese a conseguire la ripresa da un’altra fase B, puntando su nuove industrie guida in grado di stimolare una nuova
fase A. La situazione che si presenta alla fine di un ciclo di Kondratieff non è mai uguale a quella precedente: l'inizio
del ciclo cambia sotto alcuni aspetti significativi i parametri del sistema mondo, e i cambiamenti che risolvono il
problema immediato di un adeguata espansione dell'economia mondo ripristinano un equilibrio di medio periodo
ma iniziano a creare problemi per la struttura del lungo periodo. Il risultato è ciò che possiamo definire una tendenza
secolare intesa come una curva la cui ascissa (x) indica il tempo la coordinata (y) misura un fenomeno registrando la
quota dei componenti di un certo gruppo che posseggono una certa caratteristica.
Se nel tempo, la percentuale si muove verso l'alto in modo lineare questo implica per definizione che a un certo
punto non si potrà continuare si giungerà quindi al cosiddetto asintoto e ci si troverà quindi di fronte al problema di
lungo periodo di approssimazione di questo asintoto. Uno dei problemi dati dal ciclo di Kondratieff è che, ad un certo
punto, i principali dei processi di produzione diventano meno redditizi e si verifica un aumento della disoccupazione
e questo si ripercuote sulla domanda globale effettiva. Le singole imprese riducono così i loro costi ed incontrano
maggiori difficoltà nel trovare un numero sufficiente di consumatori. Un modo per ristabilire un livello sufficiente di
domanda globale effettiva consiste nell’aumento dei livelli di retribuzione dei lavoratori, che creerebbe il tipo di
domanda effettiva necessaria per procurare un sufficiente numero di clienti per nuovi prodotti guida. Ciò può essere
compensato dall'espansione in altre parti del mondo e dall’insieme dei lavoratori salariati, includendo nella
manodopera salariata nuove persone per le quali questo salario più basso rappresenta di fatto un incremento del
reddito totale. Si arriverà però in questo modo ad un momento in cui questo gruppo si ridurrà fino al punto di non
esistere più. Un sistema capitalistico richiede ovviamente che vi siano lavoratori che offrono lavoro per i processi
produttivi e si afferma spesso che questi lavoratori siano proletari ossia lavoratori salariati che non dispongono di
mezzi di sostentamento alternativi. Ma questa rappresentazione non è del tutto accurata, da un lato è realistico
pensare ai laboratori come individui isolati, ma quasi tutti sono legati ad altre persone in strutture di aggregati
domestici (3-10 persone) che possono essere definiti come famiglie o insiemi di persone con residenza comune.
Gli aggregati domestici non sono strutture egualitarie e tantomeno immutabili, ciò che le caratterizza è una certa
forma di impegno a procurare un’entrata al gruppo e dal partecipare al consumo derivante da questa entrata.

Nel sistema mondo moderno esistono infatti 5 varietà di reddito:


 Reddito da salario; con cui si intende il pagamento da parte di persone esterne all’aggregato domestico per
il lavoro di un componente dell’aggregato svolto in un processo produttivo. Questo reddito può essere
occasionale o regolare, a cottimo o a tempo ed è flessibile.
 Reddito per l’aggregato domestico e attività di sussistenza; le attività dei residenti nelle zone rurali di
produzione per il consumo di beni alimentari ad altri beni necessari senza ricorrere al mercato del sistema-
mondo moderno. L'attività di sussistenza è di fatti in crescita e costituisce oggi un'ampia parte del reddito
degli aggregati domestici nelle aree economicamente più prospere dell'economia-mondo capitalistica.
 Piccola produzione di merci; una piccola merce può essere definita come un prodotto realizzato all'interno
dei confini dell’aggregato domestico, ma venduto in cambio di denaro su un mercato più ampio. Questo tipo
di produzione è assai diffusa nelle aree più povere dell’economia-mondo, nelle zone più ricche è definito
come free-lansing ed include non solo la commercializzazione dei beni prodotti ma anche il piccolo
commercio.
 Rendita: la rendita può derivare da qualche significativo investimento di capitale, da un vantaggio derivante
dalla localizzazione o dalla proprietà di capitali. Ciò che ne fa una reddita è il fatto che a rendere possibile il
reddito non è un lavoro, ma la proprietà.
 Trasferimenti: questi possono essere definite come entrate percepite da un individuo in virtù di un preciso
obbligo da parte di qualcun altro a fornirgli delle entrate. Possono provenire da persone vicine all’aggregato
domestico sottoforma di doni o prestiti, sulla base di reciprocità, ad opera dello Stato, attraverso un piano
assicurativo o attraverso la redistribuzione da una classe economica all'altra.

Di fatto sono pochi gli aggregati domestici privi di una di queste 5 forme di reddito, ma andrebbe osservato come le
persone che all'interno dell'aggregato domestico procurano reddito possono essere messe in correlazione per
categorie basate sul sesso e sull’età: il lavoro salariato è stato per lungo tempo prevalentemente considerato il
campo di attività di individui di sesso maschile e di età compresa tra 14 e 18 anni fino ai 65 anni. La sussistenza e la
piccola produzione di merci a doverlo più definita come una sfera di attività delle donne adulte dei bambini e degli
anziani. Il peso relativo delle diverse forme di reddito in specifici aggregati domestici è stato soggetto ad ampie
variazioni, distinguiamo ad oggi due varianti principali: l’aggregato domestico in cui il reddito da salario ammonta al
50% e l’aggregato domestico in cui esso ammonta una percentuale inferiore, il primo viene definito un aggregato
domestico proletario mentre il secondo un aggregato domestico semiproletario. Procedendo in questo modo, per il
datore di lavoro assumere lavoratori salariati che appartengono un aggregato domestico semiproprietario
rappresenta un vantaggio poiché quando il lavoro rappresenta una componente considerevole nel reddito di un
aggregato domestico esiste necessariamente una somma minima di retribuzione (salario minimo assoluto) se invece,
il lavoratore salariato è situato in un aggregato domestico che è semiproletariato si potrà essere retribuito per un
ammontare inferiore a quello minimo. Ciò che accade in questi casi è che gli altri produttori di reddito dell’aggregato
domestico trasferiscono al datore di lavoro del lavoratore altro plusvalore poiché permettono di remunerarlo con un
salario inferiore a quello minimo.
Ne deriva che, in un sistema capitalistico, i datori di lavoro preferiscono in genere assumere lavoratori salariati
appartenenti ad aggregati domestici semiproprietari.

Esistono tuttavia due forze che spingono nell'altra direzione:


 la prima è la spinta da parte degli stessi lavoratori salariati che chiedono di essere proletalizzati.
 la seconda è la pressione contraddittoria subita dagli stessi datori di lavoro: contro le loro esigenze
individuali di abbassare i salari, preme la loro necessità collettiva di lungo termine di avere una domanda
effettiva sufficientemente ampia per sostenere il mercato per i loro prodotti.

Questo descrive la tendenza di lungo termine, in contrasto con la visione tradizionale della scienza sociale secondo
cui il capitalismo in quanto sistema abbia bisogno principalmente di lavoratori che siano proletari. Sarebbe più utile
considerarla come un terreno di scontro il cui esito è stato lento ma costante verso il suo asintoto.
In un sistema capitalistico esistono delle classi con livelli di reddito differenti ed interessi diversi, non esistono
solamente aggregati domestici ma anche gruppi di status o identità: sono etichette ascritte poiché ci appartengono
sin dalla nascita ed è piuttosto difficile entrare a far parte di questi gruppi per volontà.
i gruppi di status o identità sono i numerosi popoli ai quali noi apparteniamo. Si sostiene spesso che queste categorie
siano per la maggior parte anacronistici residui dei tempi più moderni. È una premessa del tutto errata poiché
l'appartenenza a gruppi di status o identità è un aspetto saliente della modernità. Lungi dall’estinguersi, l'importanza
di questi gruppi è in crescita assieme al continuo dispiegarsi alla logica di un sistema capitalistico che si consuma con
intensità sempre maggiori. All'interno dei gradi domestici esiste un’enorme pressione affinché si conservi un’identità
comune e si rimanga parte di un unico status o identità. Il costante movimento dell'individuo all'interno del mondo
ha generato un considerevole rimescolamento delle identità ordinarie e tuttavia ciò che tende a verificarsi in ogni
aggregato domestico è un’evoluzione verso una identità singola. L’omogeneizzazione degli aggregati domestici è
importante perché permette di conservare la coesione di un aggregato domestico in quanto unità di massa e di
mettere in comune i redditi per superare una tendenza centrifuga derivante da ineguaglianze interne nella
distribuzione dei consumi nel processo decisionale. L'intero sistema mondo trae importanti benefici dalle tendenze
omogeneizzanti, gli aggregati domestici fungono da enti primari di socializzazione nel sistema mondo in cui cerca di
insegnare la conoscenza ed il rispetto, sono ovviamente coadiuvati da agenzie statali quali scuole corpi militari così
come istituzioni religiose e media, ma nessuno di questi organismi genera un impatto effettivo paragonabile a quello
aggregato domestico che educa i membri anche alla ribellione, al rifiuto e alla devianza, questo può essere utile al
sistema poiché offre uno sfogo agli spiriti irrequieti, posto che il sistema nel suo insieme sia in condizione di relativo
equilibrio. Esistono numerosi tipi di gruppi status non sempre del tutto in sintonia reciproca, inoltre col procedere
del tempo storico essi sono cresciuti di numero e gli individui hanno spesso iniziato a rivendicare l'identità in termini
di preferenze sessuali che nei secoli precedenti non erano state un fondamento per la costruzione di aggregati
domestici.
I complessi legami tra economia-mondo, imprese, stati, aggregati e istituzioni trasversali sono attraversati da due
opposti motivi ideologici: universalismo da un lato, e razzismo e il sessismo dall'altro:
 L’universalismo è un motivo associato in maniera rilevante al sistema mondo moderno ed è per molti versi
uno dei suoi vanti. Implica, nel complesso, la priorità di regole generali che si applicano indistintamente a
tutti gli individui e si prodica al rifiuto di preferenze particolaristiche. Le manifestazioni dell'universalismo
sono molteplici: in ambito aziendale esso si traduce ad esempio nell’assegnazione delle posizioni agli
individui in base alla loro formazione e alle loro capacità, se lo trasferiamo poi nell’ambito dell’aggregato
domestico implica che il matrimonio dovrebbe essere contratto per ragioni d'amore non per ragioni di
interesse etnicità. Ancora, in ambito statale si traduce in norme quali il suffragio universale e l'uguaglianza
davanti alla legge. L’universalismo è una norma positiva.
 Razzismo e sessismo sono l'esatto contrario: si tratta infatti di norme negative in quanto la maggior parte
delle persone di credervi. Questi sono divenuti di uso comune solo nella seconda metà del ventesimo secolo
e sono manifestazioni di un fenomeno ben più ampio che non ha un nome adeguato ma può essere pensato
come anti-universalismo o ancora, attiva discriminazione istituzionale ai danni di tutte le persone che
appartengono un dato gruppo di status identità. Per ogni tipo di identità esiste una gerarchia sociale le
principali su scala mondiale all'interno del sistema mondo moderno sono: uomini su donne, bianchi su neri,
adulti su bambini, istituiti su meno istruiti, eterosessuali sono sessuali, borghesia e professionisti sul
lavoratori, abitanti delle città su abitanti delle campagne. Esistono anche delle gerarchie religiose che variano
da una parte all'altra del mondo ma tutti hanno consapevolezza della loro esistenza. Il nazionalismo assume
spesso la forma di legami che creano nuove categorie, come la norma secondo cui gli individui di sesso
maschile bianchi adulti eterosessuali appartenente una particolare etnia e religione sarebbero considerati gli
unici veri cittadini.

Universalismo e anti-universalismo sono di fatto entrambi realtà quotidiane: l’universalismo tende ad essere un
principio attivo nel reclutamento di quelli che potremmo definire i quadri del sistema mondo di quel gruppo
intermedio di persone che hanno ruoli di comando e supervisione nelle diverse istituzioni. Naturalmente i criteri
universalistici destano malcontento quando entrano in gioco solo dopo l'uso di criteri particolaristici o se si fa appello
ad essi solo nel momento della scelta. Il malcontento nasce dal fatto che la scelta implica esclusione e può emergere
una pressione populista.
In queste numerose circostanze i criteri universalistici svolgono un ruolo sociopsicologico di grande rilevanza nel
legittimare l'assegnazione meritocratica. La norma dell'universalismo è un enorme conforto per coloro che godono di
benefici del sistema poiché li fa sentire meritevoli di ciò che fanno o hanno. Dall'altro lato, il sessismo, il razzismo e
le altre norme anche universalistiche assolvono a compiti ugualmente importanti nella distribuzione del lavoro e
sono vere e proprie modalità di inclusione in porzioni inferiori ed esistono per giustificare le posizioni più basse della
gerarchia e per imporle, rendendole gradite a chi le occupa, presentandole come una codificazione di verità naturali,
necessarie per il funzionamento dell'animale umano, radicate nella biologia.
Diventano norme per lo stato, il luogo di lavoro, la sfera sociale, ma diventano anche norme entro cui gli aggregati
domestici sono spinti a socializzare i loro membri, un'attività che, nel complesso, ho avuto un notevole successo.
Hanno acquisito un' importanza sempre maggiore sebbene anche la lotta politica contro queste forme di anti-
universalismo abbia acquisito maggiore centralità nel funzionamento del sistema mondo punto il risultato è che il
sistema mondo moderno fatto della simultanea esigenza diffusione e pratica di universalismo e anti universalismo
una caratteristica essenziale centrale della sua struttura questo binomio e per il sistema altrettanto fondamentale
della divisione sessuale del lavoro centro periferia.
Capitolo 3, l’ascesa del sistema degli stati.

Lo stato moderno è uno stato sovrano. Il concetto di sovranità di stato è stato inventato nel sistema mondo
moderno ed il suo significato più immediato è la totale autonomia del potere statale. Gli stati moderni, di fatto,
esistono all'interno di una più ampia cerchia di stati, ovvero il sistema interstatale. Indagando circa il grado il
contenuto di questa presunta autonomia, gli storici parlano dell'emergere di nuove monarchie in Inghilterra, in
Francia e in Spagna alla fine del quindicesimo secolo, mentre le origini del sistema internazionale vengono fatte
risalire allo sviluppo della diplomazia nella penisola italiana, nel Rinascimento. Le nuove monarchie erano strutture
centralizzanti e cercavano di assicurare che le strutture di potere regionale fossero subordinate alle superiori
autorità del monarca, attraverso il consolidamento di una burocrazia civile e militare. Nel diciannovesimo secolo i
sovrani di queste monarchie si proclamarono sovrani assoluti.
Il termine assoluto viene dal latino e significava non che il monarca fosse onnipotente ma che non era soggetto alle
leggi e che dunque nessun essere umano potesse legittimamente impedirgli di fare ciò che egli meglio credeva; ciò
sanciva un potere arbitrario ma relativamente ridotto. Nel corso dei secoli, gli stati cercarono di superare questa
mancanza di poterle reale e di conseguenza, una delle tendenze secolari del sistema-mondo moderno, sin dall'inizio,
è stato un lento costante incremento dell’effettivo potere statale (Luigi xiv Di Francia 1715/ primo ministro svedese
del 2000). Il principale strumento di cui i monarchi si servirono per accrescere il loro potere fu la costruzione di
burocrazie e poiché all'inizio non disponevano di entrate fiscali con cui remunerarle, trovarono una soluzione nella
vendita delle cariche. La sovranità era una rivendicazione di autorità non solo all'interno dello Stato ma anche
all'esterno, era soprattutto una rivendicazione dei confini stabili al cui interno un dato fosse sovrano e nessun altro
stato avesse il diritto di far valere alcun genere di autorità. Le rivendicazioni, tuttavia, contano ben poco a meno che
non vengono riconosciute dagli altri. La sovranità è, quindi, più che altro una questione di legittimità nel sistema-
mondo moderno ed essa esige un riconoscimento reciproco; si parla infatti di uno scambio ipotetico in cui le parti
potenzialmente realmente in conflitto rispettano la realtà di potere de facto e si scambiano tali riconoscimenti come
strategia di minor costo. Ma senza tale riconoscimento, la proclamazione è relativamente priva di valore; ad oggi, la
maggior parte degli stati sono riconosciuti da tutti gli altri, ma ciononostante, esistono solitamente alcuni stati
virtuali che non ottengono alcun riconoscimento. La situazione più difficile è quella in cui uno stato e riconosciuto da
un numero significativo di altri stati ma allo stesso tempo non riconosciuto numero altrettanto significativo. Questa
condizione può verificarsi in seguito a successioni o cambiamenti rivoluzionari di regime (Stati Uniti e Cuba,
Repubblica turca di Cipro nord).
Il principio di reciprocità funziona anche in ambito nazionale, sebbene per descriverlo si usa convenzionalmente un
linguaggio diverso: le autorità locali devono riconoscere l'autorità sovrana dello Stato centrale e in un certo senso
l'autorità centrale deve riconoscere l'autorità legittima di quelle locali e definirne i limiti. Questo accordo può però
rompersi: se la frattura è grave, si verifica quello che chiamiamo ‘guerra civile’ questa, può essere vinta dal centro,
ma può anche essere vinta dalle autorità locali ed in questo caso può verificarsi o una revisione delle regole che
disciplinano la divisione dei poteri all'interno dei confini statali esistenti o la creazione di una più nuovi stati sovrani
per mezzo di una successione, che pone poi agli altri stati di nuova formazione il problema di ottenere il
riconoscimento del nell'area interstatale. La sovranità è dunque una rivendicazione giuridica con importanti
conseguenze politiche ed è causa di queste conseguenze che le questioni relative alla sovranità sono cruciali nella
lotta politica, sia in ambito nazionale che in ambito internazionale tra gli Stati.

Dal punto di vista degli imprenditori che operano nell’economia-capitalistica, gli Stati sovrani esercitano l'autorità in
almeno 7 principali ambiti di loro diretto interesse:
1. Gli Stati stabiliscono se e a quali condizioni merci, capitale e lavoro possono attraversare i loro confini.
2. Creano le regole relative ai diritti di proprietà all'interno dei loro stati.
3. Definiscono le normative riguardanti l'occupazione e la retribuzione dei dipendenti.
4. Decidono quali costi le imprese devono internalizzare.
5. Decidono quali processi produttivi economici possono essere monopolizzati e in che misura.
6. Impongono tasse.
7. Le imprese che si trovano all'interno dei loro confini possono essere danneggiate e possono usare il loro
potere all'esterno per condizionare le decisioni degli altri stati.
Il rapporto degli stati con le imprese è una chiave di lettura per comprendere il funzionamento dell’economia-mondo
capitalistica. L’ideologia ufficiale della maggior parte dei capitalisti è il laissez-faire, dottrina secondo cui i governi non
dovrebbero interferire con l'attività degli imprenditori sul mercato. Gli imprenditori difendono questa ideologia a
gran voce, ma non vogliono davvero che venga messa in pratica poiché più grande è lo stato, maggiori sono le
capacità di imporre decisioni concernenti le transazioni che attraversano i confini dello Stato stesso.

Esistono tre principali tipi di transazioni transfrontaliere: i movimenti di merci, di capitale e di persone:
 I venditori si augurano che le loro merci attraversino i confini senza interferenze senza tassazioni, d’altro
canto, i venditori concorrenti, che si trovano all'interno dei confini che vengono attraversati, possono
chiedere con la forza che gli Stati intervengono imponendo una quota di importazione, dazi doganali o
concedendo sussidi ai loro prodotti. Lo stesso vale per i flussi di capitale.
 I movimenti di persone attraverso i confini sono sempre stati quelli più strettamente controllati e
naturalmente interessano le imprese in quanto riguardano i lavoratori il flusso di lavoratori che si spostano
da un paese a un altro. Questi spostamenti, rappresenta un vantaggio di mercato per gli imprenditori dei
paesi riceventi e una perdita di mercato per i lavoratori che già si trovano nei paesi riceventi. Questo trascura
però due elementi che possono rivelarsi assai importante nel dibattito: l'impatto sulla struttura sociale
interna di ogni paese di immigrazione e l'impatto economico di lungo periodo dell’immigrazione.

I diritti di proprietà sono naturalmente la colonna portante del sistema capitalistico, si tratta di quelle leggi che
propongono limiti nelle modalità con cui lo stato può confiscare denaro. Il sistema capitalistico funziona sulla base di
un livello minimo di fiducia reciproca nella trasparenza delle transazioni e pertanto, impedire truffe è un’importante
esigenza sociale. L'attore decisivo nella tutela dei diritti di proprietà è ovviamente lo stato, il solo ad avere il diritto
legittimo di stabilire le regole. Ma nessuno di questi diritti è illimitato e naturalmente ci sono molte pratiche la cui
descrizione come diritti di proprietà protetti è oggetto di discussioni, ma senza qualche tutela garantita dallo stato, il
sistema capitalistico semplicemente non può esistere o funzionare.
Gli imprenditori hanno a lungo discusso mettendo in evidenza l'intervento di lungo periodo dello stato ed hanno
notato che può essere utile anche a loro per via della garanzia dell'offerta di lavoro nel lungo periodo, per la
creazione della domanda effettiva, per la riduzione al minimo dei disordini sociali ecc.
Uno degli ambiti, tra quelli meno osservati, in cui il ruolo dello Stato è cruciale, è la determinazione della quota dei
costi di produzione sostenuti dalle imprese e ciò significa che una parte dei costi di produzione viene trasferita dal
bilancio dell'impresa a un amorfo di entità esterna, la società.
Un'impresa produce per ottenere un profitto dato dalla differenza tra i ricavi delle vendite e costi di produzione, ma
nella pratica, tuttavia, il profitto è una remunerazione non soltanto dell’efficienza, ma anche di un più ampio accesso
all'assistenza dello Stato.

Vi sono tre differenti costi sostenuti dalle imprese: costi di inquinamento, costi di esaurimento materiali e costi di
trasporto:
 i costi di inquinamento riguardano quasi tutti i processi di produzione: che si tratti di smaltimento dei
materiali e dei rifiuti chimici o semplicemente di alterazione ecologiche di lungo termine il modo meno
costoso di affrontare la questione dell'alterazione ecologica è fingere che non si stiano verificando. Tuttavia,
non possiamo negare che questi costi saranno poi esternalizzati, quindi qualcuno dovrà pagarne le
conseguenze negative e quel qualcuno è lo stato.
 La seconda modalità per esternalizzare i costi è ignorare l’esaurimento dei materiali. Materie prime,
organiche o inorganiche sono parte dei processi produttivi che generano il prodotto finale, che sarà poi
inserito sul mercato. le materie prime sono esauribili (in breve, lungo o medio periodo). I costi di sostituzione
non fanno quasi mai parte dei costi di produzione interna, pertanto, alla fine, il mondo deve o rinunciare
all'uso di tali materiali o cercare di sostituirli in qualche modo e questo può essere fatto grazie
all'innovazione, ma in molti altri casi ciò non è possibile e dunque lo stato deve intervenire nuovamente
impegnandosi nel processo di reintegrazione o ricreazione dei materiali.
 i costi di trasporto: le imprese sostengono generalmente i costi per il trasporto dei beni che ricevono o
inviano, ma raramente pagano per intero poiché, ad esempio, la creazione delle infrastrutture di trasporto
rappresenta un costo enorme sostenuto in gran parte dello Stato e non dalle imprese che se ne servono.
Nei dibattiti sulle interferenze dello Stato rispetto alle imprese, si è spesso evidenziato che dagli stati impongono
tasse e naturalmente lo fanno, non potrebbero esistere senza tassazione.

I problemi che le persone hanno rispetto alle tasse sono essenzialmente due:
 il primo è la sensazione o il sospetto che gli stati usino le tasse non per aiutare gli onesti contribuenti che
tutti noi presumiamo di essere, ma per aiutare gli altri politici burocratici eccetera. E’ per questo che
desideriamo che le tasse siano più basse.
 La seconda rimostranza a proposito delle tasse è naturalmente vera: i soldi che vengono tassati sono soldi
che altrimenti ciascuno avrebbe potuto spendere a propria discrezione.

In realtà, la maggior parte delle persone e delle imprese sono ben disposte ad essere tassate, al fine di assicurare
quei servizi minimi che ogni individuo e ogni impresa crede gioveranno al suo interesse, ma nessuno è disponibile
essere tassato più di quanto non lo sia già. Il problema è sempre la distinzione del confine che separa livelli legittimi
di tassazione a livelli legittimi.
Le imprese sono toccate non solo dalle decisioni del loro Stato, ma anche da quelle di molti altri stati, nella misura in
cui le loro merci, il loro capitale e le persone che impiegano attraversano i confini dello Stato, in un processo
costante e consistente. Il problema che ci si pone è come le imprese possono trattare con questi altri stati e la
risposta risiede in due modi: direttamente e indirettamente. Il modo diretto implica comportarsi come
se avessero sede nell'altro stato e usare i meccanismi che userebbero con il loro scambio di favori. Questo può
essere sufficiente, ma spesso un’impresa straniera si trova in posizione di considerevole svantaggio e se questa ha
sede in uno stato forte può fare appello a quest'ultimo affinché usi il suo potere per esercitare pressione sull’altro
stato, per far sì che si adegui alle necessità e alle richieste degli imprenditori dello Stato forte.

La grande maggioranza della popolazione di ciascuno stato è composta dagli aggregati domestici di coloro che
lavorano per imprese e altre organizzazioni. Il sistema capitalistico provvede ad un certo criterio distribuzione del
plusvalore prodotto: quanto maggiore è la quota destinata all’accumulazione di capitale, quanto minore è la quota
che può essere destinata alla remunerazione di quanti lavorano nelle unità di produzione e che generano questo
plusvalore, Ne segue logicamente che si verifichi una costante lotta per questa riparazione di plusvalore, ciò è stato
definito lotta di classe: essa costituisce una categoria analitica ineludibile che può essere verbalmente mascherata
ma mai ignorata, e nel corso di questa lotta di classe, lo stato è un soggetto centrale poiché ha il potere di modificare
la distribuzione in un senso o nell'altro.
Osservando un lungo arco temporale la politica interna di diversi stati, nel corso di tutta la storia dell'economia-
mondo capitalistica, si può vedere che è stato necessario un bel po' di tempo prima che le classi lavoratrici
arrivassero ad un livello di organizzazione sufficiente per poter partecipare al gioco politico con un minimo di livello
di efficacia. Storicamente, il momento di svolta fu senza dubbio la Rivoluzione Francese, che ha fatto del
cambiamento politico un fenomeno normale, qualcosa di intrinseco alla natura delle cose e di fatto auspicabile,
inoltre. ha orientato in modo nuovo il concetto di sovranità, trasferendolo dal monarca o dal legislatore, al popolo.
Una delle principali conseguenze del popolo come sovrano fu che l'individuo non venne più definito come suddito,
ma come cittadino: essere un cittadino significava avere il diritto partecipare su un piano di parità con tutti gli altri
cittadini alle decisioni fondamentali dello Stato e che ognuno era riconosciuto come individuo razionale, capace di
decisione politica. La logica conseguenza del concetto di cittadino fu il suffragio universale. Ad oggi, praticamente
ogni paese afferma che i suoi cittadini sono tutti uguali ed esercitano la loro sovranità attraverso un sistema di
suffragio universale, se non fosse che, come sappiamo, in realtà le cose non stanno davvero così; nella maggioranza
dei paesi, solo una parte della popolazione esercita pieni diritti di cittadinanza, a rientrare nella categoria degli
esclusi, sono: i visitatori del paese o stranieri , coloro che sono troppo giovani per avere giudizio, coloro che sono
incapaci di intendere e di volere, gruppi etnici minoritari, indigenti, criminali e per molto tempo lo sono state anche
le donne. Il concetto di popolo, che è nato come un concetto di inclusione si è tramutato piuttosto velocemente in
un concetto di esclusione.
Coloro che erano esclusi hanno cercato di essere inclusi e quelli che erano già inclusi sono stati molto spesso inclini a
conservare una definizione ristretta dei criteri di idoneità ai diritti del cittadino perpetuando le esclusioni.
Coloro che invece ambivano all'inclusione hanno dovuto intraprendere attività dimostrative di ribellione talvolta di
rivoluzione. Agli inizi del diciannovesimo secolo ciò chiesto levato un importante dibattito fu la nascita di gruppi
tradizionalisti o conservatori, liberali e radicali, rispettivamente denigratori e sostenitori di questi movimenti.
La forza di uno stato si definisce come la capacità di rendere concrete le decisioni giuridiche assunte: un semplice
criterio di misura che si potrebbe utilizzare è la percentuale di tasse che vengono effettivamente riscosse e che
giungono alle autorità che le ha imposte.

L'evasione fiscale è evidentemente pandemica, ma la differenza tra quanto può essere riscosso agli stati forti e
quanto agli stati deboli, è enorme. Quanto più debole, tanto minore la ricchezza che può essere accumulata
attraverso attività economicamente produttive. Ciò fa di conseguenza dello stesso apparato statale, una
fondamentale sede dell'accumulazione di capitale. ma negli stati deboli, questo diventa il mezzo privilegiato
dell’accumulazione di capitale che stavolta indebolisce la capacità dello Stato di assolvere ai suoi altri compiti.
Quando l'apparato statale diventa lo strumento principale di accumulazione di capitale, si perde il significato stesso
di un regolare trasferimento delle cariche successorie, il che conduce a turbolenti trasferimenti di poteri che a loro
volta accrescono inevitabilmente il ruolo politico dei militari, quando gli stati dovrebbero essere gli unici proprietari
dell’uso legittimo della violenza e dovrebbero possederne il monopolio, mente, polizia ed esercito, sono il primo
veicolo di questo monopolio e meri strumenti dell’autorità dello Stato. Ciò che è importante osservare è che questi
fenomeni non sono il risultato di politiche sbagliate, ma della debolezza endemica delle strutture statali nelle zone in
cui la grande maggioranza dei processi produttivi è periferica e costituisce dunque una debole fonte di
accumulazione di capitale.

Dovremmo poi evidenziare in che misura debolezza significa forza relativa dei notabili locali che attraverso il
controllo di alcune forze militari locali combinato spesso ad una legittimazione locale, sono in grado di imporre il loro
controllo sulle regioni non sottoposte all'autorità dello Stato, essi, tendono a esprimere l'aspetto mafioso dell'attività
imprenditoriale capitalistica. Le mafie sono fondamentalmente predatori che si nutrono dei processi di produzione e
sono tristemente note per il loro interessamento a prodotti illegali, ma sono anche spesso coinvolti in forme del
tutto legali di attività produttive.
L'attività capitalistica di carattere mafioso è pericolosa per le stesse mafie ed è per sua natura una minaccia alla loro
stessa sopravvivenza, pertanto, una volta avuto successo nell’accumulo di capitale, i mafiosi cercano di riciclare il
loro denaro e trasformarsi in imprenditori legali. Uno i modi in cui si sta cercando di ridurre il peso delle mafie
consiste nel trasformare la loro popolazione in una nazione. Le nazioni sono senza dubbio dei miti (creazioni sociali)
e gli Stati hanno un ruolo centrale nella loro costruzione, la quale comporta la creazione di una storia di una lunga
cronologia ed un insieme presunto di caratteristiche distintive.
Si dovrebbe pensare al concetto di Stato-nazione come ad un asintoto verso il quale tutti gli stati aspirano. Alcuni
stati rivendicano di non essere stati-nazioni, ma di essere multinazionali, anche se cercano di creare un’identità pan-
statale (Unione Sovietica, Svizzera, Canada).

Il nazionalismo è un'identità di gruppo di status forse quello che è maggiormente decisivo conservare nel sistema-
mondo capitalistico, fondato come su una struttura di stati sovrani collocati all'interno di un sistema interstatale; non
è esclusivamente un fenomeno degli stati deboli, è infatti estremamente forte negli stati più ricchi.
Storicamente, gli Stati si sono serviti di tre modalità principali per costruire il nazionalismo: il sistema scolastico
pubblico, il servizio delle forze armate e le cerimonie pubbliche e tutti e tre servono vengono costantemente
utilizzate.
Gli Stati esistono nella cornice di un sistema internazionale e la loro forza è data soprattutto da quanto riescono a
farsi valere nel contesto competitivo del sistema-mondo.
Gli Stati forti si relazionano a quelli deboli esercitando pressioni su di essi affinché mantengano le frontiere aperte a
quei flussi di fattori di produzione che sono utili alle imprese che hanno sede negli stati forti, mentre oppongono
resistenza ad ogni richiesta di reciprocità a tal proposito. Gli stato deboli sono quelli che chiamiamo colonie, ovvero
unità amministrative definite come non sovrane e che cadono sotto la giurisdizione di un altro stato in genere
geograficamente distante: al loro interno, hanno assolto lo stesso genere di funzioni assolte dagli stati sovrani, che:
hanno garantito i diritti di proprietà, assunto decisioni sull’attraversamento dei confini, disposto le modalità di
partecipazione politica, imposto decisioni relative al lavoro ed hanno deciso quali tipi di produzione realizzare nella
colonia. Il fatto che queste decisioni non venissero prese da individui facenti parte della colonia, ma da soggetti
esterni, ha ovviamente alimentato il desiderio di queste colonie (deboli, dall’indipendenza praticamente nulla) di
raggiungere l’indipendenza e dare inizio ad un percorso di miglioramento della posizione relativa del paese e della
sua popolazione nell'economia mondo.
E’ importante non trascurare anche la relazione cruciale tra gli Stati forti e gli altri stati forti: si tratta di una
concorrenza mitigata da una contraddizione: gli attori sono spinti contemporaneamente in direzioni opposte, sia
verso un sistema interstatale anarchico e sia verso un sistema interstatale coerente e ordinato. Il risultato, sono
strutture che solitamente si trovano in una posizione intermedia tra questi due modelli.
In questa lotta contraddittoria, inoltre, non dovrebbe essere trascurato il ruolo degli stati semi-periferici: la
concorrenza tra gli Stati forti e gli stati semiperiferici mirata al miglioramento del loro status e del loro potere crea
una situazione di costante rivalità interstatale, che abitualmente assume la forma di un cosiddetto equilibrio di
potenza, espansione che definisce uno scenario in cui nessun singolo stato può semplicemente imporsi nell’area di
interstatale. Questo non significa che gli stati più forti non tentino di conseguire questo grado di potere.

Vi sono due modi diversi attraverso cui gli Stati possono conquistare un predominio:
 il primo consiste nel trasformare l'economia-mondo in un impero-mondo.
 il secondo consiste nell’ottenere un’egemonia del sistema-mondo.

Per impero-mondo, si intende una struttura in cui vi è un'autorità politica per l'intero sistema mondo, negli ultimi
500 anni vi sono stati diversi tentativi di instaurare un impero mondo: il primo fu quello di Carlo V segue poi quello di
Napoleone e infine quello di Hitler.
D'altro canto, tre potenze hanno raggiunto l'egemonia, ovvero: Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. Ciò che ci
consente di definire delle potenze egemoniche è il fatto che per un certo periodo sono state in grado di fissare le
regole del gioco del sistema intestatale e di dominare l'economia mondo, imponendosi politicamente e formulando
un linguaggio culturale con cui si analizza il mondo.
Si pongono, però, due questioni: la prima è perché non è mai stato possibile trasformare l'economia in un impero-
mondo, mentre è stato possibile ottenere l'egemonia al suo interno; la seconda riguarda il perché l'egemonia non sia
mai durata. Date le precedenti analisi, non è così difficile rispondere a questi enigmi: la struttura peculiare di
un’economia mondo è particolarmente adatta alle esigenze di un sistema-mondo capitalistico, un impero-mondo per
contro, distruggerebbe di fatto il capitalismo poiché servirebbe una struttura politica in grado di ribaltare la priorità
dell’incessante accumulazione di capitale.
L’egemonia, invece, può essere molto utile alle imprese capitalistiche, in particolar modo se queste imprese sono
politicamente legate alla potenza egemonica. L'egemonia si verifica tipicamente come conseguenza di un lungo
periodo di relativa rottura dell'ordine mondiale (nella forma di Guerra dei Trent'anni) e crea il genere di stabilità in
cui le imprese capitalistiche e le industrie guida monopolistiche prosperano. L'egemonia è ben vista dalle persone
comuni nella misura in cui sembra garantire non solo l'ordine, ma un futuro migliore per tutti. Tuttavia, il potere
dell’egemonia si autodistrugge, altri stati infatti iniziano a migliorare la loro efficienza economica fino al momento in
cui la superiorità della potenza egemone si riduce, fino a scomparire e con questo, anche il suo peso politico.
Quando una potenza egemone declina, ve se sono sempre altre pronte a sostituirla, essa è pertanto cruciale,
ricorrente e sempre relativamente breve.
L'economia-mondo capitalistica ha bisogno degli stati, del sistema interstatale e del periodico apparire di potenze
egemoni, ma la proprietà rimane sempre l’incessante accumulazione di capitale che è meglio raggiunta attraverso un
insieme in perenne trasformazione di supremazie politiche e culturali, all'interno delle quali le imprese capitalistiche
si destreggiano, ottenendo il sostegno degli stati, ma cercando di sfuggire al loro predominio.
Capitolo 4, la creazione di una geocultura.

La Rivoluzione francese ha rappresentato un momento di svolta nel sistema-mondo culturale moderno, poiché ha
determinato due cambiamenti essenziali che costituiscono quella che è diventata la geocultura del sistema mondo
moderno: la normalità del cambiamento politico e la sovranità nelle mani del popolo.
La storia politica del sistema-mondo moderno, nel 19esimo secolo e nel 20esimo secolo, fece emergere l'ennesima
disputa nel quadro di una geocultura che proclamava l'inclusione di tutti come una definizione della buona società.
Questo dilemma politico fu affrontato in tre ambiti differenti: le ideologie, i movimenti antisistematici e le scienze
sociali. Questi movimenti sembravano essere di fatto distinti ma erano in realtà intimamente connessi l'uno all'altro.
Un' ideologia è una strategia coerente nella sfera sociale, dalla quale si possono trarre conclusioni politiche molto
specifiche. Non vi era mai stato il bisogno di ideologie nei sistemi-mondo precedenti o in quello moderno prima che
fossero adottati come principi strutturali fondamentali delle istituzioni politiche: il concetto di normalità del
cambiamento e del cittadino come suo responsabile. Questo perché le ideologie presupponevano l'esistenza di
gruppi antagonisti, con strategie antagonista di lungo termine relative al modo in cui affrontare il cambiamento ed a
chi sia più adatto ad assumere il comando di questo compito.
 La prima emergere fu l'ideologia del conservatorismo (il partito dell'ordine): un'ideologia di quanti
ritenevano che la Rivoluzione Francese ed i suoi principi fossero socialmente un disastro. I conservatori
erano turbati dall'idea che l'ordine sociale fosse infinitamente malleabile, perfezionabile e che l'intervento
politico umano potesse e dovesse accelerare i cambiamenti. I conservatori consideravano questo intervento
un atto di hybris molto pericoloso. Le loro posizioni si fondavano su una visione pessimistica delle capacità
morale dell'uomo; trovavano infondato e intollerabile il sostanziale ottimismo dei rivoluzionari francesi e
credevano che, se dei difetti esistevano nell’ordine sociale del tempo, questi causassero in definitiva meno
danni all'umanità di quanti ne avrebbero causati le istituzioni scaturito da una tale hybris. I conservatori
erano quindi controrivoluzionari che auspicavano la restaurazione dell’ancien régime, riponevano fiducia
nelle strutture politiche e religiose gerarchiche centrali o ancor più nelle strutture locali e nella struttura
familiare gerarchica e patriarcale, segno distintivo del conservatorismo. La loro strategia politica si basava sul
restaurare e conservare le autorità di queste istituzioni tradizionali e sottomettersi alla loro saggezza. I
conservatori aborrivano dunque la democrazia, che loro occhi segnava la fine del rispetto per la gerarchia,
diffidavano inoltre di un diffuso accesso all'istruzione, che secondo loro doveva essere riservata alla
formazione dei quadri d’élite, credevano che la distanza tra le capacità delle classi superiori a quella delle
classi inferiori e fosse non solo incolmabile, ma parte della fondamentale condizione umana e dunque voluta
dal cielo.
 Quelli che ritenevano con qualsiasi ritorno all’ancien régime fosse tanto indesiderabile quanto impossibile
dovettero riorganizzarsi e sviluppare una contro ideologia: il liberalismo (il partito del movimento). I liberali
desideravano disfarsi della zavorra costruita dall’associazione con il regno del terrore, salvando tuttavia
quello che credevano fosse lo spirito di base della rivoluzione francese e sostenendo che il cambiamento
fosse non solo normale, ma anche inevitabile. Riconoscevano che il cambiamento precipitoso potesse essere
tuttavia controproducente, ma affermavano che le gerarchie tradizionali fossero indifendibili e
fondamentalmente illegittime. La loro parola d'ordine era ‘’la carriera aperta ai talenti’’ oggi espresso in
modo più consueto con l'espressione parità di opportunità o meritocrazia; fu intorno a questi slogan che i
liberali avrebbero costruito la loro ideologia, operando una distinzione tra diversi tipi di gerarchie: erano
contro le gerarchie ereditari ma non contro quelle naturali, bene accette della maggior parte della
popolazione ed un fondamento legittimato dall’autorità, mentre le gerarchie ereditarie rendevano
impossibile la mobilità sociale. Non riportavano alcuna fiducia nelle gerarchie tradizionali, nazionali o locali,
clericali o secolari ed erano anche molto diffidenti verso la massa della popolazione o plebaglia, che
ritenevano fosse essenzialmente incolta e di conseguenza irrazionale. Ciò comportava che solo un gruppo
avrebbe dovuto assumere la guida e la responsabilità del decidere quali cambiamenti fossero necessari,
ovvero: gli specialisti. Gli specialisti erano esperti in quello che avevano studiato e potevano quindi articolare
in modo migliore le riforme che erano necessarie e auspicabili; per via della loro formazione erano
tendenzialmente prudenti e perspicaci, riconoscevano sia le possibilità che i rischi del cambiamento. Erano
sottoposti ad una istruzione lontana dalle forme tradizionali del sapere e indirizzata verso l'unico
fondamento teorico del sapere pratico: la scienza, che offriva un percorso verso il progresso materiale e
tecnologico e quindi verso il progresso morale. Solo i leader politici che fondavano i loro programmi
immediati sul sapere scientifico meritavano fiducia come guida verso il futuro benessere. Quindi, il liberismo,
era un’ideologia moderata nella sua visione del cambiamento sociale, che ha sempre enfatizzato il suo
centrismo nella sfera politica.
 Vi erano anche coloro che cercavano di creare piccoli spazi di dissenso nei confronti di ambedue le ideologie,
questi, si definivano democratici o radicali: non vedevano di buon occhio l’ideologia conservatrice, ma
ritenevano che liberali, sebbene accettassero la normalità del cambiamento e sostenessero il concetto di
cittadinanza, fossero estremamente di fatto molto spaventati da un mutamento sostanziale.

Fu la rivoluzione mondiale del 1848 a trasformare il panorama ideologico, creando un nuovo scenario in cui vediamo
i conservatori a destra, liberali al centro e radicali a sinistra.

La rivoluzione del 1489 rivoluzione sociale dell’era moderna fu una vampata improvvisa a cui seguì un'intensa
repressione ed il sollevamento di importanti interrogativi sulle le ideologie: i conservatori compresero che le tattiche
applicate fino a quel momento erano controproducenti sul lungo termine e che non riuscivano né a preservare la
tradizione, né a garantire l'ordine, bensì spingevano alla rabbia, al risentimento e all’organizzazione sovversiva
minacciando l'ordine. Il segreto sembrava essere una forma di conservatorismo che consisteva in tempestive
concessioni finalizzate a debellare a lungo termine l'attrattiva esercitata dall’azione radicale.
Nel frattempo, anche i radicali avevano tratto le azioni strategiche dai loro fallimenti nella rivoluzione del 1948, non
intendevano più giocare il ruolo di appendice dei liberali, erano infatti alla ricerca di una strategia alternativa e più
efficace e ne avrebbero trovata una nell’organizzazione sistematica di lungo termine, che avrebbe preparato
politicamente il terreno per un cambiamento sociale fondamentale.
Anche liberali giunsero comprendere che non era sufficiente praticare i vantaggi del fare affidamento su specialisti
per realizzare un cambiamento sociale ragionevole e tempestivo, ma che fosse necessario agire attivamente nella
politica in modo che le questioni fossero effettivamente affidata agli specialisti e per loro ciò significava avere a che
fare sia con vecchi rivali, che con quelli emersi di recente, dotandosi di un programma che fosse centrista nelle sue
richieste e di un insieme di tattiche che li ponesse a metà strada tra la resistenza dei conservatori e qualsiasi
cambiamento dei radicali su un cambiamento estremamente rapido.
Il nuovo programma sviluppato dei liberali contemplava tre obiettivi principali: estendere gradualmente il suffragio,
l'accesso all'istruzione, accrescere il ruolo nello stato nel tutelare i cittadini e dai danni derivanti dal loro lavoro,
incrementando i servizi sanitari e l'accesso ad essi, e intervenendo ha detto in mare le oscillazioni del reddito lungo il
ciclo di vita dei lavoratori, fare dei cittadini una nazione. Vi sono due rilevanti osservazioni da fare a proposito del
programma liberale:
 la prima è chiesto viene realizzato in larga misura entro la prima guerra mondiale, almeno nel mondo pan
europeo.
 la seconda è che non furono sempre i partiti liberali quelli che nei fatti si spesero per metterlo in pratica,
infatti il programma è stato realizzato in misura significativa dai non-liberali.

I liberali, a questo punto, si tirarono un po' indietro diventando esitanti nel proseguire con il loro stesso programma,
cominciando a convertirlo in leggi, come: l'estensione del suffragio di Disraeli, la legalizzazione dei sindacati da parte
di Napoleone III o l’invenzione del welfare da parte di Bismark. La combinazione di questi cambiamenti nelle
rispettive tattiche dei tre gruppi ideologici comportò il programma liberale diventasse la caratteristica distintiva
condivisa dalla geocultura: dal momento che, sia con i conservatori, che i radicali si erano trasformati in mere
varianti dei liberali.

Una nazione si crea esaltando il nazionalismo. Nel diciannovesimo secolo, il nazionalismo e venne insegnato
attraverso tre principali istituzioni: le scuole primarie, l'esercito e le celebrazioni nazionali. Le scuole primarie
facevano degli operai e dei contadini dei cittadini in possesso delle capacità minime necessarie ad assolvere i doveri
nazionali, il trinomio: leggere, scrivere e far di conto; insegnavano le virtù civiche, superando i particolarismi e
pregiudizi delle strutture familiari e soprattutto, insegnavano la lingua nazionale. Il nazionalismo era rafforzato
dall’ostilità verso i nemici; la forma più importante di tale ostilità era il razzismo, essa si annidava nella diffusione del
concetto di civiltà: il mondo pan-europeo, che dominava il sistema-mondo dal punto di vista economico e politico,
definiva se stesso come l'ipogeo di un processo di civilizzazione che si faceva risalire alle presunte radici dell'europa
nell'antichità classica. Questo reclamava il dovere di imporsi su chiunque altro.
Il diciannovesimo secolo divenne anche il secolo di un rinnovato imperialismo diretto. La conquista imperiale non era
più solo un’attività dello Stato e nemmeno dello Stato incoraggiato dalle chiese, era bensì diventata dovere dei
cittadini e fu usata dai conservatori per rivalersi, poiché vi riconoscevano un modo sicuro per ricostruire le divisioni
di classe e quindi per garantire l'ordine interno.
Il trionfo del liberalismo nel definire la geocultura del sistema mondo moderno nel diciannovesimo secolo e nel
ventesimo, fu reso possibile, a livello istituzionale, dallo sviluppo dei pilastri giuridici dello Stato liberale, ed anche
dall’ascesa dei movimenti antisistemici. Ciò può sembrare paradossale dal momento che i movimenti antisistemici
presumibilmente esistono per minare il sistema, non per sostenerlo, ma le loro attività sono servite nel complesso a
rafforzarlo considerevolmente. Sviscerare questo apparente paradosso è cruciale per comprendere il modo in cui
l'economia mondo capitalistica è stata tenuta insieme: all'interno degli stati, gli sforzi di alcuni gruppi per
conquistare l'inclusione in qualità di cittadini sono diventati un punto di riferimento centrale per i movimenti
antisistemici, ossia per le organizzazioni che ambivano a determinare mutamenti fondamentali nell'organizzazione
sociale. Questi movimenti, cercavano di tradurre in pratica il motto liberale di uguaglianza fraternità, ma in modo
diverso da quello proposto dai liberali. Il gruppo escluso che per primo costituì organizzazioni di rilievo fu la classe
operaia industriale urbana o proletariato, questo gruppo si concentrava in poche località urbane e le loro condizioni
di lavoro e livelli di remunerazione erano misere, svolgevano tuttavia un ruolo cruciale nelle principali attività
produttive che generavano plusvalore. Alla metà del diciannovesimo secolo, le organizzazioni di fabbrica (sindacati) e
quelli della sfera pubblica (partiti operai e socialisti) cominciarono a emergere, dapprima nei maggiori centri di
produzione industriale e poi altrove; ne conseguiva che la lotta di classe fosse un terreno di contesa asimmetrico in
cui il movimento sociale stava combattendo una battaglia difficile per concessioni progressive e ridotte.
In questo modello di lotta politica in sordina, il movimento sociale definiva la sua lotta come quella degli operai
contro i capitalisti. Gli operai erano maschi adulti appartenenti al gruppo etnico dominante di un dato paese, si
trattava di operai qualificati e semi qualificati, con una certa istruzione, che costituiva il grosso del lavoro industriale.
Quelli che rimanevano esclusi da questa categoria ritennero di doversi organizzare in categorie dei gruppi di status:
quelli delle donne da una parte e quelli dei razziali, religiosi, linguisti ed etnici dall'altra. Questi gruppi erano spesso
altrettanto antisistemici dei movimenti socialisti operai, ma definivano le loro rivendicazioni più urgenti in un modo
assai diverso. Queste organizzazioni di identità di gruppo di status definivano i loro obiettivi di lungo periodo e medio
periodo, questi ultimi si focalizzavano sul tema dell'estensione dei diritti dei cittadini al gruppo escluso che
rappresentavano, tutte fronteggiavano la riluttanza e l'ostilità suscitata dalle richieste di piena cittadinanza nello
stato liberale e si trovarono di fronte a due fondamentali questioni: la prima, riguardava il tipo di strategia di medio
periodo che sarebbe stata più efficace; la seconda, era che genere di alleanza ogni variante di movimento
antisistemico avrebbe dovuto stabilire con le altre varianti. Nessuna delle due questioni fu risolta in modo agevole e
veloce punto.

I gruppi esclusi avevano alcune immediate difficoltà nell’organizzarsi politicamente: la legge spesso limitava in molti
modi i loro diritti ed i membri potenziali erano per la maggior parte deboli individualmente in termini di potere
quotidiano, non avevano come collettività un significativo accesso al denaro, Le principali istituzioni dei vari stati
erano tendenzialmente ostili nei loro confronti, questi gruppi erano pertanto oppressi con facilità. Centrale fu, per i
gruppi oppressi, discutere se fosse meglio cambiare se stessi o piuttosto le istituzioni che li opprimevano; le dispute
interne ai movimenti a proposito della strategia da adottare furono feroci ostinate e profondamente sentite fra i
partecipanti tanto da creare profonde divisioni, tale disordine fu causato dalla scelta tra una strategia culturale e una
strategia politica. E’ importante evidenziare come porre enfasi su uno dei due aspetti non escludeva
necessariamente l'altro, ma molti ritenevano che conducesse a orientamenti strategici assai differenti.
 Le ragioni a favore dell'opzione culturale erano sempre quelle secondo cui i cambiamenti politici fossero in
fondo superficiali, vi persino un argomento sociopsicologico che consisteva nel pensare a come il sistema
teneva prigioniera la gente comune, organizzandone la psiche.
 Le tesi a favore dell'opzione politica sosteneva che i membri dell'organizzazione culturale fossero ingenue
vittime di illusioni e ponevano l'accento sulla realtà del potere, sostenendo che trasformare le relazioni del
potere fosse il prerequisito per qualsiasi cambiamento reale.

La storia ha visto la vittoria dei fautori dell'opzione politica nelle battaglie interne in tutti i movimenti sistemici.
All'inizio del ventesimo secolo, i movimenti antisistemici avevano concordato un’agenda di azione in due tempi:
prima ottenere il potere dello Stato; poi trasformare il mondo lo stato la società. Rimaneva naturalmente un grosso
margine di ambiguità in questa strategia e la questione principale risiedeva nel che cosa significasse ottenere il
potere dello stato e come riuscirci. Tuttavia, a nessuno di questi interrogativi è stata mai data una risposta univoca,
le soluzioni erano spesso differenti o contraddittorie. Anche una volta trovato un accordo e accettata la strategia
politica in due tempi, le dispute interne non cessarono, la discussione classica di questo problema fu quello che
avvenne tra la seconda e la terza internazionale, che viene spesso rappresentata in maniera un po' fuorviante come
una disputa tra riformismo e attività rivoluzionaria.
La posizione rivoluzionaria partiva dall'osservazione che, in molti paesi, i proletariati non fossero la maggioranza
della popolazione, che non vi era un processo elettorale libero e se anche ci fosse stato, la borghesia non avrebbe
comunque rispettato risultati. I rivoluzionari proponevano quindi una serie di contropremesse: il proletariato urbano
era l’unico soggetto storico progressivo, ma non sempre era consapevole dei propri interessi, a colmare questa
mancanza furono i militanti dei partiti operai. I militanti poteva organizzarsi clandestinamente e giungere al potere
attraverso insurrezioni che avrebbero conquistato il sostegno del proletariato urbano, imponendo una dittatura del
proletariato e trasformando il paese in una società socialista. Ciascuna di queste premesse, però, risultò essere
errata a causa della loro incapacità di individuare un significativo terreno comune.
L'atteggiamento prevalente in ciascuna varietà di movimento antisistemico fu quello di considerare la rivendicazione
dei propri membri come le sole di importanza fondamentale e quella degli altri movimenti come secondarie e
fuorvianti. Ciascuna variante sosteneva che le proprie istanze dovessero essere affrontate per prime e ciascuna
argomentava che affrontare con successo le proprie rivendicazioni avrebbe creato una situazione in cui le altre
avrebbero potuto essere risolte successivamente e conseguentemente.

Questa dinamica può essere osservata innanzitutto nei difficili rapporti tra i movimenti operai e movimenti
femministi: l'atteggiamento dei sindacati verso i movimenti femministi consisteva fondamentalmente nel
considerare l'occupazione delle donne come un meccanismo usato dai datori di lavoro per ottenere lavoro a minor
costo, ritenendola dunque una minaccia agli interessi della classe operaia, La maggior parte dei lavoratori urbani
aveva infatti riposto fiducia in un modello sociale secondo il quale le donne sposate devono essere casalinghe e
rimanere al di fuori dal mercato del lavoro; piuttosto che per l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro, i
sindacati lottano per ottenere quello che era definito come un salario familiare, un salario sufficiente a consentire ad
un operaio industriale di mantenere: se stesso, sua moglie ed i suoi figli non adulti. I partiti socialisti erano ancor più
scettici sul ruolo delle organizzazioni femministe, considerate organizzazioni borghesi poiché la loro leadership molto
spesso provenivano dalle fila di donne borghesi ed i loro obiettivi erano, pertanto, considerati tuttalpiù di interesse
secondario per la classe operaia. Quanto al suffragio femminile, mentre in teoria i partiti sociali erano favorevoli,
nella pratica erano assai scettici poiché credevano che il voto delle donne della classe operaia per i partiti socialisti
fosse meno probabile di quello degli uomini della stessa classe, e questo per via dell'influenza che le organizzazioni
religiose, ostili ai partiti socialisti, esercitavano su di loro. Le organizzazioni delle donne replicavano tono, definendo
le organizzazioni operaie socialiste come perpetuatrici degli atteggiamenti e delle politiche patriarcali contro cui le
donne stavano lottando, sollevano spesso l’obiezione che il loro livello di istruzione fosse superiore a quello degli
uomini della classe operaia, per cui, in base alla logica liberale, ne derivava che a loro per prime dovevano essere
garantiti i piani diritti di cittadinanza. Le campagne delle donne erano principalmente contro i problemi sociali per il
controllo del proprio corpo ed erano rivolte più direttamente a uomini della classe sociale operaia che a quelli della
classe media.

Il rapporto dei movimenti operai sociali con i movimenti etnici nazionali mostrava difficoltà analoghe: all'interno
dei singoli paesi, i movimenti operai consideravano i movimenti etnici di ogni genere come meccanismi tesi a
dividere le classi operaie. Le istanze di inclusione nel mercato del lavoro avanzate dai gruppi etnici razziali oppressi
incontravano la stessa risposta di quelli delle donne, erano visti essenzialmente come qualcosa che giovava
all’interesse dei datori di lavoro, rendendo loro possibile ottenere lavoro al minor costo. Molti sindacati cercarono di
escludere queste minoranze dal mercato del lavoro, principalmente dai segmenti più retribuiti che erano stati
tradizionalmente riservati ai lavoratori del gruppo etnico dominante. Gli sforzi derivanti dall’esclusione delle
minoranze intensificavano anche l'opposizione a consentire l'immigrazione delle stesse. Fondamentalmente i
movimenti operai sociali accusavano tali movimenti nazionalisti di essere organizzazioni borghesi e di interessi di una
borghesia, sostenevano inoltre che l'indipendenza nazionale non avrebbe portato alcun vantaggio alle classi operaie
del paese che operavano una secessione, ma avrebbe potuto persino peggiorare la posizione nel caso in cui il
vecchio governo imperiale avesse avuto un corpo legislativo o una struttura di potere meno ostile agli interessi dei
lavoratori di quel presunto potere indipendente. In ogni caso, i partiti socialisti, tendevano a insistere sul fatto che
tutti gli Stati borghesi fossero simili e che l'unica questione importante fosse comprendere se la classe operaia
sarebbe stata in grado di giungere al potere in uno stato o nell'altro. Pertanto, il nazionalismo era un’illusione e una
diversione. I movimenti nazionali risposero sostenendo che l'opposizione nazionale era reale, immediata e
schiacciante, che qualsiasi tentativo di proseguire con un’agenda operaia implicava che il popolo sarebbe stato diviso
e pertanto indebolito nel suo sforzo di assicurarsi i diritti nazionali. Argomentarono che esistevano particolari
problemi riguardanti quest'opera e che sarebbe stato meglio affrontati nel contesto di uno studio indipendente.
Le istanze culturali che si sollevarono, coincidevano con gli interessi diretti della classe operaia del paese che il
movimento nazionalistico stava tentando di creare e che avrebbe utilizzato con molta più probabilità la lingua
nazionale piuttosto che la lingua ufficiale della struttura politica.

Infine i rapporti tra le organizzazioni femministe e le organizzazioni etniche nazionalistiche non erano migliori:
entrambe le parti si servivano degli stessi argomenti: da un lato, le organizzazioni femministe sostenevano che non
avevano tratto alcun giovamento dai maggiori diritti di cittadinanza per le minoranze e alla conquista
dell’indipendenza nazionale; in questo caso, argomentavano che i loro diritti di cittadinanza non sarebbero stati
garantiti nel nuovo stato con maggiore probabilità che nel precedente.
Dall’altra parte, i movimenti etnici nazionalisti consideravano i movimenti femministi come espressione di interessi
di gruppi oppressori, consideravano quello dei diritti delle donne un problema secondario che poteva essere meglio
affrontata dopo che le loro vertenze fossero state risolte.

Dal 1848 fino al 1945 questo sforzo di unificazione ebbe uno scarso impatto sul livello mondiale dei movimenti anti
sistemici: le principali tre varianti di questi movimenti rimasero nei loro spazi ben distinti ciascuno combattendo la
battaglia per le proprie proposte e ignorando o perfino contrastando gli altri. La storia di lungo termine di questi
movimenti li ha visti tutti alla fine del ventesimo secolo conquistare il loro obiettivo primario manifesto senza che
alcuno di essi conseguisse quello successivo l'uso del controllo degli stati per trasformare la società punto una volta
che le ideologie furono elaborate e consolidate.
Ciò che ancora serviva per assicurare l'efficacia di un agio cultura era il suo operato teoretico: questo fu il compito
affidato le scienze sociali. Nei termini della Geo cultura che era stata costruita nel riflesso delle tre ideologie e
paradossalmente sostenuta degli essi movimenti antisistemici creati per combatterla, il ruolo delle scienze sociali è
stato quello di fornire il fondamento intellettuale alle giustificazioni morali utilizzate per rafforzare i meccanismi di
funzionamento del sistema mondo moderno. In questo compito esse hanno avuto grande successo almeno fino alla
rivoluzione mondiale del 1968.

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Capitolo 5; La crisi del sistema mondo moderno.

I sistemi storici hanno una vita: hanno origine per ragioni e secondo modalità che possono essere analizzate.
Se sopravvivono, conducono il loro corso storico nella cornice e nei vincoli delle strutture che costituiscono.
Queste tendenze secolari si approssimano inevitabilmente ad asintoti che aggravano considerevolmente le
contraddizioni interne al sistema: il sistema affronta dei problemi che non è più in grado di risolvere e ciò determina
quella che può essere definita come una crisi sistemica. Le crisi sono quelle difficoltà che non possono essere risolte
nel quadro del sistema, ma possono invece essere superate solo uscendo dal sistema storico di cui le difficoltà sono
parte e andando oltre tale sistema: ciò che accade è che il sistema si biforca, trova cioè che le sue equazioni di base
possono essere risolte in due modi ben diversi, si trova quindi di fronte a due soluzioni alternative, entrambe
intrinsecamente possibili. Dal momento che il sistema esistente non può più funzionare adeguatamente all'interno
dei parametri stabiliti, scegliere come uscirne e sceglierne il sistema futuro da costruire è inevitabile, ma prevedere
quale sarà la scelta della collettività dei partecipanti è intrinsecamente impossibile.
Il processo di biforcazione è caotico, il che significa che durante questa fase, ogni piccola azione avrà probabilmente
conseguenze significative. La scelta definitiva richiede del tempo, un periodo di transizione dagli esiti assai incerti.
Il sistema mondo moderno in cui viviamo che è quello di un economia-mondo capitalistica, che sta attraversando
attualmente e ormai già da un po' di tempo, una crisi di questo genere. Nel discorso scientifico, la genesi dei
fenomeni sono sempre il tema più dibattuto poiché è sempre possibile rintracciare nel passato recente e remoto
elementi precursori e premonitori di pressoché ogni cosa. E’ plausibile fa risalire l'inizio di questa attuale crisi
sistemica alla rivoluzione mondiale del 1968, che ha considerevolmente scosso la struttura del sistema mondo,
disarticolando la geocultura che aveva mantenuto intatte le istituzioni politiche del sistema mondo, scardinando le
basi dell’economia mondo capitalistica ed esponendola in pieno alla violenza di shock culturali e politici dai quali è
stata in precedenza protetta. Devono essersi presentate delle tendenze strutturali di lunga durata che stavano
iniziando a raggiungere i loro asintoti, rendendo dunque non più possibile superare le ripetute difficoltà in cui ogni
sistema incorrere a causa dei suoi ritmi ciclici.
Nella loro incessante ricerca dell'accumulazione, i capitalisti cercano continuamente di incrementare i prezzi di
vendita dei loro prodotti e di ridurre i costi di produzione; i produttori non possono tuttavia aumentare
arbitrariamente i prezzi di vendita senza alcun limite sono vincolati da due fattori: l'esistenza di venditori concorrenti
e il livello della domanda effettiva.
Il livello della domanda effettiva è influenzato innanzitutto dalla distribuzione mondiale del reddito.
Questa semplice considerazione coinvolge i capitalisti in un dilemma costante ed intrinseco poiché, da un lato,
vogliono il maggior profitto possibile, ma dall'altro lato, almeno alcuni capitalisti devono consentire una certa
retribuzione del plusvalore prodotto o di regola vi sarà nel complesso un numero di compratori di prodotti troppo
limitato. Dunque, periodicamente, almeno alcuni dei prodotti incoraggia di fatto una maggiore remunerazione dei
lavoratori dipendenti al fine di creare un livello più alto della domanda effettiva. Dato un certo livello della domanda
effettiva, in ogni dato momento le scelte che i consumatori fanno sono determinate da quella che gli economisti
definiscono elasticità della domanda, questo concetto si riferisce al valore di ogni compratore attribuisce a usi
alternativi del suo denaro e infatti andrò ad estinguere prodotti indispensabili da prodotti facoltativi. Queste
valutazioni sono il risultato di un'interazione tra le psicologie individuali, le pressioni culturali e le necessità
fisiologiche. I venditori possono avere solo un impatto limitato sull’elasticità della domanda sebbene il marketing sia
pensato per influenzare la scelta del consumatore. La conseguenza finale per il venditore è che questi non potrà mai
aumentare il prezzo livello in cui: i concorrenti possono vendere a prezzi più bassi, i compratori non dispongono del
denaro per acquistare il prodotto, i compratori non sono disposti a destinare un certo ammontare del loro denaro
per l'acquisto.
Per comprendere cosa sta accadendo nel sistema-mondo attuale, occorre esaminare le ragioni per cui i costi di
produzione sono cresciuti nel tempo a livello mondiale: ciascun produttore deve sostenere tre principali costi di
produzione: retribuzione del personale, acquisto degli input del processo di produzione e pagamento delle tasse che
vengono imposte da una struttura governativa che abbia il potere di imporle.
Per quanto riguarda i costi del personale, il datore di lavoro vorrebbe quasi sempre offrire un ammontare inferiore a
quello dei lavoratori dipendenti richiedono produttori e lavoratori infatti negozio continuamente su questo
argomento e lottano su questo terreno l'esito di ciascuno di tali negoziati o battaglie dipende dalla forza economica
politica e culturale delle rispettive parti: i lavoratori dipendenti possono conquistare una maggiore potenza
contrattuale poiché possiedono competenze rare e possono diventare più forti poiché si organizzano tra loro
intraprendono l'attività sindacale. Nel discorso della forza economica, si rappresenta solo la componente interna a
ciascuna impresa produttiva, ma vi è anche una componente esterna, la condizione complessiva dell'economia
determina il livello di disoccupazione e dunque quanto ognuna delle due parti ciascuna unità produttiva sia ansiosa
di giungere a un accordo sulla retribuzione. La forza politica, invece, dipende da una combinazione di apparato e
accordi politici all'interno della struttura statale e della misura in quei datori di lavoro hanno bisogno di assicurarsi il
sostegno dei dirigenti e dei quadri di medio livello, per respingere le richieste dei lavoratori comuni, ciò che si
intende per forza culturale è solitamente il risultato della forza politica antecedente.
In generale in ogni settore produttivo il potere sindacale dei lavoratori tenderà a crescere nel tempo, per limitare gli
effetti di questa organizzazione, si può ricorrere a misure repressive come tasse più alte o retribuzioni più elevate,
ma di conseguenza, in tali imprese, i costi di rimozione tenderanno a crescere, ritrovandosi poi a dover fronteggiare
una crescente concorrenza, finendo per frenare gli aumenti di prestazioni col risultato di minor profitto.
Un rimedio significativo alla conseguente crescita dei costi di retribuzione sono le runaways factories. Trasferendo la
produzione imposta in cui i costi di produzione sono molto più bassi, i datori di lavoro non soltanto tengono minori
costi di retribuzione, ma guadagnano forza politica nelle zone delle quali l'impresa è parzialmente trasferita. Tuttavia,
anche questa soluzione presenta un aspetto negativo che riguarda i costi di trasferimento che in queste altre regioni,
sono più elevati.
Col tempo, tuttavia nell’economia mondo capitalistica, si è notevolmente ridotto il numero di regioni in cui è
possibile realizzare questa particolare soluzione della crescita dei costi di retribuzione, il mondo è stato delocalizzato
proprio a causa di questa modalità di contenimento dei costi di retribuzione ed attraverso la delocalizzazione dei
processi produttivi. Quello della costante crescita dei livelli di retribuzione non è l'unico problema che i produttori
stanno affrontando, il secondo è il costo degli input macchinari e materie di produzione, il produttore naturalmente
le acquista sul mercato e li paga a prezzo dovuto, ma vi sono altri tre costi nascosti che i produttori sostengono
necessariamente: smaltimento dei rifiuti, costi di un rinnovamento delle materie prime, costi infrastrutturali.
Il modo principale per ridurre al minimo i costi di smaltimento sono le discariche, a livello mondiale, nell’economia-
mondo capitalistica, nella seconda metà del ventesimo secolo, si è giunti davvero considerare il potenziale
esaurimento delle aree di discarica come un problema sociale. Il problema del rinnovamento delle materie prime è
un problema analogo: chi acquista materie prime, di solito non si pone il problema della loro disponibilità nel lungo
periodo e venditori sono pronti a subordinare ai guadagni del breve periodo le prospettive di lungo periodo.
In 500 anni. Ciò ha condotto al successivo esaurirsi di alcune risorse e ad aumenti dei costi del loro acquisto.
L'esaurimento delle aree di scarico delle risorse naturali è diventato, negli ultimi decenni, l'oggetto più importante di
un importante movimento sociale di ambientalisti che hanno chiesto ai governi di intervenire per far fronte alle
esigenze della collettività. Far fronte a questa esigenza richiede tuttavia denaro dato dalla collettività attraverso la
tassazione o dei produttori che usano le materie prime. Nella misura in cui sono i produttori a dover pagare i costi di
produzione, risulteranno in crescita. Vi è infine la questione delle infrastrutture, il termine che si riferisce a tutte
quelle istituzioni materiale esterno all'unità di produzione e che rappresentano una componente indispensabile del
processo di produzione distribuzione.
La pressione a internalizzare i costi rappresenta per le imprese un aumento significativo dei costi di produzione non
considera il problema crescente che queste imprese stanno affrontando come conseguenza delle sanzioni imposte
dei tribunali e degli organi legislativi per i danni causati dalle negligenze passate.
Il terzo costo che conosciuto nel tempo è quello della tassazione le tasse sono un elemento fondamentale
nell’organizzazione sociale, ma che lei debba pagare e in che misura è oggetto di un’incessante lotta politica: nel
sistema mondo moderno le regioni fondamentali per imporre tasse sono state due la prima è quella di fornire alle
strutture statali mezzi propri servizi di sicurezza, la seconda è la conseguenza della democratizzazione politica: tale
democratizzazione ha spinto l'insieme dei cittadini a esigere che gli Stati fornissero loro tre importanti servizi ormai
considerati diritti acquisiti, ovvero: istruzione, sanità e garanzia di un reddito. I tre costi di produzione sono tutti
cresciuti costantemente nel corso degli ultimi 5 secoli e soprattutto negli ultimi 50 anni, dal canto loro, i pezzi di
vendita non sono stati in grado di tenere il passo a dispetto della crescita della domanda effettiva per via della
costante espansione del numero di produttori e dunque delle loro periodiche incapacità di conservare condizioni
oligopolistiche. Questo è distinto per compressione dei profitti.
Negli anni successivi al 1945, l'economia mondo conobbe la più grande espansione delle strutture produttive nella
storia del sistema mondo moderno, tutte le tendenze strutturali di conseguenza subito una brusca impennata ed allo
stesso tempo, i movimenti antisistemici realizzarono passi straordinari verso il conseguimento dell'obiettivo di breve
termine, conquistando il potere delle strutture statali.
Sembravano sul punto di realizzare la prima parte del loro programma in due tempi, questi anni quindi furono anni
di grande ottimismo ed il futuro economico appariva luminoso. I movimenti popolari di tutti i tipi sembravano
raggiungere i loro obiettivi. Tuttavia, la realizzazione della seconda fase della loro formula in due tempi (cambiare il
mondo) appariva di fatto ben lontana dal realizzarsi, molto più di quanto la maggior parte delle persone avesse
previsto e malgrado i movimenti antisistemici fossero ormai al potere, il grande slancio partecipativo del periodo
della mobilità mobilitazione sembra esaurirsi.
Quando il futuro diventa il presente, molti di quelli che erano stati in precedenza aderenti militanti dei movimenti
antisistemici iniziano ad avere dei ripensamenti e infine a dissentire. La delusione nei confronti della capacità dei
movimenti, condusse alla rivoluzione mondiale del 1968, che presentava due temi principali : il rifiuto del potere
egemonico degli Stati Uniti e il malcontento verso i movimenti antisistematici tradizionali, che una volta al potere
avevano disatteso le promesse fatte.
Questo motore della sensibilità a livello mondiale fece venir meno il sostegno politico e culturale dell’economia
mondo capitalistica, i popoli oppressi non potevano più accontentarsi di intravedere lenti miglioramenti, fiduciosi nel
fatto che i loro figli e nipoti avrebbero poi goduto appieno, non potevano più essere convinti a mettere da parte il
nome di un futuro benefico.
Lo shock culturale del 1968 scardinò anche la consolida supremazia del centro liberale, destra e sinistra furono
affrancate dal loro ruolo di incarnazioni del liberismo centrista e potranno fermare o piuttosto di affermare i loro
valori più radicali. Il sistema mondo è entrato in un periodo di transizione e sia la destra che la sinistra erano
determinate ad approfittare del caos crescente per assicurarsi che i loro rispettivi valori prevalessero nel nuovo
sistema costerebbe merce alla fine della crisi. L'effetto immediato di questa rivoluzione sembra essere una
legittimazione dei valori della sinistra, soprattutto a proposito di razze e sesso, venne fatta un'ampia campagna
contro il razzismo condotta dagli stessi gruppi off e oppressi che a differenza di quelle precedenti divenne un
fenomeno centrale nello scenario politico mondiale manifestandosi sia come attiva militanza in ogni luogo dei
movimenti di identità minoritarie oddio come sforzo di ricostruzione del mondo del sapere ponendo al centro del
discorso intellettuale le questioni riconducibili al razzismo cronico.
Sarebbe stato difficile non cogliere assieme ai dibattiti sul razzismo la centralità della sessualità nella rivoluzione del
1968 che ebbe l’effetto di portare alla ribalta la lenta trasformazione dei consumi sessuale, avvenuta nel corso degli
anni passati, permettendole di esplodere nella scena sociale mondiale con enormi conseguenze per il diritto, la prassi
, le consuetudini religiose ed il discorso intellettuale. Questo pose un vero problema alla destra mondiale, che
trovava più facile affrontare questioni di natura geopolitica ed economica piuttosto di socioculturale. Come
conseguenza si concretizza in un'effettiva spaccatura tra lo sforzo del dell’establishment, teso a restaurare l'ordine.
Con l'ingresso dell'economia mondo in una lunga fase B del ciclo di Kondratieff, la religione delle forze di centro e di
destra tentò di ridimensionare i crescenti costi di produzione intervenendo su ciascuno dei tre elementi di costo
riducendo i livelli di retribuzione di esternalizzazione dei costi dell’input riduciamo le tasse. Il centro abbandonato il
sistema dello sviluppismo con quello che la globalizzazione esigeva e senza neanche lettura di tutte le frontiere al
libro dei beni e capitali (Regno Unito Stati Uniti assunse il comando nel promuovere queste politiche che furono
definite neoliberismo).
Dagli anni 70 in avanti più le difficoltà economiche a fronte dei governi ovunque nel mondo hanno reso
estremamente difficile per questi stati governati dei vecchi movimenti anti sistemici resistere alle pressioni a favore
degli aggiustamenti strutturali all'apertura delle frontiere punto il risultato è stato un certo margine di successo nel
contenimento dei costi di produzione su scala mondiale. Tali manovre finanziarie possono assicurare un profitto ad
alcuni speculatori, ma rendono l'economia mondo sia instabile e soggetto a fluttuazioni delle valute e
dell'occupazione. E’ questo infatti uno degli indizi del caos crescente.
Nell'arena politica mondiale, la sinistra avrebbe progressivamente accordato agli obiettivi elettorali un' importanza
secondaria iniziando piuttosto organizzarsi in un movimento dei movimenti il World social forum, non era
un’organizzazione, ma uno spazio di incontro tra militanti di vari schieramenti e convinzioni impegnati in una
molteplicità di attività delle manifestazioni collettive di portata mondiale regionale organizzate in tutto il pianeta
punto il motto di questi militanti e un altro mondo è possibile espressione del loro sentire che il sistema mondo
attraverso una crisi strutturale.
il drammatico attacco di Osama Bin Laden alle torri gemelle 11 settembre 2001 ha rappresentato un’ulteriore
sintomo del caos politico mondiale e un punto di svolta degli schieramenti politici; ha infatti consentito a quella
destra desiderosa di troncare i suoi legami col centro per seguire un programma incentrato sulle affermazioni
unilaterali di forza militare da parte degli Stati Uniti, unite al tentativo di cancellare l'evoluzione culturale che ha
interessato il sistema mondo dopo la prima rivoluzione mondiale del 1968. Così facendo la terza destra cercato di
liquidare molte delle strutture geopolitiche creata dopo il 1945 considerandole d’intralcio alle sue politiche.
In una situazione del genere, la prima cosa da sottolineare è che.se ci può attendere e stiamo già osservando
fluttuazioni disordinata in tutti gli ambiti istituzionali del sistema mondo l'economia mondo è soggetta a pesanti
questioni speculative esplosioni di violenza. Nessuno è più effettivamente in grado di porre fine a queste esplosioni
l'efficacia dei vincoli morali la cui osservanza era tradizionalmente affidata sia gli Stati che le istituzioni religiose
risulta considerevolmente diminuita. D'altro canto, il fatto che un sistema sia in crisi non implica che questo smetta
di provare a funzionare secondo le sue dinamiche consuete o familiari, tuttavia questo insistere nel riproporle non fa
che aggravare la crisi. Altri cercheranno di seguire percorsi di maggiore trasformazione e di funzionamento, che
spingeranno il processo verso una delle due direzioni della biforcazione. E quest’ultima forma di comportamento che
avrà le conseguenze più rilevanti.
Ci sarebbe moltissimo da dire su una battaglia che ha appena iniziato ad essere combattuta, di cui una delle
caratteristiche centrali è l'assoluta imprevedibilità degli esiti, è un'altra è l’opacità della lotta. Potrebbe essere
pensato come uno scontro di valori fondamentali perfino di civiltà ma solo finché noi non identifichiamo i due
schieramenti con popoli, razze, gruppi religiosi o altri raggruppamenti storici esistenti. L'elemento cruciale della
disputa e stabilire la misura in cui ogni sistema sociale, ma in questo caso quello futuro che stiamo costruendo,
propenderà in una direzione o nell'altra, rispetto a due questioni di organizzazione sociale da lungo tempo centrali:
la libertà e l'uguaglianza. Questioni che sono tra di loro più strettamente connessi di quando di quanto il pensiero
sociale nel sistema mondo moderno si è disposti a fermare
 La questione della libertà o della democrazia è a tal punto ammantata di retorica nel mondo moderno che
talvolta e difficile apprendere quali siano le questioni sottostanti punto potrebbe rivelarsi utile operare una
distinzione tra libertà della maggioranza e quella della minoranza la libertà della maggioranza rappresenta il
grado in cui le decisioni politiche collettive riflettono di fatto gli orientamenti della maggioranza rispetto a
quelli dei gruppi più piccoli che possono di fatto controllare i processi decisionali appunto la libertà della
maggioranza e esige l'attività partecipazione della maggioranza esige accesso all’informazione da parte della
maggioranza. La libertà della minoranza è una questione del tutto diversa, rappresenta i diritti di ogni gruppo
di un individuo a perseguire le rispettive priorità in tutte le sfere in cui la maggioranza non ha giustificazioni
per imporre i propri orientamenti su quelli degli altri. In linea di principio la gran parte degli stati del sistema
mondo moderno ha dato un'adesione meramente formale a questi diritti di essere svincolati dalle priorità
della maggioranza.
 Il concetto di uguaglianza è spesso contrapposto a quello di libertà, di fatto, si tratta dell'altra faccia della
stessa moneta. Nella misura in cui esistono disuguaglianze significative, è impensabile che tutti individui
esercitano lo stesso peso nel determinare le priorità della maggioranza ed è impensabile che la libertà delle
minoranze si è pienamente rispettata finché tutti non riconosceranno l'uguaglianza di tali minoranze:
uguaglianza sociale ed economica, al fine di conseguire poi l'uguaglianza politica punto nel costruire il
sistema o sistemi che sostituiranno quello esistente dovremmo scegliere tra un sistema gerarchico e
conferisce permette privilegi in base alla posizione sociale occupato nel sistema oppure questa posizione si è
determinata e un sistema relativamente democratico e relativamente egualitario. Uno dei grandi meriti del
sistema-mondo esistente è che pur non avendo risolto nessuna di queste dispute, ha dato sempre più
visibilità alla discussione.

E’ fuor di dubbio che nel mondo le persone siano oggi sei più pienamente consapevoli di queste questioni di quanto
non lo fossero un secolo fa sono più consapevoli più disposti a combattere per i propri diritti. Il periodo di transizione
da un sistema all'altro è un periodo di grandi lotte incertezza interrogativi ciò che dobbiamo fare è innanzitutto
cercare di comprendere lucidamente cosa sta accadendo, compiere le nostre scelte sulle direzioni che vogliamo il
mondo prenda, a capire come agire nel presente affinché le cose prendano visibilmente il corso che preferiamo.
possiamo pensare a questi tre compiti rispettivamente come un compito intellettuale morale e politico sono
differenti ma strettamente intrecciati. Nessuno di noi può sottrarsi anche a solo uno di questidoveri.se pretendiamo
di farlo stiamo solo parlando scelto senza spiegarla punto i compiti sono difficili ma ci offrono la possibilità di creare
almeno di contribuire a creare qualcosa che possa meglio soddisfare le nostre possibilità collettive.

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