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SULLA LINEA DEL COLORE: RAZZA E DEMOCRAZIA NEGLI STATI UNITI E NEL MONDO di Du Bois
c. Gli Stati Uniti d’America, nel corso del Novecento e prima ancora nell’Ottocento, hanno attuato un’organizzazione
gerarchica della situazione razziale; anche se, tale organizzazione sociale, è possibile farla risalire al colonialismo.
DU BOIS è un pensatore afroamericano (contemporaneo di Weber -1864-) che ha dato un contributo rilevante alla
sociologia, introducendo i concetti di “razza” e di “razzializzazione” (rappresentazione delle differenze tra i gruppi
per fattori biologici) nella modernità.
N.B. Mentre Marx parlava di classe (ambito economico), Weber parla di ceto (ambito sociale/culturale).
Il concetto cardine moderno della teoria sociale di Du Bois è l’idea della linea del colore (o barriera del colore), che
rappresenta una frattura all’interno della modernità, senza la quale non è possibile organizzare gerarchicamente la
società all’interno del mondo moderno: Du Bois non si ferma a strutturare le diverse gerarchie soltanto sull'elemento
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razziale, ma prova ad elaborare una sintesi tra i due ambiti, “classe” e “razza” allo stesso tempo evidenza come,
anche all'interno della stessa etnia, esistano delle differenze di classe: esistono neri-afroamericani che hanno la
possibilità scalare la vetta sociale e collocarsi su un piano differente rispetto ad altri membri della propria comunità.
Importante è la guerra civile americana, nota come guerra di secessione americana, fu combattuta negli anni ’60
dell’800 fra gli Stati Uniti d'America (Nord) e gli Stati Confederati d'America (Sud) per la questione della
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schiavitù mentre il Nord spinge verso l’abolizione della schiavitù, il Sud cerca a tutti i costi di mantenere la schiavitù
dal momento che essa era motivo di grande profitto, visto che gli Stati del Sud erano ricchi di piantagioni di cotone, in
cui veniva sfruttata la manodopera proveniente dall'Africa.
Il nord è vicino, sia dal punto di vista commerciale che dal punto di vista dell'organizzazione del lavoro, all’economia
europea (si fonda sostanzialmente sul lavoro salariato): per Du Bois la schiavitù è proprio il rapporto tra un Nord che
utilizza forza-lavoro salariato e un Sud fondato sulla schiavitù che consente di competere e avanzare dal punto di vista
economico (uno sul salario; l’altro sulla schiavitù).
Durante e dopo la seconda guerra mondiale l’industria al Sud crebbe molto (Washington diede certificati di necessità,
documenti che garantivano e facilitavano nell’accesso al credito per l’apertura di nuovi stabilimenti industriali nel
settore degli armamenti) e si costituì uno dei più grandi bacini di lavoro servile del mondo.
In America ci sono circa 15 milioni di persone di discendenza nera: l’83% non è impiegato nell’agricoltura perchè
sono strettamente legati all'industria.
[paradosso del capitalismo: uno dei principali paradossi del capitalismo riguarda la disuguaglianza economica tra
Nord e Sud (può portare a una concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi individui o gruppi)].
Per la maggior parte il Nero istruito è sempre legato alla forza e coesione del proprio gruppo e le sue memorie
personali sono le memorie dell’oppressione: oggi il gruppo nero è lontano dall’essere rivoluzionario; è stata l’azione
federale a emanciparlo dalla schiavitù ed è la sua unica speranza per rendere operativo il comitato istituito da
Roosevelt, sotto la pressione del “movimento della marcia su Washington” che minacciava di organizzare una marcia
su Washington di 100 mila afroamericani , se non fossero terminate le discriminazioni all’interno dell’industria
bellica.
Sono gli Stati Uniti che si sforzano in ogni modo di schiavizzare l'Asia e l'Africa, e i neri americani istruiti e ricchi si
uniranno alla marcia per l’emancipazione economica, perché altrimenti non potranno essere liberi nemmeno loro.
Non si parla soltanto della schiavitù come forma di organizzazione della forza lavoro negli Stati Uniti d'America e nel
Sud America, ma di una schiavitù come movimento di persone, come sistema di gestione della forza lavoro che lega
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l'Europa da una parte e gli Stati Uniti e le Americhe dall'altra i colonizzatori europei, attraverso la deportazione degli
schiavi africani, avevano creato la cosiddetta tratta atlantica.
Du Bois definisce la civiltà nera come civiltà maggiormente sviluppata e avanzata: l'età moderna è caratterizzata da
enormi spostamenti di popolazione su scala mondiale e incorpora la civiltà nera/la forma dell'ibridità, perché gli
africani deportati nelle Americhe hanno dato forma a nuovi incontri e nuovi rapporti tra etnie, rispetto all'Europa che
invece è rimasta, secondo Du Bois, bloccata all'interno della propria bianchezza.
Du Bois parla anche di “razza” e “genere” : la struttura capitalistica farà di tutto per impedire a certi tipi di razze e
genere di accedere ad alti livelli di salario perché quei livelli sono perlopiù riferiti ai maschi, bianchi e europei (gruppi
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dominanti) il caso più eclatante è quello delle afroamericane, perché all’interno della forza lavoro mondiale, se sei
nero sei collocato al di sotto, ma se sei una donna sei collocata ancora più in basso.
La possibilità che una persona di colore in un contesto razziale diventi manager fortifica la speranza di farcela
all’interno di un sistema che è strutturalmente fondato sulla disuguaglianza.
N.B: il saggio di De Bois vuole affrontare la questione di quale sarà lo spazio critico che questo gruppo occuperà nello
sviluppo della crisi del capitalismo degli USA, la quale nasce dal fatto che questa nazione cerca di opporsi al
socialismo.
L’economia-mondo capitalistica era caratterizzata da una divisione assiale del lavoro tra processi produttivi centrali e
processi produttivi periferici (n.b. sono i processi produttivi e non gli stati ad essere centrali o periferici); i processi
“monopolizzati” (che erano quelli centrali) erano più redditizi di quelli di libero mercato (che erano quelli periferici), e
ciò ha reso più ricchi i paesi nei quali sono localizzati i processi centrali.
Il tempo strutturale elaborato da Braduel divenne centrale nell’analisi dei sistemi-mondo: per gli studiosi dei sistemi-
mondo, infatti, gli SpazioTempo sono una realtà in continua trasformazione: es. i minisistemi, economie-mondo ed
imperi-mondo non sono mai gli stessi tra un tempo e l’altro.
L’analisi dei sistemi-mondo era considerata unidisciplinare (non più multidisciplinare) visto che gli studiosi del
sistema-mondo analizzavano elementi che erano di competenza esclusiva degli storici, scienziati politici o sociologi.
Le 4 critiche all’analisi del sistema-mondo da parte degli studiosi, arrivarono da 4 direzioni:
1
Dai positivisti nomotetici: affermano che l’analisi dei sistemi-mondo era una “narrazione”, basata su ipotesi non
rigorosamente verificate (e quindi non è basata su dati certi).
Gli studiosi dei sistemi-mondo ribadirono che non bisognava scegliere il problema in base alla disponibilità di dati
rigorosi, ma di cercare i dati più appropriati in base al problema!
2
Dal marxismo ortodosso: accusa gli studiosi del sistema-mondo di trascurare la lotta di classe (borghesia e
proletariato), importante per il cambiamento sociale, e di non considerare il lavoro non salariato come in via
d’estinzione (gli studiosi del sistema-mondo sostengono che il lavoro salariato sia una delle tante forme di controllo
del lavoro all’interno di un sistema capitalistico)!
3
Dai sostenitori dell’autonomia degli stati: affermano che l’analisi dei sistemi-mondo riduce la sfera politica a un
ambito le cui realtà sono determinate dalla base economica.
4
Dai teorici del particolarismo culturale: accusano gli studiosi dei sistemi-mondo di economicismo (poiché danno
priorità alla sfera economica rispetto alle altre sfere); di eurocentrismo (poiché trascurano la centralità della "cultura";
infatti, gli studiosi dei sistemi-mondo rifiutano di sostituire una base culturale a una base economica).
1 2
L’analisi dei sistemi-mondo “accusa” un soggetto centrale: l’individuo (homo rationalis); il proletariato
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industriale; l’uomo politico; ognuno di noi.
Per l’analisi dei sistemi-mondo tutti questi soggetti sono i prodotti di un processo: la loro libertà di azione è
vincolata dalle rispettive gabbie sociali di cui fanno parte (analizzare le proprie gabbie restituisce loro libertà).
CAPITOLO 2: il sistema-mondo moderno, che prima era localizzato solo in una parte del globo (principalmente in
alcune regioni dell’Europa e delle Americhe), per poi espandersi e coprire l’intero pianeta, è sempre stato
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un’economia-mondo capitalistica con “economia-mondo capitalistica” si intende un’estesa area geografica al cui
interno esiste una divisione assiale del lavoro, uno scambio interno di prodotti e capitali; non ha una struttura politica
unitaria (a differenza dell’impero-mondo); include molte culture, religioni e lingue (non esiste omogeneità culturale).
Il sistema-mondo capitalistico dà priorità all’incessante accumulazione di capitale: le aziende accumulano capitale
al fine di accumulare ancor più capitale.
Un’economia-mondo è costituita da numerose istituzioni:
1. Mercato: è sia una concreta struttura locale in cui individui ed imprese vendono e comprano beni, e sia
un’istituzione virtuale transpaziale in cui avviene lo stesso genere di scambio (transpaziale perché si attraversano
le barriere: da uno Paese e all’altro).
Siccome il mercato virtuale totalmente libero (cioè senza interferenze) renderebbe impossibile l’incessante
accumulazione di capitale (es. di mercato libero: tanti venditori e tanti compratori—>sarebbe possibile, per i
compratori, contrattare al ribasso con i venditori), i venditori (capitalisti) hanno bisogno di un mercato virtuale
parzialmente libero.
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E’ vero che i venditori preferiscono un monopolio tanti compratori e pochi venditori; il prezzo è determinato dal
monopolista; scarsa quantità disponibile di prodotti e prezzi alti (realizzando così elevati saggi di profitto); ma è anche
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vero che è difficile creare un monopolio, a differenza dei semi-monopoli situazione intermedia tra monopolio e
oligopolio (uno dei più importanti modi per ottenere i semi-monopoli è il brevetto che riserva i diritti su
un’invenzione per un certo numero di anni per assicurare una considerevole accumulazione di capitale a chi li
controlla; quando un semi-monopolio cessa di esistere -i semi-monopoli, però, ad un certo punto si auto-estinguono-, i
grandi accumulatori spostano i loro capitali verso nuovi prodotti.
Una produzione protetta dai brevetti solitamente rimane solo un semi-monopolio, poiché possono esservi altri prodotti
simili sul mercato non coperti da un brevetto!
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Gli oligopolio pochi compratori e molti venditori; formata da aziende grandi; gli oligopolio sono sufficienti a
conseguire un alto saggio di profitto, soprattutto perché le imprese spesso si accordano per ridurre la competizione.
2. Imprese: sono gli attori principali del mercato virtuale, in cui sono in competizione con altre imprese à il nome del
processo è quello di feroce rivalità inter-capitalistica (solo il più forte sopravvive, il più debole viene eliminato).
La divisione assiale del lavoro di un’economia-mondo capitalistica divide la produzione in prodotti centrali e
periferici.
Un modo per spostare il plusvalore (capitale accumulato) dalle regioni politicamente deboli (periferia) a quelle forti
(centro), è il saccheggio (es. di saccheggio: passaggio delle proprietà dallo Stato alla Mafia)!
I semi-monopoli sono localizzati all’interno di stati forti (poiché dipendono dal sostegno di quest’ultimi)!
Alcuni stati hanno una combinazione bilanciata di prodotti centrali e periferici: si parla di stati semi-periferici, i quali
subiscono pressione dagli stati centrali ed esercitano pressione sugli stati periferici; essi vogliono evitare di scivolare
nella periferia e fare in modo di salire verso il centro.
Agli inizi del XXI secolo i paesi che possono essere definiti semiperiferici sono la Corea del Sud, i Brasile e l'India:
sono paesi industrializzati che hanno relazioni con le aree centrali in qualità di importatori di prodotti più "avanzati".
Su scala mondiale vi è stata un aumento nella dimensione delle imprese, la cui conseguenza è stato un processo a zig
zag di espansione e contrazione delle dimensione delle imprese: man mano che un numero sempre maggiore di
imprese entra nel mercato di quello che un tempo era semi-monopolio, si verifica un’accumulazione di prodotti
(rispetto alla domanda effettiva) non venduti e un rallentamento della produzione à questo processo descritto può
essere rappresentato come una curva ciclica di fasi-A (di espansione delle imprese) e fasi-B (di stagnazione delle
imprese): questo ciclo è definito Ciclo di Kontratiev, dal nome dell’economista che ha descritto con chiarezza questo
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fenomeno agli inizi del XX secolo; i cicli consistono, alternativamente, in una fase ascendente (fase A espansione) e
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in una discendente (fase B stagnazione); questi cicli hanno avuto una durata compresa tra 50 e 60 anni (la durata
dipende dalle misure politiche adottate dagli stati per evitare una fase B).
Fenomeno della tendenza secolare: immaginiamo una curva la cui ascissa (X) indica il tempo e la cui ordinata (Y)
misura un fenomeno (muovendosi verso l’alto, con un andamento lineare, la percentuale ad un certo punto non potrà
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più crescere: si parla in questo caso di raggiungimento dell’asintoto, o punto del 100%) es. le imprese crescono; ad
un certo punto i principali processi di produzione diventano meno redditizi e quindi iniziano ad essere rilocalizzati al
fine di ridurre i costi; i costi vengono ridotti, ma si riscontrano difficoltà nel trovare un n° sufficiente di consumatori
perché la qualità di quel prodotto non è eccellente, considerando che il lavoratori sono non-qualificati: sempre per il
motivo di riduzione dei costi si cerca di trovare persone che possono essere pagate poco, in quanto un livello di
retribuzione più alta significa profitti più bassi per gli imprenditori; includendo però nuove persone, si restringe il
gruppo di chi non fa parte di questa manodopera salariata; si giungerà così a un momento in cui questo gruppo si sarà
ridotto fino al punto da non esistere più (si sta per raggiungere l’asintoto).
3. I proletari sono i lavoratori salariati che non dispongono di mezzi di sostentamento come beni immobili o riserve
monetarie; quasi tutti i lavoratori sono legati ad altre persone in strutture di aggregati domestici che abitualmente
raggruppano individui di entrambi i sessi e di età diverse: il lavoro salariato è stato per lungo tempo
prevalentemente considerato il campo di attività di individui di sesso maschile di età compresa tra 14-18 anni fino
a 60-75 anni; mentre la piccola produzione di merci è stata definita come sfera di attività delle donne, dei bambini
e degli anziani).
Ciò che caratterizza un aggregato domestico è una certa forma di impegno a procurare un’entrata al gruppo, al fine di
sopravvivere collettivamente: es. aggregato domestico della classe lavoratrice messicana (l’uomo adulto è emigrato
negli Stati Uniti illegalmente e invia i soldi a casa; la donna adulta rimane a casa a coltivare un appezzamento di
terreno; la figlia adolescente lavora come domestica presso una famiglia di messicani benestanti ecc); non esistono
solamente gli aggregati domestici familiari.
Il termine “reddito” si articola in cinque varietà:
-da salario: pagamento in forma monetaria da parte di persone esterne all’aggregato domestico, per il lavoro di un
componente dell’aggregato domestico (es. stipendio); esso, per il datore di lavoro, ha il vantaggio di essere flessibile,
sebbene i sindacati e la legislazione statale abbiano spesso posto limiti alla flessibilità per i datori di lavoro; il datore
di lavoro mette in conto, senza che gli sia richiesto, di pagare i lavoratori in periodi nei quali essi non gli sono
necessari, in cambio della garanzia che tali lavoratori siano disponibili quando ne ha bisogno.
-d’attività di sussistenza: si basa sulla caccia, la raccolta, l'agricoltura, la pesca e l'allevamento, che consentono alle
persone di ottenere cibo e vestiti.
-da piccola produzione di merci: una piccola merce può essere realizzata all’interno dell’aggregato domestico
per essere venduta in cambio di denaro (o su un mercato più ampio o su un mercato più piccolo -es. un ragazzino
vende delle sigarette sfuse per strada ai consumatori che non possono permettersi di comprare interi pacchi; questo
tipo di attività consiste quindi nel disfare una confezione e portarla sul mercato di strada).
-da rendita: ciò che ne fa una rendita è il fatto che a rendere possibile il reddito non è un lavoro, ma la proprietà
(affitti, pedaggio su un ponte privato ecc.);
-da trasferimenti: es. doni o prestiti da una generazione a un’altra; possono avvenire ad opera dello stato o attraverso
un piano assicurativo.
1
Si distinguono due tipi di aggregato domestico: proletario (fortemente dipendente dal reddito da salario) e
2
semiproletario (la maggior parte dei suoi membri può fare affidamento almeno su qualche reddito da salario).
Esiste una soglia minima di retribuzione al di sotto della quale chi percepisce il salario non è disposto a lavorare
(salario minimo assoluto); se invece il lavoratore salariato è situato in un aggregato domestico semiproletario, potrà
essere retribuito per un livello inferiore a quello del salario minimo assoluto, senza necessariamente mettere a
repentaglio la sopravvivenza dell’aggregato domestico.
4. In un sistema capitalistico esistono delle classi, poiché vi sono persone che occupano posizioni differenti con
differenti livelli di reddito (sono gli aggregati domestici, e non i singoli individui, a essere collocati all’interno
delle classi; e infatti, gli individui che desiderano passare da una classe a un’altra spesso scoprono che, per
raggiungere tale obiettivo, dovranno uscire dal proprio aggregato domestico e collocarsi in altri aggregati
domestici).
5. Le classi, comunque, non sono gli unici gruppi dentro i quali gli aggregati domestici si collocano, ma ci sono anche
i gruppi di status (o identità): chiamandoli gruppi di status, si enfatizza il modo in cui tali gruppi sono percepiti
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dagli altri; chiamandoli identità, si enfatizza il modo in cui i gruppi percepiscono se stessi (criterio soggettivo) si
tratta, in entrambi i casi, di etichette ascritte, poiché vi apparteniamo sin dalla nascita (è improbabile entrare a far
parte di questi gruppi per volontà).
All’interno degli aggregati domestici esiste una pressione affinché si conservi un’identità comune: questa pressione si
esercita sugli individui che si sposano e a cui si richiede di cercare il partner all'interno dello stesso gruppo di status
(tale omogeneizzazione, quindi, aiuta a conservare la coesione di un aggregato domestico); tuttavia, il costante
movimento degli individui all’interno del sistema-mondo moderno ha generato, nel quadro degli aggregati domestici,
un rimescolamento delle identità originarie.
I legami tra le varie istituzioni sono attraversati da 2 opposti ma interdipendenti motivi ideologici:
L’universalismo implica regole generali che si applicano indistintamente a tutti gli individui.
Le manifestazioni di universalismo sono molteplici: es. se trasferiamo il concetto di “universalismo” in ambito
aziendale, esso si traduce nell’assegnazione delle posizioni agli individui in base alla loro formazione.
Esso viene sempre incoraggiato e preservato per mantenerne l’autorevolezza; si ritiene che esso garantisca prestazioni
adeguate a migliorare e rendere più efficiente l’economia-mondo (quindi a favorire la capacità di accumulare
capitale).
Il razzismo e il sessismo sono manifestazioni negative di un fenomeno che può essere pensato come anti-
universalismo; si parla di discriminazione da parte delle istituzioni verso tutti gli appartenenti ad un dato gruppo di
status o identità (è importante analizzare le pressioni che gli aggregati domestici subiscono dall’esterno: es. le
istituzioni esigono di conformarli alle loro norme collettive -gli stati riescono ad influenzarli, poiché detengono
strumenti come la legge-); conosciute sono le gerarchie su scala mondiale del sistema-mondo (uomini su donne,
bianchi su neri, adulti su bambini, eterosessuali su omosessuali); le gerarchie etniche hanno una dimensione più
locale.
Il nazionalismo assume spesso la forma di legami che creano nuove categorie combinate: es. è possibile creare la
norma secondo cui gli individui di sesso maschile, bianchi, adulti, eterosessuali e appartenenti a una particolare etnia e
religione sarebbero gli unici veri cittadini.
CAPITOLO 3: nel XVII secolo, i sovrani delle monarchie nate durante il periodo del sistema-mondo (in Inghilterra,
Francia e Spagna) si proclamarono monarchi "assoluti": questo sembra suggerire che il loro potere fosse illimitato, ma
in realtà non era così; con "assoluto", che viene dal latino absolutus, infatti s‘intendeva non che il monarca fosse
onnipossente, ma che non era soggetto alle leggi (dunque nessuno potesse impedirgli di fare ciò che meglio credeva).
Nel corso dei secoli gli stati hanno cercato di superare la mancanza di potere reale (ovvero di quella capacità di
rendere effettive le decisioni prese); una delle tendenze del sistema-mondo moderno è stato un lento e costante
incremento del potere: se confrontiamo il potere reale di Luigi XIV di Francia (che regnò dal 1661 al 1715),
abitualmente assunto come emblema per antonomasia del potere assoluto, con quello del primo ministro svedese nel
2000, vedremo che quest'ultimo aveva più potere nella Svezia di quanto Luigi ne avesse nella Francia; per accrescere
il loro potere effettivo i sovrani diedero origine alle burocrazie (la vendita delle cariche assicurò ai monarchi una
crescita sia dell'apparato burocratico che dell'ammontare delle entrate); una volta che i sovrani poterono disporre di un
apparato burocratico, cercarono di servirsene per avere il controllo su ogni genere di funzione politica (es. sulla
riscossione dei tributi, nei tribunali ecc).
Esistono solitamente alcuni stati che non ottengono alcun riconoscimento (sono definiti stati senza nazione) o talvolta
solo da parte di uno o due altri stati (dagli stati protettori).
6. Lo stato moderno è uno stato-sovrano: con il concetto di “sovranità” si parla di una totale autonomia del potere
statale; gli stati moderni fanno parte del sistema interstatale, le cui origini risalgono in genere alla Pace di
Westfalia del 1648 (quest’ultima, sottoscritta dalla maggioranza degli stati europei, codificò alcune regole delle
relazioni interstatali che limitavano e allo stesso tempo garantivano una relativa autonomia; in seguito, queste
regole sarebbero state elaborate e ampliate sotto la dicitura di diritto internazionale).
All’interno dei confini nessun altro stato aveva il diritto di far valere alcun genere di autorità (esecutiva, legislativa,
giudiziaria o militare); nel sistema-mondo moderno, la legittimità della sovranità esige un riconoscimento reciproco,
1
senza il quale essa è priva di valore (anche se questa entità detiene de facto il controllo su un dato territorio: es. in
Cina, la proclamazione della Repubblica Popolare nel 1949 ha dato luogo a una di quelle situazioni in cui parte del
mondo riconosceva un governo -quello di Taiwan- e parte riconosceva l'altro come autorità sovrana -Repubblica
2
popolare cinese- su tutta la Cina; la Repubblica Turca di Cipro Nord rivendicava di essere uno stato sovrano e aveva
de facto l'autorità sulla metà settentrionale dell'isola, ma era riconosciuta come stato sovrano solo dalla Turchia; non
aveva dunque alcuna legittimità internazionale = quindi, in assenza del sostegno militare da parte della Turchia, la
Repubblica Turca di Cipro Nord avrebbe presto cessato di esistere).
Il principio di reciprocità funziona anche in ambito nazionale: le autorità locali devono "riconoscere" l'autorità sovrana
dello stato centrale, e viceversa (l’autorità sovrana deve definirne anche i limiti); in molti paesi, questo reciproco
riconoscimento è custodito da una costituzione o da una specifica legislazione, ma questo accordo può rompersi: se la
frattura è grave, si verifica quella che chiamiamo guerra civile, che può essere vinta dall’autorità sovrana o dalle
autorità locali (in questo caso può verificarsi o una revisione delle regole che basate sulla divisione dei poteri
all'interno dei confini statali, o la creazione di uno o più nuovi stati sovrani -per mezzo di una scissione- che pone agli
stati di nuova formazione il problema di ottenere il riconoscimento nel sistema interstatale).
Il rapporto degli stati con le imprese è importante per comprendere il funzionamento dell'economia-mondo
capitalistica (nel neoliberismo, l’ideologia ufficiale della maggior parte dei capitalisti neo-liberisti è il laissez-faire,
secondo cui i governi non dovrebbero interferire con l'attività degli imprenditori sul mercato).
Gli stati esercitano l'autorità in almeno 7 principali ambiti:
4) Gli stati stabiliscono se e a quali condizioni merci, capitali e lavoro possono attraversare i loro confini: più
forte è lo stato, Maggiore è la sua capacità di imporre decisioni riguardo le flussi che attraversano i confini.
Esistono 3 principali tipi di transazioni trans-frontaliere:
-movimenti di merci: i venditori si augurano che le loro merci attraversino i confini senza interferenze e senza
tassazioni; d'altro canto, i venditori concorrenti che si trovano all'interno dei confini che vengono attraversati possono
richiedere che gli stati intervengano imponendo quote di importazione o dazi doganali (qualunque sia la decisione
dello stato, essa favorisce uno o l'altro imprenditore = non esiste una posizione neutrale).
-movimenti di capitali: lo stesso vale per i flussi di capitale.
-movimenti di persone: l'afflusso di lavoratori da un paese a un altro rappresenta un vantaggio di mercato per gli
imprenditori dei paesi riceventi e una perdita di mercato per i lavoratori che già si trovano nei paesi riceventi; ma
questo trascura due elementi importanti: l'impatto sociale e economico di un paese di immigrazione.
2) Creano le regole relative ai diritti di proprietà all'interno dei loro stati: i diritti di proprietà, colonna portante
del sistema capitalistico (non vi è modo di accumulare incessantemente capitale se non tenendosi ben stretto il capitale
accumulato), sono tutte quelle leggi che pongono limiti alle modalità con cui lo stato può confiscare denaro (persone
legate da rapporti di parentela possono rivendicare una quota di denaro, e altri possono sottrarre del denaro).
L'attore decisivo nella tutela dei diritti di proprietà è lo stato.
3) Definiscono le normative riguardanti l'occupazione e la retribuzione dei dipendenti: gli imprenditori
desiderano che lo stato si astenga dal porre regole su tutto ciò che riguarda lavoro (livelli di salario, condizioni di
lavoro, durata della settimana lavorativa, assicurazioni sulla sicurezza, modalità di assunzione e licenziamento); i
lavoratori hanno richiesto che lo stato intervenisse proprio in queste materie, per aiutarli a ottenere quelle che
considerano ragionevoli condizioni di lavoro (tuttavia molti imprenditori hanno notato che l'intervento dello stato può
essere utile anche a loro: es. per la riduzione dei disordini sociali).
4) Decidono quali costi le imprese devono internalizzare: uno degli ambiti in cui il ruolo dello stato è cruciale per le
imprese è la determinazione della quota di costi di produzione sostenuta dalle imprese (gli economisti parlano molto
spesso di esternalizzazione dei costi, ovvero che una parte dei costi di produzione è trasferita dall'impresa a un'entità
esterna -la società); un'impresa produce per ottenere un profitto, dato dalla differenza tra i ricavi delle vendite e i costi
di produzione; pochi produttori pagano per intero i costi della loro produzione.
Vi sono 3 differenti costi che vengono generalmente esternalizzati:
-costi di inquinamento: quasi tutti i processi di produzione comportano inquinamento (es. smaltimento di materiali o
di rifiuti chimici), poiché per un produttore, il modo meno costoso di gestire i rifiuti è disfarsene, all'esterno della sua
proprietà; ma questi costi sono poi esternalizzati, nel senso che, molto tempo dopo, qualcuno deve pagarne le
conseguenze negative, ripristinando l'equilibrio ecologico (questo qualcuno sono la società e lo stato).
-costi di esaurimento dei materiali: tutti i processi di produzione impiegano alcune materie prime, per generare un
bene "finale" venduto sul mercato (le materie prime sono esauribili, alcune con grande rapidità, altre con estrema
lentezza); alla fine, il mondo deve o rinunciare all'uso di tali materiali o cercare di sostituirli in qualche modo (in parte
lo fa grazie all’innovazione) ma in molti altri casi ciò non è possibile, e dunque lo stato deve intervenire nuovamente,
impegnandosi nel processo di reintegrazione o ricreazione dei materiali, naturalmente pagato da persone diverse da
coloro che hanno intascato i profitti (es. le riserve di legname sono materiali che non sono stati rimpiazzati)
-costi di trasporto: se è vero che generalmente le imprese sostengono delle spese per il trasporto dei beni che ricevono
e che inviano, raramente ne pagano i costi per intero; la creazione delle necessarie infrastrutture di trasporto (ponti,
canali, reti ferroviarie, aeroporti) rappresenta un costo enorme, e questo costo è normalmente sostenuto, in gran parte,
non dalle imprese che si servono delle infrastrutture ma dalla collettività: le infrastrutture non verrebbero mai
realizzate senza un grande input di costi da parte dello stato (questa è un’ulteriore prova dell'intervento statale nel
processo di incessante accumulazione di capitale).
5) Decidono quali processi economici possono essere monopolizzati, e in che misura: la creazione di semi-
monopoli per l'accumulazione di capitale è importante; l'accumulazione di capitale avviene da parte di particolari
individui, imprese o entità, dunque la concorrenza tra capitalisti in un sistema capitalistico è inevitabile.
6) Impongono tasse: si è spesso evidenziato che gli stati impongono tasse; tutti - imprese e lavoratori - vogliono ciò
che gli stati possono offrire loro con i soldi ricavati dalla tassazione.
1
I problemi che le persone hanno rispetto alle tasse sono essenzialmente due: la sensazione o il sospetto che gli stati
usino le tasse non per aiutare gli onesti contribuenti, ma per aiutare altri (politici, imprese, poveri, immeritevoli o
à
stranieri) è per questo che desideriamo che le tasse siano più basse, e che questi loro impieghi non graditi cessino; i
2
soldi che vengono tassati sono soldi che altrimenti ciascuno avrebbe potuto spendere a propria discrezione (si sta
quindi concedendo il controllo su questo denaro a un organismo collettivo, che decide come spenderlo).
In realtà, la maggior parte delle persone e delle imprese è disposta a essere tassata, al fine di assicurare quei servizi
minimi che ogni individuo e ogni impresa crede gioveranno ai suoi interessi; ma nessuno è disponibile, o pronto, a
essere tassato più di così; oltre a stabilire l’ammontare delle tasse, lo stato può scegliere fra una vasta gamma di
modalità di tassazione, gli individui e le imprese preferiscono quelle che colpiscono meno loro e più gli altri.
7) Infine, quando le imprese che si trovano all'interno dei loro confini possono essere danneggiate, possono usare il
loro potere all'esterno per condizionare le decisioni di altri stati: le imprese sono toccate non solo dalle decisioni
del loro stato, ma anche da quelle di molti altri stati, nella misura in cui le loro merci, capitali o persone attraversano i
confini dello stato; il problema è come le imprese possono trattare con altri stati: es. possono farlo in modo diretto e
ciò implica comportarsi come se avessero sede nell'altro stato, e usare tutti i meccanismi e gli argomenti che
userebbero con il loro (corruzione o scambio di favori); se l'impresa "straniera" ha sede in uno stato "forte", può fare
appello a quest'ultimo affinché usi il suo potere per esercitare pressioni sull'altro stato, per far si che si adegui alle
necessità e alle richieste degli imprenditori dello stato forte.
In alcuni contesti si può verificare una lotta di classe per la ripartizione del plusvalore.
Storicamente, la Rivoluzione Francese ha determinato 2 cambiamenti fondamentali:
1
ha fatto del cambiamento politico, un fenomeno "normale" e di fatto auspicabile;
2
ha orientato in modo nuovo il concetto di sovranità, trasferendolo dal monarca/dal legislatore al popolo: una delle
principali conseguenze fu che gli individui vennero definiti come “cittadini” = ognuno era riconosciuto come
individuo razionale capace di decisione politica; ad oggi ogni paese afferma che i suoi cittadini sono tutti uguali ed
esercitano la loro sovranità attraverso un sistema di suffragio universale (in alcuni paesi solo una parte della
popolazione esercita i pieni diritti di cittadinanza).
Tra la maggior parte delle persone alcune esclusioni sembrano "ovvie": coloro che sono semplici visitatori del paese
(gli stranieri); coloro che sono troppo giovani per avere giudizio ecc.
Il concetto di "popolo", che è nato come un concetto di inclusione, si è tramutato velocemente in un concetto di
esclusione: coloro che ambivano all'inclusione hanno dovuto intraprendere attività di ribellione, e talvolta
rivoluzionarie = agli inizi del XIX secolo, ciò ha sollevato un importante dibattito sulla strategia da adottare da un à
lato, vi erano coloro che pensavano che questi movimenti andassero soppressi (essi si definirono conservatori: questi
esaltarono le istituzioni "tradizionali" - la monarchia, la chiesa, il notabilato, la famiglia - come difesa contro il
cambiamento); dall’altro c’erano i liberali, che esaltarono l’individuo istruito come cittadino modello e lo specialista
come il solo in grado di fissare i dettagli delle decisioni politiche e sociali; sostenevano che anche a tutti gli altri si
sarebbero dovuti lentamente riconoscere i pieni diritti di cittadinanza (erano a favore della rivoluzione sociale); c'era
però un terzo gruppo, i radicali, che si sarebbe schierato con i movimenti liberali (guidandoli, in alcuni casi).
In questa triade di ideologie emersa sulla scia della Rivoluzione Francese - conservatorismo, liberalismo e radicalismo
- furono i liberali ad avere successo nel dominare la scena nel sistema-mondo.
La forza di uno Stato è espressa dalla capacità di rendere concrete le decisioni giuridiche assunte (es. Luigi XV vs
odierno primo ministro svedese).
Gli stati sono, in teoria, gli unici titolari dell'uso legittimo della violenza; la polizia e l'esercito sono meri strumenti
delle autorità dello stato (se lo stato è debole i militari possono assumere direttamente il controllo del potere esecutivo
ogni qualvolta un regime sembra incapace di garantire la sicurezza interna).
Le mafie sono note per il loro interessamento a prodotti illegali (come le droghe), ma sono spesso coinvolte anche in
forme del tutto legali di attività produttive: l’attività capitalistica di carattere mafioso è pericolosa per le stesse mafie,
pertanto i mafiosi, una volta avuto successo nell'accumulare capitale, cercano di riciclare il loro denaro e di
trasformarsi in imprenditori legali).
Uno dei modi in cui gli stati tentano di consolidare la loro autorità di diventare più forti e di ridurre il peso delle mafie,
consiste nel trasformare la loro popolazione in una nazione: il processo di costruzione di una nazione comporta la
creazione di una storia e di un insieme di caratteristiche distintive).
Alcuni stati rivendicano di non essere stati-nazione (stati con una nazionalità omogenea), ma di essere
“multinazionali" (stati con più nazionalità: es. Svizzera francese, italiana e tedesca), anche se cercano di creare
un'identità pan-statale (es. quando l’URSS esisteva, rivendicava di essere multinazionale, ma promuoveva anche
l'idea di un popolo "sovietico").
Storicamente, gli stati si sono serviti di tre modalità principali per costruire il nazionalismo: il sistema scolastico
pubblico, il servizio nelle forze armate e le cerimonie pubbliche.
La forza degli stati non è data semplicemente da quanto possono effettivamente esercitare l'autorità al loro interno, ma
anche da quanto riescono a farsi valere nel contesto competitivo del sistema-mondo: tutti gli stati sono teoricamente
sovrani, ma per gli stati forti è facile intervenire negli affari interni degli stati più deboli, affinchè quest’ultimi
mantengano le frontiere aperte a quei flussi che sono utili e redditizi per le imprese che hanno sede negli stati forti; si
oppongono però con forza ad aprire completamente le loro frontiere ai flussi di prodotti agricoli/tessili, provenienti
dagli stati delle zone periferiche, che fanno concorrenza alle loro produzioni.
Gli stati forti si relazionano a quelli deboli esercitando pressioni su di essi affinché accettino pratiche culturali
(politica linguistica; dell'istruzione, incluso dove gli studenti universitari possono studiare; diffusione dei media) tese a
rafforzare il legame tra di essi; mentre gli stati forti possono corrompere i singoli leader degli stati deboli, questi
ultimi, in quanto stati, comprano la protezione di quelli forti predisponendo opportuni flussi di capitali.
Gli stati più deboli sono le ex colonie, unità amministrative definite come non-sovrane e che cadono sotto il dominio
di un altro stato; spesso gli stati militarmente forti (perlopiù localizzati in Europa occidentale, Stati Uniti, Russia e
Giappone) si sono scontrati con aree in cui le strutture politiche erano deboli.
Al loro interno, le colonie hanno assunto decisioni sull'attraversamento dei confini; hanno disposto le modalità di
partecipazione politica; hanno deciso quali tipi di produzione realizzare o favorire nella colonia (ma coloro che hanno
assunto queste decisioni sono stati per la maggioranza individui inviati dalle potenze colonizzatrici, e non persone
à
della popolazione locale le potenze coloniali hanno giustificato l'assunzione di autorità e la distribuzione di cariche a
individui provenienti dalla metropoli con argomenti razzisti sull'inferiorità e inadeguatezza delle popolazioni locali).
Lo stato coloniale era il tipo di stato più debole nel sistema interstatale, con il più basso grado di autonomia, e dunque
il più soggetto allo sfruttamento da parte di imprese e individui provenienti da un paese metropolitano!
Uno degli obiettivi delle potenze colonizzatrici era assicurarsi che nessun altro stato relativamente forte nel sistema-
mondo potesse avere accesso alle risorse o ai mercati della colonia.
Era inevitabile una mobilitazione politica delle popolazioni delle colonie, nella forma di movimenti di liberazione
nazionale, il cui obiettivo sarebbe stato la conquista dell'indipendenza (ossia dello status di stato sovrano).
Importante però non è solo il rapporto fra stati forti e stati deboli, ma anche quello tra stati forti e altri stati forti: questi
stati sono per definizione rivali; la concorrenza tra stati forti (come quella tra grandi imprese) è mitigata da una
contraddizione: essi hanno in comune interesse nel tenere insieme il sistema interstatale, e il sistema-mondo moderno
nel suo insieme; contemporaneamente, sono spinti rispettivamente verso un sistema interstatale anarchico e verso un
sistema interstatale ordinato.
Non si dovrebbe trascurare il ruolo degli stati semiperiferici che cercano di conservare la loro posizione intermedia,
sperando di poter risalire la graduatoria: essi vogliono migliorare la posizione dei loro stati come produttori, come
accumulatori di capitale e come potenze militari (o riescono a risalire la scala gerarchica -o almeno a rimanere fermi-
o saranno spinti verso il basso).
Vi sono 2 modi diversi attraverso cui gli stati possono conquistare un predominio:
1
Trasformando l’economia-mondo in un impero-mondo, una struttura in cui vi è un'unica autorità politica per l'intero
sistema-mondo: negli ultimi 500 anni, vi sono stati diversi seri tentativi di creare un impero-mondo (es. Napoleone –
fondatore del primo impero francese- agli inizi del XVIII secolo o Hitler- il cui scopo era di costruire un regno avente
il suo centro nella Germania e fondato sul dominio degli ariani- alla metà del XX secolo) ma tutti sono stati sconfitti e
incapaci di raggiungere i loro obiettivi.
2
Ottenendo l’egemonia nel sistema-mondo: tre potenze hanno raggiunto l'egemonia, ma per periodi brevi (Paesi Bassi,
metà del XVII secolo; Regno Unito, metà del XIX secolo; Stati Uniti, metà del XX secolo: sono potenze egemoniche
poiché, per un certo periodo, sono state in grado di dominare l’economia-mondo -nella produzione, nel commercio e
nella finanza-; di imporsi politicamente riducendo al minimo l'uso della forza militare ecc.).
L'egemonia è ben vista dalle persone comuni nella misura in cui sembra garantire ordine e un futuro prospero!
Per diventare una potenza egemone è importante concentrarsi sull'efficienza della produzione; per conservare
l'egemonia, la potenza egemone deve assumere un ruolo politico e militare; altri stati iniziano a migliorare la loro
efficienza economica, fino al punto in cui la superiorità della potenza egemone si riduce considerevolmente, e alla fine
scompare (e con questa anche il suo peso politico); essa è costretta a usare il suo potere militare che, oltre ad essere un
segno di debolezza, è anche una fonte di ulteriore declino; quando una potenza egemone declina, ve ne sono sempre
altre che tentano di sostituirla (sostituzioni che richiedono molto tempo e un'altra "guerra dei trent’anni"): quindi,
l'egemonia è cruciale, ricorrente, e sempre relativamente breve.
N.B. Le "guerre dei trent'anni" hanno storicamente contrapposto due alleanze: una stretta al potenziale creatore di un impero-mondo, e l'altra
intorno a una potenziale potenza egemone.
L’incessante accumulazione di capitale è meglio raggiunta attraverso un insieme di supremazie politiche e culturali (in
continua trasformazione) all'interno delle quali le imprese capitalistiche ottengono il sostegno degli stati ma cercando
di sfuggire al loro predominio.
EUROCENTRISMO-SINOCENTRISMO-GLOBALIZZAZIONE e COLONITA’
AMERICA LATINA E MODERNITA’: L’OPZIONE DECOLONIALE
1. SISTEMA MONDO E TRANSMODERNITA’ di Dussel
MODERNITA’ (dal XVIII sec.): si parla dell’egemonia occidentale all’interno del sistema-mondo primo à
eurocentrismo;
POSTMODERNITA’: tentativo di riaffermare l’egemonia della modernità occidentale all’interno del sistema-mondo.
Il prefisso “post” non elimina il suo eurocentrismo, dando per scontato che l’umanità futura raggiungerà la stessa
situazione culturale dell’Europa e degli USA postmoderni, grazie al processo di globalizzazione secondo à
eurocentrismo;
TRANSMODERNITA’: è un concetto che si riferisce ad una nuova organizzazione e ad un nuovo periodo; è intesa
come un progetto alternativo che, nato al di fuori dell'Europa e degli Stati Uniti (quindi dell’Occidente), va oltre la
Modernità e la Postmodernità; per il filosofo argentino Enrique Dussel, infatti, la transmodernità non designa uno
stadio tipico della modernità né l'evoluzione tipica della postmodernità, bensì un nuovo progetto di emancipazione.
Questo fenomeno rimanda all’analizzare i fenomeni globalmente e localmente, facendo emergere la specificità di
ciascuna cultura -e ciò rende possibile l'empowerment delle culture non occidentali-.
Il prefisso “trans” (“oltre”) dà il significato di “passare da un punto all’altro”.
Importante è la distinzione tra “PRIMO” EUROCENTRISMO e “SECONDO" EUROCENTRISMO:
1) E’ quello di Hegel e Weber, i quali affermano la superiorità dell'Europa:
Fino alla fine XVIII sec. l’Europa sapeva che il centro culturale più avanzato era nel Sud e nell’Est (quindi in Indostan
e in Cina); l’Europa, a partire dalle sue presunte origini greche e medievali latine, produsse valori e sistemi
istituzionali che vennero poi “universalizzati” nell’epoca della modernità: da questa posizione eurocentrica, formulata
alla fine del XVIII sec., si cercò di reinterpretare l’intera storia mondiale, proiettando l’Europa nel passato e cercando
di dimostrare come essa fosse stata messa al centro.
2) Ha superato il "primo" e pensa ancora da un punto di vista europeo, ma con la differenza che accetta che l'Europa
riuscì a dominare grazie a fattosi esterni: Marx afferma che la scoperta dell’America fu il momento fondativo per
l’origine del capitalismo (secondo questo ragionamento, la scoperta dell’America coincide con la nascita del sistema-
mondo, del capitalismo e della modernità); gli europei ebbero successo anche grazie alle loro scoperte scientifiche; ai
metalli preziosi come argento e oro; alla nuova forza lavoro (es. schiavi africani nelle Americhe); al fatto che furono
à
gli unici a poter navigare oltre oceano, grazie alla caravella, inventata dai portoghesi fu tutto questo che permise agli
europei di competere con l’Indostan e la Cina.
L’Europa creò il sistema-mondo con l’invasione del continente americano, processo conosciuto come “scoperta
dell’America” (1492)!
Prima di arrivare alla transmodernità, bisogna superare anche questa concezione di "secondo" eurocentrismo: superare
tale concezione significa passare a un'interpretazione non-eurocentrica della storia di un sistema-mondo.
Ricostruire il significato di prima modernità (XV-XVIII secolo) e gli esclusi dalla modernità: Il "Vecchio
Mondo" (sistema interregionale asiatico-afro-mediterraneo) si protrarrà, insieme all'enorme peso produttivo della Cina
(regione a produzione mercantile che non esercitava alcuna influenza sul sistema degli scambi oceanici e quindi
rimaneva rinchiusa nel suo orizzonte domestico, senza una presenza su scala mondiale), dal 1400 al 1700.
La prima modernizzazione (colonialismo), in assoluto, si ebbe con la Spagna e il Portogallo nel 1492 (ad opera di
Cristoforo Colombo), con l’annessione dell'America: ciò permetterà all'Europa di elaborare il sistema-mondo.
In quest’epoca si produce la colonialità del potere: dopo il 1492, infatti, l’America indigena subì l’impatto della
prima fase di globalizzazione (colonialismo), un fenomeno che portò numerose potenze europee alla conquista di
popoli e territori dell'America; alla superiorità europea; al razzismo; ad uno sfruttamento economico; allo stesso tempo
anche l’Africa rimarrà emarginata, in quanto continente di schiavi.
Ruolo della Cina fino al XVIII secolo: la prima forma di modernità rimane periferica rispetto al mondo indostano e
cinese; la Cina fu considerata una potenza economica, culturale e politica fino al XVIII secolo, anche se non poteva
essere egemonica nel sistema-mondo perché non aveva scoperto l’America (non scoprì l’America perché il “centro”
del Vecchio Mondo –quello asiatico- era a ovest della Cina: si pensava, infatti, che la Cina fosse rimasta “periferica”).
Il SINOCENTRISMO si riferisce all'antica idea che la Cina era il centro culturale del mondo.
Alcuni hanno affermato che in Cina si sia verificato un proto-Rinascimento, interrotto dalla presenza del
colonialismo portoghese e spagnolo; secondo Adam Smith, la scoperta dell’America è quella che permetterà
all’Europa di comprare in entrambi i mercati delle Indie -Cina e Indostan-, i più ricchi fino alla rivoluzione
industriale: l'Europa del XV secolo è una regione produttivamente sottosviluppata, senza nessuna possibilità di
competere con il maggiore "sviluppo" della produzione di merci cinesi -es. utensili di porcellana, tessuti di seta,
à
ecc. la Cina, quindi, rimase nell’assolutismo asiatico del “modo asiatico di produzione”; essa, però, non fu
moderna e capitalistica e non acquisì un peso specifico proprio: il basso salario cinese non permise l'utilizzo delle
macchine, restando così ad un capitalismo manifatturiero.
Per superare anche il secondo eurocentrismo è necessario spiegare l’ascesa dell’Occidente in relazione al declino
dell’Oriente: pensare in modo "non-eurocentrico" significa, dunque, immaginare che la Rivoluzione industriale (nata
à
in Inghilterra) sia stata possibile in Europa grazie ad un vuoto prodotto dai due mercati delle Indie quindi, fu la crisi
del sistema di produzione e distribuzione cinese a permettere "l'ascesa dell'Occidente".
L'unica soluzione per ampliare la produzione fu lanciarsi nell'uso delle macchine (es. nell'America ispanica la
disponibilità di una manodopera indigena numerosa e degli schiavi africani limitò la necessità di una rapida
Rivoluzione industriale, come in Cina e nell'Indostan): l’utilizzo della macchina nel processo di produzione diede un
vantaggio al Regno Unito sulla Cina, l'Indostan, l'America ispanica, l'Europa dell'Est (URSS) e del Sud (Spagna,
Portogallo ecc).
L’egemonia europea, assumendo come data simbolica la data d’inizio della rivoluzione francese, 1789, è durata 2
secoli: l’Europa, dunque, non è al centro della storia del mondo da 5 secoli, come pensava Hegel, e non è portatrice di
una superiorità politica, come sosteneva Weber (primo eurocentrismo).
Spagnoli e portoghesi (rispetto alla prima modernità) o cinesi, indostani e componenti del mondo islamico (rispetto
alla loro centralità nel Vecchio Mondo fino alla fine del XVIII secolo), finiranno per accettare l'interpretazione nord-
eurocentrica (quella post-moderna).
Transmodernità come affermazione di multiculturalità: “L’esteriorità” è un processo che parte da un altrove
diverso da quello della modernità europea o della postmodernità nordamericana; a partire da questo concetto, esistono
à
le culture transmoderne che si sono appunto sviluppate in un orizzonte transmoderno ”trans” indica il punto di
partenza da ciò che la modernità ha escluso e negato in quanto insignificante.
La presa di coscienza di quelle culture ignorate ed escluse sta crescendo, insieme alla scoperta della loro identità
à
disprezzata tutto questo lascia presagire, per il XXI secolo, un mondo culturale multipolare, con la crescente
affermazione della differenziazione culturale, al di là della pretesa omogeneizzante della globalizzazione attuale e
della sua cultura universale, e al di là della differenza postmoderna che fa fatica a immaginare altre universalità
à
culturali millenarie al di fuori dell'Europa e degli Stati Uniti d'America si parla, dunque, di una transmodernità futura
multiculturale che afferma la natura eterogenea dell'identità!
L'emergere di culture, escluse dalla modernità e dalla postmodernità, insieme alle culture occidentale e
nordamericana, costituiscono un mondo più umano, complesso e diverso.
Mentre la globalizzazione è una strategia controllata dalle imprese multinazionali che cerca di omogeneizzare la
cultura; la globalità positiva (sopra descritta) permette all'umanità di entrare in contatto con il suo passato storico,
importante per lo sviluppo differenziato delle grandi culture tradizionali non occidentali.
Huntington, ideologo dell’egemonia nord-americana, si oppone apertamente al “multilateralismo” (ovvero alla
pluralità di interessi politici o di accordi economici e commerciali tra più paesi); egli è a favore di una “stretta
cooperazione con i partner europei”, allo scopo di proteggere e promuovere interessi e valori della civiltà
occidentale.
2. COLONIALITÀ DEL POTERE ED EUROCENTRISMO IN AMERICA LATINA di Quijano
Il nome "America latina" fu proposto, a metà del XIX secolo, da un intellettuale colombiano: con quest’espressione
ci si riferisce a quella parte dell'America composta dagli Stati che furono colonizzati dalla Spagna, Portogallo e
Francia, e in cui si parlano lingue romanze (derivate dal latino: es. spagnolo, portoghese e francese).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale si tornò a imporre "America ispanica", "Lusoamerica" o "America iberica".
"America latina" fece ritorno per riferirsi a una regione formata da Stati nazionalizzati e democratizzati: la storia del
nome è la storia delle lotte per un’identità autonoma e per la liberazione dalla dipendenza (condizione della colonialità
del potere).
La produzione e lo sfruttamento (servitù e schiavitù) agivano intorno all’asse del capitale e del mercato mondiale ed
erano connesse al nuovo sistema di potere capitalistico;
Importante in questo contesto è anche il concetto di “razza”, che indica le differenze biologiche, culturali e
gerarchiche tra il dominante ed il dominato (rapporti che finirono per essere definiti come “naturali”): in poche parole,
la razza permise di classificare la struttura di potere all’interno della nuova società, e dei ruoli occupati nella divisione
del lavoro e nel controllo delle risorse di produzione.
Gli indios uscirono dalla schiavitù e furono confinati nella servitù e, se vivevano in comunità, fu permesso loro di
praticare lo scambio di forza-lavoro e lavoro senza mercato; i neri furono ridotti in schiavitù e gli spagnoli potevano
ricevere un salario, essere artigiani o contadini, produttori o mercanti indipendenti di merci (ma solo i nobili spagnoli
potevano ricoprire incarichi di medio e alto rango nell'amministrazione coloniale, civile o militare); alla fine del XVII
secolo, i meticci, nati da uomini spagnoli e donne indie, potevano accedere agli stessi lavori degli spagnoli non nobili
(ciò non valeva, invece, per i figli delle donne nere, dal momento che le loro madri erano schiave) questa à
distribuzione del lavoro nel capitalismo coloniale fu mantenuta per l'intero periodo.
Accanto all'espansione dal XVIII secolo in poi del dominio coloniale da parte di un'unica razza –quella dei bianchi o
europei- sul resto della popolazione mondiale, sono stati applicati gli stessi criteri per imporre una nuova
classificazione sociale della popolazione mondiale su scala globale, producendo nuove identità socio-storiche: ai
bianchi, indios, negri e meticci si aggiunsero i gialli e gli olivastri.
Dopo tanti anni, tutti i popoli furono privati delle proprie identità storiche: c’erano solo gli indios e i negri.
La whiteness (bianchezza) e l’identità dei bianchi fanno riferimento al modo in cui i bianchi, i loro costumi, la loro
cultura e le loro convinzioni operano come standard con cui confrontare tutti gli altri gruppi: la loro “bianchezza” e la
sua normalizzazione nel corso della storia americana hanno creato una cultura predominante su tutte le altre (i bianchi
detengono maggior potere politico, istituzionale ed economico).
Con il vantaggio di trovarsi nel bacino atlantico, i bianchi erano in una posizione privilegiata per il controllo del
traffico di oro e argento prodotti in America dal lavoro gratuito di indios e neri: ciò favorì un processo che, col tempo,
condusse alla completa monetizzazione dello scambio commerciale, all'espansione dei mercati regionali e al
controllo degli scambi commerciali con l’Oriente à questi processi condussero al controllo delle risorse produttive
da parte dei coloni bianchi, prima in America e poi nel resto del mondo.
L'Europa Occidentale emerse come il centro geografico di potere capitalistico coloniale: da dominatrice coloniale del
mondo, l'Europa riuscì a imporre un processo di re-identificazione delle altre regioni del globo come nuove entità geo-
culturali (dopo l'America e l'Europa, furono istituite l'Africa, l'Asia e, molto più tardi, l'Oceania).
La storia dell’America Latina e la prospettiva eurocentrica: La schiavitù era vista come una merce destinata per
servire la necessità e gli scopi del capitalismo; essa fu articolata su una specifica razza (quella nera).
Il capitale nacque intorno all’XI-XII sec: esso esisteva già da tempo (prima dell’America); è il capitalismo, per la
prima volta nella storia, dopo la scoperta dell’America.
Per Marx, il rapporto sociale capitalistico può essere descritto come quella condizione storica nella quale i mezzi di
produzione sono in mano a una parte della società, la classe capitalistica, con l’esclusione dell’altra parte della
società, la classe dei lavoratori salariati, i quali devono vendere la propria «forza-lavoro», ovvero le facoltà fisiche e
mentali.
L'esperienza storica mostra che il capitalismo mondiale non è una totalità omogenea: sia in termini di rapporti di
produzione che di razze, il capitalismo è una struttura composta da elementi eterogenei i cui rapporti sono conflittuali.
A partire dal XVII, l’Europa occidentale definì la prospettiva della conoscenza come “modernità e razionalità”:
questa versione europea occidentale della razionalità moderna prevede una mutazione del vecchio modo di guardare
à
l’universo esiste una parte, il cervello, che governa tutte le altre parti dell’organismo: i proprietari sono il cervello
(razionalità) e gli operai che formano la società sono le braccia (corpo); senza il cervello, le braccia sarebbero prive di
à
significato, e senza quest’ultime il cervello non potrebbe esistere entrambi sono necessari per mantenere vivo il resto
del corpo (rapporto di dipendenza).
La versione europea occidentale della razionalità moderna implicava un’autentica novità: il corpo (rappresentato dagli
operai) fu visto come componente non necessario: il corpo era visto come un “oggetto” di studio di status inferiore:
senza l’espulsione del corpo dal regno del non-corpo (razionalità o spirito) attraverso la sua ‘oggettivazione’,
à
difficilmente sarebbe stato possibile elaborare ‘scientificamente’ o ‘teoricamente’ l’idea di razza le razze sono
inferiori perché sono oggetti di studio di dominio/sfruttamento/discriminazione, non sono soggetti di studio (ecco
à
perché li si può legittimamente dominare e sfruttare) tutto ciò apri la strada ad una prospettiva storica di matrice
evoluzionista, che contribuì a cambiare i rapporti tra corpo e non-corpo, che si tradussero nei rapporti tra Europa e
non-Europa, in una catena storica continua da "primitivo" a "civilizzato", "irrazionale" a "razionale", "tradizionale" a
"moderno", "magico" a "scientifico" (in altre parole, da non-europei a qualcosa che, nel tempo, potesse essere
europeizzato o "modernizzato"); in passato, il non-europeo non veniva preso in considerazione perché era “oggetto” e
non “soggetto” di studio!
Ma sarebbe difficile spiegare una traiettoria intellettuale così particolare senza considerare l’intera esperienza del
colonialismo e della colonialità del potere: durante la dominazione coloniale europea del mondo, la distribuzione del
lavoro dell’intero sistema capitalistico mondiale (tra salariati, contadini indipendenti, mercanti, schiavi e servi) era
organizzata secondo le stesse linee ‘razziali’ della classificazione sociale globale.
La versione europea occidentale della conoscenza razionale e moderna, se viene applicata specificamente alla
storia e alla realtà dell'America latina, agisce come una sorta di specchio deformante, che ci mostra un'immagine
non del tutto illusoria: quando guardiamo nel nostro specchio eurocentrico, siamo costretti a vedere e accettare
quell'immagine come una realtà nostra; per questa ragione, per moltissimo tempo siamo stati quello che non siamo,
quello che non avremmo mai dovuto essere e quello che non saremo mai.
La questione nazionale dell’America Latina e i progetti rivoluzionari eurocentrici: ciò che chiamiamo Stato-
Nazione moderno è una forma di organizzazione politica, caratterizzata dall'esistenza di un ente sovrano (Stato), che
à
esercita un potere (sovranità) su un territorio è dunque una società nazionalizzata politicamente, sulla quale si
esercita il controllo; implica la cittadinanza (rapporto individuo-stato; uguaglianza civile e politica) e la democrazia
(forma di governo dove la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo).
Affinché esista la situazione sopra descritta bisogna raggiungere una omogeneizzazione del popolo, che è espressione
della democratizzazione non solo dei rapporti politici, ma anche sociali: in Europa, il processo di nazionalizzazione
cominciò come un processo di colonizzazione da parte di alcuni popoli nei confronti di altri (es. la Spagna dopo la
conquista dell'America: coloro che erano indesiderati come membri della popolazione del nuovo territorio dello stato
–es. musulmani ed ebrei- furono espulsi: questo caso è la prima esperienza di "pulizia etnica" dell'epoca moderna,
ovvero quel programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento o ricorrendo ad
atti di aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l'identità e la purezza di un gruppo etnico).
Furono i colonizzatori spagnoli a creare il termine indios per indicare tutti i nativi dell’America Latina anche se
appartenenti a gruppi ed etnie molto diversi: a partire dagli anni ‘70 del XX secolo, gli Indios, che costituiscono una
buona percentuale della popolazione dei paesi dell'America Latina, hanno cominciato a creare movimenti e
organizzazioni per rivendicare i loro diritti e il riconoscimento della loro identità etnica e culturale.
Il meccanismo di base di un processo di nazionalizzazione doveva essere l’apertura democratica della partecipazione
politica a tutti i nuovi arrivati (es. negli USA i nuovi arrivati furono gli europei immigrati): ciò, però, non era
à
permesso a due gruppi specifici -ai neri e agli indios finchè non si risolveva tale discriminazione sociale e politica, il
processo di nazionalizzazione sarebbe stato limitato.
All’inizio la situazione nei paesi latino-americani del Cono-Sud sembrava la stessa di quella dell’America delle
origini: la popolazione “negra” era in minoranza, di conseguenza, la conquista ed il loro sterminio vennero visti come
necessari (così come avvenne nell’America delle origini); in Uruguay e in Cile, i movimenti politici riuscirono ad
ottenere importanti riforme politiche che permisero l’istituzione di una cittadinanza (negli altri stati dell’America
Latina, tali razze erano bandite da ogni possibile partecipazione politica, in nessun modo questi stati potevano essere
definiti come democratici); in Cile la servitù india era limitata, dato che i lavoratori indios locali erano un'esigua
minoranza e gli schiavi neri erano anch'essi un gruppo molto piccolo; fin dall'inizio, una proporzione crescente della
produzione locale dovette basarsi sul salario e sul capitale: per le classi dominanti il lavoro, la produzione locali e i
mercati interni dovevano essere protetti dalla concorrenza straniera, come l'unica e più importante fonte di profitto).
C'erano alcuni interessi sociali che accomunavano i lavoratori, i piccoli produttori di merci e la borghesia locale: vi era
à
un “interesse nazionale" gli interessi sociali dei paesi iberici erano molto più vicini a quelli dei paesi europei:
anziché investire e reinvestire i loro utili commerciali (differenza tra ricavi e costi di un'impresa) nei propri paesi, li
mandavano in Europa, principalmente in Inghilterra (dunque non avevano interesse a mercificare la forza-lavoro
locale e a promuovere il mercato interno).
Durante la crisi capitalistica mondiale degli anni ‘30, i paesi più ricchi della regione, Argentina, Brasile, Messico,
Cile, Uruguay furono costretti a produrre localmente (per il consumo interno) i prodotti che prima venivano importati:
questo contesto fu determinante per la teoria della dipendenza; fu l'argentino Raúl Prebisch che, con la sua idea di
centro-periferia, negli anni '40 avviò il dibattito tra gli intellettuali latinoamericani.
In nessun paese latinoamericano troviamo una società pienamente nazionalizzata!
Rispetto al problema dello stato-nazione, ci sono 4 ideologie:
1) un limitato processo di decolonizzazione (dei rapporti sociali, culturali e politici) attraverso rivoluzioni radicali.
E’ indispensabile ammettere l'esistenza del rapporto tra il feudalesimo e il capitalismo in America Latina;
l'esistenza storica del feudalesimo e/o della monarchia assoluta; il conflitto tra l'aristocrazia feudale e la
borghesia.
Nella sinistra latino-americana un dibattito è avvenuto tra due tipi di rivoluzioni: rivoluzione comunista, in cui la
classe borghese organizza la classe operaia allo scopo di escludere la classe feudale dal potere statale; rivoluzione
socialista, è un assalto, da parte della classe operaia, allo stato borghese, il quale vede la classe operaia come classe
subordinata.
Questi tipi di rivoluzioni sono storicamente impossibili poiché, in America latina, i borghesi e la nobiltà hanno da
sempre mantenuto la loro alleanza dominante.
Ma non si è mai vista in nessun paese latinoamericano alcuna separazione o successione temporale tra schiavitù,
feudalesimo e capitalismo: fin dall'inizio tutti e tre sono stati articolati alla stessa unica struttura di potere.
Una vera rivoluzione dovrebbe implicare anche una decolonizzazione dei rapporti razziali e una redistribuzione di
casse del potere; fino ad oggi, c’è stato solo un miraggio eurocentrico di rivoluzione socialista, che è sfociato poi nel
concetto di populismo, poiché è stata solo anti-borghese.
N.B. Il feudalesimo era un sistema politico, economico, giuridico, sociale che si affermò nell'Europa occidentale con
l'Impero carolingio (IX secolo), fino all'avvento dell'età moderna (con l'emanazione da parte di Napoleone Bonaparte,
più di tre secoli dopo la fine del Medioevo).
Il giuramento di fedeltà era un vero e proprio rito: in cambio, il vassallo otteneva dal suo imperatore un territorio e la
sua protezione (il territorio assegnato era chiamato feudo, e chi lo governava era chiamato feudatario).
2) un limitato processo di omogeneizzazione sociale attraverso il genocidio della popolazione primitive;
-un limitato processo di omogeneizzazione culturale attraverso il genocidio degli indios e neri;
-un imposizione di democrazia razziale che maschera la discriminazione esistente contro i neri.
Non è difficile percepire nella Francia contemporanea un problema nazionale prodotto dalla presenza di persone "non-
bianche" provenienti dalle ex colonie francesi: bisogna ricordare che un secolo fa l'Affare Dreyfus mostrò che per la
maggioranza dei francesi etnia e religione non erano requisiti determinanti per essere membri della nazione; e oggi ci
sono immigranti russi e spagnoli i cui figli, essendo nati in Francia, sono diventati cittadini francesi, mentre i figli
degli africani, anch'essi nati in Francia, non sono ammessi come connazionali.
3. SCIENZE SOCIALI, VIOLENZA EPISTEMICA E L’INVENZIONE DELL’ALTRO di Gomez
La configurazione del potere all'interno del sistema-mondo capitalistico ha assunto altre forme in epoca di
globalizzazione; l'attuale riorganizzazione globale dell'economia capitalistica si basa sulla produzione e sulla
tendenza a celebrare delle differenze (ciò non destabilizza il sistema, ma al contrario contribuisce a consolidarlo).
Bisogna mostrare in cosa consiste la crisi del progetto della modernità (definito così da Habermas) e quali sono le
nuove configurazioni del potere globale nella "condizione postmodema": per fare questo, bisogna partire dal
significato di "progetto della modernità", analizzando l’origine di due fenomeni sociali strettamente collegati (la
formazione degli stati-nazione e il consolidamento del colonialismo); bisogna poi porre l'accento sul ruolo della
conoscenza scientifico-tecnica e della conoscenza prodotta dalle scienze sociali nel consolidarsi di questi due
fenomeni.
Il progetto della governamentalità: quando si parla di progetto della modernità:
a. In primo luogo, con Habermas, si fa riferimento all’intento di sottomettere la vita intera al controllo assoluto
dell’uomo, sotto la guida sicura della conoscenza (è l’uomo che, servendosi della ragione, è capace di decifrare le
leggi della natura, per metterla al suo servizio).
Francesco Bacone teorizzò la conoscenza della natura attraverso l'uso del metodo sperimentale, l'unico in grado
di comprenderla con la formulazione di ipotesi da verificare con l'esperienza: egli presenta la natura come grande
nemico dell’uomo e afferma che l’unico modo per vincere è conoscere l’anima del suo nemico; la ragione deve saper
accedere ai segreti della natura, per costringerla ad obbedire agli impulsi e desideri dell’uomo.
b. In secondo luogo, si fa riferimento all’esistenza di un’istituzione centrale, lo Stato, che garantisce l’organizzazione
razionale della vita umana (con organizzazione razionale s’intende che i processi di disincanto e de-magificazione del
mondo -a cui fa riferimento anche Weber quando parla di razionalizzazione come processo di “disincanto del mondo”-
iniziano ad essere regolamentati dallo Stato).
Lo scopo dello Stato è quello di conformare la vita degli uomini all’apparato produttivo, tramite il lavoro; esso utilizza
la violenza per indirizzare razionalmente le attività dei cittadini.
Le scienze sociali insegnano le leggi che governano l’economia, la politica, la società e la storia: secondo questa
concezione, Wallerstein afferma che la nascita delle scienze sociali è importante poiché, senza di esse, lo Stato sarebbe
incapace di esercitare un controllo sulla vita delle persone o di definire identità culturali.
La conseguenza nel creare identità culturali statalmente coordinati (che sono sistemi riflessivi) consiste nel fenomeno
definito “invenzione dell’altro”: questo tipo di problema va affrontato partendo dal punto di vista del processo di
à
produzione materiale e simbolica di cui sono protagoniste le società occidentali dal XVI secolo Gonzalez Stephan
1 2 3
identifica 3 pratiche disciplinari, costituzioni; manuali di galateo e grammatiche della lingua, che hanno
contribuito a formare i cittadini latinoamericani: queste 3 pratiche hanno in comune la scrittura (la parola scritta
costruisce leggi e identità nazionali).
1) La formazione del cittadino come “soggetto di diritto” può costruirsi solo all’interno dello spazio di legalità,
definito dalle carte costituzionali: la funzione giuridico-politica della costituzione consiste nella creazione della
cittadinanza, con cui si formano delle identità omogenee (l’acquisizione della cittadinanza è permessa solo a chi
rispetta il tipo di soggetto richiesto dal progetto di modernità -maschio, bianco, cattolico -; chi non risponde a questi
requisiti -donne, analfabeti, eretici - rimane fuori dalla “città colta”).
2) Ma se la costituzione definisce “formalmente” un tipo ideale di soggettività moderna, la pedagogia è la grande
artefice della sua materializzazione: la scuola diventa uno spazio in cui viene formato questo tipo di soggetto che gli
"ideali regolativi" della costituzione invocano.
Per quanto riguarda la scuola, Stephan rivolge le sue critiche a delle tecnologie pedagogiche, come i manuali di
galateo, e in particolare quello famoso di Carregno che ha l’intento di regolamentare la soppressione degli istinti, il
controllo sui movimenti del corpo e l’addomesticamento di ogni persona considerata “barbara” à vengono scritti
questi manuali per insegnare come essere “un buon cittadino” e come entrare a far parte della civitas: il soggetto
descritto all’interno di questi manuali è il soggetto che sa comportarsi; anche per Weber il soggetto moderno va di pari
passo con l’esigenza dell’autocontrollo e della repressione degli istinti, con lo scopo di rendere più visibile la
differenza sociale.
3) Hanno giocato un ruolo fondamentale anche le grammatiche della lingua: esiste un rapporto diretto tra lingua e
1
cittadinanza e tra grammatica e galateo
2-3
à le grammatiche, infatti, cercano di creare una cultura, con lo scopo di
evitare le varietà popolari e i barbarismi rozzi della plebe (si vuole creare l’homo aeconomicus, un soggetto patriarcale
incaricato di portare a termine questo progetto).
Per essere veri cittadini ed entrar a far parte della modernità, le persone dovevano sia comportarsi correttamente, sia
saper leggere e scrivere, e sia adeguare il loro linguaggio a una serie di norme!
Sia l’invenzione della cittadinanza che l’invenzione dell’altro, quindi, sono correlati: in America latina, creare
l’identità del cittadino moderno implicava anche la creazione di un’immagine in negativo dell’altro (il colonizzato -
visto come malvagio e barbaro- appare come “l’altro”: il che giustifica l’esercizio di un potere da parte del
colonizzatore -visto come buono, civile e razionale- che civilizza il colonizzato, attraverso una completa
à
occidentalizzazione) sia l’immaginario della civiltà che quello della barbarie sono entrambi agganciati a sistemi di
carattere disciplinare (es. scuola, legge, stato).
La colonialità del potere e l’altra faccia del progetto della modernità: con la loro visione eurocentrica, le scienze
sociali hanno sempre visto l’Europa come ascetica (sacra) ed auto-generata (formata dall’inizio senza alcun
contatto con le altre culture: quindi, la razionalizzazione -nel senso weberiano del termine- è avvenuta grazie a qualità
appartenenti alle società occidentali, e non a quelle degli altri paesi).
Per africani, asiatici e latinoamericani, il colonialismo ha dato origine all’inizio tortuoso verso lo sviluppo e la
modernizzazione; è proprio a causa del colonialismo che è emerso quel tipo di potere disciplinare, caratteristico delle
società moderne: le scienze sociali si sono trovate d’accordo sul fatto che la “specie umana” abbia attraversato degli
“stadi” per uscire dall’ignoranza e raggiungere lo stato di perfezione a cui sono arrivate le società moderne
à
europee il primo stadio è quello delle società indigene americane, la cui caratteristica è la barbarie (assenza totale di
arte, scrittura, scienza; l’ultimo stadio, ormai raggiunto dalle società europee, è costruito come “l’altro” assoluto del
primo, dove tutto si trasforma in civiltà, amore per la scienza e l’arte…).
L’Europa ha segnato la strada della civilizzazione che tutte le nazioni del pianeta devono percorrere!
c. In terzo luogo è composta da 2 tipi di governamentalità giuridica:
-quella esercitata verso l’interno, dagli stati-nazione, per creare un’identità comune;
-quella esercitata verso l’esterno, dalle potenze egemoniche del sistema-mondo, per assicurare il flusso di materie
prime dalla periferia al centro.
Dunque ricapitolando, la modernità è un insieme di pratiche orientate al controllo razionale della vita umana, tra
cui l’istituzionalizzazione delle scienze sociali, l'organizzazione capitalistica dell'economia, l'espansione coloniale
dell'Europa e la configurazione giuridico-territoriale degli stati-nazione; è un "progetto" perché questo controllo
razionale sulla vita umana è esercitato all'interno e verso l'esterno attraverso delle istituzione (lo stato-nazione e le
potenze egemoniche).
Dal potere disciplinare (modernità) al potere libidinale (postmodernità): la modernità smette di essere vista come
“progetto” quando lo stato-nazione perde la capacità di organizzare la vita sociale e materiale delle persone: si parla di
una governamentalità senza governo, poiché non c’è più bisogno di un’istituzione che regoli i meccanismi di
controllo sociale.
Il fatto che non ci siano più regole equivale ad “occultare” le modalità attraverso cui il sistema mondo produce
costantemente le differenze: non si tratta più di meta-narrazioni che mostrano il sistema, ma di micro-narrazioni che lo
à
lasciano fuori quindi il sistema-mondo è un oggetto assente nell’ambito di studio culturale, i cui temi sono la
frammentazione del soggetto, l’ibridazione delle forme di vita, l’articolazione delle differenze e il divieto di utilizzare
termini binari con i quali le vecchie teorie della dipendenza hanno lavorato, soprattutto per la situazione in America
latina (es. colonizzatore vs colonizzato; centro vs periferia; Europa vs America).
La grande sfida per le scienze sociali consiste, quindi, nell’imparare a nominare la totalità senza cadere
nell’universalismo delle meta-narrazioni!
Il potere libidinale della postmodernità (al contrario di quello disciplinare della modernità) vuole modellare la
psicologia degli individui, in modo che ognuno possa costruire la propria soggettività senza imposizioni dall’alto; la
costruzione del profilo di soggettività richiesto dal progetto moderno, invece, esigeva subito la soppressione di tutte le
differenze: es. l’uomo nero -bianco; omosessuale - eterosessuale ecc (quindi, il potere libidinale prima di reprimere le
differenze, le stimola e le produce).
N.B. mentre la modernità disancora le relazioni sociali dai suoi contesti tradizionali e li ancora ad ambiti post-
tradizionali con azioni coordinate dallo stato; la globalizzazione disancora le relazioni sociali dai suoi contesti
nazionali e le ancora ad ambiti post-moderni, con azioni non coordinate dallo stato (o da altre istituzioni).
INTERSEZIONALITA’
IL FEMMINISMO DELLE ZINGARE di Laura Corradi
Le zingare appartengono alla più grande minoranza d’Europa, perseguitata nel passato ma anche nel presente.
N.B. “Rom” è un il nome utilizzato dagli stessi Rom e che definisce un popolo preciso; “Zingaro” è un termine
dispregiativo – per molti offensivo - usato dalla popolazione maggioritaria per definire i Rom.
Laura Corradi affronta un fenomeno sociale poco conosciuto in Europa e quasi inesistente in Italia: il femminismo
à
delle donne rom l’attenzione dell’autrice è posta sulle soggettività che producono lotte contro il sessismo, la rom-
fobia, le forme di anti-zingarismo sociale e istituzionale – che non diminuiscono –, puntando al rispetto culturale nel
superamento di patriarcato e omofobia nelle comunità; ella offre un’analisi delle ricerche sociologiche recenti che
documentano diverse forme di oppressione multipla, ma anche agency politica e attivismo di genere in queste
comunità nei vari paesi europei.
Tradizioni patriarcali e ricerca intersezionale femminista: nelle istituzioni internazionali il primo riconoscimento
dell’oppressione multipla sofferta dalle donne rom è apparso nel “Quinto Rapporto delle Nazioni Unite” del dicembre
2010, dove vi era una sezione dedicata alle forme di discriminazione multipla (ovvero a quei casi in cui una persona
è discriminata in base a due o più fattori) subite dalle donne rom; non ci sono disposizioni penali in merito alle
discriminazioni di genere, razza e orientamento sessuale e nessun controllo o sanzione nel caso in cui gli Stati membri
non abbiano varato direttive obbligatorie per prevenire o punire le discriminazioni multiple.
Nonostante gli sforzi delle istituzioni europee a creare documenti che affrontino le discriminazioni multiple, in molti
casi la situazione sta peggiorando!
La retorica razzista e anti-zingari pervade l’intera società, circola nei media mainstream e nei discorsi pubblici: la
retorica razzista sta peggiorando, infatti, alcuni parlamentari, a causa di ciò, richiedono anche l’abolizione dei campi
(es. Matteo Salvini, il capo della Lega Nord italiana attualmente ministro dell’interno, a proposito dei campi rom, si è
dimostrato da tempo campione di anti-zingarismo e di odio anti-rom); questo avviene senza sanzioni da parte del
sistema legale o provvedimenti della autorità pubbliche responsabili; ciononostante, ci sono stati alcuni miglioramenti
grazie alle attiviste zingare e non zingare che hanno sostenuto la comunità.
Thematic Action Plan for Roma and Traveller Inclusion mette in luce il motivo per cui il documento del Consiglio
d’Europa risulti inappropriato e come attribuisca la colpa degli effetti dell’emarginazione alla stessa comunità rom.
L’approccio intersezionale (il termine “intersezionalità” viene usato per descrivere la sovrapposizione di diverse
identità sociali e le relative possibili particolari discriminazioni, oppressioni o dominazioni) è cruciale per
comprendere e contrastare la discriminazione multipla: il femminismo intersezionale è un potente strumento per tutte/i
(donne e uomini) che rafforza le comunità e aiuta a creare alleanze nella lotta contro le disuguaglianze economiche, le
diverse forme di anti-zingarismo sociale e le politiche rom-fobiche, contro quel mix di razzismo e sessismo che le
zingare affrontano ogni giorno.
Come sostiene Angéla Kóczé, lo sviluppo di approcci e metodi intersezionali potrebbe aiutare a riconoscere e
affrontare le problematiche delle donne rom; inoltre, potrebbe migliorare la posizione sociale di uomini e ragazzi la
cui condizione particolare è denunciata da Jelena Jovanović, la quale afferma che le situazioni svantaggiose sono
sofferte anche dei ragazzi rom, vulnerabili ed esposti a forme particolari di tratta di esseri umani, come nel caso dei
bambini di strada a Belgrado (si parla di assenza di misure di prevenzione, assistenza e protezione).
Le culture zingare sono sempre rappresentate come immutabili gerontocrazie maschili (con “gerontocrazia”
s’indica un sistema politico in cui il potere è detenuto dagli anziani, di stampo non riformista), dove le donne sono
viste solo come vittime incapaci, specialmente quando si tratta di forme di violenza di genere; oltre le forme note della
violenza (fisica, sessuale, psicologica…) esistono forme specifiche di violenza legata al contesto patrilocale (es. la
suocera di una sposa esercita spesso piena autorità sulla nuova arrivata e, in alcune zone, non è raro che picchi la
à
giovane moglie del figlio per correggerla la pressione culturale sulle donne affinché si adatti nei propri
comportamenti alla tradizione -es. coprire la testa con un fazzoletto indossare con le lunghe- è vissuta come
conformismo forzato dalle giovani generazioni che non sopportano norme e costumi antichi).
Alcune ricerche-azioni femministe contro la violenza domestica nei campi e nelle comunità zingare sono state
portate avanti con successo: le ricercatrici hanno raggiunto risultati significativi adottando una metodologia
partecipativa, intersezionale e non eurocentrica.
La creazione dei progetti Empowerment per le differenze etniche ha consentito la creazione di spazi sicuri dove
poter parlare di questioni intime, sessualità, matrimoni precoci e molestie: la violenza di genere non è un problema che
le zingare devono combattere da sole, ma un problema comunitario che deve essere affrontato in modo condiviso per à
gli Jelena Jovanović, Angela Kocze e Lidia Balogh l’alleanza tra femministe rom e non rom è uno spazio di
condivisione dove scambiare sostegno, conoscenze ed esperienze.
Purtroppo in certi progetti relativi all’emancipazione, alle attiviste gagè (non zingare) manca spesso il retroterra
conoscitivo su tradizioni e modi di vita di zingari, necessario per affrontare questioni tanto delicate.
Le donne rom, facendo parte di una minoranza etnica socialmente esclusa, sono particolarmente vulnerabili alla
violenza maschile essendo esposte sia a quella della propria comunità che a quella esterna; da questa constatazione
parte Empow-air, un progetto durato due anni, promosso dalla Commissione europea; tutte le società tendono a negare
o minimizzare la violenza contro le donne e questo contribuisce a mantenerle in una posizione subordinata.
Gli abusi domestici e sessuali sono indicatori di uno squilibrio di potere tra uomini e donne che inizia già quando si è
ragazzi e ragazze: gli uomini dovrebbero quindi essere educati ad altri modelli di mascolinità, promuovendo la loro
partecipazione a gruppi e iniziative culturali in cui si decostruisca quell’assunzione patriarcale (superiorità maschile) e
la violenza venga eliminata.
La denuncia intentata dalla vittima è percepita come violazione della solidarietà di un gruppo e causa la perdita di
prestigio e d’immagine dell’intera comunità.
Alcune donne sono andate in scena per denunciare le problematiche relative agli abusi domestici (attraverso
rappresentazioni teatrali si richiama l’attenzione sulla violenza così come viene vissuta): queste iniziative culturali (es.
film o opere teatrali) prodotti all’interno della comunità possono avere un impatto maggiore dei piani istituzionali, per
prevenire la violenza.
Se una donna soddisfa tutti i "criteri", cioè se prende marito, diventa madre e parla la lingua romanes (lingua
indoeuropea parlata da alcune comunità rom), ha più possibilità di far valere il suo interesse all'interno del movimento
rom; la posizione di una donna all'interno del movimento rom dipende anche dalla posizione del marito all'interno del
movimento (se lui è un attivista rom o meno).
Alexandra Oprea, nel suo saggio The Erasure of Romani Women in Statistical Data, denuncia il modo in cui
vengono costruite le statistiche: secondo la studiosa, i dati della Banca Mondiale non presentano un approccio
intersezionale (gli attuali approcci alla raccolta dati sono errati perché si basano su nozioni di razza e genere che si
escludono a vicenda, perché raccolgono separatamente "dati di genere" e "dati etnici": questa pratica deve essere
superata per rimediare alle molteplici forme di discriminazione che queste donne affrontano).
Sebbene nel discorso pubblico le donne zingare siano rappresentate come cittadine immeritevoli proprio a causa della
loro elevata natalità, un’etnografa rom si è pronunciata a favore della volontà delle/i Rom Lovári (gruppo rom
proveniente dall’Ungheria) di mantenere un alto tasso di fertilità per assicurare la rigenerazione della razza.
La ricerca condotta da un ricercatore, si concentra sulle lotte per l'uguaglianza di genere delle donne rom in Ungheria
e sottolinea come la presunta associazione tra socialismo di stato e donne abbia rallentato la mobilitazione femminista;
le femministe rom si trovano ancora di fronte alla scelta tra l’essere attiviste rom o femministe (è più importante
l'appartenenza alla razza o al genere?); nelle ex colonie, le combattenti per la libertà hanno dovuto accantonare la
propria lotta di donne a favore di quella per la liberazione nazionale.
In Europa, i sindacalisti chiedevano alle lavoratrici delle fabbriche di preferire la lotta di classe al femminismo!
Solo il femminismo curdo (una narrazione ha ritratto le donne curde della Siria del Nord, nota come Rojava, come
eroine pronte a difendere valori di democrazia e libertà; la loro volontà ultima era quella di liberarsi dai vincoli
patriarcali e costruire una nuova idea di società), nel contesto del federalismo democratico della Federazione Rojava, è
stato capace di mettere al primo posto la liberazione e gli obiettivi delle donne, avendo fatto comprendere a tutti la
necessità di affrontare i rapporti di potere in una prospettiva di genere (nessuna liberazione è possibile, nessuna
uguaglianza può essere raggiunta, se non si innescano questi processi femministi all'interno delle comunità).
La sfida è quella di superare le contrapposizioni tra le varie identità, quali l’essere donna (genere) e l’essere zingara
(etnia): occorre che le femministe bianche riconoscano che disuguaglianze basate su razza/colore/classe/status/genere
sono reciprocamente importanti (es. un attivista e studiosa femminista non-rom ha definito un attacco violento a una
donna rom in un luogo pubblico da parte di un attivista antirazzista come un atto di violenza contro le donne; lo stesso
attacco invece è stato definito come effetto del patriarcato persistente all’interno del movimento rom da un attivista e
studiosa femminista rom).
Intendendo la razza e il genere come categorie che si escludono a vicenda, le organizzazioni non governative rom e le
organizzazioni femministe non riescono ad affrontare la multiforme discriminazione di cui soffrono le donne rom!
Tra le comunità zingare dei paesi dell'Est, gli studi basati sull’analisi intersezionale hanno portato alla luce la
femminilizzazione etnicizzata della povertà durante le transizioni post-socialiste.
L'etnicizzazione e la de-etnicizzazione si riferiscono alla tendenza a considerare l'etnia come un fattore centrale o
periferico nell'analisi e comprensione della violenza di genere: l’etnicizzazione si verifica quando la violenza di
genere viene interpretata o descritta in termini etnici o razziali, enfatizzando l'appartenenza etnica come un fattore
determinante nella sua manifestazione (es. potrebbe esserci l'idea che un certo gruppo etnico sia più incline alla
violenza di genere a causa delle loro tradizioni culturali o credenze); la de-etnicizzazione può essere un tentativo di
sottolineare l'importanza di affrontare la violenza di genere come un problema universale che colpisce tutte le donne,
indipendentemente dalla loro etnia (tuttavia, può anche comportare il rischio di ignorare le specificità culturali,
trascurando le disparità e le forme specifiche di violenza che possono derivare da contesti culturali o razziali specifici.
Le organizzazioni non governative rom, in prima linea nella lotta antirazzista in Europa, affrontano il razzismo ma non
riescono a considerare il ruolo del patriarcato come un fattore chiave nell'oppressione delle Rom; le organizzazioni
femministe in Europa, a loro volta, si concentrano sulla subordinazione di genere, ma trascurano il razzismo, un
ostacolo cruciale per le Rom.
Decolonizzare teoria e pratica femminista: alla base della supremazia culturale euro-atlantica risiede la nozione di
scienza fondata sulla razionalità, ritenuta forma superiore di conoscenza, a discapito di esperienza e intuizione.
La persistenza dell'egemonia occidentale trova radici nel costrutto gerarchico che distingueva i colonizzatori dai
colonizzati, le persone bianche dalle non-bianche, i sovrani dai subordinati e, all'interno di tutte queste categorie, le
donne dagli uomini.
Sebbene il vecchio colonialismo sia stato sconfitto dalle popolazioni ribelli, il neocolonialismo economico e culturale
pervade tutt'oggi le relazioni sociali, penetra nelle comunità e impone un modo di essere e uno stile di vita.
Negli ultimi decenni, tra chi fa attivismo e ricerca è aumentata la consapevolezza della necessità di “decolonizzare” il
femminismo: le stesse donne zingare, di colore, indigene e maori hanno messo in discussione la parola
“femminismo”, che varia in base al contesto culturale; si potrebbe riflettere sulle differenze tra attivismo di genere e
à
femminismo mentre alcune attiviste di genere e donne leader si definiscono femministe, altre invece non amano
l’espressione femminismo poichè può creare fraintendimenti visto che da l’idea di un atteggiamento anti-uomini
(come se si volessero sminuire gli uomini e i loro diritti): siccome non è questo lo scopo delle attiviste di genere, si
preferisce usare il termine “attivismo di genere” al posto di femminismo.
Le femministe di colore hanno contribuito, ad esempio, con numerosi studi ad una pratica di autoriflessione e al
bisogno di produrre un sapere che non sia frutto di un rapporto di dominazione occidentale o bianca.
Tra gli obiettivi principali delle zingare attiviste di genere e femministe vi è quello di stabilire un rapporto tra
valorizzazione delle tradizioni ed autodeterminazione delle donne!
Le donne hanno creato la legge Rivoluzionaria sulle Donne dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN);
assunto posizioni di autorità politica e militare e hanno iniziato una lunga strada per combattere la violenza di genere
che dovrebbe essere una guida per le diverse generazioni (la legge è un breve documento che presenta i diritti
fondamentali richiesti dagli zapatisti che non erano stati riconosciuti dallo Stato o dalla società – governati sotto un
à
ordine patriarcale, classista e razzista – ma nemmeno dalle loro comunità diritto all'istruzione, alla salute e al cibo, al
lavoro e a salari equi, alla maternità scelta, a vivere senza violenza sessista o matrimoni forzati, a partecipare alla vita
comunitaria e ad assumere posizioni di rappresentanza); ciò ha portato alla luce una modalità di superamento sia del
relativismo culturale, che spesso sostiene l'ordine patriarcale in nome del rispetto delle tradizioni, sia dell'imposizione
suprematista bianca dei propri valori come valori universali.
La dinamica tra i diritti di genere e tradizione è alla base della rivista “Nevi Sara Kali”; il nome della rivista evoca la
divinità Kali (pura forza femminile), coperta dal velo di Sara, simbolo dell’ambiente culturale (si narra che i resti di
Sara kali siano conservati in una chiesa dove ogni anno due madonne zingare vengono festeggiate
contemporaneamente da diverse comunità; il giorno della celebrazione è stato scelto come giornata internazionale rom
= 8 aprile; Sara Kali è la protettrice della comunità rom), pubblicata per la prima volta nel 2009, che mira a mettere in
luce le reti femministe rom/zingare che adottano il metodo intersezionale nella loro lotta contro il patriarcato ed il
razzismo.
I pregiudizi sulla comunità rom però non stanno cambiando, come per esempio quelli sul matrimonio forzato, che, in
realtà, è un qualcosa che ormai appartiene al passato e non si sa quanto sia frequente tale usanza patriarcale.
N.B. matrimonio forzato: implica forti accordi familiari e l’impossibilità per la figlia di scegliere il marito;
matrimonio combinato: una tradizione diffusa anche nelle culture non rom (la famiglia propone un candidato che la
ragazza può approvare o disapprovare esercitando una scelta; va sottolineato che il matrimonio combinato non indica
una completa libertà, ma solo il diritto di veto in un contesto in cui le pressioni sociali verso il matrimonio in giovane
età sono ancora forti.
Gli accordi matrimoniali tradizionali nei paesi occidentali sono ancora in uso nelle classi più agiate (in una recente
biografia il principe Carlo d’Inghilterra racconta la storia del matrimonio forzato con lady Diana, una vergine di alta
discendenza, la quale la famiglia reale del principe costringe a sposare. Solo dopo la tragica morte della moglie, egli
poté emanciparsi e, contrariamente alle aspettative derivanti dal suo status, scegliere la donna della sua vita).
Oggi spesso gli adolescenti ricorrono a una sorta di “fuga d’amore”: nel libro di Ohana Marcu, la fuga d’amore non è
considerata una tradizione ma un’usanza largamente diffusa e una trasgressione delle regole tollerata; i risultati della
sua ricerca mostrano che la ragazza dovrebbe perdere la sua verginità durante la fuga altrimenti i suoi genitori possono
esigere che torni e impedirle di scappare di nuovo; ma tale azione non implica necessariamente la perdita della
verginità per la ragazza; tuttavia la fuga d’amore rappresenta una macchia nella reputazione della giovane ed esige
riparazioni: tutti propenderanno per la facilitazione di un matrimonio riparatore tra la ragazza e ragazzo che lei ha
scelto, invece di perseguire accordi di matrimonio senza il suo consenso.
Ricercatrici e attiviste impegnate a contrastare il matrimonio precoce incoraggiano le ragazze a frequentare la scuola e
completare l’istruzione secondaria, a ritardare il matrimonio e aumentare la possibilità di ottenere un’istruzione
à
superiore e magari a proseguire oltre aumentare il livello di istruzione è il primo passo verso l’empowerment e la
crescita dell’autostima delle ragazze all’interno e all’esterno della comunità.
L’approccio decoloniale ed intersezionale sarebbe fondamentale per far luce sui diversi fattori relativi alla comunità
zingara attribuiti alla differenza etnica, ma che sono per lo più legati alla povertà.
In realtà, i confini etnici ed identità cambiano attraverso la storia: nel discorso gagé, le questioni di classe vengono
spesso etnicizzate quando si tratta di persone zingare, e lo stesso avviene per il genere (es. esposizione delle lenzuola
dopo il matrimonio per dimostrare la perdita della verginità).
La deflorazione rituale (rottura dell’imene) da parte di una donna esperta può essere considerata come una
riapprovazione dell’atto penetrativo; la donna perde la verginità prima del matrimonio, non durante un doloroso e
veloce accoppiamento sessuale con il giovane marito.
L’ajuntaora è una donna che ha il potere di unire tutte le donne che sono coinvolte nel matrimonio e di assumersi il
compito tradizionalmente affidata agli uomini di deflorare tutte le ragazze prima del matrimonio.
I rituali che interessano la verginità sono complesse diversi in ogni comunità rom e la disposizione nei loro riguardi
varia in modo significativo.
Le donne svolgono la funzione morale di incarnare norme e valori come la castità e la fedeltà che gli uomini di fatto
non sono tenuti a rispettare; le donne devono arrivare all’altare immacolate.
Nonostante i vari sviluppi, però, le donne rom devono comunque destreggiarsi tra le vari contraddizioni, tenendo in
considerazione l’amore per la propria cultura dentro e fuori la comunità.
Le Rom hanno sfilato ostentando una maglietta che riprendeva, provocatoriamente, la frase "Zingara puzzolente”,
pronunciata dal presidente Basescu, costringendolo a porgere delle scuse ufficiali; grazie alla riappropriazione di un
significante dispotico, le donne sono riuscite a manifestare la loro legittima rabbia contro quel rigurgito di razzismo e
sessismo di stato.
Body politics, media-attivismo e riappropriazione dei significanti: Laura si sofferma su questi 3 concetti
fondamentali, che sono tutti collegati alla sfera dell'identità, del potere e delle dinamiche sociali.
Body politics: si concentra sul modo in cui il corpo umano viene oggettivato, controllato e regolato da norme sociali,
politiche e culturali; coinvolge questioni come il genere, la sessualità, la razza e altre caratteristiche corporee che
influenzano il modo in cui le persone sono percepite, trattate e soggette a discriminazione; l'analisi delle body politics
esamina come le norme sociali influenzano l'autonomia, la libertà e la rappresentazione delle persone.
Questo concetto è spesso utilizzato per contestare le strutture di potere che influenzano il controllo sul corpo e per
promuovere l'uguaglianza e l'emancipazione!
Media-attivismo: è un'azione o un movimento che utilizza i mezzi di comunicazione, come i media tradizionali o i
social media, per promuovere cambiamenti sociali o politici; il media-attivismo si basa sulla consapevolezza che i
media hanno un ruolo significativo, poiché le persone cercano di promuovere la consapevolezza, l'educazione e la
mobilitazione riguardo a questioni sociali, come l'equità di genere, i diritti civili, la giustizia sociale ecc (questo può
avvenire attraverso la condivisione di storie personali, la diffusione di informazioni o la creazione di reti di sostegno).
Riappropriazione dei significanti: si riferisce al processo in cui un gruppo o un individuo adotta o trasforma un
termine, un simbolo o un'immagine che precedentemente era stato usato in modo denigratorio o oppressivo nei
confronti del gruppo stesso; questo atto di riappropriazione può essere un modo di ribaltare il significato negativo e di
riaffermare l'identità e l'autonomia del gruppo.
L’anti-zingarismo è l’unica forma di razzismo socialmente accettata in Europa.
Maria Bogdán ci ricorda la natura costitutiva delle immagini e dei simboli in un suoi saggio, in cui decostruisce un
documentario, dove le persone rom vengono considerate criminali per natura, stigmatizzate perché hanno troppi figli/e
biasimati per abitudini sessuali ritenute improprie (bisognerebbe cercare di cambiare quelle che sono le immagini di
una comunità violenta per natura, con immagini che danno un aspetto positivo; questo cambiamento è avvenuto, in
parte, grazie all’emergere di attiviste e blogger femministe).
Anche l’esotizzazione è una forma di razzismo: si verifica quando una persona o un gruppo viene considerato
"diverso" o "straniero" in base alla loro razza, etnia o cultura, e viene ridotto a oggetti di fascinazione
à
esotica l'esotizzazione razziale può portare a una serie di problematiche, inclusa la riduzione delle persone a semplici
oggetti di desiderio sessuale o di consumo culturale, ignorando la loro individualità.
L’autore è Petr Uhl sostiene che è indegno vendere la bellezza femminile ed evidenzia un parallelo tra l’esposizione
dei corpi delle donne e la mercificazione degli oggetti tradizionali della comunità Rom, che appartengono entrambi al
processo di esotificazione della cultura.
Nel sito “I am a European Roma Woman” vengono esposti dei punti per creare una rete sostenibile di attiviste rom e
le condizioni per la difesa delle questioni relative alle donne rom; le fondatrici del sito hanno saputo collegare la
vecchia agenda anti-discriminatoria con le nuove aspirazioni, costruendo delle reti e facendo capire l’importanza della
collaborazione tra le donne istruite e non istruite (come accade nella teoria e nella pratica del femminismo kurdo, che
rompe secolari barriere tra donne che hanno titoli di studio e donne che ne sono prive; alla Star Academia of Women,
nella Federazione Rojava, cooperano studentesse e insegnanti di comunità, età e status sociale diverso).
Il principio è che ogni donna ha un suo sapere da condividere, può studiare, imparare, insegnare, produrre idee e
progetti, aprendo così una prospettiva rivoluzionaria.