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Sociologia Generale -

Unitelma Scams
Sociologia
Università telematica UNITELMA Sapienza
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Sommario

NASCITA E OBIETTIVI DELLA SOCIOLOGIA


Sulla nascita della sociologia vi sono tre tipi di risposta possibili:
1) La sociologia nasce nel 1824 con Auguste Comte che conia il termine sociologia per indicare la
nuova scienza della società.
2) la sociologia nasce nel 1835 con l’opera di Quetelet dal titolo “Essai de statistique sociale”, secondo
cui la nascita della sociologia viene ricondotta all’epoca in cui le affermazioni sulla società e i suoi
fenomeni sono assoggettate per la prima volta alle tecniche di misurazione e di inferenza statistica.
3) c’è chi ritiene invece addirittura che la sociologia esiste sin dall’antichità classica, da quando cioè
esiste una riflessione diretta a cogliere gli aspetti costanti e ricorrenti della vita e del mutamento
delle società umane (secondo alcuni i primi sociologi sono stati Platone,Lucrezio,Aristotele ect.)
In realtà ciascuna delle tre risposte, presa a sé come esaustiva e necessariamente esclusiva delle altre due,
è eccessivamente drastica. Pertanto, è bene parlare di pensiero o riflessione sociologica in riferimento a
tutti quegli autori fino a Saint-Simon (1760- 1825) incluso, nelle cui riflessioni si trovano già i presupposti
della sociologia di Comte, mentre si parla di sociologia vera e propria per tutti quegli autori che da Comte
in poi hanno articolato lo studio della società attraverso una disciplina specifica basata su presupposti più
o meno scientifici. La sociologia, dunque, nasce come disciplina autonoma vera e propria nel momento in
cui essa viene considerata come la “scienza della società”.
La sociologia esiste sin dall'antichità. Tuttavia la sua nascita risale al XVIII secolo (periodo rivoluzione
industriale e quella francese). E’ l'inizio di un'epoca di profonde e rapide trasformazioni a livello economico
politico e culturale.
August Comte è considerato il fondatore di questa dottrina in quanto coniò il termine Sociologia nel
1840. Inizialmente si riferiva ad essa come fisica sociale ma volendo distinguere la propria concezione da
quella dei suoi antagonisti intellettuali ideò la parola sociologia con la quale ambiva a creare una scienza
che spiegasse le leggi del mondo sociale così come facevano le scienze della natura per il mondo fisico.
Si parla quindi di sociologia vera e propria per tutti quegli studiosi che, da Comte in poi in poi hanno
articolato lo studio della società attraverso una disciplina specifica basata su presupposti più o meno
scientifici e quindi sociologia considerata come Scienza della società.

Società è intesa da sociologi come un gruppo di persone che vivono in un determinato territorio con
caratteristiche culturali comuni.

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Tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento con il termine di positivismo sociologico di Saint Simone e
di Comte si definisce il progetto di una vera e propria scienza autonoma della società, che si propone di
dare una risposta alle problematicità del mondo sociale, tenta di descrivere e analizzare la società nonché si
propone di osservare analizzare il nuovo tipo di relazioni sociali.

Comte attraverso la formulazione della “legge del Progresso umano” o “legge dei tre stadi” designa lo
studio scientifico del sapere umano in contrapposizione al teologico e metafisico. Comte vedeva la
sociologia come scienza positiva basata cioè sul positivismo, dottrina secondo cui la scienza si applica solo a
fenomeni osservabili;
Con la legge dei tre stadi, Comte afferma che la comprensione del mondo sociale abbia attraversato tre
fasi:
1. teologico la società espressione della volontà di Dio e quindi riconducibili ad entità sovrannaturali
2. metafisico la società è vista in chiave naturale non più soprannaturale
3. positivo (lo stato della scienza) l'applicazione del metodo scientifico al mondo sociale.
Una delle sue maggiori preoccupazioni erano le disuguaglianze generate dall'industrializzazione.
Era convinto che esistesse un metodo scientifico applicabile a tutte le discipline e voleva usarlo per scoprire
le leggi che governano la società umana perché è ritenuta la realtà come oggettiva e conoscibile solo
applicando il metodo delle Scienze Naturali. Per lui la soluzione consisteva nella produzione di un consenso
morale attraverso la religione dell'umanità capace di mantenere unità la società.

Che cosa studia la sociologia?


- La società in quanto realtà quotidiana, immediata, di cui tuttavia non abbiamo piena consapevolezza o che
diamo per scontata.
- l’uomo in quanto condizionato socialmente. E l’uomo è condizionato socialmente in ogni aspetto della sua
vita, anche se nessun aspetto di questa sua vita è totalmente riducibile a condizionamento sociale.
Ovvero:
La sociologia studia ogni manifestazione del sociale o della società nella vita dell’uomo.
Esse si articolano su tre distinti livelli:
1) nel singolo individuo in quanto e nei limiti in cui si è formato in un contesto di relazioni attraverso quello
che i sociologi chiamano processo di socializzazione;
2) nel mondo degli oggetti se essi sono il risultato dell’attività dell’uomo , che è sempre anche attività
sociale oltre che individuale;( pensiamo all’arte, ai prodotti tecnologici ect)
3) nel modo in cui gli uomini percepiscono la realtà data o fanno progetti per trasformarla attraverso la
cultura, la politica, le ideologie,

Ciò significa che il pensiero sociologico tende ad un’analisi della realtà umana considerando questa,
composta anche da altri fattori di carattere biologico, ambientale, psicologico. Ciò significa che il pensiero
sociologico non ha un suo oggetto definito ma un ambito problematico.
Il sociologo si spoglia della sua individualità e divento osservatore di se stesso e della realtà circostante e
per farlo deve distaccarsi dalle sue convinzioni abitudini giudicare il modo più oggettivo possibile e
collocare le cose in un contesto più vasto.

Di quale “società” si occupa la sociologia?


Il problema sociologico nella sua specificità è strettamente legato allo sviluppo della società industriale.
La “rivoluzione industriale” segna l’inizio di un’epoca di profonde e rapide trasformazioni a livello
economico, politico e culturale.
Il processo di industrializzazione è un processo sia autogenerantesi sia irreversibile. Autogenerantesi
poiché una volta avviato procede indipendentemente dalla volontà dei singoli individui o di alcuni gruppi
sociali e quindi si genera e si rigenera in continuazione senza la volontà di alcuna entità. Irreversibile,

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poiché rifiutare l’industrializzazione equivale a rifiutare il mondo moderno, di cui è una componente
fondamentale.

Il rapporto della sociologia con le altre scienze sociali?


⮚ Impostazione multidisciplinare o interdisciplinare della ricerca.
⮚ Rispetto alla filosofia sociale ( che è una scienza o un tipo di conoscenza molto astratto, molto
teorico) la sociologia è una scienza d’osservazione, guidata da ipotesi di lavoro empiricamente
verificabili.
⮚ Rispetto alla psicologia studia l’individuo come membro del gruppo/società e non come singolo.
⮚ Rispetto all’economia non ritiene l’uomo come egoista e razionale (homo oeconomicus).
⮚ Rispetto alla storia (che descrive solo i fenomeni passati) tende alla generalizzazione degli eventi e
alla loro comparazione e prevedibilità.

In sintesi: che cosa è la sociologia?


- La sociologia è la scienza che studia attraverso tecniche di ricerca empiriche (volte cioè a produrre
direttamente i propri dati) e non empiriche, i fondamenti, i fenomeni essenziali, i processi, i
condizionamenti sociali al fine di ricondurre tutta questa varietà di eventi a un numero limitato di schemi
esplicativi e finalizzata a ricostruire una serie di teorie di vario raggio.

L’APPROCCIO METODOLOGICO DELLA SOCIOLOGIA: TRA


COMPRENSIONE E SPIEGAZIONE
La parola paradigma in sociologia si usa molto, e ha diversi significati (teoria, articolazione interna di una
teoria, scuola o pensiero). Senza un paradigma una scienza non ha orientamenti né criteri di scelta, perché
tutti i criteri, i problemi e le tecniche diventano ugualmente rilevanti. Il paradigma è una guida e fornisce
agli scienziati un modello e le indicazioni per costruirlo. Con il paradigma lo scienziato acquisisce
contemporaneamente teorie, metodi e criteri. Il paradigma è qualcosa di più ampio di una teoria, è una
visione del mondo, una finestra mentale, una griglia di lettura che precede l’elaborazione teorica.

Nella storia della sociologia è difficile individuare un paradigma predominante, condiviso da tutti i sociologi.

Solo tra gli anni ’40 e ’50 ha prevalso il concetto di sistema e la teoria funzionalista di T. Parsons. Egli
rielabora il pensiero degli europei e crea una teoria basata sul sistema e sul consenso. A questo paradigma
viene contrapposto quello di Marx, basato sul conflitto sociale. In questo modo possiamo parlare di
disciplina multiparadigmatica.

Da un punto di vista storico, possiamo individuare due paradigmi fondamentali che hanno indirizzato la
ricerca sociale: il positivismo e l’interpretativismo. La profonda differenza tra i due paradigmi emerge dalle
risposte che essi danno alle domande principali a cui si trova di fronte la scienza sociale: la realtà (sociale)
esiste (ontologia)? È conoscibile (epistemologia)? Come può essere conosciuta (metodologia)?

Il dibattito epistemologico
1) Le letture oggettiviste, realiste, empiriste o positiviste della realtà (le Naturwissenschaften), secondo le
quali la realtà è oggettiva e conoscibile. Questo approccio comincia con il positivismo e si evolve poi nel
neopositivismo;

2) le letture che esprimono un approccio di tipo umanista, anche detto costruttivista o soggettivista (le
Geisteswissenschaften o Kulturwissenschaften), basato sulla comprensione della soggettività degli individui
studiati, sulle loro relazioni e interpretazioni degli eventi sociali, sui significati che assumono i singoli
contesti sociali

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Principali assunti delle letture oggettiviste del mondo sociale


In base al positivismo:
1. la scienza e la razionalità insita in essa sono l’unica forma di conoscenza autentica ed oggettiva ; Il
positivismo afferma quindi che la realtà sociale ha esistenza effettiva ed è conoscibile, come se si
trattasse di una “cosa”.
2. il metodo della scienza, basato sull’osservazione induttiva dei fenomeni, è l’unico capace di
ottenere conoscenze certe, assolute e indubitabili;
3. la società è conoscibile solo applicando il metodo delle scienze naturali. Il paradigma positivista (il
primo ad essere utilizzato nelle scienze sociali) studia la realtà sociale utilizzando gli apparati
concettuali, le tecniche di osservazione e misurazione, gli strumenti di analisi matematica e i
procedimenti di inferenza delle scienze naturali
4. Scala gerarchica delle scienze (Comte).Comte è stato uno dei primi ad applicare il positivismo
sociologico allo studio della società. Egli infatti per chiarire meglio questa differenza che sussiste tra
sociologia e scienze naturali formula la cosiddetta “Scala Gerarchica delle Scienze” (Astronomia-
Fisica-chimica-Biologia-Sociologia)

Il primo vero sociologo positivista è Durkheim, la cui teoria impone di trattare i fatti sociali come cose
effettivamente esistenti al di fuori delle coscienze individuali e studiabili oggettivamente.

In base al neopositivismo:
● la scienza consente di raggiungere conoscenze che si “approssimano alla verità”.
● Il metodo si basa sul ragionamento ipotetico-deduttivo.
Il neopositivismo nasce per rispondere alle critiche che erano state avanzate al positivismo, e quindi
afferma che esiste una realtà sociale esterna all’uomo, ma che essa è conoscibile solo imperfettamente,
in modo probabilistico.

In sintesi dal punto di vista dell’approccio metodologico, le letture oggettiviste si basano su quattro aspetti
fondamentali:

a) esiste un solo metodo scientifico che si basa sulla formulazione di ipotesi e sulla verifica empirica;
b) l’attività conoscitiva è diretta all’elaborazione di spiegazioni causali dei fenomeni, cioè di condizioni in cui
è probabile che si verifichi un certo evento;
c) l’attività scientifica, attraverso l’accumulazione delle conoscenze, tende a formulare leggi generali;
d) la differenza di oggetto tra scienze fisiche e naturali e scienze sociali comporta solo specifici problemi
tecnici per queste ultimi dovuti solo ad un ritardo delle scienze sociali rispetto alle scienze naturali,
colmabile nel tempo con l’accumulazione delle conoscenze.
Tuttavia, i punti c) e d) sono i più controversi per le scienze sociali (vedi esempio della legge della domanda
e dell’offerta in economia).

Principali assunti delle letture soggettiviste del mondo sociale


In base allo storicismo tedesco) che è stato il primo a porre il dibattito metodologico a una lettura
soggettivista alle scienze sociali) :

● Mentre la natura è estranea all’uomo , il mondo storico e sociale è il nostro mondo, il mondo di cui
lo stesso scienziato fa parte (Erlebnis).
● Mentre nelle scienze della natura l’obiettivo conoscitivo consiste nello spiegare (Erklaeren) gli
eventi del mondo fisico-naturale , nelle scienze sociali esso consiste invece nel comprendere
(Verstehen).
● le scienze sociali sono eminentemente idiografiche (cioè studiano eventi irripetibili,unici), mentre le
scienze della natura sono eminentemente nomotetiche (cioè comprensive di più casi).

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● Mentre le scienze naturali sono scienze senza valori, le scienze sociali tendono a porre l’uomo,
inteso come essere cosciente di valori, al centro della sua scelta e della sua indagine.

La lettura “mediana” di Max Weber


Secondo Weber, esponente principale dell’Interpretativismo, la comprensione mira a spiegare anch’essa i
fenomeni indagati. In questo modo si pone all’opposto del positivismo. Infatti, la sua ontologia prevede il
costruttivismo e il relativismo (realtà multiple), vale a dire che non esiste una realtà oggettiva (ogni
individuo produce una sua realtà, e solo questa realtà è conoscibile);
⮚ Distinzione tra “giudizi di valore” e “relazioni di valore ”.
⮚ Avalutatività dei giudizi come condizione irrinunciabile dell’oggettività della conoscenza scientifica .
⮚ Modello di spiegazione non più causale, ma condizionale .
Inoltre anche le singole realtà individuali o anche condivise tra i gruppi sociali, variano comunque tra le
diverse culture e quindi non esiste una realtà sociale universale valida per tutti. La ricerca sociale è vista
come una scienza interpretativa alla ricerca di significato piuttosto che in cerca di leggi. Nel perseguire il suo
scopo (che è quello della comprensione del comportamento individuale), la ricerca sociale può servirsi di
astrazioni e generalizzazioni: i tipi ideali e gli enunciati di possibilità. La metodologia prevede l’interazione
tra studioso e studiato, perché solo in questo modo è possibile comprendere il significato attribuito dal
soggetto alla propria azione. Le tecniche sono quindi qualitative e soggettive e il metodo usato è quello
dell’induzione (dal particolare al generale).
In sintesi dalle letture oggettiviste deriva la cosiddetta “ricerca quantitativa”, mentre dalle letture
soggettiviste deriva la cosiddetta “ricerca qualitativa”.
Anche nella ricerca sociologica sui fenomeni economici e del lavoro si alternano, in funzione dei diversi
obiettivi conoscitivi, metodi qualitativi e quantitativi.

L’INTERAZIONE SOCIALE: PARTE 1


E' uno dei concetti di base delle teorie sociologiche (dal punto di visto micro,meso o macro).

Definizione di interazione
«La relazione tra due o più soggetti individuali o collettivi, di breve o lunga durata, nel corso della quale
ciascun soggetto modifica reiteratamente il suo comportamento o azione sociale in vista del
comportamento o dell’azione dell’altro, sia dopo che questa si è svolta, sia anticipando o immaginando –
non importa quindi se correttamente – quale potrebbe essere l’azione che l’altro compirà in risposta alla
propria o per altri motivi» (Gallino [1978] 2000: 378). (Quindi ogni individuo modifica il proprio
comportamento o azione sociale in funzione del comportamento dell' altro.)
Gli elementi che costituiscono una interazione:
● tipo di attore coinvolto, che può essere un singolo individuo o una collettività;
● frequenza dell’azione, che può essere quotidiana o eccezionale;
● durata dell’interazione, che può essere momentanea o durare a lungo;
● tipo di attività che comporta (dire e fare o omettere di dire e di fare, tollerare, avere piacere, ecc.);
● grado di prevedibilità (azione istituzionalizzata o informale).
Alla base di ogni interazione sociale è implicita l’idea di uno “scambio” che rappresenta “l’oggetto”
dell’interazione e può riguardare significati, azioni, valori, pensieri, emozioni, oggetti materiali, ecc.
Centrale per la sua comprensione è la definizione della situazione in cui essa si svolge, con tutto ciò che
comporta per i soggetti coinvolti.(dopo l' azione dell' altro dobbiamo definire il significato ed agire di
conseguenza)

Le forme dell’interazione sociale


Nel linguaggio sociologico bisogna distinguere tra i seguenti termini:

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• Comportamento: indica ogni sorta di azioni e reazioni umane, consapevoli o inconsapevoli (per es.: la
reazione spontanea e istintiva alla percezione di un dolore o il bisogno di mangiare quando abbiamo fame).
(tristezza o felicità)non sono vincolati alla presenza di altri.
• Azione: quando il comportamento si associa ad un senso soggettivo (per es.: decisione di un soggetto di
urlare, anziché di piangere o stare in silenzio per esprimere il proprio dolore
• Azione sociale: un’azione il cui senso è riferito intenzionalmente dall’agente o dagli agenti
all’atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo (per es.: lamentarsi del
proprio dolore davanti ad un medico o a un familiare; ci comportiamo in certo modo perché abbiamo di
fronte l' altro,se non ci fosse non ci comporteremmo così)
• Relazione sociale: l’azione di più individui il cui senso è instaurato e condiviso reciprocamente (per es.: le
interazioni tra medico e paziente per comprendere una patologia e cercare una cura o il cenare insieme ai
propri familiari). Scambio di informazioni paziente-medico che mira ad un obiettivo(curare)/preparazione di
un piatto piuttosto che un altro in base alle preferenze del momento dell' altro
In sostanza, possiamo dire che il criterio della reciprocità è quello che distingue l’azione dall’interazione
sociale. L’essenziale perché si abbia una relazione sociale è, infatti, che i soggetti coinvolti attribuiscano
un minimo di senso comune al loro agire.

Solo la relazione sociale è interazione sociale.

Differenze tra relazione sociale e rapporto sociale Entrambi appartengono alle interazioni sociali. Cambiano le
dimensioni da cui si "guardano"
Dimensione micro - soggettiva Dimensione meso e macro – oggettiva

Relazione Rapporto Interazione


Sociale sociale sociale

un legame, una connessione, un’interdipendenza tra due o più


soggetti individuali o collettivi a causa del quale le parti sono
indotte o forzate ad agire in determinati modi ad esclusione di altri,
indipendentemente dalle loro preferenze e dal fatto di essere
coscienti o meno delle condizioni che le vincolano

Le teorie sociologiche che studiano l’interazione sociale


L’interazione sociale può essere studiata da una prospettiva “microsociologica”, ovvero studiando i
significati, il linguaggio (verbale e dei segni) e gli effetti prodotti sui soggetti in tutte le situazioni di
interazione in cui siamo coinvolti quotidianamente.
Possiamo distinguere tre filoni di studio :
● l’interazionismo simbolico (Mead e Blumer);
● l’approccio drammaturgico (Goffman);
● l’etnometodologia (Garfinkel).

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Essi studiano l’interazione faccia a faccia come un prodotto sociale a sé stante, non riconducibile
direttamente né al suo ambiente strutturale né a quello soggettivo e psicologico.

L’identità sociale
● L’identità di un individuo può essere vista sotto due distinti profili:

a. come una serie di caratteristiche che rendono riconoscibile socialmente un individuo in modo da
poterlo differenziare da tutti gli altri, attraverso, ad esempio, caratteri anagrafici, collocazione sociale,
aspetto fisico. Es caratteristiche che ci "collocano" nella società(pelle bianca/nera)
Questo profilo dell’identità, anche se può cambiare nel tempo è quello che viene in genere collocato
all’interno di una struttura sociale e che ha quindi caratteristiche più stabili e in un certo senso
“standardizzate”.

b. Come l’autoriconoscimento soggettivo del proprio essere, della propria individualità e delle
caratteristiche che ciascuno di noi pensa di avere. In questo caso, l’identità si costruisce
interazionisticamente, attraverso l’immagine che gli altri hanno di noi e attraverso uno scambio continuo di
relazioni sociali.
L' identità sociale è il frutto dell’interazione nella società.

La prospettiva dell’interazionismo simbolico- MEAD


L’ interazione sociale emerge da un’intensa attività di interpretazione e di definizione della situazione da
parte dei soggetti coinvolti , un processo continuo di negoziazione e interpretazione dei significati
dell’azione, attraverso cui gli individui costruiscono la propria immagine di sé e la propria identità sociale

Il “Sé sociale” ha due componenti distinti:

SE’ riferito al ME : Si riferisce all’insieme di norme e ruoli che la società ci induce a interiorizzare per
assumere comportamenti conformi alle attese degli altri ( frutto del processo di socializzazione) es: saluto
diverso in base al grado di conoscenza dell’altro

SE’riferito al IO : Si riferisce alla natura imprevedibile e creativa dell’azione che re-interpreta e modifica le
aspettative dell’altro. Es: non salutiamo una persona che conosciamo perché non ci è simpatica o abbiamo
qualcosa contro di lui.

La costruzione sociale del Sé


Il Sé, che costituisce l’identità sociale dell’individuo, è essenzialmente un “processo sociale”, un’entità in
continua costruzione mediante l’interazione sociale, proprio perché si sviluppa in rapporto all’Io e al Me.
Secondo l’interazionismo simbolico, quindi, l’azione non è mai solo determinata strutturalmente,
dall’esterno, ma è sempre anche preceduta da una volontà attiva dell’individuo che sceglie o di conformarsi
all’altro o di seguire il proprio “Io” creativo, cambiando le proprie azioni rispetto alle aspettative altrui.

La formalizzazione dell’interazionismo simbolico attraverso Blumer


Tre principi:

1. L’individuo, attraverso il Sé, ha la capacità di “auto-interazione” o “auto-indicazione” che si ha


ogniqualvolta l’individuo si rivolge a se stesso e si chiede cosa fare prima di agire in pubblico,
anticipando gli effetti di linee alternative di comportamento e scegliendo fra di esse (per es. davanti
all’offerta di un nuovo incarico di lavoro).

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2. Il significato non è intrinseco agli oggetti, né è una mera espressione della mente individuale. Il
significato di un oggetto è un prodotto sociale e pertanto ne segue che ogni oggetto può avere vari
significati. (per es. un piccione per un cacciatore o per un cuoco o per un fotografo, etc.).
3. Le interazioni sociali, sia formali che informali sono forme di «azioni associate» (per es. un matrimonio,
una conferenza, una partita di tennis, una cerimonia religiosa, etc.). Anche nelle più fisse e ripetitive
delle azioni associate, ogni momento di tali azioni deve essere formato di nuovo, attraverso il duplice
processo di definizione e interpretazione, pur attingendo a schemi interpretativi preesistenti.

L’INTERAZIONE SOCIALE – Parte 2^


2 approcci diversi
Primo approccio

Il concetto di Sé nella prospettiva drammaturgica di Goffman


Il Self per Goffman non è né autonomo né creativo, ma è «il prodotto di una scena che viene rappresentata
e non una sua causa». Linguaggio teatrale (come attori che recitano sulla scena)
La scena è costituita da un’équipe di persone che interagiscono tra loro, insieme ai contorni del contesto.
Mentre interagiscono, gli individui tendono a valorizzare le loro attività cercando di dare il più possibile
l’impressione di stare recitando bene e di avere le cose sotto controllo davanti agli altri. Talvolta, però, ciò
non produce i risultati attesi (es. lo studente che cerca di compiacere il prof.) (ma che poi attento non lo è).

L’analisi drammaturgica
La differenza tra scena e retroscena (situazione in cui decide quale è il suo ruolo, e per questo più "vera"):
mentre le rappresentazioni si svolgono sulla scena principale, cioè sulla ribalta, in cui sono presenti tutti i
soggetti coinvolti nell’interazione, il retroscena comprende, invece, le attività di sostegno e preparatorie per
la ribalta stessa.
“L’arte del controllare le impressioni”: ovvero l’insieme delle tecniche con cui gli individui guidano le
impressioni che gli altri si fanno di loro. (es. cameriere che deve servire(cliente simpatico
/antipatico,gentile..)deve svolgere sempre il suo ruolo, poi nel retroscena può dire cose che non gli direbbe
mai davanti).
Il Sé è creato mediante il rituale collettivo dell’équipe di una scena drammaturgica, virtualmente dal niente.
Di conseguenza, l’identità non è qualcosa di stabile e duraturo nel tempo, ma un effetto strutturale
prodotto e riprodotto nei vari rituali della vita quotidiana. cambiando il contesto cambia anche l'identità.

La stigmatizzazione sociale secondo Goffman (pregiudizio sociale)


La stigmatizzazione consiste nell’attribuzione ad un soggetto di una serie di attributi negativi, caratterizzati
dalla non desiderabilità e, quindi, dalla diversità, e che spesso non dipendono esclusivamente dalle
caratteristiche sostanziali del soggetto, ma dall’insieme delle regole che governano i rapporti sociali . Lo
stigma di un soggetto, cioè, non è tale di per sé, ma lo è per come viene letto e interpretato nella relazione
e interazione sociale. ES. bullismo(individui che si ritengono "normali" che prendono di mira un altro con
una caratteristica diversa)(si comportano normalmente finchè la società non rivela lo stigma ,in seguito si
comportano come stigmatizzati)
È la società a stigmatizzare. Lo stigma, quindi, è una sorta di prodotto sociale che assume in ogni cultura ed
ogni contesto sociale significati e pesi diversi, più o meno sostenibili da coloro sui quali gravano.

Secondo approccio

L’etnometodologia di Garfinkel
Studia il corpus di conoscenze di senso comune e l’insieme di procedure e considerazioni (gli etnometodi)
per mezzo delle quali i membri della società costruiscono il senso delle cose e agiscono nelle circostanze in

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cui si vengono a trovare. Studia quelle pratiche che diamo per scontato per attribuire significato a ciò che
facciamo (ES. una persona che conosco non mi saluta("disordine sociale")e ricerco i perchè, una
spiegazione)
Parte da una critica del concetto di ordine sociale espresso dallo struttural-funzionalismo di Parsons, che
distingueva l’ordine fattuale (l’ordine sociale dal punto di vista del ricercatore) dall’ordine normativo
(l’ordine dal punto di vista dell’attore sociale). Garfinkel contrappone a questa visione la concezione di
ordine sociale della fenomenologia di Schutz.

Il funzionalismo
Il funzionalismo ha ricoperto per diversi anni una posizione dominante tra le teorie sociologiche
contemporanee. Con il funzionalismo la società è concepita come un insieme di parti interconnesse tra
loro. Tale relazione di tipo funzionale, ovvero ogni elemento svolge un determinato compito che unita a
tutti gli altri concorre a creare e mantenere funzionante la società.
Esiste dunque uno stato di equilibrio nella società, un ordine che si ha quando ogni parte svolge
correttamente il proprio ruolo, ed è per questo motivo che si pùò affermare che il funzionalismo è basato
sul modello del sistema organico; esso non è visto come simile ad un organismo vivente in ogni sua parte e
collegata alle altre.
I funzionalisti hanno una visione ottimistica della società dandone un giudizio positivo, vedendola come un
sistema in grado di soddisfare i bisogni e di regolarsi autonomamente. Le teorie funzionalistiche hanno
anche implicazioni metodologiche. E’ infatti ritenuto necessario studiare la società attraverso l'analisi
funzionale con cui analizzare i compiti, gli scopi, le funzioni delle istituzioni e dei fenomeni sociali. Le radici
del funzionalismo si ritrovano già nelle concezioni di filosofi come Saint Simon e Comte. La nascita viene
però fatta risalire a Durckheim che oltre a sostenere la visione organicistica della società, getta le basi del
metodo dell'analisi funzionale. Lo studio della società deve essere inteso come analisi delle istituzioni
chiarendo i compiti che esse svolgono in relazione ai bisogni Generali dell'organismo sociale
successivamente si andò delineandosi funzionalismo contemporaneo i cui massimi esponenti furono
Parsons e merton

L’ordine sociale secondo Schutz


Secondo Schutz l’ordine sociale si basa sulla “tesi generale della reciprocità delle aspettative” che consiste
in due principi:
1) “l’idealizzazione dell’interscambiabilità dei punti di vista”, in base alla quale io do per scontato, e
assumo che il mio interlocutore faccia lo stesso, che se scambiassimo le nostre rispettive posizioni
vedremmo le cose con la stessa “tipicalità”;
2) “l’idealizzazione della congruenza del sistema di attribuzione di rilevanza”, che neutralizza le
differenze che le biografie individuali producono sulla percezione delle situazioni e postula che io e il mio
interlocutore interpretiamo il mondo esterno in modo praticamente identico.
Per Schütz, queste due assunzioni consentono di creare un “mondo comune” e dato per scontato che
trascende i mondi esperienziali privati di singoli attori.

Gli esperimenti di rottura di Garfinkel


Con i breaching experiments (esperimenti di rottura) Garfinkel intende manomettere volontariamente la
situazione percepita come normale dagli attori ed osservare come questi reagiscono. Al centro
del saggio di Garfinkel vi è l’analisi dell’ordine sociale. Con l’aiuto dei suoi studenti, utilizza diverse tecniche
per creare caos, incomprensione, disordine nelle interazioni con altri soggetti. In tutte queste situazioni, o
esperimenti di rottura dell’ordine sociale costituito, era possibile notare che davanti a situazioni di
dissonanza delle proprie aspettative nei confronti degli altri, i “membri” della società reagivano tentando di
“normalizzare” nuovamente in qualche modo la situazione.

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Garfinkel notava che la rottura delle aspettative condivise provocava reazioni di aperta ostilità e di
indignazione da parte dei soggetti, e questo perché essi agivano sulla base di un principio di collaborazione
e di fiducia reciproca (trust), che, una volta disatteso, creava in loro una sorta di “sanzione morale” nei
confronti dello sperimentatore.

Il concetto di indicalità
Per espressioni, enunciati e azioni indicali si intendono tutte quelle espressioni, enunciati e azioni che devono essere
necessariamente riferiti al proprio contesto di produzione per poterne comprendere il significato (ad es. «io voglio che tu prenda
questo»).
Il tentativo della logica, ma di un po’ tutte le discipline scientifiche, inclusa la sociologia, è stato quello di cercare di sostituire
enunciati indicali con enunciati obiettivi, cioè che sono validi o veri a prescindere dal contesto in cui sono stati prodotti.
Per l’etnometodologia, invece, tutto il linguaggio è irrimediabilmente indicale, in quanto il significato di qualsiasi espressione
linguistica dipende sempre dalle particolari situazioni d’uso ed è continuamente negoziato e rinegoziato dagli attori a seconda del
contesto interazionale in cui si crea. (ES.il ghiaccio galleggia sull' acqua)

Applicazioni degli approcci sull’interazione sociale


La ricerca etnometodologica, drammaturgica e dell’interazionismo simbolico hanno sviluppato diversi filoni di studio,
per esempio, sulle relazioni sociali e sull’identità della persona, sulle competenze professionali, sui ruoli sociali, sulle
organizzazioni sanitarie, lavorative, etc.,
In particolare, possiamo citare tre filoni di studio:

A. Le indagini etnometodologiche in supporto ai progettisti di sistemi di Information Technology (IT) per


risolvere i problemi creati dalla discrepanza tra le applicazioni del computer e delle nuove tecnologie e le
situazioni reali del loro uso.
B. La ricerca etnometodologica e ispirata ai lavori di Goffman nei contesti sanitari, sul rapporto tra pazienti, sulla
percezione della malattia, sull’utilizzo di procedure e linguaggi dati per scontati da parte del personale
medico-sanitario.
C. La ricerca etnometodologica sul lavoro, che studia le varie pratiche lavorative, cercando di comprendere
come esse siano in grado di l’azione, risolvere i problemi relazionali, prendere decisioni, mantenere e
riprodurre l’ordine sociale insito nell’ambiente di lavoro.

IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE
Che cos’è la socializzazione

L’insieme dei processi tramite i quali un individuo sviluppa, lungo tutto l’arco della vita, nel corso
dell’interazione sociale con un numero indefinito di collettività, a partire dalla famiglia, gradi via via più
elevati di competenza comunicativa e di capacità di azione , compatibili con le esigenze della sua
sopravvivenza psicofisica entro una cultura e ad un dato livello di civiltà (Gallino, Dizionario di sociologia).

Consiste nella trasmissione di insiemi di conoscenze, valori, norme, capacità di vario genere , nonché di
codici comunicativi mediante i quali la trasmissione stessa è possibile. Queste dinamiche coinvolgono due
principali soggetti: la società come agente della trasmissione(scuola,famiglia,stato,ecc..), e l’individuo
quale destinatario della stessa (Statera, Manuale di sociologia scientifica).
ES. il bambino quando nasce nn sa far nulla, non sa comportarsi o relazionarsi ,il sistema culturale gli viene
trasmesso attraversi degli attori (genitori).

Socializzazione e integrazione sociale


⮚ I gruppi, le organizzazioni, possono formarsi, individuare degli obiettivi e fissare i relativi mezzi per
conseguirli, stabilire norme di comportamento, costruire sistemi di valori e di credenze, e, infine,
agire a condizione che ciascuno dei membri condivida, attraverso i processi di socializzazione, tale
processo sociale e se ne faccia a sua volta portatore. Per questo si parla di «socializzazioni» e non di

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«socializzazione». Abbiamo a che fare con piu' gruppi (famiglia,amici,lavoro,...)ogni gruppo ha il suo
processo di socializzazione.
⮚ D’altra parte, all’individuo è garantita la sopravvivenza sociale nella misura in cui acquisisce, proprio
grazie alla socializzazione, le competenze di base e specialistiche che gli consentono di sopravvivere
(associarsi/integrarsi) entro un dato contesto socioculturale. La socializzazione cioè è sempre un
processo «situato» e non universale. Non in ogni luogo o tempo
⮚ La socializzazione è strettamente connessa alla integrazione sociale, alla inculturazione e, in taluni
casi, alla acculturazione, dove per inculturazione si intende l’interiorizzazione delle norme culturali
che regolano un sistema da parte di un soggetto in crescita (famiglia) e per acculturazione un
processo analogo da parte di un soggetto proveniente da differenti contesti (siano aree
socioculturali, gruppi o organizzazioni).(immigrati)

Socializzazione primaria e secondaria


Fondamentalmente, la posizione dell’individuo dentro il processo di socializzazione è valutabile in termini di
subordinazione.(soggetti passivi nel processo di socializzazione ES: quel modo di mangiare/parlare/..)
La socializzazione si distingue in due fasi: la socializzazione primaria e la socializzazione secondaria,
La socializzazione primaria (prima fase di vita di ciascun individuo)
● Forma l’individuo a competenze sociali comuni, elementari nel senso di essenziali all’interazione
sociale(non elementari in quanto semplici). Le competenze acquisite nel processo di
socializzazione primaria consentono all’individuo di costruire la propria «struttura della
personalità di base», ovvero un complesso organizzato di valori, norme, regole di condotta, ecc.,
in grado di guidarlo verso forme di interazione e integrazione sociali condivise e accettate da una
certa società.
● Tali processi, in genere, si svolgono nella prima fase del ciclo di vita dell’individuo e interessano
virtualmente tutti i membri di una determinata società.
● Gli agenti della socializzazione primaria sono quei soggetti che , nella fase che interessa i primi anni
di vita del bambino, interagiscono più frequentemente e più intensamente con lui, ovvero i
genitori, e per estensione i membri del nucleo familiare che li accoglie. Fase decisiva nella
formazione dell’individuo, poiché inevitabilmente condiziona le successive, Pertanto la famiglia
diventa uno dei temi più studiati, sia come argomento di elaborazione teorica che elaborazione
empirica.

La socializzazione secondaria
Comprende tutti i processi in base ai quali l’individuo è in grado di assumere ed espletare un dato ruolo
entro un definito contesto sociale. Processi che si collocano temporalmente in fasi più avanzate del ciclo di
vita individuale e interessano tutti i membri della società.
Si differenziano a seconda dei gruppi, delle organizzazioni, degli aggregati di cui ciascun individuo può
essere o sentirsi parte, detenendo una determinata posizione e svolgendo una precisa funzione, di volta in
volta all’interno dei singoli contesti sociali di riferimento. La socializzazione, a questo livello, è
evidentemente strumentale ad un’adeguata collocazione dell’individuo in strutture più o meno organizzate.
Il primo centro di socializzazione secondaria è rappresentato dall’organizzazione scolastica, i cui fini
istituzionali consistono nella trasmissione/formazione di conoscenze, ai livelli linguistico-comunicativo,
estetico-espressivo e logico-matematico.
Altri agenti di socializzazione secondaria sono il gruppo dei pari e l’organizzazione lavorativa. A differenza di
altri centri di socializzazione, che presuppongono in ogni caso un’asimmetria nel rapporto tra agente e
destinatario della socializzazione (si pensi al rapporto genitori-figli), il gruppo dei pari implica rapporti
esclusivamente in senso orizzontale e di completa reciprocità tra i membri che lo costituiscono.

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Un’agenzia di socializzazione sia primaria che secondaria che ha sempre più influenza sugli individui delle
società avanzate è rappresentata dalla mediasfera.(mass-media). videogiochi-internet-social(sono degli
strumenti che veicolano delle informazioni pur non rappresentando un soggetto della società).

Problemi del processo di socializzazione


Il problema dell’ultrasocializzazione, ovvero il problema della dipendenza esclusiva delle proprie azioni dal
sistema normativo in cui si è inseriti. Esso si verifica quando l’apprendimento dei ruoli attraverso il processo
di socializzazione porta a comprimere o, addirittura, ad annullare il segmento della personalità individuale.
L’uomo ultrasocializzato è colui la cui appartenenza ad un dato consesso sociale è percepita come legata
all’assolvimento di un compito ultimo, esterno a sé, rappresentato da un ruolo (di genitore, di lavoratore, di
amico, di credente di una religione, etc.) non autodefinito (cioè deciso dall’individuo), ma eterodefinito
(cioè definito dal sistema normativo cui l’individuo si conforma e dai suoi apologeti).(ES.adepto di una
religione)
Questi due problemi aiutano a spiegare le due facce dell’individuo. Da un lato, molte dinamiche possono
essere spiegate con il concetto di ultrasocializzazione (si pensi al nazismo, ma anche al radicalismo
religioso), dall’altro si è oggi in presenza di una « soggettivizzazione» crescente, ovvero di una
individualizzazione e svincolamento dai legami normativi forti, con tutte le conseguenze in termini di
insicurezza, fragilità, narcisismo che oggi sperimentiamo sempre più frequentemente nelle nostre società.

LA FAMIGLIA DALLA PROSPETTIVA SOCIOLOGICA


La famiglia è un ambito così importante per gli scienziati sociali che esiste proprio la Sociologia della
famiglia.
La famiglia viene studiata dai sociologi con molta attenzione perché molti dei problemi legati alla società
attuale all'integrazione sociale e alle relazioni sociali provengono dai cambiamenti della famiglia. Oltre ad
essere un importante istituzione sociale con le funzioni essenziali produzioni della riproduzione della
società nella gestione dei consumi nella sistemazione di legami instaurazione dei legami tra l'attore sociale
e lo Stato o le istituzioni più macro. La famiglia È un gruppo sociale che oltre ad avere formazioni di
socializzazione primaria fondamentali per il bambino svolge delle funzioni per tutta la società anche al di là
delle socializzazioni primarie o dell'educazione in generale dei bambini e quindi delle nuove generazioni.
La famiglia viene analizzata solo in questa lezione dalle famiglie solo dal punto di vista sociologico e in
modo introduttivo
Nell’analisi sociologica:
1) La famiglia è il principale centro di socializzazione primaria quella che può condizionare nel bene nel
male le successive fasi di socializzazione dell'individuo (dell'attore sociale) : è l'insieme delle persone di quel
gruppo con le quali il bambino viene a contatto fin dalla nascita. E’ nei primi anni di vita che hanno queste
importanti influenze che costituiscono gli agenti socializzanti: che gli insegnano come si mangia, si
cammina, nel linguaggio espressivo e comunicativo ed emotivo psicologico, che determinerà in tutte le fasi
poi successive della crescita del soggetto, anche quando sarà adolescente e adulto. Il bambino, diventato
adulto, non ne potrà più prescindere, perché le avrà così interiorizzate proprio nella prima fase della sua
vita
2) è la prima è forma di associazione; è il primo gruppo che è esistito nella società(gruppo di base)
3) non esiste la famiglia in senso assoluto; Esistono le famiglie e i differenti modelli di organizzazione a
seconda della civiltà e dei contesti storici specifici. Quindi esistono tante tipologie di famiglie e proprio in
questo si concentrano gli studi sociologici. Vanno intese quindi come gruppi con diverse tipologie di
organizzazione che svolgono però un'importante ruolo di socializzazione

DEFINIZIONI CLASSICHE:
⮚ Gruppo di persone che si origina con il matrimonio e che si compone di coniugi e figli nati dalla loro
unione. (es. cultura araba)

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⮚ I membri della stessa sono legati da vin-coli parentali, sentimentali, legali, economici, ecc., e
devono rispettare divieti sessuali.
DEFINIZIONI RECENTI:
⮚ Unione di individui di sesso indifferentemente eguale o diverso, legati tra loro da un rapporto di
ascendenza/discendenza biologica diretta, che convivono stabilmente e cooperano sul piano
economico (concezione famiglie attuali italiane ed occidentali).

L’evoluzione della famiglia


FAMIGLIA TRADIZIONALE netta divisione dei compiti coniugali (ruolo strumentale per il padre, espressivo per la
madre)
FAMIGLIA SIMMETRICA ruoli coniugali interscambiabili, reversibili, sia per i rapporti interni che esterni al nucleo
FAMIGLIA A DOPPIA CARRIERA i coniugi sono impegnati in attività professionali esterne, posti sullo stesso piano per
ciò che concerne le dinamiche familiari e con stili educativi democratici nei confronti della prole
FAMIGLIA DI FATTO non prevede il matrimonio e pone forte enfasi sulla autorealizzazione dei due partner, posti su un
piano egualitario

Tipologie “classiche” Tipologie “recenti”

• gruppo domestico;(persone stessa casa senza legami) • famiglia unipersonale;

• famiglia biologica; (adozioni) • famiglia di coppia;

• famiglia nucleare; • famiglia complessa;

• famiglia composta; • famiglia di fatto;

• grande famiglia; • famiglia omosessuale.

• famiglia estesa;

• famiglia estesa modificata.

Gli elementi distintivi di una famiglia


Alla luce di quanto si è venuto argomentando si possono enucleare almeno tre elementi che contribuiscono
a delineare il profilo della famiglia:
1. la coabitazione e le norme che la regolamentano, nonché la composizione e le sue trasformazioni
(struttura familiare);
2. i rapporti affettivi e autoritativi, nonché le dinamiche interattive tra i suoi membri (relazionalità
familiare);
3. i legami esistenti tra gruppi di persone conviventi (relazioni di parentela).
I punti critici (si va piu verso l' individuo che verso il gruppo famiglia)
1. Privatizzazione e soggettivizzazione della famiglia (prima erano "responsabilità" dello stato,ora
autonoma rispetto ad esso)
2. Preoccupazioni legate a comportamenti un tempo ritenuti “privati” (violenze e abusi).
3. Rinnovate esigenze di cura dei membri deboli (bambini e anziani, in particolare)
4. Necessità di normativizzazione delle nuove famiglie.
5. I temi di cui si occupa la sociologia della famiglia oggi
6. Politiche di conciliazione tra lavoro di cura e professione.
7. Problemi connessi alla crisi demografica.(funzione riproduttiva della famiglia)
8. Problemi connessi al rischio di povertà delle famiglie.

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9. Problemi di riconoscimento «sociale» e non solo «normativo delle “nuove famiglie”.


10. Individuazione di possibili forme di sostegno sociale, culturale ed economico per le famiglie
tradizionali e non.(riproduzione sociale)

In conclusione : La famiglia deve essere intesa come relazione sociale complessa, risultante dall’intreccio
di dimensioni giuridiche, economiche, psicologiche, sessuali, culturali, affettive e di scambio: la presenza
delle suddette dimensioni differenzierebbe la famiglia dal gruppo in interazione.
Essa è la risultante dell’incontro tra la dimensione intersoggettiva, dimensione comunitaria e dimensione
strutturale; pertanto il suo studio e la sua analisi devono fare inevitabilmente riferimento al livello delle
relazioni interpersonali (micro), al livello che concerne il rapporto con le formazioni sociali intermedie
(meso; famiglie e altre famiglie,scuole,amici) e al livello dei mutamenti strutturali (macro).

IL GRUPPO
I GRUPPI SOCIALI - Il concetto di gruppo in sociologia
Può definirsi gruppo (sociale) un insieme di esseri umani caratterizzati da specifiche inter-relazioni
condizionate tanto dalla consapevolezza dell’esistenza del gruppo, quanto dai simboli al suo interno
prodotti. In altre parole, un gruppo è caratterizzato da una struttura organizzativa almeno rudimentale – di
cui fanno parte anche riti e rituali – e da una base psicologica nella coscienza dei suoi componenti.
L'appartenenza ad un gruppo forma la nostra identità, più' gruppi influenzeranno in modo ridotto rispetto
ad uno(come avveniva in passato o come avviene per soggetti che hanno ambiti ristretti con cui si
relazionano)(piu' sono ampi i gruppi e meno "condizionano")
Un gruppo sociale è dunque caratterizzato da due aspetti:
• l’interdipendenza fra i suoi membri;
• la conoscenza, il reciproco riconoscimento e, quindi, un’interazione relativamente continua nel
tempo. non gruppi spot(coda al supermarket)

Il gruppo si distingue in termini formali da:

● un’associazione, per il fatto di avere uno o più scopi, ma di non averli formalmente inseriti in uno
statuto o carta istitutiva o costituzione, come fanno normalmente le associazioni;
• un’istituzione, per il fatto di essere abbastanza solidale da poter agire in direzione di uno scopo, come
un soggetto unitario, senza peraltro che la solidarietà dei membri sia sostenuta, legittimata, e in una
certa misura imposta da valori e norme diffuse nella società, come avviene con le istituzioni;(ente
pubblico)
• un’organizzazione, per il fatto di essere internamente differenziato in termini di autorità e di funzioni,
ma non tanto da aver bisogno di regole formalmente codificate, come un’organizzazione;
• una massa, per il fatto di essere meno numeroso e più integrato di essa.

Tipologia di gruppi
• Gruppi primari-informali: nascono da esigenze emotive ed interiori, i rapporti sono frequenti,
diretti (faccia a faccia), spontanei; il soddisfacimento dei bisogni di affettività, socialità rappresentano di per
sé un fine (es. famiglia, amici).(piu' studiato in quanto influenza maggiormente il comportamento del
soggetto)
• Gruppi secondari-formali: si istituiscono per il raggiungimento di scopi pratici, i rapporti sono più o
meno frequenti, impersonali, imposti da circostanze esterne; la loro organizzazione ricalca
prevalentemente esigenze razionali (es. colleghi di lavoro, una squadra di calcio, etc.).ex post posono
diventare gruppi di amici

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• Aggregato: insieme di persone che si trovano a condividere uno spazio fisico nello stesso momento,
senza tuttavia essere accomunati da forme precipue di legami (es. una folla, una coda alla posta, etc.).non
sono formalmente un gruppo
• Categoria sociale: insieme di persone classificate in funzione di una particolare caratteristica
comune (es. età, sesso, professione).

Struttura di un gruppo

Il quadro valoriale e normativo, unitamente al sistema di posizioni (status) occupate a cui corrispondono
specifici ruoli, costituiscono la struttura interna di un gruppo (in-group). Insieme valori e norme e posizioni.
Nell’interazione tra membri di un gruppo l’individuazione di un gruppo antagonista (out-group) è causa di
rafforzamento dell’integrazione e dell’identità del gruppo. Il conflitto tra gruppi genera integrazione e
individuazione dei confini. Sono il mio gruppo e non altro ,e questo rafforza l' in-group.
Il conflitto tra gruppi serve al cambiamento-miglioramento sociale(non è negativo)
In generale, le posizioni che le persone occupano all’interno dei gruppi possono definirsi informalmente
sulla base delle relazioni che si instaurano con gli altri, oppure essere variamente imposte dall’esterno.
Il sistema di norme che all’interno di ogni gruppo viene a costituirsi rappresenta il limite entro cui la
diversità comportamentale dei membri trova accettazione e, specularmente, oltre il quale tale eventuale
diversità sarà percepita come una forma di devianza passibile di richiami all’ordine (di gruppo), di
emarginazione (interna al gruppo) o di (auto)esclusione (dal gruppo).
Il violare le norme viene considerato diverso-deviante, e viene richiamato all"ordine",in caso negativo si
arriverà all' emarginazione.

La stratificazione dei ruoli


La divisione dei compiti in vista del raggiungimento delle mete, suppone, ad ogni modo, una stratificazione
dei ruoli.
I ruoli principali giocati in ogni gruppo, in vista del raggiungimento delle mete, sono quelli:
•del leader (autoritario, democratico, lassista)
•del gregario o seguace
•del nuovo arrivato (i gruppi tendono a rigenerarsi periodicamente)
•del capro espiatorio.
La forma di potere principale di cui dispongono i gruppi non è rappresentata da una comune appartenenza
di classe, etnica o religiosa, bensì dalla “anzianità di associazione”, ovvero dal grado di coesione
storicamente determinatosi nei gruppi.( dipende dal tempo in cui è nato quel gruppo)
I gruppi dominanti riescono a sfavorire i contatti dei propri membri con quelli dei “gruppi-di-altri”
attraverso il controllo sociale. Una delle forme più diffuse è la “stigmatizzazione”.
tu appartieni al mio gruppo ,ti differenzio dal gruppo di altri ,stigmatizzandoil gruppo estraneo si arriva a
rafforzare quello di appartenenza ES. l' altro è il gruppo delle "femminucce" dei deboli,...

CHE COSA SONO LE ORGANIZZAZIONI


Il significato polisemico del concetto di organizzazione
Non sempre si deve pensare a burocrazia o gerarchia (non sono solo le grandi organizzazioni)ES. nella vita
quotidiana chiacchiere alla fermata del bus,i soggetti parlano dei disservizi della linea;all' università ci si
scambiano opinioni sui corsi; ci si organizza con regole con eventuali conviventi;...
"i giovani oggi devono imparare a muoversi tra le organizzazioni così come i loro antenati impararono a
coltivare i campi e ad allevare bestiame" (Peter Drucker)(assumendo ruoli differenti)
non sono viste solo in modo puramente strumentale(non aderiamo solo per ottenere un beneficio)
é sbagliato pensare che le organizzazioni siano solo quelle formali o ufficiali(imprese)

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è sbagliato pensare alle organizzazioni solo come realtà immodificabili ed esterne a noi(che possono solo
condizionarci)
anche la famiglia e i piccoli gruppi possono essere studiati nei loro aspetti organizzativi (chi prende le
decisioni,chi amministra le finanze,..)
gli oggetti di studio delle organizzazioni possono essere sia le strutture organizzative quanto i processi
organizzativi(dal punto di vista di ciò che è permanente nelle organizzazioni/ o gli elementi che cambiano
nelle organizzazioni)
Il termine organizzazione è stato usato nelle scienze sociali in almeno tre diverse accezioni:
• per designare l’attività diretta di proposito a stabilire, mediante norme esplicite, relazioni durevoli
tra un complesso di persone e di cose in modo da renderli idonei a conseguire razionalmente uno scopo ;
(attività che organizzano le persone per un fine)
• per designare l’entità concreta, l’insieme del sistema sociale che risulta da tale attività; in questa
accezione sono organizzazioni tipiche, riconducibili ad una loro specificità di modello organizzativo e quindi
ad una determinata tipicità di razionalità di governo: un’azienda, un ospedale, una scuola, un ministero, un
sindacato, un’associazione ecologista o di difesa dei consumatori, un partito politico, una chiesa, un
esercito;
• per designare la struttura delle principali relazioni formalmente previste e codificate entro
un’azienda, un partito, ecc., le quali sono soltanto una parte delle relazioni che li costituiscono.
Il concetto di organizzazione complessa
• Barnard (The function of the executive, 1938) intende per organizzazioni complesse tutte le
organizzazioni di grandi dimensioni (grandi aziende, amministrazioni statali, società commerciali e
finanziarie, forze armate). Esse non differiscono da quelle più piccole soltanto per una serie di parametri
quantitativi, ma piuttosto per il tipo, la varietà, l’intreccio delle relazioni socio-tecniche che le costituiscono.
• Nelle organizzazioni complesse, le relazioni strutturali più importanti, quelle che caratterizzano il
modo di operare dell’organizzazione, non sono relazioni tra individui, bensì tra unità e sub-unità strutturali
di varia dimensione e in varie posizioni gerarchiche. ES: grande impresa con vari uffici
diversi(personale ,contabilità,...)
• Inoltre, al suo interno vi sono strutture e persone che svolgono funzioni diverse, sia per quanto
attiene alle attività e ai compiti professionali, sia per il livello di responsabilità gerarchica che svolgono nel
governo dell’organizzazione, ovvero nella definizione e gestione dei processi decisionali, organizzativi e
lavorativi (considerando le dovute tipicità presenti sia nel modello dell’azienda privata, sia in quello
dell’amministrazione pubblica).
La classificazione delle organizzazioni
Prendendo in considerazione differenti criteri di classificazione che si sono succeduti nelle teorie
organizzative (Etzioni(obbedienza), Blau e Scott(quantità di beneficiati ), ecc.), possiamo delineare otto
tipologie distinte di organizzazioni:
1. organizzazioni con finalità economiche (le imprese private),(tutti i settori)
2. organizzazioni che forniscono servizi sociali di pubblica utilità,(no profit)
3. pubbliche amministrazioni,
4. organizzazioni di rappresentanza sindacali e professionali,
5. partiti e organizzazioni politiche,
6. organizzazioni per la difesa degli interessi ambientali, locali e dei consumatori,
7. organizzazioni religiose,
8. organizzazioni militari e organizzazioni totali (le carceri).

IL CONCETTO DI RUOLO
La complessità del concetto di ruolo

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I processi di socializzazione sia primaria che secondaria, si svolgono entro un contesto relazionale che
prevede l’assunzione, tanto da parte dell’agente socializzante quanto da parte dell’agente socializzando, di
un ruolo precisamente definito e riconoscibile.
Già quando parliamo di ruolo dei genitori, noi facciamo riferimento ad una serie di comportamenti, di
norme, di valori, di aspettative che sono legate all’essere genitori. Questo definisce in qualche modo che
cosa è un ruolo . La stessa cosa è per il bambino , che assume un ruolo poiché assume e acquisisce tutte
quelle indicazioni come farsi educare, apprendere valori, educazione ect ect.
Si tratta di un concetto che ha subito un impiego piuttosto vasto in sociologia e la cui definizione presenta
intrecci profondi con altre nozioni (ad esempio, quella di status, di struttura sociale, di norma), specifici
comportamenti (conformismo, devianza, integrazione, ecc.) e processi (primo fra tutti, quello di
socializzazione), ma che appare alquanto vago nel caso in cui lo si voglia studiare da vicino.
Secondo l’etimologia, la parola “ruolo” trova la sua origine nei teatri di epoca classica, in cui indicava la
parte recitata dagli attori (da rotulus, il foglio di carta riportante le battute dell’opera utilizzato sul palco).
Difatti la parola ruolo si associa subito al concetto di ruolo dell’attore.
Può essere definito come «l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in
quanto occupa una precisa posizione sociale (concetto di status), in una più o meno strutturata rete di
relazioni sociali, ovvero in un sistema sociale» (in una struttura quindi molto più ampia fatta da diverse
funzioni e diversi ruoli,posizioni nella società).
Costituisce l’insieme delle regole di condotta o modelli di comportamento e delle aspettative che
confluiscono in un determinato individuo in base alla posizione (status) che egli detiene entro una rete
più o meno organizzata (un gruppo, un’associazione, una comunità, un luogo di lavoro, ecc.) di relazioni
sociali.
La definizione di ruolo avviene da parte di altri soggetti che interagiscono da posizioni, e quindi da ruoli,
collegati a quello dell’individuo, secondo un modello di reciprocità. E’ fondamentale quindi specificare che il
nostro ruolo è in funzione della relazione con gli altri soggetti, dal modo di cui noi interagiamo con gli altri
soggetti secondo un modello di reciprocità ( se io ho un ruolo è perché mi relaziono sempre con un altro
soggetto che a sua volta ha un ruolo).

Tipologie di ruoli
Ruoli Ascritti – Ereditari - Acquisiti
1. Ascritti : Prefissati sulla base di caratteristiche esterne. Stabiliti dai valori dalle norme da
determinate caratteristiche esterne (genere maschio o femmina, appartenenza ad un certo ceto
familiare, tribù, ect). Caratteristiche che non possono essere cambiate.
2. Ereditari: In essi l’individuo più che vivere la sua vita è vissuto dalla società, ruoli ereditati dalla
famiglia di provenienza
3. Acquisiti : quando si pongono come conquiste relativamente aperte ai singoli individui (in base alle
capacità, allo studio, alle esperienze, etc.), anche se allo stesso tempo essa comporta una quota
non indifferente di costrizione, che ne limita le scelte e ne vincola l’attività e gli atteggiamenti. Cioè
qualunque cosa noi facciamo viene etichettata come all’interno di un ruolo, che qualora questi non
venisse portato avanti per come è costituito nella società, si diventerebbe degli “anti”; se invece
vogliamo assumerci quel ruolo siamo vincolati a comportarci in un certo modo assumendoci la
responsabilità di assumere quelle direttive concernenti quel ruolo.

Caratteristiche dei ruoli

Un individuo in genere assume diversi ruoli nella società nello stesso momento. Questo può generare
situazioni di “dissonanza”, di incoerenza, che si manifestano nel momento in cui allo stesso soggetto sono
richieste competenze e posizioni che non sono tra loro in rapporto di perfetta conformità. Si parla in tal
caso di conflitto o contraddizione di ruolo. (es. di donna che deve assumere lavorativamente un ruolo e
una posizione di alto livello e allo stesso tempo assume il ruolo di madre, con enormi difficoltà)

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Ogni società è costituita da una rete di ruoli, recitati da individui, ma tali da poterne prescindere. Difatti, gli
individui passano, ma i ruoli restano.
Il modo in cui il ruolo è strutturato, gli agenti che lo determinano, il contenuto concreto delle norme e
aspettative e i meccanismi sociali che allocano le persone ai diversi ruoli e viceversa variano da un sistema
all’altro. A seconda del sistema sociale che abbiamo, abbiamo strutture di ruoli differenti.
Il concetto di ruolo contribuisce a portare in luce le difficoltà che in tutte le società si frappongono
all’introduzione e alla diffusione di azioni che siano realmente innovative, senza essere a loro volta il
prodotto di ruolo nuovi che si oppongono ai ruoli preesistenti, ma non sono meno rigidi di questi. (es. se
dovessi introdurre nuove figure professionali nel lavoro ci potrebbero essere difficoltà nell’inserirlo in un
sistema di ruoli e relazioni sociali. Difatti se volessimo inserire il ruolo di “influencer” nei professionisti, ci
sarebbero difficoltà, visto che i professionisti sono di fatto assimilabili a figure tipo avvocato, ingegnere,
commercialista).

Aspettative di ruolo
Ogni ruolo ha anche le sue aspettative di ruolo: un padre si presume e ci si aspetta che si comporti in un
certo modo nei riguardi dei figli aldilà e al di fuori di ciò che stabiliscono le leggi scritte e vigenti in una certa
società; se il padre viene meno, tradisce le aspettative connesse con il suo ruolo e verrà biasimato dalla
società. Lo stesso vale per un direttore di banca, per un operaio, per un uomo politico, e così via.
Se l’individuo si comporta in conformità con le aspettative del suo ruolo ne otterrà in cambio le ricompense
riconosciute dalla società sotto varie forme (denaro, reputazione, prestigio, etc.).

E’ possibile distinguere tre filoni teorici sul concetto di ruolo


1. quello della tradizione antropologica culturale e in particolare dell’opera di Linton e dello struttural-
funzionalismo di Parsons e Merton.
2. Quello dello psicologo sociale Mead.
3. Quello ricavabile dalla “metafora drammaturgica” elaborata da Goffman.
In tutti gli approcci teorici, il ruolo appare pressoché ovunque un concetto capace di mettere in connessione gli
aspetti «micro» e «macro» della dinamica sociale, andando a configurarsi come interfaccia «meso» tra
persona e struttura. Quindi possiamo considerare un po’ tutti i filoni teorici il concetto di ruolo come un
concetto della mesosociologia cioè come quel concetto che in qualche modo viene posto nell’ambito di
strutture intermedie tra la grande società, il grande sistema sociale e il singolo individuo.
Ruolo e status nella teoria di Linton
Per Linton [1936] il ruolo si sostanzia in atteggiamenti, valori e comportamenti che la società attribuisce ad uno
status, inteso come posizione sociale ordinata in un certo ambito sociale.
Il ruolo si concretizza nelle attività che una persona svolge quando agisce in funzione delle richieste normative
rivoltegli in virtù della sua posizione; esso non è altro che l’aspetto dinamico dello status e, pertanto,
consiste in una serie di effettivi comportamenti volti ad esplicitarlo.
Le richieste normative contenute nel costrutto di ruolo si riferiscono al comportamento del soggetto che riveste
quella data posizione nonché ad una serie di attributi del titolare di quel ruolo, designando le “pretese della
società” nei riguardi dello stesso.
Sulla scena della società, quindi, gli individui si conformano alle aspettative e alle regole stabilite, comunicando
un’immagine di sé adeguata rispetto alla posizione ricoperta e riconoscibile all’interno delle relazioni
sociali, assumendo uno specifico comportamento in virtù di ciò. Inoltre, la titolarità del ruolo deve anche
essere simbolizzata attraverso segni di status nel vestiario o nei modi, per comunicare un’immagine
conveniente rispetto la posizione ricoperta nella rete delle relazioni sociali o nell’interazione.

IL RUOLO NELLA PROSPETTIVA STRUTTURAL-FUNZIONALISTA


I maggiori rappresentanti di questo approccio sono Parsons e Merton.
Parsons (che è il padre del struttural-funzionalismo):

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1. I ruoli sono azioni standardizzate, il cui contenuto è socialmente condiviso e dotato di forza
normativa che implica anche un certo grado di controllo sociale e di coercizione sugli individui. Il
ruolo, quindi, si connette ai processi di socializzazione. La società attraverso un processo di
socializzazione fa interiorizzare determinati ruoli e svolge su questi un potere coercitivo per un
controllo sociale.
2. L’interazione sociale avviene solo e sempre attraverso i ruoli e l’assunzione del ruolo è il modo
con cui un individuo esiste nella società. L’unità di raccordo tra personalità e sistema sociale non è
l’individuo in quanto tale, ma l’individuo nel suo ruolo: è questa unità che assume lo statuto di
“attore sociale”.

Merton:
1. ogni status coincide con una pluralità di ruoli (role set) che corrispondono ad altrettanti rapporti
sociali;
2. poiché ogni persona ricopre differenti posizioni nella rete sociale cui appartiene, essa ricopre un
insieme di status diversi, a ciascuno dei quali è associato un set di ruoli.
3. L’integrazione ordinata delle azioni sociali attraverso i ruoli non è qualcosa di presupposto, ma può
portare a casi di insorgenza di un conflitto di ruolo, che si verifica quando una persona, non può
corrispondere alle (molteplici e spesso contraddittorie) aspettative e/o alle prescrizioni del ruolo o
del set di ruoli.

IL RUOLO SECONDO L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO DI MEAD

Il concetto di ruolo è strettamente connesso all’immagine che l’attore ha di sé e alla sua identità,
attraverso un processo relazionale. Norme e aspettative sono a loro volta un prodotto sociale, frutto di un
processo che coinvolge differenti individui esecutori, rispettivamente, di differenti ruoli. I ruoli quindi si
assumono a seconda dell’interazione che avviene con altri soggetti.
I ruoli si configurano come comportamenti, prodotti durante una situazione interattiva, l’esito del processo
di negoziazione avviato tra il sé dell’attore, le aspettative e le risposte attese dei partner coinvolti
nell’interazione e le prescrizioni connesse alla posizione occupata.
Mead spiega tutto questo attraverso il “Role Tacking”, cioè l’assunzione di un ruolo come frutto di un
gioco di ruoli che inizia da bambini attorno ai 3 anni attraverso il “play”, attraverso il gioco (imita la mamma
nel mettersi il rossetto, o il bambino che imita il padre) e poi attraverso il “game” intorno ai 5 anni dove si
iniziano ad interiorizzare le varie regole del gioco e quindi si assume già un comportamento legato a valori,
norme, regole

Il ruolo nella metafora drammaturgica di Goffman


La metafora del teatro (“metafora drammaturgica”) illustra come il ruolo possa essere identificato con la
maschera che l’individuo indossa sul palcoscenico sociale.
La vita quotidiana sarebbe composta da una sequenza di rappresentazioni in cui gli attori sociali recitano
una parte, misurandosi con un copione stabilito per la situazione, cercando di essere il più credibile
possibile nella loro interpretazione nell’interazione con gli altri. (es. cameriere vs cliente antipatico, si
mostra non infastidito ma poi in cucina gli sputa nel piatto)
Tuttavia, l’interpretazione del ruolo non si configura come una mera adesione a norme prestabilite di
condotta; i soggetti hanno un certo margine di libertà grazie all’utilizzo di repertori di elementi e di registri
espressivi che permettono performance di ruolo in base a forme tipiche, creando un ordine basato su
copioni altamente prevedibili e cornici ben definite, ma realizzando condotte articolate e complesse.
L’identità si costruisce “localmente” e non è qualcosa di duraturo e di stabile nel tempo, bensì un effetto
strutturale prodotto e riprodotto nei vari balletti rituali della vita quotidiana.

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Il Sistema Scolastico
I sistemi scolastici dell’Unione Europea. Secondo l’analisi dei sociologi dell’educazione, i sistemi educativi in
Europa possono essere raggruppati in quattro modelli:
1. Modello scandinavo o della “scuola unica”. (Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia). Ha come
obiettivo prioritario la maggior eguaglianza di opportunità, fornendo a tutti i bambini la stessa preparazione
fino ai 16 anni di età, cioè per tutto l’obbligo scolastico. “Scuola unica” perché gli studenti per tutto il
periodo dell’obbligo ricevono il medesimo insegnamento da un gruppo di docenti stabili per garantire la
massima continuità pedagogica.
2. Modello anglosassone o della scuola polivalente. (Inghilterra, Galles, Irlanda del Nord, Scozia e, con
qualche differenza, della Repubblica d’Irlanda). Si traduce nella pratica di un insegnamento differenziato e
persino individualizzato, nell’uso del tutoraggio, nell’attuazione dei sistemi necessari agli alunni in difficoltà.
Il sistema di tutorato è mirato al miglior funzionamento, in termini di eguaglianza e qualità del sistema, ove
e si preoccupa che l’insegnamento sia differenziato e perfino individualizzato ed aiuta i bambini in difficoltà
3. Modello germanico o degli indirizzi separati. (Austria, Germania, Lussemburgo, Olanda, Svizzera e, con
differenze, in Belgio). Il bambino tedesco, entrato nella scuola a 6 anni, dopo 4 anni di studio (con qualche
differenza secondo i Laenders) deve scegliere che strada intraprendere:
- oltre un terzo accede alla formazione corta (Hauptschule), seguita da una preparazione professionale che
introduce al lavoro, con una alternanza con periodi di studio, fino ai 18 anni;
- un quarto dei ragazzi va verso una scuola media (la Realschule), che permette di accedere ad una
formazione superiore, però solo di tipo non universitario;
- un poco più di un quarto degli studenti si iscrive alla scuola secondaria generale (il Gymnasium), per
seguire un curricolo che lo condurrà agli studi universitari.
La logica di questo modello è incentrata a far prevale l’orientamento molto precoce.
4. Modello latino e mediterraneo o del tronco comune.(Francia, Grecia, Italia, Portogallo e Spagna). Il
modello ha scelto di realizzare una scuola unica per la prima parte della secondaria, ma senza un’effettiva
pedagogia differenziata (come in Scandinavia) e senza il tutorato (come nei paesi anglosassoni). Sono forse i
Paesi che si trovano più a disagio nel loro sistema educativo, poiché, sebbene molto diversi tra loro,
perseguono l’ideale egualitario della scuola unica scandinava, mentre per tradizione pedagogica, hanno
spesso un’uniformità di metodi e delle esigenze che si traducono in frequenti controlli delle conoscenze, in
vincoli di esami e di voti e in una maggiore consuetudine di ripetenza.
Questi paesi, tradizionalmente centralistici, stanno procedendo a decentramenti abbastanza ampi, che
esaltano l’autonomia delle scuole, pur mantenendo programmi comuni piuttosto vincolanti. Il grado di
autonomia degli istituti in questi Paesi è molto diversificato.

L’evoluzione del sistema scolastico italiano

A partire dagli anni 90 il sistema scolastico ha intrapreso un ampio processo di ristrutturazione e


cambiamento, con riforme del sistema scuola fondamentalmente ricondotte alla realizzazione di due
principi:
• il principio di sussidiarietà, caratterizzato dal decentramento amministrativo che ha ampliato l’autonomia
didattica e organizzativa delle istituzioni scolastiche;
• la conformità con gli orientamenti europei finalizzata a adeguare il sistema scolastico agli standard
europei in termini di partecipazione scolastica, estensione della scolarità obbligatoria, contenimento delle
ore del tempo scuola, articolazione di percorsi nell’istruzione secondaria, valutazione di sistema.
A partire al 1° settembre 2000, nel nuovo quadro politico e amministrativo descritto, il principio
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche trova applicazione formalmente nel nostro ordinamento.

Il processo giuridico verso l’autonomia scolastica

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Con L’art.21 della legge 59/97: si ha la piena realizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le
funzioni dell’amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione in materia di gestione del
servizio d’istruzione siano progressivamente attribuite alle stesse istituzioni scolastiche, nonchè il
conferimento della qualifica dirigenziale ai capi d’istituto, dopo aver frequentato un apposito corso di
formazione;
con La legge 440/97: vi sono azioni necessarie per poter sviluppare la cultura dell’autonomia nel nostro
ordinamento, attraverso interventi mirati all’innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo
scolastico, la formazione del personale, lo sviluppo della formazione, l’adeguamento dei programmi di
studio.
Il Dpr 275/99: indirizza e disciplina l’applicazione dell’autonomia funzionale, interagendo con gli Enti locali,
promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali e gli obiettivi nazionali del
sistema d’istruzione, attraverso l’elaborazione del Piano di Offerta Formativa, documento fondamentale
costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche.
Il nuovo Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 3/2001): con l’art.117 stabilisce il riparto delle
competenze tra Stato e Regioni; introduce il principio della legislazione concorrente in tema di istruzione e
formazione professionale e eleva l’autonomia delle istituzioni scolastiche a diritto di rango costituzionale.
Nell’ambito della Riforma Costituzionale del Titolo V si prevede una nuova ripartizione dei compiti e dei
poteri tra le diverse istituzioni di questo tipo:
⮚ Competenze esclusive dello Stato, che detiene la competenza legislativa esclusiva relativamente
alle norme generali sull’istruzione e sui livelli essenziali di prestazione regionali con eccezione delle
Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano.
⮚ Competenze esclusive delle Regioni, le quali detengono la competenza legislativa esclusiva
nell’ambito dell’istruzione e formazione professionale.
⮚ Autonomia delle scuole e delle università. Le singole scuole, e le loro reti, possono decidere la
didattica, l’assetto organizzativo, le politiche di ricerca e sviluppo, con un elevato grado di
autonomia e quadro normativo nazionale e regionale.
Le riforma Moratti (L. 53/2003): Moratti riguardano il riordino dei cicli scolastici e soprattutto l’attuazione del
principio dell’alternanza scuola lavoro che permetterà agli studenti di “svolgere l’intera formazione dai 15 ai
18 anni, attraverso l’alternanza di periodi di studio e di lavoro, sulla base di convenzioni con imprese o
associazioni di rappresentanza o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con enti
pubblici privati ivi inclusi quelli del terzo settore, rapporto che non costituisce rapporto individuale di
lavoro”.
A tale riforma si deve anche la possibilità di iscrivere un bambino nella scuola primaria a partire dai 5 anni e 4 mesi
compiuti; l’insegnamento fin dal primo anno di una lingua straniera e dell’uso del computer e di una
valutazione biennale (per es. attraverso i test INVALSI), nonchè l’abolizione dell’esame di 5° elementare
La Riforma Gelmini: entrata in vigore il 1 settembre 2009 per la scuola primaria e secondaria di primo grado,
mentre per la scuola secondaria di secondo grado il 1 settembre 2010. La legge 240/2010 di riforma del
sistema universitario è entrata in vigore nel gennaio 2011.
La riforma Gelmini ha attivato un’ampia revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema
scolastico, nonché la regolamentazione esecutiva per la ridefinizione dei curricola scolastici, dei paini di
studi e dei quadri orario vigenti nei diversi ordini di scuola, con un potenziamento delle ore di lingua inglese
e della lingua italiana per gli alunni stranieri. E’ stata l’ultima riforma del sistema scolastico prima della
«Buona scuola».

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MAX WEBER –
La teoria delle Azioni - I 4 tipi di azione sociale - I 3 tipi di potere – “il potere Burocratico”
Max Weber e la teoria delle azioni.

Nella sociologia è considerato come un tuttologo. E’ un protestante e aderisce alla corrente calvinista.
Ha una formazione molto ferrea dal punto di vista religioso facendo della religione calvinista il suo pane
quotidiano. Impegnato tra lavoro (avvocato) e studio trascorreva le sue giornate scandendo il tempo. Con la
morte del padre visse un momento di crisi allontanandosi dagli studi e intraprese un viaggio in America
dove pose la sua attenzione e i suoi studi sulla religione e sulle sette.
Rispetto a Marx è molto diverso dal punto di vista ideologico e politico perché Weber fu un borghese,
quindi sposa le teorie del liberalismo politico che cercò anche di sostenere anche se non ci riesce a portare
avanti le sue idee in Parlamento. Weber si forma con lo storicismo tedesco e se ne distanzia perché sposa
un approccio troppo soggettivo allo studio della realtà sociale. Essendo però lui un uomo molto preciso,
attento, un grande osservatore, si colloca a metà tra lo storicismo tedesco e il positivismo cioè l'approccio
scientifico delle Scienze Naturali. I punti fondamentali per capire questo approccio e la sua impostazione è
la visione dei valori che gli ha considera come elementi imprescindibili per qualsiasi conoscenza anche
scientifica e per cui anche lo studio scientifico dei fenomeni sociali non può non essere ispirata a dei valori.
Quest’ultimi infatti devono essere messi da parte perché il metodo adottato deve generare risultati
oggettivi senza pregiudizi poichè la scienza non può dare giudizi di valori. Secondo Weber la sociologia
essendo una scienza deve avvalersi di un tipo ideale che è quello strumento concettuale che permette di
conoscere e analizzare i vari fenomeni che vengono studiati.
Weber distingue tre tipi ideali: quello di carattere individualizzante che si riferiscono ai fenomeni che
appaiono solo in un particolare contesto storico culturale; abbiamo poi quelli di carattere più astratto come
l'economia e infine tipi ideali che si riferiscono ai modi in cui soggetti si comporterebbero se fossero spinti
da motivazioni economiche

L'azione secondo Weber è un atteggiamento umano solo se ha una motivazione, un senso attribuito dal
individuo (come mangiare). Se non c'è un senso parliamo di atteggiamento, comportamento, ma non
azione. Il passo successivo è quello di dire che l'azione sociale è differente dall'azione. Si ha una azione
sociale nel momento in cui il senso che si attribuisce all'azione è rivolto/coinvolge un altro (per esempio
regalare qualcosa a qualcuno).
Secondo Weber ci sono 4 tipi di azione sociale:
A. Azione razionale rispetto allo scopo sono quello in cui le aspettative da parte di un soggetto che
compie collazione sono finalizzate al raggiungimento di scopi calcolati preventivamente;
B. Azione razionale rispetto a un valore sono azioni che si compiono con uno scopo che è derivato da
un valore è che nel loro svolgersi compiono una serie di azioni razionali e prevedibili calcolate ad
esempio adesione al volontariato.
C. Azioni determinate affettivamente sono quelli razionali e guidate da sentimenti affettivi emotivi
come l'amore.
D. Azioni determinate tradizionalmente sono quelle ispirate a credenze e costumi.
Mentre la società umana era governata da azioni determinate affettivamente o tradizionalmente o razionali
rispetto al valore, adesso la società tende a razionalizzare in molti dei suoi comportamenti rispetto allo
scopo molto più rispetto al passato. Il passaggio successivo tra l’azione e l’azione sociale è la relazione
sociale, che è quel tipo di comportamento tra più individui che si instaura reciprocamente dove c'è un
minimo di relazione reciproca dell'agire di entrambe le parti e questa relazione reciproca è determinata dal
fatto che i soggetti attribuiscono un senso comune a ciò che fanno. Relazione sociale che è una forma di
interazione sociale ma non è l'unica interazione sociale perché In sociologia si distinguono le relazioni
sociali dai rapporti sociali. I rapporti sociali sono un tipo di interazione sociale che stabiliscono il tipo di

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interazione a prescindere dalla volontà dei soggetti che vi si devono adeguare necessariamente (ad
esempio i rapporti giuridici o i rapporti sociali )e che prescindono una serie di obblighi e regole.
Egli fa una trattazione molto ampia sulle cause della nascita del capitalismo. Nel libro “L'ETICA
PROTESTANTE” e nel libro “LO SPIRITO DEL CAPITALISMO”, due opere degli inizi del 900, egli sviluppa la sua
idea sul capitalismo. Contrariamente al decentramento economico tradizionalistico, nel capitalismo la
ricerca del profitto diventa giustificata e sollecitata anche sul piano etico, parliamo di un guadagno che
serve per essere reinvestito nell'organizzazione imprenditoriale e anzi la ricerca del profitto è quasi un
dovere per l'imprenditore. La diffusione dello spirito del capitalismo secondo Weber è una conseguenza
inintenzionale dell'etica economica del protestantismo e della componente calvinista. L'etica economica
calvinista ha influenzato la nascita del capitalismo industriale perché il calvinismo ha forte l'idea della
predestinazione che viene data da Dio in maniera autonoma, nasce con la grazia di Dio o viceversa. Ciò
determina che è inutile che l'individuo compie azioni per ottenere la grazia di Dio ma può solo vedere se è
un predestinato o non attraverso il successo nella propria vita. Questo genera una sorta di etica nel lavoro
come una sorta di vocazione e non per il godimento del soggetto. Da questa idea nasce la vocazione
all’imprenditorialità dove l'imprenditore guadagna per poter investire nel processo produttivo. Ovviamente
il protestantismo è lo spirito etico che ha generato una nuova visione di imprenditore, ma non unica causa.

Weber Individua una serie di fattori causali ideal-tipici del capitalismo moderno. Innanzitutto il capitalismo
si genera laddove c'è una appropriazione dei mezzi di produzione da parte dell’imprenditore finalizzata al
soddisfacimento di bisogni attraverso il mercato di scambio, quindi aldilà del consumismo sociale.
Questo mercato deve essere libero senza vincoli di carattere sociale. Si forma per la prima volta forza lavoro
finalmente libera, che è caratteristica fondamentale per la nascita del capitalismo. Questo perché il
capitalismo si basa sul calcolo razionale della propria organizzazione costi e profitti, l'imprenditore può
calcolare quale sarà il costo della produzione solo se sa già quanto pagherà il lavoratore salariato e quanto i
lavoratore produrrà. Così come solo mediante la tecnica razionale, l'imprenditore può calcolare
razionalmente quali mezzi di produzione gli serviranno, il loro costo, e quanto questi mezzi gli produrranno.
Un altro fattore causale ideal-tipico e la commercializzazione dell'economia perché l'imprenditore può
vendere parte della propria proprietà, può chiedere un prestito, nascono le società per azioni, nasce la
borsa. Ultimo fattore è quello dell'affermazione dello Stato che garantisce l'applicazione di norme diritti agli
imprenditori. Weber sì interroga sul perché il capitalismo è un fenomeno tipicamente occidentale
deducendo che ci sono alcune condizioni culturali e istituzionali che hanno avuto un ruolo decisivo nel
determinare il capitalismo moderno. La prima condizione culturale è che la religione in cui si è diffuso
maggiormente il capitalismo sono quelle cristiane protestanti perché oltre all'idea della predestinazione
l'etica delle religioni protestanti è l'unica che supera il dualismo, ovvero l'esistenza di etica interna valida
per i membri parentali elettriche esterna applicabile agli estranei che prevede la possibilità di ricercare
profitto. Altri fattori istituzionali sono quelli della città occidentale che è una città autonoma, attiva dal
punto di vista politico, economico, che ha diritti e una forte organizzazione. È quello dello Stato che hanno
organizzazione razionale dei propri funzionari. Ultima condizione situazionale è la scienza razionale proprio
perché in Occidente si afferma molto prima l'idea dell'organizzazione scientifica del Lavoro attraverso il
calcolo razionale, la divisione del Lavoro, la tecnica razionale.
Weber concepisce lo sviluppo economico non come un problema di politica economica ma una costruzione
istituzionale, che si basa su un equilibrio tra stato e società. Weber definisce il potere come “la probabilità
di imporre la propria volontà, all’interno di un rapporto sociale, anche andando contro a ogni resistenza e
qualunque sia il fondamento di tale probabilità”

WEBER : I TRE POTERI (Ideal-tipo)– concetto di potere


Secondo Weber, un Ideal-tipo è uno strumento concettuale costruito partendo dall’analisi di un caso
concreto. Egli definisce il potere come “la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di
un determinato gruppo di uomini”. L’autorità crea il potere a condizione che le persone riconoscano al

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soggetto investito di quell’autorità il diritto di prendere decisioni. Per Weber il potere ha due proprietà
fondamentali:
A. quando viene esercitato in maniera continuativa richiede di essere legittimato, ossia che i
sottoposti lo accettino come legittimo;
B. per essere esercitato ogni potere legittimo ha bisogno di un apparato amministrativo che faccia
da tramite tra il capo e i sottoposti. L’apparato è molto diverso a seconda del tipo di
legittimazione di cui gode il potere.

1. Il primo dei tre tipi di potere è quello TRADIZIONALE. Esso poggia su usanze esistenti da sempre.
Chi lo esercita lo fa rimarcando l’idea che così è sempre stato e la sua autorità deriva, dunque, dal
passato. Un esempio che rientra in questo tipo può essere il potere dei re, o in generale quello dei
genitori. Si tratta, in entrambi i casi, di istituti che non hanno un’origine rintracciabile. Ribellarsi a
questa forma di potere è, almeno all’apparenza, molto difficile. Eppure, se si analizza meglio, si
scopre che, specialmente nell’era moderna, un’autorità così fondata ha radici molto labili. Quando
si arriva a sostenere che tutti hanno diritto di partecipare alla vita politica, infatti, non può più
essere sufficiente per i governanti appoggiarsi a tradizioni stabilite da non si sa chi. I subordinati
vogliono avere voce in capitolo nella gestione del gruppo politico. Ecco, allora, che subentra il
secondo dei tre tipi di potere.
2 Il potere LEGAL-RAZIONALE, come suggerisce il nome, si basa su leggi razionalmente stabilite. Esse
fanno sì che l’autorità dei governanti sia fondata su qualcosa di certo e concreto. Ciò le rende
particolarmente idonee a legittimare il potere in quanto i subordinati possono sempre verificare se
chi lo esercita si stia attenendo o meno alle loro disposizioni. Le leggi, hanno, tuttavia, anche
un’altra caratteristica fondamentale che le fa accettare di buon grado. Essa consiste nel fatto che,
almeno nell’Età Contemporanea, alla loro formazione sono chiamati, seppur indirettamente, tutti i
consociati. Ciò significa che l’autorità dei governanti è legittimata dagli stessi subordinati, e quindi è
più difficile che questi ultimi possano metterla in discussione.
3 L’ultimo dei tre tipi di potere è quello di TIPO CARISMATICO. Come suggerisce il nome, essa si
basa sulla qualità particolare di un unico individuo, che ottiene il consenso degli altri solo in base al
suo valore personale. Questo tipo di potere è, potenzialmente, il più rivoluzionario di tutti. Esso,
infatti, tipico del profeta o del condottiero, può travolgere gli altri due. Se guardiamo ai decenni
successivi a Max Weber, non facciamo fatica a scorgere un esempio di questo tipo di autorità nei
dittatori della triste epoca totalitaria, che il pensatore sembra, quindi, aver preconizzato con
straordinaria lucidità.

(Burocrazia= tipo di potere legal-razionale)

ALCUNE CARATTERISTICHE DEL POTERE BUROCRATICO SECONDO WEBER


L’apparato amministrativo tipico del potere legale è la burocrazia. Anche se forme imperfette o saltuarie di
burocrazia sono già apparse nel passato, in particolare nei grandi imperi dell’antichità, essa assume la sua
forma più completa nelle società moderne.
⮚ A differenza dei poteri carismatico e tradizionale, esso è ACEFALO, vale a dire non ha dentro di sé le
direttive supreme, di natura politica che guidano le scelte generali di un paese o di una
organizzazione.
⮚ Il paradosso è che quanto più un capo politico esercita un potere assoluto, tanto più egli dipende
dall’apparato burocratico per esercitarlo. E’ questo che gli filtra le informazioni su che cosa si può
fare e non fare, a quali costi, in quanto tempo e così via.
I fattori da cui si forma la burocrazia secondo Weber
Vi sono dei prerequisiti che portano al superamento del modello patrimoniale e del feudalesimo ed alla
affermazione della burocrazia e dello Stato moderno:
● il modo di produzione capitalistico basato sul calcolo razionale;

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● la crescita qualitativa e quantitativa dei compiti amministrativi;


● l’affermazione del diritto razionale.
I principi costitutivi della burocrazia
1. Fedeltà di ufficio: è previsto il dovere di obbedienza ai superiori
2. Competenza disciplinata: a ogni dipendente sono affidati compiti specializzati e precisi da svolgere
secondo norme prestabilite.
3. Gerarchia degli uffici: un sistema di subordinazione dell’autorità con poteri di direzione e di
controllo
4. Preparazione specializzata: lavorare in una burocrazia richiede un corso di studi predeterminato per
acquisire le conoscenze necessarie.
5. Concorsi pubblici: per entrare in una burocrazia o per passare a livelli superiori sono previsti dei
concorsi per valutare con criteri universalistici il merito dei concorrenti.
6. Sviluppo di una carriera: si lavora in una burocrazia per tutta la vita attiva, con la possibilità di
ricoprire posizioni più alte e retribuite per merito e anzianità.
7. Attività a tempo pieno: il lavoro svolto in una burocrazia è una professione svolta in modo
continuativo e non può essere una attività secondaria o saltuaria.
8. Segreto di ufficio: la burocrazia prevede la non divulgazione delle pratiche di ufficio e la rigida
separazione tra vita d’ufficio e vita privata dei funzionari.
9. Stipendio monetario fisso: nella burocrazia pura non si ricevono compensi economici diretti dai
clienti o dagli utenti dell’amministrazione.
10. Non possesso degli strumenti del proprio lavoro: da parte dei dipendenti

Altri aspetti della teoria della burocrazia weberiana


❖ Il modello di burocrazia proposto da Weber rappresenta un idealtipo e nella sua implementazione
possono prevalere logiche differenti rispetto alla formulazione teorica originaria.
❖ Nella sua analisi storico-evolutiva Weber evidenzia come la burocrazia non si limita solo allo Stato
ed alle amministrazioni pubbliche, ma si è diffusa e riguarda ogni forma della vita sociale. Le
imprese di mercato, i partiti politici, le organizzazioni di categoria, le scuole, la Chiesa e le
organizzazioni non profit appaiono sempre più amministrate secondo regole impersonali orientate
ad una gestione razionale delle risorse. Per Weber, cioè, tutte le organizzazioni non sono concepibili
se non come burocrazie.
❖ La burocrazia garantisce il massimo di efficacia delle organizzazioni, spersonalizza e standardizza,
opera sulla base della divisione scientifica del lavoro e, per questo, la società moderna non può
farne a meno.

In sintesi:
a. La burocrazia è una struttura centralizzata perché le decisioni critiche sono materia esclusiva del
vertice centrale, mentre le decisioni di routine sono delegate ai livelli inferiori o periferici.
b. La burocrazia è una struttura standardizzata che prevede precise procedure di funzionamento. I
dipendenti sono tenuti a rispettare tali procedure perché: a) si presume che esse siano le più adatte a
raggiungere determinati scopi; b) l’uniformità dei comportamenti permette la sostituibilità degli addetti.
c. Infine, la burocrazia è una struttura rigida perché non prevede cambiamenti. Non è un caso che nel
delineare il modello ideale della burocrazia Weber abbia omesso qualsiasi accenno al cambiamento
organizzativo per adeguarsi alle novità del mondo esterno.

IL CAPITALE SOCIALE
Il capitale sociale secondo Pierre Bordieu
La prima definizione è quella di Pierre Bordieu secolo il quale il capitale sociale, come ogni altro tipo di
capitale (economico, culturale, simbolico e umano), contribuisce a rafforzare e riprodurre le disuguaglianze

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sociali, è dato dall’insieme di risorse attuali o potenziali legate al possesso di una rete stabile di relazioni più
o meno istituzionalizzate.
Il capitale sociale non sono le relazioni, ma le risorse che dalle relazioni si possono ottenere, quindi deriva
dal capitale economico che è alla base degli altri capitali. Nella definizione di capitale sociale dunque
rientrano i beni materiali, purché effettivamente o potenzialmente acquisibili attraverso le reti relazionali.
Ad esempio, il denaro che presto ad un amico è definibile come capitale sociale, perché è frutto di una
relazione sociale ma è anche la risorsa di questa rete di relazione.

Questa definizione è molto vaga ….

Il capitale sociale secondo James Coleman


E’ la definizione più diffusa, per lui esistono vari tipi di capitale sociale:

1) un capitale sociale di obbligazioni e aspettative, che consiste nella relazione tra due o più persone, in cui
l’individuo A fa qualcosa per l’individuo B e ha fiducia che B gli restituisca il favore in futuro. L’obbligazione
di B è definita credit slip, che è il capitale sociale che si genera, cioè un credito da riscuotere in futuro; chi
ha più credit slip (obbligazioni da riscuotere) ha più capitale sociale;
2) Il potere informativo contenuto nelle relazioni sociali. Le relazioni sociali costituiscono una forma di
capitale sociale nella misura in cui forniscono informazioni di carattere informale (per es. i passaparola) utili
per l’azione. informazioni utili per l’economia tramite anche i social
3) Norme e sanzioni efficaci. Per esempio, norme contro il crimine che permettono di circolare più
liberamente e con maggiore sicurezza; la norma di trascurare il proprio tornaconto personale per agire
nell’interesse della collettività, ecc.
4) Relazioni di autorità. Per esempio il trasferimento di proprietà dei diritti di controllo su alcune azioni
(come nel caso del leader carismatico che genera relazioni che formano capitale sociale).
5) Un bene collettivo. In quanto tale non è divisibile e i suoi vantaggi non sono appropriabili
individualmente, ma vanno a tutti coloro che partecipano alla rete.

La definizione di Coleman di C.S. è più ampia, per cui comparando le due definizioni, la prima di Bordieu e
la seconda di Coleman notiamo problemi di definizione, nello specifico:
II capitale sociale sono le risorse, cioè i beni materiali o immateriali, a cui si accede attraverso le reti
personali, oppure sono le relazioni sociali di cui un individuo dispone?
1) Nel primo caso, l’aggettivo “sociale” che accompagna il concetto di “capitale” si riferisce alle modalità di
acquisizione dei benefici. E’ “sociale” perché implica un capitale (valutabile economicamente) ottenuto
attraverso relazioni sociali, ma è il valore di quanto si è ottenuto ad essere considerato capitale.
2) Nel secondo caso, sono le relazioni sociali a essere considerate capitale sociale indipendentemente da
ciò che se ne ricava. In questo caso si pone l’accento sui processi e sui meccanismi che formano le relazioni
sociali che diventano capitale sociale.

Questi due approcci hanno conseguenze diverse rispetto alla misurazione del capitale sociale. In entrambi i
casi, implicano la presenza di: cooperazione, fiducia, reciprocità, riconoscimento, stabilità nel tempo.
Gli studi sul C.S. si sono evoluti con Robert Putnam, un americano che ha studiato la realtà italiana,
ponendo l’accento sulle diseguaglianze fra Nord e Sud.
Attraverso la maggiore o minore presenza di capitale sociale, Putnam spiega le disuguaglianze nello
sviluppo democratico ed economico delle diverse aree territoriali e dei diversi paesi. In particolare, a partire
dal suo lavoro vengono sviluppati due grandi ambiti di ricerca che analizzano:

1. il legame tra capitale sociale e rendimento delle istituzioni e tra associazionismo e fiducia;

2. il legame tra fiducia e sviluppo economico e tra associazionismo e sviluppo economico.

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Riguardo alla 1^ tematica il C.S. nell’ottica di Putman significa diverse cose, non soltanto la fiducia , ma
anche l’insieme di regole civiche , norme che regolano la convivenza e reti di impegno civico, ma anche un
insieme di elementi istituzionali che migliorano l’efficienza dell’organizzazione socilae ( le reti che si
formano nelle associazioni e nelle forme di cooperazione)

Il legame tra capitale sociale e rendimento delle istituzioni


Il capitale sociale, inteso come “fiducia, norme che regolano la convivenza e reti di impegno civico, elementi
che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo”, è
la variabile indipendente che spiega il rendimento delle istituzioni (gestione politica e amministrativa,
dichiarazioni programmatiche, attuazione delle politiche istituzionali).una definizione molto ampia di C.S.
dove Putman vede il C.S. come una sorta di variabile indipendente che spiega il rendimento delle istituzioni:
gestione politica amministrativa, ecc..)

Putnam collega il capitale sociale alla coesione della società, ai meccanismi per cui la società, nel suo
complesso, può non solo funzionare ma essere più democratica e svilupparsi economicamente. Il capitale
sociale diventa, in quest’ottica, l’elemento chiave che facilita la cooperazione e la solidarietà: maggiore
capitale sociale, maggiore democrazia, maggiore sviluppo economico, minori tassi di delinquenza, ecc.

Putman studiando le Regioni Italiane dalla loro nascita sino alla fine degli anni 80, egli collega il cs alla
coesione della società, ai meccanismi per cui la società nel suo complesso, non solo non può funzionare ma
può essere più democratica e svilupparsi economicamente , poiché maggiore cs, maggiore democrazia,
maggiore sviluppo economico, minori tassi di delinquenza, ecc. putman studia le Regioni del Nord e del Sud
e fa queste osservazioni (differenze):

1) le regioni del Nord hanno avuto una tradizione che ha favorito una serie di reti e relazioni di tipo
orizzontale come ad es con i Comuni con cui i cittadini hanno sviluppato una rete relazionale orizzontale
molto più egualitaria e coesa che ha promosso una serie di reti civiche, norme democratiche e reti di
comuni finalizzate allo sviluppo economico: potere politico gestito e condiviso di carattere democratico. Il
Comune è la prima forma di emancipazione economica e sociale, dopo diversi anni in cui i cittadini hanno
avuto dominazioni (relazioni) di tipo verticali, in cui dallo Stato provenivano burocrati che gestivano il
potere applicando norme senza conoscere i territori creando diseguaglianze e problematiche.
2) nelle Regioni del Sud, invece, la situazione è completamente diversa: la popolazione proveniva dalla
dominazione normanna di tipo gerarchica e centralizzata NON ha sviluppato reti civiche, queste reti basate
su norme di reciprocità, non ha sviluppato rete associative di cooperazione e quindi il Capitale Sociale è
stato inferiore a quello del Nord, si sono promossi dei comportamenti che in qualche modo cercavano di
raggirare le ggi che provenivano dallo Stato centrale non condivise e nei confronti delle quali non vi era una
fiducia generalizzata, per cui queste Leggi del Sud hanno sviluppato un minor rendimento delle istituzioni,
non condivise e non accettate anche dopo la 2^ guerra mondiale.

Il legame tra capitale sociale, associazionismo e fiducia


Nella definizione di capitale sociale di Putnam ci mette tre componenti: 1) la fiducia, 2) le norme che
regolano la convivenza e norme di reciprocità, 3) le reti di associazionismo alle quali si aggiungono poi le
reti informali.

Queste tre dimensioni costituiscono un bene pubblico, poiché non appartengono a nessuna delle persone
che le utilizzano e che ne traggono beneficio, e sono definite “risorse morali” poiché la loro presenza
aumenta con l’uso e si esaurisce se non sono utilizzate.
La fiducia e la reciprocità devono essere “generalizzate” cioè non relative alla stretta familiarità con le
persone, ma rivolte agli altri individui della popolazione in generale.
L’associazionismo diffonde fiducia generalizzata e reciprocità generalizzata.

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Il legame tra capitale sociale e crescita o sviluppo economico


All’interno di questi studi, il capitale sociale assume un significato piuttosto ampio ed è declinato:

come capitale sociale governativo: esso è costituito da istituzioni formali come il sistema legislativo e
giudiziario, certezza delle legge, diritti di proprietà, libertà civili e politiche, livello di corruzione governativa
e burocratica;
come senso civico: vale adire come diffusione e partecipazione ad associazioni, comportamenti che
implicano un’attenzione per la cosa pubblica come andare a votare, pagare le tasse, non frodare gli altri,
ecc; come reti di relazioni informali; come fiducia generalizzata.
Tutti i sopra elencati elementi generano sviluppo a livello generale, ma non è chiaro come. (elevati livelli di
CS favoriscono la crescita economica). Elevati livelli di alcune forme di capitale sociale favoriscono la
crescita-sviluppo economico, riducendo i costi di transazione.

Il capitale sociale nello sviluppo locale è una cosa diversa: esso non è solo considerato come una variabile
indipendente ma come variabile dipendente perché necessita sempre di interventi politico istituzionali.

A livello locale ha più valenza il Capitale Sociale nello sviluppo sociale.

Possiamo quindi affermare che:

1) il capitale sociale da solo non è sufficiente ad assicurare sviluppo, ma necessita sempre di interventi
politico-istituzionali che mirano intenzionalmente a creare capitale sociale nei modi e nelle quantità in
grado di generare processi di sviluppo;
2) è’ necessario un coinvolgimento costante dei partecipanti alla rete relazionale. Ma, soprattutto, la
partecipazione deve essere guidata e assicurata dalla presenza di una leadership forte e stabile, capace di
“informare” e trasmettere i vantaggi della cooperazione ai singoli partecipanti;
3) il capitale sociale inoltre essendo un bene collettivo se lo si utilizza aumenta di valore come tutti i beni
pubblici, se non lo si utilizza sparisce, è un bene che si consuma rapidamente;
4) vi è una stretta relazione tra il capitale sociale e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche (che
alcuni chiamano capitale sociale governativo). Le amministrazioni pubbliche devono avere delle leader-ship
capaci di rafforzare reti associative per poter produrre questa fiducia generalizzata, e quindi produrre
maggiore capitale sociale. Laddov, invece, dove le amministarzioni pubbliche sono le prime ad avere dei
comportamenti corrotti, ad incentivare forme di criminalità e a non rafforzare, attraverso le leggi o
iniziative, la FIDUCIA, le reti di associazioni fra cittadini, è ovvio che queste società avranno MENO capitale
sociale.

Successo del concetto di capitale sociale


Questo concetto ha assunto un notevole successo negli ultimi venti-trenta anni, soprattutto nelle scienze
sociali ed economiche, per una serie di ragioni:

- nella sua multidimensionalità, ma a volte nella sua vaghezza, può ben interpretare le diversità presenti
nella società attuali, soprattutto la “società di rete” (network society);
- il capitale sociale può potenzialmente rappresentare un concetto ponte che mette in comunicazione
discipline accademiche affini, a volte antagoniste;
- è stato utilizzato per promuovere prassi di sviluppo ed uguaglianza sociale, anche organismi internazionali
come la Banca Mondiale e l’Unione Europea.

Il capitale sociale a volte può assumere un concetto distorsivo, vedi la mafia, la camorra, ecc, , la criminalità
in generale!

Il capitale sociale secondo Pierre Bordieu

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• Il capitale sociale, come ogni altro tipo di capitale (economico, culturale, simbolico e umano),
contribuisce a rafforzare e riprodurre le disuguaglianze sociali.
• Il capitale sociale è dato dall’insieme di risorse attuali o potenziali legate al possesso di una rete
stabile di relazioni più o meno istituzionalizzate;
• Il capitale sociale non sono le relazioni, ma le risorse che dalle relazioni si possono ottenere. Il
capitale economico è alla base degli altri capitali. Nella definizione di capitale sociale dunque
rientrano i beni materiali, purché effettivamente o potenzialmente acquisibili attraverso le reti
relazionali. Ad esempio, il denaro che presto ad un amico è definibile come capitale sociale.

Il capitale sociale secondo James Coleman

Esistono vari tipi di capitale sociale:

• un capitale sociale di obbligazioni e aspettative, che consiste nella relazione tra due o più
persone, in cui l’individuo A fa qualcosa per l’individuo B e ha fiducia che B gli restituisca il
favore in futuro. L’obbligazione di B è definita credit slip, cioè un credito da riscuotere in futuro.
• Il potenziale informativo contenuto nelle relazioni sociali. Le relazioni sociali costituiscono una
forma di capitale sociale nella misura in cui forniscono informazioni di carattere informale (per
es. i passaparola) utili per l’azione.
• Norme e sanzioni efficaci. Per esempio, norme contro il crimine chepermettono di circolare più
liberamente e con maggiore sicurezza; la norma di trascur are il proprio tornaconto personale
per agire nell’interesse della collettività, ecc.
• Relazioni di autorità. Per esempio il trasferimento di proprietà dei diritti di controllo su alcune
azioni (come nel caso del leader carismatico).
• Un bene collettivo. In quanto tale non è divisibile e i suoi vantaggi non sono appropriabili
individualmente, ma vanno a tutti coloro che partecipano alla rete.

Problemi di definizione

II capitale sociale sono le risorse, cioè i beni materiali o immateriali, a cui si accede attraverso le reti
personali, oppure sono le relazioni sociali di cui un individuo dispone?

1. Nel primo caso, l’aggettivo “sociale” che accompagna il concetto di “capitale” si riferisce alle
modalità di acquisizione dei benefici. E’ “sociale” perché implica un capitale (valutabile economicamente)
ottenuto attraverso relazioni sociali, ma è il valore di quanto si è ottenuto ad essere considerato capitale.
2. Nel secondo caso, sono le relazioni sociali a essere considerate capitale sociale indipendentemente
da ciò che se ne ricava. In questo caso si pone l’accento sui processi e sui meccanismi che formano le
relazioni sociali che diventano capitale sociale.

Questi due approcci hanno conseguenze diverse rispetto alla misurazione del capitale sociale.
- In entrambi i casi, implicano la presenza di: cooperazione, fiducia, reciprocità, riconoscimento,
stabilità nel tempo.

Il legame tra capitale sociale e rendimento delle istituzioni

- Il capitale sociale, inteso come “fiducia, norme che regolano la convivenza e reti di impegno civico,
elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di
comune accordo”, è la variabile indipendente che spiega il rendimento delle istituzioni (gestione
politica e amministrativa, dichiarazioni programmatiche, attuazione delle politiche istituzionali).
- Putnam collega il capitale sociale alla coesione della società, ai meccanismi per cui la società, nel
suo complesso, può non solo funzionare ma essere più democratica e svilupparsi economicamente.

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Il capitale sociale diventa, in quest’ottica, l’elemento chiave che facilita la cooperazione e la


solidarietà:
maggiore capitale sociale, maggiore democrazia, maggiore sviluppo economico, minori tassi di
delinquenza..
Il legame tra capitale sociale, associazionismo e fiducia
Nella definizione di capitale sociale di Putnam ci sono tre componenti: fiducia, norme che regolano la
convivenza e norme di reciprocità, reti di associazionismo alle quali si aggiungono poi le reti informali.

- Queste tre dimensioni costituiscono un bene pubblico, poiché non appartengono a nessuna delle
persone che le utilizzano e che ne traggono beneficio, e sono definite “risorse morali” poiché la loro
presenza aumenta con l’uso e si esaurisce se non sono utilizzate.
- La fiducia e la reciprocità devono essere “generalizzate” cioè non relative alla stretta familiarità con
le persone, ma rivolte agli altri individui della popolazione in generale.
- L’associazionismo diffonde fiducia generalizzata e reciprocità generalizzata.

Il legame tra capitale sociale e crescita o sviluppo economico


All’interno di questi studi, il capitale sociale assume un significato piuttosto ampio ed è declinato:

- come capitale sociale governativo: istituzioni formali come il sistema legislativo e giudiziario,
certezza delle legge, diritti di proprietà, libertà civili e politiche, livello di corruzione governativa e
burocratica;
- come senso civico: diffusione e partecipazione ad associazioni, comportamenti che implicano
un’attenzione per la cosa pubblica come andare a votare, pagare le tasse, non frodare gli altri, ecc;
- come reti di relazioni informali;
- come fiducia generalizzata.
- Elevati livelli di alcune forme di capitale sociale favoriscono la crescita-sviluppo economico,
riducendo i costi di transazione.

Il capitale sociale nello sviluppo locale


Il capitale sociale da solo non è sufficiente ad assicurare sviluppo, ma necessita sempre di interventi
politico-istituzionali che mirano intenzionalmente a creare capitale sociale nei modi e nelle quantità in
grado di generare processi di sviluppo. E’ necessario un coinvolgimento costante dei partecipanti alla rete
relazionale. Ma, soprattutto, la partecipazione deve essere guidata e assicurata dalla presenza di una
leadership forte e stabile, capace di “informare” e trasmettere i vantaggi della cooperazione ai singoli
partecipanti.
- Il capitale sociale si consuma rapidamente.
- Vi è una stretta relazione tra il capitale sociale e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche
(che alcuni chiamano capitale sociale governativo).

Successo del concetto di capitale sociale


Questo concetto ha assunto un notevole successo negli ultimi venti-trenta anni, soprattutto nelle scienze
sociali ed economiche, per una serie di ragioni:

- nella sua multidimensionalità, ma a volte nella sua vaghezza, può ben interpretare le diversità
presenti nella società attuali, soprattutto la “società di rete” (network society);
- il capitale sociale può potenzialmente rappresentare un concetto ponte che mette in
comunicazione discipline accademiche affini, a volte antagoniste;
- anche organismi internazionali come la Banca Mondiale e l’Unione Europea lo hanno utilizzato per
promuovere prassi di sviluppo e uguaglianza sociale.

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La devianza (prima parte)


Definizione di devianza

La devianza è ogni atto o comportamento di una persona o di un gruppo che viola le norme di una
collettività, siano esse formali (come nel caso del furto) o informali (come vestirsi in maniera inappropriata
in una data situazione sociale), per sfuggire alla pressione sociale verso la conformità e con la conseguenza
di subire qualche forma di sanzione.
La devianza non è una proprietà di certi atti o comportamenti, ma una qualità che deriva dalle risposte,
dalle definizioni e dai significati attribuiti a questi dai membri di una collettività (o dalla grande maggioranza
di questi).
Poiché le risposte della collettività variano considerevolmente nello spazio e nel tempo, un atto può essere
considerato deviante prevalentemente in riferimento al contesto socioculturale in cui ha luogo (concezione
relativistica della devianza). Es. Nel medioevo erano considerati “normali” atteggiamenti come urinare per
strada, che ai giorni nostri sarebbe inconcepibile.
Potrebbe essere deviante sia un comportamento violento ma anche a chi “è fuori dal coro” cioè che non si
comporta in modo conforme a tutti gli altri. Potrebbe essere deviante anche un artista un po eccentrico…
Il comportamento degli individui ha un range rappresentato da un aspetto comportamentale definibile
come “integrato sociale” ( aspetto non deviante poiché tutti gli individui hanno ben chiare le regole, le
norme o i valori di una società e sono capaci di perseguirli senza difficoltà) e l’altro aspetto definibile
“anomia” (senza norme, termine coniato da Durkheim che identifica quello stato di tensione che
affliggerebbe l'individuo qualora sia posto in un contesto sociale debole o sia incapace di porre regole e
valori sociali condivisi e riconosciuti). A seconda del tipo di società, troviamo un “punto di devianza”, ovvero
il punto in cui un gruppo o una società ritiene di non poter più accettare, tollerare il comportamento
difforme dalla norma e associa ad esso una sanzione.

Si possono distinguere alcuni principali filoni interpretativi:


⮚ Il paradigma utilitaristico
⮚ Il paradigma positivista
⮚ Il paradigma sociale
⮚ La teoria dell’etichettamento

Il paradigma utilitaristico
Ha origini nel periodo illuministico (XVIII secolo) e nella scuola classica di diritto penale, in particolare
Beccaria, sostiene che alla base della consumazione di un reato vi è esclusivamente l’intenzionalità
dell’uomo il quale, sceglie o meno di optare per un’azione deviante (razionalità delle scelte devianti). Siamo
di fronte a soggetti che sono totalmente responsabili delle proprie azioni, e per questo meritevoli di
scontare una pena giusta, retributiva, che rappresenti un deterrente e che sia educativa. Nel momento in
cui cogli un atto o un comportamento deviante devi punire il soggetto in maniera proporzionale con la
finalità di indurre il soggetto, attraverso la pena, a non ripetere il suo comportamento deviante.
Gli aspetti deboli di questo paradigma sono :

1. ritenere esclusivamente volontà del singolo il comportamento deviante e che l’unico modo per
impedirgli il reiterarsi di tale comportamento è infliggere allo stesso pene certe e severe,
trascurando tutte quelle azioni finalizzate ad intervenire sulle cause sociali che conducono alla
criminalità;
2. La presunta equità e la supposta portata deterrente della sanzione (è una pena giusta e indurrà il
soggetto a non deviare più?. Un caso attuale è la recidiva: nonostante il carcere il delinquente
continua d avere un aspetto deviante)

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3. Non solo ci sono cause sociali ma ci sono anche fattori di contesto che influenzano il suo
comportamento.

In sintesi è un paradigma troppo individualistico, troppo rigido e standardizzato

Il paradigma positivistico
Secondo le teorie bio-antropologiche (XIX secolo), c’è una stretta correlazione tra comportamento deviante
e variabili quali il genere, l’età, la condizione economica. Il comportamento deviante non può essere solo il
frutto di una scelta consapevole dell’individuo, poiché l’individuo non è completamente in grado di
scegliere razionalmente la propria condotta, poiché condizionato da fattori sociali e antropologici. Questi
ultimi vengono posti alla base anche del positivismo biologico che definisce il criminale come un individuo
condizionato a livello genetico, che presenta anomalie di natura fisico-biologica le quali condurrebbero
all’insensibilità morale, al crimine e alla devianza in genere.

Il paradigma sociale
Risale al XIX secolo e incentra la sua attenzione sul ruolo che la variabile socio-ambientale-culturale ricopre
nell’orientare i comportamenti degli individui, anche quelli devianti.
Robert Merton ritiene la devianza l’esito di una possibile tensione o mancata integrazione tra le mete
definite da un contesto culturale e i mezzi istituzionalizzati che la relativa struttura sociale fornisce per
realizzarle.
Le mete culturali rappresentano quegli obiettivi generali che danno senso all'esperienza della vita. I membri
di una società, in una data epoca adottano le mete che la cultura prospetta in una forma quasi categorica.
La società propone anche i mezzi idonei (e legittimi) per conquistare dette mete, ma spesso
sovradimensiona l'importanza di alcune mete, mentre non sottolinea, con altrettanta importanza, le
procedure istituzionali che devono essere adottate per il perseguimento dello scopo condiviso. Molti
individui, sottoposti ad una particolare tensione per il raggiungimento della meta, propendono per il
procedimento che si mostra più efficace tecnicamente, sia esso legittimato o meno culturalmente.

(Intro su Merton)
In contrapposizione a l'idea dei funzionalisti di costruire una teoria onnicomprensiva, è considerato
l'iniziatore della Sociologia delle Scienze. Rimodula fondamenti della sociologia considerando il rapporto tra
teoria e ricerca entrambi considerati a suo giudizio strettamente legati e necessari alla possibilità
conoscitiva. La teoria scruta la ricerca e la ricerca affine alla teoria.

Arriva alla conclusione che la conoscenza sociologica non può produrre una teoria generale. Essendo la
teoria e la ricerca interconnesse, la sociologia può costruire solo teorie a medio raggio le quali non sono la
semplice descrizione di un fenomeno sociale, piuttosto teorie che si concentrano su un dato oggetto di
studio avanzando una serie di presupposti da cui derivare e verificare empiricamente delle ipotesi
specifiche.
Dunque le teorie di medio raggio dovrebbero secondo Merton essere il punto di congiunzione tra l'insieme
dati senza una struttura teorica e la teoria senza supporto empirico. Teorie basate su un numero limitato di
presupposti assenti da cui si possono derivare ipotesi specifiche verificabili empiricamente teorie che
dovrebbero poi consolidarsi in un quadro teorico generale. Secondo Merton inoltre il funzionalismo È
accettato solo se è concepito come analisi funzionale incentrata a interpretare i dati fattuali in relazione ai
loro effetti nelle strutture sociali. La funzione sociale è riferita esclusivamente a conseguenze oggettive e
non soggettive dell'attore sociale.

La labeling theory di Lemert e Becker

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Nasce all’interno dell’interazionismo simbolico. Fra coloro che commettono atti devianti e gli altri non vi
sono differenze profonde né dal punto di vista dei bisogni né da quello dei valori. Difatti, nella nostra
società, ad un altissimo numero di persone succede, almeno una volta nella vita, di violare una norma in
modo più o meno grave. Ma un conto è commettere un atto deviante (mentire, rubare qualcosa, fare uso di
droga), un altro conto è suscitare una reazione sociale. In questo secondo caso, un individuo viene bollato
con un marchio, un’etichetta, un ruolo. In sostanza, la devianza non nasce dall’individuo, ma nasce dalla
società, nel senso che è la collettività stessa a creare la devianza, istituendo norme la cui infrazione
costituisce la devianza stessa: chi viola tali regole sarà etichettato come individuo deviante.

Il processo di etichettamento
Caratterizza la risposta, sia a livello espressivo (indignazione), sia esecutivo (etichettamento e controllo del
deviante) da parte della collettività.
L’etichettamento non costituisce una dinamica infallibile: lo dimostra il fatto che possono essere etichettati
come devianti individui che pure non hanno commesso alcuna trasgressione, e risparmiati soggetti
effettivamente violatori.
Bisogna distinguere, infine, tra devianza primaria e devianza secondaria.

Devianza e controllo sociale

● Per controllo sociale si intende l’insieme dei meccanismi, delle azioni reattive e delle sanzioni che
una collettività elabora e impiega allo scopo sia di prevenire la devianza d’un soggetto individuale o
collettivo da una norma di comportamento, sia di eliminare una devianza avvenuta ottenendo che il
soggetto riprenda a comportarsi in conformità alla norma, sia infine di impedire che la devianza si
ripeta o si estenda ad altri.

Strettamente legata al processo di controllo sociale è la ritualità o i riti sociali:

● Il rispetto di regole e norme è legato non soltanto al timore della punizione, ma anche alla ricerca di
ricompense (come riconoscimenti e promozioni). Per questo i sociologi sono soliti distinguere tra
controllo formale (o esterno) e controllo informale o (interno).
● Tra le forme di controllo sociale si distinguono: la costrizione, l’incentivazione la distrazione, la
manipolazione.
● Attraverso le sue varie forme, il controllo sociale serve al mantenimento dell’integrazione sociale
che si traduce nell’esistenza di un equilibrio sociale e di un certo grado di consenso, presente nei
membri della società in relazione ai valori, le norme, la distribuzione del potere e dei ruoli sociali
dominanti.

In conclusione:

Nessuno degli impianti teorici descritti è in grado di rispondere ai caratteri di universalità e di esaustività, in
quanto analizzano l’atto deviante, considerandolo da un solo punto di vista (individuale, ambientale,
sociale).

La difficoltà nel cercare di racchiudere la devianza in una rigida cornice classificatoria deriva dal fatto che
essa è una diretta conseguenza dell’agire umano e come tale soggetta a modificazioni costanti, dovute al
mutamento di norme informali e di consuetudini che essi stessi hanno contribuito a costruire.

Se ci si limitasse ad assumere la devianza nel suo significato letterale, probabilmente, vivremmo in un


mondo in cui nessuno risulterebbe essere immune alla devianza stessa. Bisogna quindi cercare di studiare i
fenomeni devianti distinguendo tra eventi scarsamente preoccupanti e fenomeni di allarme sociale.

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Come studiare la devianza nella società?

La Scuola ecologica di Chicago ha studiato per prima processi di disgregazione sociale, analizzando gli effetti
sociali dell'urbanizzazione e avviando delle ricerche sociologiche sui social problems (alcolismo,
tossicodipendenza prostituzione, vagabondaggio) e sulle manifestazioni devianti, frutto della
disorganizzazione sociale.

Altri studi sulla devianza riguardano tutti i fenomeni legati alla criminalità, alla sessualità, a nuovi
comportamenti come il bullismo, lo stalking, le violenze familiari, etc.

I metodi per studiare le forme di devianza possono essere diverse a seconda del contesto di indagine.

Divisione del lavoro sociale e progresso in Durkheim


Durckheim cerca di evidenziare gli elementi conflittuali dell'ordine sociale. Egli si è soffermato sulle
conseguenze negative della divisione del Lavoro, principale innovazione nella società capitalista che sia
comunque in grado di produrre benessere per la collettività. È un positivista e tratta lo studio dei fenomeni
sociali in maniera molto oggettiva basata su studi e su statistiche senza filosofeggiare ma cerca di studiare
fenomeni che possono essere effettivamente oggettivati.

Altro tema centrale è L'ordine sociale e le cause del disordine sociale legati a interessi individuali e lotte per
il potere, tutto ciò determina una critica all'individualismo da parte di Durkheim il quale ritiene errate le
spiegazioni degli economisti secondo cui la divisione del lavoro si svilupperebbe per cause esclusivamente
individuali e psicologiche cioè la divisione del lavoro non è altro che il frutto per perseguire un maggiore
benessere (benessere economico).

Secondo Durkheim la felicità può essere solo l'effetto della produzione del lavoro ma non la causa, contesta
inoltre che la divisione del lavoro produca Maggiore felicità non è così scontato proprio perché la felicità, il
benessere economico derivano da molti altri fattori. Anzi sostiene che la divisione del lavoro produca anche
come effetto secondario un aumento del tasso dei suicidi. La società che presenta una maggiore densità di
popolazione genera anche una maggiore densità morale cioè le persone cominciano ad avvicinarsi negli
interessi e negli obiettivi per cui avviene il passaggio da una solidarietà meccanica a una solidarietà
capitalistica, Ciò significa che la solidarietà meccanica, data quasi per scontata, imposta non
consapevolmente scelta. Il passaggio ad una nuova solidarietà capitalistica genera tipi di società organica
perché come in un organismo ogni parte svolge una funzione specifica per la vita stessa dell'organismo, è
costretta a collaborare con le altre parti che compongono l'organismo stesso. Con il capitalismo abbiamo il
passaggio da un individuo che produce tutto quel che poteva produrre ad un individuo che si specializza in
un settore e che quindi avrà bisogno di un altro per soddisfare quei bisogni che non è in grado di soddisfare
da sé

La soluzione di Durkheim è la costituzione di una società meritocratica in cui ci sono norme e istituzioni che
garantiscono una uguaglianza nelle condizioni esterne alla lotta e che non ci sia nessun ostacolo di qualsiasi
natura che impedisca all'individuo di occupare il posto rispondente alla propria felicità .Ci vuole poi una
corrispondenza tra il valore di scambio è il valore sociale della prestazione cioè ad ogni lavoro deve essere
giustamente retribuito per cercare di accrescere la solidarietà Durkheim pensa alle necessità di creare
istituzioni che sostituiscono le vecchie comunità e che creino aggregazione tra i soggetti condivisione di
norme di regole istituzioni che lui definisce corporazioni che sono composte da datori di lavoro e che
devono essere obbligatorie per i lavoratori, in grado di stimolare la formazione di legami morali tra soggetti
coinvolti in determinate attività rafforzando la solidarietà organica.

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Sicuramente la divisione del Lavoro la specializzazione dei lavoratori può migliorare l'innovazione
economica solo se c'è una divisione che non sia coercitiva del lavoro ;solo se l'individuo è libero di
sviluppare le proprie facoltà, perché ciò incentiva l'innovazione. Ci deve essere una società meritocratica
che permette a tutti l'uguaglianza delle opportunità perché queste sono tutte condizioni di sine qua non. La
specializzazione non deve essere associata ad una dequalificazione.

Anomia = senza norme, termine coniato da durkheim che identifica quello stato di tensione che
affliggerebbe l'individuo qualora sia posto in un contesto sociale debole o sia incapace di porre regole e
valori sociali condivisi e riconosciuti. senza la guida della società l'individuo non sarebbe in grado di porre il
freno alle sue aspettative e ai suoi desideri cadendo in uno stato di angoscia e tristezza di fronte all'
impossibilità di realizzare le ambizioni stesse.(c è il desiderio di un fine ma non ci sono le condizioni per
soddisfarlo)

la divisione coercitiva si ha quando ad un individuo è assegnato un certo lavoro in virtù delle posizioni
sociali che gli occupa e non in base ai suoi meriti o alle sue capacità (costretto a non poter seguire proprie
aspirazioni e non remunerata comunque abbastanza)

La critica all’economia neoclassica

Le cause individualistiche della divisione del lavoro:


- Secondo gli economisti la divisione del lavoro si svilupperebbe per “cause esclusivamente
individuali e psicologiche”, ovvero perché essa aumenterebbe i vantaggi goduti dai singoli – il loro grado di
felicità – consentendo un maggior benessere economico.
- Per Durkheim questa spiegazione è errata perché i vantaggi in termini di maggiore produttività e di
benessere non potevano essere facilmente anticipati e compresi dai singoli individui, spingendoli così a
specializzarsi. Inoltre, la divisione del lavoro non è detto che produca maggiore felicità o benessere per gli
individui (vedi aumento dei suicidi).

Le cause non individualistiche della divisione del lavoro:


- L’aumento di «densità materiale» e «densità morale».
- Dalla solidarietà «meccanica» alla solidarietà «organica».

La divisione coercitiva:
Le regole che presiedono alla distribuzione del lavoro diviso possono essere coercitive in un duplice senso:
1. nell’assegnazione dei singoli individui ai ruoli specializzati;
2. nella regolazione delle ricompense del lavoro che viene prestato in tali ruoli.

La soluzione di Durkheim ai problemi della divisione sociale del lavoro

● La costituzione di una società meritocratica, attraverso norme e istituzioni che garantiscano


“l’assoluta uguaglianza delle condizioni esterne alla lotta”, cioè che “nessun ostacolo di qualsiasi
natura impedisca agli individui di occupare nei quadri sociali il posto rispondente alle loro facoltà”.
● Affinché una società basata sulla divisione del lavoro generi solidarietà è anche necessario che le
remunerazioni di ciascuno tendano a corrispondere alla effettiva utilità per la società dei servizi
prestati, ovvero che vi sia corrispondenza tra valore di scambio e «valore sociale» delle prestazioni.
● La costituzione di «corporazioni» dei lavoratori obbligatorie, in grado di stimolare la formazione di
legami morali tra i soggetti coinvolti in determinate attività rafforzando la solidarietà organica.

Di conseguenza:

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Affinché la divisione del lavoro alimenti la collaborazione e, potenzialmente la capacità innovativa dei
lavoratori è necessario che:
a) il lavoro non venga impoverito eccessivamente, poiché altrimenti si genera dequalificazione;
b) che vi sia anche un coinvolgimento soggettivo verso le finalità del lavoro e nel gruppo di lavoro.

L’innovazione non è frutto solamente della specializzazione e della differenziazione, ma richiede:


a) coinvolgimento soggettivo (ovvero motivazioni intrinseche);
b) l’esplorazione e la combinazione di elementi diversi;
c) spesso un coordinamento e un lavoro di gruppo.

La visione di Karl Marx dell’economia e del lavoro


Nella metà dell'800 l'Europa era in piena fase industriale e si cominciavano a vedere le conseguenze del
processo di industrializzazione soprattutto in Francia o in Inghilterra dove Marx si forma. egli critica
soprattutto il fatto che l'economia classica non è riuscita a trovare delle risposte alla questione sociale Cioè
la situazione di estremo impoverimento delle classi operai che si crea subito dopo la prima fase della
Rivoluzione Industriale le quali sono sfruttate e non sono riuscite a soddisfare un tenore di vita decoroso. Il
socialismo inizia a criticare una idea di base della proprietà privata gli assunti del capitalismo e
dell'economia classica uno dei primi socialisti oltre San Simon è stato prodotto il quale critica al socialismo
partendo dall'idea che la proprietà privata è un furto perché viene assegnata ai soggetti che poi sfruttano la
proprietà privata non lavorando vi e quando producendo una sfruttando il lavoro salariato di altri per
arricchirsi a loro spese .quando bisogna abolire qualsiasi proprietà privata così come qualsiasi forma di
organizzazione politica perché la politica a creare la vita privata in questo modo l'organizzazione della
società verrebbe assegnata ad un organizzazione scientifica razionale che consente di creare uguaglianza
tra le varie classi anche se risulta ovvio che il socialismo di proudhon è utopia e comunque un'ispirazione
per Marx La prima affermazione di base è l'idea che la struttura economica e quella primaria le restanti
sono tutte sovrastrutture dal punto di vista sociologico il concetto di struttura indica l'insieme di quelle
relazioni stabili tra le diverse parti che compongono una realtà sociale. la struttura sociale e la base
fondamentale su cui si erigono tutti gli altri tipi di rapporti i rapporti e le relazioni stabili per Marx sono
quelli economici i rapporti di produzione su cui si regge la società attraverso poi tutte le altre sovrastrutture
sociali quale la politica la religione ect.

La struttura economica è alla base della società ed è da questa che derivano tutte le altre strutture questo
pensiero di Marx sarà successivamente ampiamente criticato.

Nell'ambito della struttura economica distingue tre aspetti specifici quali il modo di produzione che è
a)l'insieme b)dei mezzi di produzione e c) da tutti i rapporti di produzione che si instaurano in un certo
momento e che dell'insieme gelano le sovrastrutture.

Secondo Marx la società si evolve sempre allo stesso modo egli sostiene che l'uomo lotta da quando è
iniziato ad esistere sempre contro la natura per poter ottenere i mezzi che Gli permettono di sopravvivere e
di migliorare la propria qualità della vita e questo perché l'uomo è sempre insoddisfatto di quello che la
natura gli offre è proprio da questi insoddisfazione che nasce il mutamento sociale che non è altro che un
mutamento materialistico questo conflitto tra uomo e natura non è un conflitto tra il singolo e la natura in
quanto l'uomo ha sempre l'esigenza di associarsi ad altri per soddisfare le proprie esigenze e di
assoggettarsi a sua volta ad altri soggetti per poter avere abbastanza mezzi di sussistenza per se stesso
generando quindi un eterna lotta tra classi sfruttatrici e classi sfruttate . nonostante le innumerevoli lotte
fra classi sfruttate e classi sfruttabili solo la lotta tra capitalisti e proletari assegnato con cambiamento un
cambiamento nella storia e nell'evoluzione della società perché il proletariato detiene degli importanti
mezzi di produzione ed ha quindi la forza di contrapporsi con i capitalisti in maniera deficitaria. Questo
scenario ci permette di comprendere una delle teorie più importanti di Max la teoria delle classi sociali. la

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teoria delle classi sociali che in realtà non esiste Cioè non ha mai formulato un concetto e una definizione di
classe ma per convenzione ,praticità si tende a rappresentarla in questo modo.

Per classe sociale si intende un insieme di persone che si trova a svolgere all'interno di un'organizzazione
sociale una funzione simile secondo l'economia classica le classi non esistono ognuna a prescindere
dall'appartenenza va considerata individualmente.

secondo Marx classe coincide con la posizione di potere economico che essa assume la società anzi i
soggetti individualmente dal punto di vista economico non vengono considerati. la storia la storia di ogni
società finora esistita come afferma nel manifesto del patto del Partito Comunista e storia di lotta di classi
ed i singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un'altra
classe per il resto esistessi si ritrovano l'uno contro l'altro come nemici .un'altra Concezione molto
importante del pensiero di Marx e la concezione dell'alienazione inizia una caratteristica che si genera con
la rivoluzione industriale e ne fa uno dei principali principi base della sua teoria questo perché secondo
Marx il concetto di alienazione è quello che spinge la classe operaia ad organizzarsi e a prendere coscienza
della sua relazione del suo sfruttamento e quindi ad intraprendere una lotta che sarà vittoriosa contro i
capitalisti.

Per la prima volta questa impotenza È evidente come non lo è mai stato questo perché Marx comincia a
parlare della nazione a partire dalla teoria del Plus lavoro il lavoratore salariato tende a produrre più di
quanto è stato pagato quindi il capitalista sfrutta il lavoro più di quanto lo paga generando una plusvalenza
minusvalenza che l'imprenditore cercherà sempre più di aumentare diminuendo il salario del lavoratore o
aumentando le sue ore di lavoro. Il percepire di essere sfruttato General alienazione dell'operaio più
precisamente 4 di Viale Nazione il lavoratore viene allenato dal prodotto del suo lavoro dalla propria attività
perché anche se libero non può produrre in maniera libera e creativa dalla propria essenza perché non sa
più chi è e dal suo prossimo perché non ha più la possibilità di instaurare relazioni con altri

Da questo concetto fa derivare la sua teoria per cui le classi una volta che prendevano coscienza del proprio
sfruttamento della propria alienazione del Plusvalore che non gli viene riconosciuto riusciranno a instaurare
questa lotta contro i capitalisti lotta che vinceranno. È solo dopo la vittoria della classe sfruttata che la storia
si fermerà e ci sarà una società senza più classi. La teoria di Marx pecca di determinismo economico Cioè
per Marx l'economia Essendo la struttura portante determina tutto il resto. Max Weber critica Marx perché
la visione di Marx è sicuramente utile per far comprendere un punto di vista attraverso cui si è sviluppata la
società del capitalismo Ma la società è talmente tanto complessa e articolata che attraverso un punto di
vista metodologico bisogna studiare più punti di vista per comprendere la realtà. Acquisto c'è anche la
critica che non ha indovinato la sua profezia in quanto la lotta tra classe operaia e capitalisti non è mai
avvenuta.

Karl Marx

In contrasto con Comte e Durkheim. In esilio in Inghilterra assistette alla rivoluzione industriale ai
cambiamenti sociali che portò. Il suo obiettivo principale era di collegare i problemi economici alle
condizioni sociali si concentrano soprattutto sullo sviluppo del capitalismo un sistema di produzione
costituito da capitale inteso come mezzi di produzione e lavoro salariato che hanno lavoratori che non
possedendo il capitale offrono la manodopera.

I capitalisti formavano la borghesia che era la classe dominante e la grande massa dei Lavoratori invece
formavano il proletariato che era la classe subordinata. Identifica quindi il capitalismo come un sistema
classista basato su un rapporto conflittuale tra classi nonostante entrambe le classi dipendono l'una
dall'altra il rapporto reciproco è molto sbilanciato. Per Marx i conflitti tra classi era il motore della storia che
porta a continui cambiamenti digli fiori zona rivoluzione dei Lavoratori che avrebbe dato vita a una nuova
società con l'assenza di divisione tra proprietario lavoratori, il comunismo.

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La società non sarebbe più stata divisa tra classi di pochi e massa di proletari il modo di produzione si
sarebbe organizzata attorno a una proprietà in Comune per un ordine sociale più egualitario
progressivamente il marxismo perdere terreno dalla rivoluzione in Polonia dell'89 al crollo del comunismo
nell'urss.

L’evoluzione della società secondo Marx


⮚ Il concetto di materialismo storico.
⮚ Il conflitto sociale alla base del processo storico: l’eterna lotta tra classi sfruttatrici e classi sfruttate.
⮚ La specificità della lotta tra capitalisti e proletariato.

La teoria del conflitto è la principale opposizione al funzionalismo come chiave interpretativa della società i
funzionalisti considerano la società come dei sistemi in cui tutte le parti dipendono le une dalle altre e
funzionano insieme per creare un equilibrio: questi ultimi non negano l'esistenza del conflitto ma credono
che la società produca dei sistemi per controllarlo, sistemi che tra l'altro sono il loro oggetto di studio. I
conflittualisti invece vedono la società come un'area in cui i gruppi lottano tra loro per il potere mentre il
controllo del conflitto consiste nel fatto che per un certo tempo,un gruppo riesce a prevalere sui propri
oppositori. Il funzionalismo viene nel sistema giuridico uno strumento di Integrazione sociale i teorici del
conflitto lo considerano come un mezzo per la conservazione dell'ordine classista. Tre sono i presupposti
fondamentali per i conflittualisti: 1 individui possiedono alcuni interessi di base, comuni a tutte le società 2
Il potere è al centro delle relazioni sociali Ma essendo scarso e distribuito in modo disuguale crea conflitto 3
il valore e le idee sono armi usate da diversi gruppi per raggiungere i propri scopi essendo espressione di
interessi egoistici.

Nonostante Questi elementi di base condivisi esistono due filoni di pensiero di cui i padri fondatori sono
Marx e Weber. Un primo gruppo di teorici definiti critici ritiene che i sociologi abbiano L'obbligo morale di
impegnarsi nella critica della società. E si rifiutano che si possa separare l'analisi dal giudizio. In linea di
principio sono convinti che possa esistere una società senza conflitto per questo vengono considerati
utopisti. l'ideatore di questo pensiero è Marx.

Il secondo gruppo di teorici definiti analitici considera invece il conflitto come aspetto inevitabile è
permanente della vita sociale punto essendo impegnati nella fondazione di scienze sociali che rispettino gli
stessi canoni di obiettività delle Scienze Naturali. L'ideatore di questo pensiero è Weber. Essi condividono lo
stesso interesse per due fenomeni: primo fenomeno in modo in cui le posizioni sociali procurano potere a
coloro che le occupano. Secondo fenomeno il ruolo delle idee nel riconoscere o negare legittimità a una
determinata posizione sociale. Weber non era in disaccordo con la visione marxista fondata sul idea di
interesse come metodo del comportamento umano Ma riteneva che Marx avesse dato nell'identificare i
fattori economici come unica determinante della struttura sociale. La religione l'istruzione è la politica
possono secondo Weber essere fonti altrettanto rilevanti di potere e prestigio punto Weber in particolare
distingue tre categorie sociali classi Ceti e partiti. Per classi Insieme di individui che condividono la stessa
posizione economica o status. CT è un gruppo caratterizzato non dalla posizione economica ma dallo stile di
vita. Partiti associazione avente lo scopo di conquistare per i propri capi una posizione di potere che
consente loro di ottenere vantaggi ideali o materiali per i propri membri.

Gli elementi principali della teoria del conflitto sono stati elaborati da Marx e Weber ma numerosi studiosi
hanno elaborato teorie simili:

-La teoria delle Elite la quale afferma che non organizzazione solo un membro solo un numero ristretto di
individui può esercitare l'autorità, il che li pone automaticamente in contrasto con i propri sottoposti,
conflitto inevitabile dato l'interesse egoistico e la natura ineguale del potere.

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-Ralph Dorendorf è considerato come colui che ha trovato la via di mezzo tra funzionalismo e Marxismo.
Per lui il conflitto e il consenso coesistono comne 2 facce della stessa medaglia. Per Dorendorf il
funzionalismo è importante ma è fallito perché guarda solo a un aspetto della società, il consenso. Il
Marxismo è troppo limitato perché si focalizza sulle relazioni di classe solo in termini economici.

Altri autori come Rex più influenzati da weber collocano al centro dell’analisi i conflitti tra gruppi,
concentrandosi sullo stutus sociale in maniera simile ai marxisti

La teoria delle classi sociali


Definizione sociologica di classe sociale:

Un insieme di persone che si trovano a svolgere, all’interno dell’organizzazione economica e politica, una
funzione simile: imprenditori e operai, proprietari terrieri e salariati agricoli, ovvero, dirigenti, lavoratori,
coltivatori, intellettuali, militari, professionisti, etc.

La classe per l’economia classica.(la classe non esisteva.. Ogni soggetto mirava ai propri interessi)

L’idea di classe in Marx:

• “Qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione di categorie economiche,
incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classe” (Il Capitale).
• “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte di classi” (Manifesto del partito comunista).
• “I singoli individui formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro
un’altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l’uno contro l’altro come nemici” (L’ideologia tedesca).

Il concetto di alienazione(nasce con la rivoluzione industriale) (spinge la classe operaria ad organizzarsi,


prender coscienza ed iniziare la lotta contro gli sfruttatori)
Per alienazione si intende l’essere o il sentirsi totalmente estraneo, cioè “alieno”, e con ciò stesso
impotente, nei confronti di oggetti culturali o di rapporti sociali che sono in realtà il prodotto della propria
attività intellettuale o pratica.

Dal pluslavoro all’alienazione (Manoscritti economico-filosofici).(il lavoratore produce più di quanto


guadagna.. Il plus è profitto dell imprenditore,che sfrutta cercando di aumentare più possibile questo plus
valore)

Nel mondo del lavoro l’alienazione si sostanzia in quattro aspetti.


1) L'operaio è alienato dal prodotto del suo lavoro.(non sa più cosa produce)
2) L'operaio è alienato dalla propria attività.
3) L'operaio è alienato dalla sua stessa essenza (Wesen).(non sa più chi è)
4) L'operaio è alienato dal suo prossimo.

Critiche al pensiero di Marx

⮚ Determinismo economico.(economia determina tutto il resto.)


⮚ La critica metodologica di Weber.(la sua visione sarebbe un punto di vista.. Ma bisogna considerare
più punti per capire)
⮚ Perché non si è realizzata la profezia di Marx.(la classe sfruttata avrebbe avuto la meglio sulla classe
sfruttatrice)
⮚ Utilità sociologica e attualità del pensiero di Marx.

IL TAYLOR-FORDISMO

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Organizzazione del lavoro in fabbrica prima del taylorismo

L impero dei capireparto(non c era un controllo da parte della direzione-imprenditore, ma si delega a a dei
soggetti che controllavano-capireparto)

Il drive system(sistema della spinta o spintone(utilizzato dai capireparto) (incentivo positivo o negativo per
produrre sempre di più) (erano sistemi anche violenti)

Il sistema dei contractors (l azienda delega a degli operai o imprenditori esterni una parte della produzione)
(a cottimo) (interesse a produrre al minor costo possibile onel minor tempo possibile)

Caratteristiche generali del taylor-fordismo(fine '800)

Le imprese sono verticalmente integrate, cioè includono al loro interno diverse fasi produttive che prima
erano svolte da altre aziende distinte. (prima contractors).

Le imprese sono impegnate nella produzione di massa, cioè nella produzione di beni standardizzati prodotti
in grande quantità con macchine specializzate, abbassando così i costi unitari.

La produzione è realizzata on manodopera scarsamente qualificata e con un organizzazione del lavoro


fortemente parcellizzata.la separazione tra concezione - progettazione dei prodotti ed esecuzione è netta e
rigida e l impresa funziona come una grande organizzazione burocratica basata sul controllo gerarchico.

I fattori propulsivi del taylorismo.

Lo sviluppo di macchine specializzate o dedicate.

Il gigantismo industriale(grandi macchine)

La natura della forza lavoro poco qualificate immigrata dalle campagne. (negli Usa arrivano più di 15 milioni
di immigrati lavoratori)

La logica del mercato delle economia di scala per ridurre i costi di produzione. (prodotti in serie per ridurre i
costi)

L organizzazione scientifica del lavoro(OSL) di Frederick Taylor(1856-1915).

I principi che Taylor individua per ottenere la razionalizzazione della organizzazione produttiva sono 4:

1)la rigida definizione dei tempi e dei metodi di lavoro(task management) (time and motion studies,
incentivi economici) ;(esperimenti per trovar il modo migliore di produzione e poi formazione per
standardizzata tramite formazione di istruttori che passano poi il metodo).

2)l individuazione di criteri e procedure rigorosamente scientifici per il reclutamento e la selezione della
manodopera; (esperienze pregresse, costituzione fisica, ecc)

3)l instaurazione di rapporti di lavoro improntati non più sulla paura, bensì sulla collaborazione; (per evitare
dei tentativi di non efficienza Taylor aveva pensato a dei meccanismi di collaborazione tra i lavoratori)

4)la ristrutturazione della direzione aziendale sulla base della netta separazione tra le fasi di ideazione e
quella di esecuzione(direzione funzionale, gerarchia aziendale)

Organizzazione del lavoro di Henry Ford (1863-1947)

Mette in pratica le idee di Taylor.

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L assembly line (catena di montaggio) (organizzazione razionale dei tempi e dei metodi) (il lavoratore deve
adeguarsi ai tempi delle macchine) ( film tempi moderni di Charlie Chaplin)

La Ford T nera e la produzione di massa. (emblema della produzione di massa.. Bassi costi, acquistabile da
tutti, il modello T era la prima auto prodotta in migliaia di esemplari tutti identici) (solo dopo anni si arrivò
al colore bianco..per i primi anni erano tutte nere, identiche)

La logica push. (l impresa decideva quanto produrre a prescindere dalla domanda del mercato)

Critiche al taylor-fordismo.

Il taylorismo visto come sfruttamento.

1)critica neo - marxista di Braverman(1974)

2)critica umanistica di Friedmann(1949)

Il taylorismo come utopia tecnocratica:

Crozier(1964) e le strategie di potere dei lavoratori.

Il taylorismo come formula contingente:

Critica all assunto taylorista della one best way Di Touraine(1955) e di Woodward(1975)(non è detto che ci
sia un unico modo per rendere efficente.. In alcuni casi potrebbero esserci vari modi.)

Limiti di applicazione del modello Taylor - fordista. (migliora le condizioni precedenti ma ha dei limiti.. Es.
Costi delle macchine in alcuni settori in cui c è bisogno di diversificare la produzione)

Il legame tra fordismo a livello micro e stato sociale keynesiano a livello macro per regolare le relazioni
industriali e stabilizzare la domanda, consentendo la produzione di massa.

Ambivalenza ed evoluzione del taylorismo(neotaylorismo informatico, taylorismo democratico) (forse dopo


gli anni 70 continua ad essere applicato in questi settori(informatica) /cooperazione dei lavoratori in alcune
aziende Es. Grandi aziende giapponesi.)

Il postfordismo
Largamente effetto della reazione alla crisi del fordismo e delle nuove scelte di politica economica, a partire
dagli anni ’80 emerge un nuovo quadro paradigmatico – il postfordismo - le cui caratteristiche aiutano a
descrivere sia il nuovo assetto dell’impresa che la società nel suo complesso, esattamente come avveniva
per il paradigma fordista. Siamo in anni in cui vi è “La crisi petrolifera” il ”Il conflitto industriale” nonché “I
costi e la rigidità della burocratizzazione aziendale”
Nel modello PostFordista troviamo ( a differenza del fordista):
Adattamento
l’adattamento è il cuore del progetto dell’impresa postfordista (e della postmodernità) a differenza della
razionalizzazione del fordismo
Flessibilità
Alle rigidità del fordismo (nei compiti, nella produzione, nella quantità dei prodotti.) il postfordismo
sostituisce altrettante flessibilità : della manodopera, flessibile nelle mansioni, del
prodotto( personalizzandolo grazie all’ampio ricorso a macchine programmabili in grado di modificare i
processi di lavorazione) e delle quantità produttive, grazie al ricorso al subappalto e alla manodopera
impiegata a tempo determinato.
Snellimento

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Non solo l’apparato interno dell’azienda deve dimagrire, anche il corpo della azienda stessa, attraverso
pratiche di outsorcing (esternizzazione: subappalti e rete di fornitori ® vedi decentramento), limitando la
produzione diretta al core-business, cioè quelle attività centrali dove maggiore è la sua specializzazione e
quindi più alta la sua produttività e competitività.
Programmabilità
La sequenza rigida delle operazioni basata su un sistema di macchine fisso deve essere sostituita dalla
possibilità di variare la sequenza a seconda delle diverse produzioni, delle trasformazioni continue del
prodotto, reso possibile dalle nuove tecnologie, ma ancora di più è reso possibile dalla riprogettazione del
ciclo completo di produzione tra le aziende.
Orizzontalità, decentramento
La grande fabbrica cessa di essere il modello produttivo base, per dissolversi in una miriade di unità
produttive di minori dimensioni e maggiore specializzazione. La gerarchia funzionale viene a cadere: tutte le
aziende coinvolte diventano autonome cellule produttive di un processo, ricomponibili come pezzi di un
lego, non strutturati gerarchicamente ma che possono a seconda delle modalità con cui vengono combinati
produrre figure (prodotti) diversi (e questa ricombinazione richiama nuovamente la programmabilità).
Il decentramento e l’orizzontalità però non si affermano solo nell’organizzazione tra le impresa, ma anche
al loro interno: alla rete gerarchica interna all’azienda , si sostituisce una maggior orizzontalità dei rapporti
e anche maggior autonomia di decisione: l’operaio o la squadra sono chiamati a prendere decisioni, a loro
sono affidati obiettivi, ma ogni reparto è molto più autonomo e si rapporta più direttamente con gli altri
reparti.
Reattività
L’impresa postfordista non pianifica, ma reagisce alle fluttuazioni dei mercati, alle sue mode. Essa deve
quindi sposare una filosofia di sviluppo che colga e risponda alle esigenze in tempo reale. La velocità di
reazione (capacità di variare il prodotto, di adeguarsi ad un aumento della domanda o a una sua
diminuzione) diventa fattore centrale nella competizione.

In sintesi:
L’evoluzione del modello fordista negli anni Ottanta ha previsto:

● L’uso delle nuove tecnologie per riadattare il modello fordista:


● la fabbrica automatizzata e flessibile;
● il neofordismo ovvero la «fabbrica senza uomini».
● La spinta alla multinazionalizzazione.

La lean production del modello giapponese (produzione snella, flessibile e maggior coinvolgimento
lavoratori) (toyotismo)

● La riduzione della separazione tra concezione ed esecuzione dei prodotti tipica del fordismo
attraverso forme di decentramento dell’autorità.
● Maggiore partecipazione, formazione e coinvolgimento dei lavoratori nel processo produttivo.
● Outsourcing o esternalizzazione, ovvero l’idea di una fabbrica integrata, in cui il management
delega ad aziende fornitrici, definite capofiliera, la produzione e la gestione di componenti
complessi, dando loro anche il potere di controllo sulle altre aziende fornitrici ai livelli più bassi.
● Approccio market driven, ovvero “guidati dal mercato” e dall’andamento della domanda di beni.
● Dalla logica push alla logica pull.( si capisce in base alla domanda la qualità di produzione e la
tipologia) (non è l azienda che comanda il mercato ma il contrario)

Risultato: la fabbrica a sei zeri (zero stock”,“zero difetti”, “zero conflitto”, “zero tempi morti di
produzione”, “zero tempo di attesa per il cliente” e infine “zero burocrazia”).

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Trasformazione del lavoro


Avvento della società dei servizi
(a seguito saturazione degli altri settori) agricoltura-industria
(settore terziario=come ambito residuale, che accorpa attività spesso non omogenee, che non
appartengono all' industria(Gershuny e Miles, 1983); oppure tutte quelle attività economiche che
non comportano produzione o costruzione materiale di beni o sono transitorie e consumate nel
momento stesso in cui vengono prodotte(Rifkin,2003); le occupazioni in essa prevalenti sono
diverse rispetto alla figura dell' operaio.)
Terziarizzazione può essere considerata come processo complesso e articolato che porta con sé la
trasformazione e non la scomparsa del settore manifatturiero( industrializzazione dei servizi o
deindustrializzazione relativa)
Spiegazione secondo gli economisti:
Il consumo illimitati di servizi, rispetto alla saturazione dei beni di consumo.
La stabilità della produttività nei sevizi a prescindere dal progresso tecnogico
La delocalizzazione della produzione dei beni di consumo
Servizi alla persona
Comprendono i servizi offerti dai sistemi sanitari, educativi, di sicurezza, ma anche servizi come il
commercio, la ristorazione, il turismo, il tempo libero.
Servizi che possono avere natura sia pubblica che privata.
La diversa configurazione dei servizi alla persona dipende da come vengono svolte le funzioni di
riproduzione della società. Tali servizi infatti possono essere forniti e gestiti da agenzie
specializzate, oppure a livello familiare e domestico.
Servizi alle imprese
Natura prevalentemente privata
Lo sviluppo del occupazione dei servizi alle imprese è certamente influenzato dal grado di
outsourcing nelle aziende, che dipende dal assetto proprietario e dal contesto istituzionale.
Il settore dei servizi alle imprese si suddivide in 2 macro-gruppi:
Knowledge intensive business services, che comprendono le imprese che offrono servizi
estremamente professionalizzati(consulenza, formazione, pubblicità,..)
Operational business services, che comprendono servizi più operativi come le pulizie, la sicurezza,
editing e traduzioni…
I call center rappresentano un gruppo intermedio, in quanto la loro attività varia dalla
commercializzazione dei prodotti alla consulenza specializzata.
Lavorare nei servizi

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Poiché i beni cambiano carattere, perdono cioè il loro status di prodotti ed acquisiscono quello di
servizi in evoluzione, il loro valore risiede sempre meno nel contenitore fisico e sempre più nell
accesso ai servizi che forniscono. Diventa quindi essenziale il lavoratore nei servizi come risorsa
strategica del impresa.
Il lavoro nei servizi si configura come un attività ad alta intensità di personalità e basata sempre di
più sulla gestione dei sentimenti.
Qualità del lavoro nei sevizi
Diffusione dei service workers
Neotaylorismo o Taylorismo buono
Esempi sono i fast food e I call center ( sempre stesse mansioni, si calcola efficienza..
Standardizzato il lavoro(bassa qualifica
La flessibilità del lavoro
È il simbolo per eccellenza della flessibilità, legata alle esigenza da parte del impresa di rispondere
rapidamente e senza costi elevati alle mutevoli esigenze e richieste del mercato.
2 principali varianti:la flessibilità numerica(quantitativa o esterna) e la flessibilità
funzionale(qualitativa o interna).
Maggiore è il numero dei rapporti di lavoro De-regolamentati e flessibilizzati, tanto più
rapidamente la società del lavoro si trasforma nella società del rischio(Beck). Per questo si parla
spesso di flex-securitycon con riferimento alla necessità di modernizzare il mercato del lavoro e
promuovere la crescita del occupazione attraverso una strategia integrata fondata su politiche
attive del lavoro, sull apprendimento continuo, sul rafforzamento dei sistemi di sicurezza sociale.
Tipologie di lavoro non standard
Italia 2 riforme
Legge n. 196 del 1997 (pacchetto Treu)
Legge n. 30 del 2003
In particolare vengono introdotti alcuni istituti quale il job on call(Lavoro a chiamata o a zero ore),
job sharing ed il lavoro interinale(o in affitto). Inoltre vengono utilizzati per la prima volta il
concetto di lavoro occasionale e la prestazione accessoria, mentre vengono riformati alcuni istituti
contrattuali già introdotti nel pacchettoTreu come il lavoro a progetto.
Conseguenze della flessibilità
Mutamento del identità delle persone, le quali cambiano atteggiamento nei confronti del rischio,
del fallimento e del etica lavorativa.
Mancanza di assunzione di responsabilità verso gli altri e verso la famiglia.
Problemi di overeducation (lavori sottomansionati).

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