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POSITIVISMO E SCIENTISMO: Spencer, Saint-Simon, Comte e Durkheim

LA SOCIOLOGIA: CONTESTI STORICI E MODELLI CULTURALI di Crespi, Jedlowski, Rauti


N.B. Empirismo: per Locke la conoscenza è fondata sull'esperienza.
N.B. Utilitarismo: dottrina filosofica secondo la quale il bene si identifica con l'utile; indica anche una particolare
corrente fondata da Jeremy Bentham, il quale pensa che un'azione sia buona, cioè utile, se produce il più alto grado di
felicità per il maggior numero possibile di persone ("felicità" = presenza di piacere e l'assenza di dolore).
N.B. Liberalismo: atteggiamento dell'età moderna e contemporanea, opposto all'assolutismo, fondate essenzialmente
sul principio che il potere dello Stato debba essere limitato per favorire la libertà d'azione del singolo individuo.
N.B. Idealismo: l'idea è intesa come categoria razionale della realtà.
I concetti “popolo”, “stato e “società” vengono ripresi dagli autori romantici, considerati come i più rappresentativi
dell’età della Restaurazione, inaugurata dopo la fine dell’impero Napoleonico, dal congresso di Vienna (1815):
Edmund Burke, rimanendo nella tradizione inglese dell’empirismo (Locke) e dell’utilitarismo (Smith), nelle sue
famose Riflessioni sulla rivoluzione francese, critica il razionalismo illuministico, in quanto fonte di ideali illusori; al
presuntuoso progetto della Rivoluzione francese, Burke contrappone la costituzione inglese, la cui profonda saggezza
non risiede in una semplice regola o principio, ma in un complesso di tradizioni, costumi e istituzioni concrete
formatesi nei secoli.
Gli elementi tipicamente romantici (la rivalutazione della tradizione storica e dei sentimenti, la diffidenza verso la
ragione illuministica e il rifiuto delle forme disumane legate allo sviluppo della tecnica e dell’industria…) trattati da
Burke, verranno ripresi anche da Comte: anticipando il concetto comtiano del “colloquio con i morti” (i morti = i
grandi uomini del passato), Burke sottolinea che una società è il prodotto dell’insieme dei rapporti tra vivi e morti.
Il POSITIVISMO nasce e si diffonde verso la metà dell’800, nel momento di massimo decollo industriale (1790-
1840) à crescita del proletariato (che troverà presto espressione ideologica nel socialismo) e dei nuovi ceti borghesi
(portatori dei valori del liberalismo): si tratta di fenomeni che comportano da un lato mobilità sociale (dalle campagne
alle città) e dall’altro la pauperizzazione di massa (bassi salari; pessime condizioni di lavoro e donne-bambini
lavoratori).
I tentativi di alleanza degli operai per la difesa dei loro diritti vengono osteggiati dagli imprenditori inglesi sin dal
1799 attraverso le Combination act, leggi che, nel timore di movimenti ispirati alla Rivoluzione francese, furono
votate dal parlamento inglese per mettere fuori legge le associazioni dei lavoratori; in Francia appaiono le prime forme
sindacali, mentre in Germania la classe operaia comincerà ad organizzarsi solo dopo il 1848!
Il positivismo, che si sviluppa prima in Francia (con Saint-Simon e Comte) e poi in Inghilterra (con Spencer),
rappresenta da un lato un momento sociale, indirizzato alla creazione della fisiologia sociale/sociologia (scienza che
studia la società); dall’altro, un momento evoluzionistico, poiché si basa sulle teorie biologiche (darwinismo sociale).
Il positivismo afferma il primato della scienza (approccio naturalistico, che aveva caratterizzato il metodo
sperimentale di Galileo Galilei), considerata unica fonte legittima di conoscenza: gli studiosi positivisti non devono
chiedersi il “perché” di quel determinato fenomeno ma il “come” tali fenomeni si svolgono (essa è basata sulla scienza
empirica, che basa le conclusioni sull’osservazione diretta o sull’esperienza dei fatti); rafforza l’atteggiamento anti-
metafisico (metafisico = tutto ciò che non può essere osservato e verificato).
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Il Positivismo, fin dalle origini, si pone quindi due grandi obiettivi culturali: superamento della metafisica e il ricorso
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alla conoscenza scientifica dei fenomeni; fondazione di una filosofia positiva capace di rimanere fedele ai fatti;
In Francia il Positivismo è frutto di una maturazione della tradizione illuminista, nella sua veste empiristica!
Il positivismo non si limitò a rendere legittimi i successi delle scienze naturali, ma anche di riorganizzare/migliorare le
condizioni di vita della società, mettendo al centro del dibattito scientifico il ruolo della scienza nei confronti delle
questioni etiche, politiche e economiche, lasciate aperte all’età della Restaurazione ed accentuatesi a causa della
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rivoluzione industriale il XIX secolo dovrà essere il secolo dell’organizzazione sociale.
a. CLAUDE HENRI DE SAINT-SIMON (1760-1825) e lo sviluppo della società industriale
E’ un sociologo positivista, considerato il fondatore del socialismo francese (anche se si tratta di un socialismo
utopistico, poiché è diverso da quello di Marx; quello di S. Simon, a differenza di quello di Marx, non raggiunge gli
obbiettivi sociali attraverso la rivoluzione); egli nasce a Parigi e si forma nel clima dell’Illuminismo; in Francia, al
momento in cui inizia la rivoluzione, egli rinnega le sue origini nobiliari (è figlio di proprietari terrieri) e organizza
una società fondiaria con lo scopo di riflettere sui beni del clero messi a disposizione dell’Assemblea costituente; in
una cerimonia civile viene battezzato con il nuovo nome rivoluzionario di Claude Bonhomme; dopo esser stato
incarcerato e poi liberato, dirige per qualche tempo un’industria tessile e riprende le speculazioni fondiarie, creando
un’impresa di trasporti pubblici, che però solo un anno dopo sarà messa in vendita (malgrado ciò egli accumula
rapidamente una fortuna che gli consente di tenere un alto tenore di vita, anche se ben presto si ritroverà in difficoltà
finanziarie).
Nel suo progetto di rifondare la società, egli traccia una filosofia della storia: il progresso è un processo che non
segue un percorso lineare; il passato infatti è un alternarsi di epoche organiche (stabili; è la fase in cui dominano
società equilibrate; secondo Saint Simon è il Medioevo l’ultima fase organica) e critiche (fasi in cui dominano società
frammentate; dalla fine del Medioevo l’uomo vive un epoca critica: con l’Illuminismo l’ancieme regime è stato
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abbattuto ma non c’è stata una proposta di società alternativa si è pensato solo al presente, non al futuro).
Se da una parte le sue prime opere rivelano una fede nella scienza e nel progresso di origine tipicamente illuminista,
dall'altra egli è anche chiaramente influenzato dal nuovo prestigio assunto, negli scrittori romantici, dalla religione:
nella sua Introduzione ai lavori scientifici del XIX secolo tratteggia una teoria secondo la quale le religioni non sono
più considerate, come dagli illuministi, pure superstizioni, bensì come gli schemi della scienza primitiva.
Per fondare una nuova società, basata sulla tecnica e sulla scienza e finalizzata al progresso e alla produttività
dell’economia, Saint-Simon sostiene che debba essere superata l’organizzazione sociale propria del suo tempo:
egli nota che nella sua epoca il mondo sia suddiviso tra:
- gli operai industriali: (attivi, utili, produttivi): sono coloro che lavorano, che garantiscono il funzionamento
dell’economia e che permettono la vita stessa della società;
- la classe borghese (oziosi, inutili, parassiti): sono detengono il potere, pur non avendone il merito e le capacità,
vivendo sulle spalle degli industriali e del loro lavoro, al pari dei parassiti (es. i membri del clero, che vivono grazie
alle rendite; i proprietari terrieri; i nobili).
La proprietà senza lavoro è ozio”!
Nella Memoria sulla scienza dell’uomo Saint-Simon formula il concetto di fisiologia sociale (che con Comte
diventerà “sociologia”), una disciplina scientifica che ha come oggetto di studio la società e i fatti sociali; essa
analizza il corpo sociale nel suo insieme (e non i singoli individui).
La società, per Saint-Simon, non è la somma dei singoli individui/delle singole personalità, ma è un agglomerato, il
cui funzionamento è garantito dalla stretta e interdipendente collaborazione tra tutte le sue parti: la società, al pari di
un corpo umano, è funzionante se tutte le sue parti, come gli organi di un essere umano, svolgono in maniera efficace
la loro funzione (la società viene studiata con gli stessi metodi che gli scienziati applicano quando studiano gli
organismi).
La fisiologia sociale serve non solo a comprendere e descrivere la società, ma anche a costituire la base per stabilire le
leggi che governano la vita degli uomini nelle collettività e per permettere la fondazione di una nuova società.
Saint-Simon pubblica la rivista L’Industrie la quale esalta l’attività economica e sociale, glorificando il lavoro
industriale (il termine “industria” rappresenta il lavoro produttivo in tutte le sue forme: lavoro manuale, intellettuale,
tecnico).
Nel suo progetto di società, alla base di una nuova epoca organica, i rapporti di potere dovrebbero mutare: agli
scienziati competerebbe il potere spirituale, mentre agli industriali competerebbe potere temporale.
E’ possibile formulare una morale terrestre: prolungando la concezione di Rousseau di una società che si
autogoverna, Saint-Simon sogna una società basata sull’attività economica e regolata da principi scientifici rigorosi.
Il nuovo “regime industriale e scientifico” viene concepito come un sistema organico, organizzato in un sistema
politico suddiviso in: Camera di Invenzione, composta da ingegneri, letterati, artisti; Camera di Esame, composta da
fisici, fisiologi, matematici; Camera di Esecuzione, composta da ricchi imprenditori.
Il Nuovo cristianesimo è l’ultima opera di Saint Simon, scritta nell’anno della sua morte: egli, da acuto osservatore, sa
bene che i poveri sono la parte più notevole della popolazione; sottolinea quindi la necessità di aiutare la classe più
numerosa e più povera, che egli indica con il termine proletariato (termine che appare per la prima volta in un
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frammento del testo Dell’organizzazione sociale) sostenendo la necessità di combattere la miseria e la
l’impoverimento dei lavoratori, in particolare nel settore industriale, egli sottolinea l’importanza dei valori di
fratellanza universale e solidarietà.
Inoltre, una divisione dei beni in base al lavoro svolto, sono tutte le basi per la fondazione di una nuova società in
grado di integrare anche le sue parti più deboli!
b. COMTE (1798-1857) e l’esaltazione della scienza
Dopo la morte di Clotilde de Vaux, con la quale Comte aveva stabilito un appassionato rapporto amoroso, cade in una
profonda crisi religiosa che lo porterà all’idea di una religione fondata sul ricordo dei grandi “geni” del passato e
all’istituzione di una Chiesa positivista (della Scienza).
Egli ritiene che l’atteggiamento religioso sia ineliminabile dalla vita dell’uomo quindi, nello stadio positivo, occorrerà
educare l’uomo ad un nuovo tipo di religione attraverso il culto del “Grande essere” (al posto di Dio c’è l’umanità):
fonda così una religione laica e terrena, basata sull’esigenza di conciliare la sfera emotiva con quella razionale.
Egli elabora anche un calendario positivista in cu, al posto dei Santi, compaiono i nomi dei grandi scienziati che hanno
contribuito al progresso, il primo luogo Comte stesso, che si propone come “sacerdote” della Chiesa Positivista;
mentre i 7 giorni della settimana vengono rappresentati dalle 7 scienze.
La religione dell’umanità diventa la vera religione positiva, l’unica capace di prendere il posto del Cristianesimo.
Criticando il carattere riduttivo degli schemi utilitaristici dell'economia politica classica, sottolinea che i
comportamenti umani non possono essere compresi soltanto a partire dal presupposto della loro razionalità e dalla
logica fondata sul calcolo degli interessi, ma devono anche essere interpretati tenuto conto del loro contenuto emotivo
e delle loro aspirazioni di tipo non razionale.
Per Comte, la crisi politica e sociale del suo tempo è anzitutto una crisi intellettuale: per superare questa crisi
intellettuale, è necessaria una riforma globale del pensiero, quindi una riorganizzazione che, partendo dalle idee,
passa poi ai costumi e, infine, alle istituzioni sociali e politiche.
Il positivismo comtiano parte dal presupposto che la conoscenza è sempre relativa (utilizza il termine “positivismo”
come sinonimo di “relativismo”): secondo lui, la conoscenza si fonda sull’esperienza, che permette all’uomo di
giungere alla comprensione dei rapporti che uniscono le varie cose e i fatti tra loro (quindi non giunge all’assoluto).
Il termine “positivismo” usato da Comte indica, inoltre, il desiderio di superare il momento critico negativo che aveva
caratterizzato l’illuminismo: è lo stesso Comte a spiegarci come, con il termine “positivo” si intenda tutto ciò che è
reale (si rivolgere a ricerche accessibili all’intelletto umano); utile (rivolta al miglioramento di vita individuale e della
società); certo, preciso e stabile, in opposizione all’illusorio, all’ozioso, al dubbioso (il dubbio è tipico delle filosofie),
al vago (le nozioni vaghe sono tipiche della filosofia); critico.
Pur facendo costante riferimento alla scienza, in realtà Comte diffida di un sapere scientifico che non riconosce i suoi
limiti e che non sia guidato da un etica: egli pensa che l’ultima parola debba spettare ai filosofi e non agli scienziati
(metodo ipotetico-deduttivo: conciliazione tra analisi razionale e scientifica).
Una delle più grandi relazioni individuate da Comte è quella tra mondo della natura e mondo umano e sociale: egli
infatti concepisce la società come un organismo vivente e come tale sottoposta alle stesse leggi del mondo naturale
(leggi che si attuano in un modo naturale e spontaneo e che sono immodificabili).
Mentre la biologia studia il quadro naturale e l’uomo in quanto organismo vivente, la sociologia studia la cultura e
quindi anche la storia dell’umanità nel suo progresso e divenire; in base a questo presupposto, Comte individua 2
ambiti della sociologia: la statica sociale (o anatomia sociale), che analizza i fattori che determinano l’ordine sociale
e che tengono insieme la società (es. la religione, la famiglia ecc); la dinamica sociale (o fisiologia sociale), che
analizza i fattori del cambiamento sociale (essa ha stretti legami con la storia e può essere considerata come una vera e
propria filosofia della storia; es. legge dei 3 stadi).
Lo sviluppo si presenta attraverso 3 stadi, che corrispondo a 3 periodi (Medioevo, età moderna e contemporanea) e le
loro rispettive organizzazione (monarchia, sovranità popolare, sovranità scientifica), e alla storia della vita dell’uomo
(infanzia, giovinezza e maturità):
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-lo stadio teologico (stadio della religione dominano i sacerdoti): i fenomeni naturali sono spiegati ricorrendo a
entità soprannaturali; la natura è governata e rappresentata da forze divine (es. divinità);
-lo stadio metafisico (stadio della filosofia dominano i filosofi): la società, l’uomo e la natura sono dominati da entità
astratte/da idee (es. illuminismo; Cartesio ecc.);
-lo stadio positivo (stadio della scienza: dominano gli scienziati): l’uomo si rivolge alle leggi scientifiche (la
conoscenza umana, dunque, spiega l’accadere dei fenomeni ricorrendo a cause naturali, accostandosi solo a ciò che
può conoscere in modo certo).
Lo stadio teologico è un'epoca di ordine, fondata sul mito; lo stadio metafisico è invece un'epoca di progresso che,
rompendo l'ordine primitivo attraverso una critica delle concezioni mitiche, arriva a definire realtà concrete; lo stadio
positivo riesce ad unire ordine e progresso!
Comte si propone di realizzare una sintesi tra ordine e progresso e tra politica e scienza: egli si rivolge da un lato al
sapere scientifico, comprendendo sia la realtà naturale che quella sociale; dall'altro, si preoccupa di formulare nuovi
valori morali capaci di garantire forme universali di solidarietà sociale, facendo appello anche alle componenti
emotive e non razionali della psiche umana.
Comte applicò la legge dei tre stadi anche alle scienze: bisognava classificare le scienze sulla base della complessità,
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dell’ordine storico e pedagogico secondo Comte, tale “enciclopedia delle scienze” era formata da 5 scienze
fondamentali (matematica, fisica, chimica, biologia e sociologia) classificate, quindi, in base al loro oggetto (dal più
semplice al più complesso), alla loro comparsa, al raggiungimento del 3° stadio (stadio positivo) e all’ordine in cui
devono essere apprese!
Immaginiamo una piramide, alla cui base vi è la matematica, mentre al vertice vi è la sociologia, che ingloba i risultati
delle altre e aggiunge qualcosa di nuovo (da questo discorso appare chiaro come tutte le discipline siano subordinate e
abbiano una funzione “preparatoria” rispetto alla sociologia).
Il termine “sociologia” viene utilizzato da Comte, per la prima volta, nel suo Corso di filosofia positiva (1839),
sostituendolo alla precedente espressione “fisiologia sociale”, per designare quella parte della filosofia che si riferisce
allo studio delle leggi fondamentali dei fenomeni sociali.

c. DURKEIM (1858-1917) e l’istituzionalizzazione della sociologia


Con Durkheim la sociologia rinuncia alla pretesa comtiana di porsi come “regina delle scienze” e tende a costituirsi
come una disciplina scientifica accanto alle altre, dotata di proprio paradigmi teorici e metodi di analisi propri.
Durkheim nacque a Épinal, una città francese ai confini della GermaniaE’ considerato il padre della sociologia
moderna, accanto a figure come quelle di Weber, Simmel e Spencer.
Durkheim espose il suo pensiero in una serie di testi, considerati fondamentali per la definizione della sociologia come
disciplina autonoma; fondò l’Année sociologique, la prima rivista francese dedicata specificatamente alla sociologia.
Così come Comte, anche Durkheim pensa che non bisogna separare il determinismo del mondo naturale (scienza:
da all’uomo la padronanza dei fenomeni naturali; è basata sullo schema causa- effetto) dalle dimensioni razionali e
morali (filosofia: che consente all’individuo il controllo dei propri impulsi e del proprio agire), bensì conciliarli!
Durkheim tenta anche di conciliare l’esigenza morale, sottolineata da Comte (individualismo) con i principi
economici e politici (socialismo).
La teoria sociologica durkheimiana è fondata proprio sulla dicotomia società-individuo: secondo Durkheim la società
non è la somma degli individui che la compongono; ciò, però, non esclude il riconoscimento dell'importanza
dell'individuo in quanto valore culturale, prodotto dalla società stessa.
Nel suo articolo L’individualismo e gli intellettuali Durkheim afferma la necessità di un sistema di credenze collettive
che riconosca il carattere sacro della persona umana.
Durkheim pensa l'individuo come homo duplex (dualismo umano): da un lato vi è la sua individualità (rappresentata
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dalla parte biologica e sensoriale corpo e istinti); dall’altro vi è la sua moralità sociale (dimensione razionale che
frena gli istinti).
Durkheim parla di fatto sociale: con esso ci si riferisce a modi di agire, di pensare e di sentire che non dipendono
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dalla volontà dell'individuo, poichè sono determinati dalla società ad esempio, nel più importante studio del
sociologo francese, sul suicidio, costituisce un fatto sociale l'influenza della religione sulle probabilità di suicidio
(Durkheim affermò che le comunità cattoliche hanno un tasso di suicidi minore di quelle protestanti).
d. HERBERT SPENCER (1820-1903) e la sociologia evoluzionistica
Nel 1820 nasceva nel Regno Unito Herbert Spencer, destinato a diventare uno dei più importanti filosofi sostenitori
dell'evoluzionismo, corrente filosofica a cui aderì già nel 1851: i concetti base del suo pensiero sono l'evoluzione ed il
progresso, considerate leggi universali del cosmo.
A differenza di Darwin, Spencer sostiene che le leggi della biologia sono capaci di spiegare le dinamiche della fisica,
della cultura, della politica e dell'umanità; a ciò consegue che la soluzione per comprendere l'intera realtà, è quella di
applicarvi le leggi dell'evoluzionismo: quando Darwin formulò la sua teoria sull’evoluzione delle specie, secondo la
quale gli esseri viventi erano il risultato di un'evoluzione che vede sopravvivere l'organismo più forte sul più debole,
di certo non poteva immaginare che questa sarebbe stata applicata ai fenomeni sociali; è quello che invece è accaduto:
una teoria fondata soltanto su dati biologici e scientifici, si trasformò negli anni successivi in una filosofia fondata sul
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concetto di “lotta per la vita e la morte all’interno delle comunità umane” si parla di “darwinismo sociale”: Spencer
dà vita a un sistema ideologico che giustificò le guerre di conquista e le ineguaglianze sociali considerandole semplice
applicazione della selezione naturale alle civiltà umane; furono giustificati il colonialismo e il razzismo, in quanto fu
considerato legittimo sterminare “razze” considerate più deboli, in modo da lasciare posto agli esseri più adatti a
sopravvivere (ai colonizzatori e cittadini).
Altro tratto distintivo del pensiero di Spencer è la conciliazione tra scienza e religione, poiché la realtà, pur fondata
su leggi scientifiche, è "inconoscibile": la scienza è in grado di spiegare il come si verifica un determinato evento (la
natura dell’universo), ma non ne potrà mai capire l'essenza profonda (l’origine dell’universo); questa impotenza della
scienza implica l'esistenza della religione!

MODERNITA’ E CAPITALISMO e CAPITALISMO E COLONIALISMO: Marx, Weber e Du Bois


IL PROCESSO DI UNIFICAZIONE E LO SVILUPPO ECONOMICO-SOCIALE DELLA GERMANIA
Al termine delle guerre napoleoniche la Prussia si presentava come una confederazione di 39 diverse entità politiche
poste sotto la presidenza dell’Austria: fra queste entità, la più potente era proprio la Prussia che, nei decenni successivi
al Congresso di Vienna (1814-1815), fu in grado di proporsi come il promotore del processo di unificazione che
sfociò, nel 1871, nella proclamazione di un Reich unitario.
La Germania, che nella prima metà del secolo era un paese rurale (basato sull’agricoltura), a partire dagli anni ’50 si
avviò verso un processo di industrializzazione, trasformandosi quindi da un paese semifeudale in uno dei paesi
capitalistici più industrializzati e più urbanizzati del continente europeo.
Il paese, fino alla prima guerra mondiale, manifestava un orientamento conservatore, con un sistema di governo che
privilegiava nobili, militari e proprietari terrieri.
Il partito socialdemocratico tedesco, nato dalla frustrazione delle precedenti associazioni dei lavoratori, crebbe negli
ultimi decenni dell’800, nonostante le forti restrizioni legislative che ne vincolavano l’attività, fino a diventare un
modello per tutti i partiti socialisti.
N.B. i conservatori sono più vicini all’aristocrazia delle rendite fondiarie (feudalesimo); a una visione dello stato
fortemente gerarchica, incarnata dalla Corona; i liberali sono aperti alla nuova economia, all’espansione commerciale,
al progresso della scienza e dunque ad una concezione dinamica e riformatrice.

a. KARL MARX (1818-1883) e la critica dell’economia politica


Karl Marx nacque in Renania; a Parigi stringe amicizia con Friedrich Engels, figlio di un industriale tessile, con cui
scrisse “L’ideologia tedesca”, che rappresenta un punto di svolta nel passaggio dall’idealismo hegeliano alla
concezione materialistica.
A Bruxelles Marx entrò in contatto con diverse associazioni socialiste, da una delle quali ricevette l’incarico di
scrivere, insieme ad Engels, il “Manifesto del partito comunista”, in cui espone i principi del Partito Comunista;
l’opera afferma che tutta la storia passata si riduce alla storia di una lotta di classi.
Nel periodo londinese Marx venne fondata la prima Associazione internazionale dei lavoratori di cui Marx ne
divenne il presidente; essa, conosciuta anche come Prima Internazionale, era un'organizzazione internazionale avente
lo scopo di creare un legame internazionale tra i diversi gruppi politici di sinistra (socialisti, anarchici e marxisti) e le
varie organizzazioni di lavoratori (operai).
Le fonti iniziali marxiane consistono nella revisione del pensiero hegeliano da un lato, e nel confronto con il
socialismo utopistico francese dall’altro; nella maturità, invece, si dispiega in una critica dell’economia politica Il à
Capitale (sottotitolo di quest’opera è “Per la critica dell’economia politica”) è la prima esposizione della concezione
materialistica della storia e della teoria economica di Marx.
Vi sono due punti chiave in questa opera: il rapporto tra valore e moneta e il concetto di produzione.
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Sul piano generale, il contributo fondamentale di Marx consiste nella concezione materialistica della storia; sul
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piano sociologico in un’analisi del modo di produzione capitalistico; sul piano politico in una teoria del
comunismo, inteso come movimento che condurrà l’umanità al superamento del capitalismo al concetto di classe.
Piano generale: Il materialismo storico marxiano ha come impostazione generale l'idea hegeliana: Marx rivisita il
concetto hegeliano “alienazione” (dal latino “alienus” = “altro”, indica l’allontanamento o l’estraneazione da qualcosa
à
o qualcuno) Hegel utilizzava il termine “alienazione” per indicare il momento in cui l'Idea esce da sé e si oggettiva
in qualcosa di altro (es. natura); a seguito dell'alienazione, avviene la disalienazione, ossia il ritorno dell'idea a sè
stessa come Spirito; Marx, invece, nella sua concezione, utilizzava il termine “alienazione” per indicare la condizione
del proletariato nella società capitalista: infatti, il lavoratore si estrania da sè stesso, identificandosi con gli oggetti da
lui prodotti (con Hegel si parla di oggettivazione, con Marx si parla invece di smarrimento).
Piano sociologico: la storia degli uomini è la storia dei diversi “modi di produzione” che si sono succeduti nel tempo
(in altre parole è la storia delle tecniche e dei materiali disponibili per la produzione); l’interesse di Marx è rivolto
principalmente ad “un” modo di produzione borghese moderno/capitalistico, quello affermatosi con la rivoluzione
industriale e con il factory system è (un metodo di produzione che utilizza macchinari e divisione del lavoro; a causa
dell'elevato costo del capitale dei macchinari e degli edifici industriali, le fabbriche sono generalmente di proprietà
privata di individui o società facoltosi che impiegano manodopera operativa) in Inghilterra: il termine che egli utilizza
a riguardo è “capitalismo”.
In questo contesto si parla delle forze produttive (gli uomini che producono, il modo in cui producono e i mezzi di cui
si servono per produrre - salariati; industria; macchinari-) e dei rapporti di produzione (le relazioni che si formano tra
gli uomini nei processi di produzione e che consistono nel possesso o meno dei mezzi di produzione - capitalisti e
proletari); si tratta di rapporti dove entrano in relazione due classi: da una parte i proprietari dei mezzi di produzione –
la classe borghese, o classe capitalista – e dall'altra parte gli unici proprietari della forza-lavoro – il proletariato, o
classe operaia.
Marx riprende l'economia classica basata sui concetti terra, capitale e lavoro, a cui corrispondevano rispettivamente
la classe dei proprietari terrieri (il cui reddito è costituito dalla rendita), dei capitalisti (il cui reddito è il profitto) e dei
lavoratori (contadini, artigiani ecc., il cui reddito è il salario): Marx conosce questa tripartizione ma ritiene che la
classe dei proprietari terrieri, benché dotata di propri interessi specifici, a lungo andare verrà inglobata nella classe dei
capitalisti, mentre la classe dei lavoratori verrà inglobata nella classe del proletariato.
La relazione tra capitalisti e proletariato è mediata dal denaro: secondo Marx i rapporti tra capitalisti e
proletariato sono caratterizzati dallo sfruttamento dei primi nei confronti dei secondi; lavorando e trasformando le
materie prime utilizzate, l'operaio produce un valore superiore al valore del capitale inizialmente immesso dal
capitalista, produce cioè un plusvalore, il quale si converte poi nel profitto che è di proprietà del capitalista (è in
questa appropriazione che lo sfruttamento consiste).
La forza-lavoro dei lavoratori si presenta come una merce che viene venduta ai capitalisti in cambio di un salario.
I salariati sono uomini liberi dal punto di vista giuridico: su questo aspetto bisogna fare una distinzione tra classe
operaia e lavoratori (servi del feudalesimo: il vassallo non era libero giuridicamente, ma giurava fedeltà al padrone per
ricevere in cambio protezione).
I beni economici prodotti all'interno del modo di produzione capitalistico sono merci: queste possono essere
scambiate con altri beni (es. baratto) oppure con denaro; la merce è di natura concreta (cioè consiste in oggetti
materiali, semplici o complessi), e viene considerata differente dai beni immateriali (cioè dai servizi).
Un oggetto, per essere considerato fonte di ricchezza, deve avere un valore: una merce possiede sia un valore d'uso, (è
un oggetto utile che soddisfa bisogni umani di qualunque specie: es. il grano è una merce perché soddisfa il bisogno
dell'alimentazione), sia un valore di scambio, prezzo della merce stessa in base alle qualità e alle differenze tra le
singole merci.
Marx contesta il cosiddetto feticismo (si definisce una forma di religiosità che prevede l'adorazione di di oggetti -
spesso manufatti antropomorfi- ritenuti dotati di poteri magici) delle merci, tipico del capitalismo, in cui il prodotto
domina l'uomo e i rapporti sociali appaiono come semplici rapporti fra cose –forza-lavoro e capitale-, e dimenticando
che le merci sono il frutto del lavoro umano.
L’economia tende a trasformarsi in “ideologia” nella misura in cui rinuncia a prendere atto dello sfruttamento e ad
indagare il carattere storico dei rapporti sociali che costituiscono il modo di produzione attuale, descrivendoli al
contrario come se fossero naturali.
Per Marx il modo di produzione capitalistico è il più potente generatore di mutamento sociale della vita degli uomini
mai apparso nella storia.
Il capitale è definito tale solo se ha modo di accrescersi (per accrescersi però è costretto da un lato a rendere il lavoro
sempre più produttivo incrementando l’utilizzo di macchine e sollecitando la ricerca di nuovi mezzo di produzione e
per il trasporto delle merci, dall’altro ad assumere un numero crescente di persone); aumentando il capitale, i
capitalisti accrescono il proprio potere, e contemporaneamente provocano una crescita della classe operaia, che
diviene sempre più povera, ma anche sempre più consapevole della propria forza e ruolo della produzione.
Piano politico: la classe operaia si rende conto che la ricchezza che essa produce è prodotta collettivamente, ma che
poi è appropriata privatamente: sviluppando la coscienza di tale contrasto, il fine della classe operaia è quello di
edificare una società comunista, per abolire le differenze di classe.
Per indicare l’ideale di una società emancipata dallo sfruttamento erano disponibili sia il termine <<socialismo>> che
il termine <<comunismo>>: socialismo = movimento borghese; comunismo = movimento operaio (quindi al
socialismo era associata l’idea di un movimento di riforme graduali e parzialmente promosse dall’alto, al comunismo
quella di una rivoluzione radicale, promossa dal basso).
Agli inizi del 900 il pensiero di Marx ispirò in Russia i gruppi che nel 1917 fondarono l’Unione Sovietica, realizzando
la prima rivoluzione comunista della storia; in un paese in cui il capitalismo aveva appena incominciato ad emergere
da un mondo ancora feudale (vigeva lo zarismo), il marxismo fu trasformato da Lenin in una dottrina che metteva
l’accento sulla volontà politica e sulla leadership di un’avanguardia operaia, come i fattori cruciali del mutamento
rivoluzionario (il leninismo divenne la dottrina ufficiale che legittimava la dittatura del Partito comunista dell’URSS).
Il comunismo si trasformava così in una società burocratizzata, caratterizzata dalla formazione di una nuova classe di
funzionari legati al partito e dotati di un enorme potere.
Nel pensiero di Marx vi furono gli ideali capaci di ispirare lotte per la giustizia e per la dignità dei lavoratori!
NIETZSCHE
Nella sua prima fase vuole celebrare il trionfo della vita: davanti alla crudeltà/sofferenza/incertezza dell’esistenza
Nietzsche decide di essere un discepolo di Dioniso, dio dell’ebbrezza che si contrappone ad Apollo, dio dell'ordine e
della razionalità;
Nella sua seconda fase è mosso dal proposito di liberare la mente degli uomini dalla metafisica: la critica a questa
à
disciplina filosofica si concretizza nella nota espressione della “morte di Dio” secondo Nietzsche, Dio è “la nostra
più lunga menzogna”, poiché è la personificazione di tutte le varie certezze morali, religiose attraverso cui l’umanità
ha dato un senso rassicurante al “caos” della vita.
Con l’espressione "Dio è morto", Nietzsche intende la fine delle certezze che hanno guidato gli uomini per millenni: il
à
trauma causato dalla morte di Dio è il preludio dell’avvento del superuomo solo chi ha preso coscienza della sua
morte può riuscire a progettare la sua esistenza in modo libero e al di là di ogni costruzione metafisica (gli uomini
sono nascosti dietro l'illusione dell'esistenza di un mondo trascendente, che la religione cristiana ha promesso come
premio ai virtuosi che praticano la penitenza).
à
La sua terza fase si apre dunque con le alternative alla morte di Dio l’avvento del “superuomo”, un concetto
filosofico che si colloca nel futuro (da Ubermensch = “oltreuomo”-, cioè di un uomo oltre l’uomo esistente).
Nietzsche si allontana dal Cristianesimo, finendo poi con l'addebitare ad esso tutti i mali possibili della civiltà
occidentale: infatti, nel cristianesimo il filosofo individua il responsabile della decadenza della civiltà europea!

LO STORICISMO TEDESCO E LA DISTINZIONE TRA SCIENZE DELLA NATURA E SCIENZE DELLO


SPIRITO
Entrato nel linguaggio filosofico nel corso dell’Ottocento, il termine STORICISMO viene usato per indicare una
specifica corrente del pensiero tedesco, sorta alla fine dell’800, che rivendica l’autonomia delle scienze storico-sociali
(o dello spirito) da quelle naturali e tenta di definirne i presupposti teorici e metodologici.
L'atto di nascita dello Storicismo tedesco è l 'Introduzione delle scienze dello spirito (1883) di Dilthey: andando
contro il positivismo, il filosofo DILTHEY rivendicò l’autonomia delle scienze dello spirito e si assunse il compito di
individuarne le fondamenta teoriche.
Al centro dello storicismo tedesco sta la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito (o storico-
sociali): mentre le scienze naturali studiano la natura attraverso leggi scientifiche di carattere generale; le scienze dello
spirito studiano i fenomeni del mondo umano nella loro individualità.
Mentre le scienze naturali fanno ricorso alla spiegazione, le scienze dello spirito ricorrono alla comprensione: questa
“comprensione” è intesa da Dilthey con il concetto di “empatia”, ovvero la capacità dell’interprete di collocarsi al
posto del soggetto di cui intende interpretare l’agire.
Per quanto riguarda l’impossibilità di definire le leggi della vita sociale sul modello delle leggi proposte dalle scienze
della natura, Dilthey si oppone esplicitamente alle posizioni di Mill: le norme, i valori, le credenze che regolano la vita
degli uomini sono entità storicamente mutevoli.
Si distinguono da un lato le scienze che mirano alla costruzione di leggi generali (scienze nomotetiche) e dall’altro le
scienze che mirano a determinare la fisionomia di un dato fenomeno nella sua individualità (scienze idiografiche) à in
base a questa distinzione, scienze naturali e scienze dello spirito sono diverse, a causa del differente orientamento che
la conoscenza vi assume (differenza fra gli oggetti di cui esse si occupano)!
La conoscenza è il prodotto di un incontro tra mondi di significato diverso: quello degli attori sociali attorno a cui si
svolge la ricerca, e quello dell’osservatore che realizza tale ricerca.
Ciò che accomuna gli autori allo storicismo è la nozione della storicità dell’esistenza umana: ogni fenomeno umano
richiede di essere esaminato in chiave storica, poiché vive e muta nel tempo.
Lo storico, per esempio, non è interessato a stabilire perché si verifichino, in generale, le rivoluzioni, ma a
comprendere perché una certa rivoluzione è scoppiata proprio in quel dato momento e non in un altro e perché ha
1
assunto quelle specifiche caratteristiche; egli, inoltre, non spiega i fenomeni osservandoli dall’esterno, ma li
comprende rivivendone lo sviluppo: e può fare questo perché il mondo umano, a differenza di quello naturale, è opera
dell’uomo, che lo conosce quindi ‘dall’interno’, grazie alla sua esperienza vissuta.
Lo stesso materialismo di Marx può essere compreso nello storicismo tedesco!
-Quadro politico: l’opera di Simmel, Weber e altri autori si situa nella Germania dell’età guglielmina, così definita
dal nome dell’imperatore Guglielmo II, la cui politica può essere descritta come un assolutismo sociale (dopo
l’allontanamento di Bismarck, il potere resta nelle mani dell’imperatore e dei suo consiglieri, ma nel contempo si
manifesta una certa attenzione per i problemi sociali).
Il Partito socialdemocratico resta escluso da ogni forma di gestione di potere sociale; quest’ultimo, in questi decenni
era guidato da un uomo la cui posizione era quella di rafforzare l’organizzazione della classe operaia in attesa
dell’inevitabile crollo economico del capitalismo e della conseguente rivoluzione.
-Quadro economico: la Federazione degli agricoltori era un'organizzazione di interesse per l'agricoltura nel Reich
tedesco (1893) che emerse nel contesto della crisi agraria dei primi anni 1890 e che rappresentava gli interessi dei
proprietari terrieri, e premeva per una politica protezionista a favore dell’agricoltura; al di là degli interessi economici,
essa mostrava una critica verso il modernismo industriale.
-Quadro sociale: gli stipendi e le condizioni lavorative avvicinano il ceto medio alla classe operaia à
proletarizzazione.
N.B. L'espressione 'classe media' diventa di uso comune nel XIX secolo come sinonimo di 'borghesia
imprenditoriale', per indicare cioè la classe che per reddito, prestigio e potere occupa una posizione intermedia tra
l'aristocrazia e il proletariato.
-Quadro intellettuale: gli anni in cui vivono gli autori di questo periodo possono essere definiti “gli anni
dell’imperialismo”, anche se alla politica coloniale delle potenze europee essi non prestarono nessuna attenzione
(ricorda: politica di espansione coloniale da parte del Reich sui mercati esteri); il contesto su cui pongono la loro
attenzione è quello dello storicismo e del dibattito sul metodo delle scienze storico-sociali, entro cui si sforzano di
delineare lo statuto della sociologia: è il periodo della trasformazione economica-sociale (urbanizzazione, movimenti
politici, ascesa del socialismo), che loro colgono attraverso lo studio della cultura del tempo.
SIMMEL (1858-1918)
E’ considerato tra i padri fondatori della sociologia, insieme a Weber e a Durkheim: secondo Simmel, la sociologia è
un campo di studi aperto (non può fornire schemi, modelli o leggi universali, perché non esistono né fatti sociali, né
à
società che possano essere considerati entità valide universalmente) compito della sociologia è indagare le società
come realtà storiche determinate dalle relazioni sociali.
Per Simmel la “società” è un insieme di individui uniti da rapporti di interazione; il compito della sociologia è
descrivere e analizzare queste diverse forme di interazione: questo è il motivo per cui la sociologia di Simmel è
definita “sociologia delle forme”: il pensiero di Simmel si basa su una concezione del rapporto tra vita e forme la à
vita è una produzione di varie forme (forme di relazione, d’istituzioni, d’idee, di prodotti della vita economica =tutto
ciò che oggi chiameremmo con il termine di cultura).
La sociologia è per Simmel lo studio delle forme della sociazione: i legami di reciprocità, secondo Simmel, tendono a
sedimentarsi nel tempo e assumere un carattere stabile; è qui che entra in gioco la nozione di processo di sociazione,
à
mediante il quale la società si determina come Simmel spiega, la società non esiste affatto per certi versi: se ci
guardiamo attorno ciò che vediamo sono individui concreti, ma dov’è la società?: ciò non significa che la società non
esiste proprio, ma che esiste soltanto se ci si pone in una certa prospettiva (es. lo stesso individuo guardato da molto
vicino è composto di arti; visto da lontano può confondersi con il suo ambiente).
Gli individui, interagendo, danno vita a relazioni, che hanno un contenuto –es. impulsi, interessi, scopi degli
individui- e una forma -il modo di condurre l’interazione sociale).
La "Filosofia del denaro" (1900) è stata considerata l'opera migliore di Simmel, in cui vi sono due temi principali:
-oggettivazione (l'uomo diventa parte di un processo di produzione, non si riconosce più come autore del lavoro
=chiave marxista “alienazione”).
-rapporti fra denaro e libertà individuale: Simmel, occupandosi della vita moderna, dedica un importante studio allo
scambio economico e al denaro (che è il simbolo dell'epoca moderna); da un lato, la sua circolazione ha permesso di
ridurre i fenomeni di diretta subordinazione personale, ma al tempo stesso, in particolare nelle metropoli, ha
contribuito alla valutazione dell’uomo non in base alle sue qualità, ma alle sue funzioni.
Tragicità della vita moderna: l’uomo, per quanto libero, può patire una crisi che mette in luce le contraddizioni di
una vita impersonale e massificata dell’età moderna.
Per quanto riguarda i rapporti di interazione sociale e l’economia di mercato, Simmel è legato al feticismo delle merci
di Marx.
La diffusione dell’economia monetaria va di pari passo con il processo di intellettualizzazione (si distanzia il
soggetto dall’affetto e dall’impulso, tentando di controllarli razionalmente): denaro e intelletto trattano ogni cosa
à
senza badare alle differenze, promuovendo quindi l’indifferenza il tipo d’uomo più caratteristico della modernità
che presenta Simmel è il blasè, colui che annoiato percepisce ogni differenza come irrilevante e per il quale tutto
appare di un colore uniforme, in capace di suscitare preferenze.
La tematica di Simmel “intellettualizzazione” troverà riscontro nel concetto di “razionalizzazione” di Weber.
La metropoli è la sede dell’economia monetaria, dell’intellettualizzazione, del blasè e della libertà: all’interno della
vita moderna è il denaro stesso che si incarica di liberare l’individualità dai vincoli che precedentemente la
assoggettavano; ma la libertà che la metropoli e l’economia monetaria apportano al singolo individuo è tuttavia
ambivalente: ciò che in termini di libertà si guadagna da un lato, può comportare costi da un altro (crescente
dipendenza di ciascuno da un mondo di istituzioni e apparati che lo sovrastano).
Considerare la sociologia come un campo di studi il cui metodo è legato alla prospettiva dell’osservatore e come una
disciplina che non deve e non può fornire leggi universali ha segnato una netta distanza tra la sociologia e il
positivismo, corrente entro la quale la sociologia era nata.

b. WEBER (1864-1920) e il destino dell’occidente moderno


Economia e società presenta una definizione dei concetti fondamentali della sociologia weberiana: come vediamo
nella prima pagina dell’opera, per Weber, ”la sociologia è una scienza il cui primo obiettivo è quello di comprendere
l’agire sociale (comprendere da “verstehen”); la spiegazione viene dopo l’applicazione del procedimento
interpretativo; “comprendere un’azione” (agire sociale) vuol dire interpretare il significato che quell’azione per chi la
compie, individuandone poi le condizioni e i fattori che ne sono causa (spiegazione causale = spiegazione
condizionale).
E’ vero che la sociologia si occupa dell'agire degli uomini, ma non di tutto l'agire, bensì solo e specificamente
1
dell'agire sociale (l’agire umano non rientra nella sociologia): Es. l’atto di aprire l’ombrello non è un agire sociale
(nonostante lo facciano tutti se piove) poiché non è orientato ad atteggiamenti altrui, ma solo al fine di risparmiarsi
2
dalla pioggia (non ci si ripara per gli altri, ma per la pioggia), quindi è un agire umano; Es. l’atto di insegnare è un
agire sociale poiché è rivolto ad atteggiamenti altrui (si insegna agli altri).
L’agire sociale può essere distinto in 4 idealtipi (il tipo di ideale è uno strumento conoscitivo di cui lo scienziato fa
uso, mediante cui si realizza questo processo di generalizzazione); la distinzione tra i 4 tipi di ideali dipende dal senso
che l’azione ha per il soggetto che la compie:
1) agire razionale rispetto allo scopo: il soggetto agisce in vista di un fine determinato (es. preparare bene un esame
allo scopo di superarlo);
2) agire razionale rispetto al valore: non rimanda ad uno scopo da raggiungere, ma nell’affermazione del valore in
sé dell’agire stesso (es. scelte di acquisto coerenti con i propri valori: non compro su Amazon, nonostante i prezzi
convenienti, poiché conosco le condizioni in cui lavorano i dipendenti; mi allontano dallo scopo –ovvero quello di
risparmiare- perché considero i valori).
3) agire affettivo: azioni stabilite, nè da un fine né da un riferimento ad un valore, dalle emozioni del momento.
4) agire tradizionale: è stabilito da un’abitudine acquisita (da una consuetudine).
Nessun tipo ideale si manifesta nella sua purezza, poiché possono esistere delle combinazioni: es. non mangiare carne
per motivi religiosi: da un lato è un agire razionale rispetto al valore (legato a un sistema di valori) ma è anche un
agire tradizionale (affonda nelle tradizioni passate).
Si parla di relazione sociale quando più attori sociali sono in un rapporto tra loro (in questo contesto il senso dell'agire
à
di un soggetto dipende dall'atteggiamento dell'altro, e viceversa) «comunità» e «società» sono forme di relazioni
nelle quali l'accento è posto sull'integrazione; l’attenzione alla dimensione conflittuale (il conflitto può essere
pacifico o violento) in ambito sociale è un tratto caratteristico di Weber: egli tende a sottolineare come ordine e
coesione siano sempre instabili; in questo, è più vicino a Marx, anche se, diversamente da Marx, il conflitto tra le
classi sociali (proletariato e classe borghese) non ha importanza nel pensiero di Weber: alla “classe” (che rimane il
concetto adeguato alla stratificazione nella sfera economica) si affiancano il “ceto” (che riguarda la distribuzione del
prestigio nella sfera sociale) e la “collocazione di ciascun gruppo e di ciascun individuo all'interno della sfera
politica”, l'ambito del potere legittimo.
La differenza tra “potenza” e “potere” rimanda a situazioni differenti: chi subisce la potenza si trova costretto a
seguire la volontà dell’altro; chi subisce il potere si trova costretto ad obbedire ad un comando.
Weber distingue tre tipi di legittimazione del potere:
1) Tradizionale: il potere riceve la sua legittimità dal fatto di “provenire dal passato”;
2) Carismatico: il potere riceve la sua legittimità quando poggia sul rispetto al carattere sacro, alla forza eroica o al
valore esemplare di una persona e degli ordinamenti che essa crea ecc;
3) Razionale-legale: il potere riceve la sua legittimità quando poggia sulla credenza del diritto da parte di coloro che
sono chiamati ad esercitare il potere (le leggi non derivano la loro legittimità dal fatto di provenire dal passato, ma
dal fatto di essere state generate in modo razionale sulla base di una discussione formalmente pacifica).
A quest'ultimo potere è connessa la burocrazia che, in rapporto allo stato moderno, è un apparato di individui (i
funzionari) organizzato per il compimento di compiti amministrativi; esso è il più efficace sistema di amministrazione
apparso nella storia: tale efficienza è evidente se la si confronta con il patrimonialismo (sistema tipico delle società
basate sulla forma di legittimazione del potere tradizionale; caratteristico dell’Europa feudale, è una forma evolutiva
del patriarcalismo, incentrato sulle strutture familiari, in particolare sull'autorità dei padri nelle famiglie).
Tuttavia la burocrazia presenta degli svantaggi: è basata sulla spersonalizzazione (le stesse funzioni vanno eseguite a
prescindere dalla persona che è chiamata a svolgerle).
Caratterizzato da un atteggiamento razionalistico: il capitalismo occidentale moderno è inteso da Weber come un
sistema economico caratterizzato da imprese che producono per il mercato in vista di un profitto che, tipicamente, è
reinvestito nell'impresa stessa; tali imprese utilizzano in queste attività il lavoro di dipendenti formalmente liberi, per
le cui prestazioni è corrisposto un salario.
Il punto a cui Weber è interessato è la nascita dell’impresa capitalistica, la quale è possibile solo quando appare una
forma di agire economico orientata all'acquisizione di un profitto che non serve immediatamente al consumo, ma per
essere reinvestito ed accrescere così la produzione, per aumentarne il successo e difendersi dalla concorrenza (quindi,
in un certo senso, si tratta anche di rinunciare al desiderio di utilizzare i guadagni per goderne).
Il saggio “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” (1905) definisce le origini di questa esposizione economica:
il protestantesimo conobbe diverse versioni, anche se la più rilevante (almeno per quanto riguarda il discorso di
à
Weber) è quella calvinista Weber osserva che il protestantesimo si differenzia dal cattolicesimo per le fasi particolari
che pone sulla vita mondana: è su questo terreno che si istaura il concetto di Beruf (professione e vocazione); nella
versione calvinista è solo Dio che ha il potere di salvare l’uomo; quest’ultimo non può far nulla per mutare o
influenzare ciò che solo la grazia può concedere (l’uomo dunque non ha alcun potere sulla propria salvazione né
tramite la preghiera e né tramite le proprie azioni); egli rispetta il volere di Dio occupandosi della creazione divina (il
mondo) e contemporaneamente si vieta ogni indulgenza nei confronti dei piaceri che dal mondo possono derivare, nel
timore di scoprire in tali piaceri la tentazione e dunque il segno della propria dannazione.
Il lavoro assurge come modo di glorificare il signore e come strumento per evitare le tentazioni (la scarsa voglia di
lavorare diviene sintomo della mancanza della grazia); nel compimento del proprio Beruf, si rinuncia ad ogni
godimento: questo fenomeno è definito da Weber ascesi intramondana.
A differenza dei cattolici, per i calvinisti è estranea la possibilità del perdono dei peccati tramite il sacramento della
confessione poiché quest’ultimo non esiste in questa forma di cristianesimo (indulgere nel peccato è un segno della
dannazione eterna e non una caduta dalla quale ci si può rialzare).
Come abbiamo detto, per sviluppare un’impresa capitalistica è necessario dedicarsi nel modo più razionale possibile
alla propria professione economica e rinunciare al contempo al desiderio di utilizzare i guadagni per goderne, poichè
ciò che si è guadagnato deve essere investito nell’impresa per aumentare il successo e difendersi dalla concorrenza (lo
stesso succede nella religione, in quel fenomeno che Weber definisce ascesi intramondana).
La situazione che questa etica ha generato è tuttavia paradossale: è vero che favorisce la produzione di ricchezza, ma
quest’ultima, una volta prodotta, favorisce proprio ciò che per i primi protestanti era tentazione (Weber non mostra
delle critiche nei confronti del capitalismo ma una sottolineatura del suo carattere contraddittorio).
Il libro di Weber venne accolto come una sorta di manifesto antimarxista e a favore di una concezione idealistica
della storia: alla spiegazione del divenire storico della modernità fondata sul materialismo economico egli avrebbe
contrapposto una spiegazione dello stesso divenire basata su elementi culturali (antimarxismo); rilevante è la sua
nozione del fatto che le idee influiscono sulla storia degli uomini interagendo con i fattori materiali (idealismo).
Weber individua il nucleo del pensiero religioso nel bisogno di fornire spiegazioni sui misteri fondamentali che
riguardano la vita umana (morte, presenza di dolore, il male, ecc): le rappresentazioni di tali misteri costituiscono il
nucleo culturale di ogni società; vi è poi l'indagine dei nessi che tali rappresentazioni hanno con la stratificazione
à
sociale a seconda delle forme che tali rappresentazioni assumono, le diverse religioni e le società corrispondenti
sono poste da Weber all'interno di un continuum che procede dal pensiero religioso di tipo magico via via fino alle
religioni monoteistiche e ai loro successivi sviluppi (tale quadro storico mostra processi di razionalizzazione che
culminano prima nella nascita delle religioni della salvezza (che formulano principi capaci di ordinare l’esistenza dei
credenti all’interno della vita quotidiana) e poi portano alle soglie della modernità.
Il concetto di “razionalizzazione” (visto sotto il concetto di “intellettualizzazione”) aveva indicato lo sviluppo di
nuove forme di pianificazione delle attività lavorative, connesse all’esigenza di utilizzare un atteggiamento scientifico
nella gestione dell’economia; in “economia e società” la razionalizzazione compare come un processo caratteristico
della modernità in tutte le sfere di vita: si manifesta nell’ambito dell’economia come predominio dell’agire
capitalistico, in quello della politica come affermazione del potere razionale-legale, in quello amministrativo come
burocratizzazione; in “sociologia delle religioni” il concetto si allarga: cessa di essere caratteristica esclusiva
dell’Occidente moderno (la razionalità occidentale moderna è un atteggiamento orientato al controllo della natura).
Quando il processo di razionalizzazione si incontra con lo sviluppo della scienza moderna, la scienza a sua volta
provoca il disincanto del mondo, ovvero la rinuncia ad ogni atteggiamento magico e religioso a favore della fiducia
del fatto che non esistano forze misteriose che entrino in gioco ma che piuttosto tutte le cose si possano dominare
attraverso il calcolo (nato all’interno del pensiero religioso, il processo di razionalizzazione si trasforma così in critica
della religione stessa).
Quanto alle scienze della natura queste sono costrette dalla propria stessa logica a cancellare dal proprio campo la
sfera dei giudizi di valore: quando parliamo di Weber dobbiamo fare riferimento ai valori, ovvero orientamenti
culturali che determinano l’agire sociale; in questo senso lo scienziato non può escludere i valori dalla sua analisi,
poiché come abbiamo detto essi sono fondamentali per “comprendere l’agire sociale”.
Importante è però la distinzione tra fare riferimento ai valori e dare dei giudizi ai valori (criterio puramente
soggettivo): non è che i valori non possono far parte della ricerca sociale, ma semplicemente non devono essere
à
valutati (avalutatività e oggettività) non devono essere usati come criteri di giudizio (è bene o è male).
Il processo di razionalizzazione colloca i moderni in una situazione contraddittoria: da un lato offre loro la possibilità
di dominare “tecnicamente” la vita, dall’altro li consegna alla “gabbia di acciaio” di una razionalità che li lascia di
fronte alla questione del senso ultimo dell’esistenza.
L’ultima parola di Weber è responsabilità: l’individuo moderno deve convivere con l’idea di essere responsabile del
senso che attribuisce alla vita e delle conseguenze che derivano dalla sua scelta.
L’immagine di Weber è sostanzialmente neokantiana, il cui approccio sociologico è metodologicamente
individualista e conflittualista, e il cui interesse predominante è rivolto al destino delle forme sociali della modernità!
In breve, lo “spirito del capitalismo” può essere descritto così: l’uomo è moralmente tenuto ad aumentare il proprio
capitale; "guadagnare sempre più denaro a condizione di evitare ogni piacere spontaneo" è pensato come fine a se
stesso; l’attività di guadagno non è più in funzione dell’uomo quale mezzo per soddisfare i bisogni materiali della sua
vita, ma al contrario, è lo scopo della vita dell’uomo, ed egli è in sua funzione; il guadagno di denaro come risultato ed
espressione dell’abilità nella professione (Beruf).

SULLA LINEA DEL COLORE: RAZZA E DEMOCRAZIA NEGLI STATI UNITI E NEL MONDO di Du Bois
c. Gli Stati Uniti d’America, nel corso del Novecento e prima ancora nell’Ottocento, hanno attuato un’organizzazione
gerarchica della situazione razziale; anche se, tale organizzazione sociale, è possibile farla risalire al colonialismo.
DU BOIS è un pensatore afroamericano (contemporaneo di Weber -1864-) che ha dato un contributo rilevante alla
sociologia, introducendo i concetti di “razza” e di “razzializzazione” (rappresentazione delle differenze tra i gruppi
per fattori biologici) nella modernità.
N.B. Mentre Marx parlava di classe (ambito economico), Weber parla di ceto (ambito sociale/culturale).
Il concetto cardine moderno della teoria sociale di Du Bois è l’idea della linea del colore (o barriera del colore), che
rappresenta una frattura all’interno della modernità, senza la quale non è possibile organizzare gerarchicamente la
società all’interno del mondo moderno: Du Bois non si ferma a strutturare le diverse gerarchie soltanto sull'elemento
à
razziale, ma prova ad elaborare una sintesi tra i due ambiti, “classe” e “razza” allo stesso tempo evidenza come,
anche all'interno della stessa etnia, esistano delle differenze di classe: esistono neri-afroamericani che hanno la
possibilità scalare la vetta sociale e collocarsi su un piano differente rispetto ad altri membri della propria comunità.
Importante è la guerra civile americana, nota come guerra di secessione americana, fu combattuta negli anni ’60
dell’800 fra gli Stati Uniti d'America (Nord) e gli Stati Confederati d'America (Sud) per la questione della
à
schiavitù mentre il Nord spinge verso l’abolizione della schiavitù, il Sud cerca a tutti i costi di mantenere la schiavitù
dal momento che essa era motivo di grande profitto, visto che gli Stati del Sud erano ricchi di piantagioni di cotone, in
cui veniva sfruttata la manodopera proveniente dall'Africa.
Il nord è vicino, sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro, all’economia
europea (si fonda sostanzialmente sul lavoro salariato): per Du Bois la schiavitù è proprio il rapporto tra un Nord che
utilizza forza-lavoro salariato e un Sud fondato sulla schiavitù che consente di competere e avanzare dal punto di vista
economico (uno sul salario; l’altro sulla schiavitù).
Durante e dopo la seconda guerra mondiale l’industria al Sud crebbe molto (Washington diede certificati di necessità,
documenti che garantivano e facilitavano nell’accesso al credito per l’apertura di nuovi stabilimenti industriali nel
settore degli armamenti) e si costituì uno dei più grandi bacini di lavoro servile del mondo.
In America ci sono circa 15 milioni di persone di discendenza nera: l’83% non è impiegato nell’agricoltura perchè
sono strettamente legati all'industria.
[paradosso del capitalismo: uno dei principali paradossi del capitalismo riguarda la disuguaglianza economica tra
Nord e Sud (può portare a una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi individui o gruppi)].
Per la maggior parte il Nero istruito è sempre legato alla forza e coesione del proprio gruppo e le sue memorie
personali sono le memorie dell’oppressione: oggi il gruppo nero è lontano dall’essere rivoluzionario; è stata l’azione
federale a emanciparlo dalla schiavitù ed è la sua unica speranza per rendere operativo il comitato istituito da
Roosevelt, sotto la pressione del “movimento della marcia su Washington” che minacciava di organizzare una marcia
su Washington di 100 mila afroamericani , se non fossero terminate le discriminazioni all’interno dell’industria
bellica.
Sono gli Stati Uniti che si sforzano in ogni modo di schiavizzare l'Asia e l'Africa, e i neri americani istruiti e ricchi si
uniranno alla marcia per l’emancipazione economica, perché altrimenti non potranno essere liberi nemmeno loro.
Non si parla soltanto della schiavitù come forma di organizzazione della forza lavoro negli Stati Uniti d'America e nel
Sud America, ma di una schiavitù come movimento di persone, come sistema di gestione della forza lavoro che lega
à
l'Europa da una parte e gli Stati Uniti e le Americhe dall'altra i colonizzatori europei, attraverso la deportazione degli
schiavi africani, avevano creato la cosiddetta tratta atlantica.
Du Bois definisce la civiltà nera come civiltà maggiormente sviluppata e avanzata: l'età moderna è caratterizzata da
enormi spostamenti di popolazione su scala mondiale e incorpora la civiltà nera/la forma dell'ibridità, perché gli
africani deportati nelle Americhe hanno dato forma a nuovi incontri e nuovi rapporti tra etnie, rispetto all'Europa che
invece è rimasta, secondo Du Bois, bloccata all'interno della propria bianchezza.
Du Bois parla anche di “razza” e “genere” : la struttura capitalistica farà di tutto per impedire a certi tipi di razze e
genere di accedere ad alti livelli di salario perché quei livelli sono perlopiù riferiti ai maschi, bianchi e europei (gruppi
à
dominanti) il caso più eclatante è quello delle afroamericane, perché all’interno della forza lavoro mondiale, se sei
nero sei collocato al di sotto, ma se sei una donna sei collocata ancora più in basso.
La possibilità che una persona di colore in un contesto razziale diventi manager fortifica la speranza di farcela
all’interno di un sistema che è strutturalmente fondato sulla disuguaglianza.
N.B: il saggio di De Bois vuole affrontare la questione di quale sarà lo spazio critico che questo gruppo occuperà nello
sviluppo della crisi del capitalismo degli USA, la quale nasce dal fatto che questa nazione cerca di opporsi al
socialismo.

MODERNIZZAZIONE E SUD GLOBALE


TERZO MONDO E TERZOMONDISMO di Ascione
1° MONDO (appartenente alla NATO): i paesi capitalistici (egemonia degli USA);
2° MONDO (appartenente al patto di Varsavia): i paesi socialisti e sviluppati (egemonia dell’URRS);
à
3° MONDO: le ex colonie paesi emergenti e in via di sviluppo e non Allineati (né degli USA e né dell’URSS);
4° MONDO: i paesi sotto-sviluppati (bassissimi gradi di asset politici, economici, culturali e sociali).
COLONIALISMO: forma diretta di dominazione (XV sec., con la scoperta dell’America -1492);
DECOLONIZZAZIONE: processo per cui un territorio, sottoposto a dominazione coloniale, ottiene l’indipendenza
(dal Paese ex colonizzatore e/o viene riconsegnato al suo stato nazionale); la decolonizzazione è nata sulla base di un
rifiuto di dover scegliere uno dei due schieramenti (USA o URSS).
In generale la decolonizzazione ha avuto conseguenze disastrose: le ex potenze coloniali hanno lasciato le ex colonie
nel caos totale, senza aiuti e in preda alle lotte interne, che molto spesso sono sfociate in guerre civili (motivi
economici o etnico-religiosi-identitari); di questi conflitti interni si sono approfittate le multinazionali, provenienti
dalle vecchie potenze coloniali (paesi capitalistici e industrializzati) per imporre i propri interessi commerciali e
politici, mantenendo una forma indiretta di colonizzazione: questo nuovo sistema di dominio prende il nome di
NEOCOLONIALISMO (o imperialismo =soft power).
POSTCOLONIALISMO rappresenta lo studio culturale, politico ed economico del colonialismo e del
neocolonialismo; questo campo emerge gradualmente con il declino del colonialismo europeo a partire dagli anni 70,
con la pubblicazione di opere da parte di studiosi di paesi precedentemente colonizzati (provenienti soprattutto
dall'Africa, India, e Medio Oriente) che si concentrano sugli effetti persistenti del colonialismo, sviluppando un'analisi
critica della storia, della cultura e del discorso del potere imperialista europeo; altri studiosi post-coloniali sono quelli
appartenenti al pensiero occidentale (ai postmodernisti; studiosi dei sistemi-mondo).
La critica postcoloniale si oppone al “diffusionismo”, una corrente ideologica nata a fine 800, che sosteneva che
una cultura o tratti culturali possono diffondersi geograficamente (da qui la spiegazione alle somiglianze di alcuni
tratti culturali simili appartenenti a civiltà anche molto distanti dal punto di vista spaziale).
CAP. 1-2: Il farsi storia del concetto di “terzo mondo” e la “parabola del terzomondismo” (1955-1981)
Nelle scienze sociali si usa il termine “etnocentrismo” per riferirsi alla tendenza di giudicare, studiare, e talvolta
discriminare, un’altra cultura usando i criteri della propria, riflettendo le proprie idee di sviluppo e evoluzione (la
cultura di riferimento è vista come superiore a confronto con le altre); l’eurocentrismo è una forma di etnocentrismo
che ha esaltato il ruolo storico della cultura occidentale a discapito delle altre culture e civiltà del resto del mondo.
Con visione eurocentrica della storia si intende quella tendenza a considerare l'Europa come centro politico, culturale
ed economico del mondo; l’eurocentrismo fu superato dopo la Seconda guerra mondiale, con la crescita di importanza
di altre aree del mondo come l’America e l'Asia (è in questo contesto l'Europa fu consapevole di aver perso
l'egemonia culturale e politica planetaria).
Uno dei critici dell’eurocentrismo è lo scrittore Edward Said, che nel suo saggio del 1978, ha parlato di
“Orientalismo”, inteso non come un discorso sull’Oriente, bensì come una costruzione distorta dell’Oriente, utilizzata
per giustificare l’influenza e il dominio da parte delle nazioni occidentali.
La parabola del concetto di Terzo Mondo è la storia dell’ascesa, dell’affermazione e dell’attuale declino di una
grande narrazione della storia del mondo che, a partire dal XIX secolo, ha legittimato il ruolo dominante
dell’Occidente sulla scena mondiale.
Terzo Mondo è un termine economico e geo-politico della seconda metà del 900: secondo John Toyle, «il Terzo
Mondo non dovrebbe scomparire dalle nostre menti, ma dovrebbe piuttosto ricordarci continuamente della nostra
incapacità di percepirci come appartenenti a un solo mondo e non a molti.
Il termine “Terzo Mondo” fu usato per primo dall'economista francese Alfred Sauvy agli inizi degli anni ‘50
(alludendo al "terzo stato", cioè la maggioranza di coloro che nella Francia di Luigi XVI prima della rivoluzione del
1789 non erano né ecclesiastici né nobili) per riferirsi ai paesi "non allineati", coloro che non aderirono né al blocco
sovietico e né al blocco occidentale; entrò nel linguaggio della politica internazionale nel 1955 durante la conferenza
di Bandung (si tiene in Indonesia, ex colonia olandese liberatasi nel 1949): i partecipanti a questa conferenza sono
Nasser, presidente egiziano di simpatie socialiste ma non legato a Mosca, Nehru, presidente indiano successore di
Gandhi, e Tito, presidente della Jugoslavia comunista (vi parteciparono in tutto 29 Paesi del "Sud del mondo").
Tale conferenza terminò con un documento di 10 punti (poi divenuto la base per varare il Non Allineamento) che si
chiamò "Dichiarazione per la promozione della pace nel mondo e la cooperazione" (o Spirito di Bandung): si
proclamò l'eguaglianza tra tutte le nazioni, il sostegno ai movimenti impegnati nella lotta verso il colonialismo (enfasi
anticoloniale), l’intensa collaborazione tra i governi di Asia e Africa, la creazione di un fondo per lo sviluppo
economico che operasse attraverso le Nazioni Unite; la condanna delle violazioni del diritto di autodeterminazione dei
popoli.
A conclusione della conferenza di Bandung, il primo ministro della Tanzania aveva dichiarato che con il non-
allineamento si afferma il diritto delle nazioni piccole, più deboli dal punto di vista militare, a determinare le loro
politiche nel proprio interesse e ad avere un'influenza negli affari mondiali.
A distanza di quasi 50 anni dalla coniazione dell'espressione, i paesi che allora costituivano il Terzo mondo hanno,
subito evoluzioni diverse e non sono più raggruppabili in una singola realtà omogenea: molti paesi asiatici si sono
industrializzati o comunque hanno sviluppato economie indipendenti e autonome, mentre molti paesi africani restano
poveri ed economicamente arretrati.
Già nel 1989 lo stesso Alfred Sauvy prese atto, su un articolo del quotidiano “Le Monde”, di come l'espressione Terzo
mondo da lui coniata fosse diventata inadeguata, perché "...inglobare nello stesso termine i paesi dell'Africa nera e i
"Quattro Dragoni" non può certo portare molto lontano”: per questo motivo è stato coniato il nuovo termine di
“Quarto mondo” per indicare il gruppo dei paesi sotto-sviluppati.
In virtù delle teorie della modernizzazione elaborate a partire dagli anni ’50 intorno al concetto di stadi di sviluppo, lo
sviluppo sarebbe la risposta al problema della povertà, dell'arretratezza, del sottosviluppo del Quarto Mondo.
Secondo la narrazione eurocentrica, il passaggio dall'arretratezza al progresso sociale era immaginato come l'esito di
un processo di lunga durata consistito nell'espansione spaziale dell'Europa sul globo; grazie a questo processo,
l'Europa esportava i benefici delle sue conquiste morali, tecnologiche, organizzative al resto del mondo.
L'Europa ha teso sempre a rappresentare sè stessa in termini di opposizioni antitetiche rispetto ai suoi altri:
nobile/selvaggio; civilizzato/primitivo; colonizzatore/colonizzato; moderno/arretrato.
Gli Stati Uniti d'America, entrati nel primo conflitto mondiale come debitori dell'Europa, godevano del vantaggio di
non avere subito danni al proprio apparato industriale ed erano divenuti i creditori del mondo: il grado di prosperità, la
potenza produttiva messa in campo nel conflitto, la supremazia militare espressa sul campo di battaglia e la prova di
forza di Hiroshima e Nagasaki proiettavano gli USA come guida di quel "mondo libero" che all'indomani del conflitto
iniziò a riconoscersi in opposizione al nascente blocco sovietico.
Il Terzo Mondo rappresentava più della metà dei territori e della popolazione mondiale!
La frattura coloniale separava l'immagine degli Stati Uniti da quella del vecchio continente (Eurafrasia=Europa,
Africa, Asia), spaccato a sua volta fra vincitori (Asia e Europa) e vinti (Africa).
Ciò che rimaneva appannaggio dell'uomo bianco era la tecnologia: come ha osservato Wallerstein, l'elemento che ha
strutturato il dominio dell'Occidente sia prima che dopo i due conflitti mondiali (1° e 2° guerra mondiale) è la
modernità della tecnologia (raggiungimento del livello tecnologico più avanzato in un dato periodo storico) e la
modernità della liberazione (Wilson offrì l'autodeterminazione delle nazioni e i presidenti Roosvelt, Truman e
Kennedy offrirono il suffragio universale e il welfare state).
Bandung fu seguita dall’incontro del NAM (Non-Aligned Movement) a Belgrado nel settembre 1961, dove, una serie
di stati, tra cui il Pakistan, che pure erano presenti a Bandung, furono esclusi poiché apertamente schierati con una
delle due superpotenze (negoziarono con le due superpotenze -USA e URSS- in diversi fattori -economici o politici);
governi rivoluzionari di ispirazione marxista-leninista, invece, furono invitati per la prima volta.
Per le due "superpotenze", dal punto di vista geopolitico, il NAM costituiva un problema ma anche un'opportunità di
estendere la propria sfera d'influenza (tentarono di alimentarne le rivalità interne e indebolirne il peso collettivo).
Nasser fu il primo moderno leader dell'Egitto indipendente, che visse nell'ambizione di trasformare la sua nazione nel
più importante dei paesi arabi e del Terzo Mondo.
Ma la figura più emblematica del NAM resta Nkrumah, primo presidente del Ghana indipendente: fu il primo leader
dell'Africa nera a far ottenere al suo paese l'autogoverno; è anche molto popolare tra i suoi connazionali per la sua
denuncia del neocolonialismo.
Nel capitolo conclusivo di “Neocolonialismo”, intitolato “I meccanismi del neo-colonialismo”, Nkrumah denunciava,
il sistema dell’“aiuto" allo sviluppo: questo "aiuto" si rivela essere un metodo moderno di estrazione della ricchezza
(una trappola del debito); un'altra trappola economica è l’aiuto attraverso le organizzazioni internazionali;
quest’ultime agiscono forzando gli aspiranti debitori ad accettare condizioni offensive, come fornire informazioni
sulle loro economie, sottoporre i loro piani economici alla revisione della Banca mondiale e accettare che fosse
quest'ultima a supervisionare l'utilizzo dei fondi ottenuti.
I paesi del Terzo Mondo, membri delle Nazioni Unite, spinsero affinché la gestione dei prestiti fosse regolata da un
istituto dell'Onu, ma i paesi ricchi fecero in modo che fosse la Banca mondiale, e non le Nazioni Unite, a occuparsene.
Gli Stati Uniti d'America avviarono il gigantesco programma di investimenti e trasferimento di tecnologie verso
l'America Latina, noto come Alleanza per il Progresso (voluto dal Presidente degli Stati Uniti d'America Kennedy
nel 1961) con lo scopo di stabilire la collaborazione economica tra gli Stati Uniti d'America e l'America Latina
(inaugurando la formula dell'aiuto economico allo sviluppo per i paesi del Terzo Mondo).
Proprio a L'Havana (1966), ebbe luogo la Conferenza Tricontinentale di Solidarietà tra i popoli di Asia, Africa e
America Latina: mentre a Bandung si erano riuniti i paesi di nuova indipendenza, la Tricontinentale coinvolse
delegazioni provenienti dalle diverse aree geografiche i cui popoli avevano come esperienza storica comune quella del
colonialismo come esperienza storica (gli obiettivi sono sempre gli stessi della conferenza di Bandung e della NAM).
Il terzomondismo è una dottrina politica secondo la quale le antiche potenze coloniali sarebbero responsabili della
povertà delle loro antiche colonie, nella misura in cui lo sfruttamento intensivo delle ricchezze e risorse naturali di
queste ultime, non sarebbe servito a creare maggiore benessere e sviluppo nelle regioni occupate, ma avrebbe
procurato benefici solo alle stesse nazioni colonizzatrici.
Nel 1964, 77 paesi del Terzo Mondo, guidati dall'America Latina, diedero vita al Gruppo dei 77 (G-77) e spinsero per
la fondazione dell'Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo), organo delle Nazioni
Unite, operante nei settori del commercio, sviluppo, finanza, tecnologia, imprenditoria e sviluppo sostenibile; i paesi
del terzo mondo chiesero la stabilizzazione dei prezzi dei beni d'importazione dai paesi industrializzati, compresi
quelli tecnologici; l'aumento dei prezzi delle materie prime e dei semilavorati che esportavano (in sintesi, il Terzo
Mondo aspirava a godere dell'espansione dell'economia mondiale).
Con la Dichiarazione per la realizzazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale, i paesi del Terzo Mondo
rivendicarono la libertà di nazionalizzare i settori che ritenevano di vitale importanza per le economie nazionali,
chiesero maggiore disponibilità di fondi per lo sviluppo in breve periodo e la redistribuzione di parte della ricchezza
mondiale che avevano contribuito e continuavano ampiamente a creare.
Eppure, per quanto questa iniziativa fosse dipinta come "la ribellione del Terzo Mondo", essa segnò allo stesso tempo
l'inizio del "climaterio del terzomondismo”; la spinta ideologica del terzomondismo poggiava su un gruppo di stati a
medio reddito nazionale (tra questi il Messico, il Brasile, il Venezuela, l'Iran, l'Algeria) che controllavano risorse
strategiche e porzioni cruciali di catene di merci essenziali per il commercio mondiale e per le economie dei paesi
ricchi; lo strumento di mobilitazione su cui i paesi a medio reddito poterono costituire un'egemonia all'interno del G-
77 fu la denuncia del fallimento delle politiche di riduzione della povertà promosse dai paesi del centro (questo
fallimento fu addotto come evidenza dell’incapacità di quest’ultimi di gestire lo sviluppo in modo tale da estenderne i
vantaggi alle popolazioni che abitavano i paesi del terzo mondo).
Nel tentativo di coprire quantomeno gli interessi maturati, i paesi del terzo mondo negoziarono e rinegoziarono
individualmente le condizioni di restituzione dei prestiti, incappando in quella che, già nel 1974, Cheryl Payer aveva
battezzato la "Trappola del debito"; la gestione della crisi del debito fu affidata alla Banca mondiale.
Per i paesi del G-77, gli anni Ottanta proseguirono con la marginalizzazione e l'impoverimento di gran parte di essi,
nonché con un'ulteriore divergenza all'interno del gruppo delle NICS: da un lato la spettacolare ascesa delle "tigri
asiatiche", dall'altra gli spettacolari crolli dei paesi sudamericani.
Intanto, nel 1965, i paesi produttori di petrolio si erano alleati nell'Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di
petrolio, fondata nel 1960), che comprende tredici Paesi che si sono associati per negoziare con le compagnie
petrolifere aspetti riguardanti alla produzione di petrolio, prezzi e concessioni; il loro scopo era quello di stabilizzare i
prezzi del greggio, di limitare le interferenze dei paesi del Primo Mondo nella gestione delle scorte ecc.
Quando l'Opec decise di quadruplicare il prezzo del greggio nel 1973 e di bloccarne l'esportazione verso i paesi
occidentali al culmine della guerra del Kippur, la "crisi energetica" produsse un eccedenza di circa ottanta miliardi di
petrodollari, che furono accumulati nelle banche private europee; gli sbocchi possibili per arginare l'esondazione di
questo eccesso di liquidità nel circuito economico internazionale risultarono allora due: da un lato la via della
finanziarizzazione dei capitali; dall’altro la via dell'aiuto allo sviluppo.
Cap 3: Terzo Mondo oggi. Mito mobilitante o chimera paralizzante?
Diventerà comune pensare come postmoderna l’età contemporanea, qualificandola, con questo aggettivo, come «età
della fine del processo di modernizzazione».
Il terzomondismo è stato un mito mobilitante.
Nel 1981 Carl Pletsch affermò, per esempio, che la divisione del pianeta in tre mondi si basa su una coppia molto
à
astratta di distinzioni binarie prima, il mondo era stato diviso in parti "moderne" e “tradizionali”; poi la parte
moderna è stata divisa a sua volta in parti "comuniste" (o socialiste) e parti "libere".
Il declino del paradigma del Terzo Mondo nella teoria sociale e politica, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e
l'inizio degli anni Novanta, ha coinciso con la comparsa e la rapida diffusione della critica postcoloniale; quest’ultima
era strettamente connessa a quelle trasformazioni politico-economiche del capitalismo mondiale che avevano a loro
volta messo in crisi la “teoria dei tre mondi”.
Il termine Terzo Mondo, nato per designare (il “non allineamento”) fra stati-nazione nel contesto della Guerra Fredda
si è presto sviluppato anche in un'altra direzione: l'evidente divario economico fra questi paesi e gli stati-nazione
industrializzati, aveva suggerito che il “sottosviluppo” era un'ulteriore caratteristica comune; da lì in poi il termine
aveva cominciato ad essere sempre più centrale nelle analisi politico-economiche e sociali svolte dal Primo Mondo.
William Robinson aveva sostenuto in precedenza che la globalizzazione implicasse una ristrutturazione sia del centro
che della periferia, il cui esito è ciò che alcuni hanno identificato come "latinamericanizzazione" degli Stati Uniti
d'America o "terzomondizzazione" del Primo Mondo.
Se la ri-funzionalizzazione del concetto di Terzo Mondo appare legata all'ideologia dello sviluppo e all'immagine del
binomio povertà-arretratezza propria delle teorie della modernizzazione, l'appello allo spirito di Bandung come arma
di mobilitazione ideologica, somiglia a una chimera (ipotesi assurda) paralizzante, in grado di celare un rischioso
anacronismo (“rischioso” poichè si mostra implicitamente adattabile con i meccanismi di oppressione di cui proprio
élite terzomondiste sono state complici e agenti nel corso della storia del XX secolo; “anacronismo” per quanto
riguarda il configurarsi d'interessi ed esigenze organizzative divergenti nel quadro della competizione internazionale).
Il post-colonialismo si concretizza politicamente nella neutralizzazione del terzomondismo.
IL SISTEMA-MONDO
COMPRENDERE IL MONDO di Wallerstein
CAPITOLO 1: La notorietà di Wallerstein, sociologo tedesco, è dovuta soprattutto al suo più grande lavoro “The
Modern World-System”, in cui viene esposta una delle teorie più note nell’ambito delle scienze sociali: l’analisi dei
sistemi-mondo (il periodo preso in esame va dal XVI secolo alla 1° guerra mondiale).
L’analisi del sistema mondo, nata negli anni ’70 sulla base di dibattiti precedenti, non è proprio una teoria, bensì un
modo per chiedere un cambiamento sociale.
Intorno al XVIII secolo nacque l’università moderna, sull’impianto di quella medievale (nata nel 1088, Bologna):
à
aveva 4 facoltà “teologia”, “medicina”, “legge” e “filosofia”; quest’ultima fu poi divisa in due facoltà distinte: una
rivolta allo studio delle “scienze” e l’altra allo “studio umanistico”.
Le scienze erano concentrate sulla ricerca empirica e la verifica delle ipotesi (ricerca del vero: scienziati valutativi);
mentre gli studi umanistici, erano concentrati sulla ricerca empatica, definita poi come comprensione interpretativa
(ricerca del buono e del bello: filosofi).
Sul finire del XVIII secolo ebbe quindi inizio il “divorzio” tra filosofia e scienza!
Nel XIX secolo, le facoltà scientifiche e quelle umanistiche si divisero in una molteplicità di ambiti di studio
(astronomia, storia dell’arte ecc), definiti come “discipline”.
Le scienze sociali si collocarono a metà tra le scienze vere e proprie e gli studi umanistici: la più antica delle scienze
à
sociali fu la storia Leopold Ranke, uno storico tedesco dell'Ottocento, fu il fondatore di un metodo scientifico,
importante per la storiografia di quel periodo: i punti principali di questo metodo furono attenzione per le fonti
documentarie e studio rigoroso dei fatti à i fatti devono essere mostrati come sono effettivamente apparsi, astenendosi
dalle interpretazioni; egli denuncia quegli storici che tendevano a narrare storie, forse inventate, per celebrare Paesi e
monarchi, facendo ricorso alle agiografie; per evitare distorsioni gli storici sostenevano che potesse essere scritta la
storia passata (non quella del presente, perché quest’ultima era condizionata dalle passioni del momento).
A dispetto dell’empirismo che caratterizzava gli storici di quel periodo, c’era comunque un’enfasi sull’agire umano
che li indusse a considerarsi umanisti e non scienziati!
A causa della forte necessità di informazioni da parte dei leader politici sulle situazioni quotidiane dei vari Paesi,
1 2 3
nacquero 3 discipline: economia , scienza politica e sociologia , ognuna delle quali indagava, in modo diverso,
à 1 2 3
specifiche sfere sociali mercato (dagli economisti), Stato (dagli scienziati della politica), società (dai sociologi).
Queste 3 discipline sono definite discipline nomotetiche, poiché sono basate sulla ricerca di leggi scientifiche che
spiegano la realtà sociale (in contrapposizione alle discipline idiografiche).
Nel XIX secolo le 5 nazioni (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e diverse zone della Germania e dell’Italia) stavano
à
imponendo il loro dominio coloniale su altre parti del mondo, e con altre intrattenevano relazioni commerciali da qui
sembrò importante studiare tutto il resto del mondo, non solo una parte di esso; ma per fare ciò non bastavano le
discipline già presenti (rivolte solo allo studio dell’Occidente = società moderna), ne servivano altre per studiare le
altre parti del mondo; è così che nacquero altre 2 discipline:
-Antropologia: i primi antropologi studiavano popolazioni soggette al dominio coloniale; tali gruppi, definiti tribù
erano gruppi piccoli con un insieme condiviso di usanze, lingua e struttura politica; erano considerate come
popolazioni primitive.
La principale modalità di indagine fu l’osservazione partecipante, secondo la quale il ricercatore vive per un certo
periodo tra la popolazione, cercando di comprenderne l’intera gamma di usi e costumi e la lingua; poiché le tribù
erano culturalmente diversi da chi li studiava, gli antropologi si fecero aiutare dagli interpreti locali, sia
linguisticamente che culturalmente (quest’ultimi servirono anche ai moderni dominatori stranieri come principali
interpreti delle popolazioni governate).
-Orientalismo: il mondo però non era formato solo da società “primitive”, ma vi erano anche vaste regioni al di fuori
dell’area pan-europea, caratterizzate da una civiltà “avanzata” (Cina, Persia, India e il mondo arabo): queste zone
avevano in comune una scrittura, lingua e religione mondiale dominante (questo è il motivo per cui erano considerante
“avanzate”; non erano considerate “moderne” poiché non erano militarmente e tecnologicamente forti quanto il
mondo occidentale, ma non si potevano considerare neanche “primitive”).
Chi aveva competenze adatte a studiare questi popoli cominciò a definirsi “Orientalista”: lo studio di questi popoli, da
parte degli Orientalisti, derivava dalla lettura dei testi.
Antropologi-etnografici (studio di popolazioni primitive) ed Orientalisti (studio delle civiltà avanzate) avevano un
fattore comune: entrambi mettevano in evidenza le particolarità dei gruppi che studiavano, piuttosto che analizzare le
caratteristiche umane generiche (si sentivano, per questo, più affini al versante idiografico e non a quello nomotetico,
e quindi si collocarono nel campo umanistico, non in quello scientifico).
I paesi del 1° Mondo (gli Stati Uniti) divennero una potenza egemone del sistema-mondo; i paesi del 3° Mondo (le ex
colonie) divennero luoghi di auto-affermazione geopolitica: questi due eventi fecero sì che sorgesse la necessità di
formare storici, economisti, sociologi e scienziati della politica in grado di studiare ciò che stava accadendo nelle varie
parti del mondo, cosa che ne gli orientalisti e ne gli antropologi-etnografi potevano fare.
Sempre in questo periodo si parlava di un percorso di sviluppo (concetto che si affermò dopo il 1945) che tutte le
nazioni avrebbero dovuto seguire: famosa è la teoria dei 5 stadi di Rostow; gli stati più sviluppati potevano offrirsi
come modello per quelli meno sviluppati (come affermava Truman, presidente degli Stati Uniti, 1949).
In ogni disciplina si iniziarono a formare delle sub-specializzazioni, erodendo i confini rigidi tra le discipline (adesso
vi erano sociologi politici e storici sociali e altre combinazioni); lentamente, il termine “Orientalismo” scomparve, e
quelli che erano stati orientalisti divennero spesso storici.
Nelle scienze sociali, tra il 1945 e il 1970, vi furono 4 dibattiti che crearono le premesse per l’analisi del sistema-
mondo di Wallerstein:
-Dibattito sul “modo di produzione asiatico” (diverso dal modo di produzione occidentale, poiché ha regimi di
proprietà differenti), concetto teorizzato da Marx per descrivere l’economia di Paesi orientali come Cina o India; le
società asiatiche erano da sempre concepite a metà strada tra mondo “primitivo” –feudalesimo- e mondo “moderno” –
capitalismo- = civiltà avanzate.
Accantonato da Stalin per prevenire paragoni con l’URSS, esso venne “ripreso” dopo la morte del dittatore (1953):
questa ripresa generò la crisi del marxismo ortodosso (basato sulla rivoluzione e sul socialismo).
-Dibattito sul “centro-periferia”, un concetto che postulava l’esistenza di uno “scambio ineguale” tra i Paesi
economicamente più forti, collocati al centro, e quelli più arretrati, collocati in periferia (la ricchezza dalla periferia al
centro); si sosteneva, dunque, che il commercio internazionale non fosse un commercio tra eguali!
L’analisi del sistema-mondo suggeriva un rimedio all’ineguaglianza: una rivoluzione politica da parte degli stati
periferici.
La teoria della dipendenza (o marxista) utilizza il binomio centro-periferia: il centro si sviluppa grazie alle periferie,
poiché quest’ultime posseggono le materie prime necessarie per dare origine a prodotti finiti; d’altro canto, la periferia
dipende alla domanda del centro.
La teoria della dipendenza viene elaborata tra gli anni ‘50 e ‘70 da scienziati sociali dell’America Latina, per via della
pessima situazione socio-economico del proprio paese: i "radicali", che rappresentavano l'ala più estrema dei liberali,
proponevano riforme politiche egualitarie (es. introduzione del suffragio universale); essi avrebbero dovuto
collaborare con i “liberali” per giungere alla rivoluzione comunista (quella borghese = eliminare gli aristocratici) e poi
verso la rivoluzione socialista (quella operaia).
-Transizione dal feudalesimo al capitalismo: il marxismo ortodosso pensava che il capitalismo fosse l’inevitabile
progresso del feudalesimo.
Il dibattito sulle origini del capitalismo ebbe origine da due studiosi, Maurice Dobb e Paul Sweezy: secondo la
posizione di Dobb, la questione della transizione dal feudalesimo al capitalismo dipendeva da fattori interni agli stati
(es. cambiamenti dei rapporti di classe); mentre per Sweezy dipendeva da fattori esterni agli stati (es. flussi
commerciali).
-Storia totale: la scuola delle Annales (scuola storiografica) nacque in Francia negli anni ’20; essa sosteneva che la
storia dovesse essere totale, cioè dovesse studiare lo sviluppo storico, prendendo in considerazione i cambiamenti
politici, sociali, economici e culturali.
Secondo Braudel, storico appartenente alla scuola delle Annales, la storia non deve essere vista come un racconto
cronologico di avvenimenti: lo storico non deve limitarsi all’analisi del singolo fatto, ma deve essere in grado di
comprendere il contesto storico in cui esso si verifica; secondo questa concezione, elabora la teoria dei 3 tempi:
-micro-storia: studio del singolo evento (es. lucciola);
-storia strutturale (longue durée: durata di uno specifico sistema storico): studio del contesto storico dell’indagine (es.
paesaggio);
-storia basata sui processi ciclici: studio degli andamenti di medio periodo (es. di processo ciclico: espansione e
contrazione economica)
Ad oggi, ad essere analizzato, non è lo stato-nazione, bensì il sistema-mondo: il trattino in “sistema-mondo” vuole
sottolineare che non ci si sta riferendo a sistemi, economie, imperi che fanno parte del mondo, ma a sistemi, economie,
imperi che sono un mondo di per sé.
Wallerstein parla dell’esistenza di 3 tipi di sistema-mondo (mini-sistemi, imperi-mondo, economie-mondo),
integrandoli con le 3 forme di organizzazione economica (reciprocità, redistribuzione e mercato) dell’economista Karl
Polanyi: Wallerstein, quindi, individua nelle società primitive dei mini-sistemi basati sulla reciprocità: dinamica del
“dare e prendere” tipica del baratto; gli imperi-mondo erano basati sulla redistribuzione: “i beni si muovevano dalla
periferia al centro, per poi essere in parte restituiti”); dal XVI secolo si parla di economia-mondo basata sul mercato:
scambio monetario in uno spazio pubblico.

L’economia-mondo capitalistica era caratterizzata da una divisione assiale del lavoro tra processi produttivi centrali e
processi produttivi periferici (n.b. sono i processi produttivi e non gli stati ad essere centrali o periferici); i processi
“monopolizzati” (che erano quelli centrali) erano più redditizi di quelli di libero mercato (che erano quelli periferici), e
ciò ha reso più ricchi i paesi nei quali sono localizzati i processi centrali.
Il tempo strutturale elaborato da Braduel divenne centrale nell’analisi dei sistemi-mondo: per gli studiosi dei sistemi-
mondo, infatti, gli SpazioTempo sono una realtà in continua trasformazione: es. i minisistemi, economie-mondo ed
imperi-mondo non sono mai gli stessi tra un tempo e l’altro.
L’analisi dei sistemi-mondo era considerata unidisciplinare (non più multidisciplinare) visto che gli studiosi del
sistema-mondo analizzavano elementi che erano di competenza esclusiva degli storici, scienziati politici o sociologi.
Le 4 critiche all’analisi del sistema-mondo da parte degli studiosi, arrivarono da 4 direzioni:
1
Dai positivisti nomotetici: affermano che l’analisi dei sistemi-mondo era una “narrazione”, basata su ipotesi non
rigorosamente verificate (e quindi non è basata su dati certi).
Gli studiosi dei sistemi-mondo ribadirono che non bisognava scegliere il problema in base alla disponibilità di dati
rigorosi, ma di cercare i dati più appropriati in base al problema!
2
Dal marxismo ortodosso: accusa gli studiosi del sistema-mondo di trascurare la lotta di classe (borghesia e
proletariato), importante per il cambiamento sociale, e di non considerare il lavoro non salariato come in via
d’estinzione (gli studiosi del sistema-mondo sostengono che il lavoro salariato sia una delle tante forme di controllo
del lavoro all’interno di un sistema capitalistico)!
3
Dai sostenitori dell’autonomia degli stati: affermano che l’analisi dei sistemi-mondo riduce la sfera politica a un
ambito le cui realtà sono determinate dalla base economica.
4
Dai teorici del particolarismo culturale: accusano gli studiosi dei sistemi-mondo di economicismo (poiché danno
priorità alla sfera economica rispetto alle altre sfere); di eurocentrismo (poiché trascurano la centralità della "cultura";
infatti, gli studiosi dei sistemi-mondo rifiutano di sostituire una base culturale a una base economica).
1 2
L’analisi dei sistemi-mondo “accusa” un soggetto centrale: l’individuo (homo rationalis); il proletariato
3 4
industriale; l’uomo politico; ognuno di noi.
Per l’analisi dei sistemi-mondo tutti questi soggetti sono i prodotti di un processo: la loro libertà di azione è
vincolata dalle rispettive gabbie sociali di cui fanno parte (analizzare le proprie gabbie restituisce loro libertà).
CAPITOLO 2: il sistema-mondo moderno, che prima era localizzato solo in una parte del globo (principalmente in
alcune regioni dell’Europa e delle Americhe), per poi espandersi e coprire l’intero pianeta, è sempre stato
à
un’economia-mondo capitalistica con “economia-mondo capitalistica” si intende un’estesa area geografica al cui
interno esiste una divisione assiale del lavoro, uno scambio interno di prodotti e capitali; non ha una struttura politica
unitaria (a differenza dell’impero-mondo); include molte culture, religioni e lingue (non esiste omogeneità culturale).
Il sistema-mondo capitalistico dà priorità all’incessante accumulazione di capitale: le aziende accumulano capitale
al fine di accumulare ancor più capitale.
Un’economia-mondo è costituita da numerose istituzioni:
1. Mercato: è sia una concreta struttura locale in cui individui ed imprese vendono e comprano beni, e sia
un’istituzione virtuale transpaziale in cui avviene lo stesso genere di scambio (transpaziale perché si attraversano
le barriere: da uno Paese e all’altro).
Siccome il mercato virtuale totalmente libero (cioè senza interferenze) renderebbe impossibile l’incessante
accumulazione di capitale (es. di mercato libero: tanti venditori e tanti compratori—>sarebbe possibile, per i
compratori, contrattare al ribasso con i venditori), i venditori (capitalisti) hanno bisogno di un mercato virtuale
parzialmente libero.
à
E’ vero che i venditori preferiscono un monopolio tanti compratori e pochi venditori; il prezzo è determinato dal
monopolista; scarsa quantità disponibile di prodotti e prezzi alti (realizzando così elevati saggi di profitto); ma è anche
à
vero che è difficile creare un monopolio, a differenza dei semi-monopoli situazione intermedia tra monopolio e
oligopolio (uno dei più importanti modi per ottenere i semi-monopoli è il brevetto che riserva i diritti su
un’invenzione per un certo numero di anni per assicurare una considerevole accumulazione di capitale a chi li
controlla; quando un semi-monopolio cessa di esistere -i semi-monopoli, però, ad un certo punto si auto-estinguono-, i
grandi accumulatori spostano i loro capitali verso nuovi prodotti.
Una produzione protetta dai brevetti solitamente rimane solo un semi-monopolio, poiché possono esservi altri prodotti
simili sul mercato non coperti da un brevetto!
à
Gli oligopolio pochi compratori e molti venditori; formata da aziende grandi; gli oligopolio sono sufficienti a
conseguire un alto saggio di profitto, soprattutto perché le imprese spesso si accordano per ridurre la competizione.
2. Imprese: sono gli attori principali del mercato virtuale, in cui sono in competizione con altre imprese à il nome del
processo è quello di feroce rivalità inter-capitalistica (solo il più forte sopravvive, il più debole viene eliminato).
La divisione assiale del lavoro di un’economia-mondo capitalistica divide la produzione in prodotti centrali e
periferici.
Un modo per spostare il plusvalore (capitale accumulato) dalle regioni politicamente deboli (periferia) a quelle forti
(centro), è il saccheggio (es. di saccheggio: passaggio delle proprietà dallo Stato alla Mafia)!
I semi-monopoli sono localizzati all’interno di stati forti (poiché dipendono dal sostegno di quest’ultimi)!
Alcuni stati hanno una combinazione bilanciata di prodotti centrali e periferici: si parla di stati semi-periferici, i quali
subiscono pressione dagli stati centrali ed esercitano pressione sugli stati periferici; essi vogliono evitare di scivolare
nella periferia e fare in modo di salire verso il centro.
Agli inizi del XXI secolo i paesi che possono essere definiti semiperiferici sono la Corea del Sud, i Brasile e l'India:
sono paesi industrializzati che hanno relazioni con le aree centrali in qualità di importatori di prodotti più "avanzati".
Su scala mondiale vi è stata un aumento nella dimensione delle imprese, la cui conseguenza è stato un processo a zig
zag di espansione e contrazione delle dimensione delle imprese: man mano che un numero sempre maggiore di
imprese entra nel mercato di quello che un tempo era semi-monopolio, si verifica un’accumulazione di prodotti
(rispetto alla domanda effettiva) non venduti e un rallentamento della produzione à questo processo descritto può
essere rappresentato come una curva ciclica di fasi-A (di espansione delle imprese) e fasi-B (di stagnazione delle
imprese): questo ciclo è definito Ciclo di Kontratiev, dal nome dell’economista che ha descritto con chiarezza questo
à
fenomeno agli inizi del XX secolo; i cicli consistono, alternativamente, in una fase ascendente (fase A espansione) e
à
in una discendente (fase B stagnazione); questi cicli hanno avuto una durata compresa tra 50 e 60 anni (la durata
dipende dalle misure politiche adottate dagli stati per evitare una fase B).
Fenomeno della tendenza secolare: immaginiamo una curva la cui ascissa (X) indica il tempo e la cui ordinata (Y)
misura un fenomeno (muovendosi verso l’alto, con un andamento lineare, la percentuale ad un certo punto non potrà
à
più crescere: si parla in questo caso di raggiungimento dell’asintoto, o punto del 100%) es. le imprese crescono; ad
un certo punto i principali processi di produzione diventano meno redditizi e quindi iniziano ad essere rilocalizzati al
fine di ridurre i costi; i costi vengono ridotti, ma si riscontrano difficoltà nel trovare un n° sufficiente di consumatori
perché la qualità di quel prodotto non è eccellente, considerando che il lavoratori sono non-qualificati: sempre per il
motivo di riduzione dei costi si cerca di trovare persone che possono essere pagate poco, in quanto un livello di
retribuzione più alta significa profitti più bassi per gli imprenditori; includendo però nuove persone, si restringe il
gruppo di chi non fa parte di questa manodopera salariata; si giungerà così a un momento in cui questo gruppo si sarà
ridotto fino al punto da non esistere più (si sta per raggiungere l’asintoto).
3. I proletari sono i lavoratori salariati che non dispongono di mezzi di sostentamento come beni immobili o riserve
monetarie; quasi tutti i lavoratori sono legati ad altre persone in strutture di aggregati domestici che abitualmente
raggruppano individui di entrambi i sessi e di età diverse: il lavoro salariato è stato per lungo tempo
prevalentemente considerato il campo di attività di individui di sesso maschile di età compresa tra 14-18 anni fino
a 60-75 anni; mentre la piccola produzione di merci è stata definita come sfera di attività delle donne, dei bambini
e degli anziani).
Ciò che caratterizza un aggregato domestico è una certa forma di impegno a procurare un’entrata al gruppo, al fine di
sopravvivere collettivamente: es. aggregato domestico della classe lavoratrice messicana (l’uomo adulto è emigrato
negli Stati Uniti illegalmente e invia i soldi a casa; la donna adulta rimane a casa a coltivare un appezzamento di
terreno; la figlia adolescente lavora come domestica presso una famiglia di messicani benestanti ecc); non esistono
solamente gli aggregati domestici familiari.
Il termine “reddito” si articola in cinque varietà:
-da salario: pagamento in forma monetaria da parte di persone esterne all’aggregato domestico, per il lavoro di un
componente dell’aggregato domestico (es. stipendio); esso, per il datore di lavoro, ha il vantaggio di essere flessibile,
sebbene i sindacati e la legislazione statale abbiano spesso posto limiti alla flessibilità per i datori di lavoro; il datore
di lavoro mette in conto, senza che gli sia richiesto, di pagare i lavoratori in periodi nei quali essi non gli sono
necessari, in cambio della garanzia che tali lavoratori siano disponibili quando ne ha bisogno.
-d’attività di sussistenza: si basa sulla caccia, la raccolta, l'agricoltura, la pesca e l'allevamento, che consentono alle
persone di ottenere cibo e vestiti.
-da piccola produzione di merci: una piccola merce può essere realizzata all’interno dell’aggregato domestico
per essere venduta in cambio di denaro (o su un mercato più ampio o su un mercato più piccolo -es. un ragazzino
vende delle sigarette sfuse per strada ai consumatori che non possono permettersi di comprare interi pacchi; questo
tipo di attività consiste quindi nel disfare una confezione e portarla sul mercato di strada).
-da rendita: ciò che ne fa una rendita è il fatto che a rendere possibile il reddito non è un lavoro, ma la proprietà
(affitti, pedaggio su un ponte privato ecc.);
-da trasferimenti: es. doni o prestiti da una generazione a un’altra; possono avvenire ad opera dello stato o attraverso
un piano assicurativo.
1
Si distinguono due tipi di aggregato domestico: proletario (fortemente dipendente dal reddito da salario) e
2
semiproletario (la maggior parte dei suoi membri può fare affidamento almeno su qualche reddito da salario).
Esiste una soglia minima di retribuzione al di sotto della quale chi percepisce il salario non è disposto a lavorare
(salario minimo assoluto); se invece il lavoratore salariato è situato in un aggregato domestico semiproletario, potrà
essere retribuito per un livello inferiore a quello del salario minimo assoluto, senza necessariamente mettere a
repentaglio la sopravvivenza dell’aggregato domestico.
4. In un sistema capitalistico esistono delle classi, poiché vi sono persone che occupano posizioni differenti con
differenti livelli di reddito (sono gli aggregati domestici, e non i singoli individui, a essere collocati all’interno
delle classi; e infatti, gli individui che desiderano passare da una classe a un’altra spesso scoprono che, per
raggiungere tale obiettivo, dovranno uscire dal proprio aggregato domestico e collocarsi in altri aggregati
domestici).
5. Le classi, comunque, non sono gli unici gruppi dentro i quali gli aggregati domestici si collocano, ma ci sono anche
i gruppi di status (o identità): chiamandoli gruppi di status, si enfatizza il modo in cui tali gruppi sono percepiti
à
dagli altri; chiamandoli identità, si enfatizza il modo in cui i gruppi percepiscono se stessi (criterio soggettivo) si
tratta, in entrambi i casi, di etichette ascritte, poiché vi apparteniamo sin dalla nascita (è improbabile entrare a far
parte di questi gruppi per volontà).
All’interno degli aggregati domestici esiste una pressione affinché si conservi un’identità comune: questa pressione si
esercita sugli individui che si sposano e a cui si richiede di cercare il partner all'interno dello stesso gruppo di status
(tale omogeneizzazione, quindi, aiuta a conservare la coesione di un aggregato domestico); tuttavia, il costante
movimento degli individui all’interno del sistema-mondo moderno ha generato, nel quadro degli aggregati domestici,
un rimescolamento delle identità originarie.
I legami tra le varie istituzioni sono attraversati da 2 opposti ma interdipendenti motivi ideologici:
L’universalismo implica regole generali che si applicano indistintamente a tutti gli individui.
Le manifestazioni di universalismo sono molteplici: es. se trasferiamo il concetto di “universalismo” in ambito
aziendale, esso si traduce nell’assegnazione delle posizioni agli individui in base alla loro formazione.
Esso viene sempre incoraggiato e preservato per mantenerne l’autorevolezza; si ritiene che esso garantisca prestazioni
adeguate a migliorare e rendere più efficiente l’economia-mondo (quindi a favorire la capacità di accumulare
capitale).
Il razzismo e il sessismo sono manifestazioni negative di un fenomeno che può essere pensato come anti-
universalismo; si parla di discriminazione da parte delle istituzioni verso tutti gli appartenenti ad un dato gruppo di
status o identità (è importante analizzare le pressioni che gli aggregati domestici subiscono dall’esterno: es. le
istituzioni esigono di conformarli alle loro norme collettive -gli stati riescono ad influenzarli, poiché detengono
strumenti come la legge-); conosciute sono le gerarchie su scala mondiale del sistema-mondo (uomini su donne,
bianchi su neri, adulti su bambini, eterosessuali su omosessuali); le gerarchie etniche hanno una dimensione più
locale.
Il nazionalismo assume spesso la forma di legami che creano nuove categorie combinate: es. è possibile creare la
norma secondo cui gli individui di sesso maschile, bianchi, adulti, eterosessuali e appartenenti a una particolare etnia e
religione sarebbero gli unici veri cittadini.
CAPITOLO 3: nel XVII secolo, i sovrani delle monarchie nate durante il periodo del sistema-mondo (in Inghilterra,
Francia e Spagna) si proclamarono monarchi "assoluti": questo sembra suggerire che il loro potere fosse illimitato, ma
in realtà non era così; con "assoluto", che viene dal latino absolutus, infatti s‘intendeva non che il monarca fosse
onnipossente, ma che non era soggetto alle leggi (dunque nessuno potesse impedirgli di fare ciò che meglio credeva).
Nel corso dei secoli gli stati hanno cercato di superare la mancanza di potere reale (ovvero di quella capacità di
rendere effettive le decisioni prese); una delle tendenze del sistema-mondo moderno è stato un lento e costante
incremento del potere: se confrontiamo il potere reale di Luigi XIV di Francia (che regnò dal 1661 al 1715),
abitualmente assunto come emblema per antonomasia del potere assoluto, con quello del primo ministro svedese nel
2000, vedremo che quest'ultimo aveva più potere nella Svezia di quanto Luigi ne avesse nella Francia; per accrescere
il loro potere effettivo i sovrani diedero origine alle burocrazie (la vendita delle cariche assicurò ai monarchi una
crescita sia dell'apparato burocratico che dell'ammontare delle entrate); una volta che i sovrani poterono disporre di un
apparato burocratico, cercarono di servirsene per avere il controllo su ogni genere di funzione politica (es. sulla
riscossione dei tributi, nei tribunali ecc).
Esistono solitamente alcuni stati che non ottengono alcun riconoscimento (sono definiti stati senza nazione) o talvolta
solo da parte di uno o due altri stati (dagli stati protettori).
6. Lo stato moderno è uno stato-sovrano: con il concetto di “sovranità” si parla di una totale autonomia del potere
statale; gli stati moderni fanno parte del sistema interstatale, le cui origini risalgono in genere alla Pace di
Westfalia del 1648 (quest’ultima, sottoscritta dalla maggioranza degli stati europei, codificò alcune regole delle
relazioni interstatali che limitavano e allo stesso tempo garantivano una relativa autonomia; in seguito, queste
regole sarebbero state elaborate e ampliate sotto la dicitura di diritto internazionale).
All’interno dei confini nessun altro stato aveva il diritto di far valere alcun genere di autorità (esecutiva, legislativa,
giudiziaria o militare); nel sistema-mondo moderno, la legittimità della sovranità esige un riconoscimento reciproco,
1
senza il quale essa è priva di valore (anche se questa entità detiene de facto il controllo su un dato territorio: es. in
Cina, la proclamazione della Repubblica Popolare nel 1949 ha dato luogo a una di quelle situazioni in cui parte del
mondo riconosceva un governo -quello di Taiwan- e parte riconosceva l'altro come autorità sovrana -Repubblica
2
popolare cinese- su tutta la Cina; la Repubblica Turca di Cipro Nord rivendicava di essere uno stato sovrano e aveva
de facto l'autorità sulla metà settentrionale dell'isola, ma era riconosciuta come stato sovrano solo dalla Turchia; non
aveva dunque alcuna legittimità internazionale = quindi, in assenza del sostegno militare da parte della Turchia, la
Repubblica Turca di Cipro Nord avrebbe presto cessato di esistere).
Il principio di reciprocità funziona anche in ambito nazionale: le autorità locali devono "riconoscere" l'autorità sovrana
dello stato centrale, e viceversa (l’autorità sovrana deve definirne anche i limiti); in molti paesi, questo reciproco
riconoscimento è custodito da una costituzione o da una specifica legislazione, ma questo accordo può rompersi: se la
frattura è grave, si verifica quella che chiamiamo guerra civile, che può essere vinta dall’autorità sovrana o dalle
autorità locali (in questo caso può verificarsi o una revisione delle regole che basate sulla divisione dei poteri
all'interno dei confini statali, o la creazione di uno o più nuovi stati sovrani -per mezzo di una scissione- che pone agli
stati di nuova formazione il problema di ottenere il riconoscimento nel sistema interstatale).
Il rapporto degli stati con le imprese è importante per comprendere il funzionamento dell'economia-mondo
capitalistica (nel neoliberismo, l’ideologia ufficiale della maggior parte dei capitalisti neo-liberisti è il laissez-faire,
secondo cui i governi non dovrebbero interferire con l'attività degli imprenditori sul mercato).
Gli stati esercitano l'autorità in almeno 7 principali ambiti:
4) Gli stati stabiliscono se e a quali condizioni merci, capitali e lavoro possono attraversare i loro confini: più
forte è lo stato, Maggiore è la sua capacità di imporre decisioni riguardo le flussi che attraversano i confini.
Esistono 3 principali tipi di transazioni trans-frontaliere:
-movimenti di merci: i venditori si augurano che le loro merci attraversino i confini senza interferenze e senza
tassazioni; d'altro canto, i venditori concorrenti che si trovano all'interno dei confini che vengono attraversati possono
richiedere che gli stati intervengano imponendo quote di importazione o dazi doganali (qualunque sia la decisione
dello stato, essa favorisce uno o l'altro imprenditore = non esiste una posizione neutrale).
-movimenti di capitali: lo stesso vale per i flussi di capitale.
-movimenti di persone: l'afflusso di lavoratori da un paese a un altro rappresenta un vantaggio di mercato per gli
imprenditori dei paesi riceventi e una perdita di mercato per i lavoratori che già si trovano nei paesi riceventi; ma
questo trascura due elementi importanti: l'impatto sociale e economico di un paese di immigrazione.
2) Creano le regole relative ai diritti di proprietà all'interno dei loro stati: i diritti di proprietà, colonna portante
del sistema capitalistico (non vi è modo di accumulare incessantemente capitale se non tenendosi ben stretto il capitale
accumulato), sono tutte quelle leggi che pongono limiti alle modalità con cui lo stato può confiscare denaro (persone
legate da rapporti di parentela possono rivendicare una quota di denaro, e altri possono sottrarre del denaro).
L'attore decisivo nella tutela dei diritti di proprietà è lo stato.
3) Definiscono le normative riguardanti l'occupazione e la retribuzione dei dipendenti: gli imprenditori
desiderano che lo stato si astenga dal porre regole su tutto ciò che riguarda lavoro (livelli di salario, condizioni di
lavoro, durata della settimana lavorativa, assicurazioni sulla sicurezza, modalità di assunzione e licenziamento); i
lavoratori hanno richiesto che lo stato intervenisse proprio in queste materie, per aiutarli a ottenere quelle che
considerano ragionevoli condizioni di lavoro (tuttavia molti imprenditori hanno notato che l'intervento dello stato può
essere utile anche a loro: es. per la riduzione dei disordini sociali).
4) Decidono quali costi le imprese devono internalizzare: uno degli ambiti in cui il ruolo dello stato è cruciale per le
imprese è la determinazione della quota di costi di produzione sostenuta dalle imprese (gli economisti parlano molto
spesso di esternalizzazione dei costi, ovvero che una parte dei costi di produzione è trasferita dall'impresa a un'entità
esterna -la società); un'impresa produce per ottenere un profitto, dato dalla differenza tra i ricavi delle vendite e i costi
di produzione; pochi produttori pagano per intero i costi della loro produzione.
Vi sono 3 differenti costi che vengono generalmente esternalizzati:
-costi di inquinamento: quasi tutti i processi di produzione comportano inquinamento (es. smaltimento di materiali o
di rifiuti chimici), poiché per un produttore, il modo meno costoso di gestire i rifiuti è disfarsene, all'esterno della sua
proprietà; ma questi costi sono poi esternalizzati, nel senso che, molto tempo dopo, qualcuno deve pagarne le
conseguenze negative, ripristinando l'equilibrio ecologico (questo qualcuno sono la società e lo stato).
-costi di esaurimento dei materiali: tutti i processi di produzione impiegano alcune materie prime, per generare un
bene "finale" venduto sul mercato (le materie prime sono esauribili, alcune con grande rapidità, altre con estrema
lentezza); alla fine, il mondo deve o rinunciare all'uso di tali materiali o cercare di sostituirli in qualche modo (in parte
lo fa grazie all’innovazione) ma in molti altri casi ciò non è possibile, e dunque lo stato deve intervenire nuovamente,
impegnandosi nel processo di reintegrazione o ricreazione dei materiali, naturalmente pagato da persone diverse da
coloro che hanno intascato i profitti (es. le riserve di legname sono materiali che non sono stati rimpiazzati)
-costi di trasporto: se è vero che generalmente le imprese sostengono delle spese per il trasporto dei beni che ricevono
e che inviano, raramente ne pagano i costi per intero; la creazione delle necessarie infrastrutture di trasporto (ponti,
canali, reti ferroviarie, aeroporti) rappresenta un costo enorme, e questo costo è normalmente sostenuto, in gran parte,
non dalle imprese che si servono delle infrastrutture ma dalla collettività: le infrastrutture non verrebbero mai
realizzate senza un grande input di costi da parte dello stato (questa è un’ulteriore prova dell'intervento statale nel
processo di incessante accumulazione di capitale).
5) Decidono quali processi economici possono essere monopolizzati, e in che misura: la creazione di semi-
monopoli per l'accumulazione di capitale è importante; l'accumulazione di capitale avviene da parte di particolari
individui, imprese o entità, dunque la concorrenza tra capitalisti in un sistema capitalistico è inevitabile.
6) Impongono tasse: si è spesso evidenziato che gli stati impongono tasse; tutti - imprese e lavoratori - vogliono ciò
che gli stati possono offrire loro con i soldi ricavati dalla tassazione.
1
I problemi che le persone hanno rispetto alle tasse sono essenzialmente due: la sensazione o il sospetto che gli stati
usino le tasse non per aiutare gli onesti contribuenti, ma per aiutare altri (politici, imprese, poveri, immeritevoli o
à
stranieri) è per questo che desideriamo che le tasse siano più basse, e che questi loro impieghi non graditi cessino; i
2

soldi che vengono tassati sono soldi che altrimenti ciascuno avrebbe potuto spendere a propria discrezione (si sta
quindi concedendo il controllo su questo denaro a un organismo collettivo, che decide come spenderlo).
In realtà, la maggior parte delle persone e delle imprese è disposta a essere tassata, al fine di assicurare quei servizi
minimi che ogni individuo e ogni impresa crede gioveranno ai suoi interessi; ma nessuno è disponibile, o pronto, a
essere tassato più di così; oltre a stabilire l’ammontare delle tasse, lo stato può scegliere fra una vasta gamma di
modalità di tassazione, gli individui e le imprese preferiscono quelle che colpiscono meno loro e più gli altri.
7) Infine, quando le imprese che si trovano all'interno dei loro confini possono essere danneggiate, possono usare il
loro potere all'esterno per condizionare le decisioni di altri stati: le imprese sono toccate non solo dalle decisioni
del loro stato, ma anche da quelle di molti altri stati, nella misura in cui le loro merci, capitali o persone attraversano i
confini dello stato; il problema è come le imprese possono trattare con altri stati: es. possono farlo in modo diretto e
ciò implica comportarsi come se avessero sede nell'altro stato, e usare tutti i meccanismi e gli argomenti che
userebbero con il loro (corruzione o scambio di favori); se l'impresa "straniera" ha sede in uno stato "forte", può fare
appello a quest'ultimo affinché usi il suo potere per esercitare pressioni sull'altro stato, per far si che si adegui alle
necessità e alle richieste degli imprenditori dello stato forte.
In alcuni contesti si può verificare una lotta di classe per la ripartizione del plusvalore.
Storicamente, la Rivoluzione Francese ha determinato 2 cambiamenti fondamentali:
1
ha fatto del cambiamento politico, un fenomeno "normale" e di fatto auspicabile;
2
ha orientato in modo nuovo il concetto di sovranità, trasferendolo dal monarca/dal legislatore al popolo: una delle
principali conseguenze fu che gli individui vennero definiti come “cittadini” = ognuno era riconosciuto come
individuo razionale capace di decisione politica; ad oggi ogni paese afferma che i suoi cittadini sono tutti uguali ed
esercitano la loro sovranità attraverso un sistema di suffragio universale (in alcuni paesi solo una parte della
popolazione esercita i pieni diritti di cittadinanza).
Tra la maggior parte delle persone alcune esclusioni sembrano "ovvie": coloro che sono semplici visitatori del paese
(gli stranieri); coloro che sono troppo giovani per avere giudizio ecc.
Il concetto di "popolo", che è nato come un concetto di inclusione, si è tramutato velocemente in un concetto di
esclusione: coloro che ambivano all'inclusione hanno dovuto intraprendere attività di ribellione, e talvolta
rivoluzionarie = agli inizi del XIX secolo, ciò ha sollevato un importante dibattito sulla strategia da adottare da un à
lato, vi erano coloro che pensavano che questi movimenti andassero soppressi (essi si definirono conservatori: questi
esaltarono le istituzioni "tradizionali" - la monarchia, la chiesa, il notabilato, la famiglia - come difesa contro il
cambiamento); dall’altro c’erano i liberali, che esaltarono l’individuo istruito come cittadino modello e lo specialista
come il solo in grado di fissare i dettagli delle decisioni politiche e sociali; sostenevano che anche a tutti gli altri si
sarebbero dovuti lentamente riconoscere i pieni diritti di cittadinanza (erano a favore della rivoluzione sociale); c'era
però un terzo gruppo, i radicali, che si sarebbe schierato con i movimenti liberali (guidandoli, in alcuni casi).
In questa triade di ideologie emersa sulla scia della Rivoluzione Francese - conservatorismo, liberalismo e radicalismo
- furono i liberali ad avere successo nel dominare la scena nel sistema-mondo.
La forza di uno Stato è espressa dalla capacità di rendere concrete le decisioni giuridiche assunte (es. Luigi XV vs
odierno primo ministro svedese).
Gli stati sono, in teoria, gli unici titolari dell'uso legittimo della violenza; la polizia e l'esercito sono meri strumenti
delle autorità dello stato (se lo stato è debole i militari possono assumere direttamente il controllo del potere esecutivo
ogni qualvolta un regime sembra incapace di garantire la sicurezza interna).
Le mafie sono note per il loro interessamento a prodotti illegali (come le droghe), ma sono spesso coinvolte anche in
forme del tutto legali di attività produttive: l’attività capitalistica di carattere mafioso è pericolosa per le stesse mafie,
pertanto i mafiosi, una volta avuto successo nell'accumulare capitale, cercano di riciclare il loro denaro e di
trasformarsi in imprenditori legali).
Uno dei modi in cui gli stati tentano di consolidare la loro autorità di diventare più forti e di ridurre il peso delle mafie,
consiste nel trasformare la loro popolazione in una nazione: il processo di costruzione di una nazione comporta la
creazione di una storia e di un insieme di caratteristiche distintive).
Alcuni stati rivendicano di non essere stati-nazione (stati con una nazionalità omogenea), ma di essere
“multinazionali" (stati con più nazionalità: es. Svizzera francese, italiana e tedesca), anche se cercano di creare
un'identità pan-statale (es. quando l’URSS esisteva, rivendicava di essere multinazionale, ma promuoveva anche
l'idea di un popolo "sovietico").
Storicamente, gli stati si sono serviti di tre modalità principali per costruire il nazionalismo: il sistema scolastico
pubblico, il servizio nelle forze armate e le cerimonie pubbliche.
La forza degli stati non è data semplicemente da quanto possono effettivamente esercitare l'autorità al loro interno, ma
anche da quanto riescono a farsi valere nel contesto competitivo del sistema-mondo: tutti gli stati sono teoricamente
sovrani, ma per gli stati forti è facile intervenire negli affari interni degli stati più deboli, affinchè quest’ultimi
mantengano le frontiere aperte a quei flussi che sono utili e redditizi per le imprese che hanno sede negli stati forti; si
oppongono però con forza ad aprire completamente le loro frontiere ai flussi di prodotti agricoli/tessili, provenienti
dagli stati delle zone periferiche, che fanno concorrenza alle loro produzioni.
Gli stati forti si relazionano a quelli deboli esercitando pressioni su di essi affinché accettino pratiche culturali
(politica linguistica; dell'istruzione, incluso dove gli studenti universitari possono studiare; diffusione dei media) tese a
rafforzare il legame tra di essi; mentre gli stati forti possono corrompere i singoli leader degli stati deboli, questi
ultimi, in quanto stati, comprano la protezione di quelli forti predisponendo opportuni flussi di capitali.
Gli stati più deboli sono le ex colonie, unità amministrative definite come non-sovrane e che cadono sotto il dominio
di un altro stato; spesso gli stati militarmente forti (perlopiù localizzati in Europa occidentale, Stati Uniti, Russia e
Giappone) si sono scontrati con aree in cui le strutture politiche erano deboli.
Al loro interno, le colonie hanno assunto decisioni sull'attraversamento dei confini; hanno disposto le modalità di
partecipazione politica; hanno deciso quali tipi di produzione realizzare o favorire nella colonia (ma coloro che hanno
assunto queste decisioni sono stati per la maggioranza individui inviati dalle potenze colonizzatrici, e non persone
à
della popolazione locale le potenze coloniali hanno giustificato l'assunzione di autorità e la distribuzione di cariche a
individui provenienti dalla metropoli con argomenti razzisti sull'inferiorità e inadeguatezza delle popolazioni locali).
Lo stato coloniale era il tipo di stato più debole nel sistema interstatale, con il più basso grado di autonomia, e dunque
il più soggetto allo sfruttamento da parte di imprese e individui provenienti da un paese metropolitano!
Uno degli obiettivi delle potenze colonizzatrici era assicurarsi che nessun altro stato relativamente forte nel sistema-
mondo potesse avere accesso alle risorse o ai mercati della colonia.
Era inevitabile una mobilitazione politica delle popolazioni delle colonie, nella forma di movimenti di liberazione
nazionale, il cui obiettivo sarebbe stato la conquista dell'indipendenza (ossia dello status di stato sovrano).
Importante però non è solo il rapporto fra stati forti e stati deboli, ma anche quello tra stati forti e altri stati forti: questi
stati sono per definizione rivali; la concorrenza tra stati forti (come quella tra grandi imprese) è mitigata da una
contraddizione: essi hanno in comune interesse nel tenere insieme il sistema interstatale, e il sistema-mondo moderno
nel suo insieme; contemporaneamente, sono spinti rispettivamente verso un sistema interstatale anarchico e verso un
sistema interstatale ordinato.
Non si dovrebbe trascurare il ruolo degli stati semiperiferici che cercano di conservare la loro posizione intermedia,
sperando di poter risalire la graduatoria: essi vogliono migliorare la posizione dei loro stati come produttori, come
accumulatori di capitale e come potenze militari (o riescono a risalire la scala gerarchica -o almeno a rimanere fermi-
o saranno spinti verso il basso).
Vi sono 2 modi diversi attraverso cui gli stati possono conquistare un predominio:
1
Trasformando l’economia-mondo in un impero-mondo, una struttura in cui vi è un'unica autorità politica per l'intero
sistema-mondo: negli ultimi 500 anni, vi sono stati diversi seri tentativi di creare un impero-mondo (es. Napoleone –
fondatore del primo impero francese- agli inizi del XVIII secolo o Hitler- il cui scopo era di costruire un regno avente
il suo centro nella Germania e fondato sul dominio degli ariani- alla metà del XX secolo) ma tutti sono stati sconfitti e
incapaci di raggiungere i loro obiettivi.
2
Ottenendo l’egemonia nel sistema-mondo: tre potenze hanno raggiunto l'egemonia, ma per periodi brevi (Paesi Bassi,
metà del XVII secolo; Regno Unito, metà del XIX secolo; Stati Uniti, metà del XX secolo: sono potenze egemoniche
poiché, per un certo periodo, sono state in grado di dominare l’economia-mondo -nella produzione, nel commercio e
nella finanza-; di imporsi politicamente riducendo al minimo l'uso della forza militare ecc.).
L'egemonia è ben vista dalle persone comuni nella misura in cui sembra garantire ordine e un futuro prospero!
Per diventare una potenza egemone è importante concentrarsi sull'efficienza della produzione; per conservare
l'egemonia, la potenza egemone deve assumere un ruolo politico e militare; altri stati iniziano a migliorare la loro
efficienza economica, fino al punto in cui la superiorità della potenza egemone si riduce considerevolmente, e alla fine
scompare (e con questa anche il suo peso politico); essa è costretta a usare il suo potere militare che, oltre ad essere un
segno di debolezza, è anche una fonte di ulteriore declino; quando una potenza egemone declina, ve ne sono sempre
altre che tentano di sostituirla (sostituzioni che richiedono molto tempo e un'altra "guerra dei trent’anni"): quindi,
l'egemonia è cruciale, ricorrente, e sempre relativamente breve.
N.B. Le "guerre dei trent'anni" hanno storicamente contrapposto due alleanze: una stretta al potenziale creatore di un impero-mondo, e l'altra
intorno a una potenziale potenza egemone.
L’incessante accumulazione di capitale è meglio raggiunta attraverso un insieme di supremazie politiche e culturali (in
continua trasformazione) all'interno delle quali le imprese capitalistiche ottengono il sostegno degli stati ma cercando
di sfuggire al loro predominio.

EUROCENTRISMO-SINOCENTRISMO-GLOBALIZZAZIONE e COLONITA’
AMERICA LATINA E MODERNITA’: L’OPZIONE DECOLONIALE
1. SISTEMA MONDO E TRANSMODERNITA’ di Dussel
MODERNITA’ (dal XVIII sec.): si parla dell’egemonia occidentale all’interno del sistema-mondo primo à
eurocentrismo;
POSTMODERNITA’: tentativo di riaffermare l’egemonia della modernità occidentale all’interno del sistema-mondo.
Il prefisso “post” non elimina il suo eurocentrismo, dando per scontato che l’umanità futura raggiungerà la stessa
situazione culturale dell’Europa e degli USA postmoderni, grazie al processo di globalizzazione secondo à
eurocentrismo;
TRANSMODERNITA’: è un concetto che si riferisce ad una nuova organizzazione e ad un nuovo periodo; è intesa
come un progetto alternativo che, nato al di fuori dell'Europa e degli Stati Uniti (quindi dell’Occidente), va oltre la
Modernità e la Postmodernità; per il filosofo argentino Enrique Dussel, infatti, la transmodernità non designa uno
stadio tipico della modernità né l'evoluzione tipica della postmodernità, bensì un nuovo progetto di emancipazione.
Questo fenomeno rimanda all’analizzare i fenomeni globalmente e localmente, facendo emergere la specificità di
ciascuna cultura -e ciò rende possibile l'empowerment delle culture non occidentali-.
Il prefisso “trans” (“oltre”) dà il significato di “passare da un punto all’altro”.
Importante è la distinzione tra “PRIMO” EUROCENTRISMO e “SECONDO" EUROCENTRISMO:
1) E’ quello di Hegel e Weber, i quali affermano la superiorità dell'Europa:
Fino alla fine XVIII sec. l’Europa sapeva che il centro culturale più avanzato era nel Sud e nell’Est (quindi in Indostan
e in Cina); l’Europa, a partire dalle sue presunte origini greche e medievali latine, produsse valori e sistemi
istituzionali che vennero poi “universalizzati” nell’epoca della modernità: da questa posizione eurocentrica, formulata
alla fine del XVIII sec., si cercò di reinterpretare l’intera storia mondiale, proiettando l’Europa nel passato e cercando
di dimostrare come essa fosse stata messa al centro.
2) Ha superato il "primo" e pensa ancora da un punto di vista europeo, ma con la differenza che accetta che l'Europa
riuscì a dominare grazie a fattosi esterni: Marx afferma che la scoperta dell’America fu il momento fondativo per
l’origine del capitalismo (secondo questo ragionamento, la scoperta dell’America coincide con la nascita del sistema-
mondo, del capitalismo e della modernità); gli europei ebbero successo anche grazie alle loro scoperte scientifiche; ai
metalli preziosi come argento e oro; alla nuova forza lavoro (es. schiavi africani nelle Americhe); al fatto che furono
à
gli unici a poter navigare oltre oceano, grazie alla caravella, inventata dai portoghesi fu tutto questo che permise agli
europei di competere con l’Indostan e la Cina.
L’Europa creò il sistema-mondo con l’invasione del continente americano, processo conosciuto come “scoperta
dell’America” (1492)!
Prima di arrivare alla transmodernità, bisogna superare anche questa concezione di "secondo" eurocentrismo: superare
tale concezione significa passare a un'interpretazione non-eurocentrica della storia di un sistema-mondo.
Ricostruire il significato di prima modernità (XV-XVIII secolo) e gli esclusi dalla modernità: Il "Vecchio
Mondo" (sistema interregionale asiatico-afro-mediterraneo) si protrarrà, insieme all'enorme peso produttivo della Cina
(regione a produzione mercantile che non esercitava alcuna influenza sul sistema degli scambi oceanici e quindi
rimaneva rinchiusa nel suo orizzonte domestico, senza una presenza su scala mondiale), dal 1400 al 1700.
La prima modernizzazione (colonialismo), in assoluto, si ebbe con la Spagna e il Portogallo nel 1492 (ad opera di
Cristoforo Colombo), con l’annessione dell'America: ciò permetterà all'Europa di elaborare il sistema-mondo.
In quest’epoca si produce la colonialità del potere: dopo il 1492, infatti, l’America indigena subì l’impatto della
prima fase di globalizzazione (colonialismo), un fenomeno che portò numerose potenze europee alla conquista di
popoli e territori dell'America; alla superiorità europea; al razzismo; ad uno sfruttamento economico; allo stesso tempo
anche l’Africa rimarrà emarginata, in quanto continente di schiavi.
Ruolo della Cina fino al XVIII secolo: la prima forma di modernità rimane periferica rispetto al mondo indostano e
cinese; la Cina fu considerata una potenza economica, culturale e politica fino al XVIII secolo, anche se non poteva
essere egemonica nel sistema-mondo perché non aveva scoperto l’America (non scoprì l’America perché il “centro”
del Vecchio Mondo –quello asiatico- era a ovest della Cina: si pensava, infatti, che la Cina fosse rimasta “periferica”).
Il SINOCENTRISMO si riferisce all'antica idea che la Cina era il centro culturale del mondo.
Alcuni hanno affermato che in Cina si sia verificato un proto-Rinascimento, interrotto dalla presenza del
colonialismo portoghese e spagnolo; secondo Adam Smith, la scoperta dell’America è quella che permetterà
all’Europa di comprare in entrambi i mercati delle Indie -Cina e Indostan-, i più ricchi fino alla rivoluzione
industriale: l'Europa del XV secolo è una regione produttivamente sottosviluppata, senza nessuna possibilità di
competere con il maggiore "sviluppo" della produzione di merci cinesi -es. utensili di porcellana, tessuti di seta,
à
ecc. la Cina, quindi, rimase nell’assolutismo asiatico del “modo asiatico di produzione”; essa, però, non fu
moderna e capitalistica e non acquisì un peso specifico proprio: il basso salario cinese non permise l'utilizzo delle
macchine, restando così ad un capitalismo manifatturiero.
Per superare anche il secondo eurocentrismo è necessario spiegare l’ascesa dell’Occidente in relazione al declino
dell’Oriente: pensare in modo "non-eurocentrico" significa, dunque, immaginare che la Rivoluzione industriale (nata
à
in Inghilterra) sia stata possibile in Europa grazie ad un vuoto prodotto dai due mercati delle Indie quindi, fu la crisi
del sistema di produzione e distribuzione cinese a permettere "l'ascesa dell'Occidente".
L'unica soluzione per ampliare la produzione fu lanciarsi nell'uso delle macchine (es. nell'America ispanica la
disponibilità di una manodopera indigena numerosa e degli schiavi africani limitò la necessità di una rapida
Rivoluzione industriale, come in Cina e nell'Indostan): l’utilizzo della macchina nel processo di produzione diede un
vantaggio al Regno Unito sulla Cina, l'Indostan, l'America ispanica, l'Europa dell'Est (URSS) e del Sud (Spagna,
Portogallo ecc).
L’egemonia europea, assumendo come data simbolica la data d’inizio della rivoluzione francese, 1789, è durata 2
secoli: l’Europa, dunque, non è al centro della storia del mondo da 5 secoli, come pensava Hegel, e non è portatrice di
una superiorità politica, come sosteneva Weber (primo eurocentrismo).
Spagnoli e portoghesi (rispetto alla prima modernità) o cinesi, indostani e componenti del mondo islamico (rispetto
alla loro centralità nel Vecchio Mondo fino alla fine del XVIII secolo), finiranno per accettare l'interpretazione nord-
eurocentrica (quella post-moderna).
Transmodernità come affermazione di multiculturalità: “L’esteriorità” è un processo che parte da un altrove
diverso da quello della modernità europea o della postmodernità nordamericana; a partire da questo concetto, esistono
à
le culture transmoderne che si sono appunto sviluppate in un orizzonte transmoderno ”trans” indica il punto di
partenza da ciò che la modernità ha escluso e negato in quanto insignificante.
La presa di coscienza di quelle culture ignorate ed escluse sta crescendo, insieme alla scoperta della loro identità
à
disprezzata tutto questo lascia presagire, per il XXI secolo, un mondo culturale multipolare, con la crescente
affermazione della differenziazione culturale, al di là della pretesa omogeneizzante della globalizzazione attuale e
della sua cultura universale, e al di là della differenza postmoderna che fa fatica a immaginare altre universalità
à
culturali millenarie al di fuori dell'Europa e degli Stati Uniti d'America si parla, dunque, di una transmodernità futura
multiculturale che afferma la natura eterogenea dell'identità!
L'emergere di culture, escluse dalla modernità e dalla postmodernità, insieme alle culture occidentale e
nordamericana, costituiscono un mondo più umano, complesso e diverso.
Mentre la globalizzazione è una strategia controllata dalle imprese multinazionali che cerca di omogeneizzare la
cultura; la globalità positiva (sopra descritta) permette all'umanità di entrare in contatto con il suo passato storico,
importante per lo sviluppo differenziato delle grandi culture tradizionali non occidentali.
Huntington, ideologo dell’egemonia nord-americana, si oppone apertamente al “multilateralismo” (ovvero alla
pluralità di interessi politici o di accordi economici e commerciali tra più paesi); egli è a favore di una “stretta
cooperazione con i partner europei”, allo scopo di proteggere e promuovere interessi e valori della civiltà
occidentale.
2. COLONIALITÀ DEL POTERE ED EUROCENTRISMO IN AMERICA LATINA di Quijano
Il nome "America latina" fu proposto, a metà del XIX secolo, da un intellettuale colombiano: con quest’espressione
ci si riferisce a quella parte dell'America composta dagli Stati che furono colonizzati dalla Spagna, Portogallo e
Francia, e in cui si parlano lingue romanze (derivate dal latino: es. spagnolo, portoghese e francese).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si tornò a imporre "America ispanica", "Lusoamerica" o "America iberica".
"America latina" fece ritorno per riferirsi a una regione formata da Stati nazionalizzati e democratizzati: la storia del
nome è la storia delle lotte per un’identità autonoma e per la liberazione dalla dipendenza (condizione della colonialità
del potere).
La produzione e lo sfruttamento (servitù e schiavitù) agivano intorno all’asse del capitale e del mercato mondiale ed
erano connesse al nuovo sistema di potere capitalistico;
Importante in questo contesto è anche il concetto di “razza”, che indica le differenze biologiche, culturali e
gerarchiche tra il dominante ed il dominato (rapporti che finirono per essere definiti come “naturali”): in poche parole,
la razza permise di classificare la struttura di potere all’interno della nuova società, e dei ruoli occupati nella divisione
del lavoro e nel controllo delle risorse di produzione.
Gli indios uscirono dalla schiavitù e furono confinati nella servitù e, se vivevano in comunità, fu permesso loro di
praticare lo scambio di forza-lavoro e lavoro senza mercato; i neri furono ridotti in schiavitù e gli spagnoli potevano
ricevere un salario, essere artigiani o contadini, produttori o mercanti indipendenti di merci (ma solo i nobili spagnoli
potevano ricoprire incarichi di medio e alto rango nell'amministrazione coloniale, civile o militare); alla fine del XVII
secolo, i meticci, nati da uomini spagnoli e donne indie, potevano accedere agli stessi lavori degli spagnoli non nobili
(ciò non valeva, invece, per i figli delle donne nere, dal momento che le loro madri erano schiave) questa à
distribuzione del lavoro nel capitalismo coloniale fu mantenuta per l'intero periodo.
Accanto all'espansione dal XVIII secolo in poi del dominio coloniale da parte di un'unica razza –quella dei bianchi o
europei- sul resto della popolazione mondiale, sono stati applicati gli stessi criteri per imporre una nuova
classificazione sociale della popolazione mondiale su scala globale, producendo nuove identità socio-storiche: ai
bianchi, indios, negri e meticci si aggiunsero i gialli e gli olivastri.
Dopo tanti anni, tutti i popoli furono privati delle proprie identità storiche: c’erano solo gli indios e i negri.
La whiteness (bianchezza) e l’identità dei bianchi fanno riferimento al modo in cui i bianchi, i loro costumi, la loro
cultura e le loro convinzioni operano come standard con cui confrontare tutti gli altri gruppi: la loro “bianchezza” e la
sua normalizzazione nel corso della storia americana hanno creato una cultura predominante su tutte le altre (i bianchi
detengono maggior potere politico, istituzionale ed economico).
Con il vantaggio di trovarsi nel bacino atlantico, i bianchi erano in una posizione privilegiata per il controllo del
traffico di oro e argento prodotti in America dal lavoro gratuito di indios e neri: ciò favorì un processo che, col tempo,
condusse alla completa monetizzazione dello scambio commerciale, all'espansione dei mercati regionali e al
controllo degli scambi commerciali con l’Oriente à questi processi condussero al controllo delle risorse produttive
da parte dei coloni bianchi, prima in America e poi nel resto del mondo.
L'Europa Occidentale emerse come il centro geografico di potere capitalistico coloniale: da dominatrice coloniale del
mondo, l'Europa riuscì a imporre un processo di re-identificazione delle altre regioni del globo come nuove entità geo-
culturali (dopo l'America e l'Europa, furono istituite l'Africa, l'Asia e, molto più tardi, l'Oceania).
La storia dell’America Latina e la prospettiva eurocentrica: La schiavitù era vista come una merce destinata per
servire la necessità e gli scopi del capitalismo; essa fu articolata su una specifica razza (quella nera).
Il capitale nacque intorno all’XI-XII sec: esso esisteva già da tempo (prima dell’America); è il capitalismo, per la
prima volta nella storia, dopo la scoperta dell’America.
Per Marx, il rapporto sociale capitalistico può essere descritto come quella condizione storica nella quale i mezzi di
produzione sono in mano a una parte della società, la classe capitalistica, con l’esclusione dell’altra parte della
società, la classe dei lavoratori salariati, i quali devono vendere la propria «forza-lavoro», ovvero le facoltà fisiche e
mentali.
L'esperienza storica mostra che il capitalismo mondiale non è una totalità omogenea: sia in termini di rapporti di
produzione che di razze, il capitalismo è una struttura composta da elementi eterogenei i cui rapporti sono conflittuali.
A partire dal XVII, l’Europa occidentale definì la prospettiva della conoscenza come “modernità e razionalità”:
questa versione europea occidentale della razionalità moderna prevede una mutazione del vecchio modo di guardare
à
l’universo esiste una parte, il cervello, che governa tutte le altre parti dell’organismo: i proprietari sono il cervello
(razionalità) e gli operai che formano la società sono le braccia (corpo); senza il cervello, le braccia sarebbero prive di
à
significato, e senza quest’ultime il cervello non potrebbe esistere entrambi sono necessari per mantenere vivo il resto
del corpo (rapporto di dipendenza).
La versione europea occidentale della razionalità moderna implicava un’autentica novità: il corpo (rappresentato dagli
operai) fu visto come componente non necessario: il corpo era visto come un “oggetto” di studio di status inferiore:
senza l’espulsione del corpo dal regno del non-corpo (razionalità o spirito) attraverso la sua ‘oggettivazione’,
à
difficilmente sarebbe stato possibile elaborare ‘scientificamente’ o ‘teoricamente’ l’idea di razza le razze sono
inferiori perché sono oggetti di studio di dominio/sfruttamento/discriminazione, non sono soggetti di studio (ecco
à
perché li si può legittimamente dominare e sfruttare) tutto ciò apri la strada ad una prospettiva storica di matrice
evoluzionista, che contribuì a cambiare i rapporti tra corpo e non-corpo, che si tradussero nei rapporti tra Europa e
non-Europa, in una catena storica continua da "primitivo" a "civilizzato", "irrazionale" a "razionale", "tradizionale" a
"moderno", "magico" a "scientifico" (in altre parole, da non-europei a qualcosa che, nel tempo, potesse essere
europeizzato o "modernizzato"); in passato, il non-europeo non veniva preso in considerazione perché era “oggetto” e
non “soggetto” di studio!
Ma sarebbe difficile spiegare una traiettoria intellettuale così particolare senza considerare l’intera esperienza del
colonialismo e della colonialità del potere: durante la dominazione coloniale europea del mondo, la distribuzione del
lavoro dell’intero sistema capitalistico mondiale (tra salariati, contadini indipendenti, mercanti, schiavi e servi) era
organizzata secondo le stesse linee ‘razziali’ della classificazione sociale globale.
La versione europea occidentale della conoscenza razionale e moderna, se viene applicata specificamente alla
storia e alla realtà dell'America latina, agisce come una sorta di specchio deformante, che ci mostra un'immagine
non del tutto illusoria: quando guardiamo nel nostro specchio eurocentrico, siamo costretti a vedere e accettare
quell'immagine come una realtà nostra; per questa ragione, per moltissimo tempo siamo stati quello che non siamo,
quello che non avremmo mai dovuto essere e quello che non saremo mai.
La questione nazionale dell’America Latina e i progetti rivoluzionari eurocentrici: ciò che chiamiamo Stato-
Nazione moderno è una forma di organizzazione politica, caratterizzata dall'esistenza di un ente sovrano (Stato), che
à
esercita un potere (sovranità) su un territorio è dunque una società nazionalizzata politicamente, sulla quale si
esercita il controllo; implica la cittadinanza (rapporto individuo-stato; uguaglianza civile e politica) e la democrazia
(forma di governo dove la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo).
Affinché esista la situazione sopra descritta bisogna raggiungere una omogeneizzazione del popolo, che è espressione
della democratizzazione non solo dei rapporti politici, ma anche sociali: in Europa, il processo di nazionalizzazione
cominciò come un processo di colonizzazione da parte di alcuni popoli nei confronti di altri (es. la Spagna dopo la
conquista dell'America: coloro che erano indesiderati come membri della popolazione del nuovo territorio dello stato
–es. musulmani ed ebrei- furono espulsi: questo caso è la prima esperienza di "pulizia etnica" dell'epoca moderna,
ovvero quel programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento o ricorrendo ad
atti di aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l'identità e la purezza di un gruppo etnico).
Furono i colonizzatori spagnoli a creare il termine indios per indicare tutti i nativi dell’America Latina anche se
appartenenti a gruppi ed etnie molto diversi: a partire dagli anni ‘70 del XX secolo, gli Indios, che costituiscono una
buona percentuale della popolazione dei paesi dell'America Latina, hanno cominciato a creare movimenti e
organizzazioni per rivendicare i loro diritti e il riconoscimento della loro identità etnica e culturale.
Il meccanismo di base di un processo di nazionalizzazione doveva essere l’apertura democratica della partecipazione
politica a tutti i nuovi arrivati (es. negli USA i nuovi arrivati furono gli europei immigrati): ciò, però, non era
à
permesso a due gruppi specifici -ai neri e agli indios finchè non si risolveva tale discriminazione sociale e politica, il
processo di nazionalizzazione sarebbe stato limitato.
All’inizio la situazione nei paesi latino-americani del Cono-Sud sembrava la stessa di quella dell’America delle
origini: la popolazione “negra” era in minoranza, di conseguenza, la conquista ed il loro sterminio vennero visti come
necessari (così come avvenne nell’America delle origini); in Uruguay e in Cile, i movimenti politici riuscirono ad
ottenere importanti riforme politiche che permisero l’istituzione di una cittadinanza (negli altri stati dell’America
Latina, tali razze erano bandite da ogni possibile partecipazione politica, in nessun modo questi stati potevano essere
definiti come democratici); in Cile la servitù india era limitata, dato che i lavoratori indios locali erano un'esigua
minoranza e gli schiavi neri erano anch'essi un gruppo molto piccolo; fin dall'inizio, una proporzione crescente della
produzione locale dovette basarsi sul salario e sul capitale: per le classi dominanti il lavoro, la produzione locali e i
mercati interni dovevano essere protetti dalla concorrenza straniera, come l'unica e più importante fonte di profitto).
C'erano alcuni interessi sociali che accomunavano i lavoratori, i piccoli produttori di merci e la borghesia locale: vi era
à
un “interesse nazionale" gli interessi sociali dei paesi iberici erano molto più vicini a quelli dei paesi europei:
anziché investire e reinvestire i loro utili commerciali (differenza tra ricavi e costi di un'impresa) nei propri paesi, li
mandavano in Europa, principalmente in Inghilterra (dunque non avevano interesse a mercificare la forza-lavoro
locale e a promuovere il mercato interno).
Durante la crisi capitalistica mondiale degli anni ‘30, i paesi più ricchi della regione, Argentina, Brasile, Messico,
Cile, Uruguay furono costretti a produrre localmente (per il consumo interno) i prodotti che prima venivano importati:
questo contesto fu determinante per la teoria della dipendenza; fu l'argentino Raúl Prebisch che, con la sua idea di
centro-periferia, negli anni '40 avviò il dibattito tra gli intellettuali latinoamericani.
In nessun paese latinoamericano troviamo una società pienamente nazionalizzata!
Rispetto al problema dello stato-nazione, ci sono 4 ideologie:
1) un limitato processo di decolonizzazione (dei rapporti sociali, culturali e politici) attraverso rivoluzioni radicali.
E’ indispensabile ammettere l'esistenza del rapporto tra il feudalesimo e il capitalismo in America Latina;
l'esistenza storica del feudalesimo e/o della monarchia assoluta; il conflitto tra l'aristocrazia feudale e la
borghesia.
Nella sinistra latino-americana un dibattito è avvenuto tra due tipi di rivoluzioni: rivoluzione comunista, in cui la
classe borghese organizza la classe operaia allo scopo di escludere la classe feudale dal potere statale; rivoluzione
socialista, è un assalto, da parte della classe operaia, allo stato borghese, il quale vede la classe operaia come classe
subordinata.
Questi tipi di rivoluzioni sono storicamente impossibili poiché, in America latina, i borghesi e la nobiltà hanno da
sempre mantenuto la loro alleanza dominante.
Ma non si è mai vista in nessun paese latinoamericano alcuna separazione o successione temporale tra schiavitù,
feudalesimo e capitalismo: fin dall'inizio tutti e tre sono stati articolati alla stessa unica struttura di potere.
Una vera rivoluzione dovrebbe implicare anche una decolonizzazione dei rapporti razziali e una redistribuzione di
casse del potere; fino ad oggi, c’è stato solo un miraggio eurocentrico di rivoluzione socialista, che è sfociato poi nel
concetto di populismo, poiché è stata solo anti-borghese.
N.B. Il feudalesimo era un sistema politico, economico, giuridico, sociale che si affermò nell'Europa occidentale con
l'Impero carolingio (IX secolo), fino all'avvento dell'età moderna (con l'emanazione da parte di Napoleone Bonaparte,
più di tre secoli dopo la fine del Medioevo).
Il giuramento di fedeltà era un vero e proprio rito: in cambio, il vassallo otteneva dal suo imperatore un territorio e la
sua protezione (il territorio assegnato era chiamato feudo, e chi lo governava era chiamato feudatario).
2) un limitato processo di omogeneizzazione sociale attraverso il genocidio della popolazione primitive;
-un limitato processo di omogeneizzazione culturale attraverso il genocidio degli indios e neri;
-un imposizione di democrazia razziale che maschera la discriminazione esistente contro i neri.
Non è difficile percepire nella Francia contemporanea un problema nazionale prodotto dalla presenza di persone "non-
bianche" provenienti dalle ex colonie francesi: bisogna ricordare che un secolo fa l'Affare Dreyfus mostrò che per la
maggioranza dei francesi etnia e religione non erano requisiti determinanti per essere membri della nazione; e oggi ci
sono immigranti russi e spagnoli i cui figli, essendo nati in Francia, sono diventati cittadini francesi, mentre i figli
degli africani, anch'essi nati in Francia, non sono ammessi come connazionali.
3. SCIENZE SOCIALI, VIOLENZA EPISTEMICA E L’INVENZIONE DELL’ALTRO di Gomez
La configurazione del potere all'interno del sistema-mondo capitalistico ha assunto altre forme in epoca di
globalizzazione; l'attuale riorganizzazione globale dell'economia capitalistica si basa sulla produzione e sulla
tendenza a celebrare delle differenze (ciò non destabilizza il sistema, ma al contrario contribuisce a consolidarlo).
Bisogna mostrare in cosa consiste la crisi del progetto della modernità (definito così da Habermas) e quali sono le
nuove configurazioni del potere globale nella "condizione postmodema": per fare questo, bisogna partire dal
significato di "progetto della modernità", analizzando l’origine di due fenomeni sociali strettamente collegati (la
formazione degli stati-nazione e il consolidamento del colonialismo); bisogna poi porre l'accento sul ruolo della
conoscenza scientifico-tecnica e della conoscenza prodotta dalle scienze sociali nel consolidarsi di questi due
fenomeni.
Il progetto della governamentalità: quando si parla di progetto della modernità:
a. In primo luogo, con Habermas, si fa riferimento all’intento di sottomettere la vita intera al controllo assoluto
dell’uomo, sotto la guida sicura della conoscenza (è l’uomo che, servendosi della ragione, è capace di decifrare le
leggi della natura, per metterla al suo servizio).
Francesco Bacone teorizzò la conoscenza della natura attraverso l'uso del metodo sperimentale, l'unico in grado
di comprenderla con la formulazione di ipotesi da verificare con l'esperienza: egli presenta la natura come grande
nemico dell’uomo e afferma che l’unico modo per vincere è conoscere l’anima del suo nemico; la ragione deve saper
accedere ai segreti della natura, per costringerla ad obbedire agli impulsi e desideri dell’uomo.
b. In secondo luogo, si fa riferimento all’esistenza di un’istituzione centrale, lo Stato, che garantisce l’organizzazione
razionale della vita umana (con organizzazione razionale s’intende che i processi di disincanto e de-magificazione del
mondo -a cui fa riferimento anche Weber quando parla di razionalizzazione come processo di “disincanto del mondo”-
iniziano ad essere regolamentati dallo Stato).
Lo scopo dello Stato è quello di conformare la vita degli uomini all’apparato produttivo, tramite il lavoro; esso utilizza
la violenza per indirizzare razionalmente le attività dei cittadini.
Le scienze sociali insegnano le leggi che governano l’economia, la politica, la società e la storia: secondo questa
concezione, Wallerstein afferma che la nascita delle scienze sociali è importante poiché, senza di esse, lo Stato sarebbe
incapace di esercitare un controllo sulla vita delle persone o di definire identità culturali.
La conseguenza nel creare identità culturali statalmente coordinati (che sono sistemi riflessivi) consiste nel fenomeno
definito “invenzione dell’altro”: questo tipo di problema va affrontato partendo dal punto di vista del processo di
à
produzione materiale e simbolica di cui sono protagoniste le società occidentali dal XVI secolo Gonzalez Stephan
1 2 3
identifica 3 pratiche disciplinari, costituzioni; manuali di galateo e grammatiche della lingua, che hanno
contribuito a formare i cittadini latinoamericani: queste 3 pratiche hanno in comune la scrittura (la parola scritta
costruisce leggi e identità nazionali).
1) La formazione del cittadino come “soggetto di diritto” può costruirsi solo all’interno dello spazio di legalità,
definito dalle carte costituzionali: la funzione giuridico-politica della costituzione consiste nella creazione della
cittadinanza, con cui si formano delle identità omogenee (l’acquisizione della cittadinanza è permessa solo a chi
rispetta il tipo di soggetto richiesto dal progetto di modernità -maschio, bianco, cattolico -; chi non risponde a questi
requisiti -donne, analfabeti, eretici - rimane fuori dalla “città colta”).
2) Ma se la costituzione definisce “formalmente” un tipo ideale di soggettività moderna, la pedagogia è la grande
artefice della sua materializzazione: la scuola diventa uno spazio in cui viene formato questo tipo di soggetto che gli
"ideali regolativi" della costituzione invocano.
Per quanto riguarda la scuola, Stephan rivolge le sue critiche a delle tecnologie pedagogiche, come i manuali di
galateo, e in particolare quello famoso di Carregno che ha l’intento di regolamentare la soppressione degli istinti, il
controllo sui movimenti del corpo e l’addomesticamento di ogni persona considerata “barbara” à vengono scritti
questi manuali per insegnare come essere “un buon cittadino” e come entrare a far parte della civitas: il soggetto
descritto all’interno di questi manuali è il soggetto che sa comportarsi; anche per Weber il soggetto moderno va di pari
passo con l’esigenza dell’autocontrollo e della repressione degli istinti, con lo scopo di rendere più visibile la
differenza sociale.
3) Hanno giocato un ruolo fondamentale anche le grammatiche della lingua: esiste un rapporto diretto tra lingua e
1
cittadinanza e tra grammatica e galateo
2-3
à le grammatiche, infatti, cercano di creare una cultura, con lo scopo di
evitare le varietà popolari e i barbarismi rozzi della plebe (si vuole creare l’homo aeconomicus, un soggetto patriarcale
incaricato di portare a termine questo progetto).
Per essere veri cittadini ed entrar a far parte della modernità, le persone dovevano sia comportarsi correttamente, sia
saper leggere e scrivere, e sia adeguare il loro linguaggio a una serie di norme!
Sia l’invenzione della cittadinanza che l’invenzione dell’altro, quindi, sono correlati: in America latina, creare
l’identità del cittadino moderno implicava anche la creazione di un’immagine in negativo dell’altro (il colonizzato -
visto come malvagio e barbaro- appare come “l’altro”: il che giustifica l’esercizio di un potere da parte del
colonizzatore -visto come buono, civile e razionale- che civilizza il colonizzato, attraverso una completa
à
occidentalizzazione) sia l’immaginario della civiltà che quello della barbarie sono entrambi agganciati a sistemi di
carattere disciplinare (es. scuola, legge, stato).
La colonialità del potere e l’altra faccia del progetto della modernità: con la loro visione eurocentrica, le scienze
sociali hanno sempre visto l’Europa come ascetica (sacra) ed auto-generata (formata dall’inizio senza alcun
contatto con le altre culture: quindi, la razionalizzazione -nel senso weberiano del termine- è avvenuta grazie a qualità
appartenenti alle società occidentali, e non a quelle degli altri paesi).
Per africani, asiatici e latinoamericani, il colonialismo ha dato origine all’inizio tortuoso verso lo sviluppo e la
modernizzazione; è proprio a causa del colonialismo che è emerso quel tipo di potere disciplinare, caratteristico delle
società moderne: le scienze sociali si sono trovate d’accordo sul fatto che la “specie umana” abbia attraversato degli
“stadi” per uscire dall’ignoranza e raggiungere lo stato di perfezione a cui sono arrivate le società moderne
à
europee il primo stadio è quello delle società indigene americane, la cui caratteristica è la barbarie (assenza totale di
arte, scrittura, scienza; l’ultimo stadio, ormai raggiunto dalle società europee, è costruito come “l’altro” assoluto del
primo, dove tutto si trasforma in civiltà, amore per la scienza e l’arte…).
L’Europa ha segnato la strada della civilizzazione che tutte le nazioni del pianeta devono percorrere!
c. In terzo luogo è composta da 2 tipi di governamentalità giuridica:
-quella esercitata verso l’interno, dagli stati-nazione, per creare un’identità comune;
-quella esercitata verso l’esterno, dalle potenze egemoniche del sistema-mondo, per assicurare il flusso di materie
prime dalla periferia al centro.

Dunque ricapitolando, la modernità è un insieme di pratiche orientate al controllo razionale della vita umana, tra
cui l’istituzionalizzazione delle scienze sociali, l'organizzazione capitalistica dell'economia, l'espansione coloniale
dell'Europa e la configurazione giuridico-territoriale degli stati-nazione; è un "progetto" perché questo controllo
razionale sulla vita umana è esercitato all'interno e verso l'esterno attraverso delle istituzione (lo stato-nazione e le
potenze egemoniche).

Dal potere disciplinare (modernità) al potere libidinale (postmodernità): la modernità smette di essere vista come
“progetto” quando lo stato-nazione perde la capacità di organizzare la vita sociale e materiale delle persone: si parla di
una governamentalità senza governo, poiché non c’è più bisogno di un’istituzione che regoli i meccanismi di
controllo sociale.
Il fatto che non ci siano più regole equivale ad “occultare” le modalità attraverso cui il sistema mondo produce
costantemente le differenze: non si tratta più di meta-narrazioni che mostrano il sistema, ma di micro-narrazioni che lo
à
lasciano fuori quindi il sistema-mondo è un oggetto assente nell’ambito di studio culturale, i cui temi sono la
frammentazione del soggetto, l’ibridazione delle forme di vita, l’articolazione delle differenze e il divieto di utilizzare
termini binari con i quali le vecchie teorie della dipendenza hanno lavorato, soprattutto per la situazione in America
latina (es. colonizzatore vs colonizzato; centro vs periferia; Europa vs America).
La grande sfida per le scienze sociali consiste, quindi, nell’imparare a nominare la totalità senza cadere
nell’universalismo delle meta-narrazioni!
Il potere libidinale della postmodernità (al contrario di quello disciplinare della modernità) vuole modellare la
psicologia degli individui, in modo che ognuno possa costruire la propria soggettività senza imposizioni dall’alto; la
costruzione del profilo di soggettività richiesto dal progetto moderno, invece, esigeva subito la soppressione di tutte le
differenze: es. l’uomo nero -bianco; omosessuale - eterosessuale ecc (quindi, il potere libidinale prima di reprimere le
differenze, le stimola e le produce).
N.B. mentre la modernità disancora le relazioni sociali dai suoi contesti tradizionali e li ancora ad ambiti post-
tradizionali con azioni coordinate dallo stato; la globalizzazione disancora le relazioni sociali dai suoi contesti
nazionali e le ancora ad ambiti post-moderni, con azioni non coordinate dallo stato (o da altre istituzioni).

ECOLOGIA POLITICA E SAPERI INDIGENI


IL MONDO POSTNATURALE: ELEMENTI PER UN’ECOLOGIA POLITICA ANTI-ESSENZIALISTA di
Escobar
Dalla natura alla storia: Il significato di “natura” è cambiato nel corso della storia in base ai fattori culturali,
socioeconomici e politici: si parla in questo caso di crisi dell’identità della natura!
à
Anti-essenzialismo dalla storia all’ecologia politica: l'anti-essenzialismo, corrente opposta all’essenzialismo,
à
mette in discussione l'idea di una "natura" che ha attributi immutabili, fissi e universali questo perchè per l'anti-
essenzialismo, gli oggetti o i concetti sono il risultato di contesti, influenze culturali.
La concezione di anti-essenzialismo viene applicata al concetto di “natura” ed è per questo che si parla di modello
à
anti-essenzialista dei 3 regimi di natura questo modello non presenta i 3 stadi di natura nel corso della storia (i 3
regimi di natura coesistono e si sovrappongono); la natura è vista in modo diverso in base alla nostra collocazione
sociale e all’influenza culturale.
1 2
L'ecologia politica, nata negli anni 70, è lo studio delle relazioni tra fattori politici, economici e sociali; esamina le
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pratiche in cui la dimensione biofisica e quella storica si implicano a vicenda; si occupa di trovare nuove forme di
relazione tra l’aspetto biofisico, culturale e tecno-economico che conducano alla produzione di altri tipi di natura.
à
Ecologia politica anti-essenzialista regimi di natura: Per capire meglio il modello anti-essenzialista dei 3 regimi,
ci collochiamo in un'area della selva tropicale come la regione pacifica della Colombia, in cui incontriamo 3 attori: le
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comunità indigene e le comunità locali nere che per secoli hanno creato mondi e paesaggi specifici; all'improvviso
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ci troviamo di fronte a un paesaggio molto diverso, dove troviamo un capitalista impegnato a promuovere sviluppo e
a creare occupazione per centinaia di lavoratori neri nelle piantagioni (dal suo punto di vista, tali lavoratori sarebbero
altrimenti condannati a oziare nei quartieri poveri della città vicina); poco lontano dalla piantagione, c'è un territorio
indigeno in cui è arrivata una strana visitatrice, forse inviata da un giardino botanico statunitense o europeo, o da una
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compagnia farmaceutica, alla ricerca di piante con potenziali applicazioni commerciali ( l'esperta non è interessata
alla pianta, ma piuttosto ai suoi geni, che porterà con sé al ritorno nel paese di provenienza; immaginiamo che in un
futuro remoto questi geni siano poi utilizzati per modificare gli esseri umani e renderli resistenti a certe malattie
à
ecc…) questi 3 attori (indigeni e neri, capitalista, esperta) incarnano i 3 regimi di natura (natura organica; natura
capitalistica e tecno-natura).
Capiamo che questi 3 attori possono presentarsi allo stesso momento e nella stessa area: ecco perché si dice che i tre
regimi di natura coesistono e si sovrappongono tra loro!
Possiamo studiare la natura organica basandoci sull'antropologia della conoscenza locale; la natura capitalistica
basandoci sul materialismo storico (Marx); la tecno-natura basandoci su scienza e tecnologia.
• Natura organica (cultura e conoscenza locale): questo concetto viene utilizzato per sottolineare l'importanza di
considerare l'interdipendenza tra esseri viventi e il loro ambiente: es. gli abitanti delle selve tropicali sono stati
visti come organici in quanto immersi nella natura.
Bisogna prendere in considerazione il concetto di conoscenza locale, la quale opera attraverso un corpo di pratiche di
conoscenza condivise dipendenti dal contesto; la conoscenza viene prodotta, raccolta, applicata e trasmessa: per
Ingold, la conoscenza può essere descritta come un processo di apprendimento nell’incontro con l’ambiente questa à
scia contribuisce a mettere in discussione il dualismo natura-cultura, che rende impossibile considerare natura e
cultura come due soggetti distinti.
• Natura capitalistica (produzione e modernità): è un concetto che si riferisce al sistema economico del capitalismo,
in cui i mezzi di produzione e le risorse economiche sono detenuti e controllati privatamente, per generare
profitto.
Questa ristrutturazione rappresenta l'intrusione del capitalismo nella natura.
Gran parte dell’attenzione si è concentrata sulla natura vista come merce: storicamente, la produzione del plusvalore
ha permesso agli umani di emanciparsi dalla natura, producendo quella che è stata chiamata una seconda natura, cioè
l’insieme delle istituzioni sociali che regolano lo scambio di merci; in quest’ottica, la produzione della natura è
diventata la realtà dominante (quindi la natura capitalistica viene vista come regime egemonico); con la produzione
per lo scambio, la differenza tra 1° e 2° natura diventa semplicemente una differenza tra il non umano e l’umano
(ovvero quello creato dagli esseri umani): dunque, la distinzione è tra una prima natura che è concreta e materiale –la
natura dei valori d’uso-, e una seconda natura che deriva dalla fusione del valore d’uso e del valore di scambio.
• Tecnonatura (l’artificiale e il virtuale): è un concetto più recente e si riferisce alla convergenza tra mondo naturale e
mondo tecnologico; con l’avvento delle tecnoscienze contemporanee, la natura è sotto-controllo e quindi non è più
natura vera e propria; con la tecnonatura si entra in un’era di anti-essenzialismo rispetto alla natura: siamo
entrati, in sostanza, in un’epoca di post-natura, caratterizzata dalla scomparsa dell’organico e dal trionfo di una
classe virtuale, dove si è liberi di progettare cyber-corpi (cyber corpi = l'idea di una connessione tra il corpo
umano e la tecnologia digitale); le nuove tecnologie introducono nuovi significati di riferimento e propiziano
eterogenesi ontologiche (cioè molteplici forme di essere).
La politica delle nature ibride: nei dibattiti sull’America Latina, l’ibridazione è vista come un processo verso
l’affermazione culturale (è una forma di attraversamento delle frontiere –punto di vista etnico); è possibile anche tra la
natura organica e capitalistica (es. ecoturismo).
à
Latour è un sociologo noto per il suo lavoro sull’ibridazione secondo Latour l’ibridazione si riferisce alla
mescolanza e interazione di elementi culturali, tecnologici e naturali all’interno di un attore-rete, un concetto chiave
della sua teoria sociale: egli sostiene che le reti di attori umani e non (es. oggetti, teconologie ecc.) sono coinvolti per
costruire il mondo sociale in modo ibrido.
L’ibridazione, quindi, riguarda il modo in cui gli attori umani e non s’influenzano per creare nuove entità ecc. (questa
concezione mette in discussione le tradizionali dicotomie natura-cultura e umano e non umano, enfatizzando la loro
interconessione).
Uno dei principali sostenitori dell'ecosofia è il filosofo francese Guattari, che ha introdotto il termine negli anni '80:
l'ecosofia cerca di creare un ponte tra l'ecologia e la filosofia, offrendo un'approfondita comprensione della relazione
tra gli esseri umani e l'ambiente naturale (essa si basa sull'idea che gli esseri umani non siano separati o superiori alla
natura, ma siano parte integrante di essa).
à
Conclusione la politica dell’ecologia politica: Attraverso i 3 regimi assistiamo ad un movimento storico della vita
culturale e biologica che sembra essere promettente per quanto riguarda il regime organico e quello tecnonaturale.

(IN)TRADUCIBILITA’, CONFINI E MIGRAZIONI


SUI CONFINI DELLA TRADUZIONE: MODERNITÀ, POLITICA, POLITICIZZAZIONE di Mezzadra e
Sakai
Gramsci introduce il concetto di “traducibilità”: tale concetto diventa un problema perché non tutte le sfumature di
significato possono essere facilmente rese nella lingua di arrivo; la sfida principale è trovare un equilibrio tra la fedeltà
al testo originale e la comprensibilità nella lingua di arrivo (i traduttori devono prendere decisioni linguistiche e
interpretative per preservare il significato essenziale dell'opera originale; alcuni concetti specifici di Gramsci
potrebbero richiedere spiegazioni aggiuntive per far si che il lettore possa comprendere appieno il contesto e il
significato dei concetti presentati).
Il concetto di “traduzione” è stato politicizzato e utilizzato come strumento nelle discussioni tra nazione,
cittadinanza, multiculturalismo: quando si afferma che il concetto di traduzione è stato politicizzato, si intende che
la traduzione non è più considerata semplicemente come un atto di trasferimento di significato da una lingua all'altra,
ma come un'azione che porta con sé implicazioni politiche, sociali e culturali; la politicizzazione della traduzione
sottolinea, quindi, la necessità di analizzare e comprendere il ruolo della traduzione nel contesto delle relazioni di
potere e delle lotte per l'uguaglianza.
La traduzione è uno strumento capace di cancellare (può essere distruttivo) e disegnare i confini (può essere
produttivo): quindi, da un lato è uno strumento di liberazione/scambio/apertura all’altro; dall’altro è uno strumento di
à
dominio/sfruttamento/appropriazione la traduzione è vista come un processo politico che da un lato crea rapporti
sociali e dall’altro stabilisce le modalità di discriminazione.
Traduzione oltre la comunicazione e modernità della traduzione: la traduzione è distinta dalla comunicazione
perché la traduzione avviene tra due persone che non condividono la stessa lingua (la comunicazione verbale, invece,
avviene tra due individui che condividono la stessa lingua).
1
La traduzione non può essere vista come uno strumento adatto a superare la distanza che c’è tra due lingue differenti;
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non può essere semplicemente un’operazione di conciliazione politica; mostra le mille sfaccettature
dell’appartenenza e non.
Le lingue sono numerabili e la possibilità di contare le lingue consiste:
1
- da una parte nel separare una lingua da un’altra (principio dell’esternalità) : un testo tradotto si inserisce
perfettamente nella cultura della lingua di arrivo, tanto da poter essere confuso con un testo originale questo à
processo di separazione è, generalmente, chiamato "traduzione"!
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- dall’altra nell’unire le lingue separate all’interno di un genere comune (principio della commensurabilità) :
nonostante le diverse operazioni di separazione, la traduzione è anche una procedura di comparazione (secondo la
logica aristotelica, ogni lingua è una “specie” nella classe generale delle lingue).
Questo particolare gruppo di metodi è quello che viene chiamato moderno regime della traduzione: l’operazione di
traduzione condotta concorre a produrre l’esternalità di una lingua rispetto ad un’altra e le varie comparazioni!
La parola “nazionalità”, che indica la relazione tra un individuo ed uno Stato, indica una formula di identificazione
secondo cui un particolare individuo si sottomette alla sovranità dello Stato (è una forma moderna di appartenenza
esclusiva di un individuo, ma questo sentimento è espresso, spesso, dalla “simpatia” verso altri individui appartenenti
à
allo stesso Stato questa comunità di condivisione della “simpatia” è chiamata nazione); quando la parola
“nazionalità” è usata nel senso di etnia o razza, si fonda sull'assunzione di una corrispondenza tra individuo e nazione;
in questo contesto possiamo inserire il concetto di madrelingua (native speaker): è vero che una lingua sia qualcosa
che si acquisisce dopo la nascita, ma il concetto di madrelingua costituisce l'appartenenza di un individuo alla nazione
in termini di eredità innata e quasi biologica (l'identità etnica è riconosciuta in base alla sua lingua madre).
La idea di “madrelingua” è stata inventata nelle fasi di passaggio dall'età premoderna all'età moderna (800)!
Importante è il ruolo svolto dal regime “moderno” di traduzione nella produzione delle lingue nazionali (tedesco,
francese, inglese, cinese, giapponese ecc) che emergono in età moderna, la quale è diversa dalle epoche precedenti
per quanto riguarda i criteri di identificazione della lingua: in passato, nell’epoca premoderna, non esistevano delle
entità pubbliche che stabilivano la lingua di un popolo; in base alla lingua parlata da un individuo veniva stabilita la
sua posizione sociale; esistevano solo società multilingue: la molteplicità delle lingue non implicava un
riconoscimento egualitario delle diverse lingue.
I confini del mondo internazionale: dal XVIII al XIX secolo non esisteva, quindi, l’idea di integrare l’intera
popolazione sotto la norma di una lingua etnica e nazionale; esistevano alcune lingue universali che prevalevano
all’interno degli Stati, ma la maggior parte della popolazione parlava dialetti e lingue regionali.
Tutte le lingue universali (tranne forse l'arabo) sono state declinate quando è nata la lingua nazionale, che
à
rappresentava l’omogeneità culturale della comunità nazionale è qui che si parla di indirizzo “omolinguale”.
Con il termine “omolinguale” ci si riferisce a quella situazione in cui il soggetto dell’enunciazione si rivolge ai
à
destinatari, postulando l’appartenenza -di chi parla e di chi ascolta- ad una stessa comunità linguistica quindi, in
questo caso si parla di una comunità omogenea nello spazio e nel tempo e di una comunicazione trasparente.
L’unità di una lingua nazionale non è data dall’esperienza ma è vista come un “idea regolativa”, poiché guida la
ricerca di dati empirici (quindi guida una ricerca che basa le conclusioni sull'osservazione diretta o indiretta dei fatti).
Il moderno regime di traduzione viene visto come “schematismo della co-figurazione”, cioè uno schema che proietta
due unità linguistiche, tra cui viene trasferito un messaggio.
Ancora una volta dobbiamo tornare alla traduzione, un processo in cui le due figure della lingua da tradurre e di quella
verso la quale tradurre (gli schemi di co-figurazione di cui abbiamo parlato prima) emergono insieme per regolare la
condotta e la pratica della traduzione.
Cittadinanza e traduzione: la traduzione e la cittadinanza sono strettamente connesse, poiché la traduzione facilita
l'accesso, la comunicazione, l’inclusione e la partecipazione delle persone nella società di destinazione; allo stesso
tempo, le questioni di cittadinanza possono influenzare le scelte di traduzione e i dibattiti sul significato e la
rappresentazione culturale nei testi tradotti.
Il concetto di cittadinanza, pensato per sganciare la “traduzione” dal suo tradizionale concetto “nazionale” (Rada
Ivekovic’ afferma che la traduzione può creare una politica di cattura e conquista).
Il rapporto tra traduzione e cittadinanza può anche essere indagato da un punto di vista politico-filosofico: immaginare
uno “stato originario del linguaggio”, all’interno del quale la “prima traduzione” determina l’emergere di lingue e
comunità linguistiche distinte, ha delle conseguenze di rilievo poiché da un lato fa emergere le implicazioni politiche
del concetto di traduzione , e dall’altro apre delle prospettive di sviluppo del moderno regime di traduzione, il quale
non si limita a rafforzare il carattere distintivo delle lingue nazionali su cui si basa il confinamento della cittadinanza,
ma contribuisce alla loro produzione (così come alla produzione dell"altro" della cittadinanza dello straniero).
E’ chiaro che il ruolo della traduzione non può essere limitato pienamente interno all'operare del "regime moderno": è
possibile immaginare uno scontro tra il regime ordinario della traduzione, inscenato dai confini e le pratiche di
traduzione, connesse alla produzione della soggettività che si intreccia con la migrazione come movimento
à
sociale questo è quello che Naoki Sakai chiama indirizzo eterolinguale: quando si parla di eterogeneità della lingua
ci si riferisce a quella situazione in cui vi è una differenza tra le due lingue; le pratiche eterolinguali di traduzioni
vanno al di fuori del regime moderno, mantenendo aperto sia lo spazio della cittadinanza che la produzione della
soggettività; oggi, un compito particolarmente importante, è l'esplorazione degli spazi di cittadinanza al di là dello
Stato-nazione (dalle città alle regioni ai continenti)!
Tradurre il capitale e incorniciare il mondo: diventa importante considerare il nesso concettuale tra il capitale e la
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traduzione Jon Solomon propone di considerare criticamente le “le strutture di potere e le relazioni di sfruttamento
presenti nella società moderna” sotto la triplice prospettiva dell’accumulazione capitalistica, dell’accumulazione dei
processi di traduzione (i traduttori devono rimanere informati sulle nuove tendenze, sulle tecnologie ecc per migliorare
costantemente le loro competenze e offrire traduzioni di qualità sempre maggiore), che produce soggetti differenti
nella civiltà, e dell’accumulazione “erudita” (l'erudizione è il possesso di conoscenze in più campi del sapere).
Solomon suggerisce che la modernità, nonostante i suoi progressi e le sue promesse di emancipazione, sia
caratterizzata da varie forme di dominio e sfruttamento che si diffondono nelle diverse sfere della vita sociale
(nell'economia, politica, cultura ecc); questa critica invita a esaminare da vicino le disuguaglianze sociali, le
ingiustizie e le relazioni di potere che possono essere normalizzate all'interno delle strutture sociali (è un invito a
esplorare lo sfruttamento economico, l'oppressione, il razzismo, il sessismo e altre forme di discriminazione che
à
perpetuano le disuguaglianze sociali) considerare criticamente queste forme di dominio e sfruttamento sociale può
fornire una base per l'azione sociale e politica, per la lotta per l'uguaglianza, la giustizia.
Neilson si concentra sul “legame della traduzione e la produzione di valore”, riferendosi al concetto marxista, il cui
tema di fondo è il rapporto tra il capitale e la produzione di differenze che sorgono dentro quest’ultimo.
Traduzione, Universalismo e Comune: il processo di traduzione può contribuire all'obiettivo dell'universalismo,
cioè di promuovere l'uguaglianza e l'inclusione attraverso la condivisione di conoscenze e valori comuni tra le diverse
comunità; la traduzione svolge un ruolo chiave nell'espansione dell'accesso e diffusione delle idee e delle conoscenze
a livello globale.
Considerando il ruolo giocato dalla traduzione nella produzione delle lingue nazionali, non sorprende che il moderno
regime di traduzione sia stato fondamentale anche per la formazione del mondo moderno come un mondo
internazionale, cioè come un mondo organizzato intorno alla norma -giuridica e politica- della nazionalità il ruoloà
della traduzione nell’ambito giuridico merita uno studio sia dal punto di vista storico (es. adozione giapponese del
modello britannico nel campo commerciale, attraverso la traduzione) che del presente (es. esportazione su scala
globale dello standard statunitense del “rule of law” e del lavoro di traduzione che comporta).
Per tornare all'esempio giapponese, molti testi giuridici e politici euro-americani furono tradotti in giapponese perché
la conoscenza delle istituzioni europee era assolutamente necessaria per i nuovi amministratori pubblici giapponesi
affinché lo Stato giapponese fosse riconosciuto come una legittima entità sovrana nel mondo internazionale.
Lydia Liu si sofferma sulla trascrizione della “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”, dove mostra il contributo
di una molteplicità di lingue; ma è necessario tenere a mente come questo momento di apertura sia stato
immediatamente chiuso dell’egemonia degli Stati Uniti, portando un conflitto tra i diversi regimi di traduzione.
Walker, scrivendo sulla Dichiarazione, tiene a mente come le popolazioni afro-americane debbano essere incluse
all’interno di essa e come debbano essere trattate da uomini e non da bruti: questo “riconoscimento mancato” ha
permesso a DuBois di vedere nella rivendicazione dei diritti umani qualcosa di più di un dispositivo giuridico o
politico.
Bisogna pensare che, oltre la nozione di universalismi alternativi e in competizioni, si rischia di riprodurre l’immagine
familiare di linguaggi “equivalenti”; mantenere aperto l’universalismo, infatti, significa mantenerlo accessibile al
processo comune della sua produzione, come base per l’invenzione di nuovi processi di liberazione.

INTERSEZIONALITA’
IL FEMMINISMO DELLE ZINGARE di Laura Corradi
Le zingare appartengono alla più grande minoranza d’Europa, perseguitata nel passato ma anche nel presente.
N.B. “Rom” è un il nome utilizzato dagli stessi Rom e che definisce un popolo preciso; “Zingaro” è un termine
dispregiativo – per molti offensivo - usato dalla popolazione maggioritaria per definire i Rom.
Laura Corradi affronta un fenomeno sociale poco conosciuto in Europa e quasi inesistente in Italia: il femminismo
à
delle donne rom l’attenzione dell’autrice è posta sulle soggettività che producono lotte contro il sessismo, la rom-
fobia, le forme di anti-zingarismo sociale e istituzionale – che non diminuiscono –, puntando al rispetto culturale nel
superamento di patriarcato e omofobia nelle comunità; ella offre un’analisi delle ricerche sociologiche recenti che
documentano diverse forme di oppressione multipla, ma anche agency politica e attivismo di genere in queste
comunità nei vari paesi europei.
Tradizioni patriarcali e ricerca intersezionale femminista: nelle istituzioni internazionali il primo riconoscimento
dell’oppressione multipla sofferta dalle donne rom è apparso nel “Quinto Rapporto delle Nazioni Unite” del dicembre
2010, dove vi era una sezione dedicata alle forme di discriminazione multipla (ovvero a quei casi in cui una persona
è discriminata in base a due o più fattori) subite dalle donne rom; non ci sono disposizioni penali in merito alle
discriminazioni di genere, razza e orientamento sessuale e nessun controllo o sanzione nel caso in cui gli Stati membri
non abbiano varato direttive obbligatorie per prevenire o punire le discriminazioni multiple.
Nonostante gli sforzi delle istituzioni europee a creare documenti che affrontino le discriminazioni multiple, in molti
casi la situazione sta peggiorando!
La retorica razzista e anti-zingari pervade l’intera società, circola nei media mainstream e nei discorsi pubblici: la
retorica razzista sta peggiorando, infatti, alcuni parlamentari, a causa di ciò, richiedono anche l’abolizione dei campi
(es. Matteo Salvini, il capo della Lega Nord italiana attualmente ministro dell’interno, a proposito dei campi rom, si è
dimostrato da tempo campione di anti-zingarismo e di odio anti-rom); questo avviene senza sanzioni da parte del
sistema legale o provvedimenti della autorità pubbliche responsabili; ciononostante, ci sono stati alcuni miglioramenti
grazie alle attiviste zingare e non zingare che hanno sostenuto la comunità.
Thematic Action Plan for Roma and Traveller Inclusion mette in luce il motivo per cui il documento del Consiglio
d’Europa risulti inappropriato e come attribuisca la colpa degli effetti dell’emarginazione alla stessa comunità rom.
L’approccio intersezionale (il termine “intersezionalità” viene usato per descrivere la sovrapposizione di diverse
identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni, oppressioni o dominazioni) è cruciale per
comprendere e contrastare la discriminazione multipla: il femminismo intersezionale è un potente strumento per tutte/i
(donne e uomini) che rafforza le comunità e aiuta a creare alleanze nella lotta contro le disuguaglianze economiche, le
diverse forme di anti-zingarismo sociale e le politiche rom-fobiche, contro quel mix di razzismo e sessismo che le
zingare affrontano ogni giorno.
Come sostiene Angéla Kóczé, lo sviluppo di approcci e metodi intersezionali potrebbe aiutare a riconoscere e
affrontare le problematiche delle donne rom; inoltre, potrebbe migliorare la posizione sociale di uomini e ragazzi la
cui condizione particolare è denunciata da Jelena Jovanović, la quale afferma che le situazioni svantaggiose sono
sofferte anche dei ragazzi rom, vulnerabili ed esposti a forme particolari di tratta di esseri umani, come nel caso dei
bambini di strada a Belgrado (si parla di assenza di misure di prevenzione, assistenza e protezione).
Le culture zingare sono sempre rappresentate come immutabili gerontocrazie maschili (con “gerontocrazia”
s’indica un sistema politico in cui il potere è detenuto dagli anziani, di stampo non riformista), dove le donne sono
viste solo come vittime incapaci, specialmente quando si tratta di forme di violenza di genere; oltre le forme note della
violenza (fisica, sessuale, psicologica…) esistono forme specifiche di violenza legata al contesto patrilocale (es. la
suocera di una sposa esercita spesso piena autorità sulla nuova arrivata e, in alcune zone, non è raro che picchi la
à
giovane moglie del figlio per correggerla la pressione culturale sulle donne affinché si adatti nei propri
comportamenti alla tradizione -es. coprire la testa con un fazzoletto indossare con le lunghe- è vissuta come
conformismo forzato dalle giovani generazioni che non sopportano norme e costumi antichi).
Alcune ricerche-azioni femministe contro la violenza domestica nei campi e nelle comunità zingare sono state
portate avanti con successo: le ricercatrici hanno raggiunto risultati significativi adottando una metodologia
partecipativa, intersezionale e non eurocentrica.
La creazione dei progetti Empowerment per le differenze etniche ha consentito la creazione di spazi sicuri dove
poter parlare di questioni intime, sessualità, matrimoni precoci e molestie: la violenza di genere non è un problema che
le zingare devono combattere da sole, ma un problema comunitario che deve essere affrontato in modo condiviso per à
gli Jelena Jovanović, Angela Kocze e Lidia Balogh l’alleanza tra femministe rom e non rom è uno spazio di
condivisione dove scambiare sostegno, conoscenze ed esperienze.
Purtroppo in certi progetti relativi all’emancipazione, alle attiviste gagè (non zingare) manca spesso il retroterra
conoscitivo su tradizioni e modi di vita di zingari, necessario per affrontare questioni tanto delicate.
Le donne rom, facendo parte di una minoranza etnica socialmente esclusa, sono particolarmente vulnerabili alla
violenza maschile essendo esposte sia a quella della propria comunità che a quella esterna; da questa constatazione
parte Empow-air, un progetto durato due anni, promosso dalla Commissione europea; tutte le società tendono a negare
o minimizzare la violenza contro le donne e questo contribuisce a mantenerle in una posizione subordinata.
Gli abusi domestici e sessuali sono indicatori di uno squilibrio di potere tra uomini e donne che inizia già quando si è
ragazzi e ragazze: gli uomini dovrebbero quindi essere educati ad altri modelli di mascolinità, promuovendo la loro
partecipazione a gruppi e iniziative culturali in cui si decostruisca quell’assunzione patriarcale (superiorità maschile) e
la violenza venga eliminata.
La denuncia intentata dalla vittima è percepita come violazione della solidarietà di un gruppo e causa la perdita di
prestigio e d’immagine dell’intera comunità.
Alcune donne sono andate in scena per denunciare le problematiche relative agli abusi domestici (attraverso
rappresentazioni teatrali si richiama l’attenzione sulla violenza così come viene vissuta): queste iniziative culturali (es.
film o opere teatrali) prodotti all’interno della comunità possono avere un impatto maggiore dei piani istituzionali, per
prevenire la violenza.
Se una donna soddisfa tutti i "criteri", cioè se prende marito, diventa madre e parla la lingua romanes (lingua
indoeuropea parlata da alcune comunità rom), ha più possibilità di far valere il suo interesse all'interno del movimento
rom; la posizione di una donna all'interno del movimento rom dipende anche dalla posizione del marito all'interno del
movimento (se lui è un attivista rom o meno).
Alexandra Oprea, nel suo saggio The Erasure of Romani Women in Statistical Data, denuncia il modo in cui
vengono costruite le statistiche: secondo la studiosa, i dati della Banca Mondiale non presentano un approccio
intersezionale (gli attuali approcci alla raccolta dati sono errati perché si basano su nozioni di razza e genere che si
escludono a vicenda, perché raccolgono separatamente "dati di genere" e "dati etnici": questa pratica deve essere
superata per rimediare alle molteplici forme di discriminazione che queste donne affrontano).
Sebbene nel discorso pubblico le donne zingare siano rappresentate come cittadine immeritevoli proprio a causa della
loro elevata natalità, un’etnografa rom si è pronunciata a favore della volontà delle/i Rom Lovári (gruppo rom
proveniente dall’Ungheria) di mantenere un alto tasso di fertilità per assicurare la rigenerazione della razza.
La ricerca condotta da un ricercatore, si concentra sulle lotte per l'uguaglianza di genere delle donne rom in Ungheria
e sottolinea come la presunta associazione tra socialismo di stato e donne abbia rallentato la mobilitazione femminista;
le femministe rom si trovano ancora di fronte alla scelta tra l’essere attiviste rom o femministe (è più importante
l'appartenenza alla razza o al genere?); nelle ex colonie, le combattenti per la libertà hanno dovuto accantonare la
propria lotta di donne a favore di quella per la liberazione nazionale.
In Europa, i sindacalisti chiedevano alle lavoratrici delle fabbriche di preferire la lotta di classe al femminismo!
Solo il femminismo curdo (una narrazione ha ritratto le donne curde della Siria del Nord, nota come Rojava, come
eroine pronte a difendere valori di democrazia e libertà; la loro volontà ultima era quella di liberarsi dai vincoli
patriarcali e costruire una nuova idea di società), nel contesto del federalismo democratico della Federazione Rojava, è
stato capace di mettere al primo posto la liberazione e gli obiettivi delle donne, avendo fatto comprendere a tutti la
necessità di affrontare i rapporti di potere in una prospettiva di genere (nessuna liberazione è possibile, nessuna
uguaglianza può essere raggiunta, se non si innescano questi processi femministi all'interno delle comunità).
La sfida è quella di superare le contrapposizioni tra le varie identità, quali l’essere donna (genere) e l’essere zingara
(etnia): occorre che le femministe bianche riconoscano che disuguaglianze basate su razza/colore/classe/status/genere
sono reciprocamente importanti (es. un attivista e studiosa femminista non-rom ha definito un attacco violento a una
donna rom in un luogo pubblico da parte di un attivista antirazzista come un atto di violenza contro le donne; lo stesso
attacco invece è stato definito come effetto del patriarcato persistente all’interno del movimento rom da un attivista e
studiosa femminista rom).
Intendendo la razza e il genere come categorie che si escludono a vicenda, le organizzazioni non governative rom e le
organizzazioni femministe non riescono ad affrontare la multiforme discriminazione di cui soffrono le donne rom!
Tra le comunità zingare dei paesi dell'Est, gli studi basati sull’analisi intersezionale hanno portato alla luce la
femminilizzazione etnicizzata della povertà durante le transizioni post-socialiste.
L'etnicizzazione e la de-etnicizzazione si riferiscono alla tendenza a considerare l'etnia come un fattore centrale o
periferico nell'analisi e comprensione della violenza di genere: l’etnicizzazione si verifica quando la violenza di
genere viene interpretata o descritta in termini etnici o razziali, enfatizzando l'appartenenza etnica come un fattore
determinante nella sua manifestazione (es. potrebbe esserci l'idea che un certo gruppo etnico sia più incline alla
violenza di genere a causa delle loro tradizioni culturali o credenze); la de-etnicizzazione può essere un tentativo di
sottolineare l'importanza di affrontare la violenza di genere come un problema universale che colpisce tutte le donne,
indipendentemente dalla loro etnia (tuttavia, può anche comportare il rischio di ignorare le specificità culturali,
trascurando le disparità e le forme specifiche di violenza che possono derivare da contesti culturali o razziali specifici.
Le organizzazioni non governative rom, in prima linea nella lotta antirazzista in Europa, affrontano il razzismo ma non
riescono a considerare il ruolo del patriarcato come un fattore chiave nell'oppressione delle Rom; le organizzazioni
femministe in Europa, a loro volta, si concentrano sulla subordinazione di genere, ma trascurano il razzismo, un
ostacolo cruciale per le Rom.
Decolonizzare teoria e pratica femminista: alla base della supremazia culturale euro-atlantica risiede la nozione di
scienza fondata sulla razionalità, ritenuta forma superiore di conoscenza, a discapito di esperienza e intuizione.
La persistenza dell'egemonia occidentale trova radici nel costrutto gerarchico che distingueva i colonizzatori dai
colonizzati, le persone bianche dalle non-bianche, i sovrani dai subordinati e, all'interno di tutte queste categorie, le
donne dagli uomini.
Sebbene il vecchio colonialismo sia stato sconfitto dalle popolazioni ribelli, il neocolonialismo economico e culturale
pervade tutt'oggi le relazioni sociali, penetra nelle comunità e impone un modo di essere e uno stile di vita.
Negli ultimi decenni, tra chi fa attivismo e ricerca è aumentata la consapevolezza della necessità di “decolonizzare” il
femminismo: le stesse donne zingare, di colore, indigene e maori hanno messo in discussione la parola
“femminismo”, che varia in base al contesto culturale; si potrebbe riflettere sulle differenze tra attivismo di genere e
à
femminismo mentre alcune attiviste di genere e donne leader si definiscono femministe, altre invece non amano
l’espressione femminismo poichè può creare fraintendimenti visto che da l’idea di un atteggiamento anti-uomini
(come se si volessero sminuire gli uomini e i loro diritti): siccome non è questo lo scopo delle attiviste di genere, si
preferisce usare il termine “attivismo di genere” al posto di femminismo.
Le femministe di colore hanno contribuito, ad esempio, con numerosi studi ad una pratica di autoriflessione e al
bisogno di produrre un sapere che non sia frutto di un rapporto di dominazione occidentale o bianca.
Tra gli obiettivi principali delle zingare attiviste di genere e femministe vi è quello di stabilire un rapporto tra
valorizzazione delle tradizioni ed autodeterminazione delle donne!
Le donne hanno creato la legge Rivoluzionaria sulle Donne dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN);
assunto posizioni di autorità politica e militare e hanno iniziato una lunga strada per combattere la violenza di genere
che dovrebbe essere una guida per le diverse generazioni (la legge è un breve documento che presenta i diritti
fondamentali richiesti dagli zapatisti che non erano stati riconosciuti dallo Stato o dalla società – governati sotto un
à
ordine patriarcale, classista e razzista – ma nemmeno dalle loro comunità diritto all'istruzione, alla salute e al cibo, al
lavoro e a salari equi, alla maternità scelta, a vivere senza violenza sessista o matrimoni forzati, a partecipare alla vita
comunitaria e ad assumere posizioni di rappresentanza); ciò ha portato alla luce una modalità di superamento sia del
relativismo culturale, che spesso sostiene l'ordine patriarcale in nome del rispetto delle tradizioni, sia dell'imposizione
suprematista bianca dei propri valori come valori universali.
La dinamica tra i diritti di genere e tradizione è alla base della rivista “Nevi Sara Kali”; il nome della rivista evoca la
divinità Kali (pura forza femminile), coperta dal velo di Sara, simbolo dell’ambiente culturale (si narra che i resti di
Sara kali siano conservati in una chiesa dove ogni anno due madonne zingare vengono festeggiate
contemporaneamente da diverse comunità; il giorno della celebrazione è stato scelto come giornata internazionale rom
= 8 aprile; Sara Kali è la protettrice della comunità rom), pubblicata per la prima volta nel 2009, che mira a mettere in
luce le reti femministe rom/zingare che adottano il metodo intersezionale nella loro lotta contro il patriarcato ed il
razzismo.
I pregiudizi sulla comunità rom però non stanno cambiando, come per esempio quelli sul matrimonio forzato, che, in
realtà, è un qualcosa che ormai appartiene al passato e non si sa quanto sia frequente tale usanza patriarcale.
N.B. matrimonio forzato: implica forti accordi familiari e l’impossibilità per la figlia di scegliere il marito;
matrimonio combinato: una tradizione diffusa anche nelle culture non rom (la famiglia propone un candidato che la
ragazza può approvare o disapprovare esercitando una scelta; va sottolineato che il matrimonio combinato non indica
una completa libertà, ma solo il diritto di veto in un contesto in cui le pressioni sociali verso il matrimonio in giovane
età sono ancora forti.
Gli accordi matrimoniali tradizionali nei paesi occidentali sono ancora in uso nelle classi più agiate (in una recente
biografia il principe Carlo d’Inghilterra racconta la storia del matrimonio forzato con lady Diana, una vergine di alta
discendenza, la quale la famiglia reale del principe costringe a sposare. Solo dopo la tragica morte della moglie, egli
poté emanciparsi e, contrariamente alle aspettative derivanti dal suo status, scegliere la donna della sua vita).
Oggi spesso gli adolescenti ricorrono a una sorta di “fuga d’amore”: nel libro di Ohana Marcu, la fuga d’amore non è
considerata una tradizione ma un’usanza largamente diffusa e una trasgressione delle regole tollerata; i risultati della
sua ricerca mostrano che la ragazza dovrebbe perdere la sua verginità durante la fuga altrimenti i suoi genitori possono
esigere che torni e impedirle di scappare di nuovo; ma tale azione non implica necessariamente la perdita della
verginità per la ragazza; tuttavia la fuga d’amore rappresenta una macchia nella reputazione della giovane ed esige
riparazioni: tutti propenderanno per la facilitazione di un matrimonio riparatore tra la ragazza e ragazzo che lei ha
scelto, invece di perseguire accordi di matrimonio senza il suo consenso.
Ricercatrici e attiviste impegnate a contrastare il matrimonio precoce incoraggiano le ragazze a frequentare la scuola e
completare l’istruzione secondaria, a ritardare il matrimonio e aumentare la possibilità di ottenere un’istruzione
à
superiore e magari a proseguire oltre aumentare il livello di istruzione è il primo passo verso l’empowerment e la
crescita dell’autostima delle ragazze all’interno e all’esterno della comunità.
L’approccio decoloniale ed intersezionale sarebbe fondamentale per far luce sui diversi fattori relativi alla comunità
zingara attribuiti alla differenza etnica, ma che sono per lo più legati alla povertà.
In realtà, i confini etnici ed identità cambiano attraverso la storia: nel discorso gagé, le questioni di classe vengono
spesso etnicizzate quando si tratta di persone zingare, e lo stesso avviene per il genere (es. esposizione delle lenzuola
dopo il matrimonio per dimostrare la perdita della verginità).
La deflorazione rituale (rottura dell’imene) da parte di una donna esperta può essere considerata come una
riapprovazione dell’atto penetrativo; la donna perde la verginità prima del matrimonio, non durante un doloroso e
veloce accoppiamento sessuale con il giovane marito.
L’ajuntaora è una donna che ha il potere di unire tutte le donne che sono coinvolte nel matrimonio e di assumersi il
compito tradizionalmente affidata agli uomini di deflorare tutte le ragazze prima del matrimonio.
I rituali che interessano la verginità sono complesse diversi in ogni comunità rom e la disposizione nei loro riguardi
varia in modo significativo.
Le donne svolgono la funzione morale di incarnare norme e valori come la castità e la fedeltà che gli uomini di fatto
non sono tenuti a rispettare; le donne devono arrivare all’altare immacolate.
Nonostante i vari sviluppi, però, le donne rom devono comunque destreggiarsi tra le vari contraddizioni, tenendo in
considerazione l’amore per la propria cultura dentro e fuori la comunità.
Le Rom hanno sfilato ostentando una maglietta che riprendeva, provocatoriamente, la frase "Zingara puzzolente”,
pronunciata dal presidente Basescu, costringendolo a porgere delle scuse ufficiali; grazie alla riappropriazione di un
significante dispotico, le donne sono riuscite a manifestare la loro legittima rabbia contro quel rigurgito di razzismo e
sessismo di stato.
Body politics, media-attivismo e riappropriazione dei significanti: Laura si sofferma su questi 3 concetti
fondamentali, che sono tutti collegati alla sfera dell'identità, del potere e delle dinamiche sociali.
Body politics: si concentra sul modo in cui il corpo umano viene oggettivato, controllato e regolato da norme sociali,
politiche e culturali; coinvolge questioni come il genere, la sessualità, la razza e altre caratteristiche corporee che
influenzano il modo in cui le persone sono percepite, trattate e soggette a discriminazione; l'analisi delle body politics
esamina come le norme sociali influenzano l'autonomia, la libertà e la rappresentazione delle persone.
Questo concetto è spesso utilizzato per contestare le strutture di potere che influenzano il controllo sul corpo e per
promuovere l'uguaglianza e l'emancipazione!
Media-attivismo: è un'azione o un movimento che utilizza i mezzi di comunicazione, come i media tradizionali o i
social media, per promuovere cambiamenti sociali o politici; il media-attivismo si basa sulla consapevolezza che i
media hanno un ruolo significativo, poiché le persone cercano di promuovere la consapevolezza, l'educazione e la
mobilitazione riguardo a questioni sociali, come l'equità di genere, i diritti civili, la giustizia sociale ecc (questo può
avvenire attraverso la condivisione di storie personali, la diffusione di informazioni o la creazione di reti di sostegno).
Riappropriazione dei significanti: si riferisce al processo in cui un gruppo o un individuo adotta o trasforma un
termine, un simbolo o un'immagine che precedentemente era stato usato in modo denigratorio o oppressivo nei
confronti del gruppo stesso; questo atto di riappropriazione può essere un modo di ribaltare il significato negativo e di
riaffermare l'identità e l'autonomia del gruppo.
L’anti-zingarismo è l’unica forma di razzismo socialmente accettata in Europa.
Maria Bogdán ci ricorda la natura costitutiva delle immagini e dei simboli in un suoi saggio, in cui decostruisce un
documentario, dove le persone rom vengono considerate criminali per natura, stigmatizzate perché hanno troppi figli/e
biasimati per abitudini sessuali ritenute improprie (bisognerebbe cercare di cambiare quelle che sono le immagini di
una comunità violenta per natura, con immagini che danno un aspetto positivo; questo cambiamento è avvenuto, in
parte, grazie all’emergere di attiviste e blogger femministe).
Anche l’esotizzazione è una forma di razzismo: si verifica quando una persona o un gruppo viene considerato
"diverso" o "straniero" in base alla loro razza, etnia o cultura, e viene ridotto a oggetti di fascinazione
à
esotica l'esotizzazione razziale può portare a una serie di problematiche, inclusa la riduzione delle persone a semplici
oggetti di desiderio sessuale o di consumo culturale, ignorando la loro individualità.
L’autore è Petr Uhl sostiene che è indegno vendere la bellezza femminile ed evidenzia un parallelo tra l’esposizione
dei corpi delle donne e la mercificazione degli oggetti tradizionali della comunità Rom, che appartengono entrambi al
processo di esotificazione della cultura.
Nel sito “I am a European Roma Woman” vengono esposti dei punti per creare una rete sostenibile di attiviste rom e
le condizioni per la difesa delle questioni relative alle donne rom; le fondatrici del sito hanno saputo collegare la
vecchia agenda anti-discriminatoria con le nuove aspirazioni, costruendo delle reti e facendo capire l’importanza della
collaborazione tra le donne istruite e non istruite (come accade nella teoria e nella pratica del femminismo kurdo, che
rompe secolari barriere tra donne che hanno titoli di studio e donne che ne sono prive; alla Star Academia of Women,
nella Federazione Rojava, cooperano studentesse e insegnanti di comunità, età e status sociale diverso).
Il principio è che ogni donna ha un suo sapere da condividere, può studiare, imparare, insegnare, produrre idee e
progetti, aprendo così una prospettiva rivoluzionaria.

SCIENZA SOCIALE E MAGIA: LA QUESTIONE DELLA MODERNITA’ e MASSA VINCOLI E


MANIPOLAZIONE
EROS E MAGIA NEL RINASCIMENTO di Culiano
Il libro analizza la relazione tra eros (l'amore romantico e sessuale) e la magia nel contesto del periodo
rinascimentale: Culiano esplora come l'eros e la magia siano stati intrecciati nel pensiero e nelle pratiche del
Rinascimento, concentrandosi in particolare sulla magia d'amore, che era una forma di magia utilizzata per influenzare
o sedurre l'oggetto del desiderio.
L'autore esamina diverse opere letterarie del Rinascimento: le poesie di Marsilio Ficino e gli scritti di Giordano
Bruno, per evidenziare la concezione dell'amore e della magia durante quel periodo; egli affronta anche il tema delle
pratiche magiche legate all'eros, come gli incantesimi, i talismani e le invocazioni, e analizza la loro relazione con la
teologia, la filosofia e la cultura rinascimentale.
1. Identità di sostanza, identità di operazione: la “rinascita” attuata dal Rinascimento è una renovatio del passato
antico (antecedente al Medioevo): ci si basa proprio su un ritorno al passato.
Vi è una grande attenzione per la magia (e per le discipline affini): nel Rinascimento si tende a dividere tra magia
naturalis (la magia “bianca”), quella accettata da Dio e per tale considerata legittima, e la magia demonica (la magia
“nera”), ritenuta illecita poiché, per sua natura ricorre al malvagio e le sue azioni sono guidate dal potere dei demoni.
L’uomo è visto come il “soggetto in grado di agire sulla natura” (si tratta di un intervento razionale e consapevole e
non in balia di strane forze mistiche).
Si parla di “naturalismo rinascimentale”: la natura non è intesa come semplice materia, ma come un immenso
deposito di forze vitali (nel pensiero rinascimentale, il concetto di «natura» è assai più ampio del nostro, dato che
comprende ogni tipo di esistenze: a partire dagli dei, eroi e demoni fino ad arriva alle sirene).
à
Il mondo è regolato dagli stessi principi che regolano i rapporti umani: attrazione e repulsione questo perché, in
questo universo (macrocosmo), ogni parte è legata all’altra e l’uomo è il microcosmo (specchio
à
dell’universo) relazione tra uomo e cosmo.
à
Il mago è il prescelto: fare una “magia” significa “unire” il mondo in tal senso la magia è intesa come una sorta di
nuova scienza, proprio perché il suo fine ultimo è analizzare la natura (il mondo si lascia conoscere).
La riscoperta degli autori antichi, in particolare di Platone e dei neoplatonici, portarono nel Quattrocento alla
formazione di un circolo platonico, di cui massimo esponente fu Marsilio Ficino (filosofo più influente del
Rinascimento); quest’ultimo fu convinto che la vera religione (il cristianesimo) e la vera filosofia (il platonismo), sono
alla pari e quindi non vanno trattate come una subordinata all’altra: coloro che non vogliono essere condotti dalla pura
à
fede possono affidarsi alla verità che deriva dalla filosofia egli cercava una giustificazione razionale anche della
“magia” e, proprio in virtù di ciò, cerca di conciliarla con i valori del cristianesimo: ed ecco che, per Ficino, Platone
era un profeta del cristianesimo, e il mago un “sacerdote” e un servitore dell’universo, sottoposto alle leggi del
Creatore; (egli attribuiva una funzione positiva alla magia, integrata perfettamente nel processo creativo di Dio, e
come tale espressione di fede religiosa e non in contrasto con questa).
L’arduo compito di saldare religione e filosofia fu sintetizzata nella dottrina dell’anima, punto di equilibrio tra la realtà
fisica e divina: poichè la magia naturale si basa sull’attrazione reciproca delle cose, Ficino afferma che «…l’intera
forza della Magia è fondata sull’Eros…»: la paternità dell'equazione eros = magia appartiene proprio a Ficino!
Compito della Magia è ravvicinare le cose l'una all'altra.
E’ nel pneuma (=dal greco “spirito”) universale che hanno luogo le operazioni dell'eros e della magia: “eros” è il
nome che si dà alla forza che assicura la continuità dell'ininterrotta catena degli esseri; “pneuma” è il nome che si dà
alla sostanza comune e unica che mette tali esseri in relazione (a causa dell'eros l'intera natura si trasforma in una
maga).
L'Eros è magia, poiché le sue operazioni sono identiche alle operazioni magiche: tutti i mezzi di persuasione cui fa
à
ricorso sono altrettanti mezzi magici, il cui scopo è di “legare l'altro” più esattamente, l'amante e il mago fanno
entrambi la stessa cosa (lanciano le loro «reti», come direbbe Ficino, per impadronirsi di certi oggetti, per attirarli e
condurli a sé; al pari di un cacciatore - anche lui innamorato della natura/di Diana, come direbbe Giordano Bruno -,
l'innamorato e il mago tendono le loro reti per catturare una preziosissima preda).
L'innamorato mostra i suoi talenti per ottenere il controllo dello pneuma dell'amato; il mago può sia influenzare
direttamente gli oggetti, gli individui e la società umana, sia indirettamente, invocando la presenza di possenti esseri
invisibili (es. demoni).
Egli è tenuto ad accumulare la conoscenza delle reti e delle trappole che deve collocare per raggiungere l'effetto
desiderato.
Giordano Bruno (un monaco che poi viene condannato al rogo dopo esser stato accusato di eresia: mentre Copernico
si muoveva ancora in un Universo finito, Bruno affermò arditamente che l'Universo non può avere limiti) vede la
magia come un infallibile strumento psicologico per manipolare sia le masse che il singolo; la conoscenza dei
«vincoli» appropriati permette al mago di realizzare il suo sogno di Padrone universale, potendo così disporre a
volontà della natura e della società umana.
2. Manipolazione delle masse e degli individui: il De vinculis in genere («Dei legami in generale») di Giordano
Bruno potrebbe essere paragonato a quello del “Principe” di Machiavelli: quella di Bruno tratta della manipolazione
à
psicologica in generale, quella di Machiavelli più specificamente della manipolazione politica la figura del principe-
avventuriero machiavellico vs quella del mago-psicologo bruniano!
In Giordano Bruno quest'operazione vien detta «vincolare» (vincire), e i suoi procedimenti «vincoli» (vincula).
“De vinculis in genere” è lo scritto che oggi meriterebbe il posto d'onore tra le teorie della manipolazione delle masse.
Nel XIX secolo si possono trovare ideologi come Karl Marx e Friedrich Engels, convinti che la religione sia «l'oppio
dei popoli» (in questo senso la religione è vista sotto l’aspetto di possente strumento di manipolazione delle masse).
Verso la fine del XIX secolo, Le Bon getta le basi di quella disciplina chiamata «psicologia delle masse», in seguito
sviluppata da Sigmund Freud: scopo di Le Bon e di Freud è di determinare i meccanismi psicologici che agiscono
all'interno di una massa, non di insegnare come dominare una massa.
Il mago del “De vinculis in genere” è perfettamente consapevole del fatto che, per conquistarsi sia le masse che il
singolo individuo, è necessaria una perfetta conoscenza del suddito e dei suoi desideri, in mancanza della quale non
può aversi il cosiddetto “vinculum” (più il manipolatore è dotato di conoscenze su ciò che deve «legare», più
aumentano le sue probabilità di riuscita, poiché egli saprà scegliere il giusto mezzo per creare il vinculum).
E’ evidente che il più importante e il più generale dei legami appartiene all'eros, ed è per tale motivo che i platonici
hanno definito l'amore “Grande Demone”.
L'azione magica avviene per contatto indiretto, per suoni e figure che esercitano rispettivamente il loro potere sui sensi
dell’udito e della vista: essi non sono scelti a caso, ma provengono dal linguaggio occulto del pneuma.
Le figure sono capaci di suscitare l'amicizia o l'odio, la perdita o la dissoluzione ecc (questo fenomeno artificiale può
essere costatato ogni giorno col fatto che gli individui e le cose viste provocano in noi spontaneamente la simpatia o
l'antipatia, la ripugnanza o l'attrazione ecc).
La vista e l'udito sono le porte secondarie tramite le quali questo «cacciatore di anime» (il mago), può introdurre i suoi
«legami»; ma l’ingresso principale di ogni operazione magica è la fantasia: è necessario distinguere le fantasie
provocate da un'azione volontaria del soggetto stesso, dalle fantasie che possono esser provocate dai demoni o da una
volontà umana.
Bruno richiede all'operatore un'impresa sovrumana: in primo luogo ordinare immediatamente le informazioni secondo
la loro provenienza, e in seguito rendersi del tutto immune da ogni emozione (cioè non deve lasciarsi condizionare né
dalla compassione, né dall'amore del bene e del vero), al fine d'evitare di essere «legato» a sua volta.
E’ un arduo compito che, una volta compiuto, dà luogo alle 4 fasi del vinculum à l'applicazione del legame,
1 2
il
3 4
legame propriamente detto, l'attrazione che ne risulta e il godimento dell'oggetto che ha provocato l'intera
operazione.
Si direbbe che l'uomo non è in grado di distinguere direttamente le informazioni oniriche (l’immaginario) da quelle
che gli sono trasmesse dai sensi (il reale)!
Condizione preliminare della magia è la fede: «La fede è il vincolo maggiore (il vincolo dei vincoli) di cui tutti gli
altri (la speranza, l'amore, la pietà, la paura e cosi via)…..; è necessario che l'operatore possegga una fede attiva, e il
à
soggetto dell'operazione una fede passiva» tutto è manipolabile, insegna Bruno, ma il manipolatore non ha il diritto
di servirsi del proprio potere sulle masse a fini egoistici.
I diversi individui sono manipolabili secondo criteri diversi: la bellezza che soggioga Socrate non soggioga Platone, la
moltitudine ha preferenze che non sono quelle degli eletti, i maschi hanno gusti diversi dalle femmine, vi sono coloro
che prediligono le vergini, altri che preferiscono le donne facili.
3. Vinculum Vinculorum: la formula “vinculum vinculorum” (“legame dei legami) è da Bruno applicata a 3 cose
distinte: l’eros, la fantasia, la fede (si sa che l'eros è un'operazione fantastica, e ciò riduce a due il numero dei termini:
rimangono solo eros e fede).
Tuttavia, il più delle volte Bruno ricorre a questa formula per illustrare la straordinaria potenza dell'eros che presiede a
tutte le attività magiche, allo scopo di creare legami duraturi il cui scopo consiste nell'assoggettare l'individuo o il
gruppo alla volontà del manipolatore.
E’ vero che la fenomenologia dell'eros è un paradigma dei vincula in genere, i quali però sono legami magici, di cui si
serve il manipolatore per manipolare gli individui o i gruppi di individui, ma anche per ottenere una totale immunità
rispetto ai «legami» d'ogni genere; una delle preoccupazioni di Bruno è inoltre quella di fornire al suo discepolo-
lettore nozioni mediche che gli serviranno a spezzare/slegare i vincula immaginari che cingono i suoi pazienti
(quest’ultima ipotesi sembra assai probabile, e trova conferma nell'uso del verbo “exsolvere” = antonimo di “vincire”,
che compare accanto a quest'ultimo): è, dunque, chiaro che l'attività dell'operatore comprende non solo l'esercizio di
un'influenza magica, ma anche il suo contrario, ovvero la liberazione dai vincula di cui un paziente soffre.
Per concludere e sintetizzare “De vinculis in genere” va interpretato come un manuale pratico del mago, con il quale
questi manipola gli individui secondo le loro disposizioni affettive, ma si tiene lui stesso alla larga da ogni pericolosa
influenza dell'eros (lo stesso manipolatore, il quale, esercitando un controllo assoluto sulla sfera dell'eros, ha saputo
mettersi al riparo da tutti i vincula, da tutte le trappole che l'amore gli tende), e guarisce i pazienti in preda a un
possente sortilegio erotico.
Il vinculum è provocato dalla fantasia, la quale è vera e agisce realmente; esso giunge alla facoltà meditativa,
determina l'affettività e spinge il soggetto al godimento: in quest'operazione, la vista svolge un ruolo essenziale, e
spesso l'amante deperisce se non vede più l'oggetto del suo amore.
L'affetto che ognuno distribuisce intorno a sé è differente a seconda del destinatario: una giumenta non esiterà a darsi a
qualsiasi cavallo; una donna invece non si concede a chiunque; il bambino è meno soggetto alle seduzioni erotiche, e
solo dopo aver raggiunto il quattordicesimo anno è suscettibile di rispondere agli stimoli erotici; per gli adolescenti,
poiché per essi l'eros costituisce un'esperienza nuova e attesa a lungo.
4. Eiaculazione e ritenzione del seme: in “De vinculis” vi sono passi che sembrano alludere al fatto che la magia
bruniana sia vicina alla pratica della ritenzione dello sperma, una pratica appannaggio dei taoisti in Cina per
preservare la vitalità e la longevità, e il cui scopo è quello di evitare l'eiaculazione esterna del maschio, sostituendola
con una sorta di “eiaculazione interna” (l’uomo impara ad avere un orgasmo senza eiaculare).
Secondo il pensiero di Giordano Bruno, l’operatore non deve arrivare all'appagamento del desiderio (avere
l’orgasmo), perché ciò comporta la distruzione del legame (il desiderio diminuisce, e di conseguenza si riduce anche
la forza del legame); l'operatore, al contrario, è tenuto a rafforzare il legame -simbolicamente “a trattenere lo sperma”-
; per far ciò deve, in primo luogo, sviluppare il sentimento e l’emozione in se stesso per provocare di conseguenza
à
un'emozione alla sua vittima è l'effetto transitivo della magia.
II contrario della pneumatorrea è l'accumulo del pneuma, a cui si giunge, tra l'altro, con la continenza sessuale!
Riassumendo, l'operatore di Bruno deve compiere due azioni antitetiche: da un lato, deve evitare accuratamente di
lasciarsi sedurre, e per questo deve allontanare da sé fin l'ultimo seme d'amore, ivi compreso l'amor proprio; dall'altro,
non è esente da passioni, anzi, è persino tenuto ad accendere dentro di sé passioni straordinarie per provocare
un'emozione alla sua vittima e rafforzare il legame, a patto che nei suoi confronti egli dia prova di distacco
(l’operatore non possiede altro mezzo di stregare che sperimentando in se stesso ciò che vuole produrre nella sua
vittima).
5. Della magia come psicosociologia generale: l'eros implica che tutti i fenomeni erotici sono fenomeni magici nei
quali l'individuo ha il ruolo del manipolatore, del manipolato, di strumento di manipolazione.
Con la specializzazione e la delimitazione delle competenze, si sarebbe propensi a dire che gli altri due praticanti della
magia bruniana, il mago e il profeta, ai giorni nostri siano scomparsi, anche se è più probabile che essi si siano
semplicemente camuffati sotto aspetti discreti e legali, di cui quella dell'analista è solo una, e tutto sommato non certo
la più importante: oggigiorno il mago si occupa di relazioni pubbliche, di propaganda, di censura e persino di
à
criptografia, scienza che nel XVI secolo era stata una branca della magia questa figura chiave della società odierna
rappresenta solo un prolungamento del manipolatore bruniano; hanno avuto torto gli storici sostenendo la scomparsa
della magia con l'avvento della scienza quantitativa, la quale non ha fatto che sostituirsi a una parte della prima
(magia), continuandone d'altronde i sogni e gli scopi, attraverso i mezzi della tecnologia (l'elettricità, i mezzi di
trasporto veloci, l'aereo e il computer sono stati la realizzazione delle promesse che per prima la magia aveva
formulato, e che rientravano nell'arsenale dei procedimenti soprannaturali del mago, come produrre la luce, spostarsi
à
istantaneamente nello spazio, comunicare con lontane regioni dello spazio, volare nell'aria ecc) la tecnologia è una
magia democratica, che permette a tutti di godere delle facoltà straordinarie di cui si vantava il mago.
La sociologia, la psicologia e la psicosociologia applicate al giorno d'oggi sono le dirette eredi della magia
rinascimentale.
LA MAGIA PNEUMATICA
1. Il grado zero della magia: l'amore-a-due di Ficino rappresenta il grado zero sia dell'eros che della magia: il grado
zero della magia è rappresentato dall'eros, che dà luogo alla costruzione di una magia erotica - forma della magia
intersoggettiva - funzionante in virtù della legge di interazione pneumatica tra individui.
Da Ficino a Bruno, la dottrina della magia erotica subisce trasformazioni analoghe a quelle subite dal concetto di
“transfert” da Freud a Lacan: in Freud, il termine “transfert” costituisce un fenomeno limitato ai rapporti tra l'analista
e il suo paziente; in Lacan, ciascuno ricopre il ruolo dell'analista e del paziente; allo stesso modo, per Ficino “l'eros”
era la relazione tra due individui, l'amante e l'amato (Freud); per Giordano Bruno, era il motore delle relazioni
intersoggettive in generale, compresi i fenomeni di massa (Lacan).
Ficino trascura l'aspetto della produzione dell'eros, le cui cause sono per lui soprannaturali; Bruno invece si occupa
soprattutto della possibilità di manipolazione erotica dell'individuo e delle masse.
Ficino descrive il fenomeno ipnotico che ha luogo spontaneamente durante la manifestazione naturale del sentimento
amoroso; Bruno si occupa soprattutto dell'ipnosi attiva e volontaria, diretta a un soggetto individuale o collettivo (si
tratta di una conoscenza e di un'intuizione profonde, che scrutano l'inconscio del soggetto per estrarne le «debolezze»,
vale a dire ciò da cui il soggetto può essere «legato», manipolato, ipnotizzato; non è solo la magia a far ricorso a
questo metodo «psichico», ma anche la medicina, dato che il successo di questa non dipende tanto dall'efficacia dei
rimedi che essa somministra, bensì dalla fiducia che il soggetto ha nel proprio guaritore).
La religione è un fenomeno di ipnosi collettiva, indotta da un profeta su una massa di individui!
In Bruno la psicosociologia della coppia si trasforma in psicosociologia generale, scienza della formazione
dell'individuo secondo un contesto preesistente; scienza della manipolazione e delle relazioni intersoggettive.
L’anticipatrice di questa disciplina del presente e dell'avvenire è la magia erotica di Giordano Bruno.
2. Magia «soggettiva» e magia «transitiva»: il ricercatore inglese Walker ha proposto di classificare la magia in
«soggettiva» (poiché opera sul soggetto stesso) e «transitiva» (poiché opera sul mondo circostante).
La magia soggettiva è una forma preliminare di ogni magia, dato che mira a trasformare il pneuma individuale in
modo tale che esso sia in grado di compiere operazioni magiche; le influenze da essa esercitate si ripercuotono sullo
stesso operatore; ne deriva che ogni magia è, per natura, transitiva.
L'uso della magia transitiva rivolta a esseri animati coincide in parte con la psicologia pratica: ha lo scopo di
controllare e indirizzare le emozioni di altri, alterandone l'immaginazione in maniera specifica e permanente.
Secondo Giordano Bruno, bisogna distinguere la magia dalla medicina (quest’ultima è forma di guarigione
spirituale), per poi distinguere le due (magia e medicina) dalla religione, forma di magia che opera su un soggetto
collettivo.
Data l'assenza di produzione fantastica negli esseri animati inferiori (piante) e negli inanimati, continuerebbe a
sussistere la differenza tra la magia intersoggettiva e la magia generale di cui essa fa parte; tali conclusioni conducono
a una classificazione delle forme di magia, ben diversa da quella di Walker.
La magia generale, operazione per sua natura transitiva, si suddivide in:
Magia intersoggettiva: presuppone un'identità di struttura pneumatica tra l'operatore e il paziente; a sua volta, la
magia intersoggettiva conosce un caso speciale, quello della magia infrasoggettiva (definita “soggettiva” in Walker),
nel quale l'operatore è il paziente di se stesso.
Infine, quando la magia intersoggettiva si dedica alla guarigione di un organismo psicofisico alterato, riceve il nome di
medicina, mentre se agisce su un soggetto collettivo, proponendogli un indirizzo generale dell'esistenza e speciali
regole di condotta, finisce per confondersi con la religione.
Magia extrasoggettiva: la cui azione si rivolge agli esseri interiori e non deriva dall'interazione pneumatica tra 2
soggetti.
Il determinismo naturale non ammetteva, per il pensiero rinascimentale, che il “caso” avesse un ruolo fondamentale
(tutto era rigorosamente contrassegnato dal destino): oggigiorno, noi riteniamo che i nostri incontri e i nostri
sentimenti siano dovuti al caso; un uomo del Rinascimento ci dimostrerebbe invece, servendosi del nostro stesso
oroscopo, che essi erano predeterminati dalla posizione dei pianeti nello zodiaco il giorno della nostra nascita e il
giorno dei nostri incontri.
3. La cospirazione delle cose: già in epoca ellenistica la dottrina dell’analogia macro (universo) e micro (uomo)
cosmica si manifestava in due forme, che ritroviamo nei pensatori del Rinascimento: Platone si ispira al “Corpus
ippocratico” (una collezione di opere in greco antico che trattano vari temi, tra i quali spicca la medicina, scritte nel
corso di vari secoli e aggregate tra di loro in un'epoca imprecisata), nonostante la giustificazione teorica che egli dà
della dottrina nel suo complesso si riveli debitrice della sua stessa teoria delle idee, secondo la quale il mondo
à
sensibile (reale) ha un prototipo preesistente, stabile ed eterno il mondo intellettuale o noetico (che riguarda la
mente); a sua volta l'uomo, che è un composto di anima e corpo, riunisce in sé questi due mondi (mondo reale e
à
mondo intellettuale) in un certo senso il suo corpo è l'immagine dell'universo reale, mentre la sua anima è un insieme
del mondo intellettuale.
Il punto di partenza di tutte le speculazioni relative alla magia pratica è costituito dalla pneumatica stoica: gli stoici
concepivano il cosmo (universo) come un organismo vivente, dotato di ragione, in grado di generare microcosmi
(uomini) ragionevoli: prendendo l’uomo come modello, anche il macrocosmo (universo) è provvisto di un
hegemonikon (sintetizzatore cardiaco), situato nel sole (che è il cuore del mondo).
Per gli stoici, il rapporto tra “hegemonikon” e “pneuma” era chiarissimo: l'hegemonikon «è come una stazione
à
ricevente, alla quale sono comunicate tutte le impressioni raccolte dai sensi come il pneuma psichico anima tutto il
nostro organismo, così il pneuma cosmico penetra fin nelle estremità del mondo.
Il merito di aver riunito in una sintesi originale gli elementi platonici, aristotelici e stoici che costituiscono il
fondamento teorico della magia rinascimentale va a Sinesio di Cirene, il quale finì per convertirsi al cristianesimo e
divenire vescovo.
La differenza principale tra Aristotele e gli stoici consiste nel fatto che, per gli stoici il pneuma è l'anima stessa,
mentre per il Aristotele è solo un intermediario di natura tra l'anima e il corpo fisico.
Epitteto costaterà che i fantasmi sono influenzati dallo stato del pneuma che li riceve o li concepisce, e ricorrerà a un
paragone: «Al pari delle case che, trovandosi in riva a un'acqua chiara, si mostrano nella sua limpida superficie, così
à
gli oggetti esterni vengono a specchiarsi nel nostro pneuma psichico.» perché le immagini riflesse nello specchio del
pneuma siano precise e fedeli all'originale, bisogna che lo stesso pneuma sia puro (possedere un pneuma/uno specchio
cardiaco perfettamente lucido, diviene l'equivalente di essere virtuosi).
Lo stoicismo si ritrova assieme a tutta la tradizione platonica, il cui più importante esito pratico era l'ottenimento della
separazione dell'anima dal corpo, affinché la prima non fosse lordata dal secondo: dal II sec. d.C. in poi, una simile
tecnica assume il nome di teurgia, termine con il quale viene designata soprattutto un'attività di purificazione
dell'anima, per fini che si possono attribuire alla divinazione e all'alta magia benefica, ma anche e soprattutto al
perseguimento di una miglior sorte nell'aldilà à la premessa teurgica di ogni processo che si annoveri tra le pratiche
della magia spirituale sarà quella di «pulire il proprio pneuma» (il proprio hegemonikon/cuore).
Sono questi dati teorici che permettono di comprendere molte tecniche mistico-magiche orientali le quali danno
grande importanza alla trasparenza, alla purezza e al fulgore della «sede del cuore», come il taoismo, lo yoga ecc.
Secondo il principio platonico, l'oggetto viene riconosciuto dall'anima grazie alla preesistente informazione in essa
contenuta; per riconoscere un oggetto bisogna innanzitutto percepirlo, cosa che può avvenire solo nel sintetizzatore, il
quale ha il ruolo di uno specchio, sì, ma di uno specchio a due facce, che riflette allo stesso modo ciò che si trova in
alto (i prototipi eterni dell'anima) e ciò che si trova in basso (l'informazione degli organi sensibili).
Contrariamente alla tradizione stoica, Sinesio situa il sintetizzatore non nel cuore, bensì nel cervello (intende seguire
lo stesso Platone (dal quale riprende anche la metafora della fortezza) per il quale la testa dell'uomo-microcosmo ha
ben più valore del cuore.
Per Sinesio, lo specchio doppio dà modo alle immagini riflesse dalle due superfici contigue di incontrarsi su un
terreno neutro; in quanto intermediario tra il mondo intelligibile (può essere conosciuto e compreso attraverso
l'intelletto) e il mondo sensibile (può essere riconosciuto attraverso i sensi), questo specchio, se perfettamente nitido,
permetterà al senso interno di contemplare il mondo superiore compendiato dalla parte ragionevole dell'anima, e a
questa darà la possibilità di percepire e giudicare gli oggetti sensibili, la cui immagine è trasmessa dai sensi esterni al
senso comune. In Sinesio, il sintetizzatore pneumatico diviene il terreno per eccellenza della divinazione e della
magia.
Gli eventi del mondo noetico, che è stabile ed eterno (non soggetto alla dimensione del tempo) si riflettono nel puro
pneuma e formano veridiche immagini di sogno che l'uomo potrà ricordare in stato di veglia (se qualcuno dorme, e in
sonno parla alle Muse e ne ascolta i propositi, può al suo risveglio divenire all'improvviso un poeta).
Poiché il sintetizzatore fantastico offre la possibilità di un incontro con il mondo popolato di potenze divine e poiché,
secondo il concetto platonico, tale mondo è analogo a quello intelligibile, v'è modo di agire sul sintetizzatore per
chiamare le presenze divine; tale evocazione, il cui risultato è la frequentazione degli dei e dei demoni, può essere
fatta con l'impiego di determinate sostanze, forme e colori, ai quali gli esseri superiori sono sensibili.
Prima di assumere coscienza delle proprie possibilità, l'uomo è collocato in un universo le cui parti, il basso e l’alto,
complottano tra di loro a sua insaputa; non appena avrà afferrato la struttura di tale cospirazione, potrà servirsene allo
à
scopo di ottenere le presenze sconosciute in attesa sulla soglia tra i due mondi, i demoni e persino gli dei ipercelesti è
questa la dottrina delle segnature delle cose (è un'antica forma di conoscenza che studia il «segno»/aspetto, con cui
ogni elemento naturale di origine animale, vegetale o minerale si presenta, svelando per analogia la sua funzione
terapeutica), brillantemente analizzate da M. Foucault: «Bisogna che le parti di quest'universo, che simpatizzano e
complottano con l'uomo, siano tra esse riunite con qualche mezzo [...]. E forse gli incantamenti magici rappresentano
tale mezzo, poiché non si limitano a significare, ma anche invocano. Davvero saggio è colui che comprende la
parentela delle parti dell'universo: egli può attirare su di sé i benefici degli esseri superiori captando, per mezzo dei
suoni, delle materie e delle figure, la presenza di coloro che sono lontani da lui. »
La magia naturale, attraverso l’uso di mezzi naturali, predispone lo spirito che è nell’uomo a ricevere lo spirito del
mondo e ad assorbirne la vitalità.
Ficino confezionava talismani, combinando la loro azione con pratiche mediche; inoltre usava incantesimi musicali
cantando gli inni per attirare il benefico influsso degli astri.
Ficino non esitò a proclamarsi ‘mago’, seguace di una ‘magia naturale’ che implicava l’universale animazione delle
cose e del concetto di ‘spirito’, una sostanza sottilissima che pervade tutti i corpi e attraverso cui l’anima agisce sulla
realtà.
Sinesio fa poi ricorso alla teoria platonica tradizionale, secondo la quale «l'intelletto umano contiene in sé le forme di
tutte le cose esistenti».
4. La teoria delle radiazioni: Ruggero Bacone e Alberto Magnov sono i debitori della magia araba di cui non si può
tralasciare l'esame di due opere fondamentali: il Picatrix e il trattato Dei raggi.
“Picatrix” è il titolo della traduzione latina, realizzata nel 1256 alla corte del re di Castiglia e della quale sarebbe
difficile negare l'influenza sulla magia rinascimentale: dopo un'introduzione contenente idee di carattere filosofico,
l'autore del Picatrix passa ad esaminare nei primi due libri l'arte di creare talismani a partire da una serie di immagini;
nel terzo libro discute della corrispondenza di pietre, animali e piante con i vari pianeti, segni dello zodiaco e parti del
corpo umano. Il libro contiene anche formule per invocare gli spiriti dei vari pianeti; anche il quarto libro tratta di
simili argomenti e termina con una serie di preghiere rivolte ai pianeti.
Enunciato quel principio generale dell'opera magica che è la fede dell'operatore, il Picatrix si limita a fornire ricette di
fabbricazione dei talismani, in ragione della posizione dei pianeti nello zodiaco, e a formulare il testo delle «orazioni
planetarie» che bisogna rivolgere agli astri personificati; quanto ai talismani, essi devono avere effetti molteplici,
alcuni dei quali ci vengono precisati nei due primi libri del Picatrix: provocare l'amore (duraturo) o l'unione tra due
persone, procurare la protezione dei grandi della terra o il rispetto dei servitori, incrementare le ricchezze eccetera.
Nello stesso Picatrix si distingue tra «teoria» - che è l'astrologia - e «pratica» - che è la fabbricazione dei talismani:
à
ma gli autori dei libri di magia del Rinascimento non si accontentano di così poco per essi, l'astrologia ha un
fondamento e una giustificazione filosofica, la cui spiegazione va cercata, da un lato, nel neoplatonismo e, dall'altro,
nell'opera, assai più penetrante, di al-Kindi.
La magia astrologica di Ficino attinge abbondantemente alle ricette del Picatrix, la cui influenza è però soprattutto
d'ordine quantitativo e non qualitativo.
Ficino tiene in alta considerazione anche il trattato “De Radiis” di al-Kindi sui raggi stellari: fedele alla tradizione
platonica, Ficino dà alle radiazioni di al-Kindi il nome generico di “Eros”, da cui Giordano Bruno elabora la magia
erotica.
Il trattato De radiis ci è pervenuto in una traduzione latina anonima del XII secolo: l'idea di fondo di questo scritto è
che ogni stella possiede la sua propria natura da essa comunicata al mondo circostante tramite i suoi raggi; l'influenza
delle radiazioni stellari sugli oggetti terrestri si modifica in funzione dei reciproci aspetti che gli astri e gli oggetti
assumono. Per al-Kindi non sono solo le stelle a emettere raggi, ma anche gli elementi, poiché il mondo materiale
nella sua totalità rappresenta una combinazione dei quattro elementi (ecco anche la ragione per cui si differenziano tra
di loro i raggi dei composti elementari, nessuno dei quali è simile all'altro).
Secondo al-Kindi, noi siamo dentro un'invisibile rete di raggi, proveniente sia dalle stelle che dagli oggetti della terra.
La fede dell'operatore è la condizione essenziale per la riuscita della sua azione magica: la manipolazione magica
avviene mediante il suono (preghiere; implorazioni) e i gesti (l'espressione verbale e operazione della mano).
Per tornare alla magia sonora, due sono i tipi di suoni magici, determinati dalla loro corrispondenza astrologica
(secondo l’astro, lo scopo dell'operazione e la posizione del cielo) o elementare (hanno influenza sugli elementi e i
composti di elementi, come i corpi delle piante e degli animali).
Dall'utilizzazione dei suoni magici si può ottenere praticamente tutto: presagi, effetti psicosomatici sugli animali e
sull'uomo, l'incantamento di un soggetto umano, consistente nel modificare l'indirizzo della sua volontà e, infine,
fenomeni paradossali quali far galleggiare sull'acqua oggetti pesanti o farli fluttuare nell'aria, produrre la pioggia, il
fulmine e altri fenomeni atmosferici, estinguere il fuoco a distanza, eccetera; le più efficaci sono le formule ottative,
poiché esse provengono dal cuore, che è il centro dell'uomo-microcosmo.
A tale magia sonora presiede una teoria dell'origine naturale delle lingue: il significato delle parole non è affatto
arbitrario, ma la loro destinazione naturale può non coincidere con la funzione significante che è stata loro attribuita
dall'uomo (è qui riconoscibile l'origine delle più tarde teorie cabalistiche del «linguaggio naturale», che è l'ebraico,
poiché essendo il linguaggio della creazione, era una lingua naturale nella quale le parole indicavano le nature
essenziali delle cose che esse avevano prima prodotte e poi rappresentate).
Quanto alle figure e ai caratteri magici, le loro proprietà e facoltà operative ricordano da vicino quelle dei suoni.
Il macro-cosmo di Al-Kindi (come quello della fisica moderna) è costituito da due stati di energia: lo stato
elementare e lo stato di radiazione; gli elementi si combinano a loro volta formando aggregati le cui radiazioni
avranno nuove proprietà; ogni oggetto del mondo si trova al centro di una traslazione universale di radiazioni, il cui
campo varia a seconda della posizione dell'oggetto nello spazio e nel tempo, di modo che non possono aversi due
oggetti il cui comportamento sia assolutamente identico per quanto concerne l'emanazione e la ricezione di raggi.
Non bisogna trascurare il fatto che i raggi di al-Kindi sono di natura pneumatica: ciò significa che l'uomo, dotato di un
sintetizzatore fantastico, potrà opportunamente produrvi affettuosità che lancerà nello spazio pneumatico in direzione
dello spirito ricettore di un altro individuo della stessa specie; l'efficacia di questa magia intersoggettiva è garantita
dalla costituzione dell'aggregato umano e dalla fede dell'operatore.
Al giorno d'oggi, quando una credenza di questo genere passa dalle istituzioni religiose a soggetti convinti che
possano agire su altri individui o sul mondo fisico, generalmente si ammette che si tratta di uno stato di insanità
mentale, e le si dà il nome di «schizofrenia», la quale si caratterizza per un «abbassamento del livello mentale» e, di
conseguenza, per un corto circuito tra l'esistenza onirica (mondo dei nostri fantasmi interiori) e l'esistenza diurna
(mondo reale).
Stabilite le somiglianze tra il comportamento magico e il comportamento schizofrenico, l'antropologo di origine
ungherese Roheim ha inaugurato la strada per interpretare la magia come una «schizofrenia istituzionalizzata»: il
mago deve esser fermamente convinto di avere la capacità di trasmettere a un altro soggetto le proprie emozioni, ma
non smette mai di essere consapevole che la fantasmagoria da lui prodotta funziona esclusivamente nel campo proprio
ai fantasmi, vale a dire l'immaginazione umana; e ciò risulta tanto più vero per il fatto che vi sono casi, benché
rarissimi, nei quali un operatore mostra evidenti sintomi di schizofrenia, cosa che lo distingue dalla massa degli altri
maghi i quali sono invece individui perfettamente sani (l'operatore schizofrenico è quello sul quale la fantasmagoria
interiore finisce per avere la meglio, imponendosi come una presenza estranea.
Giordano Bruno non cessava di richiamare l'attenzione del manipolatore di fantasmi sui pericoli che la sua attività
comportava, e che, sommandosi, conducevano alla perdita della salute mentale; sembra dunque che il mago non debba
essere considerato in linea di massima schizofrenico, né la magia una «schizofrenia istituzionalizzata»; al contrario, vi
sono analogie tra certi tipi di magia e la stessa psicoanalisi, il cui metodo consente, entro certi limiti, un paragone con
quello dei «guaritori» di Giordano Bruno: dal momento che il sogno è visto come una produzione fantastica
proveniente dall'inconscio, e la schizofrenia come uno stato di confusione tra i contenuti onirici e i contenuti reali, non
vi sarà motivo di stupirsi delle corrispondenze tra i fantasmi degli schizofrenici e i fantasmi dei maghi (dopotutto essi
hanno la stessa origine, tranne il fatto che nel caso del mago i fantasmi sono prodotti volontariamente e diretti
dall'operatore, mentre nel caso del malato di mente essi gli si impongono come realtà estranee, lo «possiedono»).
Nel suo libro “Ecstatic Religion”, l'antropologo scozzese Lewis traccia una tipologia dell'«operatore di spiriti» (entità
soprannaturali), giungendo alla conclusione che ve ne sono tre classi: il partecipante ai culti di estasi (come il
dionisismo in Grecia: Dionisio è il dio dell’estasi), il quale è involontariamente posseduto dagli «spiriti»; lo sciamano
che, dopo essere stato soggiogato dagli spiriti, diviene a sua volta loro padrone; lo stregone il quale, dominando gli
spiriti a propria volontà, li rivolge contro il soggetto passivo che sarà posseduto.
Gli «spiriti» sono fantasmi che acquisiscono un'esistenza autonoma e che si manifestino senza essere in alcun modo
evocati - come nel caso delle droghe allucinogene di cui si servivano le streghe, oppure nel caso delle malattie
mentali.
Lewis ha torto, però, affermando che gli stregoni dominano a propria volontà i loro spiriti, visto che questo non è
affatto valido per quanto riguarda la stregoneria occidentale nella quale il rapporto tra streghe e spiriti è più
problematico; allo stesso modo, è difficile distinguere gli sciamani dagli stregoni, dato che questi ultimi imparano a
dominare i propri spiriti solo dopo che essi si sono spontaneamente manifestati a loro.
In altre parole, si possono distinguere essenzialmente due categorie di individui che hanno a che fare con gli spiriti:
una li evoca mentre li inventa, l'altra li riceve e potrà servirsene solo dopo una conscia attività ordinatriсе.
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Inoltre, vi sono due tipi di operatori di fantasmi: quelli che sono stati invasi dalla produzione inconscia e che solo a
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gran fatica sono riusciti a mettervi ordine, e quelli la cui attività, del tutto consapevole, è consistita nell'inventare
fantasmi mnemotecnici ai quali hanno dato esistenza autonoma; solo i primi sono paragonabili agli schizofrenici, con
l'unica differenza che, bene o male, essi sono riusciti a trovare un modo di vivere con la loro produzione inconscia,
causata, nella maggior parte dei casi, dall'uso di allucinogeni àtra essi, vi sono anche schizofrenici veri e propri, come
per esempio all'inizio del XIX secolo Berbiguier o il dottor Ludwig Staudenmaier all'inizio del XX, i quali ricorrono a
credenze e tecniche magiche nel tentativo di mettere ordine nei loro processi mentali gravemente alterati; in questo
caso, anziché considerare la magia una «schizofrenia istituzionalizzata», bisogna scorgervi un rimedio contro la
devastante invasione della malattia mentale.
La magia non è un elemento di disordine, anzi, è un mezzo per ristabilire una pacifica coesistenza tra l'inconscio e il
conscio laddove tale coesistenza sia stata messa in crisi (o a causa di una malattia mentale o per la volontaria
assunzione di sostanze chimiche a effetto allucinogeno).
Il mago è un analista che può praticare la propria professione solo dopo essersi lui stesso sottoposto ad analisi, ma
l'accesso all'inconscio può essergli consentito in due diversi modi: per «invasione» patologica o attraverso mezzi
esterni, ovvero per assimilazione della tradizione.
Il concetto di «radiazione», fondamentale per Al-Kindi, viene gradualmente sostituito dal concetto di Eros da G.
Bruno: al transfert oggettivo di Al-Kindi si contrappone il transfert soggettivo di Giordano Bruno.
L'espressione “vinculum vinculorum amorest” si sostituisce a un'espressione analoga che si potrebbe attribuire ad Al-
Kindi “vinculum vinculorum radrum est”, «il vincolo dei vincoli è il raggio».
5. Magia pneumatica: la magia spirituale (o pneumatica) del Rinascimento, il cui primo e più influente
rappresentante è Ficino, si costituisce a partire dal principio della “simpatia” pneumatica universale; la
conseguenza di tale principio è che l'uomo, dotato di un hegemonikon generalmente situato nel cuore, che è l'organo
corrispondente al sole nel cosmo, ha la capacità di imprimere volontari cambiamenti alla propria fantasia,
cambiamenti che, in virtù della continuità del pneuma, si trasmettono agli oggetti cui si rivolge l'azione
à
dell'operatore questo fenomeno naturale si verifica senza che vi sia manipolazione conscia da parte del trasmettitore
e/o del ricettore della corrente pneumatica e al quale inerisce un grado zero (l'eros); questo istituisce nessi tra gli
individui a seconda dell'informazione soprannaturale che i veicoli pneumatici delle loro anime hanno accumulato nel
corso della loro discesa attraverso i cieli planetari.
La magia rappresenta un sapere che consente all'operatore di sfruttare le correnti pneumatiche le quali istituiscono
rapporti occulti tra le parti dell'universo; quest’ultimi sono regolari e possono essere ordinati in sette grandi serie
planetarie, di modo che l'intera natura con i suoi regni (minerale, vegetale e animale - compresa la specie umana -) sia
vincolata mediante legami invisibili ai sette astri erranti e alle stelle; il mago è un esperto dei legami in questione, in
grado di classificare ogni oggetto del mondo secondo la serie opportuna e, con ciò, di attirarsi i benefici dell'astro che
presiede alla rispettiva serie.
Il punto di partenza è il trattato De vita coelitus comparanda di Ficino (1489) che esplicitamente enuncia i seguenti
principi: al pari dell'anima del mondo concentrata nel sole, donde essa irraggia in tutte le parti dell'universo attraverso
la quinta essentia (o il pneuma), l'anima umana è concentrata nel cuore e pervade il corpo attraverso lo spirito; certe
cose hanno una capacità pneumatica incomparabilmente superiore ad altre.
La quinta essentia è lo spirito cosmico che assolve alla stessa funzione di intermediario tra l'anima e il corpo del
mondo, come fa lo spirito umano tra l'anima e il corpo.
«Per tale motivo i Platonici (gli astrologi e i maghi arabi) cercano, adattando il nostro spirito allo spirito del mondo
con la magia dei talismani e l'emotività, di indirizzare verso la nostra anima e il nostro corpo i beni del cielo: ciò
comporta il rafforzamento del nostro spirito da parte dello spirito del mondo tramite l'azione dei raggi stellari che
agiscono beneficamente sul nostro spirito; ciò gli permette di attirare a sé le cose celesti.
LA MAGIA INTERSOGGETTIVA
1. Magia intrasoggettiva: la magia che non presuppone l'intervento dei demoni è definita intersoggettiva; quando
l'operatore rivolge l'azione su di sé, si parla di magia intrasoggettiva (così come l'apprendista psicoanalista non ha
accesso alla pratica della psicoanalisi se non vi si è anticipamene sottoposto, così il mago che partica la propria magia,
l’ha esercitata su stesso).
Essendo la magia, in generale, un'operazione spirituale, colui che la pratica deve essere dotato di determinate qualità
che mancano ai comuni mortali.
Poiché lo spirito è il veicolo dell'anima e l'anima è l'agente che unisce il mondo intellettuale e il mondo naturale,
questo contatto viene interrotto non appena lo spirito diviene troppo lento per permettere all'anima di viaggiare.
Il pneuma è uno specchio a due facce, l'una riflettente le percezioni provenienti dai sensi esterni e l'altra le
fantasmagorie dell'anima: se la faccia rivolta a questa non è sufficientemente limpida, l'individuo si riduce a una
condizione inferiore, quasi animalesca.
È facile intuire che l'apprendista ficiniano debba sottoporsi a una rigorosa disciplina per evitare tutto ciò che potrebbe
infestare e infettare il suo pneuma: egli deve compiere atti di purificazione, aver cura della propria pulizia personale,
dell'abbigliamento e dell'abitazione.
Tra i 7 pianeti della serie detta «caldea» (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), ve ne sono 3
particolarmente benefici (Sole, Giove, Venere), definiti da Ficino «le Tre Grazie», le cui influenze, al pari di quella di
Mercurio, hanno importanza fondamentale nella purificazione del pneuma.
Quando il nostro spirito è stato accuratamente preparato e purificato mediante cose naturali, sarà suscettibile di
ricevere molti doni, attraverso i raggi stellari, da parte dello spirito vitale cosmico. La vita cosmica si propaga
visibilmente nelle erbe e negli alberi, che sono come i peli e i capelli del corpo della terra; essa si manifesta del pari
nella pietre e nei metalli, che sono come i denti e le ossa di questo corpo; essa circola nelle conchiglie viventi della
terra che aderiscono alle pietre. Servendosi frequentemente di piante e di altri esseri animati, è possibile ottenere
molto dallo spirito del mondo [...].
Le Upanisad (insieme di tesi religiosi indiani) elaborano una fisiologia sottile estremamente complessa, basata sul
ruolo di un sintetizzatore cardiaco, detto manas; durante il sonno, le energie (o Prana) si ritirano nel senso interno (o
manas); durante lo stato di veglia, esse circolano nel corpo sottile.
Deve esserci una verità d'ordine extralinguistico, secondo la quale il cuore è la sede della sensibilità, di ogni reazione
emotiva, e l'organo morale (o immorale) per eccellenza: l’europeo pensa con la propria testa, ma vi sono popolazioni
come la Manciù che invece «pensano con il cuore»; Aristotele non ammetteva che si potesse pensare senza fantasmi;
questi sono emozionalmente caricati e, pur potendo occupare qualsiasi luogo, quello che conviene loro maggiormente
è il «cuore», poiché è quest’ultimo a provare le emozioni.
Identificando le energie corporee con le emozioni, la filosofia indiana e la medicina greca hanno trasformato il cuore
in deposito delle une e delle altre, in principale organo di vita e di comunicazione con l'esterno.
La dignità che Platone conferisce alla testa umana nel “Timeo” si fonda su un complesso arcaico che distingue due
organi della coscienza: il «cuore», sede di un'anima vegetativa (thymos), e la «testa», sede della psyche; per Onians,
thymos sarebbe la «blood-soul» e psyche la «breath-soul», ma la differenza originale tra le due nozioni non doveva
essere poi molta, visto che la stessa parola thymos è apparentata ai vocaboli indoeuropei indicanti il vapore o il soffio;
quanto alla psyche essa è un «soffio» per eccellenza poiché deriva dal verbo psycho («soffiare»).
Platone, nel “Timeo”, sottolinea che l'anima risiede nella testa esattamente come l'anima del mondo risiede nel cosmo
sferico; egli postula la dottrina di un'anima tripartita, alla quale corrisponde la tripartizione del corpo umano in
«testa» (anima razionale), «petto» o «cuoré» (anima irrazionale) e «ventre» (anima appetitiva): completamente
subordinato alla «testa», il cuore è per Platone la sede delle emozioni, pur non essendo l'organo visionario per
eccellenza, ruolo questo attribuito, alquanto sorprendentemente, al fegato.
2. Magia intersoggettiva: Ficino afferma che fonte di ogni magia è la stessa anima universale, poiché, nella sua
libertà, ha scelto di creare le corrispondenze in questione tra il mondo superiore e il mondo inferiore: in virtù di questo
principio, vi sono certi oggetti con i quali è possibile evocare presenze superiori (oggetti ai quali la tradizione ha dato
il nome di esche, richiami, incantesimi, seduzioni, ecc.).
La definizione ficiniana della magia è chiara: scopo delle operazioni magiche è l'azione sulle cose superiori delle cose
inferiori a esse corrispondenti e che fungono da esche, attirandole nei tempi opportuni.
Per avere una chiara idea di queste operazioni, sarà opportuno analizzare il significato delle tre componenti che
costituiscono l'attività di seduzione magica:
-le presenze superiori: i demoni; i doni del mondo animato, che sono recipienti naturali di pneuma, dotati della
proprietà di nutrire lo spirito umano in virtù della legge di solidarietà pneumatica delle parti dell'universo; i doni delle
stelle viventi sono le proprietà dei pianeti secondo le loro rispettive posizioni, ovvero secondo i tempi opportuni.
I rimedi della iatromatematica (unione medicina e astrologia) dipendono completamente dalla esatta composizione dei
pianeti e dei segni che in un dato momento governano un dato punto del corpo (es. un chirurgo non potrà operare un
organo malato se la Luna si trova nel segno dello zodiaco cui l'organo attiene, altrimenti l'umidità del pianeta
determinerebbe immediatamente le più gravi complicazioni).
L'influenza dei pianeti sulle parti del nostro corpo determina il genere di rimedi astrologici che bisogna somministrare
secondo i casi; del resto, la farmacologia è una delle più importanti branche della magia.
-le cose inferiori, ovvero le esche: la magia pneumatica di Ficino ha come scopo il miglioramento delle condizioni
spirituali, fisiche, psichiche e sociali dell'operatore stesso o del suo cliente; le attività principali del mago sono la
teurgia e la medicina.
Le piante, le pietre, i metalli, ecc utilizzate secondo la posizione dei pianeti nello zodiaco, esercitano un'influenza
positiva sullo spirito del teurgo o sullo stato di salute di un malato; gli amuleti, i talismani e le immagini possono
avere, a seconda dei casi, un effetto protettivo o terapeutico.
Gli stessi rimedi possono essere impiegati per ottenere risultati diversi: es. successo sociale, facilità
nell'apprendimento o nell'esercizio di una professione, armonia nei rapporti intersoggettivi, ecc; è quindi facile intuire
come vi sia una posizione favorevole delle stelle e un modo di servirsene.
L'arsenale della magia è formato da una serie di sostanze che hanno un determinato rapporto con gli astri, e l'uso delle
quali può essere sia diretto che indiretto: nel primo caso si tratta di pozioni o di talismani semplici; nel secondo, di
oggetti più complessi fabbricati secondo i «tempi opportuni» per immagazzinarvi l'influenza benefica di una certa
configurazione della mappa celeste.
A ogni pianeta si ricollega, sulla Terra, tutta una serie di cose, le quali sono la materia prima per la fabbricazione di
talismani astrologici; in ogni caso, Ficino attribuisce a questi qualità inferiori quelle dei rimedi e degli unguenti.
-i tempi opportuni: essi, per confezionare una pozione o un talismano, dipendono completamente dalla posizione dei
pianeti nello zodiaco e nelle «case» celesti (l’aggettivo “celeste” in questo caso significa etero/quintessenziale, poiché
l’etere era la sostanza del cielo. Ricordiamo che il pneuma umano è della stessa natura).
È facile capire quanto stretti dovessero essere i rapporti tra magia, arte della memoria e glittica (tecnica d’incisione su
pietre dure e preziose): si riteneva che i talismani rappresentassero entità personificate dello zodiaco, che l'operatore
aveva memorizzato e impresso nella sua fantasia per servirsene a ogni fine utile; dotati di esistenza autonoma e
comparendo realmente nell'apparato pneumatico del mago esperto, in fondo questi strani personaggi sono i celebri
demoni abitanti tutte le zone del cosmo.

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