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FILOSOFIA

 LEZIONE 1 (15-09-22)
La parola filosofia deriva dal greco philosophia, che significa “amore per il sapere”, essa è infatti un
continuo porsi domande su tutti gli aspetti della vita, domande “di fondo”, che arrivano a mettere in
questione anche ciò che sembra ovvio, senza fermarsi all’apparenza, tutto può essere oggetto di una
discussione filosofica, la filosofia è la ricerca del sapere, che una volta trovato non va tenuto per
sé, ma deve essere condiviso con altri soggetti razionali in modo che il collettivo si evolva nei
migliori modi possibile.
Questa disciplina è un qualcosa di inaggirabile, non è possibile vivere senza riflettere sulla vita e
non è possibile non avere una propria visione del mondo, addirittura il rifiuto della filosofia è esso
stesso una filosofia, gli umani non possono sfuggire ad essa e l’unica scelta da fare è tra fare
filosofia in modo consapevole o inconsapevole.
La filosofia è quindi l’indagine critica e razionale sulle questioni di fondo che l’essere umano si
pone circa se stesso e la realtà che lo circonda, mentre la storia della filosofia è il racconto delle
domande che l’uomo si è posto nel corso del tempo ed i conseguenti tentativi di risposta.
Nell’ambito pratico studiare la filosofia serve a comprendere meglio la storia complessiva
dell’umanità, dato che ogni filosofia è la filosofia della sua età ed ogni età ha la sua filosofia, che
influisce su molti aspetti della vita, quali la politica, il diritto e l’etica. Quindi, per capire lo spirito
di un’epoca bisogna innanzitutto capire la sua filosofia.
Lo studio del pensiero dei filosofi serve anche come stimolo a riflettere in prima persona, per
acquisire una mentalità critica che insegni ad interrogarsi su tutto senza mai dare nulla per
scontato.
La filosofia trova le sue origini in due aree ben precise: l’ Asia Minore e la Magna Grecia, in
questa prima fase di storia della filosofia i filosofi sono chiamati presocratici, cioè coloro che
precedono Socrate ed il loro obiettivo era indagare i principi fondamentali di tutto ciò che esiste.
Questi filosofi, però, non sapevano né di essere presocratici né di essere filosofi (il termine filosofo
venne usato per la prima volta da Pitagora).
L’uomo, fin da quando ha acquisito le giuste abilità concettuali e linguistiche, si è sempre posto
domande del tipo perché esiste il mondo? Da cosa ha avuto origine?, ed aveva sempre trovato
risposte di carattere religioso o mitologico, i presocratici, invece affrontavano queste domande con
un metodo razionale di indagine, le risposte alle domande erano individuate nella ragione e nel
mondo stessi. Ma cosa sono? La ragione è pensare correttamente, è la capacità di un essere
umano di esprimersi seguendo criteri condivisi da tutti. Mentre il mondo è il campo di indagine in
cui la ragione viene applicata, e corrisponde alla natura, a tutto ciò con cui l’uomo può entrare in
contatto. Di questa natura, i presocratici ne vogliono scoprire l’origine, il principio fondamentale,
l’archè.
Essi lo cercano attraverso spiegazioni che siano valutabili in base alle norme della ragione, per
essere filosofi bisogna fornire ragionamenti condivisibili con evidenze osservabili che confermino
le teorie. Il filosofo vuole anche avere ragione, vuole che gli altri siano d’accordo con lui e per
questo ha bisogno di confrontarsi con gli altri. Il metodo di indagine dei presocratici è molto simile
a quello usato per le prime scoperte scientifiche, ma a differenza delle ricerche astronomiche o
mediche, che avevano uno scopo unicamente pratico, le ricerche presocratiche hanno come scopo la
costruzione di una visione d’insieme, una spiegazione della natura nel suo complesso, i presocratici
pretendono una spiegazione unitaria a tutte le cose che esistono.

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Nonostante molti filosofi presocratici abbiano espresso il loro pensiero in opere scritte, nessuna di
esse è arrivata interamente a noi e quindi per ricostruire il loro pensiero gli studiosi si sono affidati
ad opere scritte di epoche successive, come i Dialoghi di Platone o la Metafisica di Aristotele, suo
allievo. Teofrasto, invece, scrive un’opera chiamata Le opinioni dei fisici ed a partire da essa si
sviluppa un filone letterario chiamato dossografia, che non è però tanto affidabile in quanto i
dossografi si limitavano a presentare soltanto specifiche opinioni dei presocratici su poche
questioni.
Il lavoro di ricostruzione del pensiero dei presocratici più accurato è stato compiuto dai tedeschi
Diels e Kranz.

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PHILLEIN (AMARE) +
SOPHIA (sapienza) =
AMORE PER LA
SAPIENZA.
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TRA IL VII ED IL VI MILETO, EFESO,
SECOLO a.C. LE CITTÀ CLAZOMENE,
GRECHE DELLA IONIA COLOFONE, SAMO.
 LEZIONE 4 (22-09-22)
ANASSIMENE
Anassimene fu il terzo dei fisici di Mileto, a differenza dei suoi predecessori lui ha lasciato una
testimonianza scritta, un’opera in prosa intitolata Sulla Natura, scritta in modo semplice e lineare
e nella quale spiega come per trovare il suo archè abbia trovato una via di mezzo tra le tesi dei suoi
predecessori. Infatti, se Talete considerava l’acqua come principio di tutte le cose ed Anassimandro
considerava l’archè come un qualcosa di inosservabile, informe ed illimitato: l’apeiron.
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Anassimene quindi, individuò il suo archè nell’aria, la più informe ed illimitata delle sostanze
(come l’apeiron) di cui però possiamo avvertire la presenza, osservare i suoi effetti ed è
fondamentale per la vita (come l’acqua). Per spiegare invece come l’aria possa produrre la varietà
delle cose osservabili, Anassimene usa il principio di condensazione e rarefazione, da una parte
l’aria condensandosi diventa nuvola, e quindi acqua, pietra, terra ed altre sostanze dalla cui
mescolanza si generano tutte le altre cose. Invece le cose smettono di esistere perdono la propria
forma e si dissolvono nelle singole sostanze in presenza di un processo di rarefazione (quindi
individua anche lui un eterno movimento mediante il quale si ha la trasformazione). Queste
sostanze sono poi destinate a disgregarsi, tornando ad essere aria. Il principio di condensazione e
rarefazione è trattato da Anassimene come una vera e propria legge naturale che determina il
trasformarsi dell’aria in tutte le cose sia il ritornare di tutte le cose nell’aria.

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 LEZIONE 5 (03-10-22)
Pitagora nasce a Samo nel 570 a.C., nel 530 a.C., a causa dell’avvento di un regime ostile
all’aristocrazia, classe sociale di cui faceva parte, lascia la patria per stabilirsi a Crotone, dove
fonda la sua scuola filosofica. Egli fu il primo a parlare di filosofia e la sua scuola era
completamente diversa da quella di Mileto, la scuola pitagorica può addirittura essere considerata
una setta religiosa basata sull’orfismo, antica tradizione che si basava sulla credenza che tutte le
creature siano dotate di un’anima immortale intrappolata in un corpo mortale, considerato come
una prigione dell’anima, la quale deve imparare a purificarsi dall’influenza del corpo. I discepoli
di Pitagora, infatti, per entrare nella scuola dovevano sottoporsi a numerose prove per purificarsi,
quali il digiuno, il mutismo e la castità. Una volta entrati nella scuola i discepoli fanno parte di una
rigida piramide gerarchica alla qui sommità c’è Pitagora, il maestro, e alla base gli studenti, divisi
in acusmatici, cioè studenti a cui è vietato parlare, e matematici, cioè coloro che possono
intervenire. Alla morte di Pitagora acusmatici e matematici daranno vita a due correnti distinte, la
prima fedele all’insegnamento del maestro e la seconda più libera ad interpretarlo (per quanto
riguarda la morte di Pitagora, egli ebbe una disputa con un bullo e i suoi amici, allora lo cacciò dalla
scuole e il bullo lo rincorse fino ad un campo di fave, nel quale però non entra in quanto affetto da
fagismo, viene quindi imprigionato e muore in prigione).
Per i pitagorici la matematica è considerata la teoria che permette di comprendere e spiegare
tutto ciò che esiste, non a caso il loro archè è proprio il numero, per due motivi:
1. Il numero è principio di tutte le cose in quanto elemento materiale, tutto ciò che esiste in
natura si trova nello spazio e la geometria ci spiega che esso è fatto di punti, ciascuna unità
numerica può essere quindi vista come un punto spaziale che contribuisce alla lunghezza dei
segmenti di cui quel punto fa parte, il numero è quindi l’elemento materiale fondamentale;
2. Il numero è il principio di tutte le cose in quanto governa il funzionamento di tutto ciò
che esiste, tutto ciò che accade può essere espresso in numeri e rapporti tra numeri.
Nella concezione pitagorica del mondo quindi esistere vuol dire essere matematizzabile, essere un
possibile oggetto di misure e calcoli. Il numero è l’emblema dell’opposizione tra limite ed
illimitato, i numeri pari rappresentano l’illimitato perché possono essere rappresentati come due
successioni parallele a cui non si pone un limite, mentre i numeri dispari, mediante l’aggiunta di
un’unità pongono un limite a questa serie e rappresentano quindi il limite. L’unità, il numero 1
può trasformare un numero da pari a dispari e per questo è detto parimpari.
NUME SIGNIFICATO PER I PITAGORICI
RO
1 INTEGRITÀ
2 GENERE FEMMINILE
3 GENERE MASCHILE
5 2+3, QUINDI L’UNIONE TRA I DUE GENERI, IL
MATRIMONIO
4 QUADRATI DI 2 E 3,
9 RAPPRESENTANO LA GIUSTIZIA
NUMERO SACRO, UGUALE ALLA SOMMA DEI PRIMI
QUATTRO NUMERI E RAPPRESENTABILE
10 GEOMETRICAMENTE COME UN TRIANGOLO
EQUILATERO CHE HA QUATTRO COME MISURA DEL
LATO, COMPOSTO DA 10 PUNTI E COSTRUIBILE
DISEGNANDO I PRIMI QUATTRO NUMERI UNO SOTTO
L’ALTRO, ANCHE DETTO TETRAKTYS
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 LEZIONE 5 (03-10-22)
All’opposizione tra limitato e illimitato i pitagorici riconducono anche tutte le altre coppie di
opposti, come luce-tenebre o movimento-quiete. La riflessione su queste coppie fornisce ai
pitagorici tutti gli elementi teorici necessari per dimostrare la loro tesi sul fondamento matematico
della realtà:
1. Tutto ciò che esiste è riconducibile a coppie di opposti;
2. Tutte le coppie di opposti sono riconducibili alla coppia illimitato-limite;
3. La coppia illimitato-limite può essere intesa come l’opposizione pari-dispari.
Sulla base di queste considerazioni i pitagorici si interessano di astronomia e musica, discipline i
cui elementi sono dipendenti dai principi matematici e da questi presupposti applicano la
matematica al mondo umano, individuando nella loro dottrina la chiave per capire l’animo e la
società.
I pitagorici osservano che tutti gli astri hanno forme simili a figure geometriche e seguono
traiettorie che corrispondono a curve geometriche, effettuando vari calcoli costruiscono un
modello matematico mediante il quale prevedono i movimenti degli astri ed arrivano addirittura a
ipotizzare la sfericità della Terra e mettono in discussione la teoria geocentrica. Nella concezione
pitagorica, quindi, tutti gli astri fanno parte del cosmo, un sistema unitario la cui intelaiatura è
costituita da sfere trasparenti che ruotano emettendo suoni musicali tanto sublimi da essere
impercettibili dall’orecchio umano. Per quanto riguarda la musica, i pitagorici dimostrano che le
melodie e le armonie musicali sono tali in virtù di precisi rapporti numerici tra i suoni che le
compongono, ciò che rende una melodia tale sono gli intervalli tra i suoni che la compongono,
cioè i rapporti numerici tra le altezze delle sue note. Le altezze vengono stabilite misurando le
lunghezze delle corde che vibrando emettono le note musicali e calcolando i rapporti tra queste
misure riescono a determinare gli intervalli musicali.
La concezione dell’anima per i pitagorici è riconducibile alla musica, il corpo è infatti considerato
lo strumento musicale in cui l’anima risuona e la purificazione non è altro che una tecnica per
accordarlo in modo che la melodia, cioè il pensiero, risuoni nel miglior modo possibile. C’è però
una differenza fondamentale tra musica e strumento e anima e corpo, la musica infatti non può
esistere senza lo strumento che la emette, mentre l’anima può esistere anche in assenza del corpo,
che quando muore libera l’anima che entra in una condizione superiore di esistenza incorporea per
poi reincarnarsi in un nuovo corpo, un nuovo strumento, in cui far risuonare la propria musica,
questo pensiero è detto metempsicosi ed è il nucleo fondamentale della visione religiosa di Pitagora.
Nella prospettiva pitagorica le proporzioni matematiche sono anche il fondamento su cui si basa la
società, in particolare per quanto riguarda il concetto di giustizia, interpretato come la corretta
proporzione tra le azioni di un individuo e le reazioni della società, e proprio per questa
concezione in cui si pensa che con la matematica si può costruire una società giusta, i pitagorici si
impegnano anche nella vita politica delle proprie città per instaurare un’aristocrazia illuminata
tale per cui il potere è gestito da un gruppo ristretto di persone che applicano le leggi matematiche
per migliorare la società

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 LEZIONE 6 (10-10-22)
Eraclito discende da un’antica stirpe aristocratica della città di Efeso, è un uomo dal carattere
sdegnoso ed è convinto che la maggior parte degli uomini sia incapace di andare oltre le
apparenze e cogliere la vera essenza del mondo,chiusi nelle proprie ingannevoli fantasie e
false certezze. Da questo nasce la divisione tra desti e dormienti, per Eraclito appartengono a
quest’ultima categoria i politici (si oppone infatti al far diventare Efeso una democrazia, in quanto
significherebbe dare il potere ai dormienti) ed i medici (per lui bravi solo a tagliuzzare).
Appartengono invece alla categoria dei desti i filosofi, coloro che si pongono domande e capiscono
oggettivamente come stanno le cose, Eraclito è convinto di far parte dei desti, che chiama anche “i
migliori”.
Come i fisici di Mileto, Eraclito cerca il principio fondamentale delle cose, che per lui è il fuoco,
egli osserva infatti come ogni cosa sia sottoposta ad un cambiamento inarrestabile, proprio come
una fiamma che si muove in continuazione, che produce un cambiamento irreversibile nelle cose
con cui entra in contatto. La differenza tra Eraclito e i fisici di Mileto sta nel fatto che per lui il
fuoco non è il principio fondamentale delle cose, ma semplicemente la sostanza che meglio lo
rappresenta. Il cambiamento a cui la natura è sottoposta obbedisce a una legge ben precisa che
governa tutto ciò che esiste che Eraclito designa con lo stesso termine che designa la ragione ed il
discorso mediante cui essa si esprime: logos. Esso per Eraclito non è soltanto lo strumento con cui
cercare l’archè, ma è l’archè stesso, vi è quindi un’unica legge che governa sia il pensiero che la
natura e questa legge è il logos. Quindi, la missione del filosofo richiede di scoprire la legge che
governa sia la natura che il pensiero umano, per raggiungere questo obiettivo Eraclito parte
dall’osservazione che tutto è sottoposto al cambiamento, quindi il logos è la legge della natura
che determina lo svolgersi delle cose, il loro divenire. Nessuna cosa rimane identica a sé stessa,
ogni cosa muta in continuazione e nulla può resistere alla legge del divenire, il pensiero stesso si
trasforma incessantemente in quanto basato sull’esperienza sensoriale mediante la quale avvertiamo
continue variazioni. Il logos stabilisce anche che questo cambiamento debba svolgersi attraverso il
conflitto di elementi tra loro contrapposti, per Eraclito nulla può esistere senza un conflitto,
una qualche differenza e opposizione. Tuttavia, per Eraclito questo conflitto è da interpretare più
come una relazione tra elementi apparentemente opposti ma in realtà interconnessi, questa
interconnessione fa sì che tutto ciò che esiste finisca per trasformarsi nel suo opposto,
rivelandosi così identico a esso, come la salita e la discesa che sembrano opposte ma sono in realtà
la stessa strada. Tutti gli elementi apparentemente opposti si rivelano aspetti complementari di
un unico flusso che è il divenire stesso. In questa prospettiva tutta la realtà risulta dominata da un
conflitto incessante ma allo stesso tempo pervasa da un ordine che regola il fluire delle cose, questo
è il senso del logos, la natura e il pensiero sono entrambi divenire, che ha il fuoco come
manifestazione superficiale e l’interconnessione tra opposti come legge profonda.

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 LEZIONE 7 (22-10-22)
La filosofia di Parmenide è esposta nel poema Sulla natura, il racconto del viaggio della ricerca
del sapere, che come per i fisici ionici e per i pitagorici, è condotta secondo il metodo razionale,
ma a differenza di essi, per Parmenide la ragione deve basarsi unicamente su sé stessa senza fare
affidamento all’esperienza. Il contrasto tra verità e opinione si manifesta nel proemio di Sulla
natura, Parmenide immagina che una divinità si rivolga a lui spiegandogli che la verità che deriva
dalla ragione e le opinioni che derivano dall’esperienza vanno conosciute entrambe ma per
motivi opposti, la verità è stabile, perfetta come una sfera, il fine verso cui bisogna tendere,
mentre le opinioni, del tutto prive di credibilità, sono l’insidia da cui occorre guardarsi. La
divinità indica così a Parmenide due strade opposte, la prima strada dice “che è e che non è
possibile che non sia”, l’altra dice “che non è e che non è possibile che sia”. Per Parmenide la
ragione ha in sé un criterio che le permette di procedere autonomamente nella ricerca della verità: il
principio secondo il quale l’essere è e non può non essere mentre il non essere non è e non può
essere. Il “non essere” è qualcosa che “non è e non può essere”, qualcosa a cui è impossibile
pensare, non possiamo pensare al nulla, a qualcosa che non esiste e non possiamo neanche parlare
del nulla, perché quando parliamo diciamo comunque qualcosa, in conclusione il non essere non si
può né pensare né esprimere. Per capire questo concetto bisogna capire le funzioni del verbo
“essere”, che ha una funzione esistentiva, quindi riferito a qualcosa che esiste, “la mela c’è”, ed
una funzione copulativa, che collega un soggetto a un nome o un aggettivo “la mela è rossa”.
Secondo Parmenide in entrambi i casi si ha a che fare con situazioni contingenti, in cui è possibile
pensare il contrario, è possibile che la mela ci sia e che non ci sia, che sia rossa e che non sia
rossa. La via della verità che il filosofo vorrebbe prendere però, impedisce di ammettere
contemporaneamente l’essere e il non essere di qualcosa, mostrando quindi che l’esperienza può
essere in contrasto con il principio fondamentale della ragione, non posso affermare che qualcosa
che è ed è in un certo modo, può anche non essere. Se vogliamo quindi prendere la via della verità,
dobbiamo rivolgerci ad un essere necessario che soltanto la ragione è in grado di comprendere,
bisogna trovare un oggetto che è e che non può non essere, quest’oggetto prende il nome di
essere. La sua deduzione si basa sul criterio fondamentale che “l’essere è e non può non essere” e
si svolge mediante una dimostrazione per assurdo, che porta Parmenide a ricavare che l’essere è
ingenerato, imperituro, invisibile, unico, immobile e immutabile.
CARATTERIS SPIEGAZIONE
TICA
Se affermassimo il contrario dovremmo ammettere che prima non c’era e quindi
INGENERAT non era, ma l’essere non può non essere, quindi l’essere non può essere stato
O generato.
IMPERITURO Se ammettessimo che in un certo istante finisca dovremmo dire che non è più,
ma l’essere non può non essere e quindi l’essere non può terminare di esistere.
INDIVISIBIL Se fosse suddivisibile in parti avrebbe in sé una certa parte che non è un’altra
E parte, ma l’essere è e non può non essere e quindi non può avere varie parti.
Se ipotizzassimo che ci sia qualcos’altro oltre l’essere dovremmo ammettere che
UNICO c’è qualcosa che l’essere non è, ma l’essere è e non può non essere e quindi non
può esserci niente in aggiunta all’essere.
IMMOBILE Se ipotizzassimo che l’essere cambi la sua posizione e le sue proprietà
E affermeremmo quindi che l’essere non sarebbe più come era prima del
IMMUTABIL cambiamento, ma l’essere è e non può non essere e quindi non può cambiare la
E sua posizione e le sue proprietà.
 LEZIONE 7 (22-10-22)
9
Dopo aver provato a cogliere la verità dell’essere, Parmenide passa alla considerazione del dominio
delle opinioni che vertono sulla molteplicità delle cose osservabili, tema della seconda parte del
poema. Questa indagine ha come scopo il fornire una risposta alla domanda “se l’unica cosa che
esiste veramente è l’essere, che è e non può non essere, come mai le persone comuni fanno
esperienza di una molteplicità di cose mutevoli in cui essere e non essere risultano mescolati?”.
Questa domanda va affrontata a partire da una spiegazione del mondo osservabile su due fattori
contrapposti ma entrambi interni all’essere, cioè la luce e la tenebra, essi, alternandosi o
mescolandosi darebbero origine a tutte le cose senza incrinare la perfezione dell’essere. Questa
spiegazione dovrebbe stemperare l’opposizione tra la verità basata sulla ragione e l’opinione
erronea basata sull’esperienza, portando quindi ad un’opinione plausibile che descriverebbe sia
la ragione che la sapienza e che verterebbe sul mondo osservabile formato da luce e tenebra, ma a
causa dei pochi frammenti che sono arrivati ad oggi resta difficile comprendere come l’unità
dell’essere possa contenere al suo interno il dualismo di luce e tenebra. E pur ammettendo che ci
sia, rimane difficile stabilire come luce e tenebra possano fare sì che dall’unità immutabile
dell’essere che è e non può non essere, sorga un mondo di apparenze molteplici e mutevoli in cui
tutto è ma potrebbe non essere.

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 LEZIONE 8 (29-10-22)
La dottrina di Parmenide suscita molte critiche, gli avversari della filosofia eleatica insistono infatti
sull’evidenza che le cose che esistono sono molteplici e capaci di movimenti, evidenza che
contraddice le caratteristiche di essere unico e immobile di Parmenide. Entra così in gioco
Zenone, che servendosi delle dimostrazioni per assurdo, che consistono nell’ammettere in modo
ipotetico una certa tesi che attraverso un ragionamento si dimostra essere falsa. Zenone assume
come ipotesi le opinioni ricavate dall’evidenza per cui le cose che esistono sono molteplici e
capaci di movimento e dimostra che quanto sostengono gli avversari è in realtà falso, questi
ragionamenti sono anche chiamati paradossi e per arrivare ad essi Zenone utilizza esclusivamente
la ragione.
Gli argomenti di Zenone si dividono in due gruppi, quelli contro il molteplice e quelli contro il
movimento. In uno degli argomenti contro il molteplice Zenone parte dall’ipotesi che esista un
certo numero N di cose e deduce che nello spazio tra esse dovrà esserci qualcosa che le separa,
non può infatti non esserci il nulla perché il non essere non può essere. Quindi dall’ipotesi che
esistono N cose si ricava che esiste un numero di cose maggiore di N, conclusione assurda dato che
esisterebbe allo stesso tempo un numero di cose uguale a N e maggiore di N, Zenone dimostra così
che l’ipotesi per cui esiste un certo numero di cose è falsa e conferma invece il ragionamento di
Parmenide secondo il quale esiste un’unica cosa e quella cosa è l’essere.
Ci sono poi gli argomenti contro il movimento. Il primo è quello detto dello stadio, che parte dalla
premessa generale per cui le cose si muovono per ricavare l’ipotesi di un corridore che deve
spostarsi da un estremo all’altro di uno stadio, Zenone nota che per arrivare al secondo estremo
deve prima arrivare al punto intermedio tra i due estremi e per arrivare a quel punto deve arrivare
al punto intermedio tra il primo estremo e il punto intermedio e così all’infinito, il corridore
deve quindi percorrere infinite distanze e non arriverà mai in fondo allo stadio,
contraddicendo quindi l’ipotesi per la quale esso si muove da un estremo all’altro dello stadio e la
premessa generale secondo cui le cose si muovono. Nell’argomento di Achille e la tartaruga, dalla
premessa per cui le cose si muovono ricava l’ipotesi secondo la quale Achille, correndo,
raggiunge la tartaruga che lo precede di una distanza D, mentre Achille percorre D, tuttavia, la
tartaruga avrà percorso un’altra distanza D1 e mentre Achille percorre D1 la tartaruga avrà percorso
un’altra distanza D2 e così via, arrivando così alla conclusione che Achille non raggiungerà mai la
tartaruga, che contraddice l’ipotesi secondo cui Achille la raggiunge e la premessa generale
secondo cui le cose si muovono. Nell’argomento della freccia, invece, partendo dalla premessa
generale secondo cui le cose si muovono si ricava l’ipotesi secondo cui una freccia, dopo essere
stata scagliata, si muove lungo una certa traiettoria. In ogni istante di questo movimento,
tuttavia, la freccia occupa uno spazio pari alla sua lunghezza ed è immobile in rapporto a
questo spazio, si contraddice quindi l’ipotesi secondo la quale la freccia si sta muovendo e quindi
anche la premessa generale per cui le cose si muovono, Zenone dice quindi che il movimento che
osserviamo è soltanto l’illusione di una successione di istanti di immobilità.
Questi paradossi finiscono per mettere in crisi i concetti stessi di spazio e tempo, sui quali si
basano la molteplicità e il movimento, purché vi sia molteplicità ci deve essere uno spazio
capace di ospitare molteplici cose e purché vi sia movimento ci deve essere uno spazio nel quale
le cose si muovono ed un tempo in cui il movimento avviene. Ma secondo Zenone lo spazio e il
tempo sono divisibili all’infinito e proprio su questa infinita divisibilità si basano i suoi
paradossi, nella sua prospettiva lo spazio e il tempo sono nozioni contraddittorie, perché la loro
estensione e durata comporta la molteplicità e il movimento, ma la loro infinita divisibilità

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contraddice questi concetti, Zenone finisce per affermare che l’essere non può avere estensione
spaziale e durata temporale.
 LEZIONE 9 (05-11-22)

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