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Jedlowski - Il Mondo In
Questione (schemi riassuntivi)
Sociologia
Università degli Studi di Napoli L'Orientale
40 pag.
Jedlowski definisce la sociologia come l’insieme di discorsi e di pratiche di ricerca che hanno per
oggetto le relazioni e le istituzioni umane. Tuttavia, i diversi sociologi hanno inteso la
sociologia in modi molto diversi tra loro, quindi non le si può dare una definizione univoca.
Tali differenze non possono essere eliminate, ma si può dire che tutte le definizioni di sociologia
hanno in comune il fine di promuovere costantemente l’auto-comprensione della
società.
La concomitanza di questi due eventi e di quelli che successivamente sono stati ispirati da essi,
rappresentò un’accelerazione della storia. Essendo la storia in continuo mutamento, lo è anche
la società, che non può più essere data per scontata e ne va studiato il cambiamento.
È in questo periodo inoltre che si sviluppa il concetto di scienza come insieme di strategie
conoscitive in cui l’osservazione metodica, unita all’applicazione di procedimenti logici di
tipo razionale, mira alla scoperta di regolarità universali che riguardano i fenomeni studiati.
Prima della modernità, la verità era riservata al sapere assoluto ed eterno di Dio, e dunque poteva
derivare solo dalla religione e dalla riflessione filosofica.
Secondo il pensiero illuminista → società = mondo dotato di proprie leggi che possono essere
conosciute e ritrasformate secondo ragione.
Dunque, per Jedlowski, se la sociologia va intesa come un’insieme di discorsi “scientifici” sulla
società, le sue origini vanno rintracciate nell’Illuminismo.
August Comte fu il primo a usare il termine “sociologia”, ma ciò non fa di lui il primo
sociologo.
Su questa questione, il dibattito è aperto. Jedlowski, sulla scia di Durkheim, ritiene che sia stato
Montesquieu, poiché nelle “Lettere persiane” e ne “Lo spirito delle leggi”, osserva la verità delle
istituzioni umane provando a spiegarle e manifesta quell’atteggiamento di curiosità
sociologica che lo porta a constatare la differenza e la relatività dei mondi sociali, desiderando di
conoscerne le cause.
Un altro movimento decisivo in questi termini è l’Empirismo, anch’esso sviluppatosi nel 1700,
ma soprattutto in Inghilterra e in Scozia, in parallelo all’Illuminismo.
Esso condivide con l’Illuminismo lo stesso atteggiamento critico nei confronti dei dogmi,
ma si mostra estremamente scettico nel constatare che la ragione possa venire a capo di tutta la
realtà. Tra gli empiristi che manifestano tale atteggiamento ricordiamo:
◦ Adam Ferguson, secondo il quale il mondo sociale è il risultato
dell’interazione di tutti gli uomini e non di un disegno individuale prestabilito.
◦ Adam Smith, che ritiene che la società appaia come un insieme regolato, mentre non
lo è, grazie al mercato. Smith è famoso per il contributo che ha dato all’economia
politica, verso la quale spesso la sociologia si è dimostrata critica, ma i temi della
divisione armonica del lavoro e dall’autoregolazione della società da lui
elaborati sono alcuni dei temi fondamentali della riflessione sociologica.
Smith infatti sostiene che la ricchezza di una nazione dipenda dalla sua capacità di
produrre e che la sua capacità di produrre dipenda dal grado raggiunto di divisione del
lavoro, ossia quel processo che comporta la specializzazione di ciascuno in una
determinata attività e che quindi accresce la capacità produttive della collettività. Più
aumenta la divisone del lavoro, più i membri della società sono dipendenti gli uni dagli
altri, e quindi si scambiano i prodotti tra loro. Questo sistema di scambi viene regolato
dal mercato, un’istituzione sociale che regola il tutto attraverso la definizione dei prezzi.
[Il mercato, tuttavia, non è l’unica forma di regolazione degli scambi sociali ed economici e
la sua costruzione, essendo un’istituzione sociale, non può essere presupposta come
“naturale”.]
Il nome di Karl Marx è spesso associato all’idea di comunismo. Tuttavia, Marx non ha inventato il
comunismo ma, se per società comunista s’intende una futura società senza classi, il suo
pensiero è stato decisivo in questo senso.
Anche se non si sarebbe mai e poi mai definito un sociologo, la sua opera è stata molto importante
per il pensiero sociologico, in quanto il suo principale oggetto di riflessione è il movimento
generale della società sorta con la Rivoluzione Industriale; riflessione compiuta
attraverso la critica dell’economia politica.
Cenni biografici:
◦ Nasce a Treviri nel 1818, in Germania;
◦ Studia filosofia a Berlino e lavora come giornalista per la “Gazzetta Renana”,
scrivendo una serie di articoli sulla condizione dei lavoratori nella regione;
◦ La rivista viene soppressa per il suo atteggiamento radicale e così si trasferisce a Parigi,
dove conosce Friedrich Engels, che sarà suo amico per tutta la vita;
◦ Viene espulso da Parigi per la sua attività intellettuale e politica, stabilendosi a
Bruxelles, dove entra in contatto con diverse associazioni operaie e scrive il
“Manifesto del Partito comunista”;
◦ Fine dei moti rivoluzionari del 1848 → Trasferimento a Londra con la famiglia, dove
visse in estrema miseria e morì nel 1883.
Opere principali:
◦ Il Capitale;
◦ Manifesto del Partito comunista (1848), scritto con Engels;
◦ Per la critica dell’economia politica;
◦ L’ideologia tedesca, scritto con Engels e pubblicato postumo.
All’inizio della sua vita intellettuale, Marx è un filosofo hegeliano, in particolare appartenente
alla corrente della cosiddetta “sinistra hegeliana”. L’influenza di Hegel si sente particolarmente per
quanto riguarda i seguenti concetti:
◦ Dialettica (“dialogo”, “discorso fra diversi soggetti”)
= termine hegeliano che indica il movimento del pensiero e della realtà.
La dialettica di cui parla Hegel è triadica, in quanto basato su tre momenti:
1- affermazione (tesi);
2- negazione dell’affermazione (antitesi);
3- superamento di entrambe (sintesi).
Sia Marx che Hegel convergono sull’idea che la storia sia dialettica.
◦ Superamento
= terzo momento della dialettica, che comporta a sua volta l’insieme di altri tre
momenti:
1- conservare;
2- far scomparire;
3- portare a un livello superiore.
Quando Marx parla di un superamento della società capitalistica, intende dire
che essa produce delle contraddizioni al suo interno che conducono necessariamente a
qualcosa che conserva gli sviluppi della società capitalistica, per poi farli scomparire
sintetizzandoli in una nuova formazione “di livello superiore”, ossia il comunismo.
Marx, così, finisce per opporsi alla visione idealista della storia, a favore del
materialismo storico (o dialettico) = modo di pensare che parte dall’analisi delle condizioni
materiali degli uomini.
“Non è la coscienza degli uomini che
determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere
sociale che determina la loro coscienza.”
[da “Critica all’economia politica”]
* Nel modo capitalistico di produzione, l’industria è essenziale, ma i due elementi non hanno lo
stesso significato, in quanto nel modo capitalistico di produzione sono contenuti i caratteri specifici
dei rapporti sociali*
Per comprendere bene il funzionamento di questo modo di produzione, bisogna capire il concetto
marxiano di merce. Infatti, tutti i beni economici che partecipano a questo sistema sono merci,
perché finalizzati alla vendita sul mercato.
L’economia politica tende a dividere il capitale in fisso e variabile, in base alla sua resistenza.
Marx invece lo divide tra costante e variabile, secondo il fatto che abbia o meno la capacità di
alterare la produzione di valore.
capitale costante = materie prime, macchinari ecc.
capitale variabile = forza-lavoro
//
Ogni società della storia è sempre stata caratterizzata dalla presenza di classi.
Classe = insieme di individui che si trovano nella stessa posizione all’interno dei rapporti di
produzione tipici di un dato modo di produzione. (classe in sé)
Le classi, collocate quindi in posizioni diverse, hanno anche interessi diversi ed entrano in
conflitto per la definizione del potere all’interno della società (lotta di classe).
Borghesia → capitalisti
Modo di produzione capitalistico → 2 classi principali:
Proletariato → lavoratori salariati
Alla definizione di classe in sé, Marx affianca la definizione di classe per sé, ossia la classe in
senso pieno → classe = soggetto collettivo capace di intraprendere azioni congruenti ai propri
interessi, elaborando dunque strategie politiche.
//
Prima è stato sottolineato come la visione di Marx si opponga a quella idealista. Ma cosa si intende,
esattamente, per idealista?
Il modo più tipico in cui si manifesta, è quello in cui le condizioni sociali contemporanee
vengono viste come condizioni eterne, e quindi vengono giustificate. L’ideologia, dunque,
immobilizza la storia. Essa è infatti la forma di pensiero tipica delle classi dominanti di una
società, il cui scopo è appunto quello di occultare le contraddizioni che costituiscono il
momento negativo della dialettica storica e che conducono al superamento della forma sociale
corrente.
I dominati, a loro volta, spesso tendono a condividere l’ideologia dei dominatori, o per paura o
per incomprensione dei propri interessi. Marx chiama questo atteggiamento “falsa coscienza”.
Dunque, la critica all’economia politica consiste in gran parte nello svelare i presupposti
ideologici su cui si fonda.
“A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in
contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà
(che ne sono l’espressione giuridica). […] Allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con
il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca
sovrastruttura […]
Una formazione sociale non perisce mai finché non si siano sviluppate tutte le forze
produttive a cui può dar corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non
subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni
materiali della loro esistenza.”
[Per la critica all’economia politica – Prefazione]
Modo di produzione capitalistico → più potente generatore di mutamento sociale e materiale mai
apparso nella storia.
L’elemento motore di questo processo, sta nell’interesse del capitalista di avere il massimo
profitto possibile, che è generato dal pluslavoro dagli operai. Quindi, egli deve cercare il modo
per aumentare il più possibile la quota di pluslavoro. Esistono 2 modi:
Allungare la giornata lavorativa dei Rendere più produttivo il lavoro degli operai
lavoratori salariati attraverso la crescente introduzione di
macchine
[Questo metodo è stato seguito nelle
prime fasi della rivoluzione industriale [L’introduzione di macchine permette al
finché non è stato fortemente contrastato capitalista di battere la concorrenza
dai limiti fisiologici della resistenza producendo un numero maggiore di merci o
umana e dagli operai stessi, che hanno merci di nuovo tipo o di migliore qualità. Egli
lottato per la riduzione delle ore potrà abbassare il prezzo e invadere nuovi
lavorative.] mercati. I concorrenti allora introdurranno a
loro volta nuove macchine, avviando un processo
infinito.]
Dunque, per raggiungere il massimo profitto, il capitalista è sempre alla ricerca di innovazioni
tecnologiche, il cui sviluppo è favorito dallo sviluppo delle scienze. A questo sviluppo è
collegato un cambiamento nelle condizioni di vita delle persone e un ampliamento del raggio di
azione del capitalista, che invade sempre più mercati.
L’arricchimento del capitalista, però, provoca una crescita parallela della classe operaia, che
diviene più povera ma più numerosa e consapevole della propria forza. Essa, rendendosi
conto che la ricchezza è prodotta collettivamente ma diviene proprietà privata del padrone, può
diventare classe per sé, organizzandosi per attuare una rivoluzione sociale, il cui obiettivo è
quello di fondare una società senza classi e senza proprietà privata, ossia una
società comunista.
//
Le relazioni tra gli uomini, che costituiscono la società, variano nel tempo con lo sviluppo
della loro capacità di produrre, dal quale nascono nuovi bisogni, nuove forme di convivenza e per il
quale cambiano il mondo e la propria coscienza di sé.
“Solo nel XVIII secolo, nella società borghese, le premesse sociali si presentano al singolo
come un puro strumento per i suoi fini privati […]. Ma l’epoca che genera questo modo di
vedere dell’individuo isolato è proprio l’epoca dei rapporti sociali più sviluppati.”
[paradosso]-→ com’è possibile?
In un sistema dotato di una divisione del lavoro molto sviluppata, i cui prodotti si
ricongiungono nel mercato, quale sistema di rapporti astratti di fronte al quale
ognuno è isolato, gli uomini riescono a immaginarsi come esseri isolati. Questa
immaginazione non è altro che l’ideologia che fonda l’economia politica.
Marx parla raramente della società che spera di veder sorgere dopo il crollo della società
capitalistica, ma dai pochi passi dedicati ad essa si evince che debba essere una società in cui gli
uomini sono liberi di avere relazioni con i propri simili, di avere un rapporto di armonia con la
natura e di appropriarsi di se stessi. → Questa società avrà una storia. Prima di essa, vi è stata solo
preistoria.
//
***** Punti critici del pensiero di Marx *****
Per Marx, prima o poi le classi avrebbero dovuto prendere consapevolezza dei propri
interessi e diventare classi per sé. Tuttavia, nel 1900, abbiamo assistito a una
progressiva sparizione della volontà rivoluzionaria fra i membri della
classe operaia. L’adesione al sistema da parte di questi ultimi è infatti, dice
Jedlowski, stata “comprata” attraverso la concessione di una sede di privilegi. Oggi,
le masse sfruttate sono quelle costituite dai lavoratori del Terzo Mondo,
e non dalle classi operaie residenti nei paesi ricchi.
Marx definisce i proletari come coloro che possiedono solo la propria forza-lavoro.
Questa immagine, nella realtà, non esiste.
Marx definisce i borghesi come coloro che possiedono i mezzi di produzione, eppure
ci sono categorie di lavoratori salariati (manager, amministratori di
multinazionali…) che, per la loro ricchezza, non potremmo mai definire proletari.
Inoltre, non esistono gruppi coesi di borghesia e proletariato. La lotta di classe è
essenzialmente una lotta che sta all’interno delle classi stesse.
//
***Cenni sul marxismo dopo Marx***
• 1864, Londra: Prima Internazionale dei lavoratori (Marx e Engels furono tra i
fondatori) → il marxismo diventa una dottrina ed egemonizza la maggior parte dei
gruppi, dei partiti e dei movimenti operai in Europa.
• Russia (il capitalismo aveva appena iniziato a svilupparsi e non c’era un movimento
operaio di massa) → Lenin: marxismo come teoria volontaristica, la classe operaia
doveva assumersi il compito di sviluppare la propria coscienza di classe.
• 1945, la Cina diventa Repubblica popolare → La visione che Mao Zedong aveva del
marxismo si allontanava sensibilmente da quella sovietica, sia per il ruolo attribuito ai
contadini e sia per sostanziali differenze di tradizione.
• Europa, anni ‘20 e ‘30 → “marxismo occidentale”: critica radicale degli sviluppi
totalitari del regime comunista in URSS e attenzione agli sviluppi delle scienze sociali.
Molto diversificato al suo interno, in generale punta a una rilettura più hegeliana del
marxismo. Si ricordano Gyorgy Lukàcs, Antonio Gramsci, la scuola di Francoforte
e Louis Althusser.
Tra questi, sono da ricordare Durkheim e Weber, il cui programma, differentemente da Marx
che non si definiva un sociologo, era quello di fondare la sociologia.
Cenni biografici:
//
Per Durkheim, la società non si può dunque comprendere analizzando i comportamenti dei singoli,
ma analizzando gli stessi come collettività, che è maggiore della somma dei singoli individui che
la compongono.
Dunque, i fatti sociali sono fenomeni che esistono nella misura in cui esistono gli uomini, ma
contemporaneamente hanno un’esistenza indipendente che sovrasta la volontà di ciascuno.
Essi sono “come cose”, nel senso che hanno un’esistenza che non si spiega a partire dalle
coscienze e dalle azioni dei singoli individui.
(Un esempio di fatto sociale è il linguaggio, nato dall’interazione di moltissimi uomini in
moltissimo tempo, sull’impulso della loro volontà di comunicare tra loro stessi. Oggi, se lo si usa in
modo scorretto, si viene “corretti” oppure non si viene capiti.)
Metafora organicista → la società è come un organismo, i cui organi sono integrati e cooperano
tra loro. Ogni organo può essere spiegato solo attraverso la funzione
che svolge.
//
- Storicamente, corrisponde alla forma delle tribù - Storicamente, corrisponde alle nazioni
primitive; moderne;
- basata su una bassa divisione del lavoro, in - basata su un’ampia divisione del lavoro, in
cui gli individui svolgono attività poco differenziate cui gli individui svolgono attività molto differenziate
tra loro; tra loro ed esistono molte istituzioni intermedie
che mediano l’appartenenza del singolo all’insieme.
- morale = solidarietà meccanica:
essa si presenta tra individui strettamente uniti gli - morale = solidarietà organica:
uni agli altri da vincoli quotidiani; essa si presenta tra individui o gruppi di individui
molto diversi tra loro ma che devono cooperare per
- coscienza collettiva > coscienza individuale:
la vita dell’insieme sociale da cui tutti dipendono.
le persone pensano in modi molto simili ed c’è
scarsa tolleranza per comportamenti diversi da - individualizzazione delle coscienze:
quelli comunemente condivisi. le persone, svolgendo mansioni differenziate,
sviluppano modi di pensare differenti.
- diritto = leggi punitive
(ogni infrazione è un attentato alla coesione del - diritto = leggi restitutive
gruppo) (l’infrazione del singolo è più spesso considerata
come danno arrecato ad altri in un singolo ambito.
Un attentato alla società nel suo insieme è molto
raro.)
Nelle società complesse, la tenuta di norme condivise da tutti è più debole ma al contempo più
necessaria, poiché deve vincolare tutti, nonostante le grandi differenze, alla cooperazione. È
infatti nelle società complesse che si presenta il più alto rischio di anomia.
“Il suicidio”
(Studio in cui Durkheim tenta di dimostrare come anche un atto estremamente individuale come il
suicidio sia un fatto sociale)
Egli adempie a questa sfida ponendo come oggetto della sua ricerca non il suicidio dei singoli
individui, ma il tasso di suicidi che si incontra in una data società.
I tassi di suicidi dei vari Paesi hanno una tendenza a restare costanti nel tempo; ciò significa che il
numero di suicidi complessivamente presente in una società (“tendenza suicidogena”) dipende
da fenomeni extrasoggettivi, da fatti sociali. Secondo Durkheim, esso è sempre connesso al grado
di integrazione sociale che la stessa società consente all’individuo.
Lo stesso accade con le persone sposate e non sposate. Il fatto che le persone non
sposate si suicidino in maggior numero, fa pensare che la tendenza al suicidio sia legata
a situazioni in cui le relazioni si indeboliscono.
2. Suicidio anomico = suicidio causato da una diffusa incertezza nei singoli rispetto ai
propri destini e alle norme a cui conformarsi (anomia).
Durkheim ha osservato che il numero dei suicidi, ad esempio, cresce sia quando una
crisi economica è di tipo negativo (cioè comporta miseria) che quando è di tipo positivo
(cioè comporta rapide variazioni di status, che alterano periodi di difficoltà a periodi di
benessere). I periodi di crisi economica sono un esempio di periodi incerti, anemici.
Un esempio può essere la morte di un milite in battaglia, che ricollega il suo gesto
all’amore per la patria. Ancora, un martirio religioso.
Inoltre, l’analisi del suicidio rappresenta uno dei primi esempi di ricerca sociologica in cui si
verificano ipotesi teoriche sulla base di un esame di dati empirici.
//
▪ Ciò che gli uomini adorano nei loro culti è in realtà espressione di attributi che
sono propri della società ma che appaiono a ciascuno come trascendenti.
Dunque religione = “sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre le quali
uniscono in un’unica comunità morale tutti coloro che vi aderiscono.”
oppure
“sistema di simboli mediante i quali la società prende consapevolezza di sé.”
//
Riguardo a questo argomento, Durkheim divide le teorie della conoscenza dei filosofi in 2
posizioni:
- quella degli empiristi, che credono che la conoscenza si sviluppi a partire da sensazioni che
vengono poi coordinate nel corso dell’esperienza;
- quella di chi, come Kant, crede che la conoscenza nasca dall’incontro dei dati sensoriali con
l’intelletto umano, che è dotato di categorie che esistono a priori.
//
Jedlowski conclude il capitolo su Durkheim affermando che, nella cultura francese del XIX secolo,
altri autori avevano elaborato una scienza sociale che aveva oggetto temi molto vicini a quelli
durkheimiani, anche negli stessi anni in cui egli sviluppava i primi studi.
Tuttavia, però, nessuno di loro ha esercitato un’influenza paragonabile a quella esercitata da
Durkheim, sia per la sua posizione nel sistema universitario e sia per l’importanza assunta anche
dai suoi collaboratori intorno a “L’Année sociologique”.
Questo però non significa che il suo sistema sia privo di lacune e coerente in tutte le sue
formulazioni. Anzi, molti concetti come quello di società e di fatto sociale, sono spesso indefiniti e
vaghi. In ogni caso, l’importanza di Durkheim sta nella sua capacità di individuare il sociale come
un oggetto irriducibile all’analisi del comportamento e delle intenzioni dei singoli.
La sociologia intesa come insieme di teoria e indagine empirica, dice Jedlowski, nasce con lui.
Durkheim Weber
(posizione intermedia)
Ricerca di una “nomoteticità sostenibile”,
secondo cui è possibile che il sociologo faccia
generalizzazioni, ma comunque entro un certo limite.
Cenni biografici:
• Nasce a Erfurt nel 1864;
• famiglia → alta borghesia tedesca;
• carriera accademica → docente di economia politica;
• partecipa alla fondazione della rivista “Archivio per le scienze sociali e la politica sociale” e
dell’Associazione tedesca di sociologia;
• verso la fine del secolo, ha un esaurimento nervoso che lo costringe ad abbandonare
ogni attività intellettuale;
• durante la I guerra mondiale, partecipa a delle missioni diplomatiche;
• muore a Monaco nel 1920.
Si può dire che le preoccupazioni teoriche di Weber riguardino essenzialmente 3 campi di indagine:
> campo metodologico → metodo delle scienze sociali / rapporto scienza-giudizi di valore
(“L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale”);
> campo storico-comparativo → genesi, specificità e destino della civiltà moderna
occidentale
( “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” + “Sociologia delle religioni”);
> campo sistematico → definizione sistematica e coerente dei concetti della sociologia
(“Economia e società”).
Tuttavia, tale divisione conviene per comodità di studio, perché in realtà queste questioni sono
tutte interconnesse tra loro.
1) Comprensione:
2) Spiegazione causale:
Questo è ciò che accomuna le scienze sociali con le scienze naturali. Nelle scienze naturali,
infatti, gli scienziati ricercano le cause dei fenomeni.
Tuttavia, nelle scienze sociali è impossibile dare una spiegazione causale perfettamente
esaustiva. Dunque, bisogna ricercare pazientemente le condizioni che sono sempre
presenti quando il fenomeno che s’intende spiegare si manifesta.
//
Lo scienziato sociale si serve di particolari costruzioni di pensiero come strumenti conoscitivi per
comprendere il senso dell’agire. Essi sono detti idealtipi (o tipi ideali o idee-tipo).
//
Uno dei temi fondamentali della riflessione di Weber è quello sulla definizione delle caratteristiche,
delle origini e del destino della civiltà occidentale moderna che, dal punto di vista
dell’organizzazione economica, ha il suo perno nel capitalismo.
Atto economico capitalistico = atto orientato a perseguire, in modo sistematico, continuo nel
tempo e formalmente pacifico, un profitto.
(Dunque, capitalismo = sistema economico in cui i soggetti agiscono al fine di conseguire un
guadagno in modo formalmente pacifico utilizzando le congiunture dello scambio.)
Il tipico soggetto di questo sistema è l’impresa capitalistica.
Questa definizione del capitalismo, però, non corrisponde a quella di capitalismo occidentale
moderno. In quanto, dice Weber, “capitalismo e imprese capitalistiche ci sono stati in tutti i paesi
civili del mondo”.
Ciò che infatti caratterizza il capitalismo occidentale moderno è l’organizzazione
razionale del lavoro formalmente libero (= utilizzo di lavoratori salariati giuridicamente
liberi). Quindi,
capitalismo occidentale moderno = sistema di imprese collegate tra loro attraverso il
mercato in cui ognuna di esse agisce per conseguire il
profitto e organizza le proprie attività conformemente a tale
scopo in modo razionale, utilizzando lavoro
formalmente libero (= lavoratori salariati).
La società è capitalistica se la soddisfazione dei bisogni dei suoi membri ha luogo
prevalentemente con l’attività di tali imprese e il consumo delle merci che producono.
(Weber ≠ Marx → assenza della tematica dello sfruttamento, poiché la denuncia di tale
aspetto è per Weber una critica morale che non ha nulla a che vedere con la definizione
scientifica del capitalismo)
Fattori storici che sono stati necessari allo sviluppo del capitalismo:
• disponibilità di lavoro formalmente libero (-→ fine della schiavitù e del servaggio);
• sviluppo di mercati aperti (-→ apertura progressiva a un sistema di relazioni commerciali
più vaste);
• separazione tra sfera domestica e sfera del lavoro, appurato che avessero due
logiche diverse;
• sviluppo di un diritto formalmente statuito che consenta alle imprese condizioni in cui
le norme dettate dal potere non siano soggette a continui mutamenti.
Questi fattori sono stati presenti in molte epoche e in molte civiltà, ma solo in quella occidentale se
n’è avuta la combinazione.
• Ascesi dal mondo → il volere divino è indipendente dalle azioni degli uomini, che non
possono cambiarlo o influenzarlo. Tuttavia, se il credente pecca non può essere perdonato e
viene destinato alla dannazione. Così, tenta di fuggire da ogni forma di tentazione.
Questo atteggiamento rispecchia lo spirito del capitalismo. Infatti, chiunque voglia sviluppare
un’impresa, all’inizio deve dedicarsi nel modo più razionale possibile alla propria professione, ma
deve al contempo rinunciare al desiderio di spendere i guadagni per goderne, in quanto essi sono
destinati al reinvestimento al fine della crescita della produzione.
Nel suo corso, però, il capitalismo tende a perdere l’etica su cui si fonda, in quanto procede
meccanicamente, quasi per inerzia. Infatti, l’etica puritana favorisce la produzione di
ricchezza, ma la ricchezza, una volta prodotta, favorisce la “tentazione”. (paradosso)
//
Lo scienziato sociale non può non riferirsi ai valori, perché sono il senso che gli attori
attribuiscono al proprio agire e che la sociologia è orientata a comprendere. E poi, essendo
umano, non può farne a meno: egli studia una cosa se la ritiene rilevante.
Se lo scienziato sociale inserisse nella sua ricerca o nel suo insegnamento giudizi di valore, si
collocherebbe nei campi dell’etica o della politica, che non hanno nulla a che vedere con la scienza.
//
[Per questo aspetto, Weber ≠ Durkheim, perché quest’ultimo enfatizzava la coesione del mondo
umano. Questo concetto di “lotta” ricorda un po’ Marx, ma Weber ≠ Marx perché non inserisce
nella sua analisi un tipo particolare di conflitti (come Marx fece con la lotta di classe) e non li
ritiene elementi parte di una dialettica storica.]
potere
potere sociale
potere politico
Nell’ambito del discorso sulla legittimità della violenza, Weber si interessa appunto al
potere politico
Macht Herrschaft
(“potenza”) (“potere”)
Possibilità di far valere entro una relazione Possibilità che un comando trovi
sociale la propria volontà, anche di fronte a obbedienza presso certe persone, che
un’opposizione. obbediscono perché ritengono legittimo il
Chi la subisce è costretto ad obbedire. potere che li impone.
È questo, per Weber, il vero e proprio
potere politico.
Nei raggruppamenti politici in cui il potere è ritenuto legittimo, la forza viene monopolizzata in
virtù di tale legittimazione per reprimere la minoranza che si oppone.
Se la forza o il numero dell’opposizione cresce, può essere creato un nuovo potere che può essere
sia una mera situazione di potenza o ispirato a nuovi criteri di legittimità.
Tuttavia, oggi è molto discusso il problema del controllo delle burocrazie, in quanto i singoli
funzionari potrebbero sviluppare i propri interessi particolaristici.
//
Cenni biografici:
• “La struttura dell’azione sociale” (1937) → in cui formula una teoria dell’azione;
• “Il sistema sociale” (1951) → in cui formula una teoria del sistema.
Infatti, le due opere corrispondono alle 2 fasi fondamentali da attraversare per capire come si
mantiene l’equilibrio in un sistema sociale (= suo obiettivo):
I. definire le istituzioni del sistema;
II. analizzare il cambiamento.
(Lo struttural-funzionalismo si può dunque definire come l’approccio che cerca di cogliere la
struttura di fondo della società in base alla funzione che gli elementi di essa svolgono nell’insieme)
Tuttavia, fase matura del suo pensiero → prevalenza della prospettiva di Durkheim.
Infatti, affascinato dalle scienze naturali e dall’economia neoclassica (che ricercava l’equilibrio
generale del sistema economico), si concentrerà sempre di più sull’idea di sistema.
//
condizioni mezzi
(non modificabili) (modificabili o controllabili)
Nella scelta delle alternative per l’atto si ha un orientamento normativo, in quanto ogni attore
agisce in base a un insieme di norme (= modelli di condotta espliciti o impliciti) di origine sociale
solidali a una certa cultura, cioè a un certo insieme di valori e credenze.
Lo spazio non è rilevante ai fini dell’atto, poiché esso è un processo nel tempo.
La possibilità di errore deriva dall’incapacità di conseguire i fini o di scegliere i mezzi.
Questo schema è soggettivo, perché deve essere letto dal punto di vista dell’attore e può essere
utilizzato:
• a livello concreto → per una funzione descrittiva;
• a livello analitico → per separare gli elementi normativi da quelli non normativi
dell’azione.
//
Sistema = insieme interrelato di parti che interagisce con l’ambiente ed è capace di autoregolarsi.
Ogni parte svolge una funzione necessaria alla riproduzione dell’intero sistema.
Nel caso del sistema sociale, ognuna di queste 4 funzioni è svolta da un sottosistema specifico:
Adattamento → sottosistema economico;
Definizione di obiettivi → sottosistema politico;
Integrazione → sottosistema giuridico;
Conservazione dell’organizzazione → sottosistema educativo.
Il sistema sociale mette dunque in relazione individui che agiscono, ma è bene considerare che
questi individui hanno delle personalità che permettono loro di ricoprire dei ruoli.
Ruoli = insiemi di comportamenti regolati da norme attraverso cui l’individuo interagisce con gli
altri e orientati all’espletamento di una funzione. Spesso sono complementari.
Il sistema sociale è un sistema di ruoli, poiché esercitando il proprio ruolo, l’individuo
contribuisce alla riproduzione del sistema.
In passato questa non era l’unica funzione svolta dalla famiglia. L’istituzione familiare infatti
svolgeva anche funzioni assistenziali, religiose ed economiche.
Ma evoluzione della società = specializzazione e differenziazione delle istituzioni
(moltiplicazione dei ruoli come risposta adattiva all’ambiente).
//
• PARTICOLARISMO / UNIVERSALISMO
(riguardo l’interazione tra soggetti: prevale un atteggiamento imparziale o meno?)
• ASCRIZIONE / ACQUISIZIONE
(riguardo l’attribuzione di ruoli: essi sono definiti dalla nascita o acquisiti nel tempo?)
• DIFFUSIONE / SPECIFICITÀ
(riguardo la minore o maggiore specializzazione dei ruoli)
• AFFETTIVITÀ / NEUTRALITÀ
(riguardo il significato dell’azione: è affettivo o strumentale?)
//
universali evolutivi
(perché si incontrano a tutte le società) (perché promuovono un adattamento migliore)
II dopoguerra:
(anni successivi al 1945)
Teorie della modernizzazione = insieme di studi americani che, negli anni ‘50 e ‘60, si sono
occupate dei processi di mutamento in corso nei Paesi non
occidentali, ispirandosi allo struttural-funzionalismo di Parsons,
soprattutto per quanto riguardava la divisione tra società moderne e
società tradizionali.
Come aiutare i Paesi del Terzo Mondo a svilupparsi come quelli del Primo?
Attraverso uno sviluppo graduale e non rivoluzionario (al contrario di come sosteneva il
comunismo), fondato sull’universalità dei caratteri del progresso occidentale.
Walt W. Rostow, “Gli stadi dello sviluppo” → modernizzazione in 4 stadi validi per ogni
Paese e per ogni contesto.
Tuttavia, queste teorie hanno mostrato presto i loro limiti, che Jedlowski individua:
• attenendosi agli studi di Gino Germani, nel fatto che l’occidente è progredito un passo
dopo l’altro, dunque non può pretendere che i Paesi del Terzo Mondo colmino le loro
“lacune” tutte insieme;
• nella grossolanità della contrapposizione tra società tradizionali e moderne, dal
momento che mette in secondo piano sia la realtà storica che le immense diversità locali,
nonché il fatto che nelle società “moderne” non manchino le tradizioni, così come hanno
affermato anche autori vicini a Parsons stesso;
• nella selettività dello sviluppo della modernità (si sviluppa in ambiti diversi
autonomamente) e nella non esistenza del nesso modernizzazione economica-
democratizzazione della vita politica (spesso regimi autoritari sono stati fautori dello
sviluppo economico di certe aree del mondo). Gli stessi Paesi europei hanno seguito
percorsi diversi.
Inoltre, alle teorie di modernizzazione si contrappongono con forza le teorie della dipendenza,
sviluppatesi soprattutto in America Latina da autori come Gunder Frank, secondo cui
l’integrazione dei Paesi “in via di sviluppo” nel mercato mondiale si configura in uno “sviluppo-
sottosviluppo”, che costituiscono due facce della stessa medaglia. Il modo di produzione
capitalistico produce uno scambio ineguale, poiché ne traggono vantaggio solo i Paesi del centro,
che senza la povertà dei Paesi periferici non potrebbero essere così ricchi.
Merton ≠ Parsons
- Teorie di medio raggio - Grand theory
(posizione intermedia tra universalismo ed (universalismo);
empirismo: teorie parziali che possono essere
collegate tra loro); - Concetto di funzione centrale per costruire un
approccio globale;
- Concetto di funzione utile per un’analisi
funzionale, ossia come strumento utile alla - Unità funzionale della società
ricerca (i singoli sono considerati funzionali al sistema
(e non come concetto centrale per la costruzione di complessivo);
una teoria onnicomprensiva della società:
relativizzazione della funzionalità); - Essendo ogni elemento funzionale, la società è in
uno stato di coesione.
- Rigetto dell’unità funzionale della società
(i singoli soggetti non devono essere considerati
funzionali al sistema complessivo);
Insieme di teorie di medio raggio
- Esistenza nella società del conflitto tra elementi
appartenenti a un determinato campo di
funzionali ed elementi disfunzionali, che
studio = paradigma.
produce cambiamento. Il paradigma liberal-marxista è quello più
vicino alla realtà.
Manifeste Latenti
funzione apparente funzione nascosta
Esempio: compro un automobile non solo per provvedere al mio bisogno di spostarmi più
rapidamente, ma ne compro una costosa per rafforzare il mio status sociale agli occhi
degli altri.
Acquisto dell’automobile = fenomeno;
bisogno di spostarmi = funzione manifesta;
bisogno di mostrare la mia ricchezza ai vicini = funzione latente.
Gli uomini, non essendo sempre coscienti dei loro scopi, non lo sono neanche delle funzioni che
assolvono i loro comportamenti. Questo vale sia per i singoli attori che per le istituzioni. Spesso
funzione latente e manifesta sono in contraddizione, più spesso si affiancano l’una all’altra.
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Merton estrae e amplia concetti anche di altri autori a lui precedenti, come Durkheim.
Per Durkheim, devianza = insieme di comportamenti che si discostano dalla norma sociale.
Ebbene, Merton individua 4 tipi di devianti:
• Innovatori → utilizzano mezzi inconsueti per raggiungere scopi consueti;
• Ritualisti → utilizzano mezzi consueti per raggiungere scopi non consueti;
• Rinunciatari → rifiutano sia i mezzi che gli scopi consueti e si ritirano dalla scena
sociale;
• Ribelli → rifiutano sia i mezzi che gli scopi consueti e lottano per affermarne il
cambiamento.
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Nei suoi studi, Merton si è molto interessato alla relazione tra società e scienza, creando una
vera e propria “sociologia della scienza”.
Infatti, egli osserva che la scelta dei temi di cui gli scienziati occupano dipende in gran parte dagli
interessi del mondo circostante.
Per questo, la comunità scientifica può entrare in contrasto con la società che la circonda,
anche se non tutti suoi membri si conformano a questo ethos.
Negli anni ‘70, in gran parte in Italia e in Germania, minuscole parti del movimento, ispirate al
marxismo-leninismo, tentarono la lotta armata i cui risultati furono disastrosi per l’insieme del
movimento, accelerandone la fine.
I componenti del movimento erano i figli di coloro che avevano gestito la ricostruzione post-bellica.
I genitori dicevano di aver costruito la democrazia, i figli ne criticavano gli esiti.
Il risultato fu, in diversi Paesi, un ampliamento dei diritti civili, un maggiore impegno
democratico delle istituzioni, la promozione di rapporti sessuali liberi, una certa parità
tra uomini e donne e la sperimentazione di nuove forme di convivenza e di lavoro.
Spesso si dice che il Sessantotto non abbia conseguito risultati politici di rilievo. Ma la sua
influenza sull’opinione pubblica contribuì alla caduta delle ultime dittature fasciste in Europa e
contribuì in tutti i paesi occidentali alla crescita dei servizi pubblici e alla realizzazione di migliori
condizioni di lavoro per la classe operaia.
Numerosi sociologi cominciarono a studiare le loro forme organizzative, le loro risorse, i diversi
modi di mobilitare i propri membri, e via dicendo.
In questo quadro, però, un ruolo rilevante fu assunto dai movimenti delle donne.
Così facendo, gli studi delle donne hanno proposto problemi e oggetti che il pensiero sociale prima
tendeva ad ignorare.
//
Per quanto riguarda la sociologia recente, quella che segue gli anni ‘60 fino ad arrivare ai giorni
nostri, Jedlowski individua 2 approcci diversi:
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La maggior parte delle ricerche sociologiche recenti, tuttavia, non si richiamano del tutto a queste
teorie, ma tendono più a prediligere posizioni intermedie tra individualismo metodologico e
approccio sistemico.
Anthony Giddens (sociologo inglese) è l’autore, per Jedlowski, che meglio ha saputo raccogliere
e ricomporre le istanze volte al rinnovamento della sociologia sentite a partire dagli
anni ‘70.
“La costituzione della società” → esposizione della sua proposta teorica complessiva.
Essa non è assolutamente rigida, poiché dipende dalla disponibilità di aderirvi da parte
degli individui.
[Contrariamente alle teorie che spiegano il comportamento collegandolo a spiegazioni di cui gli
uomini non sono al corrente (es. “falsa coscienza” di Marx, “funzione” di Parsons), Giddens ritiene
che gli uomini dispongano di coscienza e capacità riflessiva, anche se spesso implicite.]
I modi in cui i singoli interpretano la propria realtà producono quindi conseguenze concrete.
Tuttavia, queste conseguenze quasi mai corrispondono a quello che gli attori intendevano ottenere.
Questo perché:
• l’uomo può autoingannarsi, non essendo pienamente trasparente a se stesso;
• non conosce quasi mai perfettamente i contesti in cui agisce;
• le conseguenze delle azioni di un individuo si mescolano con quelle causate da altri,
sfuggendo ai singoli attori.
Giddens, tra l’altro, rivendica l’importanza dello studio dello spazio e del tempo per la sociologia.
Infatti, le strutture sociali cambiano nel tempo e configurano incessantemente lo
spazio:
-Società premoderne → interazioni e relazioni in contesti spazio-temporali ristretti.
-Società moderne → mezzi di trasporto e comunicazione → relazioni e interazioni che si pongono al
di là della compresenza dei soggetti
coinvolti nello spazio.
Per Giddens, la fase attuale consiste in una “modernità radicale” (o “seconda modernità”).
Fine del XX secolo → radicalizzazione delle sue premesse, fondate sul dominio razionale
dell’uomo sulla natura e sul progresso. Adesso, la razionalità è messa in discussione in quanto
essa stessa sia credenza extra-razionale e lo stesso vale per il progresso, alla luce di una serie
di rischi artificiali che potrebbero portare all’autodistruzione dell’esistenza umana che esso
stesso ha prodotto. (es. bomba atomica, surriscaldamento globale, incidenti nucleari).
Giddens è però ottimista. Egli ritiene che l’incertezza e il rischio siano conseguenze naturali della
libertà e che la conoscenza prodotta dalle scienze sociali abbia il compito di riprodurre
responsabilità e riflessività.
Per Burdieu, il capitale sociale è quello più rilevante, in quanto è la capacità di aver credito,
di suscitare fiducia e di mobilitare l’aiuto degli altri.
Questi 3 non sono gli unici tipi di capitali esistenti, in quanto ce ne sono di diversi per ogni campo
o sottocampo sociale.
Campo = area della vita sociale caratterizzata dalla condivisione di determinati interessi, dalla
presenza di posizioni reciproche, di certe pratiche, certe regole e certi rapporti di forza.
- Le caratteristiche rilevanti di ogni attore sociale dipendono dal campo in cui si trova la sua azione.
- Il “campo dei campi” è lo Stato, che coordina tutti gli altri definendo le regole universali.
Habitus = modo di porsi nei confronti del mondo che il soggetto apprende nel corso della
permanenza in un certo campo sociale.
Con questo, Burdieu non intende dare a questo concetto una valenza deterministica (come fece
Parsons con l’interiorizzazione delle norme). L’habitus è infatti il versante sociale del “carattere” e
della “personalità” di ognuno. Egli dedica poca attenzione a quello che rende il soggetto libero dai
propri condizionamenti, ma è chiaro che esso può opporsi al corso degli eventi.
Pratiche = modi di fare, condotte che per il soggetto tendono a standardizzarsi e a ripetersi.
Esse non costituiscono una routine, in quanto sono il riflesso di un certo modo di rapportarsi con il
mondo, appunto l’habitus.
//
[In questo caso, parlando ci cultura non si parla solo di religione, di valori,
norme o di filosofia. E neanche di arte canonizzata, bensì anche di ciò che si
esprime nelle abitudini quotidiane.]
Center for Contemporary Cultural Studies (fondato a Birmingham negli anni ‘60)
Gli studiosi di Birmingham intendono la cultura in questo senso e sono particolarmente affascinati
dal lavoro di Gramsci, autore in cui trovare un marxismo capace di tematizzare la cultura come
campo di lotta per l’egemonia delle classi. Infatti, in una stessa società possono esserci
orientamenti culturali differenti e in conflitto tra loro.
Cultura → costante divenire: alla scomparsa di alcune “sottoculture”, segue il fiorire di altre.
Anni ‘80 → particolare attenzione sul tema dell’influenza dei media sulla vita quotidiana e
sui consumi a cui essi sono associati.
Media = strumenti più efficaci utilizzati dalle classi dominanti per imporre la propria egemonia.
Tuttavia, questi studiosi si oppongono all’idea della società “di massa”, poiché esistono e si creano
nuove differenziazioni. Inoltre, il pubblico della pubblicità, dell’informazione e dei media non è
passivo, ma attivo e capace di interpretare in modi diversi i messaggi che ricevono.
Il soggetto non è completamente libero, ma i media non sono onnipotenti.
Alcune ricerche empiriche hanno confermato come variabili come l’istruzione, il genere, l’età,
l’appartenenza etnica, la collocazione professionale determinino in modo sostanziale il modo in cui
i soggetti accolgono questi messaggi.
Anni ‘90:
• Comparsa del World Wide Net (insieme di tecnologie dell’informazione incorporate in
computer collegati tra loro su scala mondiale) → influenza notevole su certi aspetti della
vita economica, politica e sociale → nuove forme di potere, di inclusione/esclusione e
di stratificazione sociale;
• (1991) Scomparsa dell’URSS → fine dell’ordine bipolare;
• (1991) Prima Guerra del Golfo avviata dagli USA dopo l’invasione del Kuwait da parte
dell’Iraq → nuovi conflitti per il controllo delle fonti energetiche.
Già a partire dagli anni ‘60-’70, trasformazione del capitalismo → capitalismo azionario delle
multinazionali e delle corporations → nuovo movimento dei capitali, non più sotto la gestione
diretta delle imprese.
Nuovo assetto del modo di produzione → “post-fordista” (termine coniato negli anni ‘80):
regime di accumulazione di capitale che tende alla “flessibilità” → si sposta rapidamente laddove
è più redditizio.
La produzione viene quindi dapprima decentralizzata e poi spostata sempre più spesso nei Paesi
dove il lavoro è più a buon mercato (vedi Wallerstein: runaways factories).
Si avviano infatti in questi anni molte ricerche sulle trasformazioni del lavoro.
Si è osservato che:
• Sviluppo tecnico → sostituzione sempre più diffusa del lavoro umano con le
macchine (alcuni sono anche arrivati a parlare di “fine del lavoro”, ma Jedlowski
ritiene che questo pensiero sia esagerato, poiché il lavoro di fatto non è scomparso e
continua ad essere la prospettiva di vita per chi si affaccia alla vita adulta);
• Paradossalmente, sono cresciute, nei paesi occidentali, contemporaneamente sia
l’occupazione che la disoccupazione:
- occupazione → comparsa di nuove professioni (anche se in forme precarie);
- disoccupazione → crescente offerta di lavoro da parte delle donne;
• La vendita, almeno in Occidente, è diventata più cruciale della produzione
nell’ambito della creazione di nuove occupazioni: il marketing e la pubblicità
diventano quindi sempre più importante;
• Essendo quindi fondamentale il consumo, il sistema economico promuove
atteggiamenti sociali che permettano l’incessante circolazione di nuove merci;
• La rivoluzione informatica, oltre ad aver fornito nuove tecnologie, ha fornito
nuove opportunità di mercato;
• L’innovazione è diventata l’elemento decisivo per misurare la capacità delle
imprese di competere sul mercato, quindi vengono avviate molte ricerche sulle
condizioni che la favoriscano e su come i consumatori adottino queste innovazioni.
Nel frattempo, soprattutto in Europa, vi sono nuovi flussi migratori provenienti dalle aree del
mondo più povere o politicamente instabili. Ciò alimenta la creazione di una nuova classe
subalterna di persone che offrono lavoro a basso costo ma che restano escluse da gran parte dei
diritti civili. Per questo, alcuni “contromovimenti” di stampo etnico o neonazionalista sviluppano
una forte xenofobia.
Tra questi, vi è un filosofo tedesco emigrato negli USA a fine anni ‘30: Leo Strauss.
Egli difendeva strenuamente i valori della cultura occidentale, opponendosi a tutto ciò
che vi si differenzia o vi si contrappone. La sua opera è però complessa e difficilmente
classificabile, a tratti contraddittoria: infatti, la democrazia è parte della cultura
occidentale che si vuole difendere, ma i neoconservatori propongono ai governanti pratiche
non democratiche, come la disinformazione delle masse, poiché ritenute facilmente
abbindolabili dai demagoghi.
Si può dire però che essi ambiscano quasi tutti al campo di influenza delle relazioni
internazionali, invitando ad innalzare barriere nei confronti del resto del mondo,
considerato minaccioso e pericoloso.
“Globalizzazione” → termine che ha iniziato a diffondersi negli anni ‘80 per indicare le attività
economiche, politiche e culturali che mettono in relazione gli Stati e le società
della “comunità mondiale” in modo da creare un rapporto di forte
interdipendenza.
“società post-industriale” Espressioni utilizzate per indicare che nella società attuale
/ le risorse non sono più materiali, ma immateriali, come
“società dell’informazione” conoscenza e formazione.
Jedlowski ritiene però che queste definizioni siano un po’ ambigue, sia perché l’informazione può
essere gestita in modo industriale e sia perché la produzione materiale non è scomparsa, ma è stata
semplicemente spostata in Paesi diversi da quelli in cui era collocata prima.
Infatti, sia il pensiero sociale che quello scientifico postmoderni riconoscono adesso
che non esiste un linguaggio unificante per definire la realtà. Nessun sapere può
essere universale o assoluto. Il mondo è oggetto di un’infinità di
interpretazioni ugualmente plausibili, così come anche la storia.
Ciò è derivato in parte dalla fine della fiducia per il progresso, che si è rivelato
promotore di una serie di rischi che potrebbero generare catastrofi vere e proprie, e
dall’invasività dei nuovi media elettronici, che hanno messo in dubbio l’idea
stessa di realtà, ormai per alcuni quasi indistinguibile dalla simulazione.
Tuttavia, come ha rimarcato Umberto Eco ne “I limiti dell’interpretazione”, non bisogna dare a
tutte le storie e tutte le interpretazioni lo stesso valore conoscitivo. Posso dare alla favola di
“Cappuccetto Rosso” un’interpretazione psicoanalitica, posso anche interpretarla come storia del
folklore, ma non posso dire che il cappuccio sia verde o che il lupo non ci sia.
Lo stesso vale per il mondo sociale: posso interpretarlo e raccontarlo in vari modi, ma
non posso reinventarlo a mio piacimento.
Data al pensiero postmodernista una definizione, per capire se ci troviamo o meno in una società
postmoderna dobbiamo chiederci cos’era, per noi, la modernità.
Jedlowski nel suo manuale l’ha definita come epoca del mutamento incessante e del sistema
economico capitalistico. Dunque, per lui, non ne siamo ancora usciti e forse il postmoderno è
solo una logica culturale. Allo stesso tempo, però, si percepisce il passaggio verso una nuova epoca,
però ancora molto difficile da interpretare.
* Postmodernismo:
In architettura: anni ‘60; corrente opposta al modernismo razionalista, che, improntato sul
funzionalismo, implicava che gli edifici fossero simili tra loro.
Il postmodernismo invece invitava a stili variegati e ibridi, capaci di rappresentare e di
interagire con le diverse tradizioni locali.
Nelle altre arti: atteggiamento di “democratizzazione” della produzione della cultura, di rifiuto
della cultura d’élite.
//
Oggi, nessuna scienza sociale può limitare la propria attenzione ai soli Paesi occidentali
//
Competenze multidisciplinari
(le barriere che dividono i saperi cominciano a scalfirsi, aprendosi a contaminazioni)
La sociologia, più nello specifico, è sempre più divisa in sottodiscipline, ma ora sguardi e voci
provenienti da tutto il pianeta s’intrecciano tra loro.
Jedlowski termina il suo discorso complessivo dicendo che, essendo il mondo in questione, bisogna
mettere in questione anche la sociologia che, in realtà, è in questione da sempre.
Essa è una scienza capace di rinnovare i propri oggetti di studio e aperta al confronto con le altre
discipline, che si propone di rispondere a bisogni organizzativi.
Ma fondamentalmente sociologia = ciò che i sociologi definiscono sociologia
A cosa serve? Essendo una scienza, esprime un desiderio di conoscenza. La conoscenza può servire
scopi pratici, ma è anche essa stessa un fine, poiché conoscere tutto è impossibile, ma conoscere
qualcosa è meglio che non conoscere niente.
Secondo Jedlowski, la sociologia permette di chiarire almeno in parte i condizionamenti a cui
siamo sottoposti e quindi amplia la nostra libertà, permettendoci di controllare in una certa misura
le conseguenze delle nostre azioni.