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POSITIVISMO -> positum, concreto (pag.

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Il positivismo rappresenta un movimento di pensiero che ha dominato gran parte della cultura
europea nelle sue manifestazioni filosofiche, politiche, pedagogiche, storiografiche e letterarie.
Deriva dal latino positum e indica un movimento culturale che caratterizzerà la seconda metà
dell’800, fino ai primi anni del 900.
Ci ritroviamo in una situazione politica in cui l'Europa da fondo alla sua trasformazione industriale
che comporta effetti anche sulla vita sociale perché l'impiego delle scoperte scientifiche trasforma
l'intero modo di produrre, le grandi città si moltiplicano, cresce in modo impressionante la rete dei
traffici, si rompe l'equilibrio tra città e campagna, la medicina debella le malattie infettive, la
rivoluzione industriale e quindi muta dalle radici il modo di vivere.
Dunque nasce l'idea di un progresso umano e sociale possibile grazie agli strumenti posseduti che
risultano essere risolutivi per ogni tipo di problema. La scienza fa grandi passi avanti con diverse
scoperte grazie agli sviluppi dell'industria.
Ci ritroviamo nel secolo dello sviluppo delle industrie, secolo della nascita della borghesia
industriale e del capitalismo e anche secolo delle grandi scoperte scientifiche, come la lampadina
elettrica, il motore a scoppio, i primi aeroplani. Di questo periodo è la scoperta dei vaccini, della
penicillina → scoperte che portano l’umanità a vedere nello scienziato il campo del sapere che
risolverà tutti i problemi dell’umanità → c’è fiducia in qualcosa di concreto, ciò che si può vedere e
toccare, qualcosa di positivola scienza diventa la nuova religione, quello che dice lo scienziato è
fede.
Il positivismo è il capovolgimento di idealismo. Prima abbiamo parlato di materialismo, e poi il
discorso viene esasperato e arriva alle estreme conseguenze, che fa vedere nella scienza l’unico
campo che può dare le risposte risolutive all’umanità.
CONTESTO STORICO: al potere c’è la borghesia capitalista, secolo in cui si afferma il colonialismo,
grandi potenze nazionali industriali, come Inghilterra Francia e poi Germania. Le industrie hanno
bisogno delle materie prime che prendono dalle colonie. Occupazione delle terre extraeuropee.
Questo sviluppo viene visto come progresso: si guarda una linea retta, si guarda avanti, quello che
ci sarà domani sarà sempre migliore del passato. Il progresso diventa il nuovo mito e questo
progresso viene portato dallo scienziato. Lo sguardo con cui si guarda il mondo è quello dello
scienziato. Nel positivismo si rivendica il primato della scienza: tutto ciò che possiamo conoscere,
lo conosciamo attraverso la scienza, unico metodo di conoscenza.
Il metodo utilizzato è quello di referenti delle leggi causali e del loro controllo sui fatti, non solo in
ambito naturale ma anche per lo studio della società. E’ per questo che nasce la sociologia, intesa
come scienza di “fatti naturali” che sono i rapporti umani e sociali. La scienza viene esaltata come
l'unico mezzo in grado di risolvere tutti i problemi umani e sociali che fino ad allora avevano
tormentato l'umanità. Dunque la mentalità positivistica combatte le concezioni idealistiche e
spiritualistiche della realtà.
L’uomo viene studiato come oggetto di laboratorio. Da questa osservazione io ricavo leggi:
psicanalisi. Nasce la criminologia con Lombroso che teorizzò l’associazione tra caratteri somatici e
criminalità.
Il positivismo è messianico (messia, colui che porta la salvezza) →lo scienziato porterà la soluzione
di tutti i problemi.
AUGUSTE COMTE
Nasce a Montpellier nel 1798 da una famiglia modesta, fu discepolo e segretario di Saint- Simon e
allievo dell’Ecole Polytechnique.
Comte è l’iniziatore del positivismo francese, il padre ufficiale della sociologia, è lo studio su come
cambia la popolazione: nascite, morti, immigrati, laureati, ecc.. La definizione di Comte alla
sociologia è fisica sociale →umanità è ridotta a corpo, materia. Comte si interessa della società,
viene a contatto con ROBERT MALTHUS →è un economista e osserva che uno è ricco se possiede
tanta terra da cui ricava cibo. Le risorse alimentari dalla terra crescono in maniera aritmetica
→semino un campo di grano e ottengo il campo con le spighe come l’anno precedente. Le risorse
alimentari crescono secondo le regole aritmetiche; invece la popolazione umana cresce per via
geometrica. Se due individui si uniscono, non hanno uno più uno, ma hanno 4/6/8 figli che, a loro
volta, danno vita ad altri figli.
Nel 1822 scoprì la “grande legge” dell’evoluzione umana: la legge dei tre stadi.
Si tratta della legge secondo la quale l’umanità, al pari della psiche dei singoli uomini, passa
attraverso 3 stadi: 1. Teologico, 2. Metafisico e 3. positivo.
Nello stadio teologico i fenomeni vengono visti come “prodotti dell’azione diretta e continua di
agenti soprannaturali”. In questa fase l’uomo indaga le cause prime della realtà e attribuisce i
fenomeni naturali a forze soprannaturali.
Nello stadio metafisico agli oggetti soprannaturali si sostituiscono delle entità astratte (le essenze)
Nello stadio positivo, lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità di ottenere conoscenze
assolute, rinuncia a domandarsi quale sia l’origine e il destino dell’universo, quali siano le cause
dei fenomeni.
Per Comte l’intera gamma del sapere umano non è ancora permeata dallo spirito positivo, ad
esempio le scienze umane.
Questa mancanza produce ciò che il filosofo chiama l’anarchia intellettuale, che provoca la crisi
politica e morale della società contemporanea.
Per ovviare a questo, Comte si propone di creare un sistema di idee generali, o filosofia positiva,
tramite un’enciclopedia delle scienze, la quale fornisca il prospetto generale di tutte le conoscenze
scientifiche.
In primo luogo bisogna classificare le scienze secondo il loro grado di semplicità e il grado di
generalità dei fenomeni da esse presi in considerazione. Quindi considerando le scienze secondo il
grado di complessità raggiunto si riproduce la gerarchia delle scienze, l’ordine di successione con
cui le scienze stesse sono entrate nella fase positiva.
L’enciclopedia è costituita da cinque scienze fondamentali: l’astronomia, la fisica, la chimica, la
biologia e la sociologia.
FRIEDERICH NIETZSCHE (1844-1900)
N. è un pensatore la cui opera ha lasciato un’impronta decisiva.
Studiò filologia a Bonn e a Lipsia, dove lesse il mondo come volontà e rappresentazione di
Shopenhauer, lasciando in lui un’impronta decisiva.
A 24 anni viene chiamato a ricoprire la cattedra di filologia classica all’Università di Basilea.
Sempre in quegli anni incontra Wagner, con il quale collaborò all’organizzazione del teatro di
Bayreuth.
Nel 1872 esce La nascita della tragedia e il libro suscita violente politiche e viene ferocemente
attaccato.
Nel frattempo per motivi personali e per ragioni teoretiche egli rompe con Wagner, la
testimonianza la ritroviamo in Umano, troppo umano.
1873-1876: scrive le 4 considerazioni inattuali e successivamente pubblicò l’aurora.
Nel 1882 N. conosce Lou Salomé, una giovane russa che vuole sposare ma lei lo rifiuta.
Muore a Weimar.
IL DIONISIACO E L’APOLLINEO
Nietzsche inizia la sua attività come filologo e studiava le lingue classiche. Venne a conoscenza di
Schopenhauer di cui lesse il mondo come volontà e rappresentazione. Dal punto di vista biografico
era una persona dalla mente molto acuta, molto intelligente, e come storia personale aveva avuto
una vita sofferta, perché lui rimane orfano di padre a 5 anni e la sua famiglia aveva invertito il figlio
e preferivano che scegliesse la carriera del padre. Aveva fatto studi molto severi, rigidi e vivendo in
questo ambiente di cultura tedesca attraversata da Kant, Hegel, Schopenhauer. La sua opera parte
dagli studi filologici classici e si chiama “la nascita della tragedia e lo spirito della musica”.
Secondo Nietzsche, sulla scia di Schopenhauer, la vita è crudele e cieca e razionalità dolore e
distruzione. Solo l'arte può offrire all'individuo la forza e la capacità di fronteggiare il dolore della
vita dicendo sì alla vita. Nel 1872 Nietzsche scrive la nascita della tragedia e in questa cerca di far
vedere come la civiltà greca presocratica esploda in un rigoroso senso tragico che è accettazione
ebbra della vita, coraggio dinanzi al fato, esaltazione dei valori vitali. Quindi l’arte tragica è un
coraggioso e sublime dir sì alla vita.
Dopo Eschilo e Sofocle la tragedia subisce cambiamenti e con Euripide la tragedia viene riformata
e lui coincide con l’età di Socrate. Quindi la filosofia occidentale inizia proprio con Socrate, quelli
prima sono presocratici. Questa differenza di impostazione Nietzsche le nota in quest’opera:
analizzando dal punto di vista storico-letterario questo genere della letteratura greca individua due
spiriti: spirito dionisiaco e apollineo → Dioniso è il dio del vino e della tragedia e Apollo era il dio
della musica e possiamo individuarlo nella ragione dell’uomo, invece Dioniso è l’istinto. La tragedia
più antica era dedicata a Dioniso. La nascita della tragedia è legata ai culti di Dioniso, perché lui
rappresenta la forza generatrice della natura, quello che Schopenhauer chiama volontà di vivere.
Dioniso rappresenta l'energia generatrice ma anche la follia, perché essa è puro istinto, è
irrazionale. Lo spirito dionisiaco si manifesta nelle arti. L’opposto di Dioniso è Apollo: rappresenta
il sole, la luce, la conoscenza, la verità, quindi il pensiero chiaro, logico. Lo spirito apollineo si
esprime nella musica.
Nell'antica Grecia questi due aspetti erano equilibrati: istinto -ragione, musica -parole. Nietzsche
sostiene che nell'età greca, prima della rivoluzione fatta da Euripide e Socrate, spirito dionisiaco e
apollineo erano in equilibrio, infatti il titolo dell'opera di Schopenhauer è mondo come volontà
(spirito dionisiaco, l'istinto Vitale) e rappresentazione (spirito apollineo, realtà fenomenica). Con
Eschilo e Sofocle, dunque, nella mentalità greca c'era armonia tra la follia e l'intelletto, tra il
razionale e irrazionale, che è stata rotta con l'arrivo di Socrate. Egli introdusse il concetto di ti esti,
dando vita a quel processo di razionalizzazione, definizione: il pensiero occidentale in cui prevale
l'apollineo. Questo porta al suicidio dell'uomo che diventa soltanto un oggetto, ha perso la
dimensione naturale che appartiene al dionisiaco: la civiltà occidentale è una civiltà decadente che
ha perso la vera essenza e dimensione dell'essere umano. Le religioni occidentali hanno rinnegato
l'istinto, la gioia di vivere, l'energia della vita, la spinta erotica. La filosofia contemporanea a
Nietzsche era quella del positivismo: estrema conseguenza del ti esti; oggettivizzazione e dunque
morte della filosofia.
In un primo momento l’impulso apollineo e l’impulso dionisiaco convissero separati e opposti. Ma
in un secondo momento, nell’età della tragedia attica, i due impulsi si armonizzano tra loro, dando
origine a capolavori sublimi. Infatti la grande tragedia manifesta un perfetto accoppiamento tra
apollineo e dionisiaco. Nell’arte successiva, la sintesi tra dionisiaco e apollineo, viene messa in
forse dal prevalere dell’apollineo, che trionfa sul dionisiaco. Questo processo di decadenza si
concretizza nella tragedia di Euripide e attinge la sua espressione paradigmatica nell’insegnamento
razionalistico e ottimistico di Socrate. La decadenza della tragedia funge così da spia rivelatrice
della decadenza della civiltà occidentale nel suo complesso e trova il proprio simbolo nell’uomo
tragico e uomo teoretico.
“La nascita della tragedia” fu scritta da Nietzsche sotto l’influsso delle idee di Schopenhouer ma
anche sotto quello delle idee di Wagner. In Wagner, infatti, N. scorgeva il prototipo dell’artista
tragico destinato a rinnovare la cultura contemporanea e fu proprio a lui che dedicò l’opera
relativa alla nascita della tragedia.
I FATTI SONO STUPIDI E LA SATURAZIONE DI STORIA E’ UN PERICOLO
Fra il 1873 e il 1876, N, scrisse un’altra opera, intitolata “Considerazioni inattuali”. In generale,
possiamo considerare tutto il pensiero di N. inattuale nel suo momento storico, quello che diceva
non era compreso, il suo periodo era quello del post-hegelismo e positivismo. N. chiama in
maniera quasi illuminante queste sue considerazioni, considerazioni inattuali.
Circa la storia, N. dice che è un tempo in cui ci si ubriaca di storia. In queste considerazioni
inattuali, Nietzsche critica la saturazione della storia. Nella filosofia hegeliana, la storia ha un ruolo
centrale nel materialismo storico in quanto rappresenta lo spazio in cui il logos realizza se stesso.
La stessa cosa avviene in Marx con il materialismo storico, in cui la visione della storia è agita dalle
leggi del logos anche se l’azione si sviluppa sulla struttura e nei rapporti economici. Periodo pieno
di storia, essa viene idolatrata, diviene un monumento dinanzi al quale gli uomini si inchinano. N.
critica queste illusioni storicistiche e critica alcuni atteggiamenti di culto esagerato della storia. Un
atteggiamento di culto è, ad esempio, la storia monumentale, fatta di modelli come Giulio Cesare,
Alessandro Magno, dinanzi ai quali ci chiniamo in modo adorante.
Poi vi è la storia antiquaria, in cui si va a ricostruire, conservare, tutte quelle testimonianze relative
al passato. N afferma che nei confronti della storia bisogna essere né succubi, né bisogna
idolatrarla.
Egli critica anche la storiografia critica un atteggiamento aperto al presente che viene assunto
come unità di misura per giudicare il passato. Il rischio è di staccarsi totalmente dal passato. Solo
se la vita sa porsi grandi compiti ha ancora senso guardare nel passato. La storia va studiata in
modo critico, giudicata, non deve essere presa in assoluto, dice che “non esistono fatti ma solo
interpretazioni di fatti”. Non c’è nulla di certo, le stesse azioni possono essere interpretate da
punti di vista differenti. Gavrilo Princip, autore dell’attentato a Sarajevo, visto dagli austriaci come
un anarchico e dai popoli dei Balcani come un uomo che combatteva per i suoi ideali. Lo stesso
Garibaldi è per i Savoia un importante passaggio dell’unità di Italia e, per gli austriaci, un
sovvertitore. N. critica quelle visioni della storia che la vedono come una legge suprema.
Nietzsche critica tutti i pensatori, infatti nello Zaratustra egli scriverà proprio “io sono distruzione”
tanto è vero che si parla del pensiero di Nietzsche come un pensiero nichilista, dal latino nihil
(niente) atteggiamento di chi distrugge tutto. Atteggiamento sta riguardo i valori, una religione,
una filosofia.
Quindi il pensiero del filosofo fu rivoluzionario, va a modificare tutta la metafisica. Per Platone il
mondo vero è quello delle idee, mentre il mondo della materia è la brutta copia; questa filosofia è
stata interpretata tutta dal cristianesimo il quale ha continuato a dire agli uomini che la vita sulla
terra non vale nulla poiché la vera vita è quella dell’aldilà.
Ecco il motivo per il quale colpisce anche il cristianesimo con la sua visione; parlando male del
mondo terreno (il mondo della vita dove si nasce e si muore) sia Platone che il cristianesimo
stanno insultando la vita.
Invece l’atteggiamo dell’uomo greco arcaico è diverso; Nietzsche lo chiama l’eroe tragico. L’eroe
tragico è colui che accetta la vita così com’è, che dice sì alla vita, è quello che accetta le gioie e i
dolori, i successi e le sofferenze. Quindi rifiuta sia una visione idealistica, sia una visione
completamente materialistica, ma vuole recuperare la dimensione integrale dell’uomo da lui
chiamata VISIONE TRAGICA DELLA VITA, in quanto nelle tragedie l’eroe combatte, soffre, ha
successo, vive la vita pienamente in tutti i suoi aspetti, con l’amore con l’odio, con tutti i suoi
sentimenti.
Lui preannuncia una visione tragica della vita, ecco perché l’ammirazione per la tragedia della vita.
Il capro dell’antiche tradizioni, da cui tragedia, rappresenta l’uomo che si offre al divino, a Dioniso.
E Dioniso è il dio della natura, il dio totale che divinizza (Dioniso nei miti Orfici viene fatto a pezzi
dai Titani e poi rinasce ricomposto da Apollo) e metaforicamente vuol dire che la natura si
frantuma, muore (inverno sembra tutto morto) ma poi rinasce miracolosamente (primavera).
Quindi l’uomo tragico.
Abbiamo detto che inizialmente si innamora del pensiero di Schopenhauer in quanto alogico, il
mondo è un fenomeno, una rappresentazione; però Schopenhauer conclude la sua visione
dicendo che bisogna vivere questa volontà di vivere che è la causa del dolore umano e bisogna
vincerla con la vita scettica, quindi distaccandosi da quella che è la via vera.
(Su questo Nietzsche non era d’accordo. Lui afferma che è l’eroe tragico dice sì alla vita, non come
Schopenhauer che dice di no. Accetta la croce, ovvero si rende conto di avere una spinta verso il
divino (verticale) ma, allo stesso tempo, di essere materia (orizzontale). Bisogna dire sì alla vita, in
tutte le sue forme. Ecco perché viene rappresentato come il dio ebbro.)
CONCEZIONE EROICA DELLA VITA → Il fatto che la vita sia dolore e crudeltà non deve spingere a
volere il nulla: l’amore per la vita stessa comporta l’accettazione attiva dell’irrazionalità
dell’esistenza.
Wagner che inizialmente sembrava essere l’amico che rinnovava nel campo della musica e della
cultura, alla fine si rivela costruttore di un nuovo idealismo (mito, popolo nazione). Questo per
Nietzsche è un nuovo idealismo, un nuovo cristianesimo, detto in altre forme e quindi, di fronte a
questo rompe con Wagner.
IL DISTACCO DA SCHOPENHAUER E DA WAGNER
N. aveva dedicato a Wagner la Nascita della tragedia, ma il suo distacco sia da Wagner che da
Shopenhauer è testimoniato in Umano, troppo umano, Aurora e La gaia scienza.
Due sono i tipi di pessimismo:
- Il primo è quello romantico
- L’altro è quello di chi accetta la vita pur conoscendone la dolorosa tragicità
In nome di quest’ultimo N. rifiuta il primo, quello di Shopenhauer, che da ogni parte gronda
rassegnazione e rinuncia.
Il distacco da W. fu per N. un evento ancor più significativo e doloroso. Nell’arte di Wagner egli
aveva visto lo strumento di rigenerazione, ma presto dovette ammettere di essersi illuso.
L’allontanamento di N. dai suoi grandi maestri ha significato per lui molto di più che lo svanire di
un fascino e la rottura di un’amicizia. Ha voluto piuttosto dire allontanamento e distacco critico del
Romanticismo con il suo falso pessimismo, con la rassegnazione e l’ascesi quasi cristiana di
Schopenhauer, con la retorica di quel “romantico disperato divenuto marcio” che è Wagner.
Ha voluto dire distacco e critica di quelle pseudo-giustificazioni e camuffamenti metafisici
dell’uomo e della sua storia che sono: l’idealismo (crea un antimondo), il positivismo, i
redentorismi socialisti delle masse e anche l’evoluzionismo.

Es: “Quando diciamo nella storia o nella filosofia che una volontà suprema vuole che l’uomo
bianco sia superiore agli uomini di colore perché così lo ha deciso dio”, questo è umano troppo
umano.
Nietzsche svela che i cosiddetti valori di riferimento, le leggi, le filosofie a volte anche le religioni,
sono degli strumenti per chi comanda, e quindi non è voluto da una volontà superiore ma dagli
uomini: è umano troppo umano! Sono gli uomini che facendo appello ad una volontà superiore
giustificano il loro interesse privato. Es. aristocratici, noi abbiamo il sangue blu perché dio ci ha
dato il potere di comandare.
L’uomo oggi non può essere considerato come unico a se stante, immutabile, ma un essere in
divenire, frutto di uno sviluppo che prosegue verso il futuro. Per questo motivo la morale si è
basata prima di tutto su presupposti umani, “troppo umani”. Una filosofia storica è in grado di
dimostrare lo sviluppo di un qualcosa che oggi sembra assodato e parte integrante dell’uomo,
invece è solo il frutto di uno sviluppo storico. Il divenire è di per sé innocente afferma Nietzsche
quindi la morale scaturisce da una falsa e spesso ingenua interpretazione della natura. Anche l'“io
penso” di Cartesio sembra essere una certezza ma è un’illusione: non è possibile che sia io a
pensare che debba esistere qualcosa che pensi e che pensare sia l’effetto di un essere concepito
come pensiero. Per sostenere ciò dovrei già sapere che cosa significa pensare. Tra queste
condizioni illusorie rientra anche l’errore fondamentale di ritenere che esista una libertà del
volere: da ciò scaturisce la credenza nell’esistenza di azioni morali di cui ciascuno sarebbe
responsabile. L’azione sarebbe allora strettamente legata alla conoscenza, ma secondo Nietzsche
ciò è continuamente smentito dai fatti. Infatti nell’azione entrano in gioco tanti fattori che non
sono riducibili alla sola conoscenza, che spesso sfuggono a chi la compie. Questo vuol dire che la
causa delle azioni non è da rintracciarsi nella libera volontà del soggetto che le compie ma
piuttosto all’interno di quello spirito di conservazione che spinge a procurare piaceri e a evitare
dolori. In modo allora è possibile dare un giudizio di valore a proposito della moralità delle
azioni? Cioè quando un’azione si può definire moralmente corretta oppure no?
La concezione sbagliata che ci porta a giudicare le azioni come moralmente cattive parte sempre
da quell’assunto falso che vuole che le nostre azioni siano spinte dalla libertà e che un uomo che
infligge del male ad un altro uomo lo fa perché lo vuole liberamente: è questa concezione che
porta con sé anche lo spirito di vendetta da parte di chi subisce un torto. Questo modo di vedere le
cose dimostra come l’azione è giudicata buona o cattiva in base all’effetto che essa non ha
sull’agente, ma su chi subisce l’azione altrui: ciò determina l’acquisizione di una posizione di
primato degli altri, ossia della società, sul singolo. Ciò vuol dire che la società per imporsi ed
imporre una morale che valga per tutti ha dovuto negare il piacere del singolo in favore di quello
comunitario.
Con l’opera “Umano, troppo umano”, si parla proprio di una nuova bandiera dell’Illuminismo,
differente e meno entusiastico del precedente ma che, sicuramente, pone in attenta analisi la
società a lui contemporanea.
Altro appellativo che dice di se è: io sono dinamite
Mentre per Darwin vige la seconda teoria dell’evoluzione: “In un’isola crescono dei semi di una
certa forma quindi la specie di uccello che sviluppa il becco per quel tipo di seme sopravvive,
mentre l’altro uccello che non ha questa caratteristica sparirà” a sopravvivere saranno quegli
individui che meglio si adattano a quell’ambiente, Nietzsche invece capovolge questa visione. A
vivere e a sopravvivere non sono i più forti, i coraggiosi, non sono i sani, ma i deboli, perché i
deboli hanno più spirito.
Secondo Nietzsche il bene comune è una contraddizione in termini, poiché non si può parlare di
bene se non in termini individualistici. Più una società tende a democratizzarsi, più rischia di creare
uomini “forti” al suo interno che spesso possono tradursi in tiranni. Nietzsche allora auspica una
“sana aristocrazia” che abbia un ordine; una società aristocratica dove il rischio non è quello di
scadere nella mediocrità, ma saranno i migliori, i più capaci, i più forti a stare al capo della società,
mentre i più piccoli seguiranno la loro volontà.
Questo è l’inglese, gli inglesi non hanno lo spirito, sono empirici, capiscono solo i soldi, possono
fare i mercanti e basta. Quindi capovolge in quanto poveri hanno più spirito.
Se noi riflettiamo nel corso della storia abbiamo visto tante civiltà evolute (impero ormano, è stato
sopraffatto dai barbari, popoli meno evoluti dei romani) oppure pensiamo a noi, popoli
occidentali, stiamo andando verso la fine della nostra civiltà, eppure stiamo bene siamo colti
abbiamo mezzi prossima curaci, ma tra 20-30 non esisteremo più così come siamo adesso, saremo
spariti come religione, lingua, cultura, modi di agire, le usanze.
LA MORTE DI DIO
N. in nome dell’istinto dionisiaco annuncia la “morte di Dio” e conduce un deciso attacco contro il
cristianesimo.
Le critiche alla morale ed al cristianesimo raggiungono assieme un picco nella cosiddetta tesi sulla
"morte di Dio", fulcro centrale del filosofare di Nietzsche.
Bisogna puntualizzare, però, la concezione che Nietzsche ha di Dio: per il filosofo Dio è
innanzitutto una prospettiva anti-vitale che pone l'essere al di fuori dell'essere stesso inducendo
così l'uomo alla fuga. In secondo luogo, Dio è la personificazione di tutte le certezze che l'uomo si è
col tempo creato per potersi illudere di vivere in un mondo ordinato.
Riprendendo l'idea di Schopenhauer, Nietzsche parla di un mondo "sdivinizzato" in cui Dio è solo
una costruzione della nostra mente per poter sopportare la durezza della esistenza. In altre parole,
gli uomini hanno dovuto crearsi un'essenza di ordine che potesse alleggerire la loro esistenza e
potesse illuderli che il mondo non fosse come in realtà è, cioè caotico, corrotto e crudele. Da ciò
deriva il moltiplicarsi terrificante del numero delle religioni e delle filosofie metafisiche le quali
propongono la genesi di tutto nella figura di un'essenza superiore.
Dinnanzi allo sguardo disincantato del filosofo moderno, però, l'illusione svanisce e le religioni e le
metafisiche vengono demitizzate, distrutte ed etichettate come decorazioni di bugie a scopo di
sopravvivenza.
Di conseguenza, Dio appare a Nietzsche come la più grande delle bugie, come la menzogna eterna,
la incarnazione di tutte le credenze escogitate nel corso della storia nei modi e nelle forme più
varie.
La coscienza di un mondo "sdivinizzato" è così radicata in Nietzsche che egli ritiene superflua una
sua qualunque spiegazione. Per lui, l'ateismo è qualcosa di dato, imprescindibile, inspiegabile, è la
realtà stessa che spiega tutte le cose. Egli preferisce concentrarsi più che altro su due aspetti
fondamentali: l'annuncio della morte di Dio e la riflessione sulle conseguenze di questo evento.
Ne La gaia scienza, la morte di Dio viene annunciata da un uomo folle, che giunge tra gli uomini ad
avvisarli di questo avvenimento così importante, e spingendoli a creare l'oltreuomo per riempire il
vuoto lasciato da questo avvenimento, causato da tutti gli uomini. Gli uomini, infatti, hanno ucciso
Dio, che rappresenta le certezze assolute che finora avevano mantenuto gli uomini lontano
dall'incertezza propria dell'età moderna. Il folle si accorge però di essere giunto in anticipo: questa
notizia non era ancora arrivata in quei luoghi.
Il tema della morte di Dio intesa come eliminazione di una legge sovrumana sarà trattato anche in
Così parlò Zarathustra, rappresentato questa volta dal drago chiamato "tu devi". Nell'annuncio
della morte di Dio, poi, viene esposto già il concetto di oltreuomo, che deve creare delle leggi
proprie per sostituire quelle del Dio oramai morto.
L’ANTICRISTO
L'Anticristo é il testo con cui Nietzsche si scaglia apertamente contro il Cristianesimo, colpevole di
rendere e mantenere ignoranti le persone e di aver causato nella storia milioni di vittime. All'
Anticristo spetta la funzione di chiudere i conti con il Cristianesimo, oggetto sempre più ossessivo
delle analisi e degli attacchi dell'ultimo Nietzsche. Il tono é ultimativo, da manifesto, preludio a
un'azione che doveva essere un attacco radicale a tutta la nostra civiltà. Ma, al tempo stesso,
Nietzsche si mostra qui ancora una volta di una sottigliezza psicologica prodigiosa, come
dimostrano le parole bellissime, e profondamente amiche sulla figura di Cristo. Mentre la
condanna del Cristianesimo e della morale convogliano in sè quella, più generale, contro tutte le
forze nemiche della vita e capaci di camuffarsi dietro le potenze della religione e della cultura.
Contro di esse Nietzsche scende definitivamente in guerra, giungendo a siglare, alla fine, la sua
"legge contro il Cristianesimo" col nome terribile dell'Anticristo, in quanto "trasvalutatore di tutti i
valori". E' un libro che si conviene ai pochissimi, dice Nietzsche stesso nella prefazione: forse di
questi non ne vive ancora uno. Nietzsche era profondamente convinto che il cristianesimo fosse
nato e fosse morto anche se la sua agonia é durata 2000 anni, quando i discepoli di Gesù non
hanno perdonato i suoi nemici.
L'argomentazione di questa tesi, prende le mosse dalla convinzione che per il cristianesimo: "E' in
sè completamente indifferente il fatto che una cosa sia vera o no, ma é estremamente importante,
invece, fino a che punto sia creduta. Così ad esempio, se é insita una felicità nei credenti redenti
dal peccato, come premesse di ciò, non é necessario che l'uomo sia peccatore, ma che si senta
peccatore." In questo modo il cristianesimo ha sostituito la verità con la fede che qualcosa sia
vero. Anzi alla ricerca della verità ha posto un "divieto", e ha sostituito questa, che é la più
autentica delle virtù, con le virtù teologali: fede, speranza e carità, che sono 3 "accorgimenti" a cui
il cristianesimo é ricorso per distogliere l'uomo dalla ricerca della verità, e poterlo così
"signoreggiare, addomesticare, dominare".

NIETZSCHE E IL NICHILISMO
Avendo Nietzsche disvelato le presunte certezze religiose e metafisiche, il nichilismo diviene la
categoria fondamentale del suo filosofare.
Secondo il filosofo, è possibile dare al termine due accezioni di significato:
1.“la volontà del nulla”, ovvero ogni atteggiamento di fuga e rinuncia nei confronti del mondo, che
egli vede incarnato nel platonismo e nel cristianesimo
2. la situazione dell’uomo moderno e contemporaneo, che, non credendo più nei “valori supremi”,
né in un senso o scopo metafisico delle cose, finisce per avvertire, di fronte all’essere, lo sgomento
del vuoto e del nulla.
Questo venir meno dei valori supremi cui l’Occidente, a partire da Platone, si è affidato, scaturisce
dall’illusione svelata come tale, a cui però subentra un equivoco: eliminati quei valori, si tende a
considerare la mancanza di ogni altro tipo di valore; si cade così nello svuotamento totale di senso.
Nietzsche si dichiara nichilista, avendo dimostrato il carattere menzognero delle presunte verità,
(in modo tale da superare il nichilismo stesso movimento filosofico del nichilismo e Nietzsche.)
A tal proposito, distingue due tipi di nichilismo:
- nichilismo attivo, che consiste nel mettere in discussione i valori della tradizione, non ponendone
però di nuovi
- nichilismo passivo, che produce un atteggiamento di arrendevolezza e di stordimento di fronte
all’insensatezza del mondo
Nietzsche rifiuta il nichilismo passivo e procede oltre quello attivo, tendendo a un nichilismo
radicale che deve, dopo aver annullato i valori supremi, riproporre un nuovo senso delle cose.
Da qui la figura del superuomo, che deve proporre un senso alla caotica mancanza di senso del
mondo, deve reinventare il senso del mondo, ma non attraverso altre favole, piuttosto nella
consapevolezza che il mondo è caos e che l’uomo ne è al centro e lo interpreta.
Il superuomo, insomma, dovrà sopportare la morte di Dio, l’annullamento dei valori e riemergere,
ovvero rielaborare la sua condizione nel mondo.

L’AVVENTO DEL SUPERUOMO


Il trauma causato dalla morte di Dio è il preludio dell’avvento del superuomo. Solo chi ha preso
coscienza e accetta che non esistono più menzogne rassicuranti, infatti, può riuscire a rapportarsi
genuinamente alla realtà e progettare la sua esistenza in modo libero e al di là di ogni costruzione
metafisica.
La terza fase della filosofia di Friedrich Nietzsche si apre dunque con le alternative che hanno
luogo con la morte di Dio: l’avvento dell’“ultimo uomo” o del “superuomo”. A parlare è ora il
profeta del superuomo, Zarathustra, che esclama: «Morti sono tutti gli dei: ora vogliamo che il
superuomo viva».
Per quanto Nietzsche si sforzi di cercare dei precursori (nell’aristocrazia antica o in Napoleone, ad
esempio), il superuomo è un concetto filosofico che si colloca nel futuro: corrisponde all’idea di un
uomo nuovo, oltre e diverso da ciò che conosciamo. La stessa parola tedesca che utilizza Nietzsche
è Ubermensch che può essere tradotta anche con “oltreuomo”, cioè di un uomo oltre l’uomo
esistente.
Il superuomo di Nietzsche incarna un modello in cui si condensano e trovano rappresentazione
tutti i temi della sua filosofia.
Le caratteristiche che possiede, infatti, sono:
1. l’accettazione della dimensione dionisiaca dell’esistenza, della “morte di Dio” e della fine
delle certezze: l’uomo nuovo rimane “fedele alla terra” e al suo corpo, non più prigioni o
temporanei passaggi prima della vita vera ultraterrena, ma le uniche realtà in cui
estrinsecare la propria essenza.
2. il suo collocarsi nella prospettiva dell’“eterno ritorno dell’uguale”. Secondo Nietzsche tutti
gli eventi del mondo si ripresentano sempre identici a se stessi infinite volte. Pur essendo
difficile stabilire con certezza cosa sia effettivamente questa teoria (se una metafora o una
verità cosmologica), il suo significato è chiaro e differenzia nettamente l’uomo dal
superuomo: mentre il primo reagisce con terrore alla prospettiva di un eterno ripetersi
degli eventi, il secondo la accoglie con gioia. Tale reazione scaturisce dalla prospettiva di
vivere la vita come un qualcosa di “creativo” che ha in sé il proprio appagamento, di non
ricercare in un “oltre” questo mondo la felicità e il proprio senso. In sintesi: vivere la vita
come se tutto si dovesse ripetere all’infinito.
3. la capacità di mettere in discussione la morale, giudicata come “l’istinto del gregge nel
singolo” (cioè le norme stabilite dalla società) e l’accettazione della fatica e del rischio di
realizzarsi come nuova fonte di valori e di significati.
4. il porsi come “volontà di potenza”. Quest’ultima, per Friedrich Nietzsche, coincide con la
vita stessa nel suo continuo espandersi. Il superuomo, infatti, vive nel continuo
oltrepassamento di sé stesso, nel creare e progettare la sua esistenza in modo libero e al di
là di ogni schema costituito. In questo è un artista: stabilisce un senso di fronte al caos del
mondo e si libera dal peso del tempo e del passato.
LA MORALE DEI SIGNORI E LA MORALE DEGLI SCHIAVI
N. distingue una morale degli schiavi e una morale dei signori che si differenziano per il rapporto
con il potere: gli schiavi sono coloro che devono sottostare a un potere altrui e i signori invece
detengono tale potere. Pertanto l’elaborazione di certi valori dipende proprio dalla posizione
occupata all’interno di una gerarchia di potere. La morale dei signori è una morale aristocratica,
“aristos”, i migliori. I dominatori considerarono buono tutto ciò che li accomuna come nobili,
migliori e superiori, ma anche tutto quello che gli permette di amare la vita, giudicando negativo
quello che invece allontana dalla vita, invece gli schiavi rinunciano a ciò che è vitale poiché non
vivono una vita autentica. N. definisce un nobile come creatore di valori, poiché egli decide cosa è
buono, giusto, senza affidarsi a criteri esterni, ma affidandosi alla sua discrezione personale e per
questo è come se egli creasse dei nuovi valori. Invece gli schiavi elaborano una morale avversa alla
vita, proprio perché sfigurati dalla loro condizione che li vede socialmente inferiori ai padroni
nutrono un odio contro tutto quello che è gioia, bellezza e vitale poiché a loro è precluso. Questo è
alla base del risentimento che gli schiavi travestono dietro l’etichetta di morale. Tale risentimento
viene anche mascherato dalla religione. Il buon uomo per gli schiavi è colui che è sottomesso
risentimento.

DARWIN E L’ORIGINE DELLA SPECIE


EVOLUZIONISMO - A cavallo tra Settecento e Ottocento, a seguito del grande impulso ricevuto
dallo sviluppo delle scienze, tra cui quelle naturali, si assistette ad intensi dibattiti scientifici
riguardanti la teoria della trasformazione delle specie. Nel Settecento era prevalente la tesi del
"fissismo", diffusa da Linneo, secondo la quale le specie sono rimaste inalterate nel tempo e
presentano gli stessi caratteri che ricevettero all’atto della creazione. Nello stesso periodo vi fu la
nascita di una teoria opposta nota come "trasformismo", alla cui elaborazione parteciparono
numerosi studiosi, tra i quali si distinse J. B. Lamarck il quale sosteneva che i mutamenti ambientali
modificano i bisogni dell’organismo e, di conseguenza, le sue abitudini. Ma fu solo con CHARLES
DARWIN che tale teoria assunse il significato tuttora conosciuto.
La teoria dell’evoluzione ha rappresentato un fenomeno analogo a quanto già qualche secolo
innanzi era accaduto in astronomia con Copernico: una vera e propria rivoluzione scientifica,
feconda di grandi sviluppi.
Con l’evoluzionismo scompare l’immagine millenaria dell’uomo; immagine incarnata nella teoria
fissista che parlava di specie fisse e immutabili esistenti sin dalla loro creazione.
E se con Copernico la rivoluzione astronomica risistema l’ordine spaziale e dà alla terra e all’uomo
un posto ben diverso da quello di prima, con Darwin cambia la teoria concernente il posto
dell’uomo nella natura.
CHARLES DARWIN (1809-1882) cercò di studiare medicina e poi pensò di avviarsi alla carriera
ecclesiastica, finchè nel 1831 si imbarcò come naturalista di bordo sul brigantino inglese a tre
alberi che si preparava a compiere un’esplorazione scientifica attorno al mondo. Di questa
avventura Darwin ci ha lasciato una vivida descrizione del suo Viaggio di un naturalista intorno al
mondo.
Il viaggio fu importante, ma fu anche importante che durante tale viaggio Darwin studiasse i
Principi di geologia di Charles Lyell.
Lyell nella sua opera aveva sostenuto la teoria secondo cui, per spiegare la storia passata della
terra, si deve ricorrere a forze geologiche tuttora operanti, ovvero quelle cause che modificano e
modellano la superficie della terra.

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