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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio.

Prima edizione maggio 2009.

Tutti i diritti riservati, compreso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi


forma.

Mi sono sforzato di accertare l’accuratezza delle informazioni contenute in questo manuale.


Tuttavia, le informazioni date in questo libro sono intese solo per uomini e donne sane ed in
buona salute generale.
Le persone con problemi di salute non dovrebbero seguire queste indicazioni senza
l’approvazione di un medico.
Prima di intraprendere qualsiasi programma di allenamento o alimentare, consultate sempre
il vostro medico.

Foto di copertina: L’Ercole farnese.

Le foto riprodotte in questo sito provengono in prevalenza da Internet e sono pertanto


ritenute di dominio pubblico. Gli autori delle immagini o i soggetti coinvolti possono
in ogni momento chiederne la rimozione, scrivendo al seguente indirizzo di posta
elettronica info@enricodellolio.net

Ho scelto come immagine di copertina l'Ercole farnese, che oggi viene custodito nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, perché risulta incredibile pensare che ai tempi dell'antica
Grecia alcuni uomini avessero già raggiunto uno sviluppo fisico paragonabile a quello di
alcuni Body Builders moderni.
Ciò prova che la scienza dell'esercizio, attraverso l'aumento progressivo dei carichi di
lavoro, era già stata capita e veniva di certo applicata attraverso protocolli ben definiti, da
molti atleti, visto che la probabilità che un uomo sia così dotato geneticamente da poter
sviluppare masse muscolari come quelle mostrate da colui che fece da modello per la
scultura, è di circa 1 a 10.000.
L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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INDICE
PENSIERO LIBERO PER MANTENERE UNA
MENTE APERTA ________________________ 3

PREFAZIONE ___________________________ 5

INTRODUZIONE ________________________ 7

PREMESSA ____________________________ 13

CAPITOLO PRIMO_______________ 16
TEORIA PER LA GIUSTA COMPRENSIONE DELLA LA NATURA DELL’ INTENSITÀ _______________ 41
SCIENZA DEL BODY BUILDING ______________ 16
PROBLEMI RISCONTRABILI DURANTE
PREMESSE PER LA COSTRUZIONE DI UNA L’ATTUAZIONE DI PROGRAMMI DI LAVORO AD
CORRETTA TEORIA _______________________ 17 ALTA INTENSITÀ _________________________ 44

CHE COSA È UNA TEORIA __________________ 19 COME INTERPRETARE I DIVERSI FATTORI IN


RELAZIONE ALLE CAPACITÀ INDIVIDUALI _____ 46
DEFINIRE UNA TEORIA ____________________ 21
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL PRINCIPIO DI
TIPI DI TEORIE ___________________________ 23 ADATTAMENTO __________________________ 48

COME POSSIAMO DEFINIRE L’ “ESERCIZIO”? __ 25 DEFINIZIONE DEL PRINCIPIO DI VOLUME _____ 50

COME SVILUPPARE UN PIANO DI LAVORO RECUPERO DOPO UN ALLENAMENTO _________ 52


CORRETTO ______________________________ 27
TIPI DI FIBRE MUSCOLARI E LORO PECULIARITÀ 53
PRINCIPIO DELL’INTENSITÀ ________________ 29
ALCUNE ALTRE CONSIDERAZIONI RELATIVE
L'ATTIVITÀ AEROBICA ____________________ 31 ALLA FISIOLOGIA DELLE FIBRE MUSCOLARI ___ 56

LUNGHEZZA DELL'ATTIVITÀ FISICA = PRINCIPIO DEL SOVRACCARICO _____________ 57


INTENSITÀ? _____________________________ 32
ESERCITARE LA VOLONTÀ _________________ 60
ANALISI DEI SISTEMI ENERGETICI:
ANAEROBICO VS AEROBICO ________________ 35 QUANDO I CARICHI INCOMINCIANO AD ESSERE
TROPPO PESANTI _________________________ 61
ATTIVITÀ AEROBICHE E ANAEROBICHE IN
RELAZIONE ALL'INTENSITA’ DELL’ESERCIZIO _ 37 SOVRACCARICO E NUMERO DI SERIE _________ 63

ANAEROBICO NON SIGNIFICA SEMPRE BREVE ED AUMENTO DEI CARICHI IN RELAZIONE


INTENSO ________________________________ 40 ALL'INTENSITÀ DELLO SFORZO _____________ 65

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CAPITOLO SECONDO _________ 67


METTERE IN PRATICA LA TEORIA ___________ 67
SCHEDA BASE PER ALLENAMENTO
NOTA DELL’AUTORE ______________________ 68 INTERMEDIO/AVANZATO IN STILE HEAVY DUTY 98
COME AUMENTARE L’INTENSITÀ DEL NOSTRO
INTRODUZIONE ALL’ALLENAMENTO WORK OUT _____________________________ 101
RAZIONALE _____________________________ 70
APPENDICI _____________________________ 109
QUANTE RIPETIZIONI? ____________________ 73
NOTA DELL’AUTORE _____________________ 110
ALTRE INFORMAZIONI SULLA MODALITÀ DI
QUANTIFICAZIONE DEL VOLUME ____________ 75 ULTERIORI CONSIDERAZIONI SULLA G.A.S
THEORY APPLICATA AL CAMBIAMENTO DELLA
COMPOSIZIONE CORPOREA ________________ 112
DEFINIAMO LA FREQUENZA ________________ 77
PERCHÉ TANTI DIVERSI APPROCCI?_________ 120
ALTRI FATTORI NECESSARI PER DETERMINARE
LA GIUSTA FREQUENZA ____________________ 80 OROLOGI BIOLOGICI _____________________ 122

RIASSUNTO PER LA DETERMINAZIONE DELLA CARATTERISTICHE DI UN RITMO ___________ 124


GIUSTA FREQUENZA DI ALLENAMENTO _______ 81
ALCUNE CONSIDERAZIONI SU QUANDO
PRECAUZIONI NELL'INCREMENTO DEI CARICHI 82 ALLENARSI _____________________________ 126

EVOLUZIONE DEGLI ALLENAMENTI AD ALTA RITMI BIOLOGICI E ADATTAMENTO


INTENSITÀ E LORO ATTUABILITÀ NEL TEMPO __ 84 ALL'ESERCIZIO _________________________ 130

RIGUARDO L'UNICITÀ DEL SINGOLO _________ 86 SISTEMI AD ALTO VOLUME VS SISTEMI AD


ALTA INTENSITÀ ________________________ 132
COME RACCOGLIERE I DATI ________________ 88
EFFETTO DEGLI STILI DI VITA SULLE
COME ESEGUIRE SERIE E RIPETIZIONI _______ 89 PRODUZIONI ORMONALI E CONSEGUENTE
RIMODELLAMENTO CORPOREO ____________ 138
ESEMPIO DI ALLENAMENTO IN STILE HEAVY
DUTY __________________________________ 92 MITI DA SFATARE IN RELAZIONE AD
ALLENAMENTO E DIETA __________________ 145
SCHEDA DI ALLENAMENTO CONDIZIONANTE
PER UN NEOFITA _________________________ 95 FREQUENZA, SERIE E RIPETIZIONI
NELL’ALLENAMENTO PRODUTTIVO _________ 160

RISPOSTE METABOLICHE ALLE DIFFERENTI


FONTI CALORICHE _______________________ 163

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Pensiero libero per mantenere


una mente aperta
Il pensatore libero è, per dirla come Popper, un fallibilista, un razionalista critico. Egli, cioè,
concepisce la verità come un ideale regolativo e l'uomo come un creatore e non come un possessore
di verità. Già ciò che Tocqueville a proposito della verità aveva osservato: "ho finito col
persuadermi che la ricerca di una verità assoluta dimostrabile, al pari della felicità perfetta, fosse
uno sforzo verso l'impossibile. Ciò non significa che non vi siano delle verità che meritano una
convinzione totale dell'uomo. Ma sicuramente sono pochissime. Per l'immensa maggioranza di ciò
che c'importa di conoscere non abbiamo che delle verosimiglianze e dei pressappoco. E il disperarsi
del fatto che sia così, significa disperarsi del fatto di essere uomini. Perché questa è una delle più
inflessibili leggi della nostra natura”. E Mises da parte sua scrive: "non v'è perfezione nella
conoscenza e nelle conquiste umane. l'onniscienza è negata all'uomo. La teoria più elaborata che
sembra soddisfare completamente la nostra sete di sapere può essere un giorno emendata e
soppiantata da una nuova teoria. La scienza non ci dà una certezza assoluta e definitiva”. Sulla scia
di Tocqueville e di Mises, Popper, ha affermato che tutta la conoscenza scientifica e ipotetica e
congetturale, che la verità è un ideale regolativo e che sebbene non vi siano regole generali per
riconoscerla esistono tuttavia dei criteri per progredire verso di essa. Il pensatore libero non crede
che la verità sia manifesta o che solo pochi abbiano occhi per vederla. La Teoria che la verità è
manifesta visibile a tutti, solo che lo vogliano, è alla base, afferma Popper, di quasi ogni formato di
fanatismo. Infatti solo la più depravata malvagità può rifiutarsi di vedere la verità manifesta; solo
coloro che hanno ragione di temere la verità possono cospirare per sopprimerla. Ma la teoria che la
verità è manifesta non solo educa fanatici, cioè uomini convinti che tutti coloro che non vedono la
verità manifesta devono essere posseduti dal diavolo, ma può anche condurre, sebbene forse in
modo meno diretto di quanto non possa fare un' epistemologia pessimistica, all'autoritarismo.

Il pensatore libero e un avversario della teoria delle élites e di ogni concezione che preveda "scelte
avanzate”, "illuminati”. Il pensatore libero prova disgusto a tenere gli uomini sotto tutela e
soggiogati all'autorità, egli, infatti, odia la violenza e ritiene che questa possa essere limitata e posta
sotto il controllo della ragione. Il pensatore libero è una persona a cui importa più di imparare che di
avere ragione e che, quindi, è pronto ad imparare dagli altri, soprattutto dalle critiche che gli altri
rivolgono alle sue proposte. In altre parole, Il pensatore libero è un uomo che ha fatto proprio un
atteggiamento di disponibilità a prestare ascolto ad argomenti critici e ad imparare dall'esperienza,
in sostanza, l'atteggiamento di chi è disposto ad ammettere che io posso aver torto e tu puoi aver
ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità.

Il pensatore libero , come ogni razionalista critico, sarà sempre consapevole di quanto poco sa, e del
semplice fatto che, qualsiasi facoltà critica o ragione possegga, egli ne è debitore ai rapporti
intellettuali con gli altri. Sarà dunque portato a giudicare gli uomini fondamentalmente uguali, e a
vedere nella ragione umana un legame che riunisce. La ragione per lui è esattamente il contrario di
uno strumento di potere e di violenza: egli vede in essa un mezzo con cui sottomettere il potere e la
violenza. Il pensatore libero dunque, ha fiducia nella ragione, ma non crede nell'onnipotenza della
ragione.

Il pensatore libero non solo tollera la critica, ma la sollecita, la favorisce. Egli sa che il segreto
dell'eccellenza intellettuale è lo spirito di critica, è l'indipendenza intellettuale, sa che l'approccio
critico va considerato un dovere, sa che non esistono critiche distruttive e critiche costruttive, le
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critiche sono sempre costruttive. Esse, infatti, ci aiutano a scoprire gli errori che, essendo fallibili,
possiamo aver commesso, esse ci fanno acquisire una miglior conoscenza del problema che stiamo
cercando di risolvere.

Il pensatore libero sa che la nostra conoscenza si accresce nella misura in cui impariamo dagli
errori. Nella scienza come nella vita nella politica come nel mercato vige il metodo di
apprendimento dagli errori. Il totalitarismo ha scritto Luigi Einaudi vive col monopolio; la libertà
vive perché vuole la discussione fra la libertà e l'errore.

La possibilità di tentare e sbagliare, libertà di critica e di opposizione; ecco le caratteristiche dei


pensatori liberi.

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Prefazione

Il mio incontro con Enrico Dell’olio è avvenuto per una serie di circostanze fortuite e
casuali, sullo sfondo di tre elementi che ci accomunano: il metodo Heavy Duty
ovviamente, la passione per i viaggi, ed un libro…
Naturalmente, prima di conoscere Enrico di persona ne avevo da sempre apprezzato
la preparazione tecnica e la proprietà di linguaggio, avendo letto moltissimi suoi
interessanti ed esaustivi articoli sulle varie riviste del settore. A questo punto ed in
questo contesto, spendere parole d’elogio per Enrico Dell’olio sarebbe cosa sin
troppo facile, visto il suo enorme background tecnico e culturale, ed io non
aggiungerei nulla di nuovo per chi lo conosce già. Per chi non lo conosce posso dire
soltanto che, pochissime volte nell’ambiente del body building si ha la fortuna di
incontrare un professionista del suo calibro; sempre chiaro, esaustivo, scientifico e
pragmatico nell’approccio alle cose e soprattutto, sempre onesto nelle risposte.
Questo libro a mio avviso, è un espressione chiara ed eloquente di tutto ciò.
Troppe volte, fino alla nausea, ci è stato detto che il body building non è una scienza
esatta, che ciò che funzionerà su una persona non funzionerà per un'altra, che per
ottenere risultati con il body building occorrono 25 serie per i gruppi grandi, 15 per i
più piccoli, oppure 20 per i primi e 10 per i secondi, che bisogna allenarsi almeno 4
volte alla settimana, oppure 5, o ancora 5 volte ma per due volte al giorno per
ottimizzare i risultati e tanto, tanto altro…, con la conseguenza di generare nei
neofiti, ma anche nei più esperti, sempre più confusione. Basta sfogliare qualche
rivista del settore per rendersi conto che l’una propone e decanta un metodo di
allenamento, mentre l’altra dice l’esatto contrario.
Dove sta la verità delle cose? Quale filosofia allenante bisogna seguire? Chi ha
ragione?
Per dare una risposta chiara a questi quesiti, occorre demolire, con argomenti chiari e
scientifici, il più grande luogo comune del body building: ovvero che questo non sia
una scienza esatta.
Con questo libro Enrico Dell’olio prima affronta e demolisce ad uno ad uno i luoghi
comuni ancora troppo radicati nella testa di molti frequentatori di palestre (dal
semplice praticante del fitness, all’atleta più avanzato), e lo fa con argomentazioni e
dati alla mano che non lasciano spazio ad altre interpretazioni. Successivamente
illustra la scientificità di una efficace e produttiva strutturazione di un programma di
allenamento, anche qui con argomentazioni chiare e dettagliate, che non lasciano
spazio ad ulteriori dubbi.
Un volume questo, che dovrebbe far parte della libreria personale di ogni preparatore
atletico, personal trainer, istruttore di palestra, ma anche e soprattutto di ogni
appassionato del settore che cerca risposte chiare ed esaurienti, che non diano spazio
a quella perversa confusione che l’ha fatta da padrone per troppo tempo.
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Dopo aver trovato una direzione indicataci da quel grande campione e uomo che fu
Mike Mentzer (l’inventore del metodo H. D.) e dal grande teorico Arthur Jones,
finalmente un libro sull’argomento scritto da un autore italiano, che contribuisce in
modo chiaro, diretto ed efficace, a dissipare quella nebbia intellettuale sulla quale,
neofiti confusi, allenatori e tecnici improvvisati si sono crogiolati per troppo tempo.
Un libro scritto da una grande persona, prima ancora che da un professionista di
altissimo livello, del quale sono fiero ed onorato di ritenermi amico.

Massimiliano Ratta,
personal trainer.

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Introduzione

Esiste una scienza del Body Building?

Una domanda ovvia, almeno all’ apparenza, ma che definisce un reale approccio,
filosofico/scientifico, al problema.
Per rispondere alla domanda, dobbiamo prima fare un salto indietro e compiere un’
escursione all’ interno del mondo delle riviste del settore.
Poiché le riviste oggi, sono l’ unica fonte di notizie in relazione al Body Building,
automaticamente sono diventate per la maggior parte dei praticanti delle vere e
proprie bibbie; basta che vi appaia un articolo, perché questo venga automaticamente
legittimato e investito di quella sacralità che “indubbiamente” dovrebbe meritare.
Fino a qui tutto bene, se non fosse per il fatto, che spesso ci dimentichiamo che le
riviste non sono altro che grandi cataloghi pensati principalmente per pubblicizzare
integratori o attrezzature sportive.
Vi siete mai accorti che spesso nella stessa rivista leggete un articolo e, qualche
pagina dopo ne leggete un altro che asserisce esattamente il contrario del primo?
Oppure, avete mai letto un articolo che parli delle presunte qualità miracolose di un
integratore, e, alla fine dello stesso per qualche fortuita circostanza trovate una bella
pubblicità dell’integratore di cui stavate leggendo….??
E’ vero che la vita è piena di coincidenze, ma queste, non vi sembrano essere
veramente troppe?
I falsi guru dei nostri tempi ci dicono che non esistono “principi universali” di
allenamento; che essendo noi tutti differenti non possiamo e non dobbiamo allenarci
tutti nello stesso modo.
Poi, iniziano ad enunciarci i loro “principi” dicendoci che dobbiamo allenare i
muscoli grossi con 12/20 serie e quelli piccoli con 8/10, che le ripetizioni debbono
essere 10/12, ma non ci avevano detto che non esistono “principi universali” a tutti
applicabili???
Alcuni ci dicono che dobbiamo allenarci 4 giorni la settimana, altri 6, altri ancora 2
volte al giorno.
A questo punto credo si possa dire tutto ed il contrario di tutto.
Perché allora fermarsi a 12/20 ripetizioni e non farne 40/60/100?
Perché fare 12/20 serie quando magari 40/50 sono meglio.
Credo che incominciate a rendervi conto di quanto poco sia logico e scientifico quello
che spesso troviamo sui giornali.

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Per capire meglio perché i muscoli crescono, devo introdurvi a quella che viene
chiamata la G.A.S. Theory, o meglio ancora in italiano, la teoria della SINDROME
DI ADATTAMENTO GENERALE.
Il primo ad enunciarne i principi e a definirla fu un fisiologo di origine austriaca
chiamato Hans Selye circa alla metà del secolo passato.
Lo studio che Selye realizzò non era di certo indirizzato alla spiegazione della
crescita muscolare, ma molto più generico, e, proprio per questo applicabile ad ogni
tipo di sollecitazione e relativa risposta a cui un organismo nel corso della sua
esistenza si trova ad essere sottoposto.
Riporto testualmente la sua definizione di STRESS tratta dal suo libro:
“THE STRESS OF LIFE”.
“Lo STRESS è il comune denominatore di tutte le reazioni di adattamento nel corpo”;
continuando Selye specifica meglio il concetto: “Lo STRESS è la manifestazione di
una specifica sindrome che consiste in tutti i cambiamenti non specifici indotti
all’interno di un sistema biologico”.
Più semplicemente lo Stress ha specifiche caratteristiche e composizione, ma non una
causa particolare.
Da ciò si evince che il nostro organismo qualsiasi sia la causa esterna (STRESS) che
lo colpisce, mette in atto sempre lo stesso schema di risposte biologiche.
Selye definì tale schema attraverso tre passaggi:

• Fase di ALLARME.
• Fase di RESISTENZA e ADATTAMENTO.
• Fase di ESAURIMENTO.

Perché vi ho parlato della G.A.S. e che cosa centra con il Body Building?
Se ragioniamo in termini scientifici, possiamo definire la crescita muscolare come
una sorta di adattamento dell’ organismo ad uno Sress imposto.
In sostanza i muscoli crescono perché quando ci alleniamo imponiamo al nostro
organismo un super lavoro, che termina spesso con la lacerazione delle fibre
muscolari, l’ accumulo di radicali liberi e acido lattico al loro interno (da cui, almeno
in parte, il dolore che avvertiamo i giorni seguenti ad un allenamento intenso).
Il nostro corpo per poter meglio sopportare un futuro evento simile si “difende”
aumentando la sua capacità di produrre lavoro; come?
Sviluppando più massa muscolare.
Fino a qui il ragionamento non fa una piega e tutto scorre logico e fluido come
dovrebbe.
Applichiamo ora a quanto detto i principi della G.A.S.; 1° fase: ALLARME.
Si verifica quando ci alleniamo; un nuovo evento, “STRESSORIO”, si sta palesando
ed il corpo dovrà reagire per mantenere costanti i suoi parametri vitali all’ interno di
un range fisiologico ben definito (omeostasi).
2° Fase RESISTENZA e ADATTAMENTO.

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Il corpo mette in atto una cascata di eventi tra cui: aumentate produzioni ormonali
come TESTOSTERONE e GH per stimolare una maggiore sintesi proteica che
servirà per la riparazione e la costruzione di nuovo tessuto muscolare, ricostruzione
delle scorte energetiche sotto forma di ATP e GLICOGENO muscolare, etc…
A questo punto interviene l’ ADATTAMENTO, che delle 3 fasi, è in assoluto la più
lunga, in tale circostanza i muscoli continuano a crescere fino ad esprimere il loro
massimo potenziale genetico.
La 3° Fase, L’ ESAURIMENTO, se lasciato tempo sufficiente all’ organismo per
adattarsi non dovrebbe mai intervenire.
L’entrata in questa fase porta nel nostro esempio al super-allenamento, e se
trascurata, nel tempo potrebbe portare, nei casi più gravi, fino alla morte.
Torniamo ora alla nostra domanda iniziale: Esiste una scienza del Body Building?
Per rispondere dovrò a questo punto introdurvi un altro principio: “IL PRINCIPIO DI
IDENTITA’ ”.
Aristotele più di duemila anni or sono dichiarò: “A=A”, ossia ogni cosa nel creato ha
una sua specificità e tale specificità ne condiziona le caratteristiche fisiche.
Per questo motivo un sasso non può volare, un uccello non può concettualizzare ed
una pianta non può camminare.
Se accettiamo che la realtà esiste e che ogni cosa che ci circonda è quello che è,
possiamo capire il perché di quanto sopraccitato.
In sostanza, la legge di identità ci dice che quello che vediamo intorno a noi esiste ed
è ciò che è da cui il suo corollario, ossia la legge della CAUSALITA’, cioè che ogni
cosa non può comportarsi in maniera differente da ciò che è.
Questi due principi sono alla base della scienza moderna, e, se applicati correttamente
ci permettono di mandare un uomo sulla luna e successivamente riportarlo sano e
salvo indietro sulla terra….In sostanza tutte le scienze producono innovazioni e
risultati perché si basano sull’universalità e la definibilità di ciò che esiste.
Ogni cosa, fino a che è tale, si comporterà sempre nello stesso modo perché soggetta
a leggi fisiche ben definite e definibili.
Arriviamo ora a rispondere alla nostra domanda: esiste una scienza che studia i
muscoli? La risposta è affermativa e tale scienza è una branca della medicina.
Il B.B., può essere inserito tra le discipline MEDICO/BIOLOGICHE, dove la
fisiologia muscolare fa da padrona.
Già all’inizio del XX secolo vennero fatti importanti studi sull’ ipertrofia e la risposta
muscolare.
Nel 1917 uno studio condotto da Roux-Lange evidenziò: “Quando un muscolo è
soggetto a massima prestazione, cioè, deve vincere una grande resistenza in una data
unità di tempo, solo allora interviene la crescita” e ancora: “L’ ipertrofia si riscontra
solo nei muscoli soggetti a grandi carichi di lavoro in una data unità di tempo”
(Lange, Ueber, funktionelle anpassung usw, Berlin, Julius sprinter, 1917).
Altre ricerche condotte da Petow & Siebert specificano meglio il concetto di
intensità: “Si ha ipertrofia come conseguenza dell’ aumento nell’ intensità del lavoro
eseguito, mentre la quantità totale del lavoro eseguito non ha nessuna
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importanza” (W.Siebert & H. Petow, studien uber arbeitshypertrophie des muskels,


Z.Klin held,102, 427-433, 1925).
Altre ricerche condotte da Arthur H. Steinhaus evidenziarono che: “solo quando l’
intensità aumenta l’ ipertrofia segue” (A. Steinhaus, the journal of the association for
physical and mental rehabilitation, vol. 9, No. 5, sep-oct. 1955, 147-150).
Da questi studi è facile trarne le dovute conclusioni.
Pare che nello sviluppo dei muscoli, ciò che più sia importante non è la quantità di
lavoro svolto, ma l’ intensità applicata in un dato momento.
Torniamo ora ai muscoli ed al principio del TUTTO O NULLA che ne caratterizza la
contrazione.
Supponiamo (per semplificare, in realtà la cosa è un po’ più complessa) che il nostro
bicipite sia formato da 100 fibre muscolari, suddivise in 10 unità motorie, ognuna
delle quali risulti quindi composta da 10 fibre muscolari.
Ogni unità motoria è innervata da un moto-neurone che la controlla.
Quando dobbiamo flettere l’ avambraccio per sollevare una matita parte un segnale
elettro-chimico dal nostro cervello che “recluta” un certo numero di unità motorie per
compiere il lavoro.
Poiché la matita è molto leggera, probabilmente, verrà attivata solo una delle dieci
unità motorie presenti nel nostro bicipite (ricordatevi che l’energia per gli organismi
viventi è un bene scarso e quindi da preservare).
La cosa interessante è che una volta attivata un’unità motoria le dieci fibre che la
costituiscono si contraggono tutte, ossia non è possibile attivarne solo una parte
(principio del tutto o nulla).
Ne va da sé che per attivare più fibre muscolari dovrò utilizzare un carico maggiore.
Appoggiamo ora la nostra matita sul tavolo e raccogliamo un bilanciere per eseguire
un Curl con un carico teorico che ci permetta di realizzare al massimo dieci
ripetizioni.
Le prime saranno facili, ma mano a mano che ci avviciniamo alla decima ripetizione
sempre più fibre (e quindi unità motorie) vengono reclutate, fino ad arrivare alla
decima ripetizione, dove per completarla dobbiamo fare uno sforzo massimo.
Qui, e solo qui, tutte le dieci unità motorie, e quindi le 100 fibre muscolari saranno
reclutate.
Avremo allora e solo allora raggiunto quello che viene chiamato il
“MOMENTANEO CEDIMENTO MUSCOLARE”.
L’ intensità nell’ unità di tempo, sarà stata tale, da giungere al cosiddetto BREAK
EVEN POINT, ossia il punto raggiunto il quale siamo sicuri di avere stimolato la
crescita e sotto il quale la crescita non avverrà.
Se ritorniamo per un momento al nostro caro Dr. Selye vediamo che avendo
raggiunto la massima intensità (massimo Stress) siamo entrati nella fase di
ALLARME, ora se lasciamo abbastanza tempo il corpo entrerà nella seconda fase:
RESISTENZA e ADATTAMENTO.
Un concetto che molti Body Builder hanno sempre sottovalutato o poco compreso è
quello del riposo.
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E’ durante il recupero che il corpo si adatta e super-compensa (cresce).


Qui sorge il primo problema: i tempi per il recupero sono molto più lunghi di quello
che ci hanno sempre detto.
Se il ragionamento che fino a qui ho portato avanti è stato chiaro e logico, converrete
con me quando vi dico che la crescita muscolare dovrebbe essere un processo
continuo e costante fino al momento in cui il nostro organismo si sarà completamente
adattato agli schemi di lavoro utilizzati.
L’adattamento risulterà essere un processo più o meno lungo a seconda delle
capacità, impegno e risultati raggiunti dal praticante.
Questo vuol dire che se ci siamo allenati con la massima intensità, abbiamo lasciato
passare abbastanza tempo e il nostro corpo non si è ancora adattato al genere di Stress
derivante dal nostro programma di lavoro, ogni volta che ritorniamo in palestra
dovremmo essere in grado di fare: o più ripetizioni con lo stesso peso della volta
precedente o utilizzare carichi maggiori, ossia, dovremo in sostanza essere in grado di
misurare i nostri progressi.
Poiché i muscoli crescono in proporzione alla forza che sviluppano (la forza che un
gruppo muscolare sviluppa almeno per il 50% deriva dalle dimensioni dello stesso),
se stiamo diventando più forti stiamo anche sviluppando più massa muscolare (vi
ricordate l’ ADATTAMENTO di Selye?).
Quindi, traendo le logiche conclusioni dalle premesse discusse, essendo la crescita
muscolare un processo di adattamento, se applichiamo la giusta intensità e lasciamo
poi passare sufficiente tempo perché i processi di super-compensazione abbiano
luogo, continueremo a crescere fino a quando il nostro organismo non si sarà
completamente adattato, momento in cui si renderà necessario un cambiamento.
In questo modo i muscoli continueranno a crescere in un processo virtualmente
continuo fino al raggiungimento del nostro massimo potenziale genetico.
Ma, quanto tempo dovrà passare tra un allenamento ed il successivo?
Siamo tutti portati a credere, che più diventiamo grossi e forti e più possiamo e
dobbiamo allenarci per continuare ad avere risultati.
E’ invece vero il contrario.
A mano a mano che i nostri muscoli crescono, sviluppano sempre più forza; molti di
voi negli anni avranno notato che la forza aumenta molto, anche del 300/400%
rispetto a quella che riuscivamo ad esprimere all’inizio.
Anche le nostre capacità di adattamento migliorano, ma non così tanto, pare solo di
un 50%.
Questo significa che quando ci alleniamo l’intensità, e quindi lo stress che
produciamo, è di gran lunga più alto di quello che producevamo all’inizio della nostra
carriera, ma le nostre capacità di risposta e adattamento sono pressoché quasi
invariate.
La conclusione logica a quanto sopraesposto, è che, se vogliamo continuare a
crescere la nostra frequenza (intervallo di tempo tra un allenamento ed il successivo)
così come il volume di allenamento (il numero totale di serie) dovrà
progressivamente rarefarsi.
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In sostanza, questo, naturalmente in maniera più approfondita, è ciò di cui mi accingo


a trattare in questo manuale.
Il mio obiettivo, attraverso questo manuale, non è quello di propinarvi l'ennesima
metodica onnicomprensiva da accettare in maniera incondizionata, quasi fosse un
vangelo, ma piuttosto di stimolarvi a ragionare, e, far crescere in voi, una sensibilità
tale che vi permetta di organizzare autonomamente i vostri allenamenti o quelli dei
vostri clienti.

Brescia, 10/03/2008

“La natura, per essere comandata, deve prima essere obbedita”.

- Ayn Rand -

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Premessa

L'idea di questo libro è nata circa un anno fa quando iniziai a sentire la necessità di un
manuale che potesse essermi di aiuto per la formazione dei miei personal trainers o
che potesse essere di ausilio per una maggiore comprensione della scienza
dell'esercizio applicata al body-building da parte di praticanti avanzati.

Il mio continuo impegno nel settore del body-building mi ha portato negli ultimi venti
anni non solo ad essere un atleta della nazionale italiana W.A.B.B.A. (dal 1994 al
1997 compresi) molto conosciuto, ma, nel tempo, a coltivare la passione per le
scienze biologiche applicate alla trasformazione della composizione corporea. La
conoscenza e l'applicazione personale della metodica ad alta intensità chiamata
Heavy Duty, sviluppata dal grande campione Mike Mentzer, risale al 1993. Conobbi
in seguito Mike personalmente nel 1997 durante una serie di seminari ed esibizioni
organizzati dalla nota ditta di integratori alimentari Ultimate Italia a cui io partecipai
come Guest Poser. Devo dire che la conoscenza con questo grande campione mi
influenzò profondamente, sia sotto l'aspetto tecnico che umano. Posso
tranquillamente affermare che ciò che faccio e sono oggi è per molti aspetti derivato
dalla settimana che passai insieme a questo grande uomo e campione.

Di conseguenza, parte del materiale a cui mi sono ispirato per la realizzazione di


questo manuale, utilizzandolo e ampliandolo attraverso mie considerazioni personali,
viene direttamente dai libri di Mike, Arthur Jones (maestro di Mentzer, primo grande
teorico dell’alta intensità e a tutt’oggi, con le sue Nautilus, il più geniale costruttore
di attrezzature per palestra) e Brian D. Johnston presidente della I.A.R.T.
(International association of resistance trainers) e altro grande teorico, ancora vivente,
dell’alta intensità, con cui concordo per molti aspetti.

Fino alla fine degli anni ‘90 collaborai, attraverso la stesura di articoli tecnici e non,
con alcune riviste del settore, tuttavia compresi molto presto che, seppure un'ottima
occasione per farsi conoscere ed esprimere il proprio parere, le riviste di body-
building erano comunque confinate ad un pubblico di addetti ai lavori e mai avrei
potuto raggiungere la grande massa di persone che a mio avviso non leggevano questi
giornali semplicemente perché consideravano e considerano tutt'ora i campioni di
body-building come qualche cosa di estremamente lontano dai loro obiettivi, non
sapendo che i principi che stanno alla base del body-building agonistico sono
essenzialmente gli stessi che regolano i cambiamenti, in termini di composizione
corporea, a cui la maggior parte delle persone tanto anela.

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Smisi quindi di pubblicare articoli e mi impegnai a sviluppare i miei protocolli di


lavoro applicandoli ai clienti con cui lavoravo, decidendo di ritornare a scrivere e
pubblicare solo quando avrei avuto qualche cosa di nuovo da dire, e, soprattutto,
quando le nuove tecnologie per la diffusione di massa nate con l’avvento di Internet
mi fecero pensare che forse, attraverso questi sistemi, sarebbe stato possibile
raggiungere molte più persone, contribuendo così a divulgare al grande pubblico le
mie conoscenze.

Aprii il mio primo sito Internet nel 2004, ma iniziai solo nel 2007 a pubblicare video-
articoli attraverso Youtube. L'iniziativa piacque molto ai maggiori forum di body-
building on-line, così come al grande pubblico, tanto da riportarmi ad essere
conosciuto come uno dei pochi tecnici italiani specializzato nelle tecniche H.I.T.
(High Intensity Training).

Molti anni sono passati dalla mera applicazione delle metodiche Heavy Duty e oggi,
grazie alla continua pratica su me stesso e i miei molti clienti, sono arrivato a
maturare nuove considerazioni che mi hanno portato ad implementare ciò che già
Mike aveva accennato e probabilmente avrebbe ampliato nei suoi libri a venire, se
non ci avesse lasciato prima. La grande intuizione di Mike consistette nella
regolazione di Intensità, Volume e Frequenza secondo uno schema inversamente
proporzionale, nel rispetto delle caratteristiche genetiche, e quindi uniche,
dell’individuo. Quello che però, secondo il mio modesto parere, tralasciò, fu la
necessità di modificare gli addendi dell’equazione (Intensità, Volume e Frequenza)
non appena l’organismo si fosse adattato agli schemi di lavoro imposti. In sostanza,
nonostante le sue premesse si basassero sulla G.A.S (Teoria di adattamento generale)
Theory di Hans Selye, come del resto le mie, quello che trascurò fu non pensare ai
nostri corpi come strutture dinamiche che necessitano di nuovi stimoli ogni volta che
sopraggiunge l’adattamento. La dinamicità degli organismi viventi, ossia i continui
cambiamenti durante la nostra esistenza in concordanza con l’ambiente che ci
circonda, trovano in programmi di lavoro dinamici, e non statici, il loro miglior
corollario. Quello che intendo approfondire attraverso questo manuale è la stretta
correlazione che, a mio parere, esiste tra Intensità, Volume, Frequenza e le continue
capacità di riadattamento proprie di tutti gli organismi viventi.

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“E' mia opinione consolidata che la gran parte dei Body Builders continui a
cambiare i programmi di allenamento principalmente a causa del dubbio:
apparentemente " percepiscono che qualche cosa non va " però non riescono a
capire dov'è il problema, così continuano a modificare i programmi nel tentativo di
trovare esercizi, o un ordine degli esercizi, che " dia loro la percezione giusta”.

- Arthur Jones -

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Capitolo primo

Teoria per la giusta


comprensione
della scienza del Body Building

“Bisogna certamente ammettere che, in ogni dato momento, le nostre teorie


scientifiche dipendono non soltanto dagli esperimenti, condotti fino a quel
momento, ma anche dai pregiudizi che sono accettati come veri, sino a che non
abbiamo preso coscienza di essi”.

- Karl Popper -

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Premesse per la costruzione


di una corretta teoria

Esistono scienziati che lavorano diligentemente per stabilire una teoria unificante del
tutto. In effetti, ogni cosa che esiste, e che quindi costituisce l'universo, è guidata da
una serie di principi o leggi oggettivi. L'idea insita in questa teoria unificante ha le
sue radici nel sistema teorico, definito come uno studio transdisciplinare di
organizzazione astratta dei fenomeni, indipendentemente dalla loro sostanza, tipo,
scala speciale o temporale di esistenza. Quello che voglio dire, è che, invece di
ridurre un organismo, come per esempio il corpo umano, nelle sue parti elementari
(cellule o organi), dovremmo porre maggiore attenzione alle relazioni esistenti tra le
sue parti costituenti, ossia quelle relazioni che lo connettono al tutto. La teoria dei
sistemi inoltre suggerisce che esistano concetti specifici e principi di organizzazione
che sottintendano a tutto l'esistente, e ciò include anche la filosofia.

Questo tipo di generalizzazione può essere trovata all'interno dello studio della fisica
classica, dal momento che le leggi su cui si poggia definiscono tutte le azioni (i
sistemi) sulla terra, ad esempio, la forza di gravità, l'attrito o l'inerzia. A questo punto
possiamo dire che esistono cause specifiche che danno vita ad effetti altrettanto
specifici conformi alla realtà che ci circonda, quindi, tutto ciò che è fisico è governato
da leggi fisiche. Partendo da questi presupposti, possiamo affermare che la fisica
classica può spiegare tutti i fenomeni a cui assistiamo sulla terra, così come tutte i
fenomeni relativi a qualsiasi corpo all’interno dell’ universo conosciuto. E, andando
ancora oltre, si arriva a concepire l’esistenza di una grande teoria unificante capace di
riunire tutti i principi della fisica conosciuta così come ipotizza il fisico americano
Brian Greene in The elegant universe...

Conseguentemente, tutto ciò che esiste, può essere misurato e classificato all’interno
di un sistema di valori numerici, come la statistica, la fisica, la biologia, e anche la
scienza dell'esercizio. Le unità di misura convenzionali, come ad esempio il pollice, il
metro, il chilogrammo, sono irrilevanti. Sorge un problema quando ci troviamo a
dover misurare le differenze fra cose tangibili e concetti astratti, è in questo caso che
si pone l’esigenza di trovare una sorta di scala di misura comparativa adatta a
risolvere questa esigenza. I colori, ad esempio, sono misurati in termini di onde
luminose, le differenze tra la faccia di una persona ed un'altra, vengono ridotte e
quantificate, attraverso la misurazione della geometria delle caratteristiche facciali.

Dovrebbe essere ovvio, a questo punto, che se una teoria unificata del tutto esistesse,
dovrebbe essere basata su misure e numeri, e che ogni suo principio dovrebbe essere
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oggettivo, quindi, non intercambiabile, irrefutabile, e con una specifica identità. Se


non fosse così, sarebbe impossibile creare una teoria simile e sarebbe altrettanto
impossibile che tutto nell' universo fosse sottoposto alle stesse leggi (è difficile dire
quanto la capacità di misurazione e la scienza matematica si adattino alla realtà
dell'intangibile, come ad esempio la coscienza umana, ma speriamo che il tempo ci
renda ragione).

La realtà non è caotica come sembrerebbe, ma è prevedibile, nonostante molti


fenomeni sfuggano al nostro attuale stato di conoscenza e coscienza. Quindi, è la
nostra mancanza di conoscenza, difficoltà a capire, e, adeguati strumenti di
misurazione, che creano la percezione di imprevedibilità e di incertezza.

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Che cosa è una teoria

Si è arrivati, identificando Renato Cartesio come padre del sistema teorico-deduttivo


facente capo alla scienza moderna, allo sviluppo del sistema del pensiero teorico
alcuni secoli fa attraverso la logica e la matematica. In questo modo, le teorie
divennero strumenti scientifici importanti per tutte le discipline, incluse la fisica, la
biologia, e la chimica. Le teorie prendono corpo attraverso le deduzioni che derivano
dall’osservazione di ciò che ci sta intorno. Il sistema deduttivo è stato concepito per
rimpiazzare il sistema di visione precedente che si basava principalmente su
intuizioni fallibili e inesattezze congetturali (passando così dal sistema induttivo di
Francesco Bacone a quello deduttivo di Cartesio).

Più specificatamente, una teoria è un insieme di fatti che rappresentano una


descrizione corrente di qualche aspetto della realtà, una teoria consiste di principi o
leggi, che sono a fondamenta di verità generali, dalle quali altre verità dipendono. Ne
deriva quindi che i principi sono astrazioni costituite da un grande numero di fatti
concreti, ciò significa che si riferiscono a generalizzazioni che ci possono aiutare e
guidare nel prendere decisioni logiche e nel capire il mondo fisico che ci circonda.
Tuttavia va sottolineato che i principi non indicano le specificità di ogni cosa
esistente, ma solo la sua natura generale e l' “identità” che ne deriva.

Semplificando queste astrazioni e trasferendole all'interno della scienza dell'esercizio


fisico, ne desumiamo i principi che la governano e che quindi non possono essere né
aggirati ne evitati se il nostro obiettivo è la massimizzazione dei risultati in questo
ambito. Di conseguenza, i principi della scienza dell'esercizio implicano che la
tolleranza allo stress derivante dall'attività fisica, cioè, la quantità di lavoro e fatica
tollerata soggettivamente, esiste ed ha una sua identità, così come una sua natura. Per
prescrivere quantità di esercizio corrette, e come tali adatte alle capacità
differenti di ogni singolo individuo, è necessario conoscere e valutare la
tolleranza dell’individuo in questione, tale tolleranza potremmo descriverla
come la “misura” che noi diamo alle esigenze individuali, agli obiettivi, alle
abilità, alle limitazioni, e alla psicologia che caratterizzano una data persona.

Un'ipotesi, d'altro conto, è un tentativo di teoria; una spiegazione suggerita nel


tentativo di spiegazione di un dato fenomeno: un'affermazione che ha una buona
probabilità di essere vera e che viene normalmente accettata come base per maggiori
verifiche. In altre parole,1'ipotesi è una scommessa su cosa potrebbe essere vero, ma
non è verità assoluta fino a quando non viene adeguatamente verificata attraverso
specifiche prove di laboratorio. La prova, è una spiegazione che dimostra che tutte le
altre spiegazioni fino a quel momento nate per spiegare un dato fenomeno e quindi in
competizione fra loro, sono false. La caratteristica fondamentale di una buona
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spiegazione è che non sia in contraddizione con ciò che sappiamo essere vero. La
prova è il processo richiesto per stabilire la verità attraverso una riduzione delle
proposizioni derivanti dalla percezione sensoriale (vista, udito, tatto, odorato e gusto).
Il concetto di validazione è relativo all'acquisizione di una data prova messa in
relazione con la realtà, ossia, il concetto è reale dal momento che esiste ed è
consistente con la realtà che ci circonda.

In ogni deduzione scientifica, la dimostrazione della spiegazione deve cominciare da


ciò che è conosciuto e vero. Se la proposizione e gli argomenti che ne derivano sono
veri allora la conclusione deve essere altrettanto vera. Se il principio X predice la
proposizione Y e la proposizione Y predice la conclusione Z, allora X deve anche
predirne la conclusione di Z. Per esempio, il principio di intensità viene definito come
il massimo reclutamento possibile di unità motorie, derivante dall’ attività svolta,
nell’ unità di tempo. Quindi, maggiore sarà lo sforzo durante l'esercizio e più alta sarà
l'intensità che ne deriva. Basandoci sulla fisiologia dello stress, il principio propone
che più lo sforzo è intenso e meno lavoro (volume) può essere fatto, per mantenere i
livelli di stress all'interno di limiti tollerabili. Quindi, concludendo, troppa intensità,
con troppo volume, porta inevitabilmente al sovrallenamento. Renato Cartesio disse
che i principi, per essere corretti, devono soddisfare due condizioni allo stesso tempo:

“uno, che non si possa dubitare della loro verità quando ci si concentra sul
loro giudizio; secondo, che la conoscenza relativa alle altre cose dipenda dai
principi che possono essere conosciuti senza queste altre cose ma non
viceversa”.

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Definire una teoria

C'è una differenza tra opinioni e fatti; conoscere attraverso la convinzione in


contrasto alla probabilità/possibilità. Questa è la differenza tra una teoria e un'ipotesi.
Una cosa è credere o avere fede in qualcosa, altra è sapere di sicuro basandoci su fatti
e prove. Può essere ipotizzato che l’elemento X è forse responsabile per la recente
crescita muscolare, ma fino a quando tutti gli altri possibili fattori non saranno
eliminati del tutto non possiamo determinare con certezza che X fosse la causa
ultima. Di conseguenza, una tale presunzione equivale a un'ipotesi o una scommessa,
e un'ipotesi può essere corretta o in corretta; solo la conoscenza di fatti futuri potrà
provarla o contraddirla.

Tutte le teorie hanno, e avranno, le loro radici in un sistema di ipotesi derivanti da


ragionamento creativo/deduttivo (partendo dal generale verso il particolare). Un
esempio di deduzione sarebbe vedere molte cornacchie nere e partendo da questo
concludere che la prossima cornacchia che vedremo, così come tutte quelle a venire,
saranno nere. In altre parole, tirare delle conclusioni, derivandole da ciò che
osserviamo. Un esempio di induzione potrebbe essere vedere una singola cornacchia
per la prima volta, naturalmente nera, e desumere che ogni cornacchia sia quindi
nera. In altre parole una conclusione generale si baserà e nascerà dall'osservazione del
particolare.

L'induzione è meno accurata e affidabile della deduzione, dal momento che è desunta
da una singola o da pochissime esperienze, il problema è che è impossibile dedurre
una conclusione scientificamente. Per esempio uno studio si può concludere
basandosi sui dati emersi dalla ricerca (cioè, gli effetti che un gruppo di persone
hanno sperimentato). Se 200.000 persone contraggono un tumore dal fumo di
sigaretta, allora è probabile che chiunque fumi si ammalerà di cancro o avrà un alto
rischio di contrarlo. In verità, per trarre la conclusione che tutti quelli che fumano si
ammaleranno di cancro dovremmo testare ogni singolo uomo sulla terra in modo da
poter verificare la correttezza del nostro impianto teorico. In questo modo possiamo
concludere dicendo che le nostre teorie sono principalmente basate sulla probabilità
che ciò che stiamo teorizzando sia sufficiente per definire e spiegare con un basso
margine di errore un dato fenomeno.

Quanto detto è vero per ogni conclusione tesa a definire una data teoria, incluse
quelle relative alla scienza dell'esercizio. Le teorie devono essere basate su prove
osservabili che supportino i principi fondamentali della scienza dell'esercizio, e che
quindi siano applicabili a tutti. Se fosse riscontrato che 100 persone hanno progressi
minimi in relazione alla costruzione muscolare e aumento di forza allenandosi una
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sola volta, potremmo supporre che per avere risultati apprezzabili sessioni di
esercizio frequenti sono necessarie, e questo sarebbe vero per tutti. Questo esempio è
basato sul senso comune relativamente a ciò che sappiamo sul concetto di
“frequenza”. Altre conclusioni sono meno ovvie e chiare, come ad esempio le
differenti risposte che alcune persone hanno con programmi totalmente differenti,
come ad esempio quelli che raccomandano che una serie è meglio di molte serie, o
che molte serie producono più effetti di una singola serie.

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Tipi di teorie

Una teoria può essere vera (valida), sterile, o incorretta. Una teoria sterile non può
essere verificata sperimentalmente e può essere formulata o alterata per spiegare
virtualmente qualsiasi cosa, ma è completamente inutile. Questo è il caso di molte
metodologie di allenamento che appaiono sulle riviste del settore, ma che, se ci si
riflette un po', sono basate semplicemente su ipotesi indefinite, credenze, misticismo
e futili argomentazioni. Suggerimenti ad “allenarsi fino al momento in cui la semplice
flessione dell'arto diventi difficile” o “quando si abbia la sensazione che ogni
possibile fibra muscolare abbia lavorato al completo esaurimento, quindi che questo
sia l'indice di aver lavorato in maniera adeguata” sono sterili teorie di allenamento.
Contengono guide non specifiche e principi scientifici non verificabili. Come
conseguenza, è incorretto definire gli esempi sopraccitati come teorie corrette.
piuttosto, possiamo definirle come interpretazioni soggettive e vaghe o “consigli
d'allenamento” basati letteralmente sul nulla.

Una teoria non corretta, d'altro canto, è molto utile se ben concepita. Le teorie
sbagliate ci possono aiutare a formulare esperimenti, necessari a migliorare le
conoscenze e riempire vuoti relative alle nostre incomprensioni. Ovviamente, sarebbe
incorretto definire queste linee guida come teorie, ma piuttosto, potremmo chiamarle
delle ipotesi di ciò che è sbagliato in una teoria.

Il biasimo maggiore che possiamo fare a molte delle metodologie di allenamento di


moda, è che queste siano basate su semplici ipotesi, e che utilizzano, per rendersi
credibili, un’ amalgama di ambiguità e falsità bene impacchettate con qualche verità.
In effetti, assorbono e distorcono principi generali di fisica e fisiologia, per poi alla
fine venire presentate come validi approcci teorici. La maggior parte dei campioni di
body-building, per esempio, eseguono sedute ad alto volume, che consistono in più di
20 serie e svariati esercizi per ogni distretto muscolare, spesso ripetute ogni cinque o
sette giorni. Questo potrebbe suggerire che alti volumi e frequenze siano il miglior
metodo per indurre crescita muscolare, dal momento che i migliori al mondo seguono
questo regime. Questo risulta essere un buon esempio di come si possa
giustificare una cattiva teoria attraverso un esempio scorretto, dal momento che
i campioni di elite costituiscono una piccola minoranza e non sono in alcun modo
rappresentativi del potenziale muscolare esprimibile dalla maggior parte delle
persone che si allenano e che possiamo definire nella media, senza contare che
tutti i Body Builders di livello fanno uso di grandi quantità di steroidi
anabolizzanti che potenziano di molte volte le loro capacità di recupero tra una
sessione di allenamento e la successiva, così come la loro espressione muscolare.
E neppure possiamo considerare l'applicazione di tali principi come una teoria, credo
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che questo termine sia diventato assai comune all'interno del settore dell'esercizio
fisico probabilmente perché il suono né da una connotazione scientifica ottenendo
automaticamente un effetto legittimante di quanto detto.

I culturisti rappresentati nelle riviste sono geneticamente dotati e adatti a produrre


incredibili livelli di forza e massa muscolare. Inoltre sono la crema della crema e
appaiono sulle riviste per questa stessa ragione. Come già sottolineato, praticamente
tutti abusano di steroidi anabolizzanti. Di conseguenza, è possibile per loro allenarsi
con il programma di lavoro meno appropriato, e, nonostante ciò, sviluppare
incredibili guadagni di forza e massa muscolare, questa affermazione è maggiormente
vera se messa in relazione a ciò che è possibile alla media delle persone che si
allenano costantemente. Quindi, suggerire questi programmi basati su prescrizioni di
volumi estremi è un'assoluta follia.

Una teoria valida deve essere non contraddittoria in relazione alle sue premesse
generali, sebbene un'esatta quantificazione di queste premesse non potrà mai essere
definita a causa delle troppe variabili intrinseche ed estrinseche. L'obiettivo, allora,
dovrebbe essere di scoprire ciò che meglio si adatta ad ogni individuo, basandoci sui
principi generali che definiscono la nostra teoria. Nel campo dell'esercizio diventa
quindi importante armonizzare la teoria con le specifiche necessità e singolarità
dell'individuo in questione attraverso lo sviluppo di programmi che non portino
né al sovrallenamento né a risultati sub-ottimali.

Comunque, per provare che una teoria sia non contraddittoria si richiede la logica
applicazione della teoria stessa, e non solo un sistema di principi. Il formalismo non è
autosufficiente e non può essere interpretato come una chiusura. Se le teorie fossero
applicate in questa maniera la confusione all'interno dell'industria dell'esercizio non
esisterebbe. Non avremmo la quantità di illogiche metodologie che esistono oggi,
metodologie che suggeriscono erroneamente che chiunque possa seguirle con
successo… sebbene il termine “successo” non si è mai quantificato.

A questo punto, è vitale capire che la realtà esiste indipendentemente dal fatto
che si scelga di osservare e obbedire alle sue verità. I professionisti del fitness
devono arrivare a capire che la scienza dell'esercizio è un'estensione delle
scienze fisiche, che ci può essere quindi solo una teoria corretta, sebbene la
misurazione (applicazione) dei principi teorici possa variare da persona a
persona.

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Come possiamo definire l’ “esercizio”?

Il dizionario definisce l’ “esercizio” fisico come lo sforzo fisico o mentale perpetrato


durante un allenamento e teso al miglioramento di una data prestazione o della salute
generale. La mia definizione è simile, ma apporta alcuni altri chiarimenti al concetto:

L’ esercizio è un lavoro muscolare intenso ed eseguito con l'intento di


produrre un varco all'interno delle momentanee capacità funzionali
organiche, in modo da stimolare un adattamento fisiologico, necessario
come risposta alla perdita, al mantenimento o al miglioramento delle
capacità funzionali.

Ho ritenuto necessario definire e puntualizzare il concetto di esercizio perché il


significato di un termine è vitale per descriverne la funzione stessa, così facendo
possiamo distinguere un concetto da qualsiasi altro concetto, in modo da poterne
stabilire l’unicità.

Partendo da questa definizione possiamo descrivere un lavoro muscolare fatto in


modo “intenso” come un processo metabolico all'interno del nostro organismo.
L'attività fisica può spaziare da quella che consideriamo essere molto leggera, come
ad esempio grattarsi il naso, ad una che invece possiamo considerare molto intensa e
anaerobica, come per esempio la panca piana con bilanciere utilizzando un carico
massimale o correre i 100 metri. Dal momento che ogni tipo di lavoro muscolare
produce un varco all'interno delle nostre capacità funzionali organiche, il termine
“intenso” ci aiuta a classificare il nostro lavoro muscolare all'interno di una specifica
categoria, sebbene ciò che è “intenso” per una persona possa essere non “intenso” per
un'altra. Quindi, “intenso” è un termine soggettivo, relativo al condizionamento e alle
abilità funzionali proprie di ogni individuo.

Inoltre, l'esercizio fisico è differente da altre attività, come per esempio portare un
carico pesante da un punto ad un altro, dal momento che fare esercizio non
rappresenta un'attività generica ma è conseguenza di uno specifico intento di fare
qualcosa, cioè, di stimolare una risposta adattativa fisiologica. Questo “tipo” di
esercizio muscolare che ho definito “intenso”, assume quindi una sua specificità, e,
l'esercizio, come definito precedentemente, diventa rilevante per l'identità stessa del
concetto.

Non voglio dire con questo che una persona non possa ottenere un effetto fisiologico
positivo da un'attività non definibile come “esercizio”, come per esempio un
muratore che porti mattoni o sacchi di cemento tutto il giorno. Intendo solo far
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comprendere che il precedente esempio non può in alcun modo suggerirci che tale
persona si stesse allenando, invece è chiaro che stesse lavorando (al fine di ricavare
un compenso sufficiente ad acquistare ciò che egli ritiene importante nella sua vita).
Di conseguenza, nell’attività lavorativa non possiamo riscontrare nessun “intento”
connesso allo stimolo di una risposta fisiologica, quindi, non possiamo parlare di
Esercizio.

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Come sviluppare un piano di


lavoro corretto

Da quanto asserito finora possiamo dire che può esistere solo una teoria dell'esercizio
considerabile valida. Comunque, dal momento che è ovvio che ci sia più di un
metodo per fare esercizio, si potrebbe cadere nell'errore di pensare che ci siano più
teorie che portino ai medesimi risultati. Tuttavia, ogni metodo, per essere produttivo,
deve alla fine seguire gli stessi principi di fisiologia. In altre parole, un individuo sia
che si eserciti con una serie o con 20 serie:

• compirà uno sforzo (intensità).


• farà una certa quantità di attività (volume).
• utilizzerà una data ripetitività (frequenza).
• imporrà un carico crescente ai muscoli, e quindi…
• produrrà un adattamento, in conseguenza di ciò che ho fatto.

In effetti, questi principi generali costituiscono la “teoria dell'esercizio”, mentre la


loro applicazione in relazione alle varie parti costituenti, determinano il metodo o lo
stile di esercizio.

Quanto sopraccitato, indica cosa deve esistere per definire un'attività esercizio.
Comunque, per far sì che l'esercizio sia personalizzato e produca quanti più risultati
possibili, dobbiamo prendere in considerazione le caratteristiche di unicità che stanno
alla base di ogni singolo individuo (gli obiettivi di una persona, le sue necessità, le
sue capacità e le sue limitazioni).continuando su questa strada, è chiaro che per
ottenere i massimi risultati sia necessario prescrivere e individuare la quantità ideale
di esercizio applicabile ad ogni singolo individuo manipolando di volta in volta i
principi generali che ho definito precedentemente.

Cercherò ora di chiarire il concetto: la misura dei progressi, mantenimento o


peggioramento delle funzioni fisiche o della composizione corporea è strettamente
connessa alla quantità di carichi utilizzati in relazione all'intensità, volume e
frequenza all'interno di un programma di allenamento, tali fattori, sono inversamente
proporzionali uno all'altro e ciò va tenuto in debita considerazione se vogliamo
ottimizzare le risposte fisiche.

La teoria dell'esercizio riconosce che ogni stress derivante da attività fisica


rappresenta un fattore negativo, in altre parole, ogni esercizio effettuato causa una
momentanea riduzione delle capacità di recupero fisico/organico. Ne consegue, che la
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quantità di esercizio debba essere minuziosamente regolata per assicurare il massimo


beneficio col minimo costo (per costo intendo fatica fisica e mentale).

Dal momento che ogni nuova sessione di allenamento contribuisce a ridurre ed


esaurire in proporzione sempre maggiore le nostre momentanee capacità di gestione
dello stress che ne consegue, sempre più risorse debbono essere utilizzate dal nostro
organismo per far fronte ad una crescente domanda, necessaria alla super-
compensazione (crescita muscolare), determinando un generale esaurimento
progressivo delle risorse sistemiche disponibili. Quindi, se il nostro obiettivo è il
continuo miglioramento, la quantità di esercizio così come la frequenza dovranno
essere regolate al millesimo. Inoltre, dal momento che ognuno di noi varia nella sua
capacità di tollerare uno sforzo intenso, cioè, alcuni recuperano prima, mentre altri
necessitano di più tempo, la quantità di esercizio dovrà essere prescritta su base
individuale. Ne consegue, che ciò che può essere definito ideale per una persona,
possa essere inadeguato o eccessivo per un'altra.

È chiaro che si deve essere un bilanciamento all'interno dell'equazione dell'esercizio.


All'interno di uno schema ideale se un elemento aumenta (intensità o sforzo) gli altri
elementi (volume e frequenza) necessiteranno di essere riadattati (diminuiti) di
conseguenza. Se solo un elemento aumenta, per esempio, l’intensità, mentre la
precedente combinazione di volume e frequenza erano ideali, lo stress fisiologico
totale aumenterà e da ciò potrà derivare sovrallenamento a meno che l'aumentata
domanda sia confinata ad un breve periodo di tempo.

Concludendo, vorrei ancora sottolineare il fatto che, perché l'esercizio possa


esistere come concetto, dobbiamo strettamente tenere in considerazione i
principi di intensità, volume, frequenza e carico, in relazione alle necessità
individuali.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Principio dell’Intensità

Possiamo definire “intensità”, la massima percentuale di sforzo muscolare fatto in


una data unità di tempo. In altre parole, con intensità ci riferiamo alla misura dello
sforzo generato durante ogni particolare momento dell’esercizio. La validità di questa
affermazione ci permette di utilizzarla come definizione guida, ossia, un'affermazione
che identifichi la natura di un concetto, cioè, la caratteristica essenziale senza la quale
il concetto non sarebbe ciò che è. Quando parliamo di raggiungere il momentaneo
cedimento muscolare, parliamo in generale di un evento da circoscrivere nella scala
del tempo e della fatica (100% dello sforzo), e non ci riferiamo a ciò che l'ha causato,
quanto tempo c'è voluto, o ad ogni altro fattore associabile. Quanto detto, non è molto
differente dal parlare in via generale del concetto di tavolo, anche in questo caso non
abbiamo bisogno di descrivere il numero di gambe, la forma, il materiale di cui è
fatto, in altre parole, tutte queste cose sono inessenziali per definire il concetto di
tavolo.

Uno sforzo è la conseguenza di una nostra “azione” mentale, ed in quanto tale


l'espressione di una nostra volontà. I muscoli scheletrici sono volontari, ciò significa
che si muovono quando la nostra mente gli comanda di farlo. Anche la quantità di
forza che i muscoli genereranno è espressione diretta della nostra mente. Per
esempio, non generiamo una grande forza quando dobbiamo sollevare un mazzo di
chiavi, ma solo abbastanza forza in relazione al peso dell'oggetto. Inoltre, la misura
dello sforzo fisico e mentale si modifica da un momento al successivo. Di
conseguenza, per poter pensare all'intensità come ad un concetto, è necessario poterla
collocare all'interno di uno specifico momento temporale in relazione alla percentuale
di sforzo possibile in quel dato momento. Una persona che si allena potrebbe non
considerare la prima ripetizione molto intensa, mentre la quarta la potrebbe definire
come abbastanza intensa e quella finale molto intensa. Sebbene una tale misura sia
soggettiva, la qualità delle esperienze durante l'esercizio in termini di difficoltà e
fatica sono soggettive per definizione. Non è quindi possibile definire l'intensità
separandola dal tempo in quanto è un concetto dinamico.

Ogni momento di uno sforzo, così, risulta essere governato o influenzato dai momenti
precedenti, con tutti i momenti che compongono un continuo flusso in un dato
periodo di tempo delimitato da quella che chiamiamo serie. Durante gli allenamenti
di potenza o nel body-building, questa influenza è ovvia, mano a mano che lo sforzo
diventa sempre più estremo da un secondo o da una ripetizione alla successiva. Il
20% di reclutamento di tutte le risorse fisiche e mentali disponibili in un dato
momento può essere tutto ciò che è richiesto per completare la prima ripetizione, poi
il 35% per la seconda ripetizione, il 50% per la terza ripetizione, eccetera. La
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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complessità di questo continuum ci suggerisce che è impossibile stabilire quando “X”


percento di sforzo inizi e quando finisca. Se invece prendiamo in esame un'attività di
tipo aerobico, il momento precedente non ha o ha solo un impatto minimo su quello
successivo, non essendo così determinante nel definire se un particolare livello di
sforzo può essere sostenuto per un lungo periodo di tempo in relazione alla domanda
che esercita sul nostro organismo.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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L'attività aerobica

Anche l'esercizio aerobico definisce l'intensità come “sforzo fisico”, misurato dal
battito cardiaco come conseguenza del lavoro muscolare. Allenamenti basati sulla
resistenza e durata, possono essere misurati attraverso un approccio scientifico
usando i Watts, definendo un Watt come equivalente ad una unità di potenza, cioè,
1 Joule/sec. In questo modo più alto è lo sforzo in un dato momento e più grande sarà
il lavoro e la fatica sistemica.

L'intensità dello sforzo, in relazione al tempo, indica la capacità in termini di durata


muscolo/funzionale durante un esercizio. Comunque, deve sempre esserci un
equilibrio fra sforzo e quantità di tempo, dal momento che più è alto lo sforzo e meno
prolungato potrà essere il tempo di lavoro, inficiando così l'effetto cardiovascolare
ricercato durante questo tipo di attività fisica. Al contrario, se lo sforzo è troppo
leggero, allora il lavoro diventa troppo facile e perpetrabile per un tempo indefinito,
ed in questo modo, insufficiente per produrre un qualsiasi effetto benefico adattativo
sul Sistema cardiovascolare o muscolo-scheletrico. Questo è il motivo per cui la
misurazione delle pulsazioni cardiache (intensità dello sforzo) viene prestabilita in
modo da definire quanto duramente una persona dovrebbe esercitarsi durante l'attività
di resistenza per conseguire dei benefici in termini di adattamento del sistema
cardiovascolare e muscolo-scheletrico. In modo simile, l'allenamento di potenza e il
body-building devono incorporare un volume (serie) e una frequenza compatibili con
l'intensità dello sforzo generato nell'unità di tempo, facendo sì che lo sforzo sia
sufficientemente alto da rendere l'attività che stiamo svolgendo anaerobica,
inducendo così la massimizzazione dello sviluppo di forza e massa muscolare.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Lunghezza dell'attività fisica = intensità?

L'intensità non è legata solo a quanto tempo ci alleniamo, non è cioè solo funzione
del tempo di allenamento, ne è relativa solamente al carico o al metodo di esecuzione.
Queste cose possono alterare l'intensità, ma non possono definirla. L'intensità non
deriva quindi da quanto duramente una persona si stia allenando, o lo sforzo a cui i
nostri muscoli sono sottoposti tra una ripetizione e la successiva, ma dall'effetto
complessivo dell'esercizio sull'organismo. Per semplificare il concetto possiamo dire
che l’intensità è funzione di quante unità motorie siamo riusciti ad attivare e ad
esaurire, durante la nostra serie, attraverso l'uso di una certa quantità di peso, in un
dato tempo, utilizzando un determinato stile di esecuzione, eccetera. Meno intenso
sarà stato lo sforzo durante la nostra serie, meno richiesta adattativa avremo imposto
al nostro organismo. È chiaro quindi, che più ci saremo “spremuti” durante una serie
e più sarà stata la domanda totale che avremo imposto al nostro organismo durante un
allenamento (un allenamento è composto da più serie), e più sarà stata alta la
domanda imposta durante l'allenamento, più lungo sarà il tempo che dovrà
intercorrere prima di affrontare l'allenamento successivo (frequenza).

È inoltre incorretto dire che fare una serie e subito dopo un'altra è più intenso che fare
due serie intervallate da alcuni minuti di recupero. Se una persona si allena arrivando
al momentaneo cedimento muscolare durante una serie, fare la seconda non lo porterà
ad andare oltre il 100% che già aveva raggiunto con la serie precedente. La richiesta
adattativa totale imposta sarà di sicuro più alta nel primo esempio, poiché in questo
modo si potrà incrementare la fatica localizzata, ma la richiesta totale non sempre è
correlata all'intensità durante l'attività fisica. Per esempio, un corridore di maratona è
sottoposto ad una grande fatica (domanda) durante la maratona ma lo sforzo a cui è
sottoposto in un dato momento non risulta essere molto intenso, a differenza per
esempio di un centometrista. Se un maratoneta dovesse correre con la stessa intensità
di un centometrista (cioè vicino al 100% della potenza massima esprimibile a
differenza del 60% circa del maratoneta), non potrebbe sostenere i 42 km della
maratona.

È legittimo, a questo punto, domandarsi come si possa essere certi di aver mai
raggiunto l’ attivazione del 100% delle unità motorie esprimibili in un dato momento
durante una data serie. Per esempio, alcune persone potrebbero dire di essersi allenate
al 100% della massima intensità esprimibile durante una specifica serie, senza
considerare che probabilmente avendo la giusta motivazione psicologica avrebbero
potuto generare ancora più intensità attraverso l’esecuzione di un'altra ripetizione. In
ogni caso, anche questo esempio, risulta irrilevante per la giusta identificazione del
concetto di intensità. L'intensità in natura risulta essere un concetto astratto, e la

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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nostra abilità di quantificarla non è qui in questione, in particolar maniera se la


relazioniamo alle capacità motivazionali di un singolo individuo. In verità nessuno
riesce ad allenarsi ogni volta utilizzando il 100% del proprio potenziale, neppure gli
atleti a cui piace, e sono abituati, ad allenarsi molto duramente. Spesso una serie
termina quando si è coscienti del fatto che un'altra ripetizione sarebbe impossibile, in
questo caso una serie finirebbe al 97% del reclutamento di unità motorie esprimibili
(con 97% intendo definire una misura molto vicina al 100%, ma potrebbe anche
essere 93 o 95, ciò comunque non influirebbe sul risultato finale).

Alcuni asseriscono che si possa lavorare al 100% di intensità in ogni momento


all'interno di una serie, ciò vale anche per la prima ripetizione di una serie che si
concluderà con otto ripetizioni totali; questo dovrebbe accadere utilizzando in ogni
ripetizione la massima forza, espressa dalla massima velocità di esecuzione possibile.
Per esempio, potremmo utilizzare, per un’ ipotetica serie in panca piana, l'80% del
carico massimale utilizzabile per eseguire una singola ripetizione, l’ atleta, in questo
caso, dovrebbe spingere il carico alla massima velocità possibile in ogni ripetizione
che eseguirà. In questo esempio, non possiamo dire che per ogni ripetizione così
eseguita si possa conseguire il 100% dell’attivazione di tutte le unità motorie che
compongono il muscolo che stiamo lavorando, perlomeno nel senso in cui lo abbiamo
definito fino ad ora. E’ vero si che l'atleta si stia allenando quanto più duramente
possibile in relazione ad ogni ripetizione, ma ciò non vuol dire che stia reclutando il
100% di unità motorie ogni volta. In altre parole, 1'atleta può provare a sollevare un
carico il più esplosivamente possibile, ma dal momento che le forze a cui i muscoli
sono sottoposti sono uguali al carico utilizzato, in proporzione alla velocità e
accelerazione durante il movimento, sarà impossibile raggiungere il 100% di sforzo
muscolare alla prima ripetizione, dato che lo sforzo compiuto segue un andamento
dinamico e aumenterà progressivamente ad ogni ripetizione successiva.

Per chiarire quanto detto, proviamo a considerare questo esempio: immaginiamo di


poter generare, in un dato esercizio, sufficiente forza per sollevare 100 kg durante una
ripetizione massimale, e di poterne utilizzare 80 Kg. per otto ripetizioni esplosive e
che l'atleta riesca a sollevare il carico il più velocemente possibile. Ciò che possiamo
notare è che la velocità e l'accelerazione risultano essere maggiori alla prima
ripetizione ed entrambi questi fattori mano a mano si ridurranno con ogni ripetizione
successiva, ciò è dovuto al progressivo deterioramento delle funzioni neuromuscolari
durante la serie. Ogni ripetizione successiva non sarà quindi tanto veloce come la
precedente e la capacità di accelerazione si riadatterà alle rimanenti capacità del
muscolo di produrre potenza, così, nella ripetizione finale, nonostante la dedizione
dell'atleta e la volontà di muovere il carico quanto più velocemente possibile, risulterà
impossibile muoversi molto velocemente, anzi, ciò che vedremo, sarà un movimento
estremamente lento in quanto la forza esprimibile rimanente del muscolo che stiamo
allenando si eguaglierà al carico di lavoro che stiamo utilizzando (80 kg/carico = 80
kg/forza esprimibile). E’ quindi solo in questo determinato momento, quando
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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entrambe le forze coincidono (ignorando per semplicità la resistenza dell'aria), che


raggiungeremo il 100% della momentanea intensità esprimibile dal muscolo,
ricavando così il concetto di momentaneo cedimento muscolare.

Ne deriviamo quindi che se la resistenza è insufficiente a portare un muscolo a


cedimento, allora il 100% di attivazione delle unità motorie non può avvenire e
neppure si necessita che ciò avvenga; perché ciò avvenga le forze in gioco debbono
equivalersi. Se il carico che utilizziamo coincidesse con il 100% del massimo sforzo
esprimibile in un dato momento, un movimento esplosivo e l'accelerazione durante lo
stesso sarebbero impossibili, ne consegue, che se il 100% di intensità fosse
esprimibile nella prima ripetizione, una seconda ripetizione sarebbe impossibile.

Mi sono dilungato molto sulla spiegazione del concetto di intensità perché se non
capito adeguatamente è impossibile per chiunque definire la giusta quantità di volume
in un allenamento o di frequenza tra un allenamento ed il successivo. Senza aver
compreso il concetto di intensità, volume e frequenza semplicemente non esistono.
Ogni elemento integra,ed è responsabile e conseguenza della validità degli altri.

È inoltre importante comprendere che non esiste nessuna discrepanza tra la mente e il
corpo durante l'esercizio. I muscoli scheletrici rispondono a sollecitazioni volontarie,
ciò significa che uno deve volontariamente attivarli perché possano produrre lavoro,
non possiamo sollevare un carico senza pensarlo e volerlo prima. Ne consegue che se
vogliamo allenarci al 100% delle nostre capacità, dobbiamo anche sapere che la
motivazione necessaria a fare questo dovrà essere del 100%.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Analisi dei sistemi energetici:


anaerobico Vs aerobico

Il metabolismo energetico dipende dalla disponibilità di cibo. I prodotti di scarto del


metabolismo energetico includono: anidride carbonica, acqua, e calore. Il calore è
il risultato della produzione di energia, e la caloria (cal.) è l'unità di misura
dell'energia. La caloria è la quantità di calore necessario per alzare di 1° Celsius 1 g
di acqua. Dal momento che la caloria e una quantità molto piccola, la kilocaloria
(Kcal = 1000 cal.) è l'unità di misura che generalmente viene preferita. In altre parole,
quando una persona dice di mangiare 3000 calorie al giorno, in realtà vuole dire 3000
Kilocalorie.

Il principale tipo di energia formata dai vari substrati energetici è l’ ATP, acronimo
che sta per adenosina trifosfato. Dalla rottura di ognuno dei tre legami di fosfato
costituenti la molecola di ATP si ricava una considerevole quantità di energia (la
molecola di adenosina è legata a tre molecole di fosfato) . L’ATP non viene
sintetizzato solo in una parte del corpo e poi trasportato dove ce n'è più bisogno.
Tutte le cellule (incluse le cellule muscolari) sono in grado di sintetizzare e usare
l’ATP quando necessitano di energia. Comunque c'è un limite al quantitativo di ATP
disponibile in ogni cellula e la ri-sintesi dello stesso si consegue attraverso altre vie
metaboliche.

L’ADP (adenosina di-fosfato) nelle cellule è la molecola base da cui viene ri-
sintetizzato l’ ATP. La creatina fosfato è la molecola che viene richiesta per la ri-
sintesi dell’ ATP attraverso la donazione di un suo gruppo fosfato. Anche questo
sistema non è in grado di produrre grosse quantità di ATP, e questa è la ragione per
cui è possibile sollevare grossi carichi solo per brevi intervalli di tempo.

Per ottemperare a tutte le funzioni fisiologiche all'interno del corpo umano si richiede
energia. Dal momento che ci muoviamo, i nostri sistemi convertono l'energia chimica
derivante dagli alimenti, come ad esempio il glicogeno, in energia meccanica: cibo-di
gestione-molecole-respirazione cellulare (in presenza di ossigeno)-energia-sintesi di
ATP-rottura dei legami facenti capo alla molecola di ATP-energia-contrazione
muscolare

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Cibo

Digestione

Scomposizione in molecole

Respirazione cellulare (in presenza di ossigeno)

Sintesi dell’ATP

Rottura dell’ATP ( * )

Energia

Contrazione muscolare

( * )I 3 sistemi disponibili per l'ossidazione dell’ ATP, e quindi, per la produzione di


energia sono:

• Il sistema anaerobico alattacido (sistema facente capo alla creatina fosfato).


• il sistema anaerobico lattacido (sistema facente capo alla Glicolisi).
il sistema aerobico (sistema facente capo alla fosforilazione ossidativa).

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Attività aerobiche e anaerobiche


in relazione
all'intensità di esercizio

I termini aerobico e anaerobico si riferiscono ai sistemi energetici coinvolti.


Generalmente, più grande è lo sforzo, e più l'attività che ne deriva attinge dal sistema
anaerobico, dal momento che in queste condizioni lo sforzo può essere sostenuto solo
per brevi periodi di tempo. Questo non vuol dire che l'ossigeno non sia coinvolto
nella produzione di energia durante le attività anaerobiche, ma semplicemente che la
quantità di ATP prodotto in presenza di ossigeno è irrilevante per il conseguimento di
una performance anaerobica massimale. Al contrario, minore l’intensità è più alta
sarà la produzione di energia attraverso i sistemi aerobici, ossia, in presenza di
ossigeno, questo avviene in conseguenza del fatto che il nostro organismo dovrà
sostenere una data attività per un lungo periodo di tempo.

Sotto troverete due grafici che vi permetteranno di meglio comprendere questa


relazione.

Aerobico (Attività a Bassa intensità) Anaerobico ( Attività a Alta Intensità)


0% Intensita’ dello sforzo 100%

Tempo
< 2 minuti > 2 minuti
Anaerobico Aerobico

Tuttavia, la spiegazione che ho dato dei sistemi energetici è quella più tradizionale ed
in qualche modo semplificativa, in cui aerobico = bassa intensità, mentre
anaerobico = alta intensità. C'è da dire, per chiarire meglio il concetto, che questi
sistemi non risultano essere completamente distinti tra loro, sarebbe per esempio
scorretto affermare che un alto livello di intensità non possa essere sperimentato in un
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ambiente aerobico, o che l'alta intensità possa essere espressa solo in ambiente
anaerobico. È possibile allenarsi al momentaneo cedimento muscolare (esprimendo
un alto livello di intensità durante l'ultima ripetizione o il secondo finale di una serie)
alla fine di 3 min di attività di tipo aerobico. Il problema in questo caso non è il non
aver raggiunto il momentaneo cedimento muscolare, ma dopo quanto è stato
raggiunto. Per esempio, se il nostro obiettivo è massimizzare i guadagni in forza e
massa muscolare, utilizzare durante il nostro allenamento una serie di 3 min
comporterebbe l'utilizzo di un carico di lavoro non sufficiente a far insorgere
un'adeguata richiesta organico/adattativa. Possiamo così affermare che per
raggiungere i risultati di massimo sviluppo di forza e massa muscolare sia necessario
lavorare con la massima intensità, e quindi, in un ambiente anaerobico.

In questo modo possiamo affermare, che l'esercizio debba essere limitato in relazione
alla capacità individuale di tollerabilità dello stesso, questo si rende necessario per
evitare uno stimolo eccessivo. Evidentemente, attività di tipo anaerobico e attività di
tipo aerobico risultano essere diametralmente opposte (non consideriamo in questo
caso l'intensità d'uno sforzo, la cui importanza è determinata da altri fattori come ad
esempio il tempo di durata della serie, dal carico utilizzato, eccetera… come già
chiarito precedentemente). Quindi, se il nostro obiettivo è massimizzare la crescita
muscolare, quanto segue può essere presunto con assoluta certezza in base alle prove
empiriche accumulate nei miei tanti anni di allenamento personale e di centinaia di
clienti:

• Se un intensità che andasse da bassa a moderata durante un esercizio fosse


sufficiente a sviluppare incredibili livelli di forza e massa muscolare, i
corridori di lunghe distanze, gli istruttori di aerobica e i muratori, sarebbero
tutti estremamente forti e con grandi masse muscolari. Questo naturalmente
non riflette la realtà.
• se le attività di tipo aerobico sviluppassero incredibili livelli di forza e massa
muscolare, gli individui di cui sopra sarebbero in assoluto i più forti e i più
sviluppati. Questo non è certamente il caso.
• Di conseguenza, e al contrario, uno sforzo ad alta intensità in un ambiente
anaerobico deve per forza di cose essere il fattore chiave nella stimolazione
della massima risposta organica relativa agli aumenti di forza e massa
muscolare. Ne segue logicamente che il tempo di esposizione ad un tale fattore
stressorio debba essere breve, in modo da ridurre al minimo le richieste
sistemiche imposte alle nostre capacità di adattamento, che come ben sappiamo
risultano essere limitate, e nello stesso tempo atto ad ottimizzare le risorse
organiche destinate alla super compensazione, cioè, alla magnificazione dei
sistemi di adattamento organico. Ogni lavoro superiore o inferiore alla quantità
idealmente necessaria a produrre una risposta ottimale in termini adattativi
equivale ad essere una super stimolazione, che può quindi aumentare il rischio
di sovrallenamento o produrre risultati sub-ottimali.
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Un punto importante da chiarire è che definire l'intensità attraverso la sensazione


individuale di fatica è assolutamente sbagliato. Correre una maratona è certamente
faticoso, anche se l'evento è per natura aerobico, ciò significa dover sostenere durante
l'attività un intensità di lavoro che va da bassa a moderata. La domanda estrema posta
sul sistema muscolo/energetico relativa alla corsa di una maratona è molto differente
dalla domanda estrema necessaria per completare una serie pesante di un esercizio
anaerobico portato al momentaneo cedimento muscolare. Ne consegue che possiamo
definire uno sforzo come estremo solo inserendolo in un contesto anaerobico. Quindi,
estrapolare il concetto di sforzo estremo, e riadattarlo al concetto di “faticoso” (ciò
vale in qualsiasi esempio ed in particolar maniera in relazione alle attività aerobiche)
risulta essere un grosso errore concettuale.

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Anaerobico non significa sempre


breve ed intenso

Precedentemente ho detto che alta intensità non significa necessariamente lavorare in


modalità anaerobica, dal momento che è possibile raggiungere il punto di
momentaneo cedimento muscolare anche dopo 2,3, o più minuti di attività fisica, una
tale attività andrebbe a far capo al sistema aerobico. In modo simile, vorrei far notare
che un esercizio breve non è necessariamente anaerobico, ossia, richieda per il suo
supporto la produzione di energia attraverso i sistemi anaerobici. Per esempio, un’
attività che necessiti di 10 s per essere svolta è sicuramente breve. Ma se per svolgere
questo tipo di attività necessitiamo di uno scarso impegno, quindi lavoriamo a bassa
intensità, come per esempio quando ci grattiamo una mano, non c'è alcun bisogno per
il nostro organismo di iniziare a produrre energia attraverso i sistemi anaerobici, o di
ricorrere per svolgere tale attività alle fibre bianche o veloci presenti nei nostri
muscoli. Il nostro corpo cerca in ogni momento di essere quanto più efficiente
possibile in termini di spesa energetica. Consumare grandi quantitativi di ATP e
glicogeno utilizzando le fibre bianche (veloci) per compiere lavori leggeri sarebbe
irrazionale e controproduttivo, se visto da un punto di vista evoluzionistico o di
sopravvivenza. E’ per questo motivo che il nostro organismo per svolgere attività a
bassa intensità utilizza principalmente fibre rosse (lente) ed il sistema energetico
aerobico ideale per supportare attività a bassa intensità senza quindi nessun riguardo
alla durata. Perché il nostro organismo attinga per la produzione di energia al sistema
lattacido si necessita di un lavoro intenso, dove dovremo utilizzare alti livelli di forza
per sconfiggere forti resistenze imposteci da alti carichi, il tutto in un relativamente
breve periodo di tempo. Concludendo, è importante non associare ogni volta il
concetto di intensità e brevità ai sistemi energetici posti in campo dal nostro
organismo a sostegno della produzione di energia necessaria per svolgere una data
attività.

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La natura dell’ intensità

Possiamo considerare l'intensità come l'elemento primario necessario all'alterazione


della risposta omeostatica sistemica. Più grande sarà lo sforzo e più sarà
condizionante (naturalmente tenendo conto delle capacità di recupero generali, del
volume totale e della frequenza). Senza uno sforzo sufficiente, non ci può essere un
ri-adattamento omeostatico (fisiologico). Lo sforzo intenso è necessario a produrre
nell'organismo un momentaneo squilibrio teso a forzarne la supercompensazione in
termini di forza e massa muscolare. Stare seduti tutto il giorno, sottoponendo quindi il
nostro corpo ad uno sforzo minimo, non richiederà al nostro organismo di doversi ri-
adattare (modificare), invece, se il nostro obiettivo è quello di spostare l'equilibrio
omeostatico del nostro organismo, necessiteremo di uno sforzo inusuale attraverso un
alto livello di intensità sufficiente a stimolare i sistemi ri-adattativi che sono propri ad
ognuno di noi.

Considerando i livelli di esperienza e di abilità propri ad ogni atleta, lo stato fisico


generale, e, lo Stato di adattamento corrente all'esercizio svolto, allenarsi fino al
punto di momentaneo cedimento muscolare, ossia raggiungere quel punto in cui
un'ulteriore ripetizione eseguita con forma corretta diventi assolutamente impossibile,
potrebbe non essere necessario per indurre la crescita. Tuttavia, più alta sarà
l'intensità espressa nell'unità di tempo e maggiore sarà la necessità di ri-adattamento
sistemico (supercompensazione). A questa regola generale ci sono comunque alcune
eccezioni di cui parlerò più avanti.

Bisogna considerare che un neofita spesso per avere risultati non necessita di
allenarsi utilizzando un alto livello di intensità. Lo stress derivante dall'esercizio è
così nuovo per l'organismo che ogni quantitativo di lavoro e aumento progressivo dei
carichi causerà cambiamenti positivi. Per una persona che si allena già da alcuni mesi
o alcuni anni, la qualità del lavoro e dell’impegno complessivo dovrà essere molto
più alta, ciò significa che sia il volume che la frequenza dovranno essere regolati di
conseguenza per bilanciare l'equazione che sta alla base della crescita attraverso
l'esercizio fisico.

Per l'avanzato, con alcuni anni di allenamento serio alle spalle, allenarsi con un alto
quantitativo di serie, eseguite attraverso sforzi sub-massimali, è raramente la
soluzione, mentre spesso risulta essere la causa di risultati mediocri. È in questo
momento che un allenamento intenso diventa imperativo per stimolare un'ulteriore
crescita muscolare. Possiamo definire un allenamento come intenso, in relazione ad
un dato individuo, se capace di stimolare il ri-adattamento delle capacità
organico/muscolari dell'individuo in questione considerando allo stesso tempo
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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l’impatto che qust’ultimo avrà sulle sempre più ridotte capacità sistemiche di far
fronte a maggiori livelli di intensità che inevitabilmente ne deriveranno.

Come può essere dedotto da quanto detto finora, l'esercizio può divenire “duro”,
anche alterando (aumentando) il volume e la frequenza applicati (quindi non solo
attraverso l’aumento dell’intensità), dal momento che anche questi ultimi
costituiscono parte della domanda totale posta sul nostro organismo. Tuttavia questi
due aspetti debbono essere ottimizzati in modo da aiutare colui che si allena a creare
dei micro-cicli con differenti quantità di volume e intensità rispetto al ciclo di base,
tesi a spingere l'organismo verso nuovi punti di equilibrio. Per poter aumentare
volume e frequenza in modo costante e continuativo, dobbiamo necessariamente
ridurre l'intensità generale. Questa regola è ovviamente vera se come obiettivo
abbiamo l’aumento di forza e massa muscolare, ma è altrettanto valida se il nostro
fine è il miglioramento della resistenza. I maratoneti, per esempio, non cercano di
percorrere sempre maggiori distanze, ma cercano di condizionare se stessi a
percorrere le stesse distanze sempre più velocemente, in questo modo esercitandosi
con maggior intensità.

Cercare di eseguire sempre più ripetizione con lo stesso peso e/o usare più peso per lo
stesso numero di ripetizioni (vedi principio di sovraccarico) è un altro metodo per
imporre una maggiore domanda sistemica in allenamento, cioè, rendere l'allenamento
più duro.

L'effetto e la natura dell'intensità può essere esemplificato attraverso l'esecuzione di


un'unica ripetizione all’interno di una serie dove invece ne sono possibili dieci. Se
fermiamo la serie ad una ripetizione, non possiamo aspettarci nessuno stimolo in
termini di aumento di massa muscolare. Lo stesso è vero se facessimo 2,3, o 4
ripetizioni in una serie dove ne sarebbero possibili 10, potremmo qualificare questo
tipo di lavoro come appena sufficiente a mantenere stabili le nostre capacità di
allenamento nel breve periodo. Solo quando ci avviciniamo al momentaneo
cedimento muscolare il nostro organismo riceve un segnale che sfocia nel
miglioramento delle nostre capacità neuro/muscolo/scheletriche. È questa “difficoltà”
che segnala al corpo di classificare il lavoro che stiamo compiendo come inusuale ed
estremo, tale processo si concreta nella comunicazione di un “messaggio” che induce
il nostro organismo a proteggersi da futuri episodi di questo tipo, il nostro corpo
traduce quindi questo messaggio in crescita muscolare e maggior forza in modo da
ridurre l'impatto di un futuro attacco sistemico. Naturalmente, tutto ciò risulta essere
vero, solo se volume e frequenza vengono adeguatamente coniugate con l'intensità, e
se il programma di allenamento è sufficientemente “differenziato” da imporre al
nostro organismo un continuo ri-adattamento. Fare le stesse cose all'infinito o
eseguire troppo poche serie lasciando poi passare troppo tempo tra una sessione di
allenamento e la successiva, non porterà ad aumenti di massa muscolare sostanziali

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anche se ci alleneremo con la massima intensità possibile (ogni volta al momentaneo


cedimento muscolare).

Dovrebbe quindi essere evidente che maggiore è lo sforzo prodotto (relativamente


alle capacità individuali) e maggiori saranno le garanzie che avremo stimolato la
crescita muscolare. Anche aumentare volume e frequenza produrrà una maggiore
“difficoltà” ma, come spiegato precedentemente, dovrà essere fatto saltuariamente in
modo da limitare l'abuso (catabolismo) tissutale, o per evitare di ridurre l'intensità ad
un livello tanto basso da rendere il nostro allenamento inefficace. Possiamo quindi
affermare che esiste una linea sottile che definisce quella che può essere considerata
la quantità propria o ideale di attività fisica in relazione ad intensità, volume e
frequenza.

Ritornando a quanto detto sul fatto che gli allenamenti eseguiti fino al cedimento
muscolare non siano garanzia di crescita, vorrei puntualizzare alcuni concetti; Accade
che alcune persone che si allenano molto duramente, e che spesso hanno ancora un
buon potenziale di crescita inespresso, tuttavia non migliorino. Questo potrebbe
essere ascrivibile a:

• Non abbastanza, o troppo, volume e frequenza.


• Eccessivo adattamento allo stesso allenamento (mancanza di variazioni).
• utilizzo di un programma nutrizionale inadeguato a supportare gli obiettivi.
• incapacità di allenarsi fino al momentaneo cedimento muscolare.

… o qualsiasi altro fattore o combinazione di diversi fattori. Inoltre, pare che non tutti
siano in grado di allenarsi fino al raggiungimento del momentaneo cedimento
muscolare.

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Problemi riscontrabili durante


l’attuazione di programmi di lavoro
ad alta intensità

Allenarsi in modo corretto e produttivo significa essere capaci di misurare, dosare e


applicare tutti gli elementi che compongono il nostro programma di allenamento.
Tuttavia anche allenarsi fino al momentaneo cedimento muscolare non è a volte
sufficiente a sapere quanto intensamente una persona si stia veramente allenando
(alcuni autori considerano che allenarsi al momentaneo cedimento muscolare o al
100% dell'intensità, sia un elemento verificabile e conoscibile). Proviamo però a
porci questa domanda: siamo sicuri, quando diciamo di essere giunti al momentaneo
cedimento muscolare in una data serie, che non eravamo in grado in alcun modo di
fare un'altra ripetizione? Se qualcuno ci avesse detto che facendo un ulteriore
ripetizione avremmo guadagnato € 100 sarebbe veramente stata ancora impossibile?
consideriamo inoltre che il raggiungimento del momentaneo cedimento muscolare
potrebbe essere causato da un accumulo di prodotti di scarto del metabolismo
muscolo/energetico o da una momentanea riduzione del flusso sanguigno nel
muscolo allenato (ischemia) durante la nostra serie, o qualsiasi altro fattore che possa
compromettere la qualità della contrazione muscolare o diminuire la capacità di
concentrazione a livello mentale necessaria per continuare ad allenarci con un alto
grado di intensità. Consideriamo inoltre che allenarsi con giusta motivazione e grinta
è una cosa che si impara con il tempo e la pratica. Conseguentemente, la natura e la
misura della fatica durante l'allenamento risulta essere differente per ogni individuo,
sebbene possa sembrare ad un occhio inesperto la stessa.

La correlazione tra corpo e mente risulta essere così stretta da influenzare


direttamente la possibilità di allenarci al 100% delle nostre capacità. Se lo sforzo di
un atleta non è conseguenza e riflesso del 100% della volontà del medesimo di
sollevare un dato carico una prestazione massima non potrà mai essere conseguita.

In questo modo, diventa imperativo saper valutare la qualità del nostro allenamento o
di quello di chi ci sta di fronte, in modo da essere in grado di determinare quanto
duramente una persona si stia realmente allenando. Una corretta valutazione è
necessaria sia per quantificare i risultati finali che per misurare la quantità di volume
e frequenza applicabile. Non è tuttavia imperativo essere assolutamente esatti nel
quantificare queste misure, ma è sufficiente ricavare una ragionevole
approssimazione. Per esempio, il livello di intensità con il quale una persona si sta
allenando può essere determinato attraverso un'accurata osservazione di quanto
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duramente tale persona sembri allenarsi. I dati così ricavati possono essere utilizzati
per determinare il volume, la frequenza e l'aumento progressivo dei carichi da
utilizzare.

Similarmente, l'utilizzo di tecniche avanzate di intensità, come ad esempio ripetizioni


forzate o negative potrebbero, se non ben gestite, creare dei problemi. Aggiungere
ripetizioni forzate o negative non si traduce in un aumento dell'intensità del lavoro
(dal momento che una persona non può allenarsi più duramente del 100% già
ottenuto attraverso il cedimento muscolare), ma piuttosto in un ulteriore riduzione
delle limitate capacità organico/adattative. L'ulteriore riduzione delle limitate capacità
organico/adattative risulta difficile da quantificare da allenamento ad allenamento.
Questo è il motivo per cui ogni allenamento non dovrebbe essere uguale al
precedente, ma necessiterebbe ogni volta di essere riadattato alle nuove risposte
derivate dalla precedente sessione. In questo modo possiamo dire che ogni tecnica
avanzata di intensità necessita essere utilizzata con cautela e ad intermittenza,
dovremmo utilizzarle ogni qualvolta si renda necessario un ulteriore stimolo teso a
provocare un nuovo adattamento, tali tecniche dovrebbero quindi essere introdotte
come conseguenza di un periodo di stasi, ciò vuol dire che l'utilizzo continuativo di
queste metodiche, se non ben intervallate, potrebbe risultare deleterio anziché
produttivo.

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Come interpretare i diversi fattori


in relazione alle capacità individuali

A mano a mano che la fatica muscolare e gli esercizi diventano sempre più duri,
l'intensità dello sforzo fisico e mentale deve crescere al fine di sostenere il lavoro
muscolare. Tuttavia, l'intensità relativa a quanto duramente una persona possa
allenarsi dipende da molti fattori.

Quanto un cliente possa tollerare la fatica, così come la sua capacità di adattamento
all'esercizio, debbono essere tenuti in attenta considerazione durante la stesura di un
programma di allenamento, dal momento che un neofita normalmente non è in grado
di allenarsi con la stessa dedizione di un professionista o di un avanzato.

Due altri elementi da tenere in debita considerazione includono quanto velocemente


una persona possa progredire e quanto sia per lui possibile incrementare i carichi
relativamente ad un dato numero di ripetizioni o alla durata della serie. Spiegherò
meglio questi concetti, partendo dal primo, attraverso due esempi: se una persona
volesse mantenere otto ripetizioni in un dato esercizio, ma decidesse di aumentare il
carico di lavoro del 20%, possiamo facilmente presumere che il livello di sforzo per
tenere inalterato il numero di ripetizioni, ossia eseguirne otto, dovrà
proporzionalmente crescere, quanto detto non è necessariamente vero se l'incremento
del carico è estremamente basso (esempio: un aumento di 100 g), in questo caso
l'incremento non dovrebbe essere imputato ad una maggiore espressione di intensità
durante gli esercizi, ma probabilmente ad altri fattori complementari come: un
maggior riposo, l'uso di integratori o una nuova tabella nutrizionale.

Come esempio per il secondo fattore, possiamo dire che più pesantemente una
persona è in grado di allenarsi e maggiore sarà il numero di ripetizioni (o la durata
della serie) che potrà fare con lo stesso peso. La forza muscolare che una persona può
esprimere è determinata, e quindi anche limitata, dal suo corredo genetico. Quindi,
più peso si utilizzerà o più lenta sarà l'esecuzione di ogni singola ripetizione o minore
sarà il tempo impiegato per completare la serie e maggiore sarà l'intensità richiesta
(mantenendo tutti gli altri fattori inalterati).

Di grande importanza, sebbene spesso dimenticato, è lo stile di vita condotto dalla


persona che stiamo allenando. A causa di altri fattori stressori non controllabili
direttamente (esempio: scuola, lavoro, relazioni interpersonali, difficoltà ad
addormentarsi la notte precedente l'allenamento) una persona potrebbe trovarsi
momentaneamente incapace ad allenarsi con l'intensità usuale.
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Modalità per la determinazione della


giusta intensità

La questione relativa a quanto intenso debba essere un allenamento è sostanzialmente


legata alle condizioni individuali del momento. Tuttavia, anche partendo dal
presupposto che chiunque si alleni abbia la capacità di farlo duramente, il problema
della sicurezza dovrebbe comunque essere tenuto in considerazione. Allenarsi troppo
pesantemente potrebbe aumentare la probabilità di infortuni soprattutto in quei casi
dove persista una limitata capacità a controllare l'esecuzione dei movimenti attraverso
uno stile perfetto; ad esempio: i neofiti, le persone in riabilitazione o i molto anziani.
per tutti questi casi, troverete maggiori informazioni su come operare nel diagramma
sottostante.

Quello che è importante capire è che la percezione mentale della fatica può in alcuni
casi non coincidere con quella fisica. Per esempio,una persona si può allenare senza
raggiungere il momentaneo cedimento muscolare, ma tuttavia considerare la fatica
derivante dall’esercizio estremamente alta, questa per esempio è una situazione molto
comune tra chi è in riabilitazione, spesso questi soggetti sperimentano grande dolore
durante i movimenti e a volte questo può capitare anche con i neofiti, che in quanto
tali, hanno difficoltà ad interpretare le sensazioni derivanti dal dolore muscolare
tipico dell’allenamento con i pesi. Esistono anche situazioni in cui chi si allena è
altamente motivato e capace di raggiungere il momentaneo cedimento muscolare,
tuttavia la percezione della serie, per questi soggetti, può risultare buona senza però
essere nulla di speciale.

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Alcune considerazioni sul principio


di adattamento

L'usura che infliggiamo attraverso la continua applicazione della massima intensità di


allenamento al nostro organismo durante l'esercizio fisico non deve essere
sottostimata. Ogni volta che ci sottoponiamo ad allenamenti portati a cedimento
muscolare avranno luogo nel nostro organismo specifiche cascate ormonali tese a
mediare la risposta organica, tale processo di adattamento è conosciuto come
sindrome di adattamento generale (G.A.S.).

La sindrome di adattamento generale comincia con una “reazione di allarme”


coincidente con la segnalazione da parte dell'ipotalamo alla pituitaria (attraverso la
produzione di una molecola ad azione ormonale chiamata CRF) di rilasciare l'ormone
adenocorticotropo (ACTH). L’ACTH viaggia attraverso il sangue fino a raggiungere
le ghiandole surrenali che stimolate rilasceranno un altro ormone chiamato cortisolo.
Il cortisolo è un ormone ad azione antinfiammatoria, secreto in risposta a qualsiasi
forma di stress. Una caratteristica del cortisolo è quella di catabolizzare qualsiasi
tessuto nelle vicinanze dell'infiammazione, incluso il muscolo-scheletrico. tutte le
forme di esercizio, comprese quelle ad alta intensità o ad alto volume, hanno
un'influenza sulla quantità di cortisolo prodotta. Quindi, più alto sarà lo sforzo (più
serie faremo, comprese quelle di riscaldamento) o più frequenti saranno i nostri
allenamenti e maggiore sarà la conseguente risposta in termini di secrezione di
cortisolo.

A mano a mano che i giorni e le ore passano dopo una sessione di allenamento, e se il
tempo tra una sessione e la successiva è sufficiente, il muscolo allenato, ed il corpo in
generale, si adatterà alla nuova condizione ossia supercompenserà attraverso il
raggiungimento di un più alto livello di abilità. In altre parole il processo di
supercompensazione predispone il nostro organismo a meglio sopportare un
eventuale altro lavoro intenso a cui potrebbe in futuro venire sottoposto. Il processo
di recupero/adattamento può essere quindi visto come l’instaurarsi di una maggior
capacità da parte dell'organismo di far fronte a specifiche nuove richieste. Viceversa,
se i nostri muscoli non avranno abbastanza tempo per supercompensare almeno al
loro precedente stadio di capacità di lavoro, gli effetti cumulativi si tradurranno
presto nella condizione tecnicamente chiamata sovrallenamento, caratterizzata da
perdita di forza e performance.

Concludendo, potremmo dire che l'esercizio, particolarmente se molto intenso, si


concretizzi in uno shock di tutto l'organismo. Lo shock può essere causato da una
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moltitudine di avvenimenti, incluso alcune forme di trauma. Il termine trauma, si


riferisce ad un danno fisico o ad una ferita sofferta, e questo è ciò che succede ai
filamenti proteici muscolari come risultante dell'attività fisica. È quindi logico, allora,
far sottostare i nostri corpi a traumi così forti (leggi momentaneo cedimento
muscolare) in nome del miglioramento fisico? Progressi ottimali e continui possono
avvenire solo sottoponendo i nostri muscoli a richieste adattative sempre maggiori.
Se ci allenassimo solo con esercizi facili da eseguire, senza mai combattere per
terminare le serie, sarebbe illogico per l'organismo incrementare i livelli di
adattamento attraverso la crescita e l'aumento della forza muscolare. Questo è
evidente se consideriamo che una maggiore forza o maggiori masse muscolari non
sono di certo la condizione normale, ma sono una condizione letteralmente forzata.

Tuttavia, proprio come ci sono individui magri e altri grassi, così come alcuni sono
intellettuali mentre altri imbecilli, ci sono persone che possono allenarsi sempre ad
un'altissima intensità ed altri che semplicemente non possono tollerare assolutamente
un tale livello di intensità o lo possono fare solo saltuariamente. Il primo gruppo
recupera molto bene da questo tipo di allenamento, il secondo gruppo, più
probabilmente, non ha grandi capacità per la costruzione di grandi masse muscolari e
forza, dato che il loro organismo è altamente sensibile a questo tipo di stress.
Entrambi i gruppi costituiscono un piccolo segmento dalla popolazione totale. La
maggioranza degli individui si pone tra questi estremi, ossia sono in grado di allenarsi
ogni volta a cedimento muscolare (o quasi ogni volta) senza complicazioni, attraverso
l’utilizzazione di alcuni accorgimenti o ciclicizzazioni dei protocolli di lavoro.

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Definizione del principio di volume

Con la parola volume ci si riferisce alla quantità di esercizio eseguito durante un


allenamento. Parlando specificatamente di allenamento con i pesi, possiamo definire
il volume come il numero di ripetizioni, i tempi di esecuzione e il numero di serie
eseguite durante un allenamento.

Maggiore sarà stato il numero delle serie effettuate durante il nostro allenamento e
meno frequente ed intenso quest'ultimo dovrà essere per bilanciare l'equazione che
sta alla base della scienza dell'esercizio. Per esempio, se poniamo come obiettivo la
massimizzazione di forza e massa muscolare, l'intensità (corrispondente al carico)
dovrà essere mantenuta alta, in modo da mantenerci in un ambiente prettamente
anaerobico durante la nostra seduta di allenamento; quindi, la quantità di serie ed il
volume che ne deriva dovrà essere appropriatamente bilanciato con gli altri fattori, in
modo da evitare una super stimolazione. A mano a mano che riduciamo l'intensità, il
volume può crescere, sebbene questa direzione non sia ideale se i nostri obiettivi sono
l'aumento di forza e l’ ipertrofia, questo tipo di allenamento dovrebbe essere limitato
a tutti coloro che hanno come obiettivo principale il miglioramento della prestazione
in termini di resistenza e capacità cardiovascolari. Inoltre, il volume dovrebbe essere
bilanciato con la frequenza considerando che più lungo sarà stato il nostro
allenamento e meno frequentemente potrà essere tollerato.

È importante notare che “abbastanza” volume è essenziale e necessario per


raggiungere un qualsivoglia obiettivo. Alcuni puristi delle tecniche ad alta intensità
commettono secondo me un errore nell'estremizzazione di questo concetto. Essi
considerano che, se l'intensità dello sforzo è massima o al 100%, allora ne deriva che
il volume dovrà essere il minimo possibile, ossia, un'unica serie. Il problema secondo
me sta non nel portare la teoria alle sue massime conseguenze, ma nell’identificare il
numero, minimo possibile, di serie che possa produrre la maggiore risposta.
basandoci sulle specifiche capacità individuali (così come Mentzer già aveva
sottolineato).

Una volta inteso il concetto che l’alta intensità (allenarsi fino al momentaneo
cedimento muscolare) sia il solo fattore responsabile della crescita muscolare, la
domanda logica che ne consegue è: ma quante serie sarà necessario fare? Ed è
precisamente su questo punto che il dibattito è maggiormente acceso e molti body
builders si equivocano. Ogni esercizio fatto in aggiunta al quantitativo minimo
richiesto per stimolare la massima crescita muscolare non è solamente uno spreco di
forze, ma è effettivamente controproducente.

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Il fatto che le capacità di recupero sistemico siano limitate ci conduce


ineluttabilmente a una determinata conclusione logica: il problema della durata, o,
detto più semplicemente, del volume, dove eseguire 1 serie o 100 serie è sempre un
fattore negativo. In altre parole, la lunghezza del vostro allenamento è un fattore
negativo se lo poniamo in relazione alle limitate capacità del nostro organismo di
rigenerarsi. Per ogni serie aggiuntiva eseguita, sempre più risorse biochimiche
verranno impiegate nel tentativo di recuperare dai danni inflitti al sistema muscolo-
scheletrico (compensare), più l'allenamento sarà lungo e meno risorse saranno
disponibili per la super compensazione (costruzione di nuovo muscolo) dato che
l'organismo sarà principalmente impegnato nei processi di compensazione.

Diventa quindi chiaro, a questo punto, che il volume in allenamento sia un vero e
proprio problema, un fattore negativo, tanto che anche una sola serie possiamo
considerarla come “negativa”. Ne consegue logicamente che se vogliamo ottenere
risultati ottimali, dovremo limitare il numero di serie al quantitativo minimo
indispensabile per creare il massimo stimolo alla crescita muscolare. Naturalmente,
almeno una serie dovrà essere fatta per poter definire ciò che stiamo facendo
allenamento.

Dato che un allenamento dovrà prevedere un'altissima intensità per poter stimolare al
massimo la crescita muscolare, e siccome, da quanto asserito, più alta sarà l'intensità
e minore dovrà essere la durata dell’allenamento, un allenamento ad alta intensità
dovrà per forza di cose essere breve.

Se vogliamo utilizzare un vero approccio scientifico per i nostri allenamenti,


dobbiamo considerare che non ci può essere posto per l'arbitrarietà. Quindi il modo
giusto per poter impostare un' allenamento produttivo è quello di andare in palestra e
fare il minimo indispensabile per creare il miglior ambiente anabolico possibile in
relazione alla migliore risposta muscolare ottenibile. Di più non è meglio; di meno
non è meglio; la giusta quantità è la sola strada percorribile.

Fino ad un certo punto, imporre al nostro organismo un allenamento ad alta intensità,


produrrà un adattamento positivo (sviluppo muscolare compensativo), ma fare anche
una semplice serie oltre il minimo richiesto per innescare questo processo, si tradurrà
in un non necessario spreco di risorse biochimiche, che inevitabilmente, ci condurrà
ad un rallentamento, o, nel peggiore dei casi, blocco, della produzione sistemica di
crescita. Se portiamo questo concetto all'estremo, allenandoci per esempio sei giorni
alla settimana, come alcuni programmi di allenamento consigliano di fare, in poco
tempo i sistemi di recupero del nostro organismo non saranno più in grado di
compensare l'eccessiva richiesta e gli effetti saranno quelli di un esaurimento delle
nostre riserve compensatorie che presto si tradurrà in uno stato di decompensazione o
sovrallenamento (perdita di tessuto muscolare = catabolismo muscolare).

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Recupero dopo un allenamento

L'energia è la cosa più preziosa nell'universo; senza energia i pianeti cesserebbero di


muoversi, il sole si raffredderebbe, e la vita, così come la conosciamo, cesserebbe di
esistere.

I nostri corpi hanno a disposizione, come del resto ogni cosa nell'universo fisico,
quantità limitate di energia a cui possano attingere. L'energia a cui i nostri corpi
possono attingere, è derivata dal sole, dal cibo che mangiamo, e dall'aria che
respiriamo. È assolutamente essenziale continuare a consumare sufficienti quantità di
calorie e nutrienti per continuare a ripristinare i nostri livelli energetici.
L'acquisizione e la preservazione dell'energia è così importante che è condivisa da
tutte le creature viventi. Necessitiamo di energia per trovare cibo, per combattere i
nemici e per riprodurci. Molti atleti sottostimano il fatto che l'energia sia necessaria
per la crescita. Mentre è chiaro a tutti che una certa quantità di energia sia richiesta
per portare avanti tutte quelle attività che ci permettono di sopravvivere, solo pochi
sarebbero disposti a sostenere che grandi masse muscolari siano altrettanto necessarie
per la sopravvivenza di un uomo.

La prima cosa che il nostro corpo necessita fare, subito dopo un' allenamento intenso,
è quella di recuperare le energie perse durante lo stesso. Quando ci alleniamo per
troppo tempo e non lasciamo che ne passi a sufficienza per il recupero, il nostro
corpo non riuscirà a recuperare completamente le energie e le risorse fisiche
impiegate. Quando la nostra frequenza di allenamento diventa troppo alta, come ad
esempio quando ci si allena quotidianamente con 20 serie per distretto muscolare,
allora tutte le limitate risorse sistemiche saranno impiegate nel tentativo di
compensare gli effetti di questi tipi di allenamento, e nulla potrà essere utilizzato per
la crescita di nuovo tessuto muscolare.

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Tipi di fibre muscolari e loro


peculiarità
Sulla base del tempo che le fibre necessitano per raggiungere la loro massima
contrattilità, possiamo suddividere le fibre muscolari in tre tipi diversi, ognuno dei
quali possiede differenti proprietà contrattili e meccaniche. Le fibre veloci si
contraggono molto rapidamente, e sono necessarie per compiere lavori dove una
grande forza deve essere espressa in un breve lasso di tempo. Questo tipo di fibre
esauriscono la loro capacità di produrre lavoro molto velocemente, e sono
responsabili in gran parte della grandezza dei muscoli e della forza prodotta dagli
stessi. Sono molto sensibili agli stimoli e se la lunghezza di una serie è eccessiva, ad
esempio oltre i 120 s di tensione costante, il loro uso eccessivo può velocemente
portarle ad uno stato di atrofia e quindi alla diminuzione in volume e forza. Le fibre
veloci prosperano e funzionano in modo ottimale quando sottoponiamo i nostri
muscoli a lavori che non superino i 50/60 s di attività intensa.

Il secondo tipo di fibre e quello che viene chiamato fibre lente, la caratteristica di tali
fibre è la lenta affaticabilità. Queste fibre possono tollerare solo brevissime
esposizioni a lavori intensi, e tuttavia in queste condizioni la loro produzione di
lavoro non risulta essere ottimale. Queste fibre lavorano al meglio in tempi che
superano i 120 s e in maniera sub-ottimale in attività comprese tra il 60 e 120 s. Le
fibre lente sono quelle maggiormente utilizzate in lavori, o esercizi, che possono
durare molti minuti o addirittura ore e la loro capacità di crescita (ipertrofia) è
minima. I corridori di lunga distanza sono esempi specifici di atleti che hanno e
necessitano un'abbondanza di questo tipo di fibre. In questi atleti normalmente le
fibre veloci risultano essere atrofiche in quanto sottoutilizzate. Anche se in un
muscolo sono predominanti le fibre veloci ne esisterà comunque un certo quantitativo
anche di lente, è invece possibile per un muscolo, dove sono predominanti le fibre
lente, di non aver affatto al suo interno fibre veloci.

Un terzo tipo di fibre sono quelle dette intermedie o miste. Queste fibre sono
maggiormente coinvolte in esercizi di durata che va dai 50 ai 90 s. La maggior parte
degli uomini hanno una quantità mista di tipi di fibre all'interno dei loro muscoli
scheletrici con differenti quantitativi da muscolo a muscolo. Pochissimi uomini
risultano essere inusualmente forti e muscolosi (senza esercizio), tale condizione è
però un chiaro indicatore di un'alta quantità di fibre veloci. La maggior parte delle
donne tende ad avere un'alta percentuale di fibre lente nei loro muscoli, questo, unito
ad una diminuita quantità di testosterone prodotto, le predispone maggiormente ad
attività di resistenza e ad essere impossibilitate a sviluppare grandi masse muscolari e
forza.
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È importante notare che dal momento che le fibre veloci hanno una bassa tollerabilità
allo sforzo intenso, tendono a diminuire la loro capacità contrattili totale ad ogni
successiva ripetizione a differenza di fibre lente che invece gradualmente aumentano
la loro forza contrattile ad ogni successiva ripetizione, fino ad aggiungere un
determinato punto, superato il quale, anche per loro inizierà una graduale decrescita
della forza spessa.

La differente capacità di produrre lavoro relative ai diversi tipi di fibre ci porta a tre
riflessioni:

1. Il riscaldamento in un allenamento ad alta intensità deve essere molto breve, in


quanto qualsiasi attività, anche quelle a bassa intensità come il riscaldamento,
può indurre fatica muscolare, al contrario, per migliorare la risposta in termini
di forza durante l'attività di tipo aerobico, il riscaldamento dovrebbe essere
abbastanza lungo.
2. Un muscolo con predominanza di fibre veloci sembra rispondere meglio ad un
tempo totale di esercizio (serie) che va tra i 30 e 50 s. Un muscolo a
predominanza di fibre lente pare invece rispondere meglio a tempi di esercizio
che vanno da 90 a 120 s. Un muscolo che abbia una percentuale mista di fibre
lente e veloci, situazione questa comune a molti muscoli all'interno di un
campione medio di popolazione, pare risponda meglio ad un tempo di esercizio
che va da 50 a 80 s. Queste indicazioni devono essere considerate come
approssimazioni generiche, in quanto i tempi sopra citati sono direttamente
correlati alle percentuali di fibre muscolari costituenti un dato muscolo in un
dato individuo.
3. Il numero di serie per stimolare la crescita delle fibre veloci deve
necessariamente essere ristretto per evitare il sovrallenamento delle stesse
4. (atrofia muscolare). La quantità di lavoro utilizzata per migliorare la risposta
delle fibre lente dovrebbe essere approssimativamente maggiore del 200/300%
rispetto alla quantità di lavoro ideale utilizzata per lo stimolo delle fibre veloci.
Ci vuole molto più tempo alle le fibre lente per raggiungere l'ottimo in termini
di produzione di forza, quindi, un maggior volume, in termini di serie,
contribuisce meglio ad assecondare questa specificità. Per concludere direi che
il numero totale di serie dovrebbe comunque dipendere dall’attento impiego
dei vari fattori, come ad esempio: la frequenza di allenamento, la qualità di
esecuzione dei movimenti, i bisogni e gli obiettivi specifici e le abilità in
relazione alle limitazioni genetico/individuali.

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Fibre lente Fibre Veloci


- Fibre adatte ai lavori di resistenza. - Fibre adatte a lavori corti ed intensi.
- Raggiungono la massima tensione in 80/100 ms. - Raggiungono la massima tensione in 40 ms.
- Adatte per lavori a bassa/media intensità. - Adatte per lavori ad alta intensità.
- Grassi e carboidrati come substrati energetici. - Creatina fosfato e carbo come substrati ener.
- Alta tolleranza all’esercizio aerobico prolungato. - Bassa tolleranza al lavoro prolungato.
- Presenti in abbondanza in maratoneti. - Abbondanti nei power lifters e Body Builders.
- Adatta per allenamenti oltre i 120 secondi. - Adatte per allenamenti sotto i 60 secondi.

Fibre Intermedie
- Combinano le caratteristiche delle Fibre lente e di quelle veloci.
- Durata di lavoro medio, lavorano al loro ottimo ad un’intensità da moderata ad alta, possono crescere
(seppur di poco) in volume (ipertrofizzabili), aumentano in forza espressa, lavorano bene in un
intervallo di tempo che va da 60 a 90 secondi.

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Alcune altre considerazioni


relative alla fisiologia
delle fibre muscolari

• Il numero di fibre (densità) all'interno dei muscoli scheletrici dell'uomo è


probabilmente definito dopo che l'embrione ha raggiunto i 4-5 mesi, ma la
densità può variare durante la nostra vita ed essere influenzata dall'attività
fisica.
• La specializzazione muscolare in differenti tipi di fibre inizia durante la
ventesima settimana fetale, e viene completata circa al raggiungimento del
primo anno di vita.
• è probabile che i nervi possano influenzare le proprietà dinamiche delle fibre
durante lo sviluppo poiché i motoneuroni collegati alle fibre lente sono molto
più piccoli in comparazione a quelli che innervano le fibre veloci.
• il reticolo sarcoplasmatico all'interno delle fibre veloci e due volte più grande
di quello delle fibre lente. Questo permette alle fibre veloci di reclutare una
maggiore quantità di ioni calcio durante la contrazione muscolare, in modo da
promuoverne una maggiore velocità di reazione.
• La quantità di Miosina e Actina costituente le fibre veloci e quelle lente è
pressoché uguale, se ne conclude che non ci dovrebbe essere differenza di
forza generata tra un tipo di fibre e l'altro. La forza massima generata dipende
direttamente dalla lunghezza della pancia muscolare in relazione all’area
traversa che costituisce il muscolo, indipendentemente dal tipo di fibre di cui
risulta essere costituito. Tuttavia, le fibre veloci sono molto più spesse di quelle
lente, ed un muscolo con una predominanza di fibre veloci produrrà molta più
forza di un muscolo con una predominanza di fibre lente (mantenendo invariati
tutti gli altri fattori).
• Si è spesso sentito dire che una successione di contrazioni rapide sia esclusivo
dominio delle fibre veloci, ad esempio, vedi allenamenti di tipo esplosivo.
Questo non è vero. La quantità di fibre veloci reclutate durante uno sforzo
aumenta progressivamente con l'aumentare della domanda totale, per esempio,
attraverso l'utilizzo di un carico molto pesante o durante il raggiungimento del
momentaneo cedimento muscolare senza tuttavia nessuna correlazione diretta
alla velocità di esecuzione.

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Principio del sovraccarico

Aumentare il numero di serie risulta essere il metodo più abusato per aumentare il
sovraccarico. Con questo non voglio dire che l'aumento della domanda attraverso
l'aumento delle numero di serie non debba in assoluto essere usato come mezzo per
l'incremento del sovraccarico sistemico, ma che deve essere utilizzato oculatamente e
in una maniera ciclica. Per esempio, un atleta potrebbe incrementare di alcune serie
per un periodo di due o tre mesi, poi incrementare ulteriormente di alcune serie per
alcune settimane in modo da creare un'ulteriore stress sistemico, per poi ritornare agli
allenamenti precedenti costituiti da un minor volume totale, e quindi più tollerabili,
per altri 2 o 3 mesi. Va sottolineato, a questo punto, che se l'aumento di serie fosse la
risposta, allora 50 serie sarebbero meglio di 10, e 100 serie sarebbero meglio di 50.
L'irrazionalità di queste affermazioni dovrebbe apparire ovvia senza ulteriori
discussioni. È chiaro che includere troppe serie nel nostro allenamento richieda una
riduzione costante dell'intensità dello sforzo generato, in modo da sostenere il volume
imposto. Ridurre l'intensità si tradurrebbe in una riduzione della domanda per unità di
tempo, e tutto ciò non è ideale se la massimizzazione di forza e misure è il nostro
obiettivo. Anche i maratoneti comprendono così bene questo principio, che non
cercano di correre distanze maggiori in ogni allenamento, ma piuttosto una distanza
che risulti la più appropriata in funzione dei loro bisogni e obiettivi.

Aumentare il carico di lavoro viene meglio attuato attraverso l'aumento dei pesi e dal
rallentamento di esecuzione dei movimenti rispetto all'aumento delle sedie totali.
Quanto aumentare i carichi o rallentare la velocità in ogni allenamento dipende dal
grado di sviluppo e adattamento del praticante. Nel caso di un neofita, la progressione
dovrebbe essere piuttosto lenta, in modo da non stressare eccessivamente il corpo
producendo estremo dolore muscolare e possibile avversione a nuove sedute di
allenamento. Inoltre, ci si dovrebbe concentrare principalmente ad imparare la giusta
esecuzione dei movimenti.

Ritengo come adeguato, al fine dell’attuazione del progressivo aumento dei carichi,
un incremento di circa il 5% del carico utilizzato nell'allenamento precedente oppure
una riduzione della velocità (risultante in una migliore gestione del movimento
durante la serie) di 5/10 secondi al massimo, mentre si impara la giusta forma di
esecuzione. Per esempio, il praticante potrebbe mantenere un tempo di esecuzione di
60 s in ogni allenamento mentre i carichi di lavoro vengono incrementati del 5%. La
serie in questo modo dovrebbe terminare appena raggiunti 60 s totali, anche se si
potrebbe continuare oltre. O, una volta raggiunti i 60 s, l'atleta dovrebbe incrementare
il peso di circa il 5%, in questo modo sperimenterà una caduta dei tempi totali di
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esecuzione a 40 s (i 40 s sono semplicemente esemplificativi, potrebbe essere


qualcosa di più o di meno), per poi ritornare, durante gli allenamenti successivi,
nuovamente 60 s, determinando così la necessità per un nuovo aumento del 5% dei
carichi. Entrambi i metodi sono appropriati e adatti a permettere una progressione
continua. Queste metodologie di lavoro sono inoltre importanti per il fatto che
permettono di introdurre un protocollo matematico scientifico atto alla possibilità di
quantificare le variazioni di forza che avvengono da seduta a seduta, determinando
così la possibilità per l'allenatore di modificare i programmi ogni qualvolta si renda
necessario farlo.

Naturalmente, ci sono limitazioni alla possibilità di rallentamento continuo dei


movimenti. La massimizzazione della massa muscolare, per esempio, mal si confà a
tempi totali di serie che superino i 120 s, come spiegato precedentemente tali
tempistiche ci farebbero sconfinare in un ambiente aerobico. La costruzione di nuova
massa muscolare richiede un carico sufficiente a stimolare l’adattamento o crescita.
Se il peso risulta essere troppo leggero, o i tempi di movimento troppo lunghi, i
cambiamenti saranno più improntati alla resistenza che all'ipertrofia, anche se la serie
sarà portata al momentaneo cedimento muscolare.

Dopo circa 4/6 mesi di tempo in cui si dovrebbe aver appreso una corretta tecnica di
movimento e sviluppato un'adeguata percezione neuromuscolare, la domanda e la
relativa tollerabilità incomincia a cambiare nel praticante. I seguenti 2/3 anni spesso
risultano essere quelli di più grandi risultati e guadagni muscolari. Tuttavia, poiché i
progressi possono essere eccezionali durante questo periodo, potrebbe essere difficile
per gli atleti utilizzare il metodo degli incrementi del 5%, così come descritto
precedentemente, in quanto, soprattutto nei primi mesi, l’entità di tali incrementi
potrebbe non essere sufficiente. Non è infatti inusuale sottostimare i progressi a mano
a mano che il muscolo cresce in misure e forza molto rapidamente. Il punto qui è
quello di evitare strutture pre-impostate, ricordatevi sempre che ogni adattamento, in
quanto individuale, necessita di riaggiustamenti altrettanto individualizzati.

Dopo alcuni anni di serio allenamento, i progressi rallenteranno drammaticamente,


specialmente in termini di aumento di massa muscolare. L'obiettivo a questo punto,
per il praticante avanzato, è quello di concentrarsi su modesti aumenti di forza da
allenamento ad allenamento, attraverso l'utilizzazione di metodologie che permettano
di produrre una maggiore intensità nell'unità di tempo.

L'obiettivo per un avanzato, è quello di generare la massima intensità nel minor


tempo possibile, rispettando naturalmente le velocità dei movimenti di cui abbiamo
già parlato. Questo concetto risulta essere estremamente importante dal momento che
un allenamento non adeguatamente intenso, non sposterà nessun equilibrio
(omeostasi) sistemico, e quindi, non ci sarà nessuna ragione valida perché il nostro
organismo si adatti attraverso la costruzione di nuovo muscolo.
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Per finire, è importante notare che anche la selezione dei movimenti che
comporranno i nostri programmi di allenamento, influenzerà la misura e la possibilità
di ulteriore aumento futuro dei carichi di lavoro. Esercizi multi-articolari, come ad
esempio lo Squat con bilanciere, aumenta notevolmente l'intensità per unità di tempo
rispetto ad esercizi di isolamento come ad esempio il Leg-extension. In effetti,
maggiori sono le aree muscolari coinvolte in un esercizio e più condizionamento a
livello sistemico otteniamo, dando così maggior impulso alla crescita generalizzata.
La conseguenza diretta di quanto appena detto, è che risulta essere più difficile
migliorare attraverso l'utilizzo di esercizi semplici come il Curl per gli avambracci,
dal momento che l’area muscolare stimolata è molto piccola, che con esercizi
complessi come ad esempio gli stacchi da terra, i quali coinvolgono una percentuale
estremamente alta di aree muscolari nello stesso tempo.

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Esercitare la volontà

Esiste ancora una variabile, di cui non abbiamo ancora parlato, necessaria per fare un
buon allenamento: la volontà. A mano a mano che incrementiamo i livelli di intensità
nel nostro allenamento, ci troviamo ad affrontare una resistenza mentale al sacrificio
sempre più forte.

Questo succede perché l'onere derivante dalla contrazione, portata fino al cedimento,
di un muscolo sempre più forte e grande sulle capacità di recupero del nostro
organismo, diventa sempre più difficile da compensare, quindi, potenzialmente
dannoso. Più l'allenamento sarà intenso e più risorse verranno assorbite dal nostro
organismo per portarlo a termine, più la nostra mente ed il nostro corpo cercheranno
di prevenire, quanto più possibile, il totale esaurimento delle stesse.

Ansietà, poca voglia di allenarsi, e una maggior attitudine alle attività a bassa
intensità (aerobiche), sono tutte manifestazioni della nostra mente di avversione verso
attività che comportino uno sforzo massimo.

Quindi, a mano a mano che i nostri muscoli diventano sempre più forti, bisognerà
esercitare la nostra volontà a sopportare sempre maggiori richieste. Gli allenamenti
ad alta intensità sono estremamente duri, tale durezza influenza non solo il nostro
organismo, ma anche le nostre capacità mentali di sopportarla. Se dovessi definire la
sensazione sperimentata durante l'allenamento ad alta intensità la contraddistinguerei
come sgradevole e brutale.

Se siete in grado di parlare tra una serie e l'altra e sentite il desiderio di aumentare il
numero di serie totale dell'allenamento, allora non vi state allenando alla massima
intensità possibile. Se state veramente allenandovi al cedimento muscolare, non
sarete in grado di parlare tra le serie perché sarete intenti a cercare di recuperare da
quello che avete appena fatto, e, invece di pensare a fare altre serie, incomincerete
piuttosto a pensare a come fare per accorciare il vostro allenamento.

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Quando i carichi incominciano ad


essere troppo pesanti

Il corpo può tollerare solo una certa quantità di sforzo, e, quanto asserito, diventa
sempre più evidente a mano a mano che l'atleta invecchia, dal momento che le sue
articolazioni tendono ad infiammarsi come conseguenza di un'eccessiva usura.
Inoltre, quello che spesso viene poco considerato è che anche un'esecuzione perfetta
degli esercizi può condurre ad una condizione di osteoartrite a mano a mano che
invecchiamo. Naturalmente questo dipende da molti fattori, come ad esempio il
numero di anni di attività fisica praticata, l'intensità del lavoro, il volume, la
frequenza e la predisposizione genetica a questo tipo di problemi.

La quantità del carico utilizzato è un'altro fattore molto importante da tenere in


considerazione. Con l'età ed il raggiungimento del proprio potenziale genetico
naturale continuare a cercare di indurre un continuo miglioramento fisico attraverso
l'aumento dei carichi di lavoro, produce via via una velocizzazione dell'usura dei
tessuti e aumenta il rischio di infortuni. Partendo da questi presupposti, l'obiettivo per
l'atleta avanzato deve necessariamente essere teso al continuo miglioramento dello
stile di esecuzione del movimento e non al continuo incremento dei carichi di lavoro,
in modo da continuare a produrre buoni risultati attraverso l'utilizzo di pesi inferiori.

Continuando a speculare sulla natura del carico, possiamo dire che quanto può essere
sollevato diventa rilevante solo relativamente all'attività fisica svolta, ciò significa
che l'aumento di carichi non deve mai andare a discapito della corretta esecuzione del
movimento a meno che il tipo di attività che stiamo svolgendo abbia come fine
ultimo la quantità di carico sollevato (vedi sollevamento pesi).

Sebbene un aumento di forza migliori in generale la risposta sistemica muscolo-


scheletrica ed energetica, condizionando così il corpo ad un miglioramento generale
delle prestazioni relative a tutte le attività giornaliere, anche quelle non direttamente
derivanti dalle attività specificatamente svolte in palestra, tuttavia la forza acquisita in
un esercizio (come ad esempio la panca piana) potrà essere espressa al 100% solo ed
esclusivamente durante l'esecuzione del movimento specifico per cui ci siamo allenati
e influenzerà solo parzialmente la forza esprimibile in altri movimenti affini, ma non
identici.

È interessante notare questo punto: non sempre l'aumento dei carichi di lavoro
corrisponde ad un aumento della massa muscolare. Si può concludere quindi che
costruire nuovo muscolo ha molto più a che fare con la maniera con cui ci alleniamo
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(l'uso degli attrezzi, la velocità dei movimenti, l'enfasi durante isometriche, negative,
e positive) che con il semplice aumento dei carichi sollevati. La quantità di carico
sollevato è quindi solo un aspetto tra i tanti componenti degli stimoli che causano la
costruzione di nuovo muscolo.

Inoltre, è importante notare, che gli adattamenti derivanti da programmi di


allenamento adeguati sono immediati. Se ciò che abbiamo fatto è sufficiente per
condizionare il nostro organismo, gli adattamenti che ne deriveranno dovranno essere
veloci, in modo da seguire la classica relazione di causa-effetto. Se da un allenamento
all'altro siamo in grado di aumentare i carichi mentre manteniamo costante la
velocità, i tempi e le modalità di esecuzione di movimenti, allora il processo di super-
compensazione, se i tempi di recupero saranno sufficienti, sarà immediato. Se invece
le tecniche utilizzate saranno scorrette, i cambiamenti a livello muscolare non
avverranno anche se tali tecniche verranno perpetrate per mesi o anni (non è quindi
una questione di tempo, ma di metodo).
Continuando la nostra disamina sul modo di ottenere sempre maggiori risultati
limitando l'incremento dei carichi di lavoro, dal momento che operare in questa
maniera riduce notevolmente l'usura delle articolazioni e dei tessuti molli, possiamo
affermare che rallentare ulteriormente il movimento di esecuzione può rendere
l'esercizio più duro. Se il movimento viene già eseguito in maniera lenta e controllata
(4 s nella fase concentrica,2 s nella fase isometrica e 4 s nella fase eccentrica),
rallentare ulteriormente il movimento può offrire un vantaggio nel breve periodo,
traducibile in un aumento di massa muscolare. Tuttavia muoversi troppo lentamente
può determinare alcuni problemi.

Dobbiamo considerare, che più lento sarà il movimento e meno ATP verrà utilizzato
durante una serie. Un importante aspetto del condizionamento muscolare necessario
per la crescita e la super compensazione si basa sulla quantità di energia consumata
nell'unità di tempo. Muoversi troppo lentamente, e produrre quindi meno
ripetizioni/contrazioni nella stessa unità di tempo, riduce notevolmente la quantità di
energia spesa durante una serie.

Un altro aspetto delle tecniche di movimento super lente, consiste nell'impossibilità


di allenare con la stessa intensità il muscolo durante l'intero arco del movimento, a
meno che non si abbiano a disposizione attrezzature particolari che permettono di
eliminare i punti morti che spesso si trovano nella maggior parte degli esercizi.
Inoltre, molti atleti, a volte consciamente, altre volte inconsciamente, tendono a
soffermarsi molto nelle zone in cui si fa meno fatica, in questo modo rendendo
l'esercizio molto più semplice ed inefficace.

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Sovraccarico e numero di serie

Il numero di serie è direttamente in relazione all'impatto metabolico che ogni serie


aggiuntiva produce sul muscolo allenato, ossia, più serie facciamo, più affaticato
diventa il nostro muscolo e quindi meno capace di produrre lavoro. È tuttavia
possibile che un “ragionevole” temporaneo incremento di serie, oltre ciò che
riteniamo ideale, possa avere effetti positivi sulle capacità contrattili e adattative dei
muscoli allenati. Tuttavia, l'aumento del numero di serie deve essere fatto tenendo in
considerazione due questioni:

1. Di quante serie dovremo incrementare il nostro allenamento?

2. Per quanto tempo l'incremento dovrà essere mantenuto?

Prima di rispondere a questa domanda, è importante definire cosa sia ideale


basandoci su valori temporali. Ideale deve essere interpretato come tollerabile e
ottimo in relazione alle capacità, ai bisogni, alle limitazioni e agli obiettivi
individuali. Ciò che può essere tollerato su tempi lunghi, per molti mesi o anni, è
molto differente da ciò che può essere tollerato durante periodi brevi, relativamente
ad alcuni allenamenti o settimane. Per esempio, 1'atleta potrebbe essere in grado di
sopportare 10 serie per un dato gruppo muscolare se ciò viene protratto solo per
alcune settimane, la stessa cosa potrebbe diventare intollerabile, sfociando così in una
situazione di sovrallenamento, se il periodo venisse protratto per alcuni mesi o anni.
Continuando su questa strada, aggiungere una serie al nostro programma non
dovrebbe essere un grosso problema anche mantenendo questa variazione per tempi
lunghi. Tuttavia, raddoppiare il numero totale di serie oltre ciò che consideriamo
ideale non potrà essere tollerato per lunghi periodi di tempo. Mentre invece,
introdurre brevi periodi in cui viene aumentato il numero totale di serie può essere
considerato un metodo efficace per stimolare la crescita muscolare sistemica.

Detto questo, non possiamo pensare di aumentare costantemente e progressivamente


il numero di serie, specialmente oltre il minimo necessario a stimolare la massima
crescita possibile mentre cerchiamo di evitare un sovra-stimolo con conseguente
ritardo nei tempi di recupero, dato che questo approccio non può essere considerato
come una tecnica fondamentale e quindi di riferimento, utilizzabile all'interno dei
nostri programmi di allenamento. Come già citato precedentemente, ricordatevi
sempre che l'intensità e il volume sono due fattori inversamente proporzionali, quindi,
maggiori saranno le serie eseguite (volume) e minore dovrà essere l'intensità, in modo
da essere in grado di portare a termine sia mentalmente che fisicamente il nostro
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allenamento. Sebbene un certo numero di serie debba essere fatto per stimolare la
crescita muscolare è anche vero che a tali serie dovrà corrispondere un'intensità di
lavoro sufficiente a dare un valore compiuto alla serie stessa. Per ogni persona esiste
un punto critico o di soglia superato il quale ogni serie aggiuntiva risulterà in uno
stato debilitante di sovrallenamento.

Un altro punto importante da considerare è l'invecchiamento in relazione alle capacità


individuali di recupero e ai bassi livelli ormonali (testosterone e Gh) che ne derivano.
Per raggiungere il nostro potenziale genetico nel minor tempo possibile è ragionevole
affermare che il programma che svilupperemo dovrà necessariamente tener conto
delle capacità adattative ridotte che sono conseguenti all’invecchiamento.

Quanto detto, può essere riassunto dicendo che l'aumento del numero delle serie
dovrebbe essere visto, la maggior parte delle volte, come un fattore negativo. Tale
aumento dovrebbe essere circoscritto solo a determinati momenti e applicato in una
maniera ciclica. In altre parole, il volume dovrebbe essere aumentato, oltre i livelli
considerati ideali, solo se si considera che possa derivarne un potenziale beneficio,
comunque l'incremento dovrebbe essere sempre breve e attentamente monitorato. È
inutile dire che ogni aumento generalizzato del lavoro svolto incrementi i livelli di
stress organico, includendo in questo concetto anche l’ intensità e la frequenza,
dovremmo concludere che ogni incremento dovrebbe essere fatto con attenzione,
tuttavia va detto che l'eccessivo volume, appare essere il problema principale del
fallimento di molti programmi di allenamento. Se una certa quantità non è sufficiente,
allora è luogo comune aggiungere più serie, in questo modo molta gente esegue più
serie di quelle effettivamente richieste, spesso non eseguendole con l'intensità
richiesta per produrre risultati.

Concludendo, il numero ideale di serie potrebbe anche essere solo uno per gruppo
muscolare, se la qualità del movimento e l'intensità sviluppata risultasse essere
abbastanza alta, naturalmente in relazione ai livelli correnti di condizionamento
sistemico raggiunto. Se invece considerassimo il caso di persone che ancora non
abbiano raggiunto livelli di intensità sufficiente, il quantitativo ottimale di serie
potrebbe aggirarsi intorno alle 2 o 3 (ad esempio: 2 o 3 esercizi di una serie ciascuno
o 2 o 3 serie di un solo esercizio). In altri casi, il quantitativo di serie potrebbe anche
essere uguale a zero, dal momento che l'effetto cumulativo derivante da esercizi
multi-articolari è più che sufficiente per stimolare le catene muscolari più piccole
coinvolte; per esempio: i bicipiti femorali coinvolti durante gli Squat o i tricipiti
coinvolti nella panca piana. Evidentemente, si necessiterà di un tipo di approccio
consistente in prove, errori e modifiche, necessario per scoprire il numero ideale
di serie per gruppo muscolare, o per il corpo in generale, un numero questo che
varierà dinamicamente a mano a mano che la concentrazione, gli obiettivi, e
l'intensità generata dall'atleta, cambieranno.

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Aumento dei carichi


in relazione
all'intensità dello sforzo

Aumentare i carichi o rallentare i movimenti di esecuzione comporta un aumento


diretto dell'intensità generata. Sollevare progressivamente carichi sempre più pesanti
con gli stessi tempi di movimento si traduce in uno stress sistemico sempre maggiore.
All’ aumentare della domanda di lavoro, conseguente all'aumento dei carichi, l'atleta
dovrà sempre più essere in grado di allenarsi fino al momentaneo cedimento
muscolare. La necessità di allenarsi fino al momentaneo cedimento muscolare, in
modo da sollevare progressivamente carichi sempre più pesanti, è chiaramente
evidente negli atleti avanzati, i quali si trovano in una condizione molto vicina al
raggiungimento del loro massimo potenziale genetico. Queste persone sono solite
combattere per accorciare di pochi secondi le loro serie, per aumentare di una
ripetizione le loro serie o per incrementare i carichi di lavoro. Quindi, più l'atleta sarà
vicino al raggiungimento del proprio potenziale genetico, più l'allenamento dovrà
essere duro ed intenso in modo da continuare a progredire.

All' aumentare continuo dei carichi di lavoro, mese dopo mese o anno dopo anno,
potrebbe essere necessario diminuire il volume totale di serie in allenamento o la
frequenza in modo da migliorare il recupero generale in relazione all'intensità
espressa in allenamento. Non sarebbe corretto diminuire l'intensità fino a quando
fossimo in grado di gestire sempre più peso o aumentare il numero di ripetizioni
all'interno di una serie. Diventa quindi imperativo capire la relazione che esiste tra
volume e frequenza. Il costo metabolico in allenamento può aumentare alcune decine
di volte a mano a mano che l'atleta migliora le sue capacità di generare intensità e
aumenta la sua massa muscolare, tuttavia le capacità di recupero locali e sistemiche
non aumenteranno proporzionalmente, anzi, tenderanno a diminuire con
l'invecchiamento. Questo ci suggerisce che i neofiti e i praticanti molto giovani
saranno quelli che meglio tollereranno maggior quantità di volume e frequenza, e che
questi due elementi dovranno proporzionalmente diminuire a mano a mano che
invecchiamo o progrediamo, in modo da poter sostenere le nuove richieste in termini
di carichi e intensità.

Si è spesso sentito dire, erroneamente, che gli atleti avanzati riescono ad adattarsi
progressivamente a sempre maggiori volumi di allenamento e che aumentare il
numero di serie sia essenziale per produrre crescita e forza muscolare. Oggi possiamo
dire che questo è vero solo in un contesto limitato, ossia, ciclicizzando in tempi
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diversi periodi di maggior volume con periodi di minor volume, come spiegato
precedentemente. L'aumento del volume, raramente risulta essere una buona
soluzione nel lungo periodo, molto più spesso è un problema.

Una nota interessante, relativa ad un mero fattore estetico, è data dalla frequenza in
relazione non all'aumento di forza e massa muscolare. Una più alta frequenza di
allenamento produce effetti benefici in termini di maggiore pienezza muscolare,
probabilmente ciò e dovuto alla maggiore pressione di fluidi, infiammazione locale, e
continua deplezione, ripristino e super-compensazione di glicogeno (carboidrati)
muscolare. Quindi, sebbene allenamenti più frequenti non miglioreranno la nostra
massa muscolare o la forza da noi prodotta, dobbiamo dire che tuttavia, se effettuati
per periodi di tempo non troppo lunghi, potranno produrre un miglior effetto
“estetico” generale (magari prima di una data importante in cui ci si deve trovare al
top).

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Capitolo secondo

Mettere in pratica la teoria

“L’allenamento con i pesi è una forma di Stress che possiamo controllare


semplicemente variando l’intensità, la durata e la frequenza dei nostri
allenamenti”.

- Mike Mentzer -

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Nota dell’autore

Questo libro, inizialmente, era stato da me concepito come una mera disquisizione
tecnica sui principi che regolano la crescita muscolare.
Andando avanti nella sua realizzazione mi sono reso conto che sarebbe stato
comunque necessario inserire una parte pratica.
Essendo stato, come già dichiarato nelle premesse, direttamente a contatto con Mike
Mentzer, utilizzerò, per l’esemplificazione dei programmi, delle schede basate sulla
metodologia elaborata da Mike e denominata Heavy Duty.
Le due tabelle che troverete in questo capitolo, sono simili a quelle realizzate da Mike
nei suoi ultimi libri, ma tuttavia, non identiche, dato che contengono qualche
modifica, da me apportata, che considero necessaria in relazione ai problemi emersi
con i miei clienti durante i molti anni di pratica sul campo.
Come è già emerso dalla mia disquisizione teorica, oggi ritengo che usare un
protocollo uguale per tutti non vada bene, gli allenamenti devono essere
necessariamente personalizzati in termini di Intensità, Volume e Frequenza, in
relazione alle capacità psico-fisiche di colui a cui verrà destinato il programma.
Tuttavia, ho ritenuto necessario inserire almeno due programmi base di lavoro, in
modo da poter meglio orientare, attraverso due esempi pratici, il fruitore di questo
manuale.
Il primo programma è una scheda base destinata ad un neofita tipo, intesa più che
altro a valutare le sue capacità e, nello stesso tempo, introduttiva all’acquisizione dei
giusti rudimenti in termini di correttezza dei movimenti, respirazione durante gli
esercizi, velocità delle ripetizioni e raggiungimento del momentaneo cedimento
muscolare.
Il secondo programma è destinato ad un intermedio/avanzato che abbia acquisito il
controllo della giusta tecnica e sia già in grado di allenarsi fino al raggiungimento del
momentaneo cedimento muscolare.
Entrambe le tabelle non vanno prese per “oro colato”.
Ricordatevi sempre che una volta compresa la teoria che sta alla base della crescita
muscolare e avendo ben chiaro che i muscoli crescono come risposta di adattamento
ad uno stress imposto e mettendo il tutto in stretta relazione con i principi che ne
influenzano e determinano la risposta, ossia, Intensità, Frequenza e Volume, sarete
sempre voi, e solo voi, a determinarne la validità o la necessità di variazione negli
schemi.
Nonostante esistano altre metodologie che rientrano nei sistemi H.I.T. (High Intensity
Training) molto interessanti e soprattutto valide, come ad esempio il sistema Zone
Training sviluppato da Brian D. Johnston, che normalmente utilizzo per la
ciclicizzazione dei miei programmi di lavoro, ho ritenuto più appropriato utilizzare

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schemi Heavy Duty, dato che ritengo siano più che sufficienti per iniziare e procedere
durante almeno tutto il primo anno.
L’analisi, l’utilizzo ed il commento delle altre tecnologie H.I.T. sarà molto
probabilmente l’argomento di un prossimo manuale.
Cercare sempre di mantenere la mente aperta e critica è condizione necessaria per
determinare ciò che è corretto da ciò che risulta essere fuorviante, ed è, secondo me,
l’unico sistema che possa garantire il massimo sviluppo del potenziale intellettuale di
ognuno di noi.

Brescia 02/05/2009

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Introduzione all’allenamento
razionale

Durante tutto l’escursus teorico che ci ha condotto fino a qui ho cercato di dimostrare
che la crescita muscolare è soggetta alle stesse leggi fisico-biologiche che regolano
l’esistenza di tutti gli organismi viventi.
L’allenamento deve quindi essere oggettivamente impostato attraverso principi
universali, che, in quanto tali, sono soggetti solo per una piccola parte, ad
aggiustamenti soggettivi.
Se partiamo quindi dal presupposto che tutti facciamo parte della stessa specie, ossia
la razza umana, e che la fisiologia e i processi biologici che regolano i nostri
organismi sono fondamentalmente identici, ci pare subito chiaro che l’allenamento
per essere proficuo non può che essere per tutti uguale e che le variazioni non
possono che essere minime e rientrare in spazi ben definiti.
Se la mia premessa non fosse vera non esisterebbero le scienze biologiche come ad
esempio la medicina.
Possiamo prescrivere farmaci e terapie uguali per tutti (aggiustando solo di volta in
volta i dosaggi e le modalità di somministrazione) proprio perché basicamente siamo
tutti molto simili, il nostro fegato, le nostre reni, il nostro intestino funzionano tutti
nella stessa maniera.
Vi immaginate se applicassimo le premesse dei vari Gurù degli allenamenti alla
medicina?
Il risultato sarebbe una confusione totale, non esisterebbero protocolli di cura uguali
per tutti a cui fare riferimento e per ognuno si dovrebbe trovare una cura
completamente diversa da un altro.
Vi chiedo ora, se quello che ho detto è vero, perché ognuno di noi dovrebbe allenarsi
in un modo differente, generato il più delle volte da un interpretazione soggettiva
degli stimoli che ci vengono dal nostro corpo?
Spesso, senza per altro avere le minime basi tecnico/scientifiche per poterne definire
la correttezza.
La crescita muscolare è una risposta biologica, ben definita e definibile, ad uno stress
imposto.
Per semplificare la discussione mi servirò di un esempio.
Prendiamo l’abbronzatura, quando ci esponiamo al sole, il corpo per non scottarsi
inizia a produrre un pigmento scuro che serve a proteggere la nostra pelle
dall’eccessiva esposizione ai raggi UVA e UVB che viene chiamato: “melanina”.
Perché venga prodotta melanina, l’agente stressorio, ossia l’esposizione ai raggi
solari, deve essere o molto lunga, nel caso in cui la quantità dei raggi solari sia molto

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diluita, per esempio in inverno o primavera, o corta ed intensa, nel caso in cui ci
troviamo ad esporci in piena estate.
Non può essere molto lunga ed intensa poiché il corpo non sarebbe in grado di gestire
l’enorme quantità di danni che ne deriverebbe e quindi, ci troveremmo scottati, fino
alle estreme conseguenze, in cui la scottatura sarebbe tale che ci porterebbe alla
morte.
Cosa centra direte voi l’abbronzatura con la crescita muscolare?
In realtà i due processi sono confrontabili e ognuno di essi è la risultante di un
adattamento organico ad un fattore stressorio.
Ogni volta che ci alleniamo, se l’allenamento è stato sufficientemente intenso,
creiamo nel nostro organismo una serie di danni a livello delle nostre fibre muscolari
che successivamente dovrà essere riparato.
Il nostro organismo identifica nell’allenamento una causa di maggior uso con
successivo maggior deterioramento dei nostri muscoli.
Per difendersi da tale “attacco” non solo deve ricostruire ciò che è stato distrutto, ma
successivamente deve cercare di aumentare le sue capacità di resistenza ad un
ipotetico nuovo “attacco” che tanto lo ha traumatizzato.
Tecnicamente questo processo si chiama supercompensazione.
Durante la supercompensazione i nostri muscoli vengono non solo riparati, ma
crescono per meglio sopportare un ipotetico nuovo “attacco”.
Esattamente come succede per l’abbronzatura, anche per l’allenamento vale lo stesso
principio dell’esposizione al sole.
Più l’allenamento è stato intenso e più deve essere corto.
L’intensità, come ho già definito precedentemente, non è legata alla durata, ma
piuttosto al numero di unità motorie e fibre muscolari che riusciamo a reclutare
in una data unità di tempo.
Potremo fare allenamenti lunghi, fino ad arrivare a quelli aerobici, solo se il numero
di unità motorie reclutate durante l’esercizio saranno sempre molto poche.
Ripeto, non è possibile allenarsi intensamente e allo stesso tempo per periodi
lunghi di tempo.
Altra cosa estremamente importante, e che spesso si sottovaluta, è che dopo un
allenamento molto intenso, serve molto tempo perché i processi di compensazione
prima, e supercompensazione poi, vengano messi in atto.
I muscoli crescono come adattamento del corpo ad una maggior richiesta di lavoro
muscolare.
Come per l’abbronzatura, dove, dopo un’ esposizione corta ed intensa ci troviamo
con la pelle arrossata e necessitiamo di 48/96 ore perché i processi di compensazione
(riparazione dei danni) e supercompensazione (produzione di melanina) abbiano
luogo, così accade anche per i nostri muscoli.
Continuare ad esporci al sole dopo l’arrossamento ci porterebbe solo a scottarci,
continuare ad allenarci dopo aver raggiunto il cedimento muscolare ci porterebbe solo
al super-allenamento.
Immaginate le risposte dell’organismo ad uno stress imposto come un interruttore.
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Una volta che accendete la luce, ossia innescate una reazione per cui si necessiterà di
un adattamento, non serve più continuare ad accenderla e spegnerla per mantenerla
accesa…., l’interruttore ha solo 2 posizioni: acceso e spento.
Anche il corpo ha 2 stadi, una volta “acceso”, ossia innescata una reazione di
adattamento, non dobbiamo far altro che aspettare che i processi di
supercompensazione abbiano luogo.
Allenarsi nuovamente, anche se pensate di allenare muscoli differenti
dall’allenamento precedente, senza che i processi di supercompensazione siano
completamente esauriti porta ad un graduale sovrallenamento con il risultato più o
meno rapido della stabilizzazione dei risultati.
Come facciamo a sapere che il tempo intercorso tra un allenamento ed il successivo è
stato sufficiente?
Semplice, ogni volta che ritorniamo a fare gli stessi gruppi muscolari dovremo essere
in grado di usare maggiori carichi o fare più ripetizioni.
Se siamo stabili o addirittura torniamo indietro vuol dire che il corpo non è in grado
non solo di supercompensare, ma anche solo di riparare i danni tra un allenamento ed
il successivo.
Ecco il perché molti programmi di allenamento prevedono micro-cicli di recupero,
per ovviare al sovra-allenamento che ne deriva.
Ricordatevi che l’adattamento allo stress è un processo continuo e costante e
terminerà solo nel momento in cui raggiungerete l’espressione del vostro massimo
potenziale genetico/muscolare, che nell’abbronzatura è dato dal livello di
pigmentazione massima che possiamo raggiungere, e che nella crescita muscolare è
dato dalla massima crescita che possiamo ricavare dai nostri muscoli e che, ancora
una volta, è intima funzione del nostro patrimonio genetico/muscolare.

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Quante ripetizioni?

Molteplici fattori definiscono quante ripetizioni andrebbero fatte o quanto una serie
dovrebbe durare. L’ adattamento fisico e mentale necessario per sostenere contrazioni
muscolari intense, ed in quanto tali “non piacevoli”, dovrà essere tenuto in giusta
considerazione, sebbene questo non sia del tutto determinante, a meno che dozzine o
centinaia di ripetizioni siano inserite in una determinata serie.

I bisogni e gli obiettivi di un individuo vanno sempre tenuti in primo piano, tanto da
dover coincidere con la natura stessa dell'attività/programmi intrapresi. I lavori per la
massimizzazione della forza richiedono meno ripetizioni rispetto ad un classico
programma di body building dove invece il numero di ripetizioni ed i tempi di
movimento diventano estremamente importanti per il miglioramento in termini di
composizione corporea (aumento della massa magra).

Quanto più duramente una persona riuscirà ad allenarsi e tanto più verrà ad essere
influenzata la quantità di ripetizioni fatte con un determinato peso. A questo
proposito, più velocemente una persona progredisce in termini di aumento di carichi
da allenamento ad allenamento, e più difficile sarà sostenere un dato numero di
ripetizioni mantenendo la medesima cadenza (velocità durante concentriche,
eccentriche ed isometriche).

Anche la cadenza del movimento durante una serie contribuirà direttamente alla
quantità di ripetizioni totali eseguite. Considerate ad esempio due serie da 60 s, dove,
nella prima, ogni ripetizione duri mediamente 10 s, e, nella seconda, ogni ripetizioni
duri mediamente 6 s. Nel primo esempio, solo 6 ripetizioni saranno possibili, mentre
nel secondo esempio se ne potranno fare 10. A questo punto dovrebbe essere chiaro
che la cadenza durante le ripetizioni dovrebbe essere sempre accuratamente
monitorata in modo che sia costante da un allenamento al successivo, tale
accorgimento diventa necessario per poter determinare con certezza la variazione di
progressi da una volta con l'altra. Dopo tutto, se un praticante riesce a fare otto
ripetizioni in 60 s in un allenamento e poi nove ripetizioni di 60 s nell'allenamento
successivo, si potrebbe concludere che sia migliorato, ciò però non risulta essere
sempre vero, ed in particolare quando movimenti più veloci sono la risultante di una
maggior inerzia e quindi di un minor sforzo muscolare prodotto durante l'esercizio.

Un altro fattore importante è la risposta individuale all'esercizio fisico in relazione


all'affaticamento indotto in un determinato muscolo. Sebbene abbia già descritto i
vari tipi di fibre muscolari: fibre veloci, fibre lente e intermedie, è importante dire che
le percentuali di tali fibre nei differenti distretti muscolari sono alquanto diverse. Tali
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proprietà debbono essere necessariamente tenute in considerazione quando alleniamo


un determinato distretto muscolare. I muscoli con maggior contenuto di fibre veloci si
affaticano velocemente ed hanno una bassa tolleranza a grandi volumi di lavoro. Si
contraddistinguono invece per l’alta propensione allo sviluppo di forza e massa, ma
allo stesso tempo sono facili al sovrallenamento e quindi all'atrofia che può derivare
da un eccessivo numero di ripetizioni durante una serie. Le fibre lente invece
risultano ideali per le attività di lunga durata, e rispondono meglio ad un maggior
numero di ripetizioni. Tuttavia questo tipo di fibre hanno una bassa propensione
all'ipertrofia o ad aumentare la loro forza contrattile, infine, rispondono bene a
quantitativi relativamente alti di ripetizioni. Le fibre intermedie si collocano a metà
strada tra quelle veloci e quelle lente, con buona capacità anaerobica e altrettanto
buone capacità di sviluppare forza e ipertrofia. Tutto questo ci dice che per
massimizzare il nostro potenziale muscolare deve essere tenuta in debito conto la
natura (velocità di affaticamento o risposta all'esercizio) di ogni gruppo muscolare,
adattando di conseguenza il numero di ripetizioni della nostra serie.

Se ne conclude che il programma ideale dovrebbe tenere in considerazione gli effetti


sistemici che questo produrrà. Diventa quindi importante determinare il numero
appropriato di ripetizioni atte a produrre il miglior risultato. Una volta determinato il
numero ideale di ripetizioni è importante capire che ogni ripetizione extra non
determinerà solo un semplice consumo di energie, ma dovrà essere considerata come
inefficace e dannosa.

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Altre informazioni sulla modalità di


quantificazione del volume

Maggiore sarà il volume di lavoro durante il nostro allenamento, e minore dovrà


essere la frequenza e l'intensità con cui uno dovrebbe allenarsi. Tale aggiustamento
risulta necessario al fine di mantenere i corretti rapporti tra i diversi fattori che
determinano la crescita muscolare. Per esempio, se volessimo massimizzare la
risposta sia in forza che in aumento di massa muscolare, l'intensità dovrebbe essere
tenuta molto alta in modo da riflettere, durante il nostro allenamento, un ambiente di
tipo anaerobico, quindi, il numero totale di serie utilizzate dovrebbe essere adeguato
ad evitare un possibile stato di sovrallenamento. Se invece il nostro obiettivo fosse
quello di massimizzare la resistenza muscolare, in questo caso l'intensità non
dovrebbe essere così alta. Inoltre, il numero totale di serie dovrà essere bilanciato con
la frequenza in modo tale che più serie si siano fatte, e meno frequentemente
dovremo allenarci.

Il modo ideale per la determinazione del giusto numero di serie dipende inoltre da un
altro fattore. La risposta individuale all'esercizio influenzerà il numero di serie totali
che possono essere eseguite. Un muscolo con un'alta percentuale di fibre veloci
risponderà meglio ad un basso quantitativo di serie rispetto ad un muscolo con alti
quantitativi di fibre lente, mentre un muscolo con un'alta percentuale di fibre
intermedie risponderà meglio con un numero di serie totali posto più o meno alla
metà dei due estremi precedenti. Questa considerazione fa riferimento alle capacità e
alle relative limitazioni tipiche di ogni individuo (componente genetica). Inoltre, a
mano a mano che l'intensità di allenamento aumenti o diminuisca, il numero totale di
serie dovrà variare di conseguenza.

Un altro fattore che influenzerà il volume totale di serie del nostro allenamento, sarà
il grado di adattamento già raggiunto dall'atleta. Bisogna sottolineare che muscoli
sempre più forti e grandi necessitano di sempre meno lavoro a causa degli alti livelli
di scarti del metabolismo muscolare prodotti in 'allenamento e dai maggiori tempi
destinati al recupero post-allenamento. Se un cliente è abituato a far sempre due serie
per uno specifico gruppo muscolare, portarlo a quattro serie risulterebbe in un
aumento del 100% del lavoro, e quindi sarebbe estremamente stressante. Tuttavia
allenarsi con più serie per un certo periodo di tempo determina un riadattamento
sistemico e quindi una maggior capacità di svolgere un maggior quantitativo di
lavoro. Dobbiamo comunque tenere sempre ben presente che esiste un limite a quante
serie una persona possa tollerare, è quindi necessario determinarlo e mai superarlo.

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Un altro punto da tenere in considerazione è il numero di ripetizioni ed il riposo tra di


esse. Fare poche ripetizioni produce meno fatica e scarti metabolici di un allenamento
basato su molte ripetizioni, conseguentemente, più serie possono essere eseguite e
tollerate durante allenamenti che prevedono poche ripetizioni eseguite abbastanza
velocemente. Mantenere tempi di recupero molto brevi tra una serie e la successiva
rende l'allenamento molto faticoso e difficile, a causa dei prodotti di scarto del
metabolismo muscolare. Tale condizione non permette di fare allenamenti molto
lunghi.

Un altro fattore che aumenta la fatica muscolare e il numero di serie tollerate è


determinato dalla cadenza delle ripetizioni; movimenti più lenti sono causa di una
maggiore fatica muscolare localizzata. Movimenti molto rapidi consumano molta più
energia (ATP) per unità di tempo, come ad esempio avviene in allenamenti per
l'esplosività. Tuttavia, movimenti veloci, determinano una maggior velocità di
recupero tra una serie e la successiva, minore fatica muscolare, e, la perdita di forza
contrattile, non è così estrema e veloce come quando i movimenti sono molto lenti.
Nonostante la fatica a livello sistemico prodotta da allenamenti per l'esplosività sia
maggiore in quanto più ATP viene consumato durante tali attività, il fatto che si
determini una minore fatica muscolare localizzata è da attribuire al fattore inerzia che
è causa di una notevole riduzione della tensione muscolare totale durante i movimenti
specifici.

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Definiamo la frequenza
Molti body-builders professionisti si allenano sei giorni alla settimana, per molte ore
ogni giorno. A questo punto dovremmo avere già capito che tali volumi di
allenamento non sono la causa principale del loro sviluppo fisico. I body-builders di
livello, posseggono caratteristiche genetiche eccezionali unite all'uso sistematico di
farmaci dopanti che permette loro una maggior tolleranza dello stress derivante da
alti volumi di lavoro. Grazie ad una genetica eccezionale e alla non necessità di
ottimizzare le loro risposte ormonali derivanti da allenamento e dieta a causa
dell'utilizzo esogeno di tutti quegli ormoni analbolici e anti-catabolici atti ad
incrementare al massimo la loro sintesi proteica ed il recupero fisico post-
allenamento, questi grandi atleti possono letteralmente “infischiarsene” di tutti i
normali principi fisiologici che regolano la scienza dell'esercizio finora esposta.
Tuttavia, sono sinceramente convinto, che se questi campioni si fossero allenati con
metodiche ad alta intensità avrebbero conseguito gli stessi risultati in tempi molto più
brevi.

La quantità di stress che il nostro organismo può sopportare, in modo tale da dar vita
ai processi di costruzione muscolare che ricerchiamo, è direttamente correlata
all'intensità stessa di allenamento. Mentre è certamente vero che il grado di stress
necessario per stimolare una crescita compensatoria debba essere sufficientemente
intenso (in quanto applicando uno stress fisico al di sotto della minima intensità
richiesta per dar vita ad una risposta compensatoria non saremo in grado di indurre
nessuna risposta di adattamento fisico), è altrettanto vero che è necessaria almeno una
quantità minima di intensità per dar vita ai processi di produzione di nuova crescita
muscolare; e, maggiore sarà l'intensità, e meno il corpo sarà in grado di tollerarla per
lunghi periodi di tempo prima di iniziare i processi di decompensazione (perdita di
massa muscolare) che inevitabilmente ci condurranno allo stato di sovrallenamento.

Una volta prodotto attraverso un allenamento intenso un dato livello di stress, sarà
necessario aspettare, in modo da lasciare tempo al corpo di recuperare senza un
ulteriori aggiunta di attività fisica.

Mentre lo stimolo alla crescita prodotto dall’allenamento sarà praticamente


immediato, la crescita di nuovo tessuto muscolare non potrà essere altrettanto veloce,
da cui un intervallo di tempo necessario perché ciò avvenga.

Molti body builders sbagliano credendo che una split routine di sei giorni alla
settimana, con la metà dei muscoli allenati un giorno per poi passare il giorno
seguente all'allenamento dei restanti gruppi, possa permettere ai primi un riposo
sufficiente perché avvengano i processi di super-compensazione desiderati. Bisogna
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ricordare che ogni allenamento non ha solo un effetto localizzato sui muscoli allenati,
ma produce anche notevoli effetti a livello sistemico generalizzato.

Diventa chiaro a questo punto che anche se decidessimo di allenare muscoli ogni
volta differenti, ma senza lasciare adeguati tempi di recupero tra una sessione e la
successiva, tutti i sistemi biochimici del nostro organismo verranno interessati
continuativamente e non solo le aree muscolari sollecitate, contribuendo così a
mettere le basi per una condizione di sovrallenamento.

La tendenza tra i culturisti più entusiasti è quella di aggiungere sempre più serie al
proprio allenamento, così come aumentare il numero di giorni durante la settimana
destinati agli allenamenti. Questa tendenza deve essere controllata razionalmente ed
evitata ad ogni costo.

A mano a mano che un culturista cresce in forza e dimensioni la propensione al


sovrallenamento aumenta proporzionalmente, dato che, più il corpo sarà forte e
sviluppato e più alta sarà l’intensità generata durante gli allenamenti, e, quindi, in
proporzione lo stress derivante sarà sempre maggiore, conducendoci così alla
necessità di un numero minore di sedute settimanali.

La maggior parte di chi si allena, generalmente fa esattamente il contrario: a mano a


mano che progredisce aggiunge serie, riducendo così notevolmente la sua velocità di
progresso. Questa condizione spesso conduce alla disperazione e ad approcci ancora
più irrazionali.

Dal momento che un principiante inizia ad allenarsi, può mediamente aumentare la


propria forza (ciò naturalmente dipende molto da fattori genetici) di circa il 300%,
mentre la capacità di tollerare e di recuperare da una sessione intensa di allenamento
tende a migliorare solo del 50%. A mano a mano che si registrano progressi ogni
nuovo sforzo dovrà essere indirizzato ad aumentare sempre più l'intensità di
allenamento, e ciò ci condurrà, secondo i principi fino ad ora esposti, ad una
corrispondente necessità di riduzione del tempo impiegato per generarli (tempo di
allenamento).

La maggior parte di chi si allena con metodologie ad alto volume, scontrandosi


costantemente con l'incapacità di miglioramento derivante dalla male applicazione e
interpretazione dei principi di fisiologia sopra esposti, arriva ad un punto in cui si
convince che i risultati non vengano in conseguenza a fattori genetici negativi, e
spesso smette di allenarsi. Quanto appena descritto, ho spesso notato che avviene
ancora più rapidamente quando il praticante è femmina. Nel caso di donne, il minor
potenziale muscolare, unito ad una minore produzione di testosterone (nella donna i
livelli di testosterone prodotti sono circa 10 volte inferiori a quelli maschili), fa sì che

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allenamenti ad alto volume siano ancora più inappropriati e negativi, procurando una
situazione di stallo generalizzata già dopo i primi 2 o 3 mesi di pratica con i pesi
(approfondirò meglio quanto detto per la condizione femminile nell'appendice del
mio libro dedicata all'influenza degli stili di vita sugli ormoni prodotti).

Per far si che un programma di allenamento sia produttivo deve, naturalmente,


stimolare la crescita. Tuttavia, un allenamento che stimoli la crescita deve anche far sì
che questa sia prodotta (vi prego di notare qui la distinzione che applico tra lo stimolo
alla crescita e la produzione della crescita). Ciò significa che una routine non deve
essere portata avanti per un tempo troppo lungo o ripetuta troppo frequentemente in
modo da non permettere al nostro organismo non solo di ricostituire ciò che abbiamo
danneggiato durante gli esercizi (compensazione), ma di dare vita a tutti quei processi
relativi alla costruzione di nuovo tessuto muscolare (super-compensazione).

Un allenamento ideale dovrebbe quindi produrre uno stimolo massimo alla


crescita utilizzando il minimo delle riserve biochimiche sistemiche.

Da quanto detto finora ricaviamo che allenamenti ad alta intensità sono assolutamente
necessari per stimolare una rapida crescita di forza e massa muscolare. Dal momento
che questi tipi di allenamento saranno per loro natura di corta durata il
depauperamento delle riserve sistemiche sarà relativamente piccolo. Non dimenticate
che la definizione di sovrallenamento è: ogni quantità aggiunta di esercizio, in
termini sia di durata che frequenza, oltre quella minima espressamente
richiesta.

Per chiarire meglio il concetto è importante ricordare che l'allenamento in sé non


produce nuovo muscolo, ma è indispensabile a stimolare e mettere in moto il
meccanismo che sta alla base della crescita muscolare. E’ il corpo che produrrà
crescita, ma solo se lasciato indisturbato per un periodo sufficiente di tempo.

L'errore più frequente in chi si allena è quello della mala interpretazione del giusto
tempo che deve necessariamente intercorrere tra una sessione e la successiva, infatti il
completamento dei processi di compensazione prima e super-compensazione poi, può
necessitare di qualche giorno, e in alcuni casi anche di più. E’ importante capire che
allenarsi nuovamente prima che i processi di super-compensazione siano stati
terminati produrrà un rallentamento continuo nei progressi, fino, nei casi più gravi,
all'arresto totale degli stessi e all’inizio dei processi catabolici di perdita di massa
muscolare.

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Altri fattori necessari


per determinare
la giusta frequenza

Altri fattori che determinano la frequenza e la velocità di recupero includono i


seguenti:

• I muscoli grandi necessitano di più tempo per recuperare rispetto ai muscoli


più piccoli (questo è dovuto al quantitativo maggiore di prodotti di scarto
derivanti dal danno tissutale provocato dall'allenamento e dalle maggiori
quantità di energia, sotto forma di ATP, che dovranno essere ricostituite).
• Gli uomini recuperano più velocemente delle donne, probabilmente a causa dei
maggiori livelli di testosterone.
• Allenamenti di tipo esplosivo richiedono più tempo di recupero tra un
allenamento ed il successivo di quelli classici, ciò avviene a causa del
maggiore quantitativo di ATP impiegato dai primi e probabilmente dal
maggior danno tissutale causato dai rimbalzi durante gli esercizi.
• I processi di adattamento possono necessitare di maggior tempo nel caso in cui
si passi da un minor volume ad un maggiore volume di allenamento
improvvisamente.

Naturalmente, a tutti questi aspetti, vanno aggiunti alcuni altri fattori esterni e
complementari, che tuttavia risultano necessari per la determinazione della giusta
frequenza di allenamento, come ad esempio: lo stile di vita del praticante, l'età, il tipo
di lavoro svolto, le relazioni private, altre attività fisiche se praticate, etc...

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Riassunto per la determinazione


della giusta frequenza di allenamento

1. Ogni gruppo muscolare dovrebbe essere allenato non più di una volta ogni 5/7
giorni, se l'intensità di uno sforzo è relativamente alta, vicina, o, al cedimento
muscolare. Atleti più avanzati potrebbero necessitare di ridurre la frequenza
ulteriormente a mano a mano che invecchiano o diventano sempre più
muscolosi e forti.
2. Ci si può allenare più frequentemente se l'intensità di allenamento è più bassa o
facendo allenamenti di tipo aerobico.
3. Nel momento in cui l'intensità di sforzo o il numero di serie totale dei nostri
allenamenti dovesse cambiare, la frequenza dovrà essere riadattata di
conseguenza.
4. E’comunque sempre consigliabile che un allenamento non sia mai consecutivo
ad un altro. Se una persona è in grado di allenarsi più di due giorni
consecutivamente o di arrivare a cinque allenamenti la settimana, l'intensità
dello sforzo dovrà essere rivista in quanto insufficiente a raggiungere qualsiasi
tipo di risultato legato al cambiamento della composizione corporea. A questa
regola possiamo fare un'eccezione solo nel caso di neofiti che raramente
possono raggiungere alti livelli di intensità in allenamento e spesso sono
maggiormente concentrati nell'acquisizione della corretta forma di esercizio e
respirazione, lo stesso può essere detto per altre categorie, come ad esempio, i
molto anziani che per forza di cose non possono o non riescono a raggiungere
livelli di intensità molto alti.

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Precauzioni nell'incremento dei


carichi

La prima cosa da tenere in attenta considerazione quando incrementiamo i carichi di


lavoro, è la potenziale progressiva mancanza di cura nell'esecuzione dei movimenti.
In altre parole, a mano a mano che aumentiamo i carichi di lavoro diventerà sempre
più difficile maneggiarli correttamente, così da instaurare una tendenza ad aiutarsi
attraverso movimenti non controllati, a volte inconsapevolmente, tesi al
completamento delle ripetizioni desiderate.

Utilizzare movimenti scomposti in modo da reclutare più aree muscolari attraverso


l'inerzia derivante dagli stessi, non è l'unico modo per incrementare fittiziamente, e
quindi scorrettamente, i carichi di lavoro. Ad esempio, è facile aumentare di 5 kg il
carico che utilizziamo per lo squat cambiando l'ampiezza del movimento: inclinarsi
leggermente in avanti con il busto in modo da spostare maggiormente la tensione sui
glutei così da ridurre quella sui quadricipiti è abbastanza comune. Spesso questi
sistemi vengono messi in opera inconsciamente e quindi senza rendersene conto.
Soprattutto nel caso di neofiti può essere interessante, per ovviare i problemi di cui
sopra, utilizzare maggiormente nella prima fase l'uso delle macchine. Le macchine
obbligano a mantenere una tecnica di esecuzione corretta, in quanto il movimento
viene guidato, e ciò, soprattutto nelle prime fasi, ci permette di misurare più
oggettivamente i progressi. I pesi liberi, particolarmente se i movimenti sono eseguiti
rapidamente, portano più facilmente a sbagliare l'esecuzione in persone poco esperte.

Un altro modo per poter aumentare il carico di lavoro, senza tuttavia migliorare la
performance, sta nell’ aumentare i riposi tra una ripetizione e la successiva. Bloccarsi,
o fare delle pause tra le ripetizioni, è cosa comune negli esercizi multi-articolari,
particolarmente quando dobbiamo eseguire un numero alto di ripetizioni, come ad
esempio negli squat o negli stacchi da terra, dal momento che questi esercizi
inducono momenti di debito di ossigeno che richiedono un aumento della quantità di
aria ispirata a mano a mano che la serie diventa sempre più pesante. Il problema qui è
dato dal fatto che risulta vero che abbiamo aumentato il carico, ma i tempi necessari
per la serie sono aumentati a loro volta, mascherando così la realtà delle cose.
Diventa quindi necessario stabilire dei tempi standard di movimento (velocità delle
positive, delle isometriche, delle negative ed eventuali tempi di riposo eseguiti nelle
rispettive posizioni di massima contrazione e allungamento) che dovranno essere il
più possibile rispettati in modo da avere la possibilità di misurare oggettivamente la
prestazione. Consideriamo il seguente esempio:

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• Allenamento 1: 150 kg x 10 ripetizioni con 2 s di riposo medio x ripetizione.


• Allenamento 2: 160 kg x 10 ripetizioni con 3 s di riposo medio per ripetizione.

Nonostante dall'allenamento 1 all'allenamento 2 ci sia stato un incremento di 10 kg, i


10 s addizionali utilizzati per il riposo tra una ripetizione e l'altra, in parte vanificano i
benefici dati dal nuovo carico, dal momento che il riposo aggiuntivo migliora la
tollerabilità del peso maggiore. Inoltre, come già detto, bisogna considerare anche
eventuali differenze nell'esecuzione del movimento, così come il tempo passato nelle
posizioni più difficoltose dell'esercizio, come ad esempio la posizione in basso nello
squat o nella panca piana.

L'ultimo fattore da considerare nell'aumento dei carichi è dato dal modo che abbiamo
di mantenerci posizionati sulle macchine. La tensione creata da muscoli sinergici
attraverso le contrazioni che derivano dal mantenimento di una data posizione,
possono aiutarci a sollevare carichi maggiori. Questo naturalmente non significa che
il muscolo che stiamo allenando stia sperimentando una maggiore tensione. Per
capire meglio questo ultimo fattore cercate di immaginare una serie al Leg-extension
dove sia necessario mantenersi saldi ai supporti della macchina in modo da non venir
sollevati dal carico durante l'esecuzione. A seconda della tensione esercitata è
possibile inconsciamente sfruttare l'effetto rimbalzo che può derivare dalla
stabilizzazione che cerchiamo di realizzare attraverso le braccia durante l'esecuzione
dell'esercizio, peggiorando così l'esecuzione nel suo complesso.

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Evoluzione degli allenamenti


ad alta intensità
e loro attuabilità nel tempo

Nella maggioranza dei casi, i primi allenamenti dovrebbero iniziare senza mai
raggiungere il momentaneo cedimento muscolare, l'attenzione dovrebbe essere posta
maggiormente sull'acquisizione e l'apprendimento della giusta esecuzione in
relazione ai tempi, alla velocità e alla corretta respirazione durante l'esecuzione di
serie e ripetizioni. Dopo un periodo medio che può andare da due a quattro settimane,
ciò dipende principalmente da quanto velocemente la persona che stiamo allenando si
adatta al nuovo lavoro in termini di recupero e migliori capacità nell'eseguire
correttamente gli esercizi, possiamo pensare di passare ad un livello di allenamento
intermedio. A questo punto l'intensità diventa un fattore chiave, mentre volume e
frequenza dovranno essere regolati di conseguenza in modo da non arrivare mai ad
uno stato di sovrallenamento. Normalmente il periodo successivo che va da 12 a 24
mesi, seguendo un programma razionale e ottimizzando frequenza, volume ed
intensità nella maniera che ho già descritto precedentemente, consisterà in rapidi
aumenti di forza ed ipertrofia, fino all'avvicinamento o al raggiungimento dei limiti
genetici individuali. A mano a mano che ci avvicineremo al nostro limite genetico,
anche allenandoci al momentaneo cedimento muscolare, i risultati rallenteranno
considerevolmente, il muscolo cesserà quasi completamente di crescere, mentre la
forza, seppur più lentamente, continuerà ad aumentare a causa dei continui
riadattamenti neuromuscolari, che tuttavia continueranno per un periodo anche dopo
aver raggiunto il nostro limite genetico, permettendoci di continuare a migliorare la
nostra performance. A questo punto possiamo classificare la persona che stiamo
allenando come avanzata, ciò significa che per continuare a progredire sarà
necessario utilizzare tecniche e metodiche che implichino, se possibile, un ulteriore
aumento dell'intensità in allenamento.

La continua lotta contro i nostri limiti genetici potrebbe infine portare a periodi di
demotivazione a causa del continuo stress mentale a cui conduce inevitabilmente
l'ansia da prestazione che deriva da questo tipo di allenamento. Senza una giusta
motivazione è improbabile che si possa raggiungere risultati degni di nota. La
motivazione è una variabile che può essere descritta come l'intensità della volontà.
In altre parole, più intensa è la volontà e la passione che mettiamo nel tentativo di
raggiungere i nostri obiettivi e più facilmente riusciremo a raggiungerli. Quindi, una
forte volontà è considerata il risultato di alti livelli motivazionali.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Quando l'individuo veramente desidera qualcosa, dirige ogni suo sforzo verso
quell'obiettivo cercando di realizzarlo in ogni modo. Tuttavia, allenarsi raggiungendo
il momentaneo cedimento muscolare utilizzando ogni volta carichi più alti, credendo
che altrimenti non ci saranno miglioramenti, risulta essere estremamente stressante
per la nostra psiche, e fisicamente sgradevole. Solo pochissime persone possono
riuscire a mantenere altissimi livelli di intensità e concentrazione per molti anni
consecutivamente.

Acquisire un’avversione verso l'esercizio fa si che i progressi diventino sempre più


difficili dal momento che avviene un mutamento a livello psicologico degli obiettivi
che passano dall’aumento di massa muscolare al malcontento che deriva
dall’impossibilità di continue progressioni dei carichi di lavoro. Inoltre, non esiste
nessuna ragione logica per cui un atleta avanzato si debba tormentare continuamente
per superare i suoi limiti genetici, magari solo per avere miglioramenti infinitesimali
(nella migliore delle ipotesi).

Alcuni atleti vedono nell'impossibilità di continuare nei miglioramenti di forza e


massa muscolare dei veri e propri fallimenti personali. Tuttavia considero che una
volta raggiunto un livello avanzato di allenamento allenarsi sempre al momentaneo
cedimento muscolare non sia la cosa migliore. Sostengo questo, a differenza di altri
autori puristi delle tecniche ad alta intensità, principalmente per tre ragioni:

• Se l'atleta arriva al punto di soccombere allo stress derivante dalla fatica in


allenamento o alla caduta motivazionale, il rischio di lasciare completamente
l'attività fisica può diventare reale, in questo caso la ciclicizzazione diventa
imperativa per la continuazione dell'attività sportiva.
• dobbiamo considerare inoltre la possibilità che l'atleta si possa trovare in una
situazione di sovrallenamento a causa dell'estrema e progressiva richiesta posta
all'organismo. In questo caso la riduzione di volume e frequenza mentre
manteniamo al massimo l'intensità, spesso non risulta essere la risposta
corretta. A volte la migliore soluzione sta nella riduzione dell'intensità
generale.
• se il muscolo non viene portato ogni volta al momentaneo cedimento, è
probabile che quando lo faremo il corpo reagirà con maggiori adattamenti,
ergo, una miglior supercompensazione.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Riguardo l'unicità del singolo

La maggior parte delle riviste o libri relativi all'industria del fitness ignora o
sottostima il ruolo delle capacità genetiche individuali quando vengono stilati e
proposti i programmi di allenamento. Tali approcci risultano spesso essere speculativi
e raramente considerano le caratteristiche individuali dei soggetti spostando
l'attenzione, probabilmente per amore della pura discussione, su approcci generici e
su ciò che “probabilmente” potrebbe funzionare per alcuni praticanti. E’ chiaro che
con questo approccio spesso vengono totalmente ignorate le variazioni esistenti
all'interno di una popolazione.

Ignorare l'individualità dei singoli, attraverso la prescrizione di programmi


preconfezionati o di routine standardizzate è simile alla situazione che spesso si
riscontra all'interno degli istituti scolastici dove a tutti gli studenti viene proposto lo
stesso programma didattico senza nessuna possibilità di deviazione dal tema. In
questa maniera quelli che hanno più difficoltà ad apprendere faranno molta fatica,
mentre i più dotati non raggiungeranno mai il loro massimo potenziale (a meno che di
studi non continuino anche fuori dagli orari scolastici). In questo sistema solo il
mediocre beneficerà di un programma standardizzato e realizzato tenendo in
considerazione solo le sue capacità.

Quanto sopra esposto spesso accade anche nel settore del fitness. Se tutti seguissimo
lo stesso programma di allenamento, quelli con un potenziale scarso o quelli con un
potenziale eccezionale, avrebbero pochi risultati in relazione alle loro specifiche
capacità. Questo naturalmente sarebbe vero se tale programma fosse effettivamente
appropriato sia sotto il profilo psicologico che fisico per il praticante medio, tuttavia
fino ad ora mai è stato provato che un tale programma esista.

Quello che prima dovrebbe essere chiarito per realizzare un tale programma sarebbe
la definizione di “medio” in relazione alla tollerabilità di dieta ed esercizio. Qui
naturalmente sorgono i primi problemi, quello che potrebbe essere il meglio per la
risposta dei pettorali, potrebbe non essere il meglio per la risposta dei quadricipiti.
Visto in questo modo, determinare ciò che è ideale per la media dei praticanti è
effettivamente più complicato e problematico (e improbabile) che la determinazione
di ciò che potrebbe essere ideale per ogni individuo, dal momento che lavorando su
un’ unica persona si dovrebbe solo considerare la risposta e i tempi di adattamento
del singolo esaminato e non di una totalità di individui.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Per sviluppare un programma adeguato è necessario considerare molti parametri allo


stesso tempo, come ad esempio: la fisiologia, la biochimica, la psicologia e i bisogni
in relazione alle risposte individuali.

Tornando ora ai libri e alle riviste normalmente commercializzati, diventa ironico


pensare che spesso si focalizzano maggiormente su singoli particolari
dell'allenamento piuttosto che sul concetto di “individualità”. Tale approccio risulta
essere incorretto dal momento che sono le caratteristiche personali che definiscono il
tipo di allenamento più produttivo per ogni individuo e non il contrario. Quindi,
prima di considerare l'intensità, il volume e la frequenza, un buon trainer dovrebbe
guardare ai bisogni, agli obiettivi, alle limitazioni e alle capacità del singolo
individuo che si accinge ad allenare. Questi fattori, genetici e psicologici,
determineranno la quantità di esercizio prescrivibile.

Prima del principio dell'individualità, così come prima di stabilire intensità, volume e
frequenza, va considerato il principio del sovraccarico. La natura e la quantità del
carico utilizzato influisce direttamente sulla qualità dell'allenamento stesso, così
come sul volume e la frequenza. Questo viene determinato dal fatto che il
sovraccarico influenza l'intensità degli sforzi comprendendo quindi anche il concetto
di volume. Per chiarire meglio il concetto, prendiamo in considerazione, per esempio,
l’aver aggiunto ad un esercizio 10 Kg. in più rispetto alla seduta precedente. Se
nell'ultimo allenamento c'eravamo allenati avvicinandoci al momentaneo cedimento
muscolare, l'aumento di 10 kg incrementerà la probabilità che nel successivo
allenamento si raggiunga il momentaneo cedimento muscolare, tale condizione
influenzerà a sua volta il volume totale degli allenamenti a venire così come la loro
frequenza. Tutto ciò risulta logico se pensiamo che più duro sarà l'allenamento e
meno saranno le serie, così come la frequenza tollerabile.

Una volta che i concetti di individualità e sovraccarico sono compresi, l’intensità, il


volume e la frequenza sono determinabili di conseguenza. A mano a mano che si
effettuano nuovi allenamenti l'osservazione delle risposte che ne derivano
determineranno, attraverso una relazione di costi benefici, i carichi, l'intensità ed il
volume degli allenamenti a venire.

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Come raccogliere i dati

Il raccoglimento e l'interpretazione dei dati derivanti dagli allenamenti deve prendere


in considerazione svariati aspetti. Il primo, e forse il più semplice metodo a
disposizione è quello relativo all'osservazione. Attraverso l'osservazione possiamo
estrapolare molti dati relativi ai cambiamenti prodotti sul nostro corpo da un
determinato programma di lavoro. Attraverso l'osservazione e successivamente
l'annotazione di ciò che accade durante uno specifico programma di allenamento
(aumento di massa muscolare, mantenimento, definizione) potremo ogni qualvolta sia
necessario replicare le stesse condizioni nel tentativo di avere simili risultati (non
dico uguali perché, come detto precedentemente, l'organismo è una struttura dinamica
in continua evoluzione e ciò che è valido oggi potrebbe esserlo parzialmente o
addirittura non esserlo in futuro).

Quindi, per poter districarsi all'interno di varie prove e sperimentazioni correlate


all'applicazione di diverse metodologie di allenamento, l'osservazione, seguita da
un'attenta compilazione di un diario di allenamento, diventa condizione necessaria
per la corretta applicazione di un qualsiasi metodo scientifico di organizzazione e
analisi dei dati. Ricordatevi che il body-building dovrebbe essere inteso come
null'altro che una branca della biologia o della scienza medica applicata all'esercizio
e, come ogni buon medico necessita di quella che viene chiamata osservazione clinica
per arrivare a determinare le cause di una patologia, così anche un buon atleta o
trainer dovrà avvalersi degli stessi strumenti (osservazione e rilevazione dei dati
tramite la compilazione di un diario) per poter venire a capo e discernere ciò che
risulta essere efficace da ciò che invece risulta essere solo una mera perdita di tempo.

Bisogna tener sempre ben presente che ad oggi non esiste (anche se alcuni ci dicono
di sì) un protocollo di lavoro onnicomprensivo che possa andare bene per tutti o che
possa coprire lunghi periodi di tempo. Dobbiamo quindi abituarci a pensare che solo
la nostra sensibilità e la nostra capacità di analisi e interpretazione dei dati a
disposizione unite ad un attento ragionamento logico e consequenziale,ci permetterà
di capire quando un programma non funzioni o sia diventato improduttivo in seguito
al completo adattamento del nostro organismo al tipo di lavoro svolto.

Una volta appresa la teoria, la pratica non sarà altro che la rigorosa applicazione dei
concetti di intensità, volume e frequenza attraverso l’attento discernimento derivante
dalla meticolosa raccolta e interpretazione dei dati accumulati durante la pratica.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Come eseguire serie e ripetizioni

Come ho già sottolineato nei miei articoli precedenti, I muscoli crescono per
adattamento, e la forza che un muscolo esprime è almeno per il 50% proporzionale
alle sue dimensioni.
Quindi più siamo forti e più i nostri muscoli saranno grandi.
I nostri allenamenti debbono essere incentrati sull’aumento della nostra forza.
Gli aumenti dei carichi però non debbono mai andare a scapito dell’esecuzione che
deve essere sempre perfetta e corretta.
Come direbbe Karl Popper, il grande filosofo epistemologo della scienza, non
dovremmo mai sacrificare la sostanza per la forma.
Ricordatevi che il carico di lavoro è il mezzo per raggiungere il vostro fine primario
che è la crescita muscolare, quindi se utilizziamo un carico che non ci permette una
corretta esecuzione, stiamo sacrificando la sostanza, ossia la possibilità di stimolare
fino in fondo la crescita muscolare, alla forma, ossia l’impiego di carichi sempre
maggiori, ma mal utilizzati.
Incomincerei dicendovi che le forze che un muscolo può esprimere sono tre:
Isotonica o concentrica, isometrica o statica e eccentrica o negativa.
L’isotonica è data dalla ripetizione positiva dove il muscolo si accorcia sviluppando
forza, per esempio quando eseguite un curl con bilanciere portando il peso dal basso
verso l’alto.
La positiva o concentrica è la minore delle 3 forze, ossia quella dove siamo meno
forti.
La seconda forza che un muscolo può esprimere è quella statica o isometrica, ossia
quella di poter mantenere in una posizione fissa o statica un carico in un qualsiasi
punto del movimento che stiamo compiendo.
Se provate per esempio ad eseguire una serie in panca piana, e ad un certo punto,
quando avete eseguito l’ultima ripetizione e siete già al capolinea, mentre scendete
verso il petto provate a fermarvi, vedrete che vi sarà estremamente facile mantenere il
peso immobile per alcuni secondi, anche se l’ultima ripetizione positiva era stata
difficilissima da portare a termine.
La terza forza è quella negativa o eccentrica, in questo caso il muscolo produce forza
mentre si allunga cercando di frenare il carico attratto verso il basso dalla forza di
gravità.
La negativa è di gran lunga la forza più grande che possiamo esprimere.
Infatti, se normalmente usiamo 100 Kg per fare una serie da 8 ripetizioni positive
portate a cedimento in panca piana, possiamo facilmente utilizzarne circa 120 Kg. per
poter eseguire una ripetizione isometrica o statica di circa 20/30 secondi e circa 140
Kg. per eseguire agevolmente delle negative.

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Da ciò ne deriviamo che per sviluppare equilibratamente un gruppo muscolare


dovremmo esaurirlo in tutte le sue capacità di compiere lavoro.
Partendo dalle premesse sopra-esposte vediamo ora come eseguire una serie corretta.
Avevamo detto in precedenza che dovremmo utilizzare per la nostra ipotetica serie un
carico che ci permetta di muoverci tra 6 e 10 ripetizione, comunque, poiché siamo
interessati ad isolare al massimo il muscolo che stiamo allenando dovremmo
impiegare per il sollevamento del carico circa 4 secondi, ho notato negli anni che 4
secondi sono più che sufficienti per sollevare un carico in modo perfetto, impedendo
così l’entrata in aiuto di altri muscoli sinergici derivanti dall’inerzia provocata dalla
eccessiva velocità di esecuzione.
Una volta raggiunto il punto di peak contraction, ossia il punto in cui normalmente
arriviamo alla fine dell’esercizio ed il muscolo si trova nella posizione di massima
contrazione, dobbiamo eseguire una tenuta statica di circa 2 secondi.
La terza fase è quella negativa, in cui il muscolo produce lavoro allungandosi.
Per sfruttarla al massimo dobbiamo impiegare anche in questa fase un tempo che va
da 4 a 5 secondi.
La terza fase o negativa è in assoluto la più importante.
Da studi recenti sappiamo che è soprattutto durante la fase negativa che si hanno le
maggiori lacerazioni delle fibre muscolari, che si risolvono con un maggior stimolo
dell’ipertrofia e dell’iperplasia muscolare, quest’ultima intesa come completamento
di quelle fibre inespresse, per cui non complete, che tutti noi abbiamo in differenti
quantitativi in relazione alla nostra genetica, e che pare vengano completate
soprattutto durante l’esecuzione delle ripetizioni negative.
Questa teoria, spiegherebbe anche molto bene il perché i pesisti nonostante siano
molto più forti dei culturisti sviluppino tuttavia masse muscolari inferiori.
Ricapitolando, una ripetizione dovrebbe essere eseguita impiegando 4 secondi nella
fase positiva, 2 in quella isometrica e 4/5 in quella negativa, solo così potrete essere
certi di stimolare la crescita utilizzando tutte le capacità di compiere lavoro di un dato
gruppo muscolare in un dato momento.
Tale tecnica deve essere applicata in ogni serie per ogni gruppo muscolare ed è la
base su cui si sviluppa tutto il sistema Heavy Duty.
Ricordatevi che una serie finisce nel momento in cui vi diventa impossibile eseguire
perfettamente la ripetizione successiva, a questo punto se avete un compagno di
allenamento fatevi aiutare a completare l’ultima ripetizione che come già vi ho
spigato è in assoluto la più importante dato che è quella in cui raggiungerete il
momentaneo cedimento muscolare, che coincide con la momentanea attivazione del
100% delle fibre componenti il muscolo che state allenando.
E’ in questo momento e solo in questo momento che siete sicuri di aver acceso
l’interruttore della crescita ed è quindi inutile fare altre serie.
Le isometriche e negative sono tanto importanti da poter essere utilizzate escludendo
le positive in allenamenti per Body Builders molto avanzati, visto che il grado di
stress sistemico derivante da tali metodiche è di molto superiore a quello di un
allenamento classico.
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Per chi inizia ad allenarsi con sistemi Heavy Duty non consiglio di fare allenamenti
solo di isometriche o negative in quanto sussiste il rischio di arrivare molto
velocemente ad uno stato di superallenamento.
Per gli avanzati, ossia chi sta allenandosi in Heavy Duty da almeno 6 mesi e vuole
ulteriormente aumentare l’intensità di allenamento, consiglio di inserire e utilizzare
queste tecniche gradatamente e per non più di 2 volte consecutivamente.

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Esempio di allenamento in stile


Heavy Duty

In questo paragrafo inizieremo a vedere nello specifico come si articola un


allenamento in stile Heavy Duty.
Ricordatevi che per fare un allenamento in stile Heavy Duty ogni serie dovrà essere
portata al momentaneo cedimento muscolare, che coincide con l’ultima ripetizione
portata a termine ed eseguita in modo perfetto senza alcun aiuto.
Tenteremo poi di fare un’altra ripetizione, ma per quanti sforzi e determinazione
impieghiamo nell’impresa sarà impossibile terminarla…li e solo li avremo raggiunto
il momentaneo cedimento muscolare e quindi reclutato il 100% delle fibre e unità
motorie che costituiscono lo specifico muscolo che stiamo allenando, avremo quindi
raggiunto quello che viene definito il Break Even Point, ossia il momento in cui
siamo certi di avere innescato i processi di crescita muscolare ed oltre il quale è
inutile continuare.
Prima di iniziare un allenamento ad alta intensità normalmente consiglio 10 minuti di
Cyclette o Tapis roulant fatti con una frequenza cardiaca di circa il 50% della nostra
Frequenza cardiaca Massima, empiricamente definibile sottraendo a 220 la nostra età.
Quindi, se abbiamo 20 anni faremo: 220-20=200 a questo punto calcoliamo il 50% di
200 (ossia lo dividiamo per 2) e ne ricaviamo 100, 100 pulsazioni al minuto saranno
la nostra frequenza di riferimento per 10 minuti di Cyclette o Tapis Roulant.
Questi 10 minuti ci serviranno per incominciare a condizionare il sistema cardio-
vascolare che a breve dovrà essere sottoposto ad un allenamento intenso.
Finiti i 10 minuti di riscaldamento passeremo alle macchine o ai pesi liberi, a seconda
di cosa sia previsto nel nostro programma di allenamento.
Supponiamo che oggi debba allenare PETTO, DORSO E ADDOME.
Mettiamo che il primo muscolo da allenare nel nostro ipotetico programma sia il
pettorale e, che per tale muscolo abbiamo deciso di fare una serie da 6 a 10 ripetizioni
di Pectoral Machine seguita, dopo un adeguato tempo di riposo, da una serie da 6 a
10 ripetizioni di Croci in panca alta.
Prima di iniziare vi consiglio di fare 1 serie di riscaldamento utilizzando come carico
di riferimento il 50% del peso utilizzato nell’allenamento precedente e che avevamo
diligentemente segnato sul nostro diario seguito dal numero di ripetizioni fatte per
arrivare al cedimento.
La prima serie di riscaldamento al 50% dovrebbe essere fatta utilizzando la stessa
velocità di esecuzione che utilizziamo nella serie finale ossia 3 o 4 secondi nella fase
positiva, 2 secondi di contrazione isometrica nel punto di Peack-contraction e circa 4
secondi nella fase negativa, per un totale di circa 5 ripetizioni.

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Alla fine della prima serie di riscaldamento consiglio di fare 40 secondi di Stretching
specifico per il muscolo che stiamo scaldando.
A questo punto siamo pronti per la seconda serie di riscaldamento.
Utilizzeremo in questa seconda serie circa l’80% del carico utilizzato
nell’allenamento precedente, eseguendola nella stessa modalità che abbiamo
utilizzato per la prima serie di riscaldamento e che poi utilizzeremo per la serie
definitiva.
Questa volta saranno sufficienti dalle 3 alle 4 ripetizioni eseguite perfettamente
stando bene attenti a coprire tutto l’arco del movimento.
Consiglio alla fine della seconda serie di riscaldamento altri 40 secondi di Stretching.
A questo punto dovreste aver preparato il vostro sistema nervoso centrale e periferico
all’attivazione della giusta sequenza neuro-muscolare che caratterizza l’esercizio che
stiamo per fare aumentando così la momentanea capacità del muscolo di reclutare
fibre e unità motorie durante l’esercizio, inoltre, i muscoli dovrebbero essere
sufficientemente caldi e irrorati di sangue per affrontare la nostra unica serie.
Ho notato nei molti anni di pratica che la maggior parte dei miei cliente non
necessitano di più di 2 serie di riscaldamento, però alcuni potrebbero necessitarne
solo 1 ed altri 3 o 4.
Ricordatevi sempre che ognuno di noi è differente e unico, quindi ogni consiglio va
aggiustato ed integrato dalle nostre esperienze personali.
Tenete bene in mente comunque che il riscaldamento dovrebbe essere sufficiente per
prepararvi al lavoro muscolare effettivo e non dovrebbe mai diventare un allenamento
a se stante.
Pensate sempre che le nostre capacità di recupero sono estremamente limitate ed ogni
esercizio aggiuntivo, anche se non eseguito al cedimento, ci sottrae importanti risorse
che invece potrebbero essere utilizzate per la nostra crescita.
Ora siete pronti per la vostra unica serie, io consiglio sempre, prima di iniziare, un
periodo di concentrazione di 4 o 5 secondi in modo da raccogliere tutte le nostre
energie psico-fisiche.
A questo punto partite sfruttando tutto l’arco del movimento nei tempi che vi ho
suggerito e di cui ho già parlato ampiamente.
Tali tempi dovrebbero essere sufficienti per riuscire ad isolare completamente l’area
muscolare che stiamo allenando escludendo totalmente l’inerzia derivante
dall’eccessiva velocità o l’entrata in gioco di muscoli sinergici attivati ancora una
volta dall’inerzia conseguente all’alta velocità di esecuzione.
Circa 2 o 3 ripetizioni prima del cedimento muscolare il dolore e la fatica
incomincerà a diventare ingestibile e difficile da ignorare, è qui che il gioco si fa duro
e dovrete far capo a tutte le vostre energie psichiche per portare a termine la vostra
serie fino all’ultima ripetizione possibile.
Ricordatevi che tutte le ripetizioni precedenti non saranno servite a nulla, o quasi, se
non si esegue quella in cui per quanto ci sforziamo non riusciamo a completarla, solo
in questo momento saremo sicuri di aver innescato i processi di crescita a cui tanto
aneliamo.
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Finita la serie, prima di passare al secondo esercizio, per cui non avrete più bisogno
di nessun riscaldamento, fate passare un tempo appena sufficiente a colmare il debito
di ossigeno e abbassare la frequenza cardiaca.
Non iniziate mai una nuova serie se state ancora ansimando altrimenti rischiereste di
terminarla non perché siete arrivati a reclutare il 100% delle fibre muscolari
disponibili, ma perché le scorte di ATP muscolare non sono state completamente
ripristinate e quindi vi verrebbe a mancare la “benzina” per andare avanti nel
reclutamento delle unità motorie che compongono il distretto muscolare che state
allenando.
Per il secondo esercizio, ossia le croci in panca alta, non avrete bisogno di nessuna
serie di riscaldamento, potrete quindi passare all’utilizzo del carico adeguato per la
serie ad esaurimento.
Il carico, come sempre, lo ricaverete dal vostro diario di allenamento dove avrete
segnato i pesi utilizzati nello stesso allenamento della volta precedente.
Se avete già raggiunto 9 o 10 ripetizioni nell’allenamento precedente incrementate il
carico di circa il 5% in modo da scendere tra 6 e 10 ripetizioni.
Ricordate, se le cose sono state fatte bene, ogni volta che tornate ad allenarvi dovrete
essere in grado di aumentare il numero di ripetizioni o i carichi di allenamento in
quanto il muscolo si sarà adattato ossia avrà super-compensato.
A questo punto non mi rimane altro che augurarvi buon allenamento…

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Scheda di allenamento condizionante


per un neofita

Nonostante attraverso questo libro la mia intenzione sia principalmente quella di dare
ai lettori le giuste indicazioni per sviluppare autonomamente i programmi di
allenamento, ho ritenuto comunque necessario esemplificare la teoria attraverso lo
sviluppo di 2 programmi di lavoro tipo.
Con queste tabelle intendo, come ho già detto, solamente esemplificare ciò di cui
abbiamo discusso, per cui non dovranno essere prese come leggi scolpite nella roccia,
ma piuttosto, dovranno essere intese come punti di partenza da riadattare alle singole
esigenze che si presenteranno ogni volta.
Il primo programma, che seguirà in questo paragrafo, è la tabella di allenamento
introduttiva che normalmente io utilizzo per preparare i nuovi clienti (per nuovi
intendo persone che non hanno mai avuto nulla a che fare con le tecniche Heavy
Duty) ai lavori più intensi e personalizzati che seguiranno.
Quando inizio un lavoro con un nuovo cliente, spesso mi trovo ad avere a che fare
con una persona che non ha mai toccato un manubrio in vita sua.
Diventa così determinante una pre-fase di preparazione Psico-fisica ad un nuovo
lavoro.
Bisogna ricordare che per una persona che non si è mai sottoposta a nessun tipo di
allenamento, qualsiasi cosa, all’inizio, si concreta in un estremo stress psico-fisico.
I primi allenamenti dovrebbero essere tesi non al raggiungimento del momentaneo
cedimento muscolare, ma alla spiegazione della giusta tecnica di sollevamento dei
carichi (tempi di movimento) e respirazione.
Spesso chi inizia ad allenarsi ha una percezione parziale dei muscoli che sta
allenando ed i primi periodi sono fondamentali proprio per creare i nuovi partners di
attivazione neuro-muscolare che saranno necessari per automatizzare il movimento
attraverso il giusto reclutamento delle catene muscolari impiegate durante gli esercizi.
E’ durante questo periodo introduttivo, che può durare da un minimo di 2 ad un
massimo di 8 settimane, che si porranno le basi per la giusta comprensione dei
movimenti, dei tempi, della respirazione e del concetto di allenamento fino al
momentaneo cedimento muscolare.
Un altro indice che normalmente tengo in stretta considerazione sono i dolori
muscolari conseguenti all’allenamento svolto.
Nei giorni seguenti ai primi allenamenti bisognerebbe che il cliente non arrivasse mai
a sentire dei dolori lancinanti, ma solo un lieve indolenzimento muscolare.

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Se si arrivasse a sentire dei dolori molto forti e invalidanti vorrebbe dire che durante
l’allenamento si è ampliamente superata l’intensità di lavoro sufficiente a stimolare i
processi di adattamento.
Tale condizione è paragonabile alla scottatura da eccessiva esposizione ai raggi solari
che riscontriamo quando ci esponiamo, dopo un inverno passato al buio, ad una
giornata in spiaggia senza protezione.
Se seguissimo quelle che sono le normali capacità di adattamento fisiologico, ci
dovremmo togliere dal sole non appena la pelle incomincia ad arrossarsi, ossia, dopo
circa 20 minuti di esposizione al sole di fine giugno o luglio.
Ogni minuto in più di esposizione non migliorerà la nostra risposta adattativa
(abbronzatura), ma contribuirà a scottarci sempre più, fino ad arrivare a procurarci
ustioni di primo, secondo, e, nei casi più gravi, terzo grado.
Lo stesso principio vale per l’allenamento, non avremo una risposta più rapida se ci
alleneremo di più di quella che è la nostra momentanea capacità di far fronte e
adattarci ad un nuovo lavoro, ma riusciremo solamente ad esaurire completamente le
nostre capacità biochimiche locali e sistemiche, con il risultato di farci entrare in una
condizione di superallenamento.
Vorrei ricordarvi cosa soleva dire Mike al riguardo: “tanto non è meglio, poco non è
meglio, quello che bisogna fare è il giusto, ne più, ne meno”.
Non abbiate quindi fretta di saltare ai programmi più avanzati, ma tenete sempre ben
presente che qualsiasi tipo di attività, all’inizio, per il corpo risulta essere
estremamente impegnativa e determina una serie di riadattamenti che sfociano
comunque nei processi di compensazione prima, e, supercompensazione poi che tanto
ricerchiamo.
Come ultimo appunto, vorrei farvi notare che nella scheda non ho inserito esercizi
specifici per i bicipiti, tricipiti, e i bicipiti femorali, in quanto già allenati,
indirettamente, da altri esercizi come quelli per i dorsali, per i quadricipiti e per le
spalle che inevitabilmente li coinvolgono.

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SCHEDA BASE

- PETTORALI:
Pectoral Machine 1 serie da 8 a 12 ripetizioni

- DORSALI:
Tirate al Lat-Machine con Impugnatura stretta e inversa 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- DELTOIDI:
Shoulder press o Lento dietro con Bilanciere 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- POLPACCI:
Calf inpiedi 1 serie da 12 a 20 ripetizioni

- QUADRICIPITI FEMORALI:
Leg-Press obliqua 1 serie da 12 a 20 ripetizioni

- ADDOMINALI:
Crunch alla Crunch-machine 1 serie da 12 a 20 ripetizioni
Leg-raise su panca addome 1 serie da 12 a 20 ripetizioni

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Scheda base per allenamento


intermedio/avanzato in stile
Heavy Duty

Per il secondo programma, che troverete di seguito, vale quanto già è stato detto
nell’introduzione alla “scheda di allenamento condizionante per un neofita”.
Prima di parlare di esercizi, serie e ripetizioni, vorrei attirare la vostra attenzione su
alcuni aspetti relativi al corretto svolgimento del programma di allenamento che
andremo a vedere.
La scheda è stata strutturata pensando ad un frequentatore tipo, che abbia già
acquisito i rudimenti necessari atti a realizzare un buon allenamento.
Tale fruitore dovrebbe essere in grado di eseguire i movimenti in modo perfetto,
rispettando i tempi nelle tre fasi, concentrica, isometrica ed eccentrica di cui ho già
parlato ampiamente.
Prima di allenare un muscolo specifico dovreste scaldarlo, attraverso le modalità già
discusse in precedenza.
Ricordate che il riscaldamento non deve mai essere un allenamento a se stante, ma
deve essere semplicemente sufficiente a far affluire sangue al gruppo muscolare che
stiamo per allenare e a preparare il nostro sistema nervoso centrale e periferico a
mettere in moto i vari gruppi muscolari che saranno interessati nell’esercizio
specifico permettendoci così di attivare la giusta sequenza di reclutamento neuro-
muscolare.
Consiglio questo programma non ad un neofita, ma ad un intermedio, ossia una
persona che abbia un’esperienza di palestra di almeno 6 mesi consecutivi e sia
seriamente intenzionato a sviluppare nel più breve tempo possibile il suo potenziale
muscolare.
Partite con una frequenza di allenamento di una seduta ogni 4 giorni, ossia una volta
finita la vostra sessione di allenamento, che non dovrebbe durare più di 35 minuti,
prima di tornare nuovamente ad allenarvi aspettate almeno 4 giorni.
Per quanto riguarda la frequenza, i 4 giorni sono solo un consiglio, dovrete essere in
grado di valutare voi in base a ciò che annotate sul vostro diario se tale intervallo sia
adeguato a farvi recuperare totalmente o meno.
Se ogni volta che tornate a fare uno stesso gruppo muscolare non siete in grado di
aumentare il carico di lavoro o il numero di ripetizioni, rimanendo comunque
all’interno dell’ intervallo che vi suggerisco, vuol dire che il muscolo non ha super-
compensato.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Se ciò dovesse succedere per più di 2 volte consecutivamente sospendete gli


allenamenti per un’intera settimana e poi riprendeteli portando a 5 giorni il riposo tra
una sessione e la successiva.
Per quanto riguarda i tempi di recupero non dovreste mai iniziare una serie con il
fiatone o il battito cardiaco troppo elevato.
Non va però lasciato passare neppure troppo tempo, in quanto più è rapido
l’allenamento e più l’intensità, ossia la potenza sviluppata nel periodo di riferimento,
sarà stata alta e condizionante.
Quindi, il tempo di recupero deve essere appena sufficiente a rientrare con il fiato,
aver cioè pagato il debito d’ossigeno risultante dalla serie precedente, per poter
riprendere la nuova serie.
Come ultima cosa vi suggerisco, prima di iniziare questo programma di allenamento
di prendervi da 1 a 2 settimane di riposo totale, in modo da ripristinare le vostre
capacità di recupero ed essere pronti ad entrare nel mondo dell’ Alta Intensità.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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SCHEDA
- Primo Giorno:

- PETTORALI

Croci con manubri in panca alta 1 serie da 6 a 10 ripetizioni


Croci con manubri in panca piana 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- DORSALI

Pull-over con manubrio o alla Pull-over machine 1 serie da 6 a 10 ripetizioni


Tirate al Lat-Machine con Impugnatura stretta e inversa 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- ADDOMINALI

Crunch alla Crunch-machine 1 serie da 12 a 20 ripetizioni


Leg-raise su panca addome 1 serie da 12 a 20 ripetizioni

- Secondo Giorno:

- POLPACCI

Calf seduto alternato a calf inpiedi 1 serie da 12 a 20 ripetizioni

- BICIPITI FEMORALI

Leg-Curl al lettino femorali 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- QUADRICIPITI FEMORALI

Leg-Extension 1 serie da 12 a 20 ripetizioni


Squat con bilanc. Alternato a Leg-press Obliqua 1 serie da 12 a 20 ripetizioni

- Terzo Giorno:

- DELTOIDI

Alzate laterali alla macchina 1 serie da 6 a 10 ripetizioni


Tirate ai cavi ad 1 braccio prono a 90 gradi x Delt. Post. 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- TRICIPITI

Push-down alla poliercolina 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

- BICIPITI

Curl con bilanc. in Panca Scott 1 serie da 6 a 10 ripetizioni

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Come aumentare l’intensità del


nostro
Work out

Se mi avete seguito fino a qui, avrete compreso come l’aumento di forza sia fattore
necessario ed imprescindibile per la massima crescita muscolare.
Infatti, come ho già più volte spiegato, la crescita muscolare non è altro che una
risposta organica ad uno stress imposto.
I meccanismi che regolano la crescita muscolare sono in sostanza gli stessi che
regolano l’abbronzatura o la formazione di un callo.
La GAS theory, ossia la sindrome da adattamento generale espressa da Hans Selye,
ci spiega esaurientemente i meccanismi generali di adattamento di ogni organismo
biologico ad uno stress imposto, e la crescita muscolare, poiché sottostà alle
medesime leggi fisiche e biologiche che regolano il nostro universo, non fa
eccezione.
Ecco perché quando parlo di Body Building mi piace definirlo una Scienza.
L’improvvisazione che spesso si osserva nelle palestre o la vera e propria ignoranza
di molti cosiddetti “istruttori” ne svilisce l’essenza stessa, trasformandolo da scienza
atta alla trasformazione della composizione corporea attraverso principalmente
alimentazione e allenamento, ad una mera ginnastica con i pesi senza nessuna finalità
estetica.
In questo estratto, vorrei iniziare ad illustrarvi alcune metodiche per aumentare
l’intensità in allenamento.
Una volta compreso che se vogliamo continuare a crescere dobbiamo generare
progressivamente contrazioni muscolari sempre più intense, quello che rimane però
oscuro a molti Body Builder è come fare per ottenere tale progressione.
La difficoltà a capire come affrontare produttivamente un allenamento ad alta
intensità spesso deriva dal fatto che molti non abbiano ben compreso il concetto di
intensità.
Il concetto di intensità è da molti, compresi anche alcuni Body Builders, spesso
confuso con un altro concetto, che però ha ben poco a che vedere con il primo, ossia
quello di durata.
Apparentemente molti non hanno bene inteso che i due concetti nel Body Building
sono inversamente proporzionali, così come la loro applicazione in relazione alla
frequenza di allenamento.
Solo quando un muscolo si sta contraendo con la massima forza esprimibile in ogni
dato momento dell’esercizio possiamo parlare di massima intensità.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Quando vi state allenando in modo che ogni ripetizione di ogni serie relativa ad ogni
esercizio richiede uno sforzo assoluto, qui e solo qui possiamo parlare di massima
intensità.
Solo quando riuscirete ad allenarvi in questo modo, per forza di cose, la durata
dell’allenamento dovrà essere breve.
In altre parole allenarsi ad alta intensità non è compatibile con un allenamento ad alte
ripetizioni.
Possiamo così affermare che un allenamento ad alta intensità limita drasticamente la
durata dell’allenamento stesso.
Quello che è ancora più importante in tali allenamenti è che ogni contrazione al di
sotto della massima intensità esprimibile produrrà risultati parziali.
Mike Mentzer per rendere chiaro questo concetto usava fare un esempio:
Prendete un candelotto di dinamite e colpitelo con un martello soavemente, non
importa quante volte lo farete, vedrete che non riuscirete a farlo esplodere.
Viceversa, prendete lo stesso candelotto di dinamite e colpitelo con lo stesso martello
quanto più forte potete, vedrete che un solo colpo sarà sufficiente per farlo esplodere.
Lo stesso avviene nei nostri muscoli, sollevare una matita 1000 volte non vi farà
diventare Mr.Olympia, ma fare una sessione di Stacchi da terra da 6 ripetizioni a
cedimento probabilmente vi porterà a delle trasformazioni sostanziali della vostra
composizione corporea.
In sostanza, ogni allenamento a bassa o media intensità non sarà in grado di produrre
quegli stimoli alla crescita muscolare che state cercando, semplicemente perché non
sufficiente a stimolare l’adattamento organico.
Ricordatevi che le capacità di recupero sono scarse e limitate, quindi ogni volta che
utilizzate un sistema che aumenti l’intensità in allenamento dovrete lasciare più
tempo di riposo (frequenza), in modo da poter ripristinare completamente le vostre
riserve.
Le tecniche d’intensità non dovrebbero essere utilizzate sempre, ma solo quando vi
sentite particolarmente in forma e psicologicamente motivati.
Di seguito elencherò le varie tecniche disponibili per aumentare l’intensità in
allenamento partendo però dalla prima tecnica che sta alla base dell’intero sistema di
allenamento Heavy Duty ossia il cedimento muscolare.

• Cedimento muscolare: Mettendo da parte ogni discussione accademica,


quando dico cedimento muscolare voglio dire eseguire una serie fino al punto
in cui per quanti sforzi faccia, per quanto digrigni i denti per superare il dolore,
non mi è possibile portare a termine l’ultima ripetizione. Allenarsi fino al
momentaneo cedimento muscolare, ossia fino al punto in cui non mi è
possibile per quanti sforzi faccia fare un’altra ripetizione, è il modo più rapido
per forzare il corpo a crescere. Tutti sappiamo che aumentare la massa non è un
processo semplice, per crescere, dobbiamo letteralmente forzare il corpo a
farlo. Finire una serie con un numero arbitrario di ripetizioni non ci da nessuna
garanzia di crescita. Se possiamo eseguire un Curl con bilanciere per bicipiti
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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con 50 Kg. Per 10 ripetizioni e non proviamo mai a fare la undicesima il nostro
corpo non avrà mai un motivo vero per cambiare, ossia per crescere.
Ricordatevi che il corpo è un sistema omeostatico, ossia che cerca di mantenere
gli equilibri raggiunti, per far si che lo stato di equilibrio passi ad un differente
livello, dobbiamo letteralmente obbligarlo. Credo che per capire questo
concetto non si necessiti essere ne un biologo ne un fisiologo. Eseguire una
serie al momentaneo cedimento muscolare ci garantisce di raggiungere quello
che Mike chiamava BREAK-OVER POINT ossia il punto prima del quale non
si ha stimolato a sufficienza la crescita muscolare e oltre il quale invece
abbiamo innescato i processi di crescita o supercompensazione. Una domanda
sorge quindi legittima: Dove è esattamente questo punto? E’ forse al 85% o al
90% dell’intensità massima realizzabile? Nessuno ad oggi può dire di saperlo
di sicuro, ma potete stare certi che se ci alleniamo fino al 100% della massima
intensità ottenibile avremo raggiunto il BREAK-OVER POINT.

• Tecnica di pre-esaurimento o Super set.: Su alcuni grandi gruppi, come ad


esempio dorsali e petto, spesso ci è impossibile arrivare al momentaneo
cedimento muscolare perché i muscoli deboli coinvolti nei movimenti, come
ad esempio i tricipiti nei pettorali o i bicipiti nei dorsali, si esauriscono prima
dei grandi impedendoci di continuare nell’esercizio. Per superare questo
problema, si possono usare degli esercizi di isolamento seguiti senza riposo da
degli esercizi detti multi-articolari che permettano di coinvolgere più aree
muscolari sinergiche nello stesso esercizio. Il trucco, se mi passate la licenza,
consiste nell’esaurire il gruppo principale con un esercizio di isolamento, ad
esempio le croci in panca alta con manubri per il petto, seguito senza alcun
riposo da un esercizio dove muscoli piccoli sinergici come spalle e tricipiti,
poiché ancora freschi, possono continuare il lavoro aiutando ad esaurire
completamente il gruppo principale, come ad esempio avviene nella panca
piana. Ricordatevi di essere molto veloci nel passare tra un esercizio ed il
successivo dato che un muscolo ha la capacità di recuperare il 50% della sua
capacità contrattile in un tempo che va da 3 a 5 secondi, lasciare passare più di
3 secondi può invalidare la corretta applicazione della tecnica.

• Isometrica finale: Poiché dobbiamo generare progressivamente sempre più


forti contrazioni muscolari per stimolare la massima crescita in forza e massa 2
condizioni debbono essere soddisfatte: 1) Dal momento che le fibre muscolari
si contraggono riducendo la loro lunghezza, un muscolo dovrebbe trovarsi nel
punto di massima contrazione o Peak Contraction se vogliamo che tutte le fibre
che lo compongono siano contratte simultaneamente; 2) Per avere tutte le fibre
contratte simultaneamente dovremmo imporre un carico che sia sufficiente a
realizzare tale condizione. Quando un muscolo si contrae per sconfiggere una
resistenza muovendosi regolarmente dal punto di massimo allungamento fino a
quello di massima contrazione, progressivamente vengono reclutate sempre più
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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fibre fino al punto in cui si raggiunge la posizione di Peak Contraction. In


questo punto non è possibile muoversi oltre e il massimo numero di fibre è
stato attivato. L’isometrica finale si può fare solo in quegli esercizi dove nel
punto di massima contrazione, dobbiamo continuare a combattere contro una
resistenza attiva data dal carico che stiamo maneggiando. Ricordatevi che il
punto terminale del movimento è in assoluto il più importante in quanto tutte le
fibre che compongono il muscolo che stiamo lavorando saranno attivate
simultaneamente. Mantenete quindi la contrazione per 2 secondi e poi
continuate la serie.

• Ripetizioni forzate: Questa è una delle prime tecniche utilizzabili per


incrementare l’intensità in allenamento. Alla fine di una serie di positive o
concentriche portata a cedimento muscolare, potrete farvi aiutare da un
compagno per eseguire 2 o 3 ripetizioni extra. E’ necessario che il vostro
compagno vi aiuti quel tanto che basta per completare la ripetizione, l’aiuto
non dovrebbe assolutamente scaricarvi in alcun modo dal lavoro, che per la
maggior parte dovrete fare voi, e solo per una minima parte il vostro
compagno. Non consiglio l’uso delle ripetizioni forzate ai neofiti, che invece
dovrebbero solo concentrarsi ad arrivare in ogni serie al momentaneo
cedimento muscolare con le semplici concentriche. Per quanto riguarda gli
intermedi, dovrebbero usare le forzate solo di quando in quando, ogni 2 o 3
allenamenti in modo da non eccedere le proprie capacità di adattamento.
Mentre per gli avanzati le forzate possono essere parte integrante della loro
sessione di allenamento. Atleti molto avanzati dovrebbero inoltre utilizzare
carichi che permettano non più di 5/6 ripetizioni, dato che muscoli molto
grandi e forti, mentre esprimono contrazioni estremamente intense, impegnano
molto il sistema cardio-circolatorio rischiando così di far terminare la serie non
per cedimento muscolare, ma per affanno respiratorio.

• Ripetizioni negative: Ogni modo per incrementare l’intensità in allenamento,


attenzione, non intendo allungarlo, ma renderlo più brutale attimo dopo attimo,
ne aumenterà l’efficacia. A questo punto è necessario ricordarvi che i nostri
muscoli possono produrre lavoro in 3 differenti modi: La prima è la forza
positiva o concentrica ossia la capacità di sollevare un peso, la seconda è la
forza statica o isometrica dove possiamo mantenere fermo in un qualsiasi
punto nell’arco del movimento del muscolo un carico, e la terza è la forza
negativa o eccentrica dove il muscolo produce lavoro allungandosi e non
accorciandosi come nelle positive. I carichi che possiamo utilizzare sono
rispettivamente di circa il 20% in più durante le isometriche e di circa il 40% in
più durante le negative rispetto ai carichi che utilizziamo con le positive. E’
chiaro quindi che una volta raggiunto il cedimento positivo, e aver fatto 2 o 3
ripetizioni forzate, per arrivare al completo esaurimento muscolare ci
rimangono ancora le negative. Per eseguire le negative avrete bisogno di un
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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compagno di allenamento che vi sollevi letteralmente il carico fino a portarlo


nella posizione di peak contraction, a questo punto iniziate le negative
cercando di resistere al carico quanto più potete senza però mai fermarvi, è
molto importante che non tentiate di fermarvi in quanto il muscolo a questo
punto è molto stanco e cercare di opporre un’eccessiva resistenza potrebbe
portarvi ad infortunarvi. La prima ripetizione, probabilmente, potrete eseguirla
in 6/10 secondi, ma mano a mano che proseguite con le successive diventerà
sempre più difficile fino al momento che perderete il controllo del carico. A
questo punto la serie sarà completa. A differenza delle ripetizioni forzate, le
negative si possono utilizzare separatamente in un vero e proprio allenamento a
se stante. I carichi da utilizzare in questo caso sono circa del 40% superiori a
quelli che utilizzate durante i normali allenamenti con le positive. Visto la
brutalità ed intensità che si raggiunge durante gli allenamenti con le negative
non vi consiglio di utilizzarli molto di frequente. Nella mia esperienza, di
solito, li inserisco per non più di 2 sedute consecutive quando mi trovo con un
cliente in un momento di stallo e normalmente, quando torno agli allenamenti
convenzionali, le risposte in termini di aumento di forza sono eccezionali.

• Tecnica Rest pause: Mano a mano che i muscoli crescono e diventano sempre
più forti ci si trova ad affrontare il problema relativo all’esponenziale consumo
di ossigeno e produzione di prodotti di scarto del metabolismo muscolare che
derivano dalle contrazioni sempre più intense e brutali di questi ultimi.
Effettivamente la quantità di ossigeno consumata in un muscolo che lavora alla
massima intensità può aumentare fino a 30 volte..!! Le contrazioni muscolari
possono diventare così intense che il flusso sanguigno, e quindi il trasporto di
ossigeno, diminuiscano notevolmente, ne consegue che più tempo deve
trascorrere tra una contrazione, o ripetizione, e la successiva prima che il
sistema vascolare sia in grado di riempire completamente di sangue il muscolo.
Da queste premesse nasce come conseguenza logica la tecnica denominata
Rest-Pause. Possiamo superare il problema derivante da una momentanea
diminuita capacità di contrazioni alla massima intensità facendo un riposo di
circa 10 secondi tra una ripetizione e la successiva, in modo da lasciare
sufficiente tempo al sangue di riempire i muscoli portandovi nutrimento per un
verso, e ripulendoli dai prodotti di scarto del loro metabolismo durante
l’esercizio dall’altro. L’uso che Mike Mentzer consigliava di questa tecnica, e
che io stesso ho provato su di me ed i miei clienti confermandone l’efficacia, è
di selezionare un carico massimale che ci permetta di fare un’unica ripetizione,
intervallata da 10 secondi di recupero e ripetuta per 4 volte. Dopo le prime 2
ripetizioni spesso è necessario diminuire il carico di circa il 15% in modo da
poter continuare fino alla quarta ripetizione, è possibile tuttavia non diminuire
il carico se ci avvaliamo di un Training partner o di un Personal Trainer che ci
possa aiutare durante il nostro allenamento. Non consiglio questa tecnica ai
principianti che invece dovrebbero incominciare ad utilizzarlo più tardi nel
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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tempo. Per gli intermedi e gli avanzati ne consiglio l’ utilizzo, ma con cautela,
in quanto il Rest-Pause è in assoluto la tecnica più brutale che sia mai stata
concepita e se utilizzata troppo può facilmente portare al superallenamento. E’
importante che capiate che a differenza delle altre tecniche di allenamento dove
arrivate al cedimento alla fine di una serie composta da più ripetizioni, nel
Rest-Pause ogni ripetizione è massimale. In questo modo da una parte questo
tipo di allenamento è altamente produttivo, ma allo stesso tempo è pure
altamente impattante sulle nostre limitate capacità di recupero che necessitano
più tempo per essere completamente ripristinate.

• Ripetizioni Parziali: Consiglio questa tecnica solo a Body Builder avanzati


che già hanno raggiunto un livello tale da poter partecipare a competizioni di
Cultura Fisica. Questi atleti generalmente hanno il problema di continuare a
migliorare si, ma principalmente di migliorare i loro punti deboli in modo da
poterli portare a livello dei gruppi più forti e dare così una maggior sensazione
di completezza e simmetria. Partendo dal presupposto che i muscoli crescono
se sottoposti a carichi sempre crescenti, ossia che i muscoli diventando più
grandi in conseguenza al loro aumentare di forza, Mike Mentzer si rese conto
che in molti esercizi, per una questione di giochi di leve, ci troviamo a dover
combattere con una resistenza altissima durante la prima fase del movimento,
passato poi il punto di massima resistenza, l’esercizio diventa molto più facile.
Pensate al curl con bilanciere, il massimo sforzo si fa dal punto di inizio, in cui
il braccio è completamente disteso al punto in cui arriviamo perfettamente
paralleli con l’ avambraccio al suolo, superato questo punto si ha un cambio di
leve diventando più vantaggiose e sollevare il carico diventa sempre piu facile.
Applicando questa semplice osservazione ai nostri allenamenti ne consegue
che potendo partire dal punto in cui gli avambracci si trovano paralleli con il
suolo, cioè circa appena dopo la prima metà dell’esercizio, saremmo in grado
di utilizzare un carico molto più alto per fare la nostra serie. L’impatto di un
carico aumentato intorno al 20% sulle fibre muscolari profonde che
costituiscono il muscolo che stiamo allenando diventa così brutale e ne deriva
una sollecitazione massimale. Il problema dell’utilizzo di questa tecnica sta nel
fatto che per forza di cose dobbiamo avere o un partner di allenamento o un
personal trainer che ci possa aiutare portando il bilanciere o i manubri fino al
punto in cui la resistenza al carico diventa parziale, che più o meno è a metà
strada tra l’inizio e la fine dell’esercizio. Devo mettervi in guardia però dal non
utilizzare le ripetizioni parziali come allenamento a se stante. Ricordate che il
muscolo deve sempre essere allenato in tutto l’arco del movimento esprimibile,
in modo che possa crescere equilibrato nella sua totale lunghezza e forma. Le
ripetizioni parziali dovrebbero essere utilizzate solo sui muscoli considerati
deboli, in quanto utilizzarle su tutti i gruppi porterebbe ad un veloce
superallenamento. Dovrebbero quindi essere inserite alla fine degli esercizi
programmati per quel dato muscolo e per non più di una serie a completo
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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esaurimento. Un' altra tecnica particolarmente interessante nel panorama dei


sistemi H.I.T. è quella chiamata Zone Training sviluppata dal tecnico Brian
Johnston, che prenderò in considerazione più avanti.
• Contrazioni isometriche o statiche: Tecnicamente un Body Builder è un
Body Builder, non un Pesista. Il vostro obiettivo primario non è quello di
sollevare un carico pesante fine a se stesso, ma di generare progressivamente
sempre più potenti contrazioni muscolari in modo da indurre una continua
crescita muscolare. In altre parole i pesi nel Body Building sono il mezzo e non
il fine. La scienza del Body Building inizia con la comprensione della natura
della contrazione muscolare. Quando studiamo la natura del tessuto muscolare
impariamo che i muscoli lavorano contraendosi e che le unità motorie che li
costituiscono si contraggono completamente o non si contraggono affatto,
questo è anche conosciuto come principio del tutto o niente. Tale principio sta
a significare che solo le fibre muscolari necessarie per superare una data
resistenza vengono reclutate, contraendosi al 100% della loro momentanea
capacità contrattile. Dal momento che abbiamo detto che un muscolo lavora
contraendosi, la sola posizione dove un muscolo dovrebbe essere
completamente contratto sarà nella posizione di massima contrazione, che
coincide con il punto terminale del movimento specifico, ma attenzione, solo
se a quest’ultimo viene applicato un carico sufficiente. Se mi avete seguito fino
a qui possiamo derivare dalle mie premesse che per stimolare la crescita di un
muscolo attraverso una contrazione isometrica a cedimento nel punto di
massima contrazione o peak contraction, dovremo applicare una resistenza
sufficiente a mantenere la contrazione alla massima intensità. Non sta scritto
nella roccia che un Body Builder debba solo limitarsi a sollevare pesi. Vi
ricordo che il muscolo è in grado di generare tre tipi di lavoro, quello isotonico
dove per produrre lavoro si accorcia, quello negativo dove il muscolo produce
lavoro allungandosi ed in fine quello isometrico dove il muscolo produce
lavoro mantenendosi in posizione statica. Ognuna delle tre capacità di lavoro è
altrettanto importante per un equilibrato sviluppo muscolare. Quando una
persona si allena solo con movimenti isotonici possiamo dire che, poiché
sfrutta solo una delle 3 capacità di lavoro muscolare, stia allenandosi ad 1/3
delle sue capacità e quindi stia stimolando solo 1/3 della sua capacità di
crescita. Anche per questa tecnica si necessita di un Partner di allenamento o di
un personal Trainer. Dal momento che si è molto più forti a mantenere un peso
staticamente nella posizione di massima contrazione che a sollevarlo, si può
utilizzare un carico molto più alto di quello che normalmente si utilizzerebbe in
una serie isotonica e quindi si necessita di qualcuno che ci aiuti a portarlo nella
posizione di Peak contraction. Il carico da utilizzare dovrebbe permettervi di
mantenervi immobili per un periodo che va da 8 a 15 secondi per i muscoli del
distretto superiore e da 15 a 30 secondi per quelli del distretto inferiore. Una
volta sopravvenuta l’impossibilità ad andare oltre iniziate a scendere il più
lentamente possibile in modo da eseguire una negativa finale.
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Concludo ricordandovi che ogni tecnica qui esposta vi permetterà di incrementare


notevolmente l’intensità del vostro work out e proprio per questo motivo dovranno
essere introdotte con parsimonia e non utilizzate di frequente, altrimenti il rischio di
superallenamento diventerebbe altissimo ed incontrollabile.
Queste tecniche inoltre possono venire mischiate, all’ interno di allenamenti molto
avanzati, in molti modi come ad esempio una super-serie composta da una serie con
positive a cedimento seguita da un esercizio multi-articolare fatto solo con negative o
da una singola isometrica a cedimento. Siate fantasiosi e vedrete che potrete
sviluppare decine di varianti all’interno dei vostri allenamenti.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Appendici

“Ho sempre pensato che quando un uomo si ficca in capo di riuscire in qualche
progetto e non s'occupa altro che di questo, deve aver successo malgrado ogni
difficoltà; questo uomo diventerà gran visir, papa, butterà all'aria la monarchia,
purchè si dia da fare per tempo, abbia il coraggio e la costanza necessari”.

- Giacomo Casanova –

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Nota dell’autore

Questa sezione è stata concepita come un'estensione puramente discorsiva, e, se


possibile, ad un maggiore approfondimento dei temi trattati nel manuale.
Gli articoli che troverete sono stati scritti da me in periodi antecedenti la stesura di
questo manuale e già pubblicati all'interno del mio video-giornale Body&Soul che
potete trovare nel mio account in Youtube (www.youtube.com/enricodellolio)
insieme ad altri video-articoli qui non riportati.
Il video giornale Body&Soul nasce circa due anni fa con l'intento di rendere fruibili,
attraverso le nuove tecnologie, alcune informazioni, da me ritenute essenziali, per
inquadrare, meglio definire e diffondere la corretta scienza del Body Building.
L'iniziativa è stata ben accolta dai maggiori siti e FORUM dedicati al body-building
che hanno pubblicato i miei video-articoli all'interno dei loro portali, dando grande
visibilità alla mia iniziativa.
Ad oggi mi attesto ad una media di circa 500 video visti al giorno con picchi mensili
di 15.000 video, diventando quindi, una delle riviste, seppur virtuali, più “lette”
(dovrei dire ascoltate) nel settore.
La mia scelta di diffondere questo manuale solo attraverso Internet è derivata proprio
da questa esperienza e dalla ferma convinzione che il futuro (forse già il presente)
sarà la rete.
il mio unico rammarico è quello di non avere abbastanza tempo per implementare
anche questo settore come meriterebbe, ma il mio continuo e profuso impegno
nell'insegnamento, personal training e studio, non mi permette di fare tutto quello che
mi piacerebbe.
In questo periodo gran parte delle mie energie sono state assorbite dalla realizzazione
di questo manuale che diventerà anche il testo didattico all'interno dei corsi
teorico/pratici di body-building della regione Lombardia dove io sarò docente da
settembre 2009, così come uno dei testi di riferimento all'interno dell'accademia per
personal trainers dedicate all'insegnamento delle metodiche H.I.T. (l'accademia si
chiamerà H.I.T.A.: High Intensity Training Academy) da me fortemente voluta e
probabilmente operativa entro la fine del 2009 qui a Brescia.
Tra le mie tante iniziative c'è anche l'invio periodico di una NEWSLETTER tecnica a
tutti gli iscritti del mio sito (www.enricodellolio.net) che ad oggi arrivano a circa
1000 unità.
In concomitanza della pubblicazione di questo manuale aprirò, nel mio sito Internet,
un FORUM di discussione e approfondimento delle tematiche contenute nel manuale
fruibile a tutti, così da facilitare l'incontro del popolo H.I.T. e, chissà, magari trovare
nuovi collaboratori e tecnici che possano lavorare con me allo sviluppo di nuove idee
o varianti di queste metodiche.

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Spero che la mia dedizione ed impegno nel settore del Body Building servi ad
incrementare l'espansione di questo incredibile sport e stile di vita, rendendolo
popolare e fruibile alla grande massa.

Brescia, 03/05/2009

“La differenza tra un vincente e un perdente sta anche e soprattutto nella sua
capacità di scegliere e saper riconoscere attraverso l'uso della razionalità il giusto
dal non giusto…”.

- Enrico Dell’olio -

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Ulteriori considerazioni sulla G.A.S


Theory applicata al cambiamento
della composizione corporea

Il nostro corpo se non stimolato tende a mantenere uno stato di continuo equilibrio.
Meno cambiamenti introduciamo in un programma di allenamento, è più facile sarà
per il nostro organismo mantenere lo stato raggiunto. Questo non vuol dire
modificare un programma continuamente, dal momento che ogni cambiamento
dovrebbe essere supportato da dati che ne giustifichino la necessità. Quello che qui
voglio intendere è che bisognerebbe apportare cambiamenti con una certa regolarità
ai nostri programmi. Tali variazioni dovrebbero essere supportate dai dati raccolti
attraverso i diari compilati durante le sedute. Naturalmente, ogni cambiamento dovrà
essere sottoposto ai principi di cui ampiamente ho già discusso.

La ciclicizzazione non è sempre necessaria, ma inserire dei cambiamenti,


naturalmente rispettando i principi che regolano la scienza dell'esercizio, meglio
servirà a rompere gli equilibri sistemici e a raggiungere più alti Stati di adattamento
muscolo/funzionale, in modo da realizzare il massimo potenziale genetico. La rottura
degli equilibri derivante dal cambiamento, trova la sua ragion d’essere nei principi
biologico/evoluzionistici che ci hanno accompagnato come specie durante la nostra
evoluzione. Ciò a cui mi intendo riferire sono i principi fondanti della teoria
darwiniana dell'evoluzione applicata ai principi di base della fisiologia dello stress
così come concepita dal professor Hans Selye nella G.A.S. (General Adaptation
Syndrome). L’unione delle tue teorie ci conduce al riconoscimento dei principi
fisico/biologici universali a cui tutti gli organismi viventi non possono sottrarsi.
L'esercizio, così, non risulta essere niente di più di una delle tante forme di stress che
ben vengono spiegate da questi principi, classificabile quindi in una branca della
fisiologia dello stress.

Il meccanismo primario di cui si servono gli organismi viventi come piante e animali
per sopravvivere è quello dell’ adattamento. Tale processo, ben descritto in biologia,
definisce la capacità che gli esseri viventi hanno di riadattarsi a nuove situazioni
contingenti instauratesi nell'ambiente circostante, in modo da poter sopravvivere e
riprodursi. Il concetto si riferisce quindi ai cambiamenti intervenuti in un dato
organismo che ne hanno alterato o modificato lo stato precedente.

In ogni momento della nostra vita subiamo continui micro riadattamenti che sommati
in una scala temporale sufficientemente lunga determinano importanti variazioni. Per
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esempio, quando camminiamo in una stanza buia e poi accendiamo la luce, i nostri
occhi si aggiustano o adattano attraverso il restringimento della pupilla dovuto alla
maggior quantità di luce presente, in modo da limitare la quantità massima della
stessa che entrerà nei nostri occhi così da produrre una visione chiara di ciò che
abbiamo di fronte. Ci troviamo quindi di fronte ad un riadattamento della grandezza
di un elemento, relativo ad uno specifico organo, in modo da limitare e dosare la
quantità di luce che entrerà e determinerà la nostra visione. Anche quando siamo
sottoposti alle situazioni più avverse, come ad esempio un incidente grave in auto, il
sistema nervoso simpatico e parasimpatico continuamente lavorano uno contro l'altro
in modo da aggiustare e bilanciare al meglio le risposte del nostro organismo con
l'obiettivo di creare un nuovo equilibrio che ci permetta di sopravvivere all'evento.

Hans Selye, il padre della teoria dello stress, fu il primo a notare e misurare uno
specifico pattern di adattamento, nel quale si distinguono chiaramente tre fasi, di cui,
per la nostra discussione, sono particolarmente interessanti la prima e l’ultima.
La prima fase, detta di reazione o allarme determina il segnale di risposta fisiologico
che porterà alla seconda, detta di resistenza o di adattamento a cui il corpo risponderà
appunto adattandosi, se lo stress risulta essere non troppo eccessivo e quindi non
superi le capacità adattative momentanee dell'organismo in questione. Se lo stress è
troppo grande, l'organismo cede a vari livelli al fattore stressorio dando vita così alla
terza fase chiamata di esaurimento, la quale implica appunto l’esaurimento delle
risorse metaboliche momentaneamente disponibili. Tornando al nostro esempio sulla
luce nella stanza buia, possiamo dire che guardare direttamente ad una lampadina da
30 Watt determini uno stress tollerabile, tuttavia fissare direttamente il sole porta ad
un rapido esaurimento delle capacità fisiologiche di mediazione di quest'evento,
producendo come risultato finale una temporanea o, nei casi più gravi, permanente
cecità. In questo caso solo un aspetto dell'organismo viene colpito ed esaurito (gli
occhi) producendo solo un modesto effetto sul resto del nostro corpo.

Se lo stress è tipico o usuale, il corpo manterrà i suoi equilibri facilmente. Tuttavia, se


lo stress risulta essere insufficiente o inferiore a ciò che è usuale per un periodo
troppo lungo, il corpo automaticamente ridurrà il grado di adattamento
precedentemente acquisito. Un esempio a quanto detto potrebbe essere la perdita di
abbronzatura quando smettiamo di esporci al sole, o la perdita di tessuto muscolare se
smettiamo di allenarci.

I cambiamenti che abbiamo commentato fino ad ora sono, tutto sommato, piccoli e
riguardano lassi di tempo non particolarmente lunghi, se però, facendo uno sforzo di
fantasia. estendessimo quanto detto ad un periodo lungo centinaia o milioni di anni
possiamo intuire come gli animali e le piante che popolano la terra siano riusciti ad
adattarsi ai molti cambiamenti che hanno caratterizzato le varie epoche passate.
Possiamo dire che le micro variazioni a cui giornalmente siamo sottoposti, alla lunga
si traducono in macro variazioni o adattamenti. Quindi, ne deduciamo, che la
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selezione naturale darwiniana è diretta conseguenza degli adattamenti derivanti da


continue condizioni stressorie così come descritte nella G.A.S. theory del professor
Hans Selye.

E’ difficile dire cosa potrebbero implicare gli adattamenti derivanti da allenamenti


intensi, su una scala temporale molto lunga per la razza umana. Sarebbe interessante
vedere nell'arco di qualche centinaia di migliaia di anni cosa succederebbe se tutti si
allenassero raggiungendo il loro massimo potenziale muscolare (diventeremo forse
più muscolosi e robusti?). Tuttavia, ciò su cui meglio possiamo speculare e riflettere
sono gli adattamenti derivanti dal breve periodo. Il corpo risponde all'esercizio nella
stessa maniera con cui risponde a qualsiasi altro evento stressorio, adattandosi, e così
facendo diventando più funzionale. Questa nuova condizione risulta essere sia buona
che cattiva, dal momento che possiamo vedere il miglioramento in funzionalità in due
modi diversi. Da una parte, l'adattamento ci porta ad avere muscoli più grandi e forti.
Dall'altra parte, per poter sviluppare sempre più forza e massa muscolare il corpo
deve continuamente riadattarsi agli stimoli, fino al punto in cui viene trovato un
equilibrio tra il lavoro sostenuto e il costo metabolico relativo alla costruzione e
mantenimento di nuova forza e tessuto muscolare. Sebbene questa sia una cosa
positiva a livello neuro/scheletrico/muscolare, risulta essere invece negativa se la
guardiamo dal punto di vista dell'atleta che naturalmente vuole progressivamente
sempre più massa muscolare.

Per chiarire ulteriormente il concetto di adattamento così come derivato dalla teoria
del professor Selye, riporterò un breve estratto della sua definizione di stress:

“indipendentemente da dove proviene lo stress, che sia esercizio fisico, studiare per
un esame, o perdere una persona cara, ritroviamo sempre una risposta fisica non
specifica – quando il fattore stressorio diventerà tale da superare le capacità di
adattamento (omeostasi o equilibrio organico), il risultato finale sarà sempre lo
stesso:

1. Un ingrandimento delle ghiandole surrenali (dove viene prodotta l’adrenalina


e i glucocorticoidi ).
2. Riduzione della ghiandola timo, della milza, dei linfonodi, e di tutte le 14
strutture linfatiche del corpo, inclusa una grossa riduzione nella conta degli
eosinofili (un tipo di globuli bianchi facenti capo al nostro sistema
immunitario). Tutti questi mutamenti contribuiscono ad indebolire il sistema
immunitario, rendendo una persona suscettibile alle infezioni come:
raffreddore, influenza e altre malattie.
3. Ulcere gastriche”.

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Il punto qui, su cui dovremmo soffermarci, è che lo stress derivante dall'esercizio non
è solamente uno sforzo specifico che richieda solo una reazione specifica. Piuttosto,
dovremmo capire, che quando alleniamo un gruppo muscolare non creiamo
solamente uno stress locale, ma anche sistemico. Detto più chiaramente, il semplice
fatto che solleviamo un carico molto pesante alcune volte non è garanzia di crescita
muscolare. Più il nostro organismo (in generale) si trova ad affrontare allenamenti
anaerobici intensi, e più si adatterà a questa condizione in modo generalizzato.
Continuando su questa strada, possiamo dire che anche se abbiamo lavorato un
muscolo con carichi pesanti ciò non vorrà automaticamente dire che gli adattamenti
che ne deriveranno saranno quelli auspicati (aumento della massa muscolare), la
costruzione di nuovo tessuto muscolare è una possibilità, attuabile solo se le
condizioni sono corrette. Possiamo quindi dire che lo stress locale causi “danni”
anche ad altri sistemi organici, e che il corpo si adatta in modo generico e non solo
localmente, come invece vorremmo.

È solo prendendo in considerazione le leggi della fisiologia dello stress a tutti i livelli
che saremo in grado di vedere e capire meglio gli eventi che contraddistinguono i
processi di adattamento. Quando ci alleniamo non creiamo solo uno stress ai gruppi
allenati così che questi crescano per risposta sempre più grossi, il nostro corpo è ben
più complesso e i meccanismi metabolici posti in atto riguarderanno tutti i sistemi
organici.

In effetti, sviluppare progressivamente sempre più massa muscolare è metabolica-


mente costoso in due modi: primo, avere un corpo più muscoloso significa un alto
costo metabolico di adattamento e la necessità di un maggior consumo calorico per il
suo mantenimento. Secondo, più grande sarà un muscolo, naturalmente fino a un
certo punto, e meno efficiente sarà dal momento che più un muscolo è voluminoso e
più l’ angolo che verrà a formarsi con l'osso sarà grande, così da ridurre la linea
diretta di trazione diminuendo in parte la forza totale esprimibile.

Pensiamo ora a cosa succede quando smettiamo di allenarci. I muscoli faticosamente


costruiti nel tempo tenderanno a venire scomposti e quindi ridotti, il motivo di tale
processo è da ricondurre al fatto che il nostro organismo riesce a mantenere grosse
masse muscolari solo se assolutamente necessario in quanto tale condizione risulta
essere estremamente costosa a livello metabolico. Normalmente diciamo che ciò
avviene perché il non uso porta alla perdita, tuttavia, il nostro corpo vede la cosa in
maniera differente, ossia, dal momento che non è necessario non vale il costo per il
suo mantenimento.

Inoltre dobbiamo prendere in attenta considerazione un altro importante aspetto,


anche se continuassimo a lavorare molto intensamente, ma sempre attraverso gli
stessi schemi, il nostro corpo tenderà a diventare sempre più efficiente a svolgere
quello specifico lavoro, non attraverso la costruzione di nuova massa muscolare, ma
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migliorando il partner di trasmissione neuromuscolare specifico. Essenzialmente,


potremmo definire lo sviluppo di nuova massa muscolare come una “reazione di
panico” che faccia fronte alle necessità derivanti dalla reazione di allarme il più
velocemente possibile, in modo da preservare l'integrità dell'organismo.

Un importante corollario a ciò di cui abbiamo discusso finora, è che più sarà
prevedibile il nostro programma di allenamento, e più sarà veloce e semplice
l'adattamento che ne seguirà. Più spesso ripetiamo lo stesso esercizio nella stessa
maniera, e più il corpo ne sarà felice, dal momento che lo sforzo diventerà presto
prevedibile e convenzionale.

Allenamenti di base che siano solo semplicemente progressioni del carico vanno
molto bene per i neofiti, dal momento che lo sforzo è così nuovo per i muscoli da
produrre importanti risultati, questo processo può durare anche svariati mesi prima
che il corpo si adatti completamente, tuttavia, prima o poi l'adattamento sarà
completo.

Consideriamo ora la situazione in cui si inizi un nuovo programma di lavoro,


potrebbe essere un programma di pesi, un hobby o un nuovo lavoro. All'inizio, è
comune sentire una sorta di sconforto fisico che si concreta come risultante del nuovo
tipo di stress. Più passa il tempo e più ci si abitua alla nuova situazione, fino ad
arrivare al punto in cui diventa “normale”. Il nostro corpo, nella maggior parte dei
casi, non cambierà visibilmente, a meno che il lavoro che stiamo facendo non sia
specifico per la costruzione di nuovo muscolo o la perdita di grasso. Se la nuova
attività sarà molto intensa, allora si potrebbe vedere qualche piccolo cambiamento
iniziale, che tuttavia cesserà molto velocemente. Indipendentemente dal fatto che voi
riusciate a svolgere i vostri compiti all'interno della nuova attività sempre meglio,
molto probabilmente la maggior parte dei risultati che otterrete saranno dati
semplicemente da una migliore efficienza neuro-muscolare.

Questo è il motivo perché non è sufficiente svolgere solo un lavoro pesante al fine di
cambiare la propria composizione corporea. Ci sono centinaia di persone che
svolgono lavori pesanti, per esempio di facchinaggio, ma che tuttavia risultano essere
completamente fuori forma e, considerando i grossi carichi che giornalmente
sollevano, non si possono dire neppure super forti. Piuttosto, potremmo affermare,
che sono estremamente efficienti nello svolgere determinate attività per cui hanno
indubbiamente affinato le loro capacità. Sareste sorpresi dal vedere come queste
persone siano estremamente inefficienti e goffe se provassero ad eseguire lavori
completamente differenti da quelli a cui sono abituati. Nonostante queste attività
siano indiscutibilmente molto pesanti a livello fisico, non possiamo tuttavia affermare
che possono essere adeguate per creare e mantenere un corpo molto forte e
muscoloso.

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Il significato di tutto ciò, è che quello che non dovremmo solo ambire a, quando
ci sottoponiamo ad allenamenti intensi, diventare sempre più bravi a sollevare
un determinato carico attraverso un dato esercizio. Non vogliamo allenarci
solamente per migliorare le nostre capacità di sollevamento pesi attraverso
un'attività particolarmente intensa, ma ciò che vogliamo è cercare di costruire
quanta più massa muscolare possibile, nel minor tempo possibile, e, per fare ciò,
dobbiamo far si che quando sia necessario, l'allenamento (stress) si converta in
qualcosa di sufficientemente inusuale da produrre una nuova reazione di
adattamento (leggi ciclicizzare).

Sfortunatamente capire quando sia il momento di variare un programma è molto


complicato. Tuttavia, sono sicuro che vi sarà accaduto che nonostante vi applichiate
con costanza e dedizione ai vostri allenamenti, cercando di renderli sempre molto
intensi e corretti sia nella forma di esecuzione che nei tempi dei movimenti, arriviate
inesorabilmente ad un certo punto in cui non solo non si hanno nuovi aumenti in
termini di massa muscolare, ma iniziate ad avere la netta sensazione di perdere anche
parte di ciò che avevate così faticosamente acquisito precedentemente. E’ in questo
preciso momento che possiamo dire che il nostro corpo si sia completamente adattato
all'ambiente circostante (tipo di allenamento), ed è quindi necessario variare i nostri
programmi.

Riagganciandomi a ciò che ho già precedentemente discusso, vorrei ricordarvi che i


cambiamenti che dovremo attuare nei nostri programmi per poter continuare a
mantenere alta la risposta di allarme ed il successivo adattamento che ne deriva, non
dovranno semplicemente consistere nel cambiamento degli esercizi mantenendo
inalterati frequenza e volume, ma diventerà determinante modificare, per un certo
periodo di tempo, tutti gli aspetti del nostro allenamento, naturalmente tenendo
sempre presente i rapporti che esistono tra intensità, volume e frequenza che come
ho più volte sottolineato regolano intimamente i processi di crescita. Per esempio,
invece di allenarci il lunedì mercoledì e venerdì, cambiare la sequenza in lunedì
giovedì e venerdì, tale cambiamento produce una rottura all'interno dei ritmi
precedentemente instauratesi creando una piccola reazione di allarme. Un secondo
esempio potrebbe essere il seguente: supponiamo di allenare normalmente i tricipiti
con tre serie così come i bicipiti nello stesso allenamento, per rimescolare le carte
potremmo fare un allenamento in cui i tricipiti vengono allenati con quattro serie e di
bicipiti con due per poi passare al successivo allenamento dove alleneremo i tricipiti
con due serie e di bicipiti con quattro (come avrete notato il numero totale di serie è
rimasto invariato, ciò che invece è stato variato è il volume sul singolo muscolo),
anche questo cambiamento può contribuire a rompere gli schemi a cui il nostro
organismo tende ad abituarsi, promuovendo così una continua e maggiore crescita
muscolare.

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Ciò detto, sottolinea quanto sia importante, per continuare a stimolare adeguatamente
il nostro organismo, la ciclicizzazione di quello che facciamo. Attività fisiche, come
l'esercizio fisico, si basano e sono strettamente connesse al grado di sviluppo dei
patterns di attivazione neuro-muscolare. Allo stesso modo, i sistemi che il nostro
organismo mette in essere per produrre energia, determinano le modalità di
conservazione o meno dei substrati energetici che influenzeranno direttamente la
nostra capacità di produrre lavoro muscolare.

Ed è precisamente qui che molti dei programmi di allenamento oggi in circolazione


tendono a fallire, incluso una parte dei programmi basati su sistemi ad alta intensità
(H.I.T.). Nel caso di questi ultimi, che generalmente risultano essere assai migliori
dei programmi ad alto volume (H.V.T.), spesso viene sì tenuta in stretta
considerazione la GAS Theory in relazione al principio del recupero, mancando però
di considerarla anche sotto l'aspetto dell’ adattamento a una specifica modalità di
lavoro reiterata (allenamento). Che cosa succede quando ci adattiamo a qualcosa? Per
molti aspetti incominciamo ad annoiarci, così come il nostro corpo inizia ad
“annoiarsi” a ripetere gli stessi esercizi settimana dopo settimana. In sostanza,
l'errore, in questo approccio, è da riscontrarsi nell'applicazione parziale dei tre
concetti fondamentali che guidano la scienza del body-building naturale. Quando
consideriamo solo l'intensità come unico fattore di crescita, dimentichiamo che
volume e frequenza, in relazione alle continue capacità di adattamento organico, sono
fattori altrettanto importanti e imprescindibili per continuare ad avere risultati.

Dall'altra parte i fautori delle tecniche ad alto volume (quelli che si basano
essenzialmente su quando e quanto spesso, piuttosto che considerare l'intensità come
base per la crescita) sono soliti utilizzare moltissime variazioni nei loro programmi.
Queste persone tendono a essere orientate maggiormente verso le misure. Non
cercano solamente di allenarsi e sollevare progressivamente carichi sempre più
grandi, ma vorrebbero arrivare agli stessi risultati dei primi attraverso un minor
sforzo fisico e mentale. Sfortunatamente, senza applicare la giusta intensità, il giusto
recupero e un adeguato sovraccarico progressivo, spesso si arenano su pochi o nessun
risultato, per periodi lunghissimi di tempo, tale condizione generalmente porta nel
tempo a smettere completamente di allenarsi. Esiste inoltre una terza categoria che
interpreta il body-building come un'attività impossibile da fare senza un uso
continuativo di steroidi anabolizzanti. I farmaci non determinano solamente maggiori
capacità di crescita muscolare, ma permettono di allenarsi per molto più tempo e con
maggior frequenza rispetto a chi non fa uso di tali sostanze permettendo così, a
questo gruppo, di comportarsi in modo sostanzialmente differente dai primi due, in
quanto, attraverso l'uso di sostanze dopanti, le leggi fisico biologiche prese in
considerazione finora vengono completamente stravolte. I concetti di intensità,
frequenza e volume nel caso di uso di steroidi continuano si ad esistere, ma in
maniera molto diversa. Senza considerare i principi che stanno alla base della crescita

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muscolare, così come esposti, i risultati sono spesso non ottimali e contraddistinti da
grandi perdite di tempo, soldi ed energie.

Il maggior problema che si riscontra nell’applicazione di nuovi programmi, magari


molto più intensi dei precedenti, è che inizialmente producono delle risposte positive
in termini di adattamento, ma, se protratti per lunghi periodi, possono velocemente
portare al sovrallenamento. Questo normalmente succede perché la ciclicizzazione
dei nostri allenamenti non è stata pensata su una scala di tempo sufficientemente
lunga.

Il dilemma che ci troviamo ad affrontare a questo punto è determinato dal fatto che
risulta essere estremamente difficile individuare quando è arrivato il momento di
variare i nostri programmi. Oggi, dopo molti anni di esperienza, posso dire che le
risposte individuali sono estremamente varie e differenti, è quindi impossibile
definire un protocollo che vada bene per tutti. L'unico modo per individuare i partner
di risposta fisiologica è attraverso l'attenta osservazione e sperimentazione personale.

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Perché tanti diversi approcci?

È necessario partire da una premessa comune con la quale tutti noi ci troviamo a
misurare. Ogni individuo parte con le stesse caratteristiche fisico/biologiche di base
che sono uniche nella nostra specie, tuttavia le differenze individuali, che
costituiscono la variabilità di specie e determinano l'unicità dell'individuo, sono
anche la base di partenza per definire le giuste quantità di intensità, volume e
frequenza che caratterizzeranno un determinato programma di allenamento. E’quindi
la combinazione dei vari fattori che determinerà le dosi di intensità, volume e
frequenza da applicare per raggiungere i risultati auspicati, ed è qui che la scienza
teorica incontra la sua applicazione pratica.

È quindi la comprensione profonda degli effetti delle varie combinazioni di esercizi,


modalità e tempi che a volte confluiscono in modelli specifici di allenamento che
determineranno il successo o il fallimento di un programma in relazione agli obiettivi
individuali.

Esistono sul mercato molti differenti modelli di organizzazione degli esercizi che
vengono riassunti con il termine: TECNICHE DI ALLENAMENTO e che
costituiscono il tentativo più o meno organizzato di dare forma a sequenze di esercizi
messi in modo che tengano conto dei fattori che governano la crescita muscolare. E’
importante notare che il modello di organizzazione di un programma di allenamento
determinerà il modello di risposta del nostro organismo. In altre parole, due individui
potrebbero allenarsi con lo stesso identico programma eseguendo gli stessi esercizi
nello stesso identico modo, tuttavia la risposta che ne deriverà produrrà
immancabilmente risposte sistemiche (riorganizzazione della composizione corporea)
uniche e geneticamente determinate dalla fisiologia individuale. Questo è il motivo
per cui le persone hanno differenti risultati dall'applicazione dei medesimi
programmi, ed è il motivo per cui sia necessario creare programmi personalizzati in
funzione delle risposte soggettive.

L'organizzazione secondo un modello predefinito di allenamento risulta essere


particolarmente complessa, dal momento che deve necessariamente essere applicato
ad una struttura dinamica in continuo mutamento, ossia, il nostro organismo. Come
risultante di diversi fattori stressori, non derivanti dall'esercizio fisico e, a causa del
continuo riadattamento del nostro organismo, la risposta ad un dato programma può
essere molto diversa non solo da persona a persona, ma anche per la stessa persona in
differenti momenti della sua esistenza.

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Sono quindi le variazioni derivanti dai riadattamenti continui dei nostri organismi che
determineranno la struttura dei nostri programmi di allenamento. Tali programmi,
tuttavia, non potranno essere eterni, dal momento che dovranno modificarsi ogni
qualvolta il nostro corpo vi ci sarà adattato, in modo da creare un continuo stress a cui
seguirà un continuo adattamento in accordo con il nostro potenziale genetico.

Se la massimizzazione dei risultati è l'obiettivo principale, allora bisogna rendersi


conto che il corpo ha una tendenza verso un continuo equilibrio. Il comportamento
del nostro organismo sarà quello di cercare di rimanere quanto più vicino possibile
allo stato di equilibrio ogni volta che l'ambiente intorno a lui subirà variazioni
minime. Se invece sottoposto a continui cambiamenti (variazioni nei programmi di
allenamento) la spinta alle riadattamento sarà molto più forte.

Riguardo alla possibilità di sviluppare programmi per il lungo termine, ossia


programmi che prevedano una ciclicizzazione precostituita ed integrata nel modello
stesso di allenamento, credo di poter affermare che la maggior parte di essi risulterà
inapplicabile data l’alta imprevedibilità derivante dall'operare con sistemi biologici in
continuo mutamento. L'unico modo per continuare a migliorare è l'attenta
osservazione di ciò che ci sta succedendo e la conseguente modificazione del nostro
sistema di lavoro. Data l'enorme variabilità individuale risulta impossibile
determinare a priori un protocollo applicabile a tutti (come invece ci vogliono far
credere le maggiori riviste del settore), sarà quindi l'atleta, o il preparatore atletico,
attraverso l'esperienza e la sensibilità che ne dovrebbe derivare, a ridefinire ogni
qualvolta si renda necessario le tecniche e le modalità di allenamento, stando sempre
ben attento ad applicare i concetti di intensità, volume e frequenza ogni volta in
relazione al singolo caso.

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Orologi biologici

Nota dell’autore: Il materiale relativo agli orologi biologici è stato tratto da


lavori precedenti di Brian D. Johnston e dal libro “I ritmi della vita” di Russell
Foster e Leon kreitzman.

Osservare e capire ogni ritmo biologico individuale ci consente di meglio determinare


i principi nutrizionali e di allenamento relativi allo sviluppo dei nostri programmi di
allenamento.

All'interno dei nostri organismi troviamo tutta una serie di cicli o ritmi che regolano
le varie attività metaboliche nelle nostre cellule. Tali ritmi vengono chiamati orologi
biologici. Gli orologi biologici non servono a misurare il tempo, ma possiamo
definirli come oscillatori ciclici auto-alimentati. Possiamo dire, per semplificare il
concetto, che le cellule comunicano tra di loro ritmicamente, questo meccanismo
include anche i meccanismi di risposta associabili dalla sindrome di adattamento
generale (G.A.S.) determinata da allenamenti intensi. Più specificatamente, le cellule
del nostro organismo sono soggette a ritmi, come ad esempio:

• I cicli di sonno-veglia (da cui l'effetto negativo derivante dal jet leg).
• Le secrezioni ormonali (il testosterone raggiunge i massimi livelli durante le
ore di sonno, mentre tende ad abbassarsi durante il corso del giorno).
• La chimica sanguigna.
• Le percentuali di globuli rossi e bianchi durante il giorno.
• La pressione sanguigna (al massimo in prima serata e nel mese di dicembre).
• La quantità di urina prodotta ed espulsa.
• La temperatura corporea (più bassa intorno alle 3 AM e più alta intorno alle 7
PM).
• La velocità di divisione cellulare.
• La fame (più alta nel primo pomeriggio e minore intorno alla mezzanotte).
• Il respiro.
• L’invecchiamento .

La maggior parte di questi sistemi sono ugualmente attivi (auto-regolati) e passivi

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(dipendenti dall'ambiente circostante). Per esempio, il corpo automaticamente


mantiene stabile la pressione sanguigna, tuttavia lo stile di vita (quantità di cibo e
livelli di attività fisica) sono fattori che possono notevolmente influenzare i valori
pressori.

I ritmi corporei interni, che consistono di cicli positivi e negativi durante il giorno,
determinano le capacità di tollerabilità di una determinata attività fisica. I ritmi
biologici sono così importanti da influenzare svariati aspetti della nostra vita, incluso
l'uso di farmaci. Molti farmaci hanno un migliore o peggiore effetto in relazione al
momento della loro assunzione che può coincidere o meno con altri fattori, come ad
esempio specifici rilasci ormonali.

La prescrizione di farmaci per l'asma, i tumori, le malattie cardiovascolari, le allergie


e l'epilessia, tutti mostrano risultati migliori con minori effetti collaterali quando
utilizzati in determinati momenti o somministrati a determinate dosi in coincidenza
dell’acutizzarsi o della diminuzione dei sintomi. Sembra che i processi fisiologici
giornalieri possono alterare l'assorbimento stesso dei farmaci, così come la
distribuzione, il metabolismo e l'escrezione finale. In questo modo i dosaggi dei
farmaci dovrebbero essere aggiustati in relazione ai bisogni specifici di raggiungere
determinati organi o tessuti in differenti momenti della giornata. Né possiamo quindi
derivare che anche l'assunzione degli integratori alimentari o il consumo di
determinati cibi dovrebbero seguire i suddetti ritmi biologici per ottimizzarne gli
effetti.

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Caratteristiche di un ritmo

Un ritmo si riferisce ad una sequenza di eventi ripetuta nello stesso ordine e


all'interno dello stesso intervallo di tempo (l'intervallo temporale potrebbe essere
differente, tuttavia deve rimanere proporzionato agli stimoli ambientali). Di
conseguenza, un ritmo biologico è un evento ripetuto nello stesso ordine e all'interno
di un medesimo intervallo. Il più comune tipo di ritmo è quello circadiano, il quale si
sviluppa all'interno di un periodo di circa 24 h. La forma dell'onda che lo
contraddistingue ricalca una caratteristica sequenza a picchi e valli alternati.

Il flusso ormonale giornaliero e le fluttuazioni corporee della temperatura si ripetono


ad intervalli di 24 h e 11 min. Se lasciato solo, l’ orologio biologico all'interno del
nostro cervello situato in una zona denominata NSC (nucleo soprachiasmatico)
rallenterebbe di 11 min ogni 24 h. Tuttavia, i nostri corpi sono capaci di “resettare” i
nostri orologi biologici ogni giorno attraverso la semplice esposizione alla luce
solare. Come o perché questo funzioni non è stato completamente chiarito ed è tuttora
soggetto a varie speculazioni.

massimo

ampiezza

-----------------------------------------------------------------------------------
periodo
(lunghezza di un ciclo)

minimo
12 Tempo (ore) 24

L'ampiezza del ritmo si riferisce all'intensità di oscillazione, un concetto questo, che


coincide con la definizione di intensità dello sforzo in esercizio. Per esempio, più
intensamente ci alleneremo e più velocemente il nostro cuore batterà. Più forte il
nostro cuore batterà più alta sarà l'ampiezza o intensità, dell'oscillazione dell’onda
definente il ritmo. Quindi, è l'intensità dello sforzo ad influenzare direttamente
l'intensità di oscillazione. Quanti chili stiamo sollevando è ininfluente sul ritmo
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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cardiaco, ma, piuttosto, l'intensità dello sforzo con un dato peso. Più sarà grande
l'ampiezza e più sarà grossa la differenza fra i minimi e i massimi espressi all’interno
del ciclo di riferimento. Per esempio, uno stimolo di allenamento più intenso si
concreta in un maggior picco nella reazione di allarme “onda” all'interno della G.A.S.
(General adaptation Syndrome).

Due altri termini comuni che si riferiscono ai ritmi e agli orologi biologici sono
periodo e fase. Un periodo si riferisce alla lunghezza di tempo di un ciclo (quindi, il
ciclo mestruale nella donna si riferisce ad un periodo). Una fase fa riferimento a un
segmento o all'estensione di una porzione all'interno di un ciclo. Per esempio,
dormire è una fase del ciclo di sonno-veglia. L'altra fase, naturalmente, consiste nell’
essere svegli.

Se una fase o un ciclo vengono alterati nella loro natura, possono essere necessari
svariati cicli prima di ristabilire un ideale o efficiente sistema ritmico (omeostasi),
alterare la richiesta della quantità di allenamento totale (ad esempio aumento
dell'intensità o del volume) è un chiaro esempio di quanto detto. Chiunque si alleni da
un po’ di tempo, avrà notato che quando viene cambiato il programma di esercizi sì
necessitano almeno 3/5 allenamenti prima di adattarsi al nuovo schema.

Quindi, ciò che può alterare le risposte ritmiche dei nostri orologi biologici
(omeostasi) successivamente, con il tempo, tenderà a diventare normale per il nostro
organismo. Ciò che succede, a questo punto, è un'alterazione dell'ampiezza dell'onda
del ritmo (diminuzione di grandezza), da alta a moderata e successivamente da
moderata a bassa, a mano a mano che lo stimolo continua a ripetersi nel tempo. Se lo
stress risulta essere tanto estremo per l'organismo da non permetterne un adattamento,
mantenendo quindi uno stato di allarme continuo indotto dall'incapacità di riadattarsi
ad una nuova situazione, la conseguenza sarà il sovrallenamento.

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Alcune considerazioni su quando


allenarsi

Il cortisolo e un ormone che causa catabolismo tissutale, tale ormone viene rilasciato
in modo da ridurre i livelli di infiammazione sistemici causati dallo stress, in tali
fattori va incluso anche l'allenamento. Non è stato ancora del tutto chiarito come,
variando nutrizione e allenamento durante il giorno, si possa influenzare la risposta
del cortisolo. Alcuni speculano sul fatto che dal momento che il sistema immunitario
è al minimo della sua attività durante la prima parte della mattina, l’allenarsi molto
presto dovrebbe essere evitato, dal momento che si avrebbero aumenti nelle
produzioni totali di cortisolo, aumentando così la necessità di maggior riposo tra una
sessione e la successiva. D'altro canto, dal momento che probabilmente il corpo
produce una grossa quantità di cortisolo solo una volta al giorno, allenamenti svolti la
mattina presto, o comunque nella prima metà della mattinata, potrebbero essere
ottimali, dal momento che si potrebbe evitare in questo modo un altro picco del
cortisolo più tardi durante la giornata come risultante di una attività fisica intensa.

Continuando su questa strada, dobbiamo dire che alcune persone la mattina si


svegliano con una leggera sensazione di depressione che svanisce nelle ore seguenti.
Tuttavia, se un allenamento molto intenso e produttivo risulta essere vitale per una
persona, farlo in prima mattina o appena svegli dovrebbe essere evitato. Questo è
particolarmente vero per alcuni tipi di attività, come ad esempio l'atletica che richiede
alta velocità dei movimenti e una buona condizione di allerta generale. Naturalmente,
alcune attività pre-allenamento a basso impatto, come ad esempio una breve
camminata, 2 chiacchiere con un amico o qualsiasi cosa che possa metterci di buon
umore e aiutarci a concentrarsi potrebbe influire positivamente sulla nostra attitudine
alla fatica.

Questo fattore non dovrebbe essere ignorato dal momento che lo stato d'animo e i
livelli di energia che ne derivano, possono positivamente influenzare il nostro
allenamento. Quando si cerca di allenarsi da stanchi o depressi, indipendentemente
dal momento del giorno, si riscontrano cali di energia che si riflettono in una parziale
improduttività durante la sessione.

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Riposino si o no?
Un altro fattore da considerare è dato dalla dinamicità dei livelli energetici durante il
giorno, potremo rappresentare i nostri livelli energetici attraverso un grafico a picchi
e valli. Un aspetto interessante, ritrovabile in tutte le culture del pianeta, è quello del
riposino pomeridiano, collocabile in molte culture tra le 3 e le 5 P.M. Questa
abitudine è ricollegabile ad un abbassamento fisiologico dei nostri livelli energetici
durante la giornata.

Alcune persone hanno speculato sul fatto che ciò possa accadere in conseguenza ad
alimentazioni particolarmente ricche in carboidrati e al carico glicemico derivante
dalla loro ingestione, tipico delle diete occidentali. Tuttavia, questa condizione si nota
nella maggior parte dei paesi, inclusi quelli utilizzanti alimentazioni a basso
contenuto di carboidrati (da ricordare che i carboidrati aumentando i livelli di
serotonina dovrebbero essere evitati, in grosse quantità, prima di un allenamento).

Va notato che un riposino, per essere efficace, dovrebbe essere almeno di 1 o 2 h.


Riposini di 15 min. possono lasciare una persona più stanca di prima, dal momento
che un tempo così corto non è sufficiente a permettere il normale ciclo di sonno-
veglia. In conclusione, se abbiamo a disposizione solo pochi minuti è meglio evitare
del tutto il riposino.

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Alcune riflessioni sul momento


migliore per allenarci

A causa del normale abbassamento di energia e attenzione che si rileva nel primo
pomeriggio (subito dopo pranzo), solo pochi individui riescono ad allenarsi
efficacemente. E’ interessante notare, che la maggior parte delle palestre nel primo
pomeriggio sono quasi sempre vuote. Tuttavia, verso le 5 pomeridiane, i livelli di
energia ritornano a salire, permettendo così alle persone di allenarsi agevolmente e
con più mordente tra le 5 e le 7 pomeridiane.

Per la maggior parte delle persone, è rilevabile un picco delle capacità anaerobiche e
aerobiche, così come della temperatura corporea, dei riflessi, della coordinazione, e
altri indicatori relativi alle prestazioni fisiche tra le 5 e le 6 PM. Inoltre, in queste ore,
la flessibilità, la capacità polmonare e l'efficienza cardiaca sono al loro massimo. E’
importante notare che ci potrebbe essere fino ad un 20% in meno di capacità di
flessione e allungamento appena svegli e questo sta ad indicare chiaramente un
maggior bisogno di riscaldamento prima di intraprendere attività intense la mattina
presto.

Il seguente picco anaerobico più alto, lo troviamo tra la tarda mattinata ed il primo
pomeriggio, e normalmente coincide con le migliori capacità mentali di
apprendimento. Allenarsi la mattina presto coincide con una riduzione della forza
rispetto a ciò che sarebbe possibile nella tarda mattinata o nel tardo pomeriggio.
Questo sicuramente è molto importante da tenere in considerazione per gli atleti
coinvolti nelle discipline di forza, tuttavia, quelli che necessitano di maggiore
accuratezza nei movimenti, concentrazione e destrezza, come ad esempio gli arcieri,
o i tiratori al bersaglio, trovano il momento migliore per l'allenamento durante la
prima parte della mattinata, quando le pulsazioni cardiache sono più basse.

Non dovrebbe essere una sorpresa, a questo punto, notare che la maggior parte degli
incidenti stradali avvengano nel pomeriggio, con la più bassa incidenza durante la
mattina e la prima serata (tra le 6 PM e le 9 PM). Di conseguenza, chi si allena per
gare dove l’agilità e la destrezza rivestono molta importanza, o, pratichi Body
Building e sollevamento pesi, ossia attività che richiedono un'intensa concentrazione
che permetta il completamento delle routine ed eviti all'atleta rischi di infortunio,
dovrebbero evitare gli orari di maggior rischio che si concentrano tra le 2 PM e le 5
PM.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Da tutto ciò ne deriviamo che i momenti migliori per allenarsi con i pesi sono la
mattina tardi o il pomeriggio dopo le 5, tuttavia, va tenuto in considerazione che, un
buon personal trainer che sappia ben motivare i propri clienti, spesso può portarli a
raggiungere prestazioni ottime anche se allenati in momenti della giornata non ideali.

Vorrei qui aprire una parentesi relativa al lavoro del personal trainer. Da quanto detto
finora risulta chiaro che le attività di maggior concentrazione dovrebbero essere
svolte la mattina in quanto il cervello è al massimo del suo potenziale di attenzione e
allerta. La mattina risulta quindi essere il momento migliore per un personal trainer,
rispetto a quando allenare i propri clienti, mentre il pomeriggio dovrebbe essere
riservato alla preparazione dei programmi.

Inoltre, se si considera come la mente ed il corpo si integrano, rileviamo che il picco


nell'attenzione si ha la mattina presto, mentre il picco nelle capacità fisiche
normalmente lo ritroviamo nel tardo pomeriggio. Allenamenti fatti la mattina spesso
coincidono con una maggior capacità di concentrazione mentale, ma il corpo non si
trova a poter esprimere al massimo le proprie capacità di lavoro. Questo si concreta
nella possibilità di potersi allenare più intensamente alla fine dell'allenamento
programmato piuttosto che all'inizio. Al contrario, nel tardo pomeriggio o prima
serata è possibile allenarsi con più intensità dalla prima serie a causa di una maggior
capacità del corpo di generare forza lavoro.

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Ritmi biologici e adattamento


all'esercizio

Come discusso precedentemente, un importante risvolto dell'allenamento è quello


dell'adattamento e quindi dei ritmi derivati durante tale condizione. È risaputo che il
corpo cerchi di divenire sempre più efficiente nel svolgere un lavoro, attraverso
l'utilizzo della minor quantità di tessuto muscolare possibile per realizzarlo. In effetti,
per costruire nuovo muscolo, dobbiamo trovarci in presenza di uno stress inusuale,
ossia, di un programma di allenamento diverso da ciò che il nostro organismo è
abituato ad eseguire normalmente.

La ragione per cui il corpo diviene così resistente e riluttante a guadagnare nuova
massa muscolare (questo diventa particolarmente vero negli atleti avanzati) è data dal
fatto che è in grado di stabilire un bioritmo basato sugli stimoli e le risposte che ne
derivano. Il nostro organismo è in grado di imparare velocemente a riconoscere uno
dato stimolo come “tipico” (ad esempio allenarsi al momentaneo cedimento
muscolare ogni “x” giorni per “Y” serie). Se il ritmo (omeostasi) non viene disturbato
o forzato verso nuovi livelli, cioè oltre a ciò che è tipico, come ad esempio
raddoppiando il volume o la frequenza, o provando nuovi esercizi, nuove
attrezzature, o metodologie di lavoro, ci sono poche ragioni, per il nostro organismo,
di cambiare, e quindi, aumentare la massa muscolare. Lenti aumenti dei carichi di
lavoro, per esempio, diventano progressivamente inadatti al fine di condizionare la
crescita di nuova massa muscolare. Il primo adattamento organico al lavoro con i pesi
si concreta generalmente in un miglioramento delle capacità neuromuscolari di
attivazione delle catene muscolari allenate e utilizzate in un dato movimento. Quindi,
se non viene creata nuova massa muscolare da allenamento ad allenamento e tuttavia
progrediamo attraverso l'incremento della forza muscolare, questo significa che
stiamo assistendo all'instaurarsi di un nuovo ritmo (adattamento) oppure abbiamo
raggiunto il nostro massimo potenziale genetico, accompagnato da migliori capacità
neuromuscolari.

Il cambiamento dei ritmi costituiti richiede uno stimolo estremamente forte e


inusuale, come ad esempio un aumento del volume, allenarsi più frequentemente o
duramente (se non ci alleniamo già fino al momentaneo cedimento muscolare).

E’ importante inoltre notare che dal momento che l'alterazione sia della dieta che
dell'allenamento può influenzare i nostri bioritmi, come ad esempio le nostre capacità
di recupero locale e sistemico, diviene necessario considerare sia le influenze positive
che quelle negative quando stendiamo il nostro piano di lavoro. Parlando di esercizio,
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l'aumento in volume può essere benefico per indurre crescita muscolare, ma


dobbiamo tenere presente che se è mantenuto troppo a lungo potrebbe portarci
velocemente ad una situazione di sovrallenamento. Messo in un altro modo, se la
domanda diventa troppo grande per troppo tempo, ciò che ne potrebbe derivare è il
progressivo deterioramento dell'organismo. Dovrebbe quindi essere chiaro, a questo
punto, che esiste un’importante differenza tra ciò che può essere tollerato per brevi
periodi di tempo e ciò che invece può essere tollerato per lunghi periodi.

Concludendo, per portare il nostro organismo a nuovi livelli di adattamento è


necessario variare i nostri schemi di lavoro attraverso metodologie che aumentino i
livelli di stimolo (aumento della domanda totale) in modo da forzare i muscoli a
rispondere attraverso la loro crescita, o il sistema cardiovascolare a diventare più
efficiente. Allenarsi sempre nello stesso modo risulta essere insufficiente, dal
momento che il corpo su lunghi periodi di tempo si adatta inesorabilmente a
qualsiasi schema fisso.

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Sistemi ad alto Volume


Vs
sistemi ad alta intensità
Articolo tratto dal mio Video-Giornale Body&Soul

Vorrei iniziare riportando una mia esperienza personale, secondo me altamente


esemplificativa del tema che voglio affrontare.
Durante i miei primi 9 anni di allenamento utilizzai principalmente sistemi ad alto
volume stile Weider.
Ciò avvenne dal 1984 fino al 1993.
La mia prima gara fu nel marzo 1989, erano i campionati lombardi Wabba dove mi
classificai, appena diciottenne, secondo nella categoria pesi medi con un peso di 74
Kg in gara.
Continuai ad allenarmi incrementando le sedute da 3 a 4 la settimana dividendo il
corpo in 2 parti che allenavo 2 volte in una settimana con uno schema così suddiviso:
Lunedì e martedì, allenamento, mercoledì, riposo, giovedì e venerdi, allenamento,
sabato e domenica nuovamente riposo.
I muscoli che avevo allenato il lunedì tornavo a farli il giovedì e quelli del martedì
ritornavo ad allenarli il venerdì.
Gli allenamenti erano circa di 150 minuti, il mio preparatore di allora, agonista anche
lui, mi disse che questi erano gli allenamenti dei campioni ed io naturalmente non
questionai il verbo.
Dal 1989 al 1992, utilizzando sempre questi sistemi con poche varianti date
basicamente da cambi ciclici degli esercizi che utilizzavo per allenare i miei muscoli,
passai dai 74 Kg in gara agli 81/82 Kg sempre in gara.
Vinsi quindi in quegli anni i campionati regionali, Nord-Italia e mi classificai all’età
di 21 anni sesto ai campionati italiani Senior della Wabba.
Ero giovanissimo, ma esprimevo già un alto livello atletico.
Quell’anno incominciai a lavorare nel settore del BB e decisi, visti gli importanti
risultati già ottenuti ed i consensi che stavo riscuotendo anche a livello delle riviste
più importanti del settore, di allenarmi come un professionista con l’obiettivo di
vincere i campionati italiani.
Naturalmente se per raggiungere il livello atletico che avevo ottenuto mi allenavo 4
giorni la settimana con una media di 2,5 ore per allenamento e negli anni avevo
raggiunto questi ottimi risultati, l’ unica strada logica che avrei dovuto percorrere,
mantenendo inalterate le premesse che mi avevano accompagnato fino ai campionati
italiani, sarebbe stata quella di incrementare ulteriormente il volume e quindi la
durata delle mie sessioni in palestra.
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Già a quell’epoca realizzavo per conto mio allenamento, alimentazioni ed


integrazione.
Mi misi quindi alla scrivania e decisi di non variare nulla per quanto riguardava il
mio schema alimentare ed integrazionale, ma di cambiare il mio allenamento
eseguendo una Double split routine.
Continuavo cioè ad allenarmi 4 giorni la settimana: Lunedì, martedì, giovedì, venerdi,
ma invece di fare una singola sessione giornaliera ne decisi di fare 2, una la mattina
presto, dove allenavo i gruppi grossi, e la seconda il tardo pomeriggio, dove allenavo
i gruppi piccoli.
A mio parere, in questo modo, avrei raggiunto un grande livello di specializzazione,
ora mi mancava solo portare le serie per i gruppi grossi dalle 12 che facevo alle 18/20
e, per i gruppi piccoli, dalle 6 alle 10.
Ero convinto che tanta dedizione e lavoro sarebbe stato ripagato da un miglioramento
netto delle mie condizioni fisiche.
Quell’anno, ossia il 1993, me lo ricordo molto bene.
Dopo 2 mesi dell’ “allenamento dei campioni” ero, psicologicamente parlando,
ridotto ad uno straccio.
Ricordo bene che l’entusiasmo dei primi allenamenti, dopo le prime settimane, iniziò
a sciamare, mentre veniva mano a mano sostituito da una sensazione di stanchezza
cronica.
Il mio corpo continuava a mandarmi segnali, ma io, a 22 anni, con un curriculum
eccellente, non potevo pensare di essere di meno di nessun altro campione.
La mia forza di volontà sopperiva alla stanchezza del mio corpo che ogni giorno si
palesava sempre più.
Nonostante questo, strinsi i denti e andai avanti così per altri 4 mesi, alla fine dei
quali avevo programmato l’inizio del periodo di definizione pre-gara.
Ricordo ancora oggi che la mattina quando mi svegliavo e pensavo di dover andare in
palestra come lo sconforto si impadroniva di me.
Per farvela corta quell’anno tornai ai campionati italiani con un peso di 82,5 Kg. e mi
piazzai terzo, non perché fossi migliorato, ma perché quell’anno c’erano meno atleti
di valore rispetto all’anno precedente.
Cosa era successo?
Ricordo bene le voci di corridoio che dicevano: “ormai Dell’olio è arrivato al suo
punto di massimo sviluppo”.
Come era possibile, avevo solo 22 anni…!!!
Eppure avevo fatto tutto quello che fanno i grandi campioni.
Incomincia ad analizzare ciò che avevo fatto in termini di alimentazione ed
integrazione, ma non riuscivo a trovare nessun errore eclatante.
Poi, quasi per caso, un mio amico grande appassionato di BB e buon tecnico, mi disse
che secondo lui il problema stava nel volume e frequenza del mio allenamento.
Mi parlò delle teorie di Mike Mentzer, che allora conoscevo solo come grande
campione, mentre non conoscevo quasi nulla della sua metodologia di allenamento
ossia l’Heavy Duty.
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Intrigato da quanto mi aveva esposto il mio amico e ancora alla ricerca di una
spiegazione valida per il mio fallimento chiesi ad un altro amico che viveva negli
USA di procurarmi l’ultimo libro di Mike…
Dopo 1 mese arrivò il libro, iniziai subito a leggerlo e mano a mano che procedevo
attraverso le spiegazioni di Mike ed il filo logico che le legava, nella mia mente
trovavo risposte a tutta una serie di domande che fino a quel momento avevo
semplicemente messo da parte senza per altro aver mai tentato di trovarvi una
spiegazione soddisfacente.
Inoltre, incominciavo ad accorgermi che gli studi di fisiologia muscolare che avevo
fatto, meglio si adattavano alla teoria di Mentzer che alle teorie di Weider.
Il dilemma probabilmente derivava dal fatto che non mi ero mai posto seriamente il
problema relativo al perché della crescita muscolare, mi ero in sostanza limitato ad
accettare la teoria corrente con la quale ero venuto in contatto dal primo giorno che
avevo messo piede in palestra, senza mai per altro questionarne le premesse.
Dovetti quindi dare ragione a Karl Popper quando affermava, riporto testuali parole :
“Bisogna certamente ammettere che, in ogni dato momento, le nostre teorie
scientifiche dipendono non soltanto dagli esperimenti, condotti fino a quel
momento, ma anche dai pregiudizi che sono accettati come veri, sino a che non
abbiamo preso coscienza di essi.”
La teoria relativa alla crescita muscolare che trovavo così ben esposta nei libri di
Mike Mentzer era semplice, intuitiva, chiara, e coerente con i dati scientifici a
disposizione.
Trasformavano il BB da un’attività improvvisata ad una vera e propria scienza.
Mike non aveva paura di dire, analizzare e smontare passo per passo i fondamenti su
cui poggiava il BB, ossia un insieme di superstizioni e leggende più o meno
malamente riadattabili dagli stregoni del BB ad ogni caso singolo.
Ma allora perché tutti i grandi campioni utilizzavano i sistemi ad alto volume?
La risposta era molto semplice; Mike attraverso il suo sistema di allenamento che
denominò Heavy Duty e che si poggiava sui tre principi: Breve, Intenso ed
Infrequente, fu uno dei primissimi a considerare l’organismo umano come un sistema
che necessita di tempi ben definibili per far si che riesca a compensare prima e
supercompensare poi in seguito di uno stress impostogli.
Quello che le riviste patinate ed i campioni si dimenticano o omettono di dirci è che
tutti, e dico tutti, ad alti livelli nel BB utilizzano farmaci dopanti che migliorano
esponenzialmente le capacità di recupero e rigenerazione fisica di un atleta.
Un atleta dopato non necessita dover aspettare molti giorni tra una seduta e la
successiva perché i suoi livelli di testosterone aumentino e quelli di cortisolo
diminuiscano.
Semplicemente, introducendo ormoni dall’esterno, bypassa il problema.
Inoltre il quantitativo di ormoni che vengono utilizzati nel BB moderno è tale che
supera in alcuni casi di decine e decine di volte le normali produzioni endogene.
Da un lato abbiamo quindi un uomo che deve, tramite alimentazione, allenamento ed
integrazione cercare di ottimizzare al massimo ciò che la natura gli ha dato e
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dall’altra uno che non solo non deve preoccuparsi di quanto, quando e come allenarsi,
ma che ha costantemente presenti nel sangue livelli ormonali di testosterone, GH,
Sometomedina C, insulina e chi più ne ha più ne metta, da tirannosauro Rex.
E’ chiaro che il primo dovrà utilizzare tecniche di allenamento e alimentazione tali
che tengano in considerazione le limitate capacità e risorse di cui dispone, mentre il
secondo potrà fare quello che vuole visto che il suo potenziale di recupero è
letteralmente sovraumano.
Vi ricordo che gli steroidi anabolizzanti furono usati dai nazisti nei campi di
concentramento in grandi quantità per permettere a uomini sotto nutriti e posti in
condizioni di stress e di lavoro a dir poco estreme, di continuare a lavorare fino alla
morte senza avvertire troppa stanchezza.
Le tecniche ad alto volume utilizzate per l’aumento di massa muscolare vanno
completamente contro a quelle che sono le premesse che stanno alla base della
fisiologia e del recupero muscolare.
Tempo fa le fibre muscolari vennero catalogate in fibre rosse e fibre bianche, le prime
sono poco ipertrofizzabili, caratterizzate da una elevata densità di capillari, quindi
ottima vascolarizzazione, numerosi mitocondri, emoglobina, mioglobina e citocromi,
necessari per il trasporto di ossigeno che servirà per ottimizzare l’utilizzo dei grassi
come substrato energetico preferenziale.
La loro caratteristica principale è la resistenza, qualità questa che esprimono
attraverso contrazioni lente e costanti per periodi lunghi di tempo.
Le fibre bianche invece crescono più facilmente in dimensione, ossia sono
ipertrofizzabili, e sono capaci di contrazioni rapide e potenti esprimibili in brevi lassi
di tempo, il loro substrato energetico di riferimento è l’ATP già presente libero nel
muscolo o il glucosio, sono caratterizzate dall’incapacità di sopportare un’ alta
intensità di lavoro per lunghi periodi di tempo.
Se le fibre bianche sono quelle ipertrofizzabili e che quindi dobbiamo colpire
maggiormente durante i nostri allenamenti per aumentare il volume dei nostri muscoli
e se tali fibre sono soggette a contrazioni rapide e potenti per brevi periodi di tempo,
ne consegue che se il nostro allenamento sarà troppo lungo saranno le fibre rosse,
quindi quelle non ipertrofizzabili, ad essere più coinvolte.
Un’alta intensità di lavoro è inversamente proporzionale alla lunghezza del tempo
di allenamento.
Quindi, ad allenamenti molto lunghi deve per forza di cose corrispondere una bassa
intensità di lavoro e le fibre muscolari coinvolte sono principalmente quelle rosse a
contrazione lenta, vedi la maratona.
Vice versa, un allenamento ad altissima intensità, deve per definizione, svolgersi in
un tempo brevissimo, ad esempio i 100 Mt. Di corsa.
Se è vero come è vero che la crescita muscolare non è altro che il normale
adattamento organico ad uno stress imposto è anche vero che tale stress non può
essere imposto per più volte di seguito, una volta superata la soglia di attivazione di
adattamento e creato lo stimolo non dovranno esserci altri stress aggiuntivi pena
l’allungamento dei tempi di ripristino delle normali funzioni fisiologiche ed il ritardo
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nell’ instaurarsi dei tanto ricercati processi di adattamento, ossia di crescita


muscolare.
Ogni volta che ci alleniamo con un’intensità massima, nel nostro organismo creiamo
una vera e propria tempesta di eventi che a loro volta porteranno a delle extra
produzioni ormonali, atte, da una parte a riparare i danni che abbiamo provocato e
dall’altra a mettere l’organismo in condizione di meglio sopportare un ipotetico
nuovo episodio stressorio.
Poiché le risorse di cui disponiamo non sono illimitate, dobbiamo rispettare i tempi
che il nostro organismo ci impone.
Ed è proprio in queste condizioni che gli allenamenti Brevi, Intensi ed Infrequenti
sono maggiormente adatti ad essere utilizzati.
Viceversa se non abbiamo necessità di aspettare che i nostri livelli ormonali si siano
riassestati perché utilizziamo ogni sorta di ormone disponibile sul mercato in modo
da Bypassare le normali risposte ed i normali tempi biologici, ogni regola di cui ho
discusso sopra diventa irrilevante.
Se tramite l’uso di farmaci creiamo un “anabolismo cronico”, decuplicando le nostre
capacità di recupero e di adattamento allora qualsiasi tipo di allenamento e di
alimentazione andrà bene.
Questo è il motivo principale per cui i grandi campioni oltre ad essere baciati dalla
fortuna per avere doti fisico/strutturali molto al di sopra della norma non necessitano
ne di ciclicizzazioni, ne di ottimizzazioni delle frequenze di allenamento e ne di una
tecnica perfetta di esecuzione dei movimenti.
Chi ha visto allenare un campione spesso è rimasto talmente deluso da ciò che faceva
da chiedersi se facesse il suo stesso sport.
Lo stesso vale per l’alimentazione, non dovendo cercare tramite la manipolazione dei
nutrienti di costruire un ambiente anabolico attraverso l’ottimizzazione dei rilasci di
testosterone e Gh e la contestuale inibizione dei rilasci di cortisolo, non si pongono il
problema di cosa, quanto e come mangiare, l’unica cosa di cui hanno bisogno sono
quantità industriali di alimenti, il resto lo faranno gli ormoni che si iniettano.
Non è comunque raro anche tra i professionisti, nonostante i grandi quantitativi di
farmaci che impiegano nelle loro preparazioni, trovarne alcuni che arrivano a
manifestare i sintomi del super-allenamento.
Non dobbiamo dimenticare che i campioni che si vedono sulle riviste appartengono a
quell’ 1% della popolazione geneticamente super-dotata con incredibili capacità di
recupero ed ipertrofia muscolare alle quali la restante parte degli individui non si
avvicina nemmeno in sogno.
La consuetudine di far derivare i programmi di allenamento, alimentazione ed
integrazione direttamente dagli studi fatti sui campioni e poi cercare di applicare i
dati ricavati a gente comune è sbagliata nelle premesse stesse per 2 motivi:
Primo, il campione, in quanto tale, non è rappresentativo della massa di individui,
“normali” che cerca di ottenere risultati, spesso mediocri, in un dato sport.
Secondo, i campioni di molte discipline utilizzano vari farmaci dopanti per migliorare
le loro prestazioni, falsando così ulteriormente le risposte finali.
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Molti allenatori scrivono i loro libri o i loro articoli partendo, giustamente, dalle loro
esperienze personali, che di solito, per arrivare a scrivere un libro e per avere la giusta
autorevolezza, sono di anni passati ad allenare campioni, ossia persone
geneticamente dotate e che spesso fanno uso di farmaci dopanti per migliorare
esponenzialmente le loro già eccellenti prestazioni fisiche.
Questo è un fenomeno trasversale a molti sport e di solito tutti quelli che provano ad
allenarsi secondo i comandamenti del campione o dell’allenatore di turno e nella
migliore delle ipotesi non hanno nessun risultato di rilievo o addirittura vanno peggio
di quando si allenavano da soli ascoltando il loro corpo e, nel momento in cui
chiedono spiegazioni, vengono liquidati semplicemente dicendogli che non sono
portati.
Ho scritto questo articolo per rispondere ai molti ragazzi che mi scrivono e chiedono
come mai su tutte le riviste vengano pubblicate principalmente schede di allenamento
ad alto volume, di solito facenti capo al campione di turno, che puntualmente passa
quasi tutta la giornata in palestra a tirare pesi e naturalmente consiglia a tutti di fare lo
stesso.
Se invece di migliorare, andate indietro, e vi ritrovate in quello che ho esposto fino a
qui, è meglio che incominciate a pensare che probabilmente quello che state facendo
non funziona e che forse sia arrivato il momento di lasciare i vecchi schemi
patrocinati dai vari stregoni che affollano le palestre in favore di un metodo più
scientifico meglio capace di ottimizzare le vostre risposte biologiche ossia il sistema
ad alta intensità sviluppato da Mike Mentzer: Heavy Duty.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Effetto degli stili di vita


sulle produzioni ormonali
e conseguente rimodellamento
corporeo
Articolo tratto dal mio Video-Giornale Body&Soul

Con questo Articolo intendo spiegare l’impatto che il nostro stile di vita che include:
alimentazione, attività fisica, lavoro e le relazioni sociali, ha sulla produzione e
modulazione di tutta una serie di ormoni che incidono direttamente sulla nostra
composizione corporea.
Inizierò trattando l’argomento in modo generico, parlandovi delle ripercussioni
generali, che in seguito possono sfociare in vere e proprie patologie, che gli stili di
vita occidentali producono nella nostra specie.
Continuerò poi la mia relazione discutendo invece più approfonditamente la
connessione tra ormoni, tipo di allenamento e composizione corporea nel Body
Building.
E’ stato ben documentato che il CRF o Fattore di rilascio della corticotropina, è in
grado di attivare perifericamente il sistema immunitario inducendo l’espressione di
Citochine come il TNF o Fattore di necrosi tumorale e l’interleuchina 1 e 6.
Anche un alto numero di cellule adipose sono in grado di attivare un’ ulteriore
risposta di questa classe di molecole pro-infiammatorie.
E’ ben dimostrato e risaputo all’interno della comunità medica che uno stile di vita
sconsiderato porti a drammatiche modifiche, non solo in termini di salute, ma anche
dell’aspetto fisico generale.
Quali sono le dinamiche sociali che più ci stanno portando alla patogenesi della
composizione corporea odierna?
La crescita esponenziale delle patologie psichiatriche, del diabete mellito di tipo II,
dell’ipertensione cardiaca, delle patologie cardio-vascolari, della sindrome X o
plurimetabolica, le disfunzioni sessuali, sono tutte patologie che sono principalmente
generate dal nostro stile di vita.
Il 72% dei maschi statunitensi è in sovrappeso di almeno 14 Kg., e sono affetti da una
bassa vitalità che è ormai diventata cronica.
E’ stato stimato che il 90% della popolazione adulta è completamente sedentaria, tali
soggetti non superano durante la loro giornata attiva i 6000 passi di camminata.
La composizione corporea maschile negli stati uniti sta diventando sempre più simile
a quella femminile, con accumuli di grasso, soprattutto nella zona del giro vita, che li
fanno sempre più assomigliare a donne in cinta al terzo mese.

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Questo negativo rimodellamento della composizione corporea da come conseguenza


una totale mancanza di energia da dedicare all’esercizio fisico, la necessità di usare
vasodilatatori periferici per avere una normale vita sessuale, ansia e depressione,
sovrappeso, fatica mentale e in generale una compromessa qualità di vita che tende
ad alimentare queste ed altre patologie.
Parlando scientificamente, quali sono stati i fattori culturali che hanno contribuito ad
alimentare questo declino nella salute della nostra specie Homo Sapiens, sapiens?
E’ ormai stato confermato che il nostro genotipo non è più cambiato da molti
millenni, quello che è invece cambiato è l’ ambiente sociale che ci ha condizionato ad
uno stile di vita incompatibile con la nostra evoluzione, portandoci alla patogenesi di
questo fenotipo anomalo.
Sembra che la continua diffusione di nuove tecnologie sia il maggior imputato per
quanto ci sta accadendo.
Le moderne tecnologie paiono essere in completa antitesi con le necessità di
movimento fisico proprie della nostra specie.
Tale condizione, cambiando il nostro stile di vita, ha pesantemente contribuito al
rimodellamento dei nostri corpi e di conseguenza ha dato vita ad un nuovo fenotipo
caratterizzato da bassa vitalità, obesità, instabilità emozionale, sessualmente
compromesso e che spesso vive in un continuo stato di infiammazione silente.
L’incapacità di rendersi conto dell’incompatibilità di certe scelte di vita con i nostri
geni, ci sta velocemente portando ad un continuo peggioramento e trasformazione
fisica.
Alcuni biologi, sociologi ed economisti come Malthus alla fine dell’ ‘800
ipotizzarono che l’umanità si sarebbe trovata ad affrontare grandi problemi, a causa
della sua continua crescita geometrica, inoltre molti altri filosofi sociali ci hanno
messo in guardia dal fatto che il nostro sistema socio/interventista/capitalistico
potesse avere importanti ripercussioni sull’ organismo umano così come
sull’ambiente circostante.
Marshall McCluan, durante i tardi anni ’50, scrisse un certo numero di lavori,
brillantemente argomentando contro la televisione e la cosiddetta era dell’elettronica,
in relazione agli effetti che avrebbe potuto avere sulla psiche umana.
Ci sono inoltre molti studi che delineano una diminuzione generalizzata delle
capacità intellettive delle ultime generazioni rispetto alle precedenti.
Molte ricerche ci segnalano la sempre crescente difficoltà dei nostri giovani di
comprendere gli scritti dei grandi pensatori.
Se pensiamo che agli inizi del ‘900 il principale obiettivo delle politiche scolastiche
obbligatorie era quello di rendere fruibile a tutti la cultura, con lo scopo di rendere
accessibili alla grande maggioranza le opere di Virgilio, Shakespeare e Omero.
Che cosa allora ha così compromesso le nostre capacità fisiche ed intellettive,
specifiche della nostra specie?
Perché siamo disposti a lasciare che semplici fattori socio/economici possano così
cambiare in peggio la nostra natura?

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Si può solo provare ad immaginare l’incubo che viva un uomo di 45 anni che
guardandosi allo specchio si veda con una pancia simile a quella di una donna incinta,
che debba ricorrere al Viagra per avere normali rapporti sessuali, sia sempre stressato
ed ansioso, necessiti di sonniferi per dormire, che il suo sistema muscolo/scheletrico
sia atrofizzato e che le sue capacità cognitive siano in continuo declino.
Questo ritratto relativo a milioni di uomini occidentali non è fantascienza, anche se
spaventoso, poiché è diventato la condizione principale della nostra specie.
Gli studi sulla popolazione prevedono che in futuro questa situazione tenderà ad un
continuo peggioramento.
Stress, bassa vitalità, obesità, Sindrome plurimetabolica, diabete mellito di tipo II,
malattie mentali, problemi della sfera sessuale, dismetabolismi e enigmatici disordini
infiammatori, non hanno ancora raggiunto il loro picco.
Tuttavia è stato dimostrato che il fenotipo moderno può venire facilmente invertito,
anche se alcuni fattori culturali ne impediscono la realizzazione.
Si ha un carico sistemico quando il sistema nervoso centrale umano viene
cronicamente attivato da fattori stressori continui provenienti dall’esterno.
Oggi ci sono molte case farmaceutiche intente nel trovare una molecola ad azione
recettoriale antagonista del CRF o Fattore di rilascio della corticotropina in modo da
evitare gli effetti patogenici di questo peptide neuroendocrino.
La continua produzione di questa molecola determina una risposta negativa in termini
di salute fisica generale.
Lo Stress cronico determina un abbassamento costante delle difese immunitarie
organiche mantenendo il corpo in un continuo stato di risposta infiammatoria, che a
lungo andare sfocia, in problemi psichiatrici, diminuzione della capacità cranica
totale, repentini cambiamenti d’umore, problemi sessuali, aumento dei depositi di
grasso, fatica, difficoltà a prendere sonno, ipertensione, atrofia muscolare,
cambiamenti negativi nell’ attenzione e nelle capacità di concentrazione,
dismetabolismi, etc…
L’uomo occidentale medio è diventato cronicamente stressato e ansioso in
conseguenza del nostro stile di vita super-tecnologico.
I dottori Zorilla e Koob nel loro lavoro del 2005, elencano le possibili molecole
antagoniste del CRF, che sono già state clinicamente testate, ma non prendono in
considerazione quali siano gli aspetti del nostro stile di vita che più hanno contribuito
all’ ormai cronico innalzamento dei valori plasmatici di tale molecola che come noto
media direttamente, a livello di sistema nervoso centrale, la risposta stressoria
sistemica.
La comunità scientifica americana e europea ha già compreso i meccanismi neuro-
endocrini che stanno alla base del deleterio rimodellamento dei nostri corpi.
A questo punto dobbiamo chiederci: sono gli antagonisti del CRF la soluzione a
questo problema?
E’ probabile che questa classe di molecole non abbia solo effetti benefici, ma anche
tutta una serie di effetti collaterali che potrebbero compromettere seriamente l’asse
neuro-ormonale di cui sono parte integrante.
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Pare che l’ ipotesi di proporre cambiamenti culturali o modifiche negli stili di vita
non sia particolarmente di moda.
Il “Faust” di Goethe parla di un intellettuale che decide di vendere la sua anima al
diavolo per avere vantaggi finanziari e personali.
Dobbiamo allora chiederci se il mondo occidentale stia contrattando una maggiore
opulenza economica per alcuni individui, a spese di masse lasciate sempre più
nell’ignoranza e perciò esposte alla degradazione?
I fisiologi ed i sociologi non hanno ancora ben compreso le motivazioni profonde che
stanno alla base della patologica modifica del fenotipo umano odierno.
E’ interessante leggere ciò che scrive in un suo recente articolo, intitolato
“Psicofarmacologia essenziale”, un esperto e accreditato psichiatra come il Dottor
Steven Sthal riguardo al fatto che il modo in cui viviamo è biologicamente tradotto
dal nostro corpo in una serie di profonde modifiche a livello di trascrizione e codifica
di una vasta gamma di proteine ed enzimi.
La comunità neuroscentifica e psichiatrica ha ormai dimostrato in numerosi lavori
che alti livelli di stress sono direttamente responsabili delle alterazioni organiche,
molecolari e biochimiche, così come delle modifiche dinamico/strutturali, negli
organismi biologici.
Possiamo derivare da quanto esposto fino ad ora che le nostre abitudini di vita in
termini di alimentazione, allenamento o sedentarietà, relazioni sociali e lavorative,
direttamente influiscano sul rilascio di alcuni ormoni o fattori di rilascio ormonale
che in cascata attivano una serie di reazioni biochimiche che predispongono il nostro
organismo ad una maggiore o minore capacità di costruire o mantenere massa
muscolare o ad utilizzare o non utilizzare il grasso come sub-strato energetico.
Cerchiamo ora di applicare quanto riportato fino ad ora sui rilasci ormonali endogeni
all’attività fisica, per derivarne le migliori tecniche di allenamento da utilizzare a
seconda dello stato fisico da cui partiamo e dei risultati che ci proponiamo di
ottenere.
Quando iniziamo una seduta di allenamento, c’è un maggior rilascio di Testosterone,
la quantità che viene prodotta è direttamente influenzata dalla lunghezza e intensità
del nostro allenamento.
Più l’allenamento è intenso e corto e più testosterone viene prodotto.
Viceversa in allenamenti molto lunghi, ossia che superino ampiamente l’ora, i livelli
di Testosterone dopo un primo picco iniziano a scendere, mentre un altro ormone
antitetico al Testosterone inizia a venir prodotto.
Questo ormone si chiama Cortisolo.
Generalmente quando i livelli di cortisolo sono alti, quelli di Testosterone scendono.
Più l’allenamento sarà lungo, vedi allenamenti ad alto volume o Weider, e più i livelli
di cortisolo in allenamento e post-allenamento saranno alti.
Se poi, dopo un allenamento lungo non lasciamo al corpo abbastanza tempo per
recuperare completamente, ne risulterà un mantenimento cronico di livelli alti di
cortisolo con tutti gli effetti devastanti di cui parlavo all’inizio dell’articolo.
Dobbiamo ricordare che il Cortisolo è anche definito l’ormone dello stress.
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Tutte le volte che siamo impegnati in attività particolarmente stressanti per


l’organismo e non lasciamo a quest’ultimo abbastanza tempo per recuperare, i livelli
plasmatici di questo ormone rimangono alti, realizzando un ambiente catabolico
cronico.
Inoltre il cortisolo stimola il rilascio di glucosio epatico nel sangue ed inibisce l’uso
dei grassi di riserva a scopo energetico, predisponendoci ad ingrassare.
Ecco perché la maggior parte di chi si allena in palestra, utilizzando tecniche ad alti
volumi e bassa intensità, spesso, nonostante l’impegno e la frequenza di allenamento
giornaliera, dopo i primi progressi inizia a rallentare, poi a fermarsi, ossia i pesi
utilizzati sono sempre gli stessi e la voglia di andare in palestra è sempre di meno, e
dopo poco si incomincia a sperimentare una vera e propria regressione dei carichi
unita ad una visibile riduzione delle masse muscolari spesso accompagnata da un
aumento del pannicolo adiposo.
Generalmente le persone che si trovano a sperimentare questa situazione, spaventate,
invece di prendersi una bella vacanza, se possono, incrementano le sedute,
incrementando così ulteriormente i livelli di Cortisolo e diminuendo quelli di
testosterone con tutto ciò che ne consegue e aprendo così la strada al
superallenamento.
Se questo è quello che succede ad un uomo, cosa succede ad una donna che già per
natura ha livelli di Testosterone 10 volte più bassi che l’uomo?
Nella donna il Testosterone viene prodotto in piccole quantità dalle ovaie e dalle
ghiandole surrenali, l’ormone da cui viene derivato il Testosterone nella donna è il
Progesterone.
C’è però un altro ormone che viene derivato dal progesterone nella donna: il
Cortisolo.
Alti livelli di stress, derivanti da uno stile di vita frenetico e/o da allenamenti molto
lunghi, dirottano quasi totalmente nella donna la conversione di progesterone in
Cortisolo e non in Testosterone.
Detto questo vediamo quale è l’allenamento più indicato per una donna che come
tutti sappiamo quando entra in palestra chiede come prima, e quasi unica cosa, di
poter dimagrire e rassodare cosce e glutei.
Di solito l’istruttore di turno cosa consiglia?
Semplice, da 60 a 90 minuti di attività aerobica alle macchine: Tappeto, step, ellittica
e bici.
I più radicali inseriscono anche 20/30 minuti di pesi, stando però ben attenti a non
farle affaticare troppo, magari facendo un circuito aerobico a stazioni.
Se pensiamo alle risposte ormonali che ho precedentemente descritto, ne traiamo una
conclusione, se nell’uomo fare allenamenti lunghi e attività aerobica è deleterio per la
costruzione muscolare ed il dimagrimento, nella donna è addirittura catastrofico.
L’aumento fisiologico di Cortisolo porta al minimo le secrezioni di Testosterone,
l’unico ormone che avrebbe la capacità di rassodare e migliorare il tono muscolare,
lasciare libero l’organismo di utilizzare i grassi in eccesso a scopo energetico e non

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gli zuccheri e cambiare la distribuzione corporea del grasso diminuendolo nelle zone
tipiche di accumulo femminile ormono/mediato, ossia cosce e glutei.
A prova di quanto detto esiste, ed è ben documentata, la famosa “Sindrome
dell’insegnante di aerobica”.
Avete mai visto nelle palestre quelle istruttrici di aerobica che saltano per 3 o 4 ore al
giorno dal lunedì al venerdì nutrendosi di insalatone e tonno , e poi concludono il
sabato e la domenica andando ai loro corsi dove si sparano altre 3 o 4 ore non stop?
Avete notato che spesso non sono in gran forma, anzi, hanno qualche chilo di troppo,
nonostante la loro consacrazione al Dio “aerobica” che a sentir loro dovrebbe farle
dimagrire e renderle toniche.
La spiegazione di questo paradosso, che tale non è se consideriamo le normali
risposte biochimiche agli alti livelli di Cortisolo che tali allenamenti scriteriati
portano, sta proprio nelle premesse.
Avete mai visto i fisici delle maratonete e quelli delle centometriste?
Le prime sembrano uscite da Auschwitz, le seconde sembrano statue greche scese dal
piedistallo.
Ecco perché a tutte le mie clienti sconsiglio vivamente allenamenti impostati solo su
attività aerobiche.
Le donne, più degli uomini, necessitano di essere allenate in stile Heavy Duty ossia
con allenamenti di circa 20/30 minuti tesi a massimizzare la resa muscolare e le
produzioni di Testosterone endogeno e nello stesso tempo a limitare i rilasci di
Cortisolo provocati da allenamenti poco intensi, ma lunghi e stressanti.
E’ bene inoltre, come per gli uomini, lasciare adeguati tempi di recupero tra una
seduta e la successiva in modo da lasciare al corpo il tempo di compensare prima e
supercompensare poi.
L’attività aerobica dovrebbe essere nei casi di dimagrimento, sia per gli uomini, ma
soprattutto per le donne, complementare a quella breve e intensa con i pesi e tesa solo
a mantenere alto il metabolismo, cosa che si ottiene con sedute di non più di 20/25
minuti.
Ricapitolando, se il vostro obiettivo è un fisico tipo bronzo di Riace per gli uomini o
Martina Colombari per le donne, il mio consiglio è allenarsi in modo intenso, corto
ed infrequente con i pesi, e , nel caso dobbiate perdere qualche chilo e siete quindi in
dieta, 2 o 3 sedute alla settimana da 20/25 minuti in stile aerobico preferibilmente la
mattina appena alzati a digiuno o la sera prima di andare a dormire.
Questo approccio è il migliore nel caso degli uomini, che tuttavia potrebbero anche
aumentare l’attività aerobica senza avere le conseguenze devastanti che invece
riscontrano le donne in seguito ai bassi livelli di Testosterone fisiologico che già per
natura hanno.
Ricordo inoltre che il Testosterone regola tra le altre cose sia nell’uomo che nella
donna anche i livelli di libido, quindi alti livelli di questo ormone in entrambe i sessi
producono buone risposte sessuali che altrimenti vengono inibite.

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Spero che attraverso questo articolo sia riuscito a chiarirvi alcuni degli aspetti
ormonali che derivano dall’applicazione alla nostra vita di errate concezioni di
allenamento o di stili di vita non compatibili con la nostra evoluzione biologica.
Ricordatevi che il corpo non reagisce come a noi piacerebbe facesse, ma siamo noi
che studiando la sua fisiologia ed evoluzione dobbiamo ricavare i processi fisici che
lo regolano e di conseguenza utilizzarli per raggiungere i nostri obiettivi.
So che l’argomento trattato è particolarmente complicato e avrebbe meritato maggiori
approfondimenti, ma ciò esula dalla natura stessa del mio Video-Giornale che
dovrebbe principalmente darvi degli spunti su cui riflettere e magari, di successivo
approfondimento.

Bibliografia:
1. Kiecolt-Glaser JK, McGuire L, Robles TF, Glaser R. Psychosom Med. 2002;64(1):15-28.
2. McKewen BS. Biol Psychiatry, 2003 54(3):200-207.
3. Korte SM et al, The Darwinian Concept of stress: benefits of allostasis and costs of allostatic
load and the trade-offs in health and disease. 2004.
4. Zorrilla EP, Koob GF. The therapeutic potential of CRF antagonists for anxiety. 2004.
5. Stahl, Stephen. Essential Psychopharmacology. Cambridge University Press, New York 2000.

Ron Shane, Ph.D., is Research Scholar, Department of Psychology, U.C. San Diego. Dr. Shane
received his master’s and doctorate degrees from the University of California at Santa Barbara in
Sociology and Social Psychology. He has been involved in post-doctoral studies with the University
of California at San Diego in the field of Neuroendocrinology and Optimal Physiology and the
Biological Basis of Consciousness and Neurobiology. Dr. Shane has held faculty appointments at
the University of California at San Diego,
MesaCollege,andSanDiegoStateUniversity.

Jodi Ann Lasky, PA-C, is a Certified Physician Assistant, Licensed Clinical Laboratory Scientist,
Personal Trainer, Nutrition Consultant, and licensed Life Coach. She

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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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Miti da sfatare in relazione


ad allenamento e dieta
Articolo tratto dal mio Video-Giornale Body&Soul

Ricevo giornalmente molte mail e spesso devo riscontrare che molte delle
affermazioni che fate in relazione ai vostri programmi di allenamento e
alimentazione, più che basarsi su dati scientifici sono frutto di Miti e leggende che
chissà per quale strano motivo continuano ad aleggiare nelle palestre.
Alla divulgazione e al loro mantenimento contribuiscono spesso attivamente i
cosiddetti “istruttori”, che, magari con tanto di laurea, invece di chiedersi il perché di
ciò che affermano, lo danno per scontato, continuando a divulgarlo a loro volta,
convinti del fatto che se una cosa viene descritta da tutti nella stessa maniera
automaticamente sia da ritenere vera.
Socrate ci esortava a non fermarci alle semplici affermazioni, ma di chiederci sempre
il perché alle origini delle stesse, e, a continuare così, andando a ritroso, fino ad
arrivare, se possibile, a scoprire la causa ultima che stava alla base della nostra
affermazione originale.
Prendendo esempio da Socrate anche io vi esorto non solo nel BB, ma anche nella
vita, a cercare di andare all’origine di ciò che vi viene detto in modo da essere in
grado di valutare la veridicità o meno delle varie affermazioni che sentite.
Socrate utilizzava tale sistema per definire la bontà o meno dei principi etici che
regolavano la società greca di 2000 anni fa, ma la stessa metodologia si può applicare
alle varie scienze tra cui anche al BB e alla nutrizione.
Ricordatevi che per sviluppare programmi di allenamento e alimentazione correti,
questi si dovranno basare su specifici principi di fisiologia e bio-chimica che sono
comuni a tutti noi e solo all’interno di questi principi potremo sviluppare delle
varianti per adattare i vari sistemi all’unicità che contraddistingue ogni essere umano.
Anche qui la filosofia ci viene in aiuto, Aristotele enunciò per primo il principio di
identità: A=A ossia un sasso è un sasso e non può essere un uomo o un’altra cosa.
Il corollario di tale principio fa emergere è un secondo principio quello di causalità
ossia che una data cosa può fare solo ciò che è nella sua natura: un sasso non può
volare e il grasso non può trasformarsi magicamente in una fibra muscolare o
viceversa.
Smettiamo ora di scomodare i grandi filosofi della storia e torniamo ai nostri miti….

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• Fare tante serie per Dimagrire e Poche serie per Aumentare di Massa.

Quante volte ci siamo sentiti dire o abbiamo sentito dire che se vogliamo aumentare
la Massa muscolare dobbiamo fare poche serie e ripetizioni, mentre invece se
vogliamo definirci e perdere grasso dobbiamo aumentare serie e ripetizioni….
Questo mito si basa sul tentativo di trasformare la Cultura Fisica da un’attività
prettamente di potenza ad un’attività aerobica simile alla Cyclette o alla corsa. Vi
ricordate il primo e secondo principio di Aristotele, quello di identità e di causalità?
Perché cercare di snaturare il Body Building da quello che è, cioè un’attività atta a
sviluppare forza e massa muscolare attraverso il reclutamento delle fibre bianche con
uno specifico metabolismo energetico derivante dall’ossido/riduzione di ATP e
Fosfo-creatina e in parte del glucosio, nel tentativo di trasformarlo in un’attività dove
le fibre rosse sono alla base della produzione del lavoro e i substrati energetici di
riferimento sono glucosio e grassi?
Non sarebbe forse meglio lasciare le cose come stanno, ossia continuare ad allenarci
per la forza e la massa come prescrive la scienza del BB ed utilizzare una specifica
attività aerobica come corsa, cyclette o step molto più adatte ad incrementare il nostro
consumo calorico attraverso l’ossidazione dei sub-strati energetici derivanti
principalmente da grassi e in parte da glucosio?
Cercare di utilizzare un mono-pattino per andare da Milano a Roma quando si può
utilizzare un aereo non ha nessun senso, voi che ne dite?

• Perdita di grasso localizzata.

Il grasso si accumula e si perde secondo uno schema di accumulo e reclutamento che


è scritto e determinato dai nostri geni.
Normalmente quando ingrassiamo abbiamo dei punti che ingrassano prima e degli
altri che ingrassano per ultimi.
Quando siamo in dieta e perdiamo peso succede esattamente il contrario di quando lo
mettiamo, ossia gli ultimi punti che erano ingrassati, quindi quelli relativamente più
magri, saranno i primi ad asciugarsi, mentre i primi punti che erano ingrassati, ossia
quelli relativamente più grassi, saranno gli ultimi da cui il corpo recluterà il grasso a
scopo energetico. Tale principio viene ben definito dagli americani con il modo di
dire: “First In, Last Out”.
Al momento non esiste nessun metodo naturale per forzare il corpo a perdere grasso
significativamente, in modo localizzato.
Esistono alcune creme contenenti ormoni tiroidei che se applicate localmente,
naturalmente in concomitanza di una dieta e un’appropriata attività fisica, possono
velocizzare la perdita in alcuni punti, ma sicuramente non fanno miracoli.

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L’unico modo per perdere grasso localizzato è attraverso la Lipo-suzione, in quanto il


grasso viene meccanicamente aspirato dal chirurgo.
Il problema della Lipo-suzione è l’impossibilità di aspirare il grasso omogeneamente
e quindi spesso nelle persone che si sono sottoposte a tale metodica si possono notare
zone molto asciutte alternate a rigonfiamenti ed avvallamenti dove il tessuto adiposo
non è stato perfettamente rimosso, rendendo il risultato finale agli occhi
dell’osservatore tutt’altro che gradevole.

• Trasformare il muscolo in grasso e viceversa.

Quante volte in palestra si sente dire: “Voglio trasformare il mio grasso in eccesso in
muscolo”.
Anche qui dobbiamo applicare il principio di identità e di causalità: Una cosa è quello
che è e non si può trasformare in qualcos’altro.
Sarebbe come avere un 1 kg. Di burro in un piatto e pretendere da un cuoco che
questi lo trasformi in una bella bistecca di cavallo da 1 kg..
Credo che vi rendiate conto che è semplicemente impossibile visto che la
composizione chimica della carne è diversa da quella del burro.
Lo stesso principio vale anche per il nostro corpo o le parti ed i tessuti di cui è
costituito.
Per ottenere il risultato di cui alla domanda, il grasso prima dovrà essere utilizzato a
scopo energetico attraverso un regime ipocalorico che ne permetta la conversione in
energia (ATP, vi ricordate) e poi attraverso un buon programma di allenamento
Heavy Duty ed una dieta moderatamente ipercalorica stimoleremo la crescita
muscolare….

• Per vedere gli addominali devi fare molti addominali.

Quante volte siete stati messi sulle panche addome sentendovi dire, che se si vogliono
vedere gli addominali bisogna farne molti?
Gli addominali normalmente non si vedono perché sono coperti da un certo pannicolo
adiposo, quindi come abbiamo già detto, l’unico modo per vedere gli addominali
definiti è attraverso un programma alimentare di dimagrimento e quindi ipocalorico.
Inoltre se volete vederli belli spessi e a cubetti vi sconsiglio di farne molti.
Gli addominali fanno parte dei muscoli scheletrici e rispondono alle stesse leggi a cui
rispondono gli altri muscoli scheletrici del nostro corpo.
Quindi 1 serie con ripetizioni che vanno da 12 a 20 incrementando carichi o
ripetizioni ad ogni seduta è più che sufficiente.

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Inoltre vi svelo un altro piccolo segreto….i muscoli addominali e para-vertebrali


poiché servono per stabilizzare il tronco, dal momento in cui ci alziamo la mattina a
quando ci corichiamo la sera sono sempre in funzione.
Quando poi eseguiamo serie di Squat libero, Stacchi da terra, Curl per bicipiti in piedi
con carichi pesanti, etc.., per mantenere il busto in posizione eretta si contraggono
incredibilmente.
Per molti culturisti questi esercizi sono più che sufficienti per sviluppare in spessore i
retti addominali, senza mai doverli fare specificatamente…Spero di non avervi
sconvolto troppo.

• Sudare fa dimagrire.

Avete mai visto quei personaggi che si aggirano in palestra con indosso 2 o 3
magliette o peggio ancora correre con quelle belle tutine auto-confezionate secondo
l’ultima moda con i sacchi di plastica nera per lo sporco?
Questi vi diranno che usano tali espedienti per sudare di più e quindi, secondo loro,
accelerare i processi di dimagrimento.
A volte ne rimane “secco” qualcuno in seguito ad un colpo di calore.
Probabilmente molte persone vedendo uno spiedo girare sulla graticola hanno
concluso che come il grasso si scioglie e cola durante la cottura dello spiedo, allo
stesso modo avviene per il tessuto adiposo umano se alziamo la nostra temperatura
corporea a dismisura, con relativa espulsione di quest’ultimo attraverso la
sudorazione.
Vi ricordo che la sudorazione è il sistema che mette in atto il nostro organismo per
regolare la temperatura corporea in caso questa salga in seguito ad un’intensa e
prolungata attività fisica o a eccessivo calore dell’ambiente che ci circonda.
In poche parole, l’evaporazione del sudore raffredda il nostro corpo che altrimenti si
surriscalderebbe con il rischio, in casi estremi, di colpo di calore.
E’ quindi importantissimo lasciare che il sudore evapori coprendosi il meno possibile
o utilizzando indumenti traspiranti, durante l’attività fisica.
Inoltre, come già ben sapete, il grasso non si scioglie, ma per essere eliminato, deve
essere ossidato, all’interno dei mitocondri o dei perossisomi contenuti nelle nostre
cellule, attraverso la respirazione cellulare, per la formazione di ATP il quale servirà
come substrato energetico per le reazioni metaboliche che avvengono nella cellula.

• Lo Squat fa male alla schiena.

Anche questo è un mito che perdura ed è alimentato principalmente da paure non


motivate da fatti concreti. Il problema nasce dal fatto che spesso medici e istruttori
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non pensano di avere a che fare con persone sane che eseguendo i movimenti nella
maniera corretta non corrono alcun rischio, ma a furia di studiare le patologie relative
alla colonna vertebrale si convincono di avere a che fare con dei malati o dei
potenziali tali. Quindi, rifacendosi al principio di cautela, escludono tutti quegli
esercizi che sarebbero si pericolosi, ma solo nel momento in cui ci trovassimo di
fronte a persone con specifiche patologie riferibili alla colonna vertebrale o al sistema
scheletrico portante. Lo Squat è, e rimane, uno dei 3 esercizi di base per costruire
massa, ciò è dovuto alla sua capacità di mettere in moto dal 60 al 70% dei nostri
muscoli contemporaneamente. Lo Squat dovrebbe essere eseguito, stando bene attenti
alla corretta tecnica di movimento, da chiunque sia seriamente impegnato a
sviluppare la propria massa muscolare.

• Esercizi per sviluppare un muscolo con una data forma.

Non possiamo decidere la forma che avranno i nostri muscoli a priori, semplicemente
allenandoli con esercizi o movimenti specifici. Ad esempio, quante volte abbiamo
ammirato i bicipiti di Albert Beckles per il loro picco eccezionale? Ecco quindi
decine di articoli sulle cosiddette riviste specializzate che ci dicono come allenare i
nostri bicipiti in modo da conseguire un picco come quello di Albert Beckless e
naturalmente in mezzo alla pagina dell’articolo c’è la foto di questi incredibili
bicipiti. Vi svelo un segreto: “la forma, così come la grandezza che raggiungeranno i
nostri muscoli, è codificata dal nostro patrimonio genetico” quindi, dal momento in
cui nasciamo, la lunghezza delle nostre ossa, l’attacco dei nostri tendini (punto di
origine e di inserzione) alle ossa e il numero di fibre muscolari in quel dato muscolo,
tra le altre cose, ne determineranno dimensione e forma. Da tutto ciò ne consegue
che l’unica cosa che possiamo fare è allenarci bene per la massa e, forma e
dimensioni, saranno quindi la risultante della nostra espressione genica.

• Bisogna fare gli addominali tutti i giorni per vederli segnati.

Questo è forse il mito più resistente e diffuso in assoluto. Tutti vorrebbero degli
addominali da campione, anche chi non ama in particolar maniera i fisici dei grandi
Culturisti. Poiché spesso il punto di maggior accumulo negli uomini è proprio la zona
addominale, questi muscoli sono diventati leggendari. La leggenda viene
continuamente alimentata da ignoranza mista a mala fede. Andiamo ad analizzare il
perché gli addominali generalmente non si vedono. Il problema principale di tale
stato è l’eccesso di accumulo di grasso nella zona della cintura. Fare gli
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addominali non farà altro che allenare questo muscolo specifico che, guarda caso, si
trova proprio sotto il pannicolo adiposo che lo copre.
Quindi, possiamo anche passare l’intera nostra giornata a fare addominali, senza
arrivare mai a vederli. Vi ricordate cosa vi ho già detto in relazione al grasso?
Il grasso per essere bruciato o più correttamente, ossidato, deve essere utilizzato
dall’organismo a scopo energetico. Infatti tutto il grasso sottocutaneo che abbiamo
nel nostro organismo non è altro che un grande magazzino di energia da cui il nostro
organismo attinge nei momenti di bisogno. E quali sono questi momenti di bisogno?
Detto molto semplicemente, e qui mi scuso per l’eccessiva semplificazione con i più
tecnici, quando le calorie che introduciamo con l’alimentazione sono inferiori a
quelle che spendiamo durante la nostra giornata. Ergo, senza mai fare gli addominali
potremmo arrivare a vederli con una buona dieta, mentre facendo 10.000 Sit-Up tutti
i giorni senza una buona dieta rischiamo di non vederli mai.

• Più si diventa grossi e più ci si deve allenare.

E’ sensazione comune e diffusa che più uno è grosso e più debba allenarsi, è invece
vero esattamente il contrario. Considerate un ragazzo, chiamiamolo Carlo, che inizia
ad allenarsi.
Poniamo sia capace durante la sua prima sessione di allenamento di eseguire un Curl
con bilanciere con 20 Kg. e abbia una circonferenza di braccio di circa 30 cm.
Supponiamo anche che questo ragazzo si alleni con il miglior schema possibile e
abbia un’ alimentazione e integrazione perfetta. Il nostro Carlo in 2 anni passerà da
20 a 60 Kg. nel Curl con bilanciere e da una circonferenza di 30 a 40 Cm. di braccio,
quindi avrà avuto un incremento netto in forza di circa il 200%, ma non sarà
avvenuto lo stesso per quanto riguarda le sue scarse capacità di adattamento. In poche
parole la forza e l’intensità del suo allenamento aumenteranno geometricamente,
mentre le sue capacità di recupero, aumenteranno si, ma aritmeticamente, ossia non
così velocemente da riuscire a compensare i “danni”, locali e sistemici, derivanti
dalla nuova forza e dimensione dei sui muscoli. Questo in parole povere vuol dire che
se prima necessitava di 2 giorni per recuperare tra un allenamento ed il successivo,
ora necessiterà di almeno 3 o 4 giorni per recuperare completamente. Ecco spiegato
perché più si cresce, avvicinandosi quindi alla massima espressione del nostro
potenziale genetico, e più tempo si necessita tra una seduta e la successiva.

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• L’allenamento deve essere istintivo.

Con questa affermazione, si vorrebbe indicare o far credere che non esiste nessuna
regola fisico/biologica che determini la crescita muscolare. Se tutti facessimo ciò che
ci pare solo perché oggi siamo dell’umore di fare una cosa piuttosto che un’altra chi
mai studierebbe, si allenerebbe, lavorerebbe, etc… Anche qui la filosofia ci può
venire in aiuto. Ayn Rand definì le sensazioni e le emozioni come il modo ancestrale
ed istintivo di percepire la realtà che tuttavia però deve sempre essere filtrata dalla
ragione in modo da definire la strada che poi prenderemo, mai lasciarsi trasportare
dalle emozioni e dalle sensazioni come una foglia dal vento, in quanto spessissimo, se
non reinterpretate dalla ragione, possono essere ingannevoli.
Vi faccio un esempio: la cosa che a me piace di più da mangiare sono le lasagne.
Se seguissi le mie emozioni le mangerei tutti i giorni, se però filtro l’istinto di
nutrirmi di lasagne con la ragione ed inizio, grazie ai miei studi, a pensare a ciò che
succede a livello biochimico nel mio organismo dopo aver mangiato le lasagne,
subito mi rendo conto che una cosa è quello che mi piace mangiare ed un’altra è
quella di avere un’alimentazione sana che non mi faccia ingrassare, mantenga i miei
esami ematochimici nella norma e che mi faccia sentire bene, forte e scattante tutto
l’anno.
La stessa cosa succede con gli allenamenti, se entriamo in palestra e iniziamo a
sollevare pesi a casaccio senza considerare, tecnica, velocità nelle ripetizioni, numero
delle ripetizioni, tempi tra una ripetizione e l’altra, e, cosa ancora più importante, la
giusta relazione tra i concetti di intensità, volume e frequenza, etc…forse sarebbe più
produttivo andare a fare i facchini al mercato ortofrutticolo, tanto il risultato più o
meno sarebbe lo stesso, con la differenza che almeno li verremmo pagati per il lavoro
svolto.
Differente è invece il caso in cui mi alleni per sviluppare il mio corpo
armoniosamente, cercando di esaurire nel più breve tempo possibile il mio potenziale
genetico.
Allora qui la scienza, e quindi la ragione, diventano preponderanti.
Ricordate, Francesco Bacone diceva sempre: “la conoscenza è potere” e questo vale
anche nel Body Builiding.

• Le donne se vogliono il seno più grosso devono allenare i pettorali.

Il seno di una donna è composto per l’80% da grasso e per il restante 20% da
ghiandole atte alla secrezione del latte. Il muscolo pettorale si trova esattamente sotto
il grasso mammario ed ha la stessa forma ed attacchi dei pettorali maschili. Ciò si può
vedere molto bene nelle campionesse di Body building che non hanno ancora
impiantato le protesi al silicone. Il seno in tali atlete tende a scomparire quasi
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completamente in seguito alle diete, lasciando ben visibile il muscolo pettorale del
tutto simile a quello di un uomo.
Da tutto ciò ne deriviamo che, sviluppare in una donna, ammesso e non concesso che
si riesca a farlo, i muscoli pettorali non porta di certo ad un aumento del seno così
come si intenderebbe, visto che, perché aumenti, dovrebbe aumentare la quantità di
grasso sottocutaneo nell’area del seno e non il muscolo che come ora sappiamo è
tutt’altra cosa ed è in tutt’altra posizione. Inoltre, in quelle pochissime donne più
dotate che riescono a costruire un po’ di massa muscolare, sviluppare i pettorali tende
a spingere il seno verso l’esterno cambiandone quindi la conformazione spaziale e
rendendolo a volte sgradevole alla vista. Quindi, continuate ad allenare i pettorali, ma
non fatelo pensando di aumentare le dimensioni del vostro seno.

• Allenamento per le Donne e allenamento per Uomini.

Quante volte avete visto gli istruttori in palestra fare schede diverse per uomini e
donne? Preparando per queste ultime programmi con serie interminabili alla Gluteus
Machine o alle macchine per Adduttori e Abduttori. Come se i muscoli delle donne
seguissero leggi fisiche differenti da quelli degli uomini o che tutti i tendini dei vari
gruppi muscolari finissero nei glutei. Anche qui devo svelarvi un segreto che
probabilmente vi lascerà di stucco. I muscoli delle donne sono identici agli omologhi
maschili, utilizzano gli stessi sub-strati energetici e i tendini si innestano esattamente
negli stessi punti dove si innestano quelli maschili. La principale differenza tra
uomini e donne sta in una minore quantità di fibre muscolari in generale, soprattutto
nel distretto superiore, così come da differenti produzioni di testosterone. Il
testosterone viene prodotto anche nella donna dalle ghiandole surrenali e dalle ovaie,
in quantità circa 10 volte inferiori a quelle maschili. Tra le altre cose il testosterone
regola la sintesi proteica muscolare, quindi una minore quantità di questo ormone
presente nel sangue corrisponde ad una minore massa muscolare.
Nonostante questa importante differenza biologica, per il resto i muscoli scheletrici
femminili, come dicevamo prima, funzionano e seguono le stesse leggi fisiche di
quelli maschili. Se una ragazza è seriamente intenzionata a modellare il proprio corpo
dovrebbe allenarsi con gli stessi esercizi e la medesima intensità di un uomo. Per le
gambe ed i glutei non esiste miglior esercizio dello Squat e degli stacchi da terra.
Prova di quanto vi sto dicendo sono le gambe ed i glutei delle centometriste che
notoriamente eseguono Squat pesantissimi e sviluppano glutei perfetti…altro che
Gluteus Machine, Adductor Machine e Abductor Machine….Nella mia esperienza
personale ho trovato le donne particolarmente recettive agli allenamenti ad alta
intensità. Le donne, se ben motivate, riescono più degli uomini a superare la soglia
del dolore e arrivare ad esaurire un gruppo muscolare completamente in un’unica
serie.

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Inoltre, se ben allenate, riescono ad usare per il distretto inferiore ottimi carichi con
uno stile di movimento perfetto. Vi confido che non è raro per me portare in pochi
mesi una donna ad eseguire Squat da 80/90 Kg. E poi le chiamano il sesso debole…..

• Gli integratori fanno ingrassare.

Spesso ho sentito persone parlare tra di loro degli integratori dicendo che facevano
ingrassare. In questo caso il problema non stà nell’integratore specifico, ma nel totale
calorico ingerito giornalmente da chi utilizza anche integratori. Gli integratori
normalmente rivestono non più di 1/3 del totale calorico introdotto tramite alimenti
durante la nostra giornata. Il problema è dato dal fatto che spesso molte persone
assumono integratori senza verificare se effettivamente ne avevano bisogno. Come
dice la parola: “Integratore” dovrebbe essere qualche cosa di cui necessitiamo per
integrare un’alimentazione povera in quello specifico nutriente. Se però noi
acquistiamo polveri varie senza cognizione di causa, rischiamo semplicemente di
aumentare il nostro introito calorico predisponendoci così ad ingrassare. Quindi il
problema non è l’integratore, ma deriva dalla somma calorica totale di ciò che
mangiamo. Il mio consiglio per non ingrassare e non buttare denaro per cose che a
volte non vi servono neppure, è quello di farvi aiutare da un dietologo o nutrizionista
sportivo a definire, se ci sono, eventuali carenze di nutrienti nella vostra dieta e solo
poi acquistare ciò di cui avete bisogno.

• Le proteine fanno male a fegato e reni.

Questo è il mito in assoluto più ricorrente in relazione ad alimentazione ed


integrazione. Sono ormai venti anni che ogni volta che si parla di alimentazione o si
pronunciano le parole proteine e amminoacidi qualcuno compresi i medici,
nutrizionisti e dietologi si alza in piedi ripetendo a pappagallo, ma non farà male a
reni e fegato? Anche qui ad alimentare questa leggenda hanno contribuito
principalmente 2 problemi. Il primo è lo stesso principio per cui lo Squat dovrebbe, in
astratto, fare male alla schiena, ossia il principio di cautela. Come vi spiegavo nel
mito dello Squat che dovrebbe fare male alla schiena, anche per proteine e
amminoacidi valgono gli stessi principi. I medici sono talmente abituati a studiare le
varie patologie, che alla fine molti di loro si convincono di avere a che fare sempre
con malati o potenziali tali. Una delle prime cose che si studiano in relazione al rene,
alla sua morfologia e funzione è che le cellule di cui è composto e che servono alla
filtrazione del sangue, ossia i nefroni, sono nel rene umano ridondanti, ossia
eccedono di gran lunga il numero che sarebbe necessario per ripulire il sangue in
condizioni di vita normale. La riprova di tutto ciò sta poi nel fatto che una persona a
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cui viene asportato un rene può vivere una vita lunga e piena senza particolari
restrizioni, l’unico principio a cui deve sottoporsi è la sobrietà. Tutto quello che
sentiamo in relazione ai danni renali o epatici da sovraccarico proteico, deriva
direttamente dagli studi che sono stati fatti in relazione all’introduzione dei vari
alimenti nei casi conclamati di specifiche malattie che coinvolgono il sistema epatico
o renale. In questo caso, se soffro di insufficienza renale, sono dializzato, ho calcoli
ai reni, ho una cirrosi epatica in atto, etc…, allora si che dovrò sottopormi ad una
dieta che preveda un certo controllo sull’ introito proteico giornaliero. Vi prego di
notare che uso la parola controllo, perché 8 dei 20 amminoacidi che costituiscono le
proteine sono detti essenziali per la vita, ossia debbono quotidianamente essere
introdotti tramite gli alimenti in quanto il fegato non è in grado di sintetizzarli
autonomamente e quindi, anche in caso di malattia grave degli organi sopraccitati
debbono essere ingeriti, pena la morte. A questo punto vi chiedo, ma se una persona
con un rene solo può mangiare, senza eccedere, più o meno quello che gli pare, cosa
succede se io sono in piena salute, ho 20 anni e nessuna patologia in atto? Quale è la
quota massima proteica giornaliera che posso introdurre senza rischiare nel tempo di
danneggiare il mio organismo? Ora vi svelo un segreto, durante i miei ormai più di 15
anni di studi in nutrizione e biologia, non sono mai riuscito a trovare un lavoro su
persone sane o atleti che determinasse i massimi carichi proteici a cui potevano
sottoporsi senza riportare danni a fegato e reni. Ho cercato e richiesto dappertutto un
lavoro scientifico che potesse mettere la parola fine a questa disputa, ma pare che
nessuno, ad oggi, lo abbia mai realizzato. Invece, lavori sui malati ce ne sono a
migliaia. Comunque, continuando nelle mie ricerche, nel 2000 ho comprato un libro
di biochimica intitolato: “HUMAN PROTEIN METABOLISM” scritto da colui che
mondialmente è ritenuto una delle maggiori autorità nel campo del metabolismo
proteico umano. Questo scienziato si chiama Stephen Welle, e nel suo libro a pag.
118 scrive, cito testualmente: “E’ difficile dire quale sia il quantitativo che possa
definire un’ “alta” introduzione proteica. Alcuni nostri progenitori nel neolitico
potrebbero aver vissuto consumando nella loro dieta un quantitativo almeno 5 volte
superiore a quello della dieta dell’americano medio (studi pubblicati da Eaton and
Konner nel 1985). Eccetto per certe patologie come: nefropatie e fenilchetonuria, una
dieta ad alto contenuto proteico non è incompatibile con un buono stato di salute”.
Credo che con questa ultima affermazione possiamo passare al prossimo Mito.

• Senza integratori non si può aumentare di massa muscolare.

Si è diffusa l’impressione, ormai generalizzata, che senza integratori non si possa


mettere massa muscolare. Vi ricordo che gli integratori non sono altro che alimenti
concentrati o singoli principi attivi ricavati da alimenti o piante. Il vero vantaggio
della maggior parte degli integratori è la grande versatilità che ne deriva dal loro uso.
In realtà almeno dall’ 85% al 90% di quello che ci serve può essere ricavato
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direttamente dalla nostra alimentazione, se questa è stata studiata ed ottimizzata per


coprire i nostri fabbisogni alimentari, soprattutto quando necessitiamo di una dieta
che non solo ci mantenga asciutti e in buone condizioni fisiche, ma che ci permetta
anche di aumentare le nostre masse muscolari in seguito allo Stress esercitato dagli
allenamenti in palestra. La tecnologia alimentare oggi ci mette a disposizione tutta
una gamma di prodotti che ci possono aiutare a fare spuntini che altrimenti
dovremmo fare con alimenti convenzionali. Il problema per molti non è tanto quello
di mangiare le cose appropriate, ma di trovare il tempo e le occasioni per farlo. Ecco
quindi che un’ integratore proteico al posto di una bistecca a metà pomeriggio o
prima di andare a dormire ci può rendere la vita molto più semplice. Inoltre dovuto ai
metodi di cottura e di conservazione dei cibi, parte del patrimonio vitaminico e di sali
tende ad essere disperso, ecco quindi che un buon polivitaminico e multiminerale ci
può venire in soccorso. Ricordatevi però sempre, che nulla può veramente sostituire
gli alimenti. La nostra alimentazione può si essere integrata, ma non sostituita. Nella
carne, nel pesce, nella frutta e verdura non ci sono solo proteine, carboidrati e grassi,
ma troviamo anche vitamine, sali minerali e antiossidanti come polifenoli e
antocianine, questi ultimi, fanno parte di una classe di molecole differenti da verdura
a verdura, o da frutta a frutta, che hanno specifiche azioni antiossidanti nel nostro
organismo e che permettono di mantenerlo in ottimo stato. Esistono poi alcuni
principi attivi che se concentrati possono, in determinati momenti, aiutarci a
raggiungere i nostri obiettivi, ma ne parlerò in un prossimo articolo dedicato.
Comunque ritornando all’assoluta necessità degli integratori per costruire massa,
sono solito ricordare ai miei clienti che molti dei campioni del passato non avevano a
disposizione quello che oggi abbiamo noi e che comunque riuscivano a sviluppare
fisici di tutto rispetto.

• Gli integratori fanno diventare impotenti.

Questa è una delle maldicenze più brutte e fatte in mala fede che si possano sentire.
Quando avevo 16 anni iniziai ad integrare la mia alimentazione, consigliato dal mio
allenatore del tempo, con 30 g. di proteine al giorno e dell’arginina e ornintina che
assumevo la sera prima di coricarmi nel tentativo di ottimizzare i miei rilasci
endogeni di GH (ormone della crescita). Mia madre non sapendo cosa fossero andò
dal suo farmacista di fiducia, chiedendogli se mi avessero potuto fare male. La
risposta di questo ignorante, non vedo con quale altro aggettivo potrei definirlo, fu
che se avessi continuato ad assumere integratori, con il tempo sarei diventato
impotente. Mia madre tornò a casa e dopo avermi riferito ciò che aveva sentenziato il
farmacista mi disse che ora spettava a me decidere che fare. Io naturalmente mi ero
già ben informato in precedenza, e decisi di continuare. Questo è un esempio di
terrorismo psicologico che spesso medici, dietologi e farmacisti mettono in essere.
Invece di informare seriamente le persone, decidono di prendere posizioni
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ideologiche senza nessuna base scientifica di discussione. Il nostro farmacista


ignorante, probabilmente, aveva scambiato gli amminoacidi e le proteine con ormoni
steroidei, molti fanno, a volte in buona fede per semplice ignoranza, altre volte in
mala fede, lo stesso errore.
Come ho già detto gli Integratori non sono altro che cibi o molecole, normalmente di
origine animale o vegetale, concentrate. Ribadisco che gli integratori, come dice la
parola, dovrebbero essere utilizzati solo se nella nostra dieta mancano o dobbiamo
integrare alcuni principi nutritivi necessari al perseguimento degli obiettivi che ci
siamo fissati. E’ sempre importante prima di assumere qualsiasi integratore verificare
se effettivamente lo necessitiamo, non perché faccia male, visto che per creare
qualche problema la maggior parte degli integratori dovrebbe essere presa a chili e
per periodi lunghi di tempo, ma perché la maggior parte delle volte rischiamo di
buttare il nostro denaro in cose inutili, considerate a torto miracolose.

• I prodotti erboristici in quanto naturali non possono far male.

Anche i prodotti erboristici rientrano spesso nella categoria degli integratori,


soprattutto quelli già confezionati.
Si è diffusa nella gente la credenza che questi, poiché derivano da piante e vegetali,
siano sicuri. Non c’è nulla di più sbagliato. Vi ricordo che Socrate venne sentenziato
a morte dai democratici attraverso avvelenamento da estratto di Cicuta, guarda caso
una pianta. Esistono moltissime sostanze derivate dalle piante altamente tossiche
come la solanina nelle patate crude, la licopersicina dei pomodori verdi, gli alcaloidi
contenuti nei funghi velenosi, etc…Queste sono solo alcune delle migliaia di sostanze
di origine vegetale altamente tossiche. Vi ricordo inoltre che molti dei medicinali che
utilizziamo derivano dal mondo vegetale. Quindi vi consiglio sempre, prima di
assumerlo, di verificare cosa sia contenuto in qualsiasi prodotto definito erboristico.

• L’acqua del rubinetto fa venire i calcoli ai reni.

Anche questa è una delle tante leggende metropolitane. Non so chi la possa avere
messa in giro, ma quelli che ne guadagnano di più dalla sua divulgazione sono di
sicuro le aziende produttrici di acque minerali e oligominerali. Le persone, vedendo i
soffioni delle docce di casa o il ferro da stiro riempirsi in poche settimane di
incrostazioni calcaree lasciate come residui dall’acqua corrente di rubinetto, pensano
che bevendo tale acqua i nostri reni subiranno lo stesso destino. Vi ricordo che i
nostri reni non sono dei ferri da stiro e che il nostro organismo è perfettamente in
grado di regolare i livelli di calcio introdotti con gli alimenti. I calcoli renali si
possono formare principalmente per 2 motivi: 1) In seguito ad alti livelli di acido
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urico nel sangue, un sottoprodotto del metabolismo delle basi puriniche contenute nel
DNA delle cellule animali concomitante ad un difetto nella sua eliminazione a livello
renale con conseguente precipitazione dell’acido urico a sali di urato e formazione di
calcoli. 2) In relazione ad un difetto, generalmente genetico, nel metabolismo di uno
dei derivati dell’acido ascorbico, anche meglio conosciuto come Vit. C, e relativa
formazione di alti quantitativi di ossalati che precipitando nel rene formano a loro
volta calcoli (questa ipotesi, tuttavia, viene attaccata e rifiutata dal premio Nobel per
la chimica Linus Pauling, nel suo libro sugli effetti della Vit. C come coadiuvante per
il trattamento del cancro “Cancer and Vitamin C”.). Quindi, primo ci deve essere una
predisposizione alla formazione dei calcoli renali e secondo un’alta introduzione di
carne o Vitamina C. a seconda del tipo di calcolo. Come avrete capito l’acqua di
rubinetto con la formazione dei calcoli renali centra ben poco.

• I grassi fanno ingrassare.

Per smontare questo mito, partiamo dal presupposto che non esiste nulla che faccia
ingrassare in assoluto. Esistono nutrienti che più facilmente aumentano l’introito
calorico o che più predispongono il nostro organismo ad ingrassare o a diminuire la
capacità del nostro organismo di utilizzare i nostri grassi sottocutanei a scopo
energetico. In passato si è fatto passare i grassi come il male assoluto solo per il fatto
che sono buoni al gusto, e la chiesa ci insegna che tutto ciò che da piacere è male, e
che per ogni grammo sviluppano 9 Kcal., mentre proteine e carboidrati sviluppano
per grammo solo 4 Kcal. Da ciò si evince che diminuendo le quantità di grassi
introdotte durante il giorno tramite la nostra alimentazione diminuiamo anche
drasticamente l’introito calorico, ergo dimagriamo. Il primo errore in questo
approccio sta nel non considerare il fatto che i grassi non sono tutti uguali, all’interno
di tale categoria troviamo anche i grassi essenziali. Tali grassi non vengono
sintetizzati autonomamente dal nostro organismo e necessitano essere introdotti
giornalmente tramite gli alimenti. I grassi essenziali sono estremamente importanti,
soprattutto per la formazione di alcune molecole ad azione ormonale prodotte dalle
cellule che vengono genericamente chiamate eicosanoidi e che sono potentissimi
regolatori di molte funzioni organiche, ma anche per la formazione delle membrane
cellulari come quelle cerebrali e non, che necessitano tali acidi per essere mantenute
fluide. Inoltre è sbagliato spiegare gli alimenti in meri termini calorici. Il corpo
umano non è una stufa dove si buttano dentro alimenti e questi vengono
semplicemente bruciati, i nutrienti nel nostro corpo a secondo che siano proteine,
carboidrati o grassi seguono specifiche vie metaboliche spingendo l’organismo a
sintetizzare o inibire il rilascio di specifici ormoni atti a mediare specifiche azioni. In
parole povere ogni volta che introduciamo un alimento non possiamo pensarlo solo
sotto l’aspetto calorico, ma dobbiamo pensare anche a ciò che determinerà nel nostro
organismo in termini di risposte ormonali. Tali risposte possono generare una
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maggiore o minore propensione a convertire parte di tali nutrienti in grasso di riserva


o possono favorire il rilascio dei grassi di riserva a scopo energetico. Esistono
alimentazioni dove i grassi superano il 50% del totale calorico giornaliero ed i
carboidrati non più del 10/15% e funzionano benissimo per dimagrire in quanto i
grassi in questo caso vengono utilizzati dall’organismo come principale sub-strato
energetico. I grassi alti, possono dare problemi se associati nella stessa dieta ad alti
contenuti di carboidrati. Alimentazioni iper-glucidiche e allo stesso tempo iper-
lipidiche portano non solo ad ingrassare molto velocemente, in quanto i grassi
vengono sostituiti dagli zuccheri come sub-strato energetico preferenziale, ma, se i
grassi saturi sono particolarmente abbondanti, possono portare allo sviluppo di
processi di arteriosclerosi. Ricordatevi che esistono Amminoacidi essenziali e Grassi
essenziali, ma non carboidrati essenziali….a voi le conclusioni.

• La pasta ed il pane sono necessari per una dieta bilanciata.

Tutti i carboidrati una volta digeriti, vi ricordo che la digestione dei carboidrati
avviene principalmente nell’intestino, arrivano al sangue sotto forma di glucosio.
Gli altri zuccheri come ad esempio il fruttosio prima di essere utilizzabili devono
passare dal fegato ed essere convertiti in glucosio. Da ciò si evince che
biochimicamente per il nostro organismo, una volta che arrivano nel sangue, è
impossibile distinguere gli zuccheri che vengono dalla pasta e dal pane dallo
zucchero semplice o saccarosio sciolto nel caffè per dolcificarlo o da una flebo di
glucosio che ci viene attaccata al braccio dopo un’operazione per mantenere la
glicemia stabile.
Ora vi do un’altra notizia. La pasta è stata prodotta per la prima volta in Italia alla
fine del 1700 nella zona del Vesuvio, ciò vuol dire che prima del 1800 non si
mangiava, mentre il pane esisteva già da molto tempo, anche se era abbastanza
differente da quello che arriva oggi sulle nostre tavole. Le tecniche di raffinazione
delle farine non erano avanzate come quelle odierne ed il pane conteneva un
quantitativo di fibre altissimo che lo rendeva scuro e gommoso e dopo pochi bocconi
difficile da continuare a mangiare in grandi quantità. Come avranno fatto i nostri
antenati 20.000 anni fa allora a sopravvivere senza pane e pasta? Semplicemente
ricavando i carboidrati dalle fonti subito pronte e direttamente disponibili in natura,
ossia frutta e verdura. Inoltre vi ricordo che all’interno di frutta e verdura non ci sono
solo zuccheri, ma vitamine, sali minerali, antiossidanti e fibre che pasta e pane
contengono solo in tracce, ma che rivestono una funzione primaria nella nostra
nutrizione. Da tutto ciò passiamo facilmente dedurre che benché sia vero che pasta e
pane siano squisiti e considerati alimento nazionale è altrettanto vero che non sono
strettamente necessari alla nostra alimentazione.

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• Durante la massa posso mangiare tutto quello che voglio.

Una volta quando si diceva “inizio la massa” si intendeva un periodo dove si poteva
mangiare qualsiasi cosa in qualsiasi quantità, l’obiettivo era semplicemente quello di
salire di peso. Quello che però succedeva era che si saliva si di peso, ma il nuovo
peso acquisito non era dato solo da muscoli, ma anche, e spesso soprattutto, da
grasso. Così quando poi si rientrava in dieta per definirsi ci si ritrovava con molti
chili da perdere che creavano 2 problemi: tempi di dieta molto lunghi e
contemporanea perdita di massa magra.
Oggi per ovviare a questo problema la tendenza è quella di non aumentare più del
10% del peso forma in modo da non avere troppi chili da dover perdere in fase di
definizione. Le diete così sono ancora iper caloriche, ma lo sono moderatamente in
modo da non eccedere troppo e trovarsi così alla fine eccessivamente ingrassati.
Inoltre a differenza di una volta dove non si controllava ne la quantità ne la qualità
dei cibi introdotti, oggi si tende a scegliere gli alimenti tra quelli che meno
predispongono all’ ingrassare e quelli che più forniscono al nostro organismo tutti
quei principi essenziali di cui necessita giornalmente. Possiamo quindi affermare che
sia finito il tempo della “massa” incontrollata a tutti i costi.

Con questo ultimo mito concludo il mio lungo Video-articolo sui Miti da sfatare su
Palestra e Alimentazione, spero vi sia piaciuto e vi sia servito per aiutarvi a
contraddire, argomentando le vostre ragioni, chiunque in futuro cerchi di continuare a
divulgare queste vere e proprie eresie.

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Frequenza, serie e ripetizioni


nell’allenamento
produttivo
Articolo tratto dal mio Video-Giornale Body&Soul

In questo video vorrei parlare di una cosa tanto ovvia e, nello stesso tempo tanto
sottovalutata, ossia: la frequenza e la tecnica corretta alla base dell’allenamento
produttivo.
Prima di tutto vorrei soffermarmi un attimo sul numero delle serie da fare per un
determinato muscolo.
La maggior parte di voi appena entrati in palestra e conosciuto l’istruttore avranno
iniziato con una prima scheda, generalmente uguale per tutti, dove in una seduta si
allenavano tutti i distretti muscolari facendo 1 o 2 esercizi con le classiche 3 serie da
8, 10 o 12 ripetizioni.
Tale scheda di solito viene consigliata da eseguire con una frequenza di 3 sedute alla
settimana, normalmente a giorni alterni.
Avrete subito notato che nelle prime 2 settimane il corpo aveva risposto bene, i
muscoli erano diventati più duri, segnati, e la maglietta del cuore incominciava a
diventare stretta.
Naturalmente visto che i risultati arrivavano, non vi siete fermati un solo istante a
pensare perché il vostro istruttore vi avesse dato 3 serie per esercizio da 8, 10 o 12
ripetizioni.
Tutto ciò risultava essere semplicemente normale.
Dopo i primi risultati avete però incominciato a rallentare, la voglia di andare in
palestra che prima era grande inizia ora a diminuire, i muscoli non sono più così
densi e duri e anzi incominciate ad avere la sensazione di peggiorare invece di
continuare a migliorare.
A questo punto ne parlate con il vostro istruttore e concordate che è assolutamente
necessario cambiare la scheda.
Passate quindi da una scheda dove allenavate tutto il corpo con una frequenza di 3
giorni la settimana, ad una dove frazionate il corpo in 2 distretti muscolari con la
classica frequenza, ossia: Lunedì/martedì/giovedì/venerdi allenamento e
mercoledì/sabato e domenica riposo.
Il corpo in questa nuova scheda viene diviso generalmente in 2 “sezioni” da allenare
ognuna due volte nella stessa settimana.
Naturalmente vi viene detto che dividendo il corpo in 2 tronconi e volendo continuare
a crescere dovrete anche aumentare il numero di esercizi, le serie e le ripetizioni.

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Del resto questo è normale, durante tutta la vostra vita vi è stato detto che più farete e
più otterrete, quindi perché il vostro corpo dovrebbe sottrarsi a questa
importantissima massima popolare.
Inoltre, se siete partiti con 2 esercizi per i pettorali, dove per ognuno facevate 3 serie
da 10 ripetizioni, e non state più ottenendo risultati è chiarissimo e “logico” che per
continuare a crescere dovrete assolutamente aumentare gli esercizi almeno a 3, le
serie a quattro e magari modificare il numero di ripetizioni per serie eseguendo un
piramidale.
Benissimo direte, quale è il problema?
Incominciamo con calma a smontare ognuno dei DOGMI sovra esposti.
Primo, non vi sembra più logico per uno che inizia da zero partire da un esercizio con
un’unica serie ed eventualmente se non funziona passare in un secondo momento a 2
o 3 serie?
Come possiamo definire quante serie fare andando avanti con il tempo se partiamo
subito da 3 o 4 per esercizio?
E’ chiaro che con questo approccio l’unica strada percorribile se non abbiamo
risultati è quella di continuare ad aumentarle, e non certo di diminuirle.
Vi ricordate quando nei miei articoli precedenti vi dicevo che per stimolare la crescita
muscolare non era la quantità di esercizio svolto nell’unità di tempo che era
importante, ma l’intensità.
Secondo errore, la frequenza tra una seduta e la successiva.
Se partiamo dal presupposto, scientificamente provato, che le risorse fisiche
disponibili sono date e finite, ne deriviamo che prima di ritornare ad allenarci almeno
i processi di ricostruzione/compensazione dovranno essere stati portati a termine e se
vogliamo che anche i processi di supercompensazione o crescita muscolare
avvengano dovremo aggiungere qualche giorno supplementare.
Quindi, per definire la frequenza dell’allenamento, non possiamo che utilizzare un
metro che misuri di volta in volta i nostri risultati in termini adattativi allo stress
imposto dagli allenamenti stessi.
In altre parole, iniziare un allenamento prima che i processi di riparazione siano
terminati, porta ad un graduale sovrallenamento con rallentamento o cessazione, a
seconda della gravità, della crescita muscolare.
Come facciamo quindi a sapere quando fare l’allenamento successivo?
Ci sono 2 modi che io utilizzo con i miei clienti: il primo è aggiungere circa 2 giorni
di recupero extra dal momento in cui non avvertono più i dolori muscolari dell’ultimo
allenamento al momento che ritorneremo ad allenarci, il secondo è la registrazione su
un diario di allenamento delle variazioni al rialzo dei carichi o delle ripetizioni
effettuate.
Si, avete capito bene, se i processi di compensazione prima e supercompensazione
poi sono avvenuti dovremo essere più forti della volta precedente.
Quindi, tirando le somme di quanto detto finora, ne deriviamo che non esiste un
giorno fisso di allenamento, ma deve venire di volta in volta definito in base alle
nostre capacità di recupero.
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Tali capacità sono influenzate da molti fattori, tra cui: la genetica, il tipo di
alimentazione e integrazione che stiamo utilizzando, il tipo di lavoro che facciamo
giornalmente, altri sport che pratichiamo e l’eventuale uso di steroidi anabolizzanti.
Tutti questi fattori incidono con vari gradi sulla scelta della frequenza che dovrebbero
avere i nostri allenamenti.
Una domanda che spesso mi viene fatta è la seguente: Ma se ieri ho allenato petto,
spalle e tricipiti e i muscoli del prossimo allenamento sono le gambe, che bisogno c’è
di riposare molti giorni visto che in seguito andrò ad allenare muscoli e aree del corpo
distinte dalle prime?
Anche qui l’errore di fondo è quello di vedere l’intero organismo per settori e non
come un tutto.
Poniamo per semplificare il valore di 100 unità alle nostre capacità di recupero.
Se io oggi ho allenato petto, spalle e tricipiti e nei giorni seguenti non ritorno ad
allenarmi, tutte le 100 unità di cui dispongo saranno impiegate dal mio corpo per
portare a termine i processi di compensazione e supercompensazione fino a quando
questi non saranno terminati.
Se invece, diciamo il giorno dopo, decidessi di allenare Quadricipiti, bicipiti femorali
e polpacci, poiché il mio organismo non aveva ancora terminato i processi di
riparazione di petto, spalle e tricipiti si troverà ora a dover dividere le iniziali 100
unità, che ricordate, sono date e fisse, anche con i quadricipiti, bicipiti femorali e
polpacci che ho appena allenato, aumentando così i tempi di recupero totali che se
prima fossero stati di 4 giorni ora dovranno diventare almeno di 8.
Se poi, prima dello scadere degli otto giorni decidessi di allenare dorso, bicipiti e
addome le nostre iniziali 100 unità ora dovrebbero essere ulteriormente ripartite,
allungando così ancora una volta i nostri tempi di recupero.
E’ chiaro, da quanto detto fino a qui, come sia facile attraverso i sistemi ad alto
volume o Weider arrivare al sovrallenamento con relativo velocissimo arresto della
crescita muscolare.
Da qui, la necessità di creare micro-cicli di allenamento a basso volume ed intensità
in modo da permettere al corpo di recuperare dopo lunghi periodi di stress e sovra
allenamento.
Spero con questo articolo di avervi chiarito altri aspetti relativi all’allenamento ed ai
processi che intervengono nella crescita muscolare.

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Risposte metaboliche alle differenti


fonti caloriche
Articolo tratto dal mio Video-Giornale Body&Soul

Ho deciso di realizzare questo video-articolo per chiarire e meglio spiegare un


concetto, quello di caloria, che nel nome della generalizzazione molti dietologi e
nutrizionisti hanno enormemente semplificato travisandone così le reali implicazioni.
E’ ormai convenzione consolidata ritenere una caloria come tale, indipendentemente
dalla fonte calorica da cui deriva.
Questa errata convinzione ha portato all’altrettanto errata conclusione, che due diete
isocaloriche, ossia con il medesimo apporto calorico, portino al medesimo risultato.
Quando parliamo di cibo in termini calorici, ci riferiamo all’intero monte energetico
contenuto in un dato alimento.
Definite in questo modo tutte le calorie sono identiche, indipendentemente che
derivino da carboidrati, proteine o grassi.
Se però ci riferiamo ai nutrienti non solo per il loro contenuto calorico, ma anche e
soprattutto, per come sono in grado di influenzare le nostre risposte fisiologiche,
subito ci rendiamo conto che definire gli alimenti solo sotto l’aspetto calorico è una
semplificazione troppo semplicistica e pericolosa.
Molti fattori differenti influenzano quanta energia è veramente derivabile dalla
assunzione dietetica dei differenti macronutrienti.
Le calorie possono essere “perse” in differenti maniere; una ridotta assimilazione a
livello Gastro/intestinale e un’aumentata eliminazione sono ad esempio 2 vie ovvie.
Un aumento della termogenesi, ossia della spesa energetica per mantenere costante la
temperatura del nostro organismo, o del consumo energetico giornaliero in
conseguenza ad una maggior attività fisica, possono essere 2 altri esempi ovi di come
si possa aumentare il nostro consumo calorico.
Nel caso della termogenesi, che potremmo anche definire come il calore che viene
generato dal metabolismo di proteine, grassi e carboidrati derivanti dal cibo, l’effetto
termico dei nutrienti è approssimativamente del 2%-3% con riferimento ai grassi,
6%-8% con riferimento ai carboidrati e 25%-30% con riferimento alle proteine.
Il costo energetico del metabolismo proteico è più che sufficiente per spiegare il
vantaggio metabolico di una dieta a basso contenuto di carboidrati e alto contenuto
proteico, ma c’è di più.
E’ stato ben documentato che ad un aumento dell’ introito proteico giornaliero
corrisponde una maggiore ossidazione dei grassi.
La semplice sostituzione di cibi ad alto contenuto di carboidrati con alimenti che ne
contengano meno si riflette in una maggiore perdita di peso ponderale dei soggetti
esaminati.
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L’intensità applicata alla scienza dell’esercizio
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In uno studio è stato comparato l’effetto di 2 colazioni isocaloriche, una basata su un


contenuto di carboidrati che rappresentava circa il 60% del totale calorico del pasto e
la seconda basata su semplici uova, quindi principalmente a base di grassi e proteine,
quest’ultima induceva maggiore sazietà per un periodo più lungo di tempo nelle
persone sottoposte all’esperimento.
Anche il costo calorico nell’uso dei vari macronutrienti per la produzione di energia
differisce di molto da nutriente a nutriente, con le proteine da considerarsi le meno
efficienti.
Attraverso l’interazione di entrambe le vie citoplasmatiche e mitocondriali, è
possibile mettere a riserva, sotto forma di grasso corporeo, sia carboidrati che
proteine.
Nel caso delle proteine si comprendono sia gli amminoacidi glucogenici che
ketogenici.
L’ influenza che hanno i corpi chetonici sulla formazione dei grassi è ovvia, dal
momento che i chetoni sono facilmente metabolizzati a 2 unità di carbonio ed in
questo modo possono essere facilmente utilizzati per la lipogenesi.
Gli amminoacidi glucogenici possono entrare nel ciclo di Krebs direttamente come
intermedi e terminare dopo una serie di processi in unità ad 2 atomi di carbonio che
possono essere facilmente esportati nel citoplasma e impiegati per nuovi processi di
lipogenesi.
Le diete a basso contenuto di carboidrati ed alto contenuto proteico fanno molto più
che semplicemente far perdere peso.
E’ stato ben documentato che diete a basso contenuto di carboidrati ed alto contenuto
proteico migliorano la massa magra e quindi la composizione corporea dimostrando
anche che questi cambiamenti sono indipendenti dall’ apporto calorico.
Alcune ricerche hanno dimostrato che una dieta bassa in carboidrati è più efficace
nella perdita di grasso e mantenimento della massa muscolare sia da sola che in
comparazione con una dieta ad alto contenuto di carboidrati.
Per esempio, nel 1971 un gruppo di ricercatori, si concentrarono sugli effetti di 3
diete che avevano lo stesso apporto calorico e contenuto proteico, ma con differenti
contenuti in termini di grassi e carboidrati.
Ebbene, rilevarono che all’abbassarsi del contenuto di carboidrati nella dieta
corrispondeva una maggiore perdita in peso e grasso, in altre parole, gli uomini che
stavano utilizzando la dieta a più basso contenuto di carboidrati persero la maggior
quantità di peso e grasso.
Nel 1998, un altro studio, questa volta riguardante degli adolescenti obesi, arrivò alle
stesse conclusioni del precedente.
Dopo 8 settimane di dieta a basso contenuto di carboidrati i ragazzi non solo persero
una quantità significativa di peso e grasso, ma riuscirono perfino ad incrementare la
loro massa magra.
In un altro studio, una dieta a basso contenuto di carboidrati di 6 settimane, terminò
con un migliore rapporto in termini di composizione corporea generale a favore di

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una maggiore massa muscolare e minore quantità di tessuto adiposo in uomini non
grassi in normali condizioni fisiche.
Ancora una volta i risultati di questo studio indicano che una dieta a basso contenuto
di carboidrati rende l’organismo maggiormente capace di mobilitare e bruciare grassi
rispetto ad una normale dieta ad alto contenuto di carboidrati, mentre allo stesso
tempo aiuta a conservare la massa muscolare.
L’insulina, attraverso la sua capacità di variare le riserve di carboidrati e di grassi nel
nostro corpo, può anche rendere il nostro organismo più efficiente nell’uso delle
calorie derivanti dagli alimenti che introduciamo.
Per esempio, una diminuzione dei livelli plasmatici di insulina, un aumento nella
sensibilità all’ insulina e anche la mancanza di un recettore insulinico a livello del
tessuto adiposo, porta ad un aumento nella spesa energetica totale e aiuta a
proteggerci dall’obesità anche se si hanno stili di vita predisponenti a quest’ultima.
Le calorie derivanti da fonti differenti possono contribuire positivamente o
negativamente in merito ai differenti fattori coinvolti nel controllo e mantenimento
del peso, come ad esempio: l’appetito, la sazietà, il desiderio di mangiare e cambi
nell’ossidazione di altri sub-strati, facendo una grande differenza in termini di
fattibilità e mantenimento di un dato schema alimentare, e quindi, del più facile o
difficile raggiungimento di un dato obiettivo.
Un altro recente studio ha trovato che la quantità del grasso corporeo e la
composizione dei macronutrienti della nostra dieta, influenzano i tipi e la velocità di
ossidazione dei substrati energetici.
Questo studio ha rilevato che l’ingestione di un singolo pasto a basso tenore glucidico
e alto proteico, migliora, post-pasto, l’ossidazione dei grassi nelle donne obese e
produce un aumentata risposta termica.
Questa risposta è principalmente modulata dalle minori produzioni insuliniche e da
una maggior spesa calorica che deriva dall’assunzione di alimenti a basso contenuto
di zuccheri e alto di proteine.
L’aumentata perdita di peso e grasso conseguente a diete a basso tenore glucidico e
alte in proteine, è spesso stata associata all’aumentata termogenesi innescata dai
maggiori costi metabolici inerenti alla rottura o alla sintesi dei legami peptidici, la
ureogenesi e la gluconeogenesi che derivano da un’alta introduzione proteica.
Spero con questo Video-articolo di essere riuscito a chiarire sufficientemente questo
tema che spesso se non spiegato contribuisce ad alimentare uno stato di grande
disinformazione.

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